Le famiglie e l`assistenza agli anziani non autosufficienti:

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Le famiglie e l`assistenza agli anziani non autosufficienti:
IRPET
Istituto
Regionale
Programmazione
Economica
Toscana
Le famiglie e
l’assistenza agli anziani
non autosufficienti:
il caso empolese
a cura di
Filippo Tosi
IRPET
Istituto
Regionale
Programmazione
Economica
Toscana
Le famiglie e l’assistenza
agli anziani non autosufficienti:
il caso empolese
a cura di
Filippo Tosi
V
S O C I E TAd e l l a
S A LU T E d i E M P O L I
Firenze, Dicembre 2009
RICONOSCIMENTI
Questa ricerca, commissionata dalla Regione Toscana-Direzione Generale Diritto alla
Salute e Politiche di Solidarietà, è stata realizzata dall’IRPET che si è avvalso di un gruppo
di lavoro a cui hanno partecipato:
- Giovanna Faenzi, Patrizio Nocentini, Luca Puccetti (Regione Toscana);
- Nedo Mennuti, Renato Ferrucci, Serena Sandonnini e Michela Franchini (Società della
Salute di Empoli);
- Piero Salvadori (AUSL 11-Empoli).
La ricerca, coordinata da Stefania Lorenzini, è stata curata da Filippo Tosi con la
collaborazione di Lara Antoni (§ 4.1) e Elena Cappellini (§ 4.2). Le elaborazioni statistiche
sono state effettuate da Valentina Patacchini. Le interviste telefoniche sono state realizzate
da EUREMA S.r.l..
Elena Zangheri ha curato l’allestimento editoriale del testo.
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento va a tutte le persone intervistate, che con la loro disponibilità a
collaborare hanno reso possibile la realizzazione di questa indagine. Si ringrazia inoltre la
Società della salute di Empoli per il supporto tecnico fornito in tutte le fasi della ricerca e
Sara Mele dell’IRPET per gli utili suggerimenti forniti nella fase di impostazione del lavoro.
Indice
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Presentazione
di Gianni Salvadori
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SINTESI DELLA RICERCA
13
INTRODUZIONE
Parte I
IL PROBLEMA
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1.
NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA IN
ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI
1.1 Chi sono i non autosufficienti
1.2 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti
1.3 L’impatto sulle finanze pubbliche
1.4 I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate
2.
LE CURE AI NON AUTOSUFFICIENTI: IL RUOLO DI MERCATO, FAMIGLIA
E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
2.1 I modelli assistenziali
2.2 Le interazioni tra i soggetti: i risultati della teoria economica e dell’analisi
empirica
Parte II
L’INDAGINE
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57
61
3.
L’INDAGINE SUL LAVORO DI CURA NELLA AUSL 11 - EMPOLI
3.1 La struttura e le finalità dell’indagine
3.2 Il contesto della AUSL 11 - Empoli
3.3 Le caratteristiche dei caregivers e dei loro assistiti
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69
83
111
121
4.
LA SCELTA DEL METODO ASSISTENZIALE E I SUOI EFFETTI
4.1 L’assistenza familiare
4.2 Il ricorso alle collaboratrici domestiche
4.3 I servizi pubblici
4.4 Il volontariato
131
131
133
5.
ALCUNI APPROFONDIMENTI
5.1 Effetti economici dell’assistenza
5.2 L’assistenza desiderata
Parte III
IDEE PER LA TOSCANA
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143
145
147
6.
LA NON AUTOSUFFICIENZA IN TOSCANA: RILEVANZA ED EFFETTI
6.1 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti in Toscana
6.2 L’impatto sulle finanze pubbliche toscane
6.3 Le recenti politiche della Regione Toscana
151
7.
DAL CASO EMPOLESE A QUELLO TOSCANO: ALCUNE IMPLICAZIONI LOGICHE
159
BIBLIOGRAFIA
165
Appendice
IL QUESTIONARIO UTILIZZATO
Presentazione
La Toscana è interessata da un processo di progressivo invecchiamento
della popolazione, persino più marcato rispetto al dato nazionale, che
si riverbera immediatamente sulla gestione dei processi di cura. Infatti,
all’interno del 20% delle famiglie toscane è presente almeno una persona
non autosufficiente.
La Regione Toscana, attraverso la LR. 66/2008 “Istituzione del fondo
regionale per la non autosufficienza”, ha costruito un sistema territoriale
integrato di servizi sociosanitari nell’area della non autosufficienza, che
deve essere in grado di assicurare efficacia e appropriatezza degli interventi
in ogni fase del percorso assistenziale, personalizzando e diversificando
rispetto alla gravità del bisogno.
In questo quadro, l’offerta assistenziale deve arricchirsi di azioni che
supportino e sostengano il lavoro di cura e di assistenza della famiglia,
anche attraverso figure dedicate all’assistenza della persona.
Tale sostegno rende talora possibile favorire il mantenimento della
persona non autosufficiente all’interno della propria abitazione, evitando
il ricovero in una struttura residenziale ed assicurando così agli anziani
un percorso di vita più sereno, vicino agli affetti familiari ed alle abitudini
consolidate negli anni.
Tutto ciò è possibile solo con la creazione di un adeguato sistema di
supporto per le famiglie. Le indicazioni preziosissime offerte da questa
ricerca, pur riferendosi ad un ambito territoriale circoscritto, forniscono
risultati rappresentativi per la gestione delle criticità di assistenza presenti
nelle famiglie toscane.
Gianni Salvadori
Assessore alle Politiche Sociali e allo Sport
della Regione Toscana
5
SINTESI DELLA RICERCA
La tutela dei bisogni delle persone non autosufficienti rappresenta ormai
da alcuni decenni una delle più rilevanti sfide delle società sviluppate.
L’effetto congiunto del progressivo invecchiamento della popolazione
e della sempre più scarsa attitudine della rete parentale a prendersi cura
integralmente del soggetto dipendente, come invece avveniva in passato,
determina infatti una modifica sostanziale della divisione del lavoro di
assistenza tra famiglia, pubblica amministrazione e mercato.
I dati mostrano un deciso incremento dell’incidenza della popolazione
anziana in tutti i Paesi sviluppati da oggi al 2040 -che raggiungerà quasi
il 30%- causato principalmente dall’aumento dell’aspettativa di vita -già
oggi mediamente intorno agli 80 anni- e dal basso tasso di fecondità, che
difficilmente sarà sufficiente per garantire una equilibrata struttura della
società nei prossimi decenni. Il comportamento della società toscana non
si discosterà da questa evidenza generale: le stime ISTAT in proposito
mostrano infatti che gli anziani nel 2040 rappresenteranno circa il 32%
dell’intera popolazione regionale.
