Le famiglie e l`assistenza agli anziani non autosufficienti:
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Le famiglie e l`assistenza agli anziani non autosufficienti:
IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana Le famiglie e l’assistenza agli anziani non autosufficienti: il caso empolese a cura di Filippo Tosi IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana Le famiglie e l’assistenza agli anziani non autosufficienti: il caso empolese a cura di Filippo Tosi V S O C I E TAd e l l a S A LU T E d i E M P O L I Firenze, Dicembre 2009 RICONOSCIMENTI Questa ricerca, commissionata dalla Regione Toscana-Direzione Generale Diritto alla Salute e Politiche di Solidarietà, è stata realizzata dall’IRPET che si è avvalso di un gruppo di lavoro a cui hanno partecipato: - Giovanna Faenzi, Patrizio Nocentini, Luca Puccetti (Regione Toscana); - Nedo Mennuti, Renato Ferrucci, Serena Sandonnini e Michela Franchini (Società della Salute di Empoli); - Piero Salvadori (AUSL 11-Empoli). La ricerca, coordinata da Stefania Lorenzini, è stata curata da Filippo Tosi con la collaborazione di Lara Antoni (§ 4.1) e Elena Cappellini (§ 4.2). Le elaborazioni statistiche sono state effettuate da Valentina Patacchini. Le interviste telefoniche sono state realizzate da EUREMA S.r.l.. Elena Zangheri ha curato l’allestimento editoriale del testo. RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento va a tutte le persone intervistate, che con la loro disponibilità a collaborare hanno reso possibile la realizzazione di questa indagine. Si ringrazia inoltre la Società della salute di Empoli per il supporto tecnico fornito in tutte le fasi della ricerca e Sara Mele dell’IRPET per gli utili suggerimenti forniti nella fase di impostazione del lavoro. Indice 5 Presentazione di Gianni Salvadori 7 SINTESI DELLA RICERCA 13 INTRODUZIONE Parte I IL PROBLEMA 19 19 20 24 27 45 45 48 1. NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA IN ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI 1.1 Chi sono i non autosufficienti 1.2 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti 1.3 L’impatto sulle finanze pubbliche 1.4 I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate 2. LE CURE AI NON AUTOSUFFICIENTI: IL RUOLO DI MERCATO, FAMIGLIA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 2.1 I modelli assistenziali 2.2 Le interazioni tra i soggetti: i risultati della teoria economica e dell’analisi empirica Parte II L’INDAGINE 55 55 57 61 3. L’INDAGINE SUL LAVORO DI CURA NELLA AUSL 11 - EMPOLI 3.1 La struttura e le finalità dell’indagine 3.2 Il contesto della AUSL 11 - Empoli 3.3 Le caratteristiche dei caregivers e dei loro assistiti 69 69 83 111 121 4. LA SCELTA DEL METODO ASSISTENZIALE E I SUOI EFFETTI 4.1 L’assistenza familiare 4.2 Il ricorso alle collaboratrici domestiche 4.3 I servizi pubblici 4.4 Il volontariato 131 131 133 5. ALCUNI APPROFONDIMENTI 5.1 Effetti economici dell’assistenza 5.2 L’assistenza desiderata Parte III IDEE PER LA TOSCANA 141 143 145 147 6. LA NON AUTOSUFFICIENZA IN TOSCANA: RILEVANZA ED EFFETTI 6.1 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti in Toscana 6.2 L’impatto sulle finanze pubbliche toscane 6.3 Le recenti politiche della Regione Toscana 151 7. DAL CASO EMPOLESE A QUELLO TOSCANO: ALCUNE IMPLICAZIONI LOGICHE 159 BIBLIOGRAFIA 165 Appendice IL QUESTIONARIO UTILIZZATO Presentazione La Toscana è interessata da un processo di progressivo invecchiamento della popolazione, persino più marcato rispetto al dato nazionale, che si riverbera immediatamente sulla gestione dei processi di cura. Infatti, all’interno del 20% delle famiglie toscane è presente almeno una persona non autosufficiente. La Regione Toscana, attraverso la LR. 66/2008 “Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza”, ha costruito un sistema territoriale integrato di servizi sociosanitari nell’area della non autosufficienza, che deve essere in grado di assicurare efficacia e appropriatezza degli interventi in ogni fase del percorso assistenziale, personalizzando e diversificando rispetto alla gravità del bisogno. In questo quadro, l’offerta assistenziale deve arricchirsi di azioni che supportino e sostengano il lavoro di cura e di assistenza della famiglia, anche attraverso figure dedicate all’assistenza della persona. Tale sostegno rende talora possibile favorire il mantenimento della persona non autosufficiente all’interno della propria abitazione, evitando il ricovero in una struttura residenziale ed assicurando così agli anziani un percorso di vita più sereno, vicino agli affetti familiari ed alle abitudini consolidate negli anni. Tutto ciò è possibile solo con la creazione di un adeguato sistema di supporto per le famiglie. Le indicazioni preziosissime offerte da questa ricerca, pur riferendosi ad un ambito territoriale circoscritto, forniscono risultati rappresentativi per la gestione delle criticità di assistenza presenti nelle famiglie toscane. Gianni Salvadori Assessore alle Politiche Sociali e allo Sport della Regione Toscana 5 SINTESI DELLA RICERCA La tutela dei bisogni delle persone non autosufficienti rappresenta ormai da alcuni decenni una delle più rilevanti sfide delle società sviluppate. L’effetto congiunto del progressivo invecchiamento della popolazione e della sempre più scarsa attitudine della rete parentale a prendersi cura integralmente del soggetto dipendente, come invece avveniva in passato, determina infatti una modifica sostanziale della divisione del lavoro di assistenza tra famiglia, pubblica amministrazione e mercato. I dati mostrano un deciso incremento dell’incidenza della popolazione anziana in tutti i Paesi sviluppati da oggi al 2040 -che raggiungerà quasi il 30%- causato principalmente dall’aumento dell’aspettativa di vita -già oggi mediamente intorno agli 80 anni- e dal basso tasso di fecondità, che difficilmente sarà sufficiente per garantire una equilibrata struttura della società nei prossimi decenni. Il comportamento della società toscana non si discosterà da questa evidenza generale: le stime ISTAT in proposito mostrano infatti che gli anziani nel 2040 rappresenteranno circa il 32% dell’intera popolazione regionale. Anche il declino dell’attitudine della famiglia a prendersi cura del non autosufficiente, pur variando nell’entità da Paese a Paese, sembra una tendenza generale ed affermata. La progressiva emancipazione ed il contestuale aumento della partecipazione sul mondo del lavoro da parte della popolazione femminile -tradizionalmente quella chiamata ad espletare i doveri assistenziali- diminuiscono infatti la disponibilità e la possibilità da parte della famiglia a prendersi cura del parente non autosufficiente. Ciò è vero in particolare nei Paesi, come l’Italia, dove le caratteristiche del mercato del lavoro e dei servizi pubblici rendono difficoltosa la conciliazione delle attività lavorative con quelle assistenziali. Anche la Toscana, sebbene sia caratterizzata da una coesione sociale ben più accentuata che in altri contesti, mostra di seguire questa tendenza generale. I fenomeni richiamati esercitano una pressione crescente sulla pubblica amministrazione, che è chiamata a coniugare l’erogazione di un volume crescente di prestazioni con la sostenibilità finanziaria intertemporale del modello di welfare adottato, e sul mercato, dove si assiste ad una rilevante e crescente domanda di servizi di assistenza diretta ai soggetti non autosufficienti. Le prestazioni assistenziali, essendo caratterizzate da un’alta intensità di lavoro e da una difficile sostituibilità di quest’ultimo con capitale, si caratterizzano per l’elevatezza del loro costo. Ciò si traduce, a livello aggregato, in una elevata incidenza sul PIL: attualmente oltre l’1% in molti 7 Paesi europei (compresa l’Italia) con la tendenza al raddoppio da oggi al 2050. Al fine di ridurre l’impatto sulle finanze pubbliche e di garantire servizi più conformi alle nuove esigenze, in alcuni Paesi si è assistito negli anni passati ad una riforma, parziale o totale, dei servizi ai non autosufficienti. Ad esempio, in Germania già dal 1995 è stata introdotta una specifica assicurazione obbligatoria (Soziale Pflegeversicherung) che si integra e si coordina con le altre quattro già presenti nel welfare state tedesco. In Italia, sebbene le proposte siano state numerose, un progetto di riforma nazionale pare ancora lontano dall’essere approvato. Ciononostante, a livello regionale le innovazioni sono state significative ed hanno riguardato in particolare la creazione in molti contesti di un apposito Fondo Regionale per la Non Autosufficienza al fine di razionalizzare, coordinare e magari ampliare -come fatto dalla Regione Emilia Romagnamediante l’introduzione di una specifica fonte di entrata il volume di risorse destinato a garantire le prestazioni per i soggetti dipendenti. Con la Legge Regionale n. 66/2008 la Toscana si è inserita nell’insieme di Regioni che hanno introdotto un apposito Fondo ed una sostanziale riorganizzazione dei servizi ai non autosufficienti, i cui effetti potranno essere valutati in maniera adeguata ed esaustiva solo nel prossimo futuro. L’aumento del bisogno assistenziale e la diminuzione della disponibilità della famiglia a prestare assistenza, associati a servizi pubblici non sufficientemente estesi, hanno creato in molti Paesi la condizione ideale per lo sviluppo di un fiorente mercato di prestazioni assistenziali fornite da personale prevalentemente straniero, spesso irregolare, a basso costo e scarsamente qualificato. In Italia, secondo le statistiche ufficiali, sono presenti quasi 600mila collaboratori domestici stranieri, di cui circa 52mila solo in Toscana. Secondo alcuni, tuttavia, essi potrebbero essere addirittura il doppio se consideriamo anche quelli irregolarmente presenti sul territorio nazionale. La teoria economica affronta ormai da tempo il tema della tutela delle persone non autosufficienti, concentrandosi sulle possibili modalità di finanziamento di un sistema pubblico, sulle diverse strategie di individuazione dei beneficiari, sull’efficienza e sull’efficacia delle prestazioni, sulla sostenibilità intergenerazionale dei modelli di welfare, ecc.. Tra gli aspetti relativamente meno dibattuti è presente -nonostante ciò sia di cruciale importanza negli ambiti della previsione e dell’organizzazione dei servizi pubblici- lo studio delle motivazioni che guidano il primary caregiver nella scelta del modello ideale assistenziale più idoneo tra quelli generalmente individuati: la soluzioni residenziale, l’assistenza familiare coadiuvata dai servizi pubblici, il ricorso ad una collaboratrice domestica (badante). L’indagine diretta presentata in questa ricerca -che è stata realizzata nei mesi di ottobre e novembre 2008, e quindi antecedentemente alla riforma 8 introdotta con la L.R. 66/2008- ha avuto come principali obiettivi, oltre a quello generico di fornire un quadro dell’attività assistenziale ai non autosufficienti, quelli di analizzare le scelte operate dal primary caregiver, le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro implicazioni economiche. Ulteriori finalità perseguite, comunque legate a quelle poc’anzi esplicitate, sono state lo studio della capacità di conciliazione tra attività assistenziale e lavorativa e di riduzione del “peso” dell’onere assistenziale. Tale studio è stato condotto a partire dall’osservazione diretta di un caso concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non autosufficiente residente nell’ambito della Società della Salute di Empoli. I principali risultati emersi sono riassunti nei punti elencati di seguito. 1. In generale, il lavoro di assistenza ai non autosufficienti è ancora oggi svolto prevalentemente da persone di sesso femminile (71% del totale), legate da uno stretto vincolo di parentela con l’anziano (figlio/a nel 54% dei casi, coniuge nel 21%, genero/nuora nel 12%), di età piuttosto avanzata (quasi il 70% ha superato i 55 anni), prevalentemente non impegnate sul mondo del lavoro (oltre il 70% non è occupato). 2. Il modello assistenziale scelto dal primary caregiver pare essere condizionato dalla numerosità di ore settimanali lavorate da quest’ultimo: all’assenza di un impiego è legata l’assistenza personale da parte del parente, ad un lavoro part-time o comunque flessibile viene associata la combinazione tra assistenza informale e ricorso ai servizi pubblici, al lavoro a tempo pieno è infine positivamente correlato l’acquisto di prestazioni assistenziali sul mercato. È invece molto debole il legame tra il reddito familiare e la scelta del metodo assistenziale, anche se si rileva una leggera propensione dei caregivers più facoltosi a rivolgersi ai servizi di mercato. 3. I dati relativi ai collaboratori domestici hanno associato a questa categoria di lavoratori un ruolo di primaria importanza nell’assistenza ai non autosufficienti. Il 42% dei primary caregivers intervistati ha infatti dichiarato di utilizzare questo servizio e tra loro oltre la metà ha detto di aver assunto una badante che convive con l’assistito (53%) o che comunque si occupa di quest’ultimo per oltre 60 ore settimanali (55%). Si tratta prevalentemente di personale straniero (86%) e quasi sempre di donne (98%), che non di rado vengono assunte irregolarmente attingendo dalle reti di conoscenza informali. La ricerca ha inoltre messo in rilievo che alla diffusa presenza di lavoro nero o grigio non corrisponde un sostanziale abbassamento del salario garantito rispetto a quello previsto nel contratto nazionale. Tale situazione, che in alcuni casi incontra anche i favori delle badanti straniere, si inserisce in un contesto nel quale l’informalità dei rapporti lavorativi prevale nettamente su ogni forma di ufficialità. 9 4. I risultati emersi in merito ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione mostrano un quadro che, sebbene risulti in vari punti migliore rispetto alla media nazionale e soprattutto a molte altre realtà regionali, non si discosta sostanzialmente da quanto rilevato a livello italiano. La tradizionale scarsità dei servizi pubblici a favore dei non autosufficienti nel nostro Paese -effetto del modello di welfare di stampo familista storicamente adottato- scontrandosi con le mutate esigenze dei potenziali utenti, si traduce in una assistenza domiciliare (ADI) poco estesa e poco incisiva rispetto al necessario ed in una rilevanza marginale delle altre opzioni assistenziali (centri diurni, ricoveri di sollievo, ecc.). Nonostante che gli utenti si dichiarino estremamente soddisfatti delle prestazioni ricevute, i servizi in questione dimostrano una scarsa capacità conciliativa delle attività di assistenza e lavoro che, tuttavia, non è imputabile esclusivamente alla struttura di questi ultimi bensì anche alla rigidità del mercato del lavoro italiano, tradizionalmente restio a generare posti di lavoro a part-time e/o ad orario flessibile. Migliori sono invece le ripercussioni sul tempo libero del caregiver, dato che i servizi pubblici riescono a creare spazi di libertà che alleviano il “peso” dell’assistenza. 5. L’analisi del ricorso ai servizi di volontariato mostra che la platea dei beneficiari -i quali in genere si dichiarano soddisfatti della qualitàè piuttosto contenuta e caratterizzata da un utilizzo ingente di tali prestazioni. Anche per la loro natura, tali servizi mostrano una bassa attitudine a conciliare lavoro e assistenza all’anziano disabile, mentre riescono ad avere positive ripercussioni sul tempo libero del caregiver sgravandolo di alcune mansioni e, per questa via, aiutandolo ad espletare con minore difficoltà l’onere assistenziale al quale è chiamato. 6. Lo studio dell’impatto economico dell’attività assistenziale ha messo in rilievo che, a causa della difficoltà a conciliare lavoro ed assistenza, risultano piuttosto frequenti le riduzioni dell’orario di lavoro (quasi il 30% del totale dei caregivers lavoratori) alle quali si è dovuti ricorrere a causa del sopravvenire delle necessità assistenziali dell’anziano. La riduzione di orario, quantificata prevalentemente in 15/20 ore settimanali, ha ovviamente avuto ripercussioni sul reddito percepito in maniera spesso non trascurabile: per oltre il 15% dei soggetti interessati si è infatti assistito ad una contrazione di oltre 400 euro mensili, pari a circa un terzo del reddito medio mensile. 