Anche il declino dell’attitudine della famiglia a prendersi cura del
non autosufficiente, pur variando nell’entità da Paese a Paese, sembra
una tendenza generale ed affermata. La progressiva emancipazione ed il
contestuale aumento della partecipazione sul mondo del lavoro da parte
della popolazione femminile -tradizionalmente quella chiamata ad espletare
i doveri assistenziali- diminuiscono infatti la disponibilità e la possibilità
da parte della famiglia a prendersi cura del parente non autosufficiente.
Ciò è vero in particolare nei Paesi, come l’Italia, dove le caratteristiche del
mercato del lavoro e dei servizi pubblici rendono difficoltosa la conciliazione
delle attività lavorative con quelle assistenziali. Anche la Toscana, sebbene
sia caratterizzata da una coesione sociale ben più accentuata che in altri
contesti, mostra di seguire questa tendenza generale.
I fenomeni richiamati esercitano una pressione crescente sulla pubblica
amministrazione, che è chiamata a coniugare l’erogazione di un volume
crescente di prestazioni con la sostenibilità finanziaria intertemporale
del modello di welfare adottato, e sul mercato, dove si assiste ad una
rilevante e crescente domanda di servizi di assistenza diretta ai soggetti
non autosufficienti.
Le prestazioni assistenziali, essendo caratterizzate da un’alta intensità
di lavoro e da una difficile sostituibilità di quest’ultimo con capitale, si
caratterizzano per l’elevatezza del loro costo. Ciò si traduce, a livello
aggregato, in una elevata incidenza sul PIL: attualmente oltre l’1% in molti
7
Paesi europei (compresa l’Italia) con la tendenza al raddoppio da oggi al
2050. Al fine di ridurre l’impatto sulle finanze pubbliche e di garantire
servizi più conformi alle nuove esigenze, in alcuni Paesi si è assistito
negli anni passati ad una riforma, parziale o totale, dei servizi ai non
autosufficienti. Ad esempio, in Germania già dal 1995 è stata introdotta
una specifica assicurazione obbligatoria (Soziale Pflegeversicherung)
che si integra e si coordina con le altre quattro già presenti nel welfare
state tedesco. In Italia, sebbene le proposte siano state numerose, un
progetto di riforma nazionale pare ancora lontano dall’essere approvato.
Ciononostante, a livello regionale le innovazioni sono state significative ed
hanno riguardato in particolare la creazione in molti contesti di un apposito
Fondo Regionale per la Non Autosufficienza al fine di razionalizzare,
coordinare e magari ampliare -come fatto dalla Regione Emilia Romagnamediante l’introduzione di una specifica fonte di entrata il volume di risorse
destinato a garantire le prestazioni per i soggetti dipendenti. Con la Legge
Regionale n. 66/2008 la Toscana si è inserita nell’insieme di Regioni che
hanno introdotto un apposito Fondo ed una sostanziale riorganizzazione
dei servizi ai non autosufficienti, i cui effetti potranno essere valutati in
maniera adeguata ed esaustiva solo nel prossimo futuro.
L’aumento del bisogno assistenziale e la diminuzione della disponibilità
della famiglia a prestare assistenza, associati a servizi pubblici non
sufficientemente estesi, hanno creato in molti Paesi la condizione ideale
per lo sviluppo di un fiorente mercato di prestazioni assistenziali fornite
da personale prevalentemente straniero, spesso irregolare, a basso costo
e scarsamente qualificato. In Italia, secondo le statistiche ufficiali, sono
presenti quasi 600mila collaboratori domestici stranieri, di cui circa 52mila
solo in Toscana. Secondo alcuni, tuttavia, essi potrebbero essere addirittura
il doppio se consideriamo anche quelli irregolarmente presenti sul territorio
nazionale.
La teoria economica affronta ormai da tempo il tema della tutela delle
persone non autosufficienti, concentrandosi sulle possibili modalità di
finanziamento di un sistema pubblico, sulle diverse strategie di individuazione
dei beneficiari, sull’efficienza e sull’efficacia delle prestazioni, sulla sostenibilità
intergenerazionale dei modelli di welfare, ecc.. Tra gli aspetti relativamente
meno dibattuti è presente -nonostante ciò sia di cruciale importanza negli
ambiti della previsione e dell’organizzazione dei servizi pubblici- lo studio
delle motivazioni che guidano il primary caregiver nella scelta del modello
ideale assistenziale più idoneo tra quelli generalmente individuati: la soluzioni
residenziale, l’assistenza familiare coadiuvata dai servizi pubblici, il ricorso ad
una collaboratrice domestica (badante).
L’indagine diretta presentata in questa ricerca -che è stata realizzata nei
mesi di ottobre e novembre 2008, e quindi antecedentemente alla riforma
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introdotta con la L.R. 66/2008- ha avuto come principali obiettivi, oltre
a quello generico di fornire un quadro dell’attività assistenziale ai non
autosufficienti, quelli di analizzare le scelte operate dal primary caregiver,
le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro implicazioni economiche.
Ulteriori finalità perseguite, comunque legate a quelle poc’anzi esplicitate,
sono state lo studio della capacità di conciliazione tra attività assistenziale
e lavorativa e di riduzione del “peso” dell’onere assistenziale. Tale
studio è stato condotto a partire dall’osservazione diretta di un caso
concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non
autosufficiente residente nell’ambito della Società della Salute di Empoli.
I principali risultati emersi sono riassunti nei punti elencati di seguito.
1. In generale, il lavoro di assistenza ai non autosufficienti è ancora oggi
svolto prevalentemente da persone di sesso femminile (71% del totale),
legate da uno stretto vincolo di parentela con l’anziano (figlio/a nel
54% dei casi, coniuge nel 21%, genero/nuora nel 12%), di età piuttosto
avanzata (quasi il 70% ha superato i 55 anni), prevalentemente non
impegnate sul mondo del lavoro (oltre il 70% non è occupato).
2. Il modello assistenziale scelto dal primary caregiver pare essere
condizionato dalla numerosità di ore settimanali lavorate da quest’ultimo:
all’assenza di un impiego è legata l’assistenza personale da parte del
parente, ad un lavoro part-time o comunque flessibile viene associata
la combinazione tra assistenza informale e ricorso ai servizi pubblici,
al lavoro a tempo pieno è infine positivamente correlato l’acquisto di
prestazioni assistenziali sul mercato. È invece molto debole il legame
tra il reddito familiare e la scelta del metodo assistenziale, anche se si
rileva una leggera propensione dei caregivers più facoltosi a rivolgersi
ai servizi di mercato.
3. I dati relativi ai collaboratori domestici hanno associato a questa
categoria di lavoratori un ruolo di primaria importanza nell’assistenza ai
non autosufficienti. Il 42% dei primary caregivers intervistati ha infatti
dichiarato di utilizzare questo servizio e tra loro oltre la metà ha detto
di aver assunto una badante che convive con l’assistito (53%) o che
comunque si occupa di quest’ultimo per oltre 60 ore settimanali (55%).
Si tratta prevalentemente di personale straniero (86%) e quasi sempre di
donne (98%), che non di rado vengono assunte irregolarmente attingendo
dalle reti di conoscenza informali. La ricerca ha inoltre messo in rilievo
che alla diffusa presenza di lavoro nero o grigio non corrisponde un
sostanziale abbassamento del salario garantito rispetto a quello previsto
nel contratto nazionale. Tale situazione, che in alcuni casi incontra
anche i favori delle badanti straniere, si inserisce in un contesto nel
quale l’informalità dei rapporti lavorativi prevale nettamente su ogni
forma di ufficialità.
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4. I risultati emersi in merito ai servizi erogati dalla pubblica
amministrazione mostrano un quadro che, sebbene risulti in vari punti
migliore rispetto alla media nazionale e soprattutto a molte altre realtà
regionali, non si discosta sostanzialmente da quanto rilevato a livello
italiano. La tradizionale scarsità dei servizi pubblici a favore dei non
autosufficienti nel nostro Paese -effetto del modello di welfare di stampo
familista storicamente adottato- scontrandosi con le mutate esigenze
dei potenziali utenti, si traduce in una assistenza domiciliare (ADI)
poco estesa e poco incisiva rispetto al necessario ed in una rilevanza
marginale delle altre opzioni assistenziali (centri diurni, ricoveri di
sollievo, ecc.). Nonostante che gli utenti si dichiarino estremamente
soddisfatti delle prestazioni ricevute, i servizi in questione dimostrano
una scarsa capacità conciliativa delle attività di assistenza e lavoro che,
tuttavia, non è imputabile esclusivamente alla struttura di questi ultimi
bensì anche alla rigidità del mercato del lavoro italiano, tradizionalmente
restio a generare posti di lavoro a part-time e/o ad orario flessibile.
Migliori sono invece le ripercussioni sul tempo libero del caregiver,
dato che i servizi pubblici riescono a creare spazi di libertà che alleviano
il “peso” dell’assistenza.
5. L’analisi del ricorso ai servizi di volontariato mostra che la platea dei
beneficiari -i quali in genere si dichiarano soddisfatti della qualitàè piuttosto contenuta e caratterizzata da un utilizzo ingente di tali
prestazioni. Anche per la loro natura, tali servizi mostrano una bassa
attitudine a conciliare lavoro e assistenza all’anziano disabile, mentre
riescono ad avere positive ripercussioni sul tempo libero del caregiver
sgravandolo di alcune mansioni e, per questa via, aiutandolo ad espletare
con minore difficoltà l’onere assistenziale al quale è chiamato.
6. Lo studio dell’impatto economico dell’attività assistenziale ha messo
in rilievo che, a causa della difficoltà a conciliare lavoro ed assistenza,
risultano piuttosto frequenti le riduzioni dell’orario di lavoro (quasi il
30% del totale dei caregivers lavoratori) alle quali si è dovuti ricorrere
a causa del sopravvenire delle necessità assistenziali dell’anziano.
La riduzione di orario, quantificata prevalentemente in 15/20 ore
settimanali, ha ovviamente avuto ripercussioni sul reddito percepito in
maniera spesso non trascurabile: per oltre il 15% dei soggetti interessati
si è infatti assistito ad una contrazione di oltre 400 euro mensili, pari a
circa un terzo del reddito medio mensile.
7. L’analisi dell’“assistenza desiderata”, ossia del modello assistenziale
che il caregiver sceglierebbe in assenza di vincoli, mostra che le
soluzioni attualmente adottate rappresentano l’ottimo per molti dei
soggetti analizzati, ma non per tutti. Esiste infatti una parte di caregivers
(quantificabile in circa un decimo del totale), prevalentemente
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caratterizzati da un’età relativamente bassa, da un titolo di studio elevato,
da un impiego full-time, che manifesta palesemente la difficoltà (cd.
stress del caregiver) a proseguire con il modello assistenziale adottato
sinora. L’esigenza prioritaria che viene dichiarata non sembra essere
tanto legata alla completa delega dell’attività assistenziale, bensì ad
una ripartizione del carico assistenziale su una numerosità di soggetti
(altri familiari, personale dei servizi pubblici, personale a pagamento)
ben più cospicua di quella attuale, pur rimanendo parte -magari con
funzione anche di coordinamento- del gruppo che cura l’assistenza del
parente non autosufficiente.
Il quadro appena descritto mostra una situazione complessiva
piuttosto soddisfacente, ma non esente da alcuni elementi di criticità, così
sintetizzabili:
- la bassa estensione dei servizi;
- la scarsa capacità conciliativa lavoro-assistenza;
- la diffusa presenza di lavoro nero o grigio;
- l’elevato impatto economico e “personale” dell’attività di assistenza sul
caregiver;
- l’inadeguatezza del modello assistenziale sinora adottato per una
ristretta quota di assistenti familiari.
In generale, infine, è possibile riscontrare la diffusa esigenza del
caregiver a condividere il carico assistenziale con un numero maggiore di
soggetti. Tale necessità pare particolarmente sentita da parte dei caregivers
relativamente giovani, ossia da quell’insieme di soggetti caratterizzato da
una maggiore attività sul mercato del lavoro, da un titolo di studio più
elevato e, presumibilmente, anche da una struttura di valori differente
da quella della generazione precedente. È pertanto prevedibile che nel
prossimo futuro, in virtù della naturale sostituzione dell’attuale generazione
di caregivers con le successive, si assista ad un accentuarsi delle criticità
sin qui messe in rilievo. Tali criticità, ovviamente, rappresentano delle
sfide che la pubblica amministrazione, regionale e soprattutto nazionale, è
chiamata a raccogliere adottando già da oggi le politiche opportune.