7. L’analisi dell’“assistenza desiderata”, ossia del modello assistenziale che il caregiver sceglierebbe in assenza di vincoli, mostra che le soluzioni attualmente adottate rappresentano l’ottimo per molti dei soggetti analizzati, ma non per tutti. Esiste infatti una parte di caregivers (quantificabile in circa un decimo del totale), prevalentemente 10 caratterizzati da un’età relativamente bassa, da un titolo di studio elevato, da un impiego full-time, che manifesta palesemente la difficoltà (cd. stress del caregiver) a proseguire con il modello assistenziale adottato sinora. L’esigenza prioritaria che viene dichiarata non sembra essere tanto legata alla completa delega dell’attività assistenziale, bensì ad una ripartizione del carico assistenziale su una numerosità di soggetti (altri familiari, personale dei servizi pubblici, personale a pagamento) ben più cospicua di quella attuale, pur rimanendo parte -magari con funzione anche di coordinamento- del gruppo che cura l’assistenza del parente non autosufficiente. Il quadro appena descritto mostra una situazione complessiva piuttosto soddisfacente, ma non esente da alcuni elementi di criticità, così sintetizzabili: - la bassa estensione dei servizi; - la scarsa capacità conciliativa lavoro-assistenza; - la diffusa presenza di lavoro nero o grigio; - l’elevato impatto economico e “personale” dell’attività di assistenza sul caregiver; - l’inadeguatezza del modello assistenziale sinora adottato per una ristretta quota di assistenti familiari. In generale, infine, è possibile riscontrare la diffusa esigenza del caregiver a condividere il carico assistenziale con un numero maggiore di soggetti. Tale necessità pare particolarmente sentita da parte dei caregivers relativamente giovani, ossia da quell’insieme di soggetti caratterizzato da una maggiore attività sul mercato del lavoro, da un titolo di studio più elevato e, presumibilmente, anche da una struttura di valori differente da quella della generazione precedente. È pertanto prevedibile che nel prossimo futuro, in virtù della naturale sostituzione dell’attuale generazione di caregivers con le successive, si assista ad un accentuarsi delle criticità sin qui messe in rilievo. Tali criticità, ovviamente, rappresentano delle sfide che la pubblica amministrazione, regionale e soprattutto nazionale, è chiamata a raccogliere adottando già da oggi le politiche opportune. In Toscana, l’amministrazione regionale è intervenuta sul finire del 2008 varando il già ricordato Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (L.R. 66/2008). La Regione Toscana, mediante questo strumento che consentirà di erogare risorse per oltre 300 milioni di euro annui fino al 2010, si propone di aumentare l’estensione e l’incidenza dell’assistenza domiciliare, di incrementare i servizi semi-residenziali, di ridurre le liste di attesa per l’accesso ad una RSA, di far emergere mediante un contributo monetario condizionato numerose collaboratrici domestiche. L’introduzione del Fondo Regionale, al quale è stata associata anche una riorganizzazione dei servizi adesso centrati sui cd. “Punti Insieme”, affronta numerosi aspetti 11 problematici sollevati in questa ricerca: l’incremento dell’ADI e dei servizi semi-residenziali consentirà di aumentare i beneficiari e di migliorare la capacità conciliativa lavoro-assistenza, la riduzione delle liste di attesa per l’inserimento in una RSA risponderà alle necessità della quota di caregiver caratterizzati da livelli particolarmente elevati di stress, il contributo monetario alle assistenti domestiche incentiverà l’emersione di alcune badanti. Come già accennato, è ancora troppo presto per poter valutare in maniera esauriente gli effetti delle politiche adottate dalla Regione Toscana: tale operazione potrà infatti essere condotta solo dopo che sarà trascorso un lasso di tempo sufficientemente lungo. Ciononostante, vale la pena osservare che dai primi dati traspare l’impressione che le azioni intraprese siano efficaci nell’affrontare le criticità rilevate nella ricerca e poc’anzi esplicitate. Tuttavia, a causa del prevedibile evolversi di numerose variabili sociali che porteranno all’acuirsi delle criticità richiamate, difficilmente le politiche sinora adottate potranno rappresentare la soluzione definitiva al problema, bensì un primo passo sulla strada della realizzazione di un organico sistema che sappia garantire anche in futuro a tutti i non autosufficienti ed ai loro assistenti una adeguata tutela delle loro ingenti necessità. 12 INTRODUZIONE La questione dell’assistenza continuativa ai non autosufficienti è già da alcuni anni al centro del dibattito in tutti i Paesi sviluppati a causa della crescente rilevanza, sia sociale che economica, che il tema sta progressivamente assumendo. L’effetto congiunto dell’invecchiamento della popolazione, della forte incidenza delle malattie croniche (tra i principali responsabili della non autosufficienza) e della minore propensione della famiglia ad erogare cure informali, eserciterà in futuro sulla pubblica amministrazione una crescente pressione volta ad ottenere cure assistenziali. Le ricerche empiriche e le previsioni in proposito, che testimoniano la rilevanza del fenomeno, destano forti preoccupazioni: la quota di ultra 65enni al 2040 nei Paesi OCSE sarà raddoppiata rispetto al valore del 2000 (dal 13,8% al 25,6%) (OCSE, 2005), l’incidenza delle malattie croniche aumenterà nel mondo del 17% al 2015 (WHO, 2005), il numero di disabili ultra 75enni senza sufficiente assistenza familiare in Europa al 2030 aumenterà almeno del 40% (Gaymu, 2008)1. La creazione di un adeguato sistema pubblico si rivela dunque una necessità sempre più impellente, non solo per sostenere i non autosufficienti e le loro famiglie, ma anche per stimolare il sistema economico rendendo possibile per il caregiver il mantenimento della posizione lavorativa. Nonostante ciò, la creazione ed il potenziamento di un sistema pubblico presenta alcuni problemi di fondo, riassumibili nelle difficoltà a (Ikegami, Campbell, 2002): - definire con precisione la linea di demarcazione tra la responsabilità pubblica e quella privata; - coordinare efficientemente le cure sanitarie con le prestazioni di carattere sociale a causa dei loro diversi modi di operare; - recuperare le ingenti risorse necessarie. Quest’ultimo fattore è senza dubbio quello con il peso preponderante, soprattutto se a ciò si associa, ragionando in un’ottica dinamica, la sostenibilità nel tempo del sistema creato. Sulla base di queste constatazioni, il dibattito nel nostro Paese si è incentrato sulle possibili modalità di finanziamento, di individuazione dei beneficiari, di erogazione delle prestazioni, in maniera tale da coniugare La stima riportata è basata sullo studio FELICIE (www.felicie.org), che analizza la probabile evoluzione delle strutture familiari degli anziani in alcuni Paesi europei. In questo studio viene messo in luce come in futuro, contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, ci sarà un numero di parenti prossimi agli anziani superiore a quanto rilevato attualmente. Ciò che invece verrà probabilmente meno è la disponibilità dei parenti ad erogare cure informali, a causa, principalmente, dell’aumentare delle distanze abitative e della riduzione del tempo disponibile. 1 13 virtuosamente le esigenze di contenimento della spesa e di sostenibilità finanziaria con un sistema di interventi efficace rispetto agli obiettivi prefissati. Tra gli aspetti relativamente meno dibattuti troviamo invece lo studio delle motivazioni che guidano il primary caregiver2 nella scelta della soluzione assistenziale da adottare per garantire al non autosufficiente i servizi necessari. Tale questione assume una importanza fondamentale nell’ambito della previsione e dell’organizzazione del volume di servizi pubblici, in particolare nei Paesi, come l’Italia, nei quali il diritto alle prestazioni è universale. In tali contesti, infatti, l’operatore pubblico deve essere disponibile a fornire quanto promesso a coloro che, essendo in situazioni di bisogno, optino per l’assistenza esclusiva o integrativa pubblica. Senza una corretta previsione non solo della numerosità dei non autosufficienti e della loro condizione, ma anche delle scelte operate dagli assistenti familiari, sussiste la concreta possibilità di non rispettare né i vincoli di bilancio, né, con ovvie ricadute sull’equità intergenerazionale, la sostenibilità nel lungo periodo dell’intero sistema. La presente ricerca si propone di analizzare le scelte operate dal primary caregiver, le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro implicazioni economiche a partire dall’osservazione diretta di un caso concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non autosufficiente residenti nella Società della Salute di Empoli. Il lavoro è organizzato come descritto di seguito. Il primo capitolo descrive le caratteristiche e la rilevanza presente e futura del problema della non autosufficienza ai livelli internazionale e nazionale. Il secondo capitolo identifica tre possibili modelli assistenziali e, in seguito, sintetizza le indicazioni provenienti dalla letteratura economica e dalle rilevazioni empiriche in merito alle motivazioni sottostanti alla scelta della modalità di assistenza dell’anziano da parte del primary caregiver. Il terzo capitolo descrive la struttura dell’indagine ed il contesto nel quale è stata svolta. Esso fornisce inoltre una prima caratterizzazione dei caregivers intervistati e dei loro assistiti. Il quarto capitolo si incentra sulla descrizione e sull’analisi delle scelte dei primary caregivers nel contesto empolese, utilizzando come schema d’indagine i modelli assistenziali identificati nel capitolo due. Il quinto capitolo si dedica ad alcuni approfondimenti particolarmente significativi come la quantificazione economica dell’assistenza e l’analisi dei desiderata dei primary caregivers. Il primary caregiver è la persona responsabile della gestione dell’anziano in quanto ne coordina l’attività di assistenza. Questa può essere fornita sia dal primay caregiver stesso e/o da altri caregivers individuati nei familiari, conoscenti, personale dei servizi socio-sanitari pubblici, privati e di volontariato. 2 14 Il sesto capitolo analizza e cerca di prevedere per il prossimo futuro le caratteristiche, la rilevanza ed i possibili effetti del fenomeno della non autosufficienza nel contesto toscano. Il settimo ed ultimo capitolo, partendo da risultati emersi nel contesto empolese, presenta un tentativo di individuazione delle aree della Toscana nelle quali si potrebbero verificare le maggiori criticità nell’assistenza ai non autosufficienti. La bibliografia e l’appendice, contenente il questionario utilizzato nelle interviste, concludono infine il lavoro. 15 Parte I IL PROBLEMA 17 1. NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA IN ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI 1.1 Chi sono i non autosufficienti Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la condizione di non autosufficienza è determinata dalla compresenza di un numero piuttosto elevato di fattori, tra i quali possiamo identificare quelli relativi agli aspetti sanitari, sociali ed ambientali (WHO, 2001). La difficoltà ad identificare in maniera oggettiva questi tre elementi, con particolare riferimento all’ultimo menzionato, è alla base delle numerose discrepanze osservabili tra i vari Paesi a proposito della definizione di dipendenza adottata e, conseguentemente, dell’individuazione dell’insieme dei non autosufficienti. L’Italia non fa eccezione, dato che la condizione in questione risulta diversamente caratterizzata a seconda del soggetto che la definisce. Ad esempio, a livello ministeriale viene definita come “la perdita di una funzione psicologica, fisica e/o anatomica in grado di limitare o impedire la capacità di compiere quelle attività considerate normali per un essere umano” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2002), mentre l’ISTAT (2005) identifica “le persone con disabilità coloro che, escludendo le condizioni riferite a limitazioni temporanee, hanno dichiarato di non essere in grado nello svolgere le abituali funzioni quotidiane, pur tenendo conto dell’eventuale ausilio di apparecchi sanitari”. Ancora differenti risultano poi le definizioni adottate dall’INPS, in particolare per l’erogazione dell’indennità di accompagnamento3, e dalle varie Regioni per identificare coloro che sono eligibili per i vari programmi creati a livello locale. Tali discrepanze, che possono in apparenza sembrare mere disquisizioni linguistiche, hanno invece un impatto significativo su tutti gli aspetti del tema in questioneequità, sostenibilità finanziaria, efficacia del sistema, ecc. -in quanto segnano la linea di demarcazione tra coloro che potranno risultare beneficiari delle prestazioni e coloro che invece ne saranno esclusi. Il problema evidenziato non è tuttavia l’unico sul tappeto. Al fine di garantire l’efficienza e l’appropriatezza delle prestazioni è necessario ricorrere ad una sorta di misurazione della non autosufficienza. In generale, le modalità di valutazione del fenomeno sono riconducibili a tre approcci distinti (Francesconi, Razzanelli, 2008). Il primo è basato sulla valutazione del L’indennità di accompagnamento è stata istituita con la Legge 18/1980. Per maggiori dettagli cfr. INPS (2008) e www.handylex.org. 3 19 deficit provocato dalla perdita di alcune funzionalità. Pur essendo oggettivo, il metodo è limitato dalla sua monodimesionalità dato che non consente di valutare alcuni aspetti significativi quali, in particolare, il contesto nel quale il soggetto è inserito. Il secondo si focalizza sulla valutazione delle attività che il non autosufficiente non è in grado di espletare autonomamente. Tale metodo, se da un lato risulta più versatile, dall’altro pecca per un maggior grado di arbitrarietà. Rientrano sotto questo approccio le scale IADL e ADL4, volte, rispettivamente, ad analizzare la numerosità delle attività, strumentali e non, che un soggetto non è in grado di compiere. Il terzo approccio ricorre invece alla quantificazione dell’aiuto, misurato in termini di tempo, del quale un soggetto necessita in relazione alla sua condizione. Questo modo di procedere consente di giungere ad una precisa misurazione ma la forte influenza del fattore ambientale rischia di metterne in discussione la confrontabilità dei risultati tra diversi soggetti o tra diversi insiemi di soggetti. Questi due aspetti -l’individuazione dei soggetti e la misurazione del grado di non autosufficienza- condizionano in modo rilevante la possibilità di procedere a confronti tra rilevazioni riferite a contesti differenti da un punto di vista geografico e/o temporale. Ciò non significa che tale operazione non sia utile, ma solo che la sua interpretazione deve essere caratterizzata da una prudenza ancora più accentuata di quella usuale. L’individuazione dei soggetti non autosufficienti, quantomeno ai fini dell’eleggibilità nei sistemi di aiuto pubblici e della graduazione dei benefici, è in genere basata anche su requisiti patrimoniali e reddituali. Ne segue che l’insieme dei non autosufficienti effettivamente presi in considerazione per la fornitura delle prestazioni pubbliche rappresenta un sottoinsieme dei soggetti in condizione di dipendenza. 1.2 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti La stima della numerosità dei non autosufficienti rappresenta la base a cui riferirsi per poter formulare ogni ipotesi di intervento pubblico. È evidente che le difficoltà della stima aumentano quando si deve prevedere la numerosità futura dei disabili, elemento essenziale per programmare le azioni di intervento nel futuro. In estrema sintesi, la numerosità dei non autosufficienti dipende essenzialmente da due fattori: l’invecchiamento della popolazione e La scala ADL (Activities of Daily Living) misura la dipendenza funzionale di un soggetto mediante la sua capacità di svolgere autonomamente attività quali mangiare, vestirsi, andare in bagno, muoversi in casa, ecc... (Katz, Ford, Moskowitz, 1963). La scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) adotta lo stesso metodo considerando però attività che sono caratterizzate da una maggiore complessità da un punto di vista fisico e/o cognitivo come l’uso del telefono, prepararsi i pasti, gestire la finanza domestica, ecc... (Lawton e Brody, 1969). 4 20 l’incidenza della disabilità. Il ruolo svolto dal primo è piuttosto intuitivo, dato che all’aumentare dell’età di un individuo aumenta anche la sua probabilità di divenire non autosufficiente. I dati disponibili in proposito sono piuttosto eloquenti: si registra, infatti, una crescita esponenziale dell’incidenza della condizione di dipendenza all’aumentare dell’età, che raggiunge tassi intorno al 70% per la classe degli ultra 85enni in alcuni Paesi sviluppati (OCSE, 2005). L’Italia e la Toscana non fanno eccezione a questa evidenza generale: nel primo caso si raggiunge una incidenza quasi del 45% tra gli ultra 80enni che vivono in famiglia (ISTAT, 2005), mentre nel secondo si assesta ad oltre il 30% pur considerando solo gli ultra 85enni con limitazioni piuttosto gravi (ARS Toscana, 2007)5. Il secondo fattore dipende invece dalla capacità della medicina di aumentare il numero di anni vissuto in buona salute: mentre l’allungamento della vita media negli anni a venire ottenuta grazie alle innovazioni della medicina è una previsione condivisa6, numerosi dubbi permangono in merito alla durata della vita in assenza da disabilità. Se il progresso delle cure mediche non riuscisse ad allungare il numero di anni vissuto in buona salute (cd. “profezia del fallimento del successo” -Gruenberg, 1977) si avrebbe una ulteriore pressione sulla domanda di cure assistenziali. L’incertezza relativa al comportamento di questa variabile nel prossimo futuro rende qualsiasi previsione piuttosto inconsistente ed aleatoria. Più interessanti, quantomeno per avere una idea sul trend seguito, risultano gli studi rivolti ad analizzare l’andamento della disabilità nel corso degli anni nei vari contesti territoriali. In particolare, Lafortune G. et altri (2007) hanno recentemente effettuato uno studio su 12 Paesi sviluppati che ha messo in rilievo l’esistenza di ambiti nei quali l’incidenza della disabilità diminuisce dell’1-2% circa su base annuale (Danimarca, Finlandia, Italia, USA), rimane stabile (Australia e Canada), aumenta anche del 2,5-3,5% sempre su base annuale (Belgio, Giappone Svezia) oppure non mostra alcuna regolarità (Francia e Regno Unito). A causa della loro difficoltà, in genere le previsioni sulla numerosità futura dei non autosufficienti sono effettuate ipotizzando la costanza dei tassi di incidenza della disabilità per classe di età (cd. previsioni statiche). Alternativamente si può procedere ad agganciare in maniera arbitraria tali tassi ad una variabile proxy più facilmente stimabile che rappresenti la loro probabile evoluzione, o a supporre che in futuro continui il trend osservato nel passato, oppure a formulare opportune ipotesi sull’andamento nel tempo dell’incidenza della disabilità (previsioni dinamiche). L’analisi comparativa e previsiva proposta di seguito (Tab. 1.1) sui principali Paesi Si tratta di una stima IRPET su dati ARS Toscana (2007). I non autosufficienti presi in considerazione sono quelli con limitazioni in ADL o in tre o più IADL. Sul punto si registra una convergenza quasi generale (ad esempio l’Economic Policy Committee and the European Commission (2006) assume un incremento di un anno ogni decade), ma non manca chi solleva dubbi in proposito (cfr. Olshansky, et al., 2005). 