In Toscana, l’amministrazione regionale è intervenuta sul finire del 2008
varando il già ricordato Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (L.R.
66/2008). La Regione Toscana, mediante questo strumento che consentirà
di erogare risorse per oltre 300 milioni di euro annui fino al 2010, si propone
di aumentare l’estensione e l’incidenza dell’assistenza domiciliare, di
incrementare i servizi semi-residenziali, di ridurre le liste di attesa per
l’accesso ad una RSA, di far emergere mediante un contributo monetario
condizionato numerose collaboratrici domestiche. L’introduzione del
Fondo Regionale, al quale è stata associata anche una riorganizzazione dei
servizi adesso centrati sui cd. “Punti Insieme”, affronta numerosi aspetti
11
problematici sollevati in questa ricerca: l’incremento dell’ADI e dei servizi
semi-residenziali consentirà di aumentare i beneficiari e di migliorare la
capacità conciliativa lavoro-assistenza, la riduzione delle liste di attesa per
l’inserimento in una RSA risponderà alle necessità della quota di caregiver
caratterizzati da livelli particolarmente elevati di stress, il contributo
monetario alle assistenti domestiche incentiverà l’emersione di alcune
badanti.
Come già accennato, è ancora troppo presto per poter valutare in maniera
esauriente gli effetti delle politiche adottate dalla Regione Toscana: tale
operazione potrà infatti essere condotta solo dopo che sarà trascorso un lasso
di tempo sufficientemente lungo. Ciononostante, vale la pena osservare che
dai primi dati traspare l’impressione che le azioni intraprese siano efficaci
nell’affrontare le criticità rilevate nella ricerca e poc’anzi esplicitate.
Tuttavia, a causa del prevedibile evolversi di numerose variabili sociali che
porteranno all’acuirsi delle criticità richiamate, difficilmente le politiche
sinora adottate potranno rappresentare la soluzione definitiva al problema,
bensì un primo passo sulla strada della realizzazione di un organico sistema
che sappia garantire anche in futuro a tutti i non autosufficienti ed ai loro
assistenti una adeguata tutela delle loro ingenti necessità.
12
INTRODUZIONE
La questione dell’assistenza continuativa ai non autosufficienti è già da alcuni
anni al centro del dibattito in tutti i Paesi sviluppati a causa della crescente
rilevanza, sia sociale che economica, che il tema sta progressivamente
assumendo. L’effetto congiunto dell’invecchiamento della popolazione,
della forte incidenza delle malattie croniche (tra i principali responsabili
della non autosufficienza) e della minore propensione della famiglia ad
erogare cure informali, eserciterà in futuro sulla pubblica amministrazione
una crescente pressione volta ad ottenere cure assistenziali. Le ricerche
empiriche e le previsioni in proposito, che testimoniano la rilevanza del
fenomeno, destano forti preoccupazioni: la quota di ultra 65enni al 2040
nei Paesi OCSE sarà raddoppiata rispetto al valore del 2000 (dal 13,8% al
25,6%) (OCSE, 2005), l’incidenza delle malattie croniche aumenterà nel
mondo del 17% al 2015 (WHO, 2005), il numero di disabili ultra 75enni
senza sufficiente assistenza familiare in Europa al 2030 aumenterà almeno
del 40% (Gaymu, 2008)1.
La creazione di un adeguato sistema pubblico si rivela dunque una
necessità sempre più impellente, non solo per sostenere i non autosufficienti
e le loro famiglie, ma anche per stimolare il sistema economico rendendo
possibile per il caregiver il mantenimento della posizione lavorativa.
Nonostante ciò, la creazione ed il potenziamento di un sistema pubblico
presenta alcuni problemi di fondo, riassumibili nelle difficoltà a (Ikegami,
Campbell, 2002):
- definire con precisione la linea di demarcazione tra la responsabilità
pubblica e quella privata;
- coordinare efficientemente le cure sanitarie con le prestazioni di
carattere sociale a causa dei loro diversi modi di operare;
- recuperare le ingenti risorse necessarie.
Quest’ultimo fattore è senza dubbio quello con il peso preponderante,
soprattutto se a ciò si associa, ragionando in un’ottica dinamica, la
sostenibilità nel tempo del sistema creato.
Sulla base di queste constatazioni, il dibattito nel nostro Paese si è
incentrato sulle possibili modalità di finanziamento, di individuazione dei
beneficiari, di erogazione delle prestazioni, in maniera tale da coniugare
La stima riportata è basata sullo studio FELICIE (www.felicie.org), che analizza la probabile
evoluzione delle strutture familiari degli anziani in alcuni Paesi europei. In questo studio viene
messo in luce come in futuro, contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, ci sarà un
numero di parenti prossimi agli anziani superiore a quanto rilevato attualmente. Ciò che invece verrà
probabilmente meno è la disponibilità dei parenti ad erogare cure informali, a causa, principalmente,
dell’aumentare delle distanze abitative e della riduzione del tempo disponibile.
1
13
virtuosamente le esigenze di contenimento della spesa e di sostenibilità
finanziaria con un sistema di interventi efficace rispetto agli obiettivi
prefissati.
Tra gli aspetti relativamente meno dibattuti troviamo invece lo studio
delle motivazioni che guidano il primary caregiver2 nella scelta della
soluzione assistenziale da adottare per garantire al non autosufficiente i
servizi necessari. Tale questione assume una importanza fondamentale
nell’ambito della previsione e dell’organizzazione del volume di servizi
pubblici, in particolare nei Paesi, come l’Italia, nei quali il diritto alle
prestazioni è universale. In tali contesti, infatti, l’operatore pubblico
deve essere disponibile a fornire quanto promesso a coloro che, essendo
in situazioni di bisogno, optino per l’assistenza esclusiva o integrativa
pubblica. Senza una corretta previsione non solo della numerosità dei non
autosufficienti e della loro condizione, ma anche delle scelte operate dagli
assistenti familiari, sussiste la concreta possibilità di non rispettare né i
vincoli di bilancio, né, con ovvie ricadute sull’equità intergenerazionale, la
sostenibilità nel lungo periodo dell’intero sistema.
La presente ricerca si propone di analizzare le scelte operate dal
primary caregiver, le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro
implicazioni economiche a partire dall’osservazione diretta di un caso
concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non
autosufficiente residenti nella Società della Salute di Empoli.
Il lavoro è organizzato come descritto di seguito.