5 6 21 sviluppati risente delle problematiche già anticipate: la differenza tra le definizioni di non autosufficienza adottate e la difficoltà a prevedere l’impatto dei progressi della medicina. L’intento è quello di analizzare il comportamento dei principali fattori che incidono sulla numerosità dei non autosufficienti (invecchiamento della popolazione e incidenza della disabilità) al fine di comprendere il trend seguito da quest’ultima variabile e, per questa via, anche la dimensione della platea dei soggetti che presumibilmente richiederanno aiuto al sistema di welfare pubblico. In altri termini, si potrà avere un’idea della rilevanza del problema della non autosufficienza nei vari Paesi analizzati. Tabella 1.1 INCIDENZA PERCENTUALE DEI NON AUTOSUFFICIENTI E DEGLI ANZIANI SUL TOTALE DELLA POPOLAZIONE, ASPETTATIVA DI VITA ALLA NASCITA E PERCENTUALE DI VITA ATTESA DA TRASCORRERE IN CONDIZIONE LIBERA DA DISABILITÀ. VARI ANNI Paese % anziani su tot. LE alla nascita*** % disabili popolazione** sul totale popolazione (anno)* 1960 2000 2040 1960 1980 2000 2006 Australia Austria Canada Germania Giappone Francia Olanda Norvegia Spagna ITALIA Svezia Regno Unito Stati Uniti 18,0 (1993) 14,4 (1986) 15,5 (1991) 8,4 (1992) 2,7 (1987) n.d. 11,6 (1986) n.d. 15,0 (1986) 5,1 (2004)‡ 12,1 (1988) 12,2 (1991) 15,0 (1994) 8,5 12,2 7,5 n.d. 5,7 11,6 9,0 11,0 8,2 9,3 11,7 11,7 9,2 12,4 15,5 15,5 16,4 17,4 16,1 13,6 15,2 16,9 18,1 17,3 15,9 12,4 22,5 29,6 24,6 29,7 35,3 26,6 25,5 26,3 30,7 33,7 25,2 25,4 20,4 70,9 68,7 71,3a 69,1 67,8 70,3 73,5 73,8 69,8 69,8a 73,1 70,8 69,9 74,6 72,6 75,3 72,9 76,1 74,3 75,9 75,9 75,4 74,0 75,8 73,2 73,7 79,3 78,1 79,3 78,2 81,2 79,2 78,0 78,8 79,4 80,0 79,7 77,9 76,8 81,1 79,9 80,4b 79,8 82,4 80,9 79,8 80,6 81,1 80,9c 80,8 79,1b 77,8b DFLE su LE in % a 65 anni** Maschi Femmine % % % % (anno) anno) (anno) (anno) 57 (‘81) 40 (‘98) 40 (‘05)† 71 (‘86) 68 (‘96) 79 (‘86) 83 (‘95) 90 (‘75) 92 (‘90) 47 (‘05) † 70 (‘90) 79 (‘00) 56 (‘05) † 56 (‘05) † 55 (‘05) † 60 (‘05) † 58 (‘81) 58 (‘99) 50 (‘70) 49 (‘90) 55 (‘81) 45 (’98) 33 (‘05) † 61 (‘86) 62 (’96) 76 (‘86) 81 (‘95) 89 (‘75) 87 (‘90) 43 (‘05) † 50 (‘90) 67 (‘00) 43 (’05) † 43 (‘05) † 46 (’05) † 53 (‘05) † 50 (‘81) 53 (’99) 54 (‘70) 52 (‘90) N.B.: LE = life expectancy; DFLE = disability-free life expectancy Fonte: * DISTAT (United Nations Disability Statistics Database, consultabile al sito http://unstat.un.org); ** OECD, 2005; *** OECD, Health Data 2008; a = dato riferito al 1961; b = dato riferito al 2005; c = dato riferito al 2004; † EHEMU; ‡ elaborazioni IRPET su dati ISTAT La tabella mostra che la numerosità dei non autosufficienti sul totale della popolazione non è in genere irrilevante visto che si attesta, in media, ad oltre il 10%. Tutti i Paesi sono sottoposti ad un invecchiamento della popolazione, causato anche dal rilevante ampliarsi della speranza di vita alla nascita. Non così forte è invece l’aumento -anzi in taluni casi si assiste ad un decremento- degli anni di vita attesi in condizioni di assenza di disabilità. Il saldo del comportamento di tutti questi fattori condurrà presumibilmente ad un ampliarsi della platea dei non autosufficienti nel prossimo futuro. 22 Un modo per osservare in maniera più agevole la rilevanza della non autosufficienza tra i vari Paesi sviluppati è riportare in un singolo grafico (Graf. 1.2) sia l’incidenza della popolazione anziana (fattore demografico) che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità (fattore sociosanitario-ambientale). Grafico 1.2 RILEVANZA DELLA NON AUTOSUFFICIENZA IN ALCUNI PAESI SVILUPPATI. 2006 Anni attesi da passare in condizione di disabilità a 65 anni (media Paesi = 100) 60 80 100 120 140 Giappone 160 160 140 Francia Canada Olanda USA Australia Austria Spagna Germania 120 ITALIA 100 Svezia 80 Regno Unito 60 Incidenza della popolazione 65+ (media Paesi = 100) Fonte: elaborazioni IRPET su dati OECD Health Data 2008 In tale rappresentazione grafica, la rilevanza del tema della non autosufficienza aumenta man mano che si percorre da sinistra verso destra la bisettrice del primo e terzo quadrante. In tale direzione, infatti, aumentano relativamente alla media dei Paesi considerati sia l’incidenza della popolazione ultra 65enne che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità. Tra le nazioni nelle quali il tema dell’assistenza ai non autosufficienti è più rilevante troviamo anche l’Italia7, con una struttura demografica significativamente anziana ed un lasso di tempo da vivere in condizione di disabilità sostanzialmente in linea con la media internazionale. Ad oggi il numero dei non autosufficienti in Italia è stimato dall’ISTAT (2005, 2005b) in circa 2.800.000 persone, pari a circa il 5,1% della popolazione8. La comparazione con i valori stimati dall’ISTAT nel 19992000 lascia trasparire una sostanziale stabilità del fenomeno nel tempo, È interessante osservare che tra i Paesi nei quali la non autosufficienza assume un peso rilevante, l’Italia è tra le poche a non aver ancora avviato una riforma dell’assistenza ai soggetti disabili. I dati, che sono riferiti al totale della popolazione con 6 anni o più, comprendono sia i non autosufficienti a domicilio (2.609.000 persone) che in istituto (191.508 individui). La popolazione di riferimento è quella residente in Italia nel 2004 con 6 anni e più (cfr. http://demo.istat.it). 7 8 23 a testimonianza del fatto che l’effetto negativo causato dalla demografia risulta esser compensato dalla riduzione dell’incidenza della disabilità per classe di età. 1.3 L’impatto sulle finanze pubbliche In generale, la quota di spesa pubblica destinata ai programmi di cura ed assistenza dei non autosufficienti testimonia il grado di impegno che i vari Paesi profondono nel socializzare i costi della situazione di dipendenza. In realtà, come già accennato in precedenza, la questione della non autosufficienza è venuta alla ribalta in molti Paesi non prima dell’ultima decade del secolo scorso. In molti contesti, pertanto, non si è ancora trovata l’occasione di intervenire significativamente sulla questione riformando un sistema di welfare che, in molti casi, non consente di tutelare adeguatamente l’insieme di persone oggetto di analisi. Questa constatazione, oltre all’usuale prudenza nell’effettuare confronti spazio-temporali, deve essere tenuta presente nel valutare i dati riportati nella tabella seguente, che rappresentano la spesa pubblica per long-term care9 nei principali Paesi sviluppati. Tabella 1.3 INCIDENZA PERCENTUALE SUL PIL DELLA SPESA PUBBLICA PER LONG-TERM CARE IN ALCUNI PAESI OECD Paese Fonte Anno % sul PIL Australia Austria Canada Germania Giappone Francia Olanda Norvegia Spagna ITALIA Svezia Regno Unito Stati Uniti OECD Health Data (2008) Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) OECD (2005) Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) OECD Health Data (2008) OECD Health Data (2008) OECD Health Data (2008) OECD (2005) OECD Health Data (2008) Ragioneria Generale dello Stato (2009) Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) OECD (2005) 2002 2004 2000 2004 2006 2006 2006 2000 2006 2006 2004 2004 2000 1,0 0,6 0,9 1,0 1,6 1,5 3,4 1,8 0,7 1,7 3,8 1,0 0,7 La spesa per long-term care comprende tutti quegli interventi di natura assistenziale o sanitaria a favore delle persone anziane o disabili non autosufficienti, cioè non in grado di compiere con continuità gli atti quotidiani della vita senza un aiuto esterno. La definizione puntuale in merito a quali singole prestazioni inserire nell’aggregato segue le linee guida definite dall’OCSE e riprese in ambito europeo. Per un approfondimento cfr. Aprile, Vestri (2005). 9 24 Tra i valori presentati si notano quelli di Svezia, Olanda e Norvegia che spiccano per la loro entità, a testimonianza di un modello di welfare caratterizzato da universalismo ed un intervento pubblico preponderante. A seguire troviamo il valore dell’Italia, che tuttavia, come noto, non si è ancora dotata di un organico sistema di erogazione delle prestazioni ai non autosufficienti. Questa situazione di stallo caratterizza il contesto italiano per la compresenza di prestazioni quali-quantitativamente inadeguate e di un impatto tutt’altro che irrilevante sulle finanze pubbliche. In altri termini, a fronte di una spesa relativamente cospicua non si rileva una altrettanta efficacia delle politiche di sostegno, dato che quest’ultime si basano su istituti ormai desueti nell’affrontare le mutate esigenze odierne della platea dei non autosufficienti. Il valore relativo all’Italia può essere distinto sia per età del beneficiario che per tipologia funzionale della prestazione. Per quanto riguarda il primo aspetto è possibile notare che oltre i 2/3 della spesa sono destinati a persone ultra 65enni, mentre per il secondo spicca il primato delle prestazioni monetarie rispetto a quelle in kind. Più precisamente si può notare nella seguente tabella 1.4 la ripartizione della spesa tra: assistenza domiciliare e semi-residenziale (home care); assistenza residenziale (institutional care); prestazioni monetarie (cash benefits). Tabella 1.4 RIPARTIZIONE PER TIPO DI PRESTAZIONE E PER DESTINATARI DELLA SPESA PUBBLICA PER LONG-TERM CARE IN ITALIA. 2008 Valori percentuali % sul PIL % sul totale % PIL prestazioni % sul totale ultra 65enni Assistenza domiciliare e semi-residenziale (home care) Assistenza residenziale (institutional care) Prestazioni monetarie (cash benefits) TOTALE 0,51 0,44 0,71 1,67 31 26 43 100 0,26 0,31 0,55 1,12 23 28 49 100 Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2009) Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda l’incremento della spesa attesa per il prossimo futuro. Nella seguente tabella (Tab. 1.5) sono rappresentate le previsioni in merito all’incidenza sul PIL delle spese per long-term care in alcuni Paesi europei. 25 Tabella 1.5 PREVISIONI PER ALCUNI PAESI DELL’INCIDENZA SUL PIL DELLE SPESE PER LONG-TERM CARE Valori percentuali Austria Germania Olanda Spagna ITALIA Svezia Regno Unito Finlandia Danimarca Belgio Media EU-15* 2004 2010 2020 2030 2040 2050 ∆ 2004-2050 0,6 1,0 0,5 0,5 1,5 3,8 1,0 1,7 1,1 0,9 0,9 0,7 1,0 0,5 0,5 1,5 3,7 1,0 1,9 1,1 0,9 0,9 0,8 1,2 0,5 0,5 1,6 3,7 1,1 2,1 1,2 1,1 1,0 1,0 1,4 0,8 0,5 1,7 4,9 1,3 3,0 1,8 1,3 1,1 1,2 1,6 0,9 0,6 1,9 5,2 1,5 3,4 2,0 1,6 1,3 1,5 2,0 1,1 0,8 2,2 5,5 1,8 3,5 2,2 1,8 1,5 +0,9 +1,0 +0,6 +0,3 +0,7 +1,7 +0,8 +1,8 +1,1 +0,9 +0,6 * si tratta di una media pesata con il PIL dei vari Paesi Fonte: Economic Policy Committee and the European Commission (2006) Le stime riportate sono da assumere come prudenziali in virtù delle ipotesi di riduzione dell’incidenza della disabilità pari alla metà di quanto registrato a proposito del tasso di mortalità e di invarianza della probabilità di ricevere cure formali10. Nonostante ciò si rileva una crescita della spesa in Italia di quasi il 50% al 2050. L’andamento della spesa in Italia sembra comunque del tutto analogo a quello seguito dagli altri Paesi e dalla media europea. Ciò significa che il differenziale registrato attualmente a sfavore dell’Italia nei confronti della media europea si manterrà pressoché invariato nel corso degli anni. In realtà l’elevatezza della spesa per i non autosufficienti non rappresenta necessariamente un elemento negativo, dato che potrebbe essere la necessaria conseguenza di un sistema che, erogando un volume di prestazioni più cospicuo, riesce a garantire una maggior tutela delle persone non autosufficienti. Tuttavia, nel caso in cui le prestazioni non fossero adeguatamente strutturate per risolvere i problemi dei non autosufficienti la maggiore spesa prevista potrebbe non rivelarsi altro che un aumento dell’inefficienza, che si ripercuoterebbe negativamente sia sul benessere dei disabili che sulla sostenibilità economica, finanziaria e sociale del sistema nel lungo periodo. Il caso italiano, che manca di una riforma complessiva di un sistema ormai desueto in molti aspetti (cfr. in proposito il paragrafo 1.4), rischia di essere in futuro più conforme al secondo scenario prospettato che al primo. Nella tabella è interessante osservare i casi svedese e finlandese, che si distinguono per una dinamica dell’incidenza della spesa sul PIL Si tratta del cosiddetto “AWG Reference scenario” formulato in Economic Policy Committee and the European Commission (2006). 10 26 differente rispetto agli altri contesti analizzati. Ciò è dovuto all’effetto delle ipotesi inserite nel modello di previsione sulle peculiarità del modello assistenziale adottato. Più precisamente, l’elevato differenziale dell’incidenza della spesa tra il 2004 ed il 2050 è dovuto all’esteso ricorso all’assistenza formale (residenziale e non) e al marcato universalismo. L’effetto congiunto di queste due caratteristiche si ripercuoterà sull’entità della spesa in maniera più accentuata che altrove. 1.4 I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate Da un punto di vista strettamente economico la condizione di non autosufficienza richiede, quando si manifesta, un notevole impiego di prestazioni dal costo rilevante. Gli economisti dibattono da tempo in merito a quale sia il sistema di finanziamento e fornitura delle prestazioni più opportuno. In generale, l’ortodossia economica asserisce che, in assenza di specifiche ragioni, il mercato è il miglior allocatore di risorse, ossia il mezzo che garantisce la maggiore efficienza nel finanziamento e nell’erogazione di beni e servizi. Il tema della non autosufficienza presenta numerosi aspetti -primo tra tutti quello equitativo- che limitano l’opportunità di affidarsi esclusivamente al mercato mentre obbligano ad interrogarsi, con tanta più forza quante minori sono le risorse a disposizione, su quale sia il sistema relativamente più efficiente per garantire ai non autosufficienti le adeguate prestazioni11. Il presente paragrafo fornisce inizialmente una breve sintesi delle ragioni che giustificano l’intervento pubblico. In seguito viene proposta una rassegna dei principali sistemi pubblici presenti attualmente nei maggiori Paesi sviluppati e, infine, viene studiata la situazione italiana mediante una analisi delle principali proposte di riforma presentate nel corso degli anni ed una valutazione dei modelli che si sono venuti a creare a livello regionale. La prima modalità di finanziamento ipotizzabile è quella derivante dall’uso delle risorse risparmiate da una persona nel corso della vita12. Questa soluzione, marcatamente individualistica, appare inopportuna per una serie di motivi: in primo luogo equitativi, dato che non tutti i Per una rassegna dei fondamenti e dei vari filoni teorici dell’economia sanitaria cfr. Petretto (1997). Sotto un profilo puramente strumentale il risparmio privato può avere la forma di attività finanziarie (più o meno liquide) e/o reali. Nella recente letteratura risultano dibattute in particolare le soluzioni che incentivano ad utilizzare il valore delle case possedute, ad esempio tramite la vendita della nuda proprietà, per finanziare le spese per le long-term care. Pur essendo caratterizzata da limiti rilevanti tale soluzione consentirebbe di smobilizzare la principale forma di risparmio degli anziani, in genere caratterizzati da una scarsità di risorse liquide ma da una elevata ricchezza immobiliare (cd. “houserich, cash-poor”). 11 12 27 soggetti potranno essere in grado di far fronte alle spese e che, in generale, non si riuscirà a destinare uguali risorse per uguali condizioni di bisogno; sussistono, inoltre, aspetti inerenti alla lungimiranza delle persone, in quanto non tutti potrebbero essere così accorti da accantonare un ammontare adeguato di risorse13; esistono, infine, problemi relativi all’efficienza complessiva, dovuti al fatto che la non autosufficienza non si verifica per tutti e pertanto si presta ad essere gestita più efficientemente in maniera collettiva. Quest’ultima motivazione apre la strada alla soluzione assicurativa: ogni soggetto si potrebbe assicurare contro il rischio di non autosufficienza pagando un premio periodico in cambio delle prestazioni che riceverà in caso di bisogno. L’assicurazione, ripartendo opportunamente il rischio, trasferirebbe risorse dai soggetti “sani” a quelli “malati”, conseguendo per questa via un guadagno netto in termini di efficienza sia per i singoli che per la collettività (Moscarola, 2003; ISVAP, 2001). Tuttavia, lo scarso ricorso all’assicurazione privata anche in contesti quali gli Stati Uniti, dove questo modo di agire è ben rodato, solleva importanti interrogativi sulla validità dello strumento. In effetti, sono riscontrabili rilevanti casi di fallimento di mercato, tanto dal lato dell’offerta che della domanda, che ne impediscono il corretto funzionamento ed uno sviluppo su larga scala. Senza entrare nel dettaglio, possiamo mettere in evidenza alcuni risultati emersi dalla letteratura economica che possono risultare utili nell’orientare il dibattito anche in merito alla creazione di un sistema pubblico. Per quanto riguarda l’offerta, il principale ostacolo riguarda l’asimmetria informativa tra assicurato ed assicuratore14: se quest’ultimo non è in grado di associare correttamente il rischio di non autosufficienza ad ogni soggetto, non troverà il modo di ripartirlo sulla collettività degli assicurati, con ripercussioni sulla profittabilità della gestione. Inoltre l’assicuratore potrebbe essere tentato di assicurare solo coloro che non presentano rischi eccessivamente elevati (cd. cream-skimming), violando l’universalità delle cure che è alla base del sistema sanitario ed assistenziale del nostro Paese. Una ulteriore motivazione, che frena lo sviluppo della soluzione assicurativa, riguarda il fatto che secondo alcuni (Cutler, 1993; Norton, 2000) una parte del rischio di non autosufficienza non è diversificabile -ossia non è ripartibile opportunamente tra soggetti sani e malati- in quanto colpisce indistintamente tutti i soggetti assicurati, impedendo pertanto il corretto funzionamento e la convenienza economica della gestione. La La letteratura economica ha messo in evidenza anche un ulteriore aspetto problematico: se una persona ritiene che in caso di non autosufficienza sarà comunque assistito dai familiari, sarà portato ad accumulare un quantitativo di risorse inferiore a quanto ottimale. Il fenomeno economico al quale ci si riferisce in questo caso è il cd. “comportamento sleale” (ex-ante moral hazard). 14 Il fenomeno economico al quale ci si riferisce in questo caso è la cd. “selezione avversa” (adverse selection). 13 28 sostenibilità finanziaria è a poi rischio anche per altri motivi. Nel caso in cui il soggetto sia assicurato tenderà ad avere un sovraconsumo di cure formali dato che non sarà lui a doverne sostenere i costi (cd. “problema del terzo pagante”). In altri termini è probabile assistere ad una sostituzione tra cure informali e prestazioni formali da parte dei familiari in cerca di sollievo15. Poiché il ricorso a cure informali è estremamente diffuso, esiste pertanto il rischio che la compagnia assicuratrice si trovi a dover pagare più prestazioni di quanto preventivato. Dal lato della domanda, vale la pena inizialmente notare che pare difficile che la coorte dei giovani, essendo gravata da altre e ben più pressanti esigenze, sia disponibile a pagare un premio per la copertura di un rischio che li riguarderà, probabilmente, solo nel lungo periodo16. Resta tuttavia il fatto che la teoria economica vede nell’assicurazione privata lo strumento che dovrebbe essere utilizzato da un soggetto che agisce in maniera perfettamente razionale. Tale affermazione è stata tuttavia scalfita dal risultato ottenuto da Pauly (1990), che giustifica lo scarso ricorso all’assicurazione privata con il seguente meccanismo: se il genitore si assicura nel corso della vita, esso in pratica rinuncia ad ottenere cure informali da parte dei figli. Più realisticamente, come hanno successivamente mostrato Zweifel e Strüwe (1996), se il genitore si assicura, per poter avere cure informali dai figli, oltre che dalla compagnia assicuratrice, dovrà trovare il modo di avere dei figli molto altruisti. Un modo per raggiungere lo scopo, suggeriscono gli autori, è quello di utilizzare l’eredità in maniera strumentale, ossia condizionando la destinazione della stessa ai figli che li sosterranno con la loro attività di assistenza. Sia la soluzione individuale (risparmio) che quella collettiva privata (assicurazione) risultano per tutti i motivi sopra elencati meno idonee rispetto ad un sistema pubblico. Quest’ultima soluzione presenta chiaramente numerose varianti sia dal punto di vista del finanziamento che dell’organizzazione dell’erogazione delle prestazioni17 come dimostrano le soluzioni adottate nei vari Paesi sviluppati. Nella tabella seguente (Tab. 1.6) sono riportate, in estrema sintesi, le soluzioni in vigore in alcuni Paesi per fronteggiare il problema della cura dei non autosufficienti. Le soluzioni adottate dai diversi Paesi possono essere raggruppate sulla base di caratteristiche comuni. Glennerster (1998) afferma che tale fenomeno è alla base dei problemi finanziari riscontrati in numerosi Paesi europei nonché negli Stati Uniti. 16 Uno studio di Brau R. et altri (2004) sulla disponibilità a pagare per la soluzione assicurativa ha mostrato che in Emilia Romagna esiste un mercato potenziale dalle dimensioni piuttosto ridotte. 17 Per una ricognizione delle possibilità cfr. ISVAP (2001), Beltrametti (1998, 2000), Baldini e Beltrametti (2005). 15 29 30 Canada Austria Australia Paese La riforma del 1993 ha introdotto un programma universale di supporti alle persone non autosufficienti che unifica e potenzia i singoli vecchi progetti. Il finanziamento proviene da fiscalità generale. Il sistema federale canadese assegna la competenza sulle Long-term care ai governi locali. Coordinano il sistema due programmi nazionali: Insured Health Services e Extended Health Care Services L’individuazione dei beneficiari è basata esclusivamente sul grado di disabilità, il reddito ed il patrimonio sono considerati per determinare la compartecipazione al costo che si ha solo in caso di cure intensive Varia da territorio a territorio, sebbene in genere preveda l’accesso universale ed il meanstest Varia da territorio a territorio Caratteristiche generali Requisiti d’accesso Assistenza Residenziale La struttura federale Australiana Le Aged Care Assessment Di due tipi: ad alta o bassa intesità di cure prevede che l’assistenza ai non Teams (ACAT) provvedono alla a seconda del bisogno. Finanziamento autosufficienti sia erogata in valutazione dei bisogni fisici, a carico dello Stato ad eccezione di una maniera coordinata dallo stato sociali, psicologici dei soggetti. contribuzione commisurata al reddito. centrale con i livelli di governo Inoltre svolgono anche i compiti Esistono due programmi che forniscono inferiori. Il finanziamento di informazione ed individuazione ricoveri temporanei per il sollievo del proviene da fiscalità generale, delle prestazioni più opportune. I caregiver: National Respite for Carers perlopiù statale. servizi sono destinati a soggetti di Programme ed il Residential Respite tutte le età previo accertamento dei requisiti reddituali e patrimoniali (means-test) Viene erogato un sussidio universale per tutti i non autosufficienti in relazione al grado di disabilità Prestazioni Monetarie Due tipologie di intervento: il Carer Payment, che eroga un sostegno al reddito per tutti coloro che si prendono cura di un non autosufficiente, ed il Carer Allowance, che concede un sussidio per coloro che assistono una persona con disabilità grave Varia da territorio Nel 2004 è stato introdotta a territorio. In la Compassionate Care generale è senza Benefit che eroga un compartecipazione contributo monetario, al costo da parte fruibile per soli sei mesi, dell’utente, ma è per chi assiste un parente presente un limite non autosufficiente in all’ammontare di cui se pericolo di vita. ne può fruire Assistenza Domiciliare Tre diversi programmi a cui corrispondono crescenti prestazioni: Home and Community Care Programme, Community Aged Care Packages, Extended Aged Care at Home. La contribuzione dei beneficiari varia in base ai servizi ad al reddito personale Tabella 1.6 PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLE SOLUZIONI ADOTTATE IN ALCUNI PAESI OECD 31 Giappone Irlanda Germania Paese Requisiti d’accesso L’accesso ai servizi è garantito in seguito ad una perizia medica che provvede a quantificare il bisogno e ad inserire il soggetto in una delle tre classi a cui è associato un diverso volume di prestazioni da scegliere tra residenziale, domiciliare e monetario. Non è prevista alcuna limitazione nè per l’età nè per reddito o patrimonio posseduti I servizi sono garantiti sulla base delle necessità stimate da un apposito Health Board. In genere non è presente alcuna preclusione per motivi di età ma è previsto il means-test Dal 2000 è stata aggiunta Si procede ad una valutazione ai vecchi programmi una del bisogno e l’inserimento in specifica assicurazione sociale uno dei sei livelli di prestazioni. obbligatoria contro il rischio La valutazione viene svolta di non autosufficienza per gli secondo le procedure definite dal over 40. Il complesso sistema governo locale in accordo con di finanziamento comprende quello nazionale. Si distingue sia una imposizione sul reddito anche tra assicurati di prima (contributi assicurativi) che (over 65) e seconda fascia (over risorse provenienti da fiscalità 40). Questi ultimi hanno accesso generale. È inoltre in generale alle prestazioni solo in caso di previsto una compartecipazione infarto o Parkinson, altrimenti pari al 10% del costo dei servizi è necessario ricorrere ad altri usufruiti programmi Caratteristiche generali Dal 1995 è stata introdotta una specifica assicurazione obbligatoria che si integra con le altre quattro già presenti nel Welfare State tedesco. Il sistema è finanziato da una imposta (contributo assicurativo) dell’1,7% sul reddito da lavoro, equamente diviso tra lavoratore e datore di lavoro. Le prestazioni di Long-Term Care, erogate dal servizio sanitario pubblico, sono finanziate da tassazione generale Riservata a coloro per i quali si è rilevata un bisogno fisico e sociale incompatibile con la permanenza a casa. È prevista una compartecipazione al costo fino all’80% del reddito dell’anziano. Criteri più stringenti sono previsti per la permanenza in strutture private convenzionate La soluzione residenziale sussidiata è preclusa per coloro che sono stati inseriti nella sesta ed ultima classe di bisogno La figura del care È prevista l’erogazione manager ha la di un sussidio variabile funzione di monitorare a seconda del territorio l’aderenza del piano di di residenza e del livello servizi domiciliari alle di disabilità, solo per i necessità del paziente familiari che si prendono ed eventualmente di cura per almeno un anno proporre modifiche. senza utilizzare servizi Sono previsti tetti di pubblici di un anziano con spesa per ognuno dei una non autosufficienza sei livelli di bisogno medio-grave Il programma Community-based care eroga servizi domiciliari solo in parte sottoposti a means-test Assistenza Residenziale Assistenza Domiciliare Prestazioni Monetarie Secondo quanto previsto dalla classe Secondo quanto Secondo quanto previsto nella quale il soggetto non autosufficiente previsto dalla classe dalla classe nella è stato inserito. Il vitto e l’alloggio sono nella quale il soggetto quale il soggetto non pagati dall’assicurazione pubblica solo non autosufficiente è autosufficiente è stato per gli indigenti stato inserito inserito Tabella 1.6 segue 32 Svezia Spagna Norvegia Olanda Paese Requisiti d’accesso Basato esclusivamente sul bisogno, nessuna preclusione per motivi legati all’età o al reddito posseduto Assistenza Residenziale Per questa soluzione è prevista una compartecipazione al costo in base al reddito Valutazione di un team di esperti Distinte tra residential homes, usate che colloca il soggetto in uno dei solo per degenze di lunga durata di tre seguenti gruppi di prestazioni: disabili gravi, e nursing homes, che sono cure residenziali, cure semiutilizzate anche per accomodamenti residenziali, cure domiciliari. Non temporanei e centri diurni. Esiste poi è prevista alcuna preclusione per lo sheltered housing che combina la motivi legati all’età o al reddito vita indipendente con servizi di cura ed posseduto assistenza. La soluzione residenziale comporta una compartecipazione al costo dell’80% circa del reddito dell’utente L’assistenza continuativa è Variano da regione a regione: Varia da regione a regione. In generale organizzata su base regionale. i criteri di eleggibilità, i servizi è prevista una compartecipazione al Il finanziamento proviene da offerti, le compartecipazioni al costo del 75% della pensione oltre ad un fiscalità generale costo. In genere è previsto il contributo aggiuntivo per coloro con un means-test reddito superiore ad una certa soglia Il settore pubblico eroga un Si basa sulla valutazione del Concessa solo in caso di elevato bisogno rilevante volume di servizi bisogno. Non è prevista alcuna e assenza di una rete familiare. Sono finanziati da fiscalità generale, preclusione per motivi legati previsti ricoveri temporanei, anche perlopiù locale, con una all’età o al reddito posseduto solo diurni, per alleggerire il carico del compartecipazione degli utenti. caregiver familiare La fornitura delle prestazioni è organizzata su base locale Caratteristiche generali Le prestazioni di Long-Term Care sono coperte da uno dei tre pilastri sui quali si basa la sanità olandese. Il finanziamento proviene da contributi assicurativi. Il settore pubblico eroga un rilevante volume di servizi finanziati da fiscalità generale con una compartecipazione degli utenti. La fornitura delle prestazioni è organizzata su base locale Tabella 1.6 segue Prestazioni Monetarie È prevista l’erogazione di un sussidio È prevista la figura del care manager che decide modalità ed entità delle cure da fornire. È richiesta una compartecipazione al costo da parte dell’utente in relazione alla quantità di servizi utilizzati Sono previsti per l’assistente familiare: un sussidio economico e la possibilità di partecipare a corsi di formazione. In alcune regioni è possibile l’assunzione del caregiver da parte del governo locale con compiti di assistenza di un malato terminale. Sono presenti due È previsto un sussidio tipi di interventi: retributivo per le persone home help, soggetto che si prendono cura a compartecipazione regolarmente di un non al costo con funzione autosufficiente di fornitura di cure ed assistenza domiciliare, e home nursing, che fornisce assistenza medica senza alcun onere per l’utente Varia da regione a regione. Assistenza Domiciliare 33 Francia Regno Unito Paese Assistenza Residenziale Assistenza Domiciliare Riservata a coloro per i quali tale Il team che provvede soluzione è stata ritenuta necessaria. alla valutazione La compartecipazione al costo varia in si occupa anche relazione a reddito e patrimonio ed è dell’individuazione assente se quest’ultimo risulta superiore dei servizi necessari. ai 30000 euro. I sussidi pubblici per La fissazione della coloro che si rivolgono a strutture private compartecipazione convenzionate variano a seconda della al costo, da regione effettuarsi seguendo i principi nazionali, è responsabilità del governo locale Prestazioni Monetarie È previsto un sussidio per i caregivers (carer’s allowance) spettante a coloro che forniscono almeno 35 ore alla settimana di assistenza ad una persona che già riceve un sussidio per la sua condizione di non autosufficienza (Attendance Allowance o Disability Living Allowance) Le prestazioni assistenziali La valutazione e l’individuazione La soluzione residenziale è gravata Il pacchetto di Sono previsti due sussidi per i non autosufficienti non del pacchetto di prestazioni si da una compartecipazione basata sui prestazioni è definito in monetari, in genere non sono erogate secondo un basa sul bisogno espresso dal costi sostenuti e su reddito e patrimonio sede di valutazione del cumulabili, di importo programma unitario nè gestite soggetto e sulla sua condizione dell’utente. Il sussidio erogato dipende bisogno e delle risorse variabile rispetto alle da un singolo ente di governo. economica. L’età funziona da anche dall’età del soggetto del soggetto. necessità ed alle Il loro finanziamento avviene discriminante: è previsto un condizioni economiche mediante un contributo di programma per i disabili con che devono essere solidarietà (Cotisation solidarité meno di 20 anni, uno per chi ne impiegati nell’acquisto di autonomie) pari allo 0,30% ha meno di 60, uno per chi ne ha prestazioni assistenziali o del salario. Sono previste più di 60 e, in fine, uno per chi ne mediche compartecipazioni al costo ha più di 65 Caratteristiche generali Requisiti d’accesso L’assistenza continuativa è La valutazione è effettuata sotto coordinata su base locale. Il la responsabilità del governo finanziamento proviene dalla locale. Non è prevista alcuna fiscalità generale, sebbene preclusione per motivi legati sia spesso richiesta una all’età, mentre è spesso previsto il compartecipazione al costo means-test variabile in relazione al reddito e patrimonio dell’utente Tabella 1.6 segue 34 USA Paese Requisiti d’accesso L’eleggibilità in Medicare, definita a livello federale, è riservata agli over 65 ed a coloro che hanno particolari malattie gravi. Non è invece legata al reddito posseduto. L’eleggibilità in Medicaid, decisa secondo precise modalità a livello statale, è destinata ai poveri di qualsiasi età Assistenza Residenziale Medicare copre: i costi per un ricovero in strutture per un limitato periodo di tempo e la permanenza in strutture assistenziali per pazienti terminali. In genere le compartecipazioni al costo sono piuttosto rilevanti. Medicaid offre la possibilità di ricovero in strutture residenziali secondo modalità che variano da stato a stato. La compartecipazione è definita a livello statale in base alle condizioni economiche dell’utente Assistenza Domiciliare Medicare copre l’assistenza domiciliare supervisionata da un medico. Medicaid offre prestazioni di assistenza domiciliare che variano da stato a stato. La compartecipazione è definita a livello statale in base alle condizioni economiche dell’utente Prestazioni Monetarie Fonte: elaborazione su OECD, 2005 e MISSOC (Mutual Information System on Social Protection, database consultabile sul sito http://ec.europa.eu), 2008 Caratteristiche generali La sanità pubblica americana, caratterizzata da un intervento residuale rispetto al mercato, è basata sui programmi Medicare e Medicaid. Il finanziamento dei due programmi proviene da fiscalità generale e contributi assicurativi raccolti sia a livello federale che statale. L’erogazione delle prestazioni di Long-Term Care fornite risultano limitate e gravate da rilevanti compartecipazioni Tabella 1.6 segue Un primo insieme di variabili che può essere utilizzato quale discriminante comprende l’individuazione dei beneficiari, la modalità di finanziamento, il collegamento con la copertura sanitaria. La maggioranza dei Paesi (Austria, Germania, Giappone, Olanda, Norvegia, Svezia, Francia) adotta un modello assistenziale basato sulla copertura universale slegata dal reddito percepito e dal patrimonio posseduto, sul finanziamento garantito da un ampio ricorso a fiscalità generale o a contributi assicurativi, sullo stretto coordinamento con gli istituti di copertura sanitaria. I rimanenti (Australia, Canada, Irlanda, Spagna, USA, Regno Unito) prevedono invece il means-test quale prerequisito per l’accesso alle prestazioni, un finanziamento basato anche sulla compartecipazione al costo da parte dell’utente, un collegamento solo marginale con il sistema sanitario vigente. Un ulteriore raggruppamento può essere effettuato facendo riferimento all’enfasi che il sistema attribuisce alle prestazioni in kind (home care e institutional care) oppure a quelle monetarie (cash benefits). La maggioranza dei Paesi (Norvegia, Svezia, Germania, Irlanda, Spagna, Canada, USA) adotta un sistema caratterizzato da una certa prevalenza delle prestazioni in kind rispetto ai cash benefits. I rimanenti (Austria, Olanda, Regno Unito, Francia) presentano invece una certa attitudine a tutelare i non autosufficienti mediante trasferimenti monetari che possono essere più o meno vincolati nel loro utilizzo. È necessario precisare che questo raggruppamento non è esente da rischi, in quanto non è sempre univoco riscontrare nei vari sistemi la preferenza per l’una o l’altra modalità assistenziale (come ad esempio nei casi di Australia e Giappone) a causa sia della possibilità di scelta che talvolta viene lasciata all’utente, che della diversa attenzione che i vari sistemi di protezione sociale dedicano al tema dei non autosufficienti. Aldilà delle differenze tra i sistemi vigenti, è opportuno segnalare che diversità sostanziali tra i vari Paesi si hanno anche in proposito all’attuazione di riforme organiche del settore. Una ulteriore distinzione che può essere effettuata si basa sull’adozione o meno di una riforma complessiva dell’assistenza ai non autosufficienti. Molti Paesi hanno scelto di adattare il vecchio sistema di protezione sociale in maniera da tutelare anche il rischio di non autosufficienza con risultati dall’efficacia variabile a seconda del contesto. Molto più incisive sono invece state le politiche di riforma organica del settore, tra le quali vale la pena segnalare il caso tedesco dove è stato creato un ulteriore “ramo assicurativo” dedicato alla tutela del rischio di non autosufficienza18. 