Il primo capitolo descrive le caratteristiche e la rilevanza presente e
futura del problema della non autosufficienza ai livelli internazionale e
nazionale.
Il secondo capitolo identifica tre possibili modelli assistenziali e, in
seguito, sintetizza le indicazioni provenienti dalla letteratura economica e
dalle rilevazioni empiriche in merito alle motivazioni sottostanti alla scelta
della modalità di assistenza dell’anziano da parte del primary caregiver.
Il terzo capitolo descrive la struttura dell’indagine ed il contesto nel
quale è stata svolta. Esso fornisce inoltre una prima caratterizzazione dei
caregivers intervistati e dei loro assistiti.
Il quarto capitolo si incentra sulla descrizione e sull’analisi delle scelte
dei primary caregivers nel contesto empolese, utilizzando come schema
d’indagine i modelli assistenziali identificati nel capitolo due.
Il quinto capitolo si dedica ad alcuni approfondimenti particolarmente
significativi come la quantificazione economica dell’assistenza e l’analisi
dei desiderata dei primary caregivers.
Il primary caregiver è la persona responsabile della gestione dell’anziano in quanto ne coordina
l’attività di assistenza. Questa può essere fornita sia dal primay caregiver stesso e/o da altri caregivers
individuati nei familiari, conoscenti, personale dei servizi socio-sanitari pubblici, privati e di
volontariato.
2
14
Il sesto capitolo analizza e cerca di prevedere per il prossimo futuro le
caratteristiche, la rilevanza ed i possibili effetti del fenomeno della non
autosufficienza nel contesto toscano.
Il settimo ed ultimo capitolo, partendo da risultati emersi nel contesto
empolese, presenta un tentativo di individuazione delle aree della Toscana
nelle quali si potrebbero verificare le maggiori criticità nell’assistenza ai
non autosufficienti. La bibliografia e l’appendice, contenente il questionario
utilizzato nelle interviste, concludono infine il lavoro.
15
Parte I
IL PROBLEMA
17
1.
NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA
IN ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI
1.1
Chi sono i non autosufficienti
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la condizione di non
autosufficienza è determinata dalla compresenza di un numero piuttosto
elevato di fattori, tra i quali possiamo identificare quelli relativi agli aspetti
sanitari, sociali ed ambientali (WHO, 2001). La difficoltà ad identificare in
maniera oggettiva questi tre elementi, con particolare riferimento all’ultimo
menzionato, è alla base delle numerose discrepanze osservabili tra i vari Paesi
a proposito della definizione di dipendenza adottata e, conseguentemente,
dell’individuazione dell’insieme dei non autosufficienti. L’Italia non
fa eccezione, dato che la condizione in questione risulta diversamente
caratterizzata a seconda del soggetto che la definisce. Ad esempio, a livello
ministeriale viene definita come “la perdita di una funzione psicologica,
fisica e/o anatomica in grado di limitare o impedire la capacità di compiere
quelle attività considerate normali per un essere umano” (Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, 2002), mentre l’ISTAT (2005) identifica
“le persone con disabilità coloro che, escludendo le condizioni riferite
a limitazioni temporanee, hanno dichiarato di non essere in grado nello
svolgere le abituali funzioni quotidiane, pur tenendo conto dell’eventuale
ausilio di apparecchi sanitari”. Ancora differenti risultano poi le definizioni
adottate dall’INPS, in particolare per l’erogazione dell’indennità di
accompagnamento3, e dalle varie Regioni per identificare coloro che sono
eligibili per i vari programmi creati a livello locale. Tali discrepanze, che
possono in apparenza sembrare mere disquisizioni linguistiche, hanno
invece un impatto significativo su tutti gli aspetti del tema in questioneequità, sostenibilità finanziaria, efficacia del sistema, ecc. -in quanto segnano
la linea di demarcazione tra coloro che potranno risultare beneficiari delle
prestazioni e coloro che invece ne saranno esclusi.
Il problema evidenziato non è tuttavia l’unico sul tappeto. Al fine di
garantire l’efficienza e l’appropriatezza delle prestazioni è necessario
ricorrere ad una sorta di misurazione della non autosufficienza. In generale,
le modalità di valutazione del fenomeno sono riconducibili a tre approcci
distinti (Francesconi, Razzanelli, 2008). Il primo è basato sulla valutazione del
L’indennità di accompagnamento è stata istituita con la Legge 18/1980. Per maggiori dettagli cfr.
INPS (2008) e www.handylex.org.
3
19
deficit provocato dalla perdita di alcune funzionalità. Pur essendo oggettivo,
il metodo è limitato dalla sua monodimesionalità dato che non consente di
valutare alcuni aspetti significativi quali, in particolare, il contesto nel quale
il soggetto è inserito. Il secondo si focalizza sulla valutazione delle attività
che il non autosufficiente non è in grado di espletare autonomamente. Tale
metodo, se da un lato risulta più versatile, dall’altro pecca per un maggior
grado di arbitrarietà. Rientrano sotto questo approccio le scale IADL e ADL4,
volte, rispettivamente, ad analizzare la numerosità delle attività, strumentali
e non, che un soggetto non è in grado di compiere. Il terzo approccio
ricorre invece alla quantificazione dell’aiuto, misurato in termini di tempo,
del quale un soggetto necessita in relazione alla sua condizione. Questo
modo di procedere consente di giungere ad una precisa misurazione ma la
forte influenza del fattore ambientale rischia di metterne in discussione la
confrontabilità dei risultati tra diversi soggetti o tra diversi insiemi di soggetti.
Questi due aspetti -l’individuazione dei soggetti e la misurazione del grado
di non autosufficienza- condizionano in modo rilevante la possibilità di
procedere a confronti tra rilevazioni riferite a contesti differenti da un punto
di vista geografico e/o temporale. Ciò non significa che tale operazione non
sia utile, ma solo che la sua interpretazione deve essere caratterizzata da una
prudenza ancora più accentuata di quella usuale.
L’individuazione dei soggetti non autosufficienti, quantomeno ai fini
dell’eleggibilità nei sistemi di aiuto pubblici e della graduazione dei
benefici, è in genere basata anche su requisiti patrimoniali e reddituali.
Ne segue che l’insieme dei non autosufficienti effettivamente presi in
considerazione per la fornitura delle prestazioni pubbliche rappresenta un
sottoinsieme dei soggetti in condizione di dipendenza.