18 L’assicurazione sociale a tutela del rischio di non autosufficienza (Soziale Pflegeversicherung), entrata in vigore nel 1995, si colloca accanto agli altri quattro “rami” del welfare state tedesco: assistenza sanitaria (creata nel 1883), pensione di invalidità e vecchiaia (1889), assicurazione contro la disoccupazione involontaria (1927), previdenza infortunistica (1984). 35 In Italia la tutela della non autosufficienza in età anziana non è affidata ad un unico programma, ma viene effettuata con una pluralità di interventi afferenti ai comparti della sanità e dell’assistenza, che tuttavia appaiono complessivamente frammentati e non organici, essendo per lo più categoriali e non universali. Alcuni interventi sono gestiti a livello nazionale (in genere dall’Inps) come le pensioni integrate al minimo, l’assegno sociale, le indennità di accompagnamento, le rendite di invalidità civile e quelle per ciechi e sordomuti; altri sono invece gestiti a livello locale come i servizi di assistenza domiciliare, i ricoveri in case protette, i programmi di minimo vitale e di sostegno alle categorie emarginate. In definitiva, tuttavia, lo strumento su cui si fonda la tutela della non autosufficienza degli anziani è l’assegno di accompagnamento affiancato dalle forme di intervento costituite dai servizi territoriali forniti dagli Enti Locali. L’indennità di accompagnamento è un trasferimento monetario universalistico pari ad un importo di 472 euro mensili, erogato a tutti i non autosufficienti indipendentemente dalla loro condizione economica. Tale istituto è stato introdotto negli anni ’80 allo scopo di integrare l’assistenza alla non autosufficienza erogata dagli Enti Locali; tuttavia, come affermano Bosi e Toso (2003), la sua gestione poco efficace, l’esiguità dell’importo, l’erogazione talvolta tardiva, uniti alla completa assenza di una gradazione in relazione alla gravità della situazione e all’assenza di un qualche controllo sull’utilizzo del trasferimento rendono questo istituto inadeguato a fornire una risposta esauriente alle molte e variegate istanze di assistenza dei non autosufficienti italiani. I servizi territoriali gestiti a livello locale sono invece costituiti dai centri diurni, dall’assistenza domiciliare, dai ricoveri in strutture residenziali sociosanitarie o in istituti residenziali assistenziali. I “centri diurni”, sono strutture in grado di accogliere anziani con una lieve forma di non autosufficienza e di garantire loro durante il giorno tutte le prestazioni necessarie (ricreative, sanitarie, sociali e di altro tipo anche abbastanza intense), consentendo però al soggetto di ritornare la sera alla propria abitazione. Ancora più importanti di questi sono forse gli “interventi di integrazione alla gestione domiciliare” (ADI), che sono rivolti a soggetti con una forma più grave ma comunque limitata di non autosufficienza. In questo caso i servizi hanno lo scopo di integrare il soggetto nello svolgimento delle varie attività, favorendone la permanenza a domicilio attraverso la fornitura di servizi sanitari e socio-assistenziali. Per quanto riguarda invece i servizi residenziali, il panorama nazionale si caratterizza per alcuni mutamenti significativi intervenuti nell’ultimo ventennio. Come fanno notare Pesaresi e Brizioli (2009), quaranta anni fa erano presenti esclusivamente le Residenze Assistenziali (RA) -chiamate 36 comunemente “case di riposo”- che ospitavano indifferentemente soggetti autosufficienti o meno. Tali strutture, oggi riservate esclusivamente ad anziani autosufficienti19, sono state negli ultimi anni oggetto di una costante perdita di utenti a favore delle Residenze Socio Sanitarie (RSS) e, soprattutto, delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)20. Le prime, nate negli anni ’70 e conosciute anche come “case o residenze protette”, si rivolgono a persone non autosufficienti prevedendo prestazioni specializzate ad alta integrazione socio-sanitaria. Le seconde, anch’esse dedicate a soggetti non autosufficienti ma con un più elevato bisogno assistenziale, prevedono un alto livello di prestazioni mediche, sanitarie, sociali, alberghiere. È comunque importante sottolineare che è possibile trovare approssimativamente le stesse condizioni di non autosufficienza in persone che vivono a casa, usufruiscono di un centro diurno, risiedono in una RSA. In altri termini si può affermare che la soluzione residenziale, più che essere determinata dall’aggravamento delle condizioni, è implicata dal venir meno del supporto familiare e dalla indisponibilità o impossibilità a rivolgersi a collaboratori domestici assoldabili sul mercato21. In Italia si discute ormai da alcuni anni della creazione di un sistema pubblico -integrativo o sostitutivo rispetto a quello vigente- capace di erogare le opportune prestazioni ai soggetti non autosufficienti. Ad oggi, tuttavia, ogni proposta avanzata non ha visto l’approvazione definitiva lasciando invariati i servizi per i non autosufficienti descritti in precedenza. A ciò fa eccezione la creazione di un fondo per la non autosufficienza ad opera del secondo governo Prodi, il cui importo risulta tuttavia eccessivamente esiguo per poter avere un impatto significativo. Tale fondo, introdotto con la Legge Finanziaria per il 2007, ha infatti una dotazione di soli 100 milioni per il 2007, 300 per il 2008, 400 per il 2009, mentre il fabbisogno di ogni possibile sistema di tutela alternativo viene quantificato in alcuni miliardi di euro annui (Tab. 1.7). Di seguito si riportano le principali proposte di riforma che sono state avanzate in Italia negli ultimi 10-12 anni. Di queste solo alcune sono state formalmente presentate come disegno di legge, mentre altre hanno visto uno sviluppo solo primordiale. In Toscana, secondo quanto previsto dall’apposito regolamento approvato con la DGR 231/2008, le Residenze Assistenziali non sono più previste. 20 Il progressivo spostamento dell’utenza verso soluzioni residenziali orientate all’erogazione di prestazioni per soggetti non autosufficienti, presuppone l’adozione da parte delle amministrazioni regionali di opportune politiche che favoriscano la conversione delle vecchie strutture al fine di eliminare il mismatch qualitativo presente tra la domanda degli utenti e l’offerta degli istituti residenziali. A tale proposito la Regione Toscana si pone -assieme ad Abruzzo, Liguria, Trento, Umbria e Veneto- tra le amministrazioni più avanzate (Pesaresi, Brizioli, 2009). 21 È significativo precisare in proposito che la bassa percentuale di anziani assistiti in strutture residenziali in Italia (3% contro la media dell’Europa a 15 del 5,1%) è rimasta costante nell’ultimo decennio probabilmente in virtù della rilevante ondata migratoria che ha reso disponibile per le famiglie interessate una grande offerta di prestazioni assistenziali continuative (Pesaresi, Brizioli, 2009). 19 37 38 Potenziamento Potenziamento Potenziamento. Fissazione di standard di spesa CGIL, CISL, UIL (2005) P.d.L. On. Castellani et al. (2006) Gruppo per la riforma dell’assistenza continuativa (2006) Potenziamento. Fissazione di standard di spesa ----- Potenziamento Potenziamento. Raggiungimento di standard definiti Potenziamento. Raggiungimento di standard definiti Coordinamento dell’esistente CAPP, CER, Servizi Nuovi (2004) Coordinamento dell’esistente Commissione Maroni-Sirchia (2003) ----- Potenziamento Potenziamento Carlo Hanau (2002) ----- Potenziamento Potenziamento Commissione Onofri (1997) Servizi residenziali e semi-residenziali Commissione Affari Sociali della Camera (On. Zanotti) (2003) Servizi domiciliari Proponente (anno) Sviluppo offerta ----- ----- ----- ----- ----- ----- ----- ----- Sostegno assistenti familiari Introduzione PAB (Prestazione Assistenziale di Base)* ----- Concessione all’interno della valutazione distrettuale Graduale superamento per confluire nei LEA Mantenimento con introduzione di vincoli al suo utilizzo ----- ----- Graduale superamento per confluire nei LEA Indennità di accompagnamento Sviluppo domanda Mix ISEE individuale/ familiare ----- ----- ----- ----- ISEE individuale Si ISEE 4 ----- ----- Crescita intervento pubblico oltre alla possibilità di stipulare una assicurazione facoltativa Contributo di solidarietà ----- Finanziamento Stima risorse aggiuntive (mld Strategia euro annui) Spostamento risorse ----all’interno della spesa per il welfare 2,6 ----Possibile contribuzione obbligatoria oltre ad ----una assicurazione facoltativa Incremento pressione fiscale oltre alla 2,1 – 4,5 possibilità di addizionali regionali Incremento pressione 8 fiscale e spostamento risorse disponibili Tabella 1.7 PRINCIPALI PROPOSTE DI RIFORMA DEI SERVIZI AI NON AUTOSUFFICIENTI AVANZATE NEGLI ULTIMI ANNI IN ITALIA 39 ----- ----- ----- Sostegno assistenti familiari ----- ----- ----- Indennità di accompagnamento Sviluppo domanda A regime ISEE individuale ----- ----- ISEE ----- 5,3 ----- ----- Spostamento risorse da sanità e istituzione di un fondo vincolato ----- Finanziamento Stima risorse aggiuntive (mld Strategia euro annui) * si tratta essenzialmente di una riforma dell’indennità di accompagnamento in maniera tale che: aumentino gli utenti; sia stabilito un legame con la fruizione di servizi; il sussidio sia graduato in relazione al bisogno e, in particolare, sia maggiore di quello attuale per coloro che stanno peggio Fonte: elaborazioni ed integrazioni su Gori (2008) Potenziamento. Fissazione di standard qualitativi e quantitativi ----- Commissione LEA per la residenzialità (2007) D.d.L. delega Ferrero (2007) ----- Potenziamento. Fissazione di standard qualitativi e quantitativi Commissione LEA per la domiciliarità (2006) Potenziamento. Fissazione di standard qualitativi Potenziamento. Fissazione di standard qualitativi e quantitativi Servizi residenziali e semi-residenziali Servizi domiciliari Proponente (anno) Sviluppo offerta Tabella 1.7 segue La discussione sulle possibili proposte si interseca necessariamente con la riforma dell’assetto istituzionale italiano. Le leggi Bassanini di fine anni ’90, la legge 328/2000 e la modifica del Titolo V della Costituzione hanno inciso non poco sulla distribuzione delle competenze legislative ed amministrative nonché di finanziamento delle prestazioni, nel settore oggetto di studio. Secondo quanto disposto dal nuovo art. 117 Cost. la materia appartiene alla potestà concorrente Stato-Regioni sotto il profilo sanitario e socio-sanitario, mentre l’autonomia legislativa è esclusiva nell’ambito dei servizi socio-assistenziali. Da un punto di vista amministrativo, invece, le competenze sono da suddividere tra la Regione e le AUSL da una parte, e gli enti locali dall’altra. Infine, il finanziamento delle prestazioni è ancora ancorato in gran parte ai circuiti finanziari della sanità e dei servizi sociali con una legislazione che, sia a livello statale che regionale, ha avuto troppo spesso uno sviluppo poco organico (Ferioli, 2006). In particolare, come si evince dalla tabella riepilogativa dei vari sistemi regionali presentata di seguito, sono ancora rari i casi nei quali si è scelto di finanziare una parte delle prestazioni erogate con tributi ad hoc o apposite addizionali o sovrimposte su tributi in vigore. Riepilogando, le Regioni sono oggi investite in prima persona nel definire gli opportuni sistemi di finanziamento ed erogazione delle prestazioni pur nel rispetto di numerosi e stringenti vincoli di varia natura. Le scelte operate nel corso degli anni dalle varie amministrazioni sono state, anche in questo caso, piuttosto eterogenee sotto vari punti di vista. Alla stessa stregua del contesto internazionale, la distinzione più netta si pone tra chi ha deciso di intervenire in modo organico e coloro che hanno adottato soluzioni tampone. Nella tabella 1.8 sono sintetizzate, mediante l’analisi di alcuni parametri significativi, le soluzioni adottate in alcune Regioni italiane. Alla stessa stregua delle soluzioni internazionali, anche quelle regionali possono essere raggruppate sulla base di caratteristiche comuni. Una prima variabile che può essere utilizzata per questa operazione è la modalità di finanziamento delle prestazioni dedicate alla non autosufficienza: molte Regioni (Liguria, Province Autonome di Trento e Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Basilicata, Sardegna) hanno sinora optato per la realizzazione di un apposito “fondo regionale per la non autosufficienza”, mentre altre non hanno ancora voluto o saputo giungere allo stesso risultato. Tra quest’ultime vale la pena segnalare il caso lombardo, nel quale è stata implementata una politica robusta e ben strutturata a sostegno dei non autosufficienti senza ricorrere allo strumento del fondo. In generale la creazione del fondo è sinonimo di attenzione politica alla questione, ma non è necessariamente da associare al reperimento di risorse ulteriori a quelle già presenti. 40 41 Provincia Autonoma di Trento Lombardia Liguria Valle d’Aosta Regione Requisiti d’accesso Prestazioni erogate Finanziamento Risorse regionali e statali. L.R. 93/82; L.R. 1/00; Residenza nella Regione (da Compartecipazione al Assistenza residenziale e semiL.R. 13/06; DGR oltre 5 anni per la soluzione residenziale; ADI; Microcomunità costo da parte degli utenti 2868/06; DRG 20/08; residenziale); età superiore e Centri Diurni; Telesoccorso (e dei familiari) sulla base DRG 15/09 ai 65 anni dell’IRSE* Potenziamento assistenza residenziale e domiciliare. Valutazione di una disabilità Erogazione di un sussidio grave, aver un ISEE inferiore economico per il caregiver (anche Risorse regionali e statali. Fondo Regionale ai 20.000 euro, essere se badante) o per pagare altri È previsto il ricorso ad una (L.R. 12/06) percettore dell’indennità di servizi privati. Le prestazioni addizionale accompagnamento vengono erogate in ordine di graduatoria e compatibilmente con le risorse disponibili Residenza in Regione. Risorse regionali e statali. Accesso universale, priorità Titoli per l’acquisto di prestazioni L.R. 3/08 Compartecipazione al in base al bisogno ed alla domiciliari costo degli utenti condizione economica Residenza biennale nella Provincia, disponibilità Fondo Provinciale a mantenere l’anziano a Risorse provinciali, (L.P. 23/07) domicilio, erogazione di È previsto un sussidio economico regionali, statali. No risorse con funzione di un livello di cure informali per l’assistenza e cura a domicilio aggiuntive rispetto a quelle coordinamento delle adeguato, condizione delle persone non autosufficienti in vigore prestazioni già in economica inferiore ad un essere livello soglia, dichiarazione di non fruire di servizi sociali, sanitari, assistenziali Principali riferimenti normativi e caratteristiche generali Tabella 1.8 SOLUZIONI ADOTTATE DA ALCUNE REGIONI ITALIANE X X X Servizi domiciliari X X X Trasf. monetari Tendenza sviluppo dei servizi Servizi residenziali 42 Toscana Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Residenza in Provincia, valutazione della non autosufficienza da parte di una apposita commissione Requisiti d’accesso Finanziamento Assegno di cura mensile di Risorse provinciali, importo variabile a seconda della regionali, statali. Inoltre gravità (4 livelli), pagamento gli interessi attivi derivanti assistenza domiciliare e dalla gestione patrimoniale residenziale, copertura spese del fondo. No risorse previdenziali a favore del aggiuntive rispetto a quelle caregiver in vigore Prestazioni erogate Fondo Regionale (L.R. 1/08) Valutazione non autosufficienza e situazione È previsto un assegno di cura Risorse regionali e statali economica (ISEE) Valutazione non Sussidio economico di entità Risorse regionali e statali. Fondo Regionale L.R. autosufficienza e ISEE variabile in base al reddito ed al No risorse aggiuntive 6/06 inferiore a 35.000 euro livello di non autosufficienza rispetto a quelle in vigore Valutazione non Risorse regionali e statali. autosufficienza e calcolo Assegno di cura destinato ai È previsto il ricorso ad Fondo Regionale dell’ISEE, disponibilità caregiver disposti a mantenere a addizionali su IRPEF e (L.R. 27/04) a mantenere il non domicilio l’anziano IRAP autosufficiente a domicilio da parte del caregiver Residenza in Regione, valutazione della condizione di non autosufficienza Interventi domiciliari in forma Risorse regionali, statali Fondo Regionale da parte di una apposita diretta e indiretta (voucher), e comunali. No risorse (L.R. 66/2008) commissione (in alternativa inserimento in strutture aggiuntive rispetto a quelle riconoscimento della semiresidenziali o residenziali in vigore** disabilità a i sensi della L. 104/1992) Fondo Provinciale (L.P. 9/07 e 10/07) Provincia Autonoma di Bolzano Veneto Principali riferimenti normativi e caratteristiche generali Regione Tabella 1.8 segue X X X X X X Servizi domiciliari X X X X X Trasf. monetari Tendenza sviluppo dei servizi Servizi residenziali 43 Valutazione non autosufficienza e situazione economica Valutazione della non autosufficienza Fondo Regionale (L.R. 9/08); L.R. 28/07; DCR 290/09 Fondo Regionale (L.R. 20/06) Fondo Regionale (L.R. 4/07) Fondo Regionale (L.R. 2/07) Umbria Lazio Basilicata Sardegna X Risorse regionali e statali. No risorse aggiuntive rispetto a quelle in vigore * Indicatore Regionale della Situazione Economica; ** L’aumento del budget disponibile per il finanziamento delle prestazioni per i non autosufficienti è infatti stato ottenuto stornando risorse da altri capitoli di bilancio e non inasprendo l’imposizione fiscale Fonte: elaborazioni ed integrazioni su Francesconi, Razzanelli (2008), Beltrametti (2008), Giorgi, Ranci Ortigosa (2008) X X X Trasf. monetari Risorse regionali e statali. No risorse aggiuntive rispetto a quelle in vigore X X Risorse regionali e statali. No risorse aggiuntive rispetto a quelle in vigore Interventi domiciliari in forma diretta e indiretta (voucher) X Risorse regionali e statali. Compartecipazione al costo da parte degli utenti. No risorse aggiuntive rispetto a quelle in vigore Interventi domiciliari diretti ed indiretti (“assegno di sollievo”), soluzione residenziale solo per persone con alto bisogno assistenziale e assoluta inadeguatezza ambientale Servizi domiciliari Tendenza sviluppo dei servizi Servizi residenziali Finanziamento Prestazioni erogate Condizione di non autosufficienza. Priorità alle persone con più di 65 anni Introduzione sperimentale di un e in condizione di basso assegno di cura reddito (valutato tramite ISEE familiare) Valutazione della disabilità Prestazioni, graduate in base grave secondo quanto alle necessità, di assistenza previsto dalla L.104/92 domiciliare e ricoveri di sollievo Requisiti d’accesso Principali riferimenti normativi e caratteristiche generali Regione Tabella 1.8 segue Anzi, sono poche le realtà regionali dove si è scelto di istituire addizionali su tributi esistenti (Emilia Romagna e Liguria) o di architettare un sistema che, mediante la gestione patrimoniale del fondo, faccia fronte alla sostenibilità finanziaria intergenerazionale (Provincia Autonoma di Bolzano). Nelle restanti Regioni il fondo creato è stato in genere utilizzato per razionalizzare le numerose fonti di finanziamento, operare una riorganizzazione dell’erogazione delle prestazioni, ampliare il volume dei servizi a discapito di altre voci del bilancio regionale. Una ulteriore variabile utile per raggruppare le varie esperienze regionali riguarda i requisiti di accesso alle prestazioni. Gran parte delle amministrazioni richiedono, oltre chiaramente ad un adeguato accertamento della presenza e della gravità della condizione di non autosufficienza, anche la residenza nella Regione da uno o più anni (Valle d’Aosta, Lombardia, Province Autonome di Trento e Bolzano, Toscana22). Alcune, inoltre, richiedono che l’anziano (o la famiglia dell’anziano) sia in condizione economica inferiore ad uno standard prefissato (Liguria, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Umbria, Basilicata). In genere la condizione economica è stimata mediante l’ISEE (o ISEE familiare): solo la Valle d’Aosta adotta infatti il proprio Indicatore Regionale della Situazione Economica (IRSE). Infine, è possibile distinguere le Regioni sulla base delle modalità con le quali le prestazioni vengono erogate. In particolare, è utile suddividere in relazione alla preferenza a fornire servizi in kind (servizi residenziali, semi-residenziali, domiciliari) o sotto forma di cash benefits (trasferimenti monetari). Molte delle Regioni analizzate hanno introdotto negli anni passati degli appositi assegni di cura più o meno vincolati nel loro utilizzo. In molti casi lo strumento è stato adottato per sostenere in maniera diretta o indiretta le famiglie che hanno scelto di rivolgersi ad una badante. Più precisamente, le ragioni che hanno portato tali amministrazioni ad avvalersi di tale strumento sono riconducibili a (Gori, Pasquinelli, 2008): fornire un sostegno economico e garantire al contempo ampia libertà di scelta delle prestazioni al beneficiario (Lombardia); sostenere chi è più fragile incentivando l’emersione del lavoro nero (Veneto e Sardegna); qualificare il lavoro di cura e coordinarlo con il sistema di servizi (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia). In Toscana l’art. 8 della L.R. 66/2008 istitutiva del Fondo Regionale per la non autosufficienza richiede semplicemente la residenza nel territorio regionale. 22 44 2. LE CURE AI NON AUTOSUFFICIENTI: IL RUOLO DI MERCATO, FAMIGLIA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE I servizi assistenziali ai non autosufficienti possono essere erogati da membri della famiglia, personale a pagamento, operatori finanziati dalla pubblica amministrazione. Negli ultimi anni, il progressivo declino della famiglia quale principale erogatrice delle cure, legato in particolare alla crescente partecipazione sul mercato del lavoro da parte della donna, ha determinato l’instaurarsi di una nuova divisione del lavoro di cura degli anziani non autosufficienti. Le famiglie, non essendo più in grado di garantire una quantità di assistenza pari a quella riscontrata in passato, si rivolgono con maggiore insistenza alla pubblica amministrazione -capace oggi di fornire solo una quota minoritaria di servizie soprattutto al mercato, dove è possibile trovare persone disposte a fornire un’assistenza continuativa non specializzata a basso costo (cd. badanti). La scelta tra queste tre modalità di assistenza, certamente non esclusive tra loro, dipende da una pluralità di fattori non facili da identificare ed analizzare. Lo studio di questi aspetti assume tuttavia un ruolo di primo piano a causa delle forti implicazioni finanziarie che esse avranno nel prossimo futuro quando crescerà la platea dei non autosufficienti23. Pertanto, comprendere le dinamiche che spingono i soggetti a scegliere un determinato modello assistenziale, non solo è cruciale nell’ottica di predisporre ed organizzare i servizi pubblici, ma anche per tentare di incidere sulle scelte compiute in maniera tale da poter raggiungere gli obiettivi preposti, in primis quelli della sostenibilità finanziaria, dell’efficacia delle prestazioni, della soddisfazione degli utenti. Il capitolo individua inizialmente alcuni possibili modelli di cura e ne quantifica la rilevanza. In seguito passa in rassegna il contributo della letteratura economica e delle analisi empiriche al fine di mettere in rilievo alcuni risultati significativi. 2.1 I modelli assistenziali L’attività di cura ed assistenza ai non autosufficienti può essere erogata a domicilio, in maniera alternativa o complementare, da un parente in maniera informale, da personale privato a pagamento, da dipendenti Ad esempio, l’assistenza residenziale risulta assai più incisiva sul bilancio pubblico di quella domiciliare (cfr. OCSE, 2005). 23 45 pubblici. Alternativamente esiste la soluzione residenziale che, eccettuando le soluzioni ibride come i centri diurni o i ricoveri di sollievo, si caratterizza per essere sostitutiva rispetto a qualunque altra attività di assistenza domiciliare. Astraendo rispetto alle possibili peculiarità riscontrabili nelle suddette modalità24, i modelli di assistenza possono essere ricondotti a tre distinte tipologie: 1. la soluzione residenziale (institutional care); 2. l’attività di caregiving informale da parte di un parente integrabile dall’assistenza domiciliare pubblica; 3. la cura a domicilio da parte di personale privato a pagamento (in particolare le cd. “badanti”). Ad ognuno di questi si può ulteriormente integrare l’apporto del volontariato che agisce in maniera trasversale. Volendo tentare una sintetica descrizione del ricorso a questi tre modelli nel contesto italiano e toscano, è sufficiente notare che la soluzione residenziale è una opzione adottata dal 7,5% circa dei non autosufficienti in Italia e dal 5% circa in Toscana25. Il ricorso limitato a questa soluzione è spiegato soprattutto dalla scarsità di offerta: in Italia si hanno solo 373 posti ogni 100.000 abitanti mentre in Toscana tale valore scende a 364 (Ministero della Salute, 2008)26. Il costo medio mensile per utente si è attestato in Italia nel 2004 a 2.260 euro, dei quali 1.065 (47,1%) sono stati versati dall’utente, 983 (43,5%) dall’ASL, 212 (9,4%) dal Comune (Pesaresi, 2008a)27. I dati mostrano piuttosto chiaramente che le famiglie sostengono il peso economico più rilevante. Ciò è confermato anche dal fatto che gli utenti non pagano alcunché solo nell’8% dei casi (Pesaresi, 2008b). La Toscana non si discosta molto da questo quadro generale: la spesa media per ricoverato mensile è di 2.462 euro, dei quali 1.115 (45,3%) sono versati dall’utente, 1.032 (41,9%) dal SSN, 315 (12,8%) dal Comune. La soluzione residenziale si pone spesso come sostitutiva piuttosto che integrativa rispetto all’assistenza domiciliare, dato che le soluzioni ibride come i centri diurni o i ricoveri di sollievo risultano ad oggi ancora troppo poco diffusi28. Per una analisi puntuale delle modalità residenziale e domiciliare anche nei Paesi europei cfr. Pesaresi, Gori (2006). 25 Si tratta di elaborazioni IRPET su dati ISTAT (2005b). 26 Il dato comprende anche l’assistenza di tipo psichiatrico. 27 La spesa per utente cresce all’aumentare del contenuto sanitario delle prestazioni. Ad esempio essa si attesta a 2.454 euro nelle residenze sociosanitarie. 28 Lo squilibrio osservabile nei dati più aggiornati (anno 2006) tra le soluzioni residenziale e semiresidenziale è piuttosto netta per quanto riguarda i servizi agli anziani: in Italia i posti di quest’ultime strutture sono solo il 6,9% del totale e servono il 7,2% degli utenti. In Toscana la situazione non è dissimile visto che i posti nelle strutture semiresidenziali sono l’8,8% del totale e servono l’8,9% degli utenti complessivi. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda i disabili fisici, per i quali si assiste ad una ripartizione quasi equivalente tra i posti in strutture semiresidenziali e quelli invece residenziali. Ciò vale sia per il contesto italiano che toscano (cfr. Ministero della Salute, 2008). 24 46 Il modello basato sull’assistenza erogata informalmente da parte di un parente, integrata eventualmente con i servizi domiciliari, è ad oggi quello prevalente in tutti i Paesi sviluppati. L’OCSE (2005) mostra che nei Paesi sviluppati oltre l’80% delle ore di cura ed assistenza sono fornite informalmente da un parente stretto, sovente di sesso femminile, del soggetto disabile. In genere si tratta del coniuge, di un figlio o della nuora. Anche in Italia la famiglia rimane il sostegno fondamentale delle persone con disabilità: sebbene una quota non trascurabile di non autosufficienti viva sola (32%) essi possono comunque contare sull’aiuto dei figli, che nell’89% dei casi abitano nelle vicinanze e nell’87% delle situazioni vanno a trovarli almeno una volta a settimana29. L’accentuarsi di questo stato dei fatti mostra l’instaurarsi di una sorta di “intimità a distanza” tra i figli ed i genitori non autosufficienti, che tuttavia non scalfisce il ruolo preponderante dell’assistenza informale erogata dai parenti più stretti: si stima che un numero compreso tra i 3.000.000 ed i 3.500.000 di italiani forniscano aiuto ad un parente disabile (Eurofamcare, 2007). Dallo stesso studio emerge inoltre che il carico assistenziale dei primary caregivers è piuttosto rilevante: in media si tratta di 92 ore settimanali, mentre in un terzo dei casi tale attività si estende a tutto l’arco della giornata. Tale carico di lavoro non è sempre sopportato agevolmente, visto che circa il 25% degli assistenti familiari soffre di stress ed insoddisfazione legati proprio all’attività di cura (Eurofamcare, 2007). In questo contesto i servizi domiciliari paiono avere un impatto limitato, dato che l’utenza raggiunta è pari solamente al 4,7% degli ultra 65enni, di cui il 3% attribuibile all’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) fornito dalle ASL, mentre il restante 1,7% al Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD) erogato dal Comune (Baldini et al., 2008). Anche l’intensità non pare significativa: per l’ADI si tratta di 24 ore annue per caso30 (Ministero della salute, 2008), mentre per la SAD si stima una media di 2-3 ore settimanali (Baldini et al., 2008). Per quanto riguarda il contesto toscano, Antoni et altri (2008) hanno rilevato che circa l’80% dei non autosufficienti a domicilio non riceve alcun aiuto pubblico, mentre oltre il 60% riceve esclusivamente cure informali da parte di un familiare. Un altro studio recente di Di Bari et al. (2008) mostra che nell’area fiorentina la rete assistenziale, composta in media da tre persone, comprende personale pubblico solo nel 7% dei casi mentre gli assistenti privati sono presenti in quasi il 45% dei casi. L’onere dell’assistenza ricade invece con forza sui parenti stretti: il consorte è presente in circa il 30% dei casi, il figlio in oltre il 75%. Anche nel contesto toscano permane, dunque, l’impressione che l’assistenza domiciliare pubblica non si caratterizzi 29 30 Cfr. www.disabilitàincifre.it. In Toscana tale valore sale leggermente assestandosi a 25 ore. 47 come una alternativa all’assistenza familiare quanto come un fattore complementare, a causa della piccola platea di beneficiari e della scarsa intensità della prestazione. Il terzo modello assistenziale individuato, quello basato sul ricorso a personale privato a pagamento, è ad oggi quello che funziona da ammortizzatore rispetto alle tendenze in atto. Infatti, il progressivo ampliarsi della domanda, associato ad una cronica scarsità di offerta di servizi pubblici, obbliga gli utenti a ricorrere con forza al mercato, nel quale è possibile trovare personale generalmente straniero e non qualificato disposto ad assistere un non autosufficiente. La stima della rilevanza di questo modello risulta piuttosto difficoltosa a causa della frequente irregolarità della condizione lavorativa che caratterizza il personale privato. Attenendoci a quanto rilevato ufficialmente dall’INPS31, i lavoratori domestici risultavano nel 2007 in Italia 597.281 di cui 52.600 in Toscana. In linea con questa rilevazione l’ISTAT, nell’indagine sulle condizioni di salute per il 2005, stimava che circa l’1,7% delle famiglie si avvalesse di un collaboratore domestico, per un totale di oltre 400.000 persone impiegate. Stime più recenti, rivolte a quantificare anche l’ingente lavoro sommerso, attestano la numerosità di tali soggetti in 700.000 unità (Baldini et al., 2008). Secondo Spano (2006) tali soggetti potrebbero essere invece tra 713.000 e 1.134.000 unità. Infine, i sindacati confederali hanno stimato che tali figure professionali potrebbero ammontare addirittura a 1.500.000 (Filippi, 2008). 2.2 Le interazioni tra i soggetti: i risultati della teoria economica e dell’analisi empirica Contestualmente all’aumento del rilievo del tema della non autosufficienza, la letteratura economica si è concentrata sull’analisi dei processi decisionali che guidano le famiglie a scegliere l’uno o l’altro modello assistenziale. L’obiettivo dei lavori di teoria economica, denotati da un elevato livello di astrazione, è quello di cercare di spiegare la scelta del primary caregiver al variare di alcune caratteristiche significative della persona e del contesto. Più precisamente, le variabili prese in considerazione sono riconducibili a: 1. reddito del caregiver; 2. livello di disabilità del non autosufficiente; 3. grado di altruismo del caregiver. Cfr. INPS Osservatorio sui lavoratori domestici, consultabile all’indirizzo: http://servizi.inps.it/ banchedatistatistiche/domestici/index.jsp. 31 48 Le prime due variabili influenzano le modalità con le quali il familiare si prende cura dell’anziano, indicando qual è il comportamento prevalente al mutare del contesto: viene preferito dedicare tempo ed assistenza in prima persona o acquistare prestazioni assistenziali sul mercato? E in quest’ultimo caso, con quale livello di specializzazione? Il terzo fattore condiziona invece l’entità dell’assistenza erogata direttamente o indirettamente dal familiare. Vediamo in sintesi quali indicazioni possiamo estrapolare da questa mole di studi. Si precisa che gli studi citati si concentrano, al fine di semplificare l’analisi, su un contesto nel quale è presente un solo familiare che può decidere di prendersi cura personalmente o meno dell’anziano non autosufficiente residente a domicilio. 