1.2
Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti
La stima della numerosità dei non autosufficienti rappresenta la base
a cui riferirsi per poter formulare ogni ipotesi di intervento pubblico. È
evidente che le difficoltà della stima aumentano quando si deve prevedere
la numerosità futura dei disabili, elemento essenziale per programmare le
azioni di intervento nel futuro.
In estrema sintesi, la numerosità dei non autosufficienti dipende
essenzialmente da due fattori: l’invecchiamento della popolazione e
La scala ADL (Activities of Daily Living) misura la dipendenza funzionale di un soggetto mediante
la sua capacità di svolgere autonomamente attività quali mangiare, vestirsi, andare in bagno, muoversi
in casa, ecc... (Katz, Ford, Moskowitz, 1963). La scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living)
adotta lo stesso metodo considerando però attività che sono caratterizzate da una maggiore complessità
da un punto di vista fisico e/o cognitivo come l’uso del telefono, prepararsi i pasti, gestire la finanza
domestica, ecc... (Lawton e Brody, 1969).
4
20
l’incidenza della disabilità. Il ruolo svolto dal primo è piuttosto intuitivo,
dato che all’aumentare dell’età di un individuo aumenta anche la sua
probabilità di divenire non autosufficiente. I dati disponibili in proposito
sono piuttosto eloquenti: si registra, infatti, una crescita esponenziale
dell’incidenza della condizione di dipendenza all’aumentare dell’età, che
raggiunge tassi intorno al 70% per la classe degli ultra 85enni in alcuni
Paesi sviluppati (OCSE, 2005). L’Italia e la Toscana non fanno eccezione a
questa evidenza generale: nel primo caso si raggiunge una incidenza quasi
del 45% tra gli ultra 80enni che vivono in famiglia (ISTAT, 2005), mentre nel
secondo si assesta ad oltre il 30% pur considerando solo gli ultra 85enni con
limitazioni piuttosto gravi (ARS Toscana, 2007)5. Il secondo fattore dipende
invece dalla capacità della medicina di aumentare il numero di anni vissuto
in buona salute: mentre l’allungamento della vita media negli anni a venire
ottenuta grazie alle innovazioni della medicina è una previsione condivisa6,
numerosi dubbi permangono in merito alla durata della vita in assenza da
disabilità. Se il progresso delle cure mediche non riuscisse ad allungare
il numero di anni vissuto in buona salute (cd. “profezia del fallimento
del successo” -Gruenberg, 1977) si avrebbe una ulteriore pressione sulla
domanda di cure assistenziali. L’incertezza relativa al comportamento di
questa variabile nel prossimo futuro rende qualsiasi previsione piuttosto
inconsistente ed aleatoria. Più interessanti, quantomeno per avere una idea
sul trend seguito, risultano gli studi rivolti ad analizzare l’andamento della
disabilità nel corso degli anni nei vari contesti territoriali. In particolare,
Lafortune G. et altri (2007) hanno recentemente effettuato uno studio su
12 Paesi sviluppati che ha messo in rilievo l’esistenza di ambiti nei quali
l’incidenza della disabilità diminuisce dell’1-2% circa su base annuale
(Danimarca, Finlandia, Italia, USA), rimane stabile (Australia e Canada),
aumenta anche del 2,5-3,5% sempre su base annuale (Belgio, Giappone
Svezia) oppure non mostra alcuna regolarità (Francia e Regno Unito).
A causa della loro difficoltà, in genere le previsioni sulla numerosità
futura dei non autosufficienti sono effettuate ipotizzando la costanza dei
tassi di incidenza della disabilità per classe di età (cd. previsioni statiche).
Alternativamente si può procedere ad agganciare in maniera arbitraria tali
tassi ad una variabile proxy più facilmente stimabile che rappresenti la loro
probabile evoluzione, o a supporre che in futuro continui il trend osservato
nel passato, oppure a formulare opportune ipotesi sull’andamento nel
tempo dell’incidenza della disabilità (previsioni dinamiche). L’analisi
comparativa e previsiva proposta di seguito (Tab. 1.1) sui principali Paesi
Si tratta di una stima IRPET su dati ARS Toscana (2007). I non autosufficienti presi in considerazione
sono quelli con limitazioni in ADL o in tre o più IADL.
Sul punto si registra una convergenza quasi generale (ad esempio l’Economic Policy Committee and
the European Commission (2006) assume un incremento di un anno ogni decade), ma non manca chi
solleva dubbi in proposito (cfr. Olshansky, et al., 2005).
5
6
21
sviluppati risente delle problematiche già anticipate: la differenza tra
le definizioni di non autosufficienza adottate e la difficoltà a prevedere
l’impatto dei progressi della medicina. L’intento è quello di analizzare
il comportamento dei principali fattori che incidono sulla numerosità
dei non autosufficienti (invecchiamento della popolazione e incidenza
della disabilità) al fine di comprendere il trend seguito da quest’ultima
variabile e, per questa via, anche la dimensione della platea dei soggetti
che presumibilmente richiederanno aiuto al sistema di welfare pubblico. In
altri termini, si potrà avere un’idea della rilevanza del problema della non
autosufficienza nei vari Paesi analizzati.
Tabella 1.1
INCIDENZA PERCENTUALE DEI NON AUTOSUFFICIENTI E DEGLI ANZIANI SUL TOTALE DELLA
POPOLAZIONE, ASPETTATIVA DI VITA ALLA NASCITA E PERCENTUALE DI VITA ATTESA DA
TRASCORRERE IN CONDIZIONE LIBERA DA DISABILITÀ. VARI ANNI
Paese
% anziani su tot.
LE alla nascita***
% disabili
popolazione**
sul totale
popolazione
(anno)* 1960 2000 2040 1960 1980 2000 2006
Australia
Austria
Canada
Germania
Giappone
Francia
Olanda
Norvegia
Spagna
ITALIA
Svezia
Regno Unito
Stati Uniti
18,0 (1993)
14,4 (1986)
15,5 (1991)
8,4 (1992)
2,7 (1987)
n.d.
11,6 (1986)
n.d.
15,0 (1986)
5,1 (2004)‡
12,1 (1988)
12,2 (1991)
15,0 (1994)
8,5
12,2
7,5
n.d.