1. Il reddito guadagnato dal caregiver influenza notevolmente le modalità con le quali quest’ultimo si prende cura dell’anziano non autosufficiente. I risultati degli studi (Zissimopoulos, 2001; Sloan et al., 2002; Pestieau e Sato, 2004, 2008) mostrano che all’aumentare del reddito guadagnato dal caregiver aumenta la tendenza a trasferire all’anziano somme monetarie sempre più ingenti per far ricorso ad acquisto di prestazioni assistenziali e particolari ausili, mentre diminuisce, anche se in genere in maniera meno che proporzionale, il tempo che il caregiver dedica all’anziano. A parità di reddito del familiare, l’ammontare di risorse trasferite è influenzato dal reddito e dal patrimonio dell’anziano: all’aumentare di questi ultimi diminuisce infatti il volume di risorse trasferite. Questi risultati, piuttosto intuitivi, sono spiegabili assumendo la piena razionalità da parte dei figli, che tenderanno a concentrarsi nelle mansioni nella quali riescono meglio. Più precisamente, se il potenziale caregiver ha un’alta produttività sul mercato del lavoro e riesce pertanto a guadagnare un reddito ingente, si troverà, nel caso in cui decida di prendersi cura dell’anziano in prima persona, a dover rinunciare a benefici consistenti. In altri termini, la scelta di assistere il non autosufficiente avrà per lui un costo-opportunità elevato, cosa che lo spingerà a ridurre il tempo dedicato alla cura a favore di quello impiegato nel mondo del lavoro, nel quale potrà guadagnare a sufficienza anche per poter assumere personale che garantisca le prestazioni necessarie all’anziano. Un aspetto collegabile alla questione del reddito del familiare sul mercato del lavoro è quello dell’eredità: il potenziale caregiver potrebbe essere attratto dall’idea di avere un posto di riguardo nei trasferimenti finanziari che avverranno al momento della morte dell’anziano in virtù della loro attività assistenziale prestata. Seguendo questo ragionamento essi potrebbero decidere di sacrificare, completamente o solo in parte, la loro attività sul mercato del lavoro a favore di quella assistenziale. I risultati ottenuti da alcuni autori (Zweifel, Strűwe, 1996; Pestieau, Sato, 2004, 2008) mostrano che tale 49 fenomeno si verifica se l’entità dell’eredità è apprezzabile e se il non autosufficiente riesce ad utilizzare tali risorse in maniera strumentale allo scopo di ottenere assistenza dalle persone care. 2. Com’è facilmente intuibile, il livello di disabilità dell’anziano è una variabile altamente significativa nello spiegare il modello assistenziale che viene approntato per far fronte alle sue necessità. I risultati di questo filone di studi (cfr. Bonsang, 2008) hanno messo in luce, in primo luogo, che all’aumentare del grado di disabilità diventa progressivamente meno opportuno l’assistenza formale erogata da persone con una bassa qualifica -in particolare le badanti- a favore di prestazioni caratterizzate da una più alta specializzazione come quelle di medici e tecnici sanitari. L’interpretazione di tali risultati risiede nel fatto che con bassi livelli di disabilità i compiti assistenziali richiesti sono facilmente espletabili anche da personale unskilled, mentre all’aumentare della gravità della situazione il carico assistenziale richiede la presenza (o la compresenza) di personale più qualificato. In secondo luogo, le analisi citate tentano di prevedere il comportamento dei caregivers familiari al variare del livello di non autosufficienza dell’anziano. I risultati sono in parte sorprendenti, non confermando il possibile modello interpretativo secondo il quale l’attività di assistenza dei familiari diminuisce all’aumentare del grado di disabilità dell’anziano. Infatti, mentre per bassi livelli di dipendenza, per i quali vi è necessità di personale poco specializzato, è riscontrata una alta sostituibilità tra l’attività assistenziale di quest’ultimi e quella dei familiari; per alti gradi di non autosufficienza emerge una significativa complementarietà tra le prestazioni di operatori specializzati ed il caregiving familiare. In altri termini, mentre i familiari sono disposti a delegare l’assistenza del non autosufficiente quando l’anziano è dipendente in maniera non rilevante, essi non lo sono più quando il soggetto presenta elevati livelli di disabilità rendendosi disponibili a partecipare all’attività assistenziale insieme ad operatori specializzati. La spiegazione di questo risultato risiede, oltre che nelle differenti caratteristiche dei due tipi di cure formali (estensive quelle fornite da personale unskilled, intensive quelle erogate da personale specializzato), anche per motivi legati alla migliore comprensione dei bisogni dell’anziano. In altri termini, se il familiare è sufficientemente altruista nei confronti dell’anziano avrà interesse a far valere la sua maggiore capacità di comprendere le necessità dell’anziano quando quest’ultimo presenta bisogni particolarmente ingenti. 3. L’altruismo dei parenti nei confronti del non autosufficiente si può definire come il benessere percepito dal fornire assistenza in maniera non formale e non retribuita. Gli studi teorici (cfr. Jousten et al., 2005) raggiungono risultati piuttosto intuitivi: all’aumentare del grado di 50 altruismo cresce, a parità di altre condizioni, la rilevanza dell’assistenza che viene fornita dal caregiver. Essi mettono in rilievo anche una ulteriore caratteristica del fattore oggetto di analisi, ossia la difficoltà a verificarne la presenza e l’entità32. Passando adesso all’analisi dei risultati delle indagini empiriche, si passeranno in rassegna alcuni studi particolarmente significativi. In generale, le indagini empiriche consentono di mostrare l’eventuale validità delle affermazioni ottenute mediante il ragionamento teorico. In ogni caso i risultati ottenuti da elaborazioni su dati reali consentono di estrapolare utili indicazioni in merito all’adesione più o meno marcata ai modelli teorici, di effettuare ipotesi circa le motivazioni alla base di quanto osservato, nonché di evincere ulteriori indicazioni di policy. Si precisa che, dato che le motivazioni insite alla scelta dipendono anche dal contesto socio-culturale nel quale vengono rilevate, si cercherà di mettere in risalto il contesto geografico nel quale i risultati sono ottenuti affinché il lettore possa trarre le opportune conclusioni. Bonsang (2008), lavorando su dati riferiti al contesto europeo, analizza le determinanti della sostituibilità tra cure formali ed informali e della scelta della soluzione residenziale. L’autore scopre che risultano determinanti positive delle cure informali la numerosità delle figlie ed il livello di disabilità. Influenzano invece negativamente la probabilità di essere caregiver la distanza dall’anziano e, seppur in maniera blanda, l’elevatezza del livello di istruzione. Lo studio Eurofamcare (2007) descrive le caratteristiche tipiche del caregiver in Italia. Come intuibile, emerge che esso è nella grande maggioranza dei casi una donna, spesso identificata nella figlia o nella moglie (o convivente) del non autosufficiente. Dall’analisi emergono anche alcuni aspetti sorprendenti: il reddito, sia familiare che pro capite, è superiore nell’insieme dei prestatori di assistenza rispetto agli altri; l’istruzione è maggiore per i carers rispetto ai non carers; l’attività di assistenza diretta è più intensa tra coloro che lavorano nel settore privato rispetto a quello pubblico. La questione, sulla quale non ci dilunghiamo, diventa particolarmente rilevante non appena si passa dalla fase di analisi a quella di policy. In quest’ultimo contesto, infatti, non ci si può esimere dal dare una risposta a questioni del tipo: è meglio sostenere le situazioni nelle quali il familiare si prende cura altruisticamente dell’anziano -garantendo un maggior benessere a quest’ultimo ed un minor ricorso a prestazioni pubbliche- o contesti nei quali il non autosufficiente viene lasciato solo da parenti non altruisti, mossi dall’esigenza di tutelare una persona in condizioni peggiori? In altri termini, come si chiedono Francesconi e Razzanelli (2008), “il caregiver familiare è da considerarsi una ricchezza del paziente, che ha quindi meno bisogno di sussidi o servizi da parte dell’ente pubblico, oppure una ricchezza del sistema assistenziale che va quindi incoraggiata e premiata”?. Questioni del genere sono trattate nei modelli citati, nei quali viene spesso evidenziato che le politiche adottate dall’operatore pubblico rischiano talvolta di generare risultati difformi rispetto agli obiettivi perseguiti, caratterizzandosi quali classici casi di eterogenesi dei fini. 32 51 Uno studio del CERP (2003) ha identificato le caratteristiche del tipico caregiver italiano. I risultati sono difformi da quanto rilevato dallo studio Eurofamcare (2007). I caregivers, in genere di sesso femminile, non giovani ed in buona salute, tendono a prestare assistenza prevalentemente a donne con un livello di disabilità non elevato. Non sorprende poi che all’aumentare del reddito familiare diminuisca la probabilità di divenire assistente33, così come risulta in linea con le previsioni teoriche il fatto che il reddito dell’anziano agisca, seppur in maniera blanda, come attrattore di cure da parte dei figli. Sorprende invece l’evidenza che l’attività di caregiving, intesa anche come intensità delle cure prestate, sia correlata positivamente con i maggiori livelli di istruzione. Infine, l’analisi statistica consente di dare una indicazione a proposito dell’attività lavorativa: la decisione di divenire caregiver non sembra fortemente influenzata dall’estensione dell’orario di lavoro, mentre essa sembra incidere sulle ore dedicate all’assistenza. L’analisi di Lippi Bruni e Ugolini (2005), condotta su dati relativi all’Emilia Romagna, ha messo in evidenza che l’assistenza informale è correlata negativamente con l’età del non autosufficiente, con la durata del periodo di disabilità, con la rilevanza della condizione di dipendenza. Esiste poi un’ulteriore correlazione negativa, seppur molto blanda, con il reddito familiare. Il ricorso a cure a pagamento sembra invece legato positivamente all’età dell’anziano e al reddito familiare. Osservando i lavori presentati nel loro complesso e confrontandoli con i principali risultati dell’analisi teorica, si notano alcuni punti di convergenza ma anche alcune discrepanze. La presente ricerca, i cui risultati sono descritti nella parte seguente, ha cercato di indagare in merito alle determinanti della scelta del modello assistenziale riferendosi all’esperienza diretta delle famiglie toscane che vivono nell’area empolese. È interessante anche la quantificazione di questo risultato: all’aumentare del reddito di 5.160 euro la probabilità di divenire caregiver diminuisce del 2,5%. Inoltre all’aumentare della stessa quota di reddito le ore di assistenza settimanali, identificate in media in 31, si riducono di quasi una unità. 33 52 Parte II L’INDAGINE 53 3. L’INDAGINE SUL LAVORO DI CURA NELLA AUSL 11 - EMPOLI 3.1 La struttura e le finalità dell’indagine Le dinamiche attese -crescita dei non autosufficienti e difficoltà per i familiari a prendersi cura di essi, combinate con la prevedibile scarsità di fondi a disposizione- costringono l’operatore pubblico a sfruttare appieno tutti gli strumenti di governo della domanda al fine di organizzare una efficiente ed efficace rete di servizi. A tal fine appare cruciale, soprattutto in un contesto come quello italiano caratterizzato da universalità e piena esigibilità delle prestazioni, la necessità di conoscere quali sono e quali saranno le scelte operate da coloro chiamati a decidere le modalità di assistenza degli anziani non autosufficienti. Non meno importante sembra poi riuscire a stimare il costo, sia economico che sociale, associato all’assistenza informale. Solo in questo modo, infatti, si potrà riuscire a definire un sistema di tutele per i non autosufficienti che riesca a coniugare virtuosamente l’esigenza di rispondere alle loro necessità con l’obiettivo di sostenere la crescita economica, vero strumento che potrà garantire nel lungo periodo la reale sostenibilità nel tempo del welfare state toscano. Sulla base di queste considerazioni, la ricerca si propone di analizzare le caratteristiche della domanda e dell’offerta di assistenza, con particolare riferimento all’attività di caregiving familiare, oltre a cercare di quantificare il costo, implicito ed esplicito, sostenuto dai familiari impegnati nell’attività di cura. Il contesto nel quale è stata condotta la ricerca è quello della Società della Salute di Empoli della AUSL 11, dove è stato possibile considerare l’intero universo dei non autosufficienti. L’indagine è stata condotta mediante una intervista telefonica diretta al primary caregiver, ossia alla persona che coordina l’attività di assistenza tenendo i rapporti con la pubblica amministrazione, la “badante” e tutti gli altri soggetti che, a vario titolo, partecipano all’attività assistenziale. Più precisamente, dopo aver escluso le persone non contattabili, si è proceduto ad inviare per posta una specifica informativa a tutti i non autosufficienti per avvertire della ricerca in corso e dare loro la possibilità di non partecipare34. Al termine di questa operazione di scrematura del campione, è stato possibile identificare Ai destinatari veniva concessa la facoltà di non partecipare all’indagine avvertendo tempestivamente l’IRPET mediante l’invio di una apposita lettera preaffrancata fatta recapitare insieme all’informativa, o telefonando al numero verde attivato. 34 55 l’insieme di persone disponibili ad essere intervistate. La tabella seguente (Tab. 3.1) descrive da un punto di vista quantitativo i passi effettuati. Tabella 3.1 OPERAZIONI DI SCREMATURA DEL CAMPIONE Non autosufficienti nella AUSL 11 - SdS Empoli Esclusi per assenza recapito telefonico Persone dichiaratesi non disponibili Persone potenzialmente intervistabili Numero % sul totale non autosufficienti 2.843 556 188 2.099 100,0 19,6 6,6 73,8 Fonte: elaborazioni IRPET In seguito è stato possibile iniziare le interviste che sono state realizzate nel periodo di ottobre-novembre 200835. Nel grafico 3.2 sono riportate le incidenze percentuali sul totale dei vari esiti delle interviste telefoniche. Grafico 3.2 INCIDENZA PERCENTUALE DEI VARI ESITI DELLE INTERVISTE REALIZZATE Assistente non ritracciabile 1,4 2,9 4,5 Intervista interrotta Assistito defunto 7,0 8,2 Numero inesistente/errato Rifiuto Senza esito 16,8 59,2 Interviste realizzate 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% Fonte: elaborazioni IRPET Come si può notare sia la numerosità delle persone intervistate che la loro incidenza sul totale sono ampiamente soddisfacenti, soprattutto se si tiene in considerazione della sensibilità del tema oggetto di analisi. Il questionario utilizzato nelle interviste, che è stato appositamente costruito, è riportato in appendice. La sua struttura ricalca le finalità dell’indagine, essendo suddiviso in tre sezioni: la condizione dell’anziano, dove si analizzano le peculiarità del non autosufficiente; la scelta del metodo assistenziale, nella quale si indaga in merito a quali diversi modelli si tende ad orientarsi; la condizione del primary caregiver, dove si passano in rassegna le caratteristiche del familiare. Concludono 35 Le interviste sono state realizzate dalla società EUREMA S.r.l.. 56 il questionario alcune domande più sensibili in merito alla condizione economica dell’anziano e della famiglia, nonché relative alla situazione giuridica dell’eventuale badante. 3.2 Il contesto della AUSL 11 - Empoli L’Azienda USL 11 presenta al suo interno due Società della Salute -Valdarno ed Empoli- e si colloca territorialmente a cavallo tra la Provincia di Firenze e quella di Pisa. Essa comprende 15 Comuni -Capraia e Limite, Castelfiorentino, Cerreto Guidi, Certaldo, Empoli, Fucecchio, Gambassi, Montaione, Montelupo Fiorentino, Montespertoli, Vinci, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Valdarno, San Miniato e Santa Croce Sull’Arno- per una estensione territoriale di oltre 933 Km2. Se andiamo ad osservarne le caratteristiche principali in termini di popolazione in confronto alle altre AUSL emerge, come mostrato nella seguente tabella (Tab. 3.3), una dimensione medio-piccola. Tabella 3.3 INDICATORI DEMOGRAFICI SIGNIFICATIVI PER LE AUSL TOSCANE. UNITÀ. 2008 Azienda USL 1 - Massa Carrara 2 - Lucca 3 - Pistoia 4 - Prato 5 - Pisa 6 - Livorno 7 - Siena 8 - Arezzo 9 - Grosseto 10 - Firenze 11 - EMPOLI 12 - Viareggio TOSCANA ITALIA Popolazione residente Popolazione over 65 Incidenza anziani (%) Indice di vecchiaia (%) Indice dipendenza anziani (%) 203.698 221.999 290.596 246.034 334.718 350.909 269.473 346.324 225.861 813.077 236.928 168.201 3.707.818 59.619.290 49.177 51.859 65.424 49.775 75.884 84.803 66.139 78.096 55.975 195.625 51.382 38.541 862.680 11.945.986 24,14 23,36 22,51 20,23 22,67 24,17 24,54 22,55 24,78 24,06 21,69 22,91 23,27 20,04 209,85 183,57 177,85 145,51 181,29 205,22 200,29 177,85 218,51 190,28 158,30 190,02 185,94 142,77 37,51 36,55 34,73 30,72 34,97 37,73 38,83 34,82 38,80 38,01 33,56 35,24 36,23 30,39 Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT Oltre alla dimensione contenuta della Azienda USL 11 si nota anche che i valori dei tre principali indici riferiti agli anziani sono migliori rispetto a tutte le altre AUSL toscane se si eccettua il caso di Prato che, come noto, si contraddistingue per una elevata immigrazione che tende 57 ad abbassarne l’età media. Alla stessa conclusione si giunge se andiamo a confrontare (Graf. 3.4) la composizione della popolazione empolese con quella regionale. Dallo stesso grafico si desume inoltre che la quota di anziani è superiore a quanto rilevato per l’Italia nel suo complesso. Grafico 3.4 RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE IN CLASSI DI ETÀ. 2008 SDS Valdarno 13,7 65,6 20,7 0-14 SDS Empolese 13,7 64,0 22,3 15-64 AUSL 11 13,7 64,6 21,7 Toscana 12,5 64,2 23,3 ITALIA 14,0 66,0 20,0 0% 20% 40% 60% 80% 65+ 100% Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT La distinzione tra Società della Salute mostra che nel contesto empolese è presente una quota di anziani superiore a quanto registrato sia nella AUSL nel suo complesso che su tutto il territorio nazionale. Sintetizzando i risultati presentati, si può affermare che il contesto demografico nel quale è stata svolta l’indagine non presenta sostanziali differenze rispetto al quadro complessivo. Ad ulteriore conferma di ciò si può notare che anche nella AUSL di Empoli sono all’opera gli stessi processi che sono stati rilevati nell’introduzione per la Toscana e l’Italia in generale: l’aumento progressivo sia della numerosità degli over 65, sia della quota degli anziani sul totale della popolazione che, infine, dell’età media. Tali informazioni sono presentate nella tabella 3.5. Tabella 3.5 ANDAMENTO NEL TEMPO DI ALCUNI INDICATORI DEMOGRAFICI RELATIVI ALLA POPOLAZIONE RESIDENTE NELL’AUSL 11 Residenti over 65 (unità) Incremento della popolazione over 65 (in %, anno base 1971) Popolazione over 65 su totale popolazione (in %) Età media della popolazione over 65 (anni) 1971 1981 1991 2001 2008 28.383 14,33 73,03 34.498 +21,54 16,49 73,77 39.847 +40,39 19,01 74,51 46.578 +64,11 21,36 75,29 50.845 +79,14 21,73 75,63 Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT 58 Per quanto riguarda poi l’insieme dei non autosufficienti, se ne può osservare nel grafico 3.6 sia la numerosità, che la fascia di età nonché il livello di abilità perduta36. Grafico 3.6 NUMEROSITÀ E RIPARTIZIONE PER FASCIA DI ETÀ E GRAVITÀ DELLA NON AUTOSUFFICIENZA DEI DISABILI NELLA AUSL 11. UNITÀ. 