5,7
11,6
9,0
11,0
8,2
9,3
11,7
11,7
9,2
12,4
15,5
15,5
16,4
17,4
16,1
13,6
15,2
16,9
18,1
17,3
15,9
12,4
22,5
29,6
24,6
29,7
35,3
26,6
25,5
26,3
30,7
33,7
25,2
25,4
20,4
70,9
68,7
71,3a
69,1
67,8
70,3
73,5
73,8
69,8
69,8a
73,1
70,8
69,9
74,6
72,6
75,3
72,9
76,1
74,3
75,9
75,9
75,4
74,0
75,8
73,2
73,7
79,3
78,1
79,3
78,2
81,2
79,2
78,0
78,8
79,4
80,0
79,7
77,9
76,8
81,1
79,9
80,4b
79,8
82,4
80,9
79,8
80,6
81,1
80,9c
80,8
79,1b
77,8b
DFLE su LE in % a 65 anni**
Maschi
Femmine
%
%
%
%
(anno) anno) (anno) (anno)
57 (‘81) 40 (‘98)
40 (‘05)†
71 (‘86) 68 (‘96)
79 (‘86) 83 (‘95)
90 (‘75) 92 (‘90)
47 (‘05) †
70 (‘90) 79 (‘00)
56 (‘05) †
56 (‘05) †
55 (‘05) †
60 (‘05) †
58 (‘81) 58 (‘99)
50 (‘70) 49 (‘90)
55 (‘81) 45 (’98)
33 (‘05) †
61 (‘86) 62 (’96)
76 (‘86) 81 (‘95)
89 (‘75) 87 (‘90)
43 (‘05) †
50 (‘90) 67 (‘00)
43 (’05) †
43 (‘05) †
46 (’05) †
53 (‘05) †
50 (‘81) 53 (’99)
54 (‘70) 52 (‘90)
N.B.: LE = life expectancy; DFLE = disability-free life expectancy
Fonte: * DISTAT (United Nations Disability Statistics Database, consultabile al sito http://unstat.un.org); ** OECD, 2005;
*** OECD, Health Data 2008; a = dato riferito al 1961; b = dato riferito al 2005; c = dato riferito al 2004; † EHEMU;
‡
elaborazioni IRPET su dati ISTAT
La tabella mostra che la numerosità dei non autosufficienti sul totale
della popolazione non è in genere irrilevante visto che si attesta, in media,
ad oltre il 10%. Tutti i Paesi sono sottoposti ad un invecchiamento della
popolazione, causato anche dal rilevante ampliarsi della speranza di vita alla
nascita. Non così forte è invece l’aumento -anzi in taluni casi si assiste ad un
decremento- degli anni di vita attesi in condizioni di assenza di disabilità. Il
saldo del comportamento di tutti questi fattori condurrà presumibilmente ad
un ampliarsi della platea dei non autosufficienti nel prossimo futuro.
22
Un modo per osservare in maniera più agevole la rilevanza della non
autosufficienza tra i vari Paesi sviluppati è riportare in un singolo grafico
(Graf. 1.2) sia l’incidenza della popolazione anziana (fattore demografico)
che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità (fattore sociosanitario-ambientale).
Grafico 1.2
RILEVANZA DELLA NON AUTOSUFFICIENZA IN ALCUNI PAESI SVILUPPATI. 2006
Anni attesi da passare in condizione di
disabilità a 65 anni (media Paesi = 100)
60
80
100
120
140
Giappone
160
160
140
Francia
Canada
Olanda
USA
Australia
Austria
Spagna
Germania
120
ITALIA
100
Svezia
80
Regno Unito
60
Incidenza della popolazione 65+ (media Paesi = 100)
Fonte: elaborazioni IRPET su dati OECD Health Data 2008
In tale rappresentazione grafica, la rilevanza del tema della non
autosufficienza aumenta man mano che si percorre da sinistra verso destra
la bisettrice del primo e terzo quadrante. In tale direzione, infatti, aumentano
relativamente alla media dei Paesi considerati sia l’incidenza della popolazione
ultra 65enne che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità.
Tra le nazioni nelle quali il tema dell’assistenza ai non autosufficienti
è più rilevante troviamo anche l’Italia7, con una struttura demografica
significativamente anziana ed un lasso di tempo da vivere in condizione di
disabilità sostanzialmente in linea con la media internazionale.
Ad oggi il numero dei non autosufficienti in Italia è stimato dall’ISTAT
(2005, 2005b) in circa 2.800.000 persone, pari a circa il 5,1% della
popolazione8. La comparazione con i valori stimati dall’ISTAT nel 19992000 lascia trasparire una sostanziale stabilità del fenomeno nel tempo,
È interessante osservare che tra i Paesi nei quali la non autosufficienza assume un peso rilevante,
l’Italia è tra le poche a non aver ancora avviato una riforma dell’assistenza ai soggetti disabili.
I dati, che sono riferiti al totale della popolazione con 6 anni o più, comprendono sia i non autosufficienti
a domicilio (2.609.000 persone) che in istituto (191.508 individui). La popolazione di riferimento è
quella residente in Italia nel 2004 con 6 anni e più (cfr. http://demo.istat.it).
7
8
23
a testimonianza del fatto che l’effetto negativo causato dalla demografia
risulta esser compensato dalla riduzione dell’incidenza della disabilità
per classe di età.
1.3
L’impatto sulle finanze pubbliche
In generale, la quota di spesa pubblica destinata ai programmi di cura ed
assistenza dei non autosufficienti testimonia il grado di impegno che i vari
Paesi profondono nel socializzare i costi della situazione di dipendenza.
In realtà, come già accennato in precedenza, la questione della non
autosufficienza è venuta alla ribalta in molti Paesi non prima dell’ultima
decade del secolo scorso. In molti contesti, pertanto, non si è ancora trovata
l’occasione di intervenire significativamente sulla questione riformando un
sistema di welfare che, in molti casi, non consente di tutelare adeguatamente
l’insieme di persone oggetto di analisi. Questa constatazione, oltre all’usuale
prudenza nell’effettuare confronti spazio-temporali, deve essere tenuta
presente nel valutare i dati riportati nella tabella seguente, che rappresentano
la spesa pubblica per long-term care9 nei principali Paesi sviluppati.