2006 8.000 6.000 4.000 2.000 0 Maschi Femmine TOTALE Maschi Femmine TOTALE Maschi Femmine TOTALE Età <75 anni Età >=75 anni Lieve Moderata Intermedia Tutte le età Grave Fonte: elaborazioni IRPET su dati AUSL 11 Anche in questo caso si osserva che nella realtà empolese l’incidenza della non autosufficienza per classe di età è in linea con quella regionale; tende a crescere all’aumentare dell’età; si manifesta più incisivamente nelle persone di sesso femminile. Interessante a questo punto è chiedersi come viene organizzata l’erogazione delle prestazioni. Il caso della AUSL di Empoli si contraddistingue per numerosi fattori di innovatività nella creazione di un sistema di cura ed assistenza alle persone non autosufficienti. Ad una prima analisi si notano una particolare attenzione al coinvolgimento dei pazienti, al collegamento tra assistenza ospedaliera e territoriale, alla costruzione di sistemi informatici, alla integrazione tra le varie prestazioni. Sono tutti elementi particolarmente significativi anche in sé, che tuttavia possono essere ricondotti ad un comune denominatore, che ne è anche il principio ispiratore. Il tentativo che la AUSL di Empoli sta cercando di attuare, distinguendosi significativamente da altri contesti, è quello di cambiare radicalmente l’approccio delle cure: da un intervento esclusivamente ex-post, ad uno centrato sulla proattività e sulla prevenzione. L’approccio adottato si fonda sul modello teorico Si intende: per disabile grave 3 ADL perdute, intermedio 2 ADL perse, moderato 1 ADL perduta, lieve 3 IADL perse. 36 59 denominato Chronic Care Model (Bodenheimer, Wagner, Grumbach, 2002a; Bodenheimer, Wagner, Grumbach, 2002b) che, nel contesto di una progressiva riqualificazione del ruolo delle cure primarie in ambito internazionale (Maciocco, 2008), si propone come obiettivo finale quello di avere “un paziente informato che interagisce con un team preparato e proattivo, con lo scopo di ottenere cure primarie di alta qualità, una utenza soddisfatta e miglioramenti nello stato di salute della popolazione”. Le innovazioni introdotte, recepite in parte anche dal Piano Sanitario Regionale 2008-2010 della Regione Toscana (2008), caratterizzano l’AUSL empolese per una più efficace erogazione delle prestazioni rispetto ad altri contesti territoriali. Rimandando al lavoro di Mele e Tosi (2009) per una dettagliata descrizione e spiegazione dei risultati raggiunti, sembra utile soffermarsi ad analizzare alcuni indicatori particolarmente significativi delle performance empolesi. Il laboratorio MES (2007), nel suo lavoro “Il sistema di valutazione delle performance della sanità toscana”, ha analizzato ogni AUSL Toscana in tutti i loro molteplici aspetti mediante lo studio di numerosi indicatori. Essendo l’obiettivo della ricerca citata quello di fornire un quadro esaustivo in merito alla capacità delle singole AUSL di conseguire adeguati risultati nei vari ambiti nelle quali si trovano ad operare, essa rappresenta un privilegiato punto di osservazione per comprendere, almeno da un punto di vista generale, la bontà dell’approccio empolese. Lo studio del Laboratorio MES (2007) mette in rilievo che l’AUSL Empolese presenta una buona capacità di conseguire nel tempo gli obiettivi regionali, presentando la più alta percentuale nel panorama toscano di indicatori dal valore “buono” o “ottimo” (29 su 46, 63%) e non mostrando aree di particolari criticità. La constatazione che l’AUSL empolese sia capace di conseguire ottimi risultati generali non autorizza tuttavia ad affermare che le performance nel nostro campo di analisi -gli anziani non autosufficientisiano altrettanto valide. Per approfondire la questione è utile far ricorso al portale “ISA 65+” dell’ARS Toscana, che raggruppa un set di 22 indicatori aggiornati annualmente in merito alla qualità ed all’efficacia delle cure agli anziani erogate dalle AUSL toscane. Pur rimanendo ad un livello di analisi piuttosto generale, lo studio di tali indicatori mostra che l’AUSL empolese riesce a conseguire i migliori risultati nel contesto toscano. Nel grafico 3.7, si nota infatti che la AUSL 11 si colloca alla seconda posizione per il numero di indicatori migliori della media regionale e alla penultima posizione per quelli peggiori. Nel complesso si pone dunque ai vertici di questa particolare classifica37. Alle medesime conclusioni si giunge scendendo nel dettaglio degli indicatori che più di altri testimoniano la capacità di erogare una assistenza continuativa ed appropriata che consenta di evitare il ripresentarsi di eventi patologici acuti (ad esempio: la terapia farmacologica nei casi di infarto incidenti, la terapia farmacologica nei casi prevalenti di infarto, i soggetti con ictus sottoposti a riabilitazione entro 30 giorni), dato che l’AUSL 11 manifesta valori “significativamente migliori della media regionale”. 37 60 Grafico 3.7 INDICATORI RELATIVI ALL’ASSISTENZA AGLI ANZIANI SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORI, PEGGIORI O NELLA MEDIA RISPETTO ALLA RELATIVA MEDIA REGIONALE AUSL 1 AUSL 2 6 10 15 3 AUSL 3 AUSL 4 AUSL 5 AUSL 6 6 4 6 14 7 5 7 11 8 9 10 6 2 7 8 11 5 2 4 14 9 0 5 8 7 AUSL 11 AUSL 12 1 3 14 4 AUSL 7 AUSL 8 AUSL 9 AUSL 10 2 14 2 14 4 Indicatori migliori 6 8 10 12 3 14 Indicatori nella media regionale 16 18 20 22 Indicatori peggiori Fonte: ARS Toscana Sintetizzando quanto emerso da queste due distinte fonti informative -il laboratorio MES (2007) ed il portale ISA 65+ dell’ARS Toscana- si evince che le performance dell’AUSL 11 sono tra le migliori nel panorama toscano sia nel complesso che nel più ristretto campo di analisi degli anziani38. Tale constatazione consentirà di apprezzare con maggiore cognizione di causa i risultati mostrati nei seguenti paragrafi, oltre a costituire un utile riferimento per un qualsiasi tentativo di paragone tra le evidenze emerse in questa ricerca e quelle relative ad altri contesti territoriali. 3.3 Le caratteristiche dei caregivers e dei loro assistiti Al fine di descrivere in maniera esauriente il contesto nel quale l’indagine è stata effettuata e al contempo fornire i corretti riferimenti per interpretare le analisi che seguono, si riporta una sintetica descrizione delle caratteristiche generali dei caregivers intervistati e dei loro assistiti non autosufficienti. L’AUSL di Empoli si pone, per alcuni significativi aspetti legati alla prevenzione, addirittura ai vertici della relativa classifica nazionale. L’indicatore “giorni perduti per cause evitabili” -che calcola la capacità di minimizzare la mortalità implicata da tutte quelle cause definite “evitabili” proprio perché riducibili con efficaci interventi di prevenzione primaria e secondaria, diagnosi e terapie precoci, assistenza ospedaliera e territoriale opportuna- mostra infatti per l’AUSL 11 valori nettamente migliori sia rispetto alla media toscana che, soprattutto, a quella nazionale (cfr. in proposito ERA, 2007). 38 61 Per quanto riguarda gli assistenti familiari, essi si caratterizzano per il loro forte legame di parentela con l’anziano. In genere, come mostrato nel seguente grafico (Graf. 3.8), essi sono figli o conviventi del non autosufficiente. Grafico 3.8 RIPARTIZIONE PERCENTUALE DEL RAPPORTO DI PARENTELA DEL CAREGIVER CON L’ANZIANO NON AUTOSUFFICIENTE 60% 53,8 50% 40% 30% 21,2 20% 12,0 10% 6,9 3,1 1,6 1,3 0% Figlio/a Coniuge/ Nuora/Genero Convivente Nipote Fratello/Sorella Cognata/o Altro Fonte: elaborazioni IRPET Il dato rilevato sembra in linea con quanto emerge a livello nazionale, dato in oltre la metà dei casi gli assistenti familiari risultano essere i figli, seguiti dal coniuge39. Tutto ciò conferma che l’assistenza è fornita in maniera preponderante da parte dei parenti più stretti e che il carico assistenziale diminuisce con l’affievolirsi del legame di parentela. La spinta a divenire caregiver generata dalla parentela troverebbe difficoltà a manifestarsi in assenza della reale possibilità -in particolare a proposito del tempo a disposizione- a svolgere tali mansioni. L’elevata età media degli assistenti (61 anni in Italia -Eurofamcare, 2007) caratterizza gli assistenti come persone in genere già uscite dal mercato del lavoro, ossia individui in grado di dedicare una quota rilevante del tempo giornaliero ai parenti in difficoltà40. La situazione presente nel contesto empolese non si discosta molto dalle evidenze nazionali: neanche il 10% dei caregivers ha meno di 45 anni mentre quasi il 70% di essi ne ha oltre 55 (Graf. 3.9). Cfr. Eurofamcare (2007). Ciò è confermato dal fatto che oltre il 60% dei caregivers sono casalinghe o pensionati (Eurofamcare, 2007). 39 40 62 Grafico 3.9 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER ETÀ DEL CAREGIVER 40% 30% 34,6 33,0 Da 56 a 65 anni Oltre 65 anni 23,0 20% 7,2 10% 2,2 0% Fino a 35 anni Da 36 a 45 anni Da 46 a 55 anni Fonte: elaborazioni IRPET La distribuzione per età del caregiver mette in rilievo che numerosi assistenti risultano a loro volta ad alto rischio di non autosufficienza. Per rendere l’idea, circa il 9% (il 10% in Italia -Eurofamcare, 2007) ha 80 anni o più, lasciando prevedere che, in alcuni casi, si potrà avere entro un lasso temporale relativamente breve un nucleo familiare composto da più individui non autosufficienti. Il genere dell’assistente è solitamente femminile: infatti, in quasi tre casi su quattro l’assistente familiare è donna (Graf. 3.10). Il dato è in linea con quanto rilevato in altre indagini di respiro nazionale, dato che solo il 20% circa dei caregivers è di sesso maschile. Tuttavia è interessante notare che se si osservano nel contesto italiano le ore di assistenza prestate il differenziale a sfavore del genere maschile si riduce: poco più del 30% del carico assistenziale è svolto da uomini, il restante da donne (Eurofamcare, 2007)41. Mettendo insieme le informazioni si deduce che la probabilità che il genere maschile si presta meno frequentemente all’attività assistenziale, ma nei casi in cui lo fa l’impegno garantito è relativamente più consistente di quanto offerto mediamente dalle caregivers femminili. Quest’ultima considerazione può essere l’effetto del fatto che, in genere, sulla donna ricade anche l’onere di assolvere gli impegni derivanti dal proprio nucleo familiare, fatto che può limitarne la capacità assistenziale. Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il caregiver è coniugato o convivente, ossia appartenente ad un nucleo familiare che può comprendere o meno anche l’anziano non autosufficiente (Graf. 3.11). Come si vedrà nel paragrafo 4.1 questa evidenza riscontrata nel contesto nazionale non è del tutto verificata nel nostro ambito di indagine. 41 63 Grafico 3.10 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER SESSO DEL CAREGIVER 80% 71 60% 40% 29 20% 0% Maschio Femmina Fonte: elaborazioni IRPET Grafico 3.11 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER STATO CIVILE DEL CAREGIVER 100% 80,7 75% 50% 25% 8,5 6,6 4,1 Nubile/Celibe Vedovo Divorziato/Separato 0% Coniugato/Convivente Fonte: elaborazioni IRPET Un ulteriore elemento che incide sull’assistenza fornita è il titolo di studio posseduto. L’evidenza che si riscontra a livello nazionale è che il livello di istruzione è correlato positivamente con l’attività assistenziale: tra i caregivers il 16% è laureato ed il 34% diplomato mentre tra coloro che, pur appartenendo alle medesime classi di popolazione, non prestano attività assistenziale le percentuali sono, rispettivamente, dell’11% e del 27% (Eurofamcare, 2007). A questo proposito i risultati dell’indagine (Graf. 3.12) mostrano una discrepanza significativa rispetto al dato nazionale: solo il 5% circa è laureato ed il 18% diplomato, mentre quasi il 50% ha al massimo la licenza elementare. 64 Grafico 3.12 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER TITOLO DI STUDIO DEL CAREGIVER 50% 40,4 40% 28,8 30% 18,3 20% 10% 7,3 5,2 0% Non ha completato la scuola elementare Scuola elementare Scuola media Scuola superiore Università o studi post-universitari Fonte: elaborazioni IRPET Una delle possibili spiegazioni di questo risultato dissonante può essere rintracciata nel peculiare modello di sviluppo che tradizionalmente interessa il contesto empolese. Secondo l’analisi di Bacci (2002) che ha identificato per ogni sistema economico locale toscano le caratteristiche della traiettoria di crescita socio-economica, il contesto empolese è interessato da uno sviluppo tipicamente industriale. L’area empolese, essendo territorialmente collocata lungo il corso dell’Arno, è tra le aree nelle quali si è sviluppato il primo processo di industrializzazione della Regione Toscana -datato a cavallo tra gli anni ’60 e ’70- che era ed è caratterizzato da una moltitudine di piccole e medie imprese specializzate in produzioni manifatturiere ed organizzate sotto forma di distretto. Proprio l’organizzazione distrettuale, studiata a lungo da numerosi autori, rappresenta il motivo del più basso livello di istruzione riscontrato. È infatti normale riscontrare nelle aree distrettuali una minore propensione al proseguimento degli studi a causa sia della presenza di appetibili occasioni lavorative che della prevalenza della cultura del “saper fare” rispetto a quella di stampo tradizionale. Volendo tentare a questo punto di caratterizzare il caregiver tipico, si può affermare che esso è, in genere, un parente stretto dell’anziano, di età piuttosto avanzata, di sesso femminile, coniugato, con un basso titolo di studio. Tale caratterizzazione pare in linea con quanto rilevato dalle indagini empiriche discusse nel paragrafo 2.2. Passando adesso ad analizzare le caratteristiche della persona non autosufficiente, si nota che essa ha una età media molto elevata (circa 85 anni), senza contare che più della metà degli assistiti ha più di 80 anni (Graf. 3.13). Tale evidenza non rappresenta una sorpresa, data la stretta correlazione che intercorre tra età avanzata e condizione di non autosufficienza. 65 Grafico 3.13 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER ETÀ DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI 36% 27,6 24,3 24% 16,9 14,6 12% 8,8 6,0 1,8 0% Meno di 70 Da 70 a 74 Da 75 a 79 Da 80 a 84 Da 85 a 89 Da 90 a 94 Più di 95 Fonte: elaborazioni IRPET Le informazioni desunte dal grafico appena presentato consente di spiegare con maggiore precisione anche alcune caratteristiche del caregiver analizzate in precedenza. Appare infatti perfettamente coerente che gli assistenti familiari -che in buona parte sono i figli dell’anziano- di disabili con un’età elevata abbiano a loro volta un’età relativamente alta, tale da caratterizzarli, in genere, come non più attivi sul mercato del lavoro. L’anziano non autosufficiente è in genere di sesso femminile: la grande maggioranza dei non autosufficienti è infatti donna (Graf. 3.14). Questo dato è in linea con quanto rilevato in ambito nazionale, dato che l’ISTAT (2005) ha stimato una incidenza quasi doppia della non autosufficienza per il genere femminile rispetto a quella maschile. Grafico 3.14 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER SESSO DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI 80% 69,6 60% 40% 30,4 20% 0% Maschio Femmina Fonte: elaborazioni IRPET Come atteso il titolo di studio dell’anziano è piuttosto basso, non superando la licenza elementare quasi nella totalità dei casi (Graf. 3.15). Il dato non è certo sorprendente, essendo rilevata anche a 66 livello nazionale una certa correlazione tra disabilità e basso titolo di studio. In realtà questa evidenza sembra suscettibile di essere spiegata anche in maniera più intuitiva: l’elevata età media dei non autosufficienti consente di affermare che essi hanno frequentato la scuola in un periodo storico -sicuramente antecedente agli anni ’70- nel quale non era presente una scolarizzazione di massa42. Grafico 3.15 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER TITOLO DI STUDIO DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI 60% 47,2 46,5 45% 30% 15% 3,3 2,5 0,5 0% Scuola elementare Non ha completato la scuola elementare Scuola media Scuola superiore Università o studi post-universitari Fonte: elaborazioni IRPET L’anziano vive in genere con una o due persone, che quasi sempre sono il coniuge (se presente), uno dei figli o la badante (Graf. 3.16). Non è comunque raro riscontrare casi nei quali il soggetto vive da solo: ben nel 12% circa dei casi siamo in presenza di solitudine abitativa. Quest’ultimo dato, che pare a prima vista piuttosto elevato, risulta invece inferiore rispetto a quanto rilevato a livello nazionale: ben il 31,9% delle persone con disabilità in Italia vive da sola ISTAT (2005)43. A complemento di questa analisi descrittiva sulla numerosità delle persone con le quali vive l’anziano, è utile osservarne lo stato civile. Si nota che nella maggioranza dei casi l’anziano è in condizione di vedovanza, spiegando così il motivo del forte impegno assistenziale da parte dei figli, che rappresentano i parenti più prossimi del non autosufficiente (Graf. 3.17). Cfr. in proposito Santamaita (1999). Dalla stessa fonte si evince che la grande maggioranza di queste persone sono rappresentate da donne vedove. L’età media delle persone non autosufficienti che vive in solitudine è di 78,2 anni per gli uomini e 81,3 per le donne. Cfr. in proposito anche www.handicapincifre.it. 42 43 67 Grafico 3.16 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER NUMEROSITÀ DI PERSONE CON LE QUALI VIVE IL NON AUTOSUFFICIENTE 50% 42,0 40% 25,9 30% 20% 11,7 11,1 6,6 10% 1,8 1,0 5 Oltre 5 0% Nessuna 1 2 3 4 Fonte: elaborazioni IRPET Grafico 3.17 RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER STATO CIVILE DEL NON AUTOSUFFICIENTE 70% 58,6 56% 36,1 42% 28% 14% 4,7 0,6 0% Vedovo Coniugato/Convivente Nubile/Celibe Divorziato/Separato Fonte: elaborazioni IRPET Volendo a questo punto tentare di caratterizzare l’anziano non autosufficiente, si può affermare che: appartiene alla coorte degli ottantenni; ha un basso titolo di studio; è di sesso femminile, in condizione di vedovanza e convivente con una o più persone. 68