Tabella 1.3
INCIDENZA PERCENTUALE SUL PIL DELLA SPESA PUBBLICA PER LONG-TERM CARE
IN ALCUNI PAESI OECD
Paese
Fonte
Anno
% sul PIL
Australia
Austria
Canada
Germania
Giappone
Francia
Olanda
Norvegia
Spagna
ITALIA
Svezia
Regno Unito
Stati Uniti
OECD Health Data (2008)
Economic Policy Commettee and the European Commission (2006)
OECD (2005)
Economic Policy Commettee and the European Commission (2006)
OECD Health Data (2008)
OECD Health Data (2008)
OECD Health Data (2008)
OECD (2005)
OECD Health Data (2008)
Ragioneria Generale dello Stato (2009)
Economic Policy Commettee and the European Commission (2006)
Economic Policy Commettee and the European Commission (2006)
OECD (2005)
2002
2004
2000
2004
2006
2006
2006
2000
2006
2006
2004
2004
2000
1,0
0,6
0,9
1,0
1,6
1,5
3,4
1,8
0,7
1,7
3,8
1,0
0,7
La spesa per long-term care comprende tutti quegli interventi di natura assistenziale o sanitaria a
favore delle persone anziane o disabili non autosufficienti, cioè non in grado di compiere con continuità
gli atti quotidiani della vita senza un aiuto esterno. La definizione puntuale in merito a quali singole
prestazioni inserire nell’aggregato segue le linee guida definite dall’OCSE e riprese in ambito europeo.
Per un approfondimento cfr. Aprile, Vestri (2005).
9
24
Tra i valori presentati si notano quelli di Svezia, Olanda e Norvegia
che spiccano per la loro entità, a testimonianza di un modello di welfare
caratterizzato da universalismo ed un intervento pubblico preponderante.
A seguire troviamo il valore dell’Italia, che tuttavia, come noto, non si
è ancora dotata di un organico sistema di erogazione delle prestazioni ai
non autosufficienti.
Questa situazione di stallo caratterizza il contesto italiano per la
compresenza di prestazioni quali-quantitativamente inadeguate e di un
impatto tutt’altro che irrilevante sulle finanze pubbliche. In altri termini,
a fronte di una spesa relativamente cospicua non si rileva una altrettanta
efficacia delle politiche di sostegno, dato che quest’ultime si basano su
istituti ormai desueti nell’affrontare le mutate esigenze odierne della
platea dei non autosufficienti.
Il valore relativo all’Italia può essere distinto sia per età del beneficiario
che per tipologia funzionale della prestazione. Per quanto riguarda il
primo aspetto è possibile notare che oltre i 2/3 della spesa sono destinati
a persone ultra 65enni, mentre per il secondo spicca il primato delle
prestazioni monetarie rispetto a quelle in kind. Più precisamente si può
notare nella seguente tabella 1.4 la ripartizione della spesa tra: assistenza
domiciliare e semi-residenziale (home care); assistenza residenziale
(institutional care); prestazioni monetarie (cash benefits).
Tabella 1.4
RIPARTIZIONE PER TIPO DI PRESTAZIONE E PER DESTINATARI DELLA SPESA PUBBLICA
PER LONG-TERM CARE IN ITALIA. 2008
Valori percentuali
% sul PIL % sul totale % PIL prestazioni % sul totale
ultra 65enni
Assistenza domiciliare e semi-residenziale (home care)
Assistenza residenziale (institutional care)
Prestazioni monetarie (cash benefits)
TOTALE
0,51
0,44
0,71
1,67
31
26
43
100
0,26
0,31
0,55
1,12
23
28
49
100
Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2009)
Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda l’incremento della
spesa attesa per il prossimo futuro. Nella seguente tabella (Tab. 1.5) sono
rappresentate le previsioni in merito all’incidenza sul PIL delle spese per
long-term care in alcuni Paesi europei.
25
Tabella 1.5
PREVISIONI PER ALCUNI PAESI DELL’INCIDENZA SUL PIL DELLE SPESE PER LONG-TERM CARE
Valori percentuali
Austria
Germania
Olanda
Spagna
ITALIA
Svezia
Regno Unito
Finlandia
Danimarca
Belgio
Media EU-15*
2004
2010
2020
2030
2040
2050
∆ 2004-2050
0,6
1,0
0,5
0,5
1,5
3,8
1,0
1,7
1,1
0,9
0,9
0,7
1,0
0,5
0,5
1,5
3,7
1,0
1,9
1,1
0,9
0,9
0,8
1,2
0,5
0,5
1,6
3,7
1,1
2,1
1,2
1,1
1,0
1,0
1,4
0,8
0,5
1,7
4,9
1,3
3,0
1,8
1,3
1,1
1,2
1,6
0,9
0,6
1,9
5,2
1,5
3,4
2,0
1,6
1,3
1,5
2,0
1,1
0,8
2,2
5,5
1,8
3,5
2,2
1,8
1,5
+0,9
+1,0
+0,6
+0,3
+0,7
+1,7
+0,8
+1,8
+1,1
+0,9
+0,6
* si tratta di una media pesata con il PIL dei vari Paesi
Fonte: Economic Policy Committee and the European Commission (2006)
Le stime riportate sono da assumere come prudenziali in virtù delle
ipotesi di riduzione dell’incidenza della disabilità pari alla metà di
quanto registrato a proposito del tasso di mortalità e di invarianza della
probabilità di ricevere cure formali10. Nonostante ciò si rileva una crescita
della spesa in Italia di quasi il 50% al 2050. L’andamento della spesa
in Italia sembra comunque del tutto analogo a quello seguito dagli altri
Paesi e dalla media europea. Ciò significa che il differenziale registrato
attualmente a sfavore dell’Italia nei confronti della media europea si
manterrà pressoché invariato nel corso degli anni. In realtà l’elevatezza
della spesa per i non autosufficienti non rappresenta necessariamente un
elemento negativo, dato che potrebbe essere la necessaria conseguenza di
un sistema che, erogando un volume di prestazioni più cospicuo, riesce a
garantire una maggior tutela delle persone non autosufficienti. Tuttavia,
nel caso in cui le prestazioni non fossero adeguatamente strutturate per
risolvere i problemi dei non autosufficienti la maggiore spesa prevista
potrebbe non rivelarsi altro che un aumento dell’inefficienza, che si
ripercuoterebbe negativamente sia sul benessere dei disabili che sulla
sostenibilità economica, finanziaria e sociale del sistema nel lungo
periodo. Il caso italiano, che manca di una riforma complessiva di un
sistema ormai desueto in molti aspetti (cfr. in proposito il paragrafo 1.4),
rischia di essere in futuro più conforme al secondo scenario prospettato
che al primo.
Nella tabella è interessante osservare i casi svedese e finlandese,
che si distinguono per una dinamica dell’incidenza della spesa sul PIL
Si tratta del cosiddetto “AWG Reference scenario” formulato in Economic Policy Committee and the
European Commission (2006).
10
26
differente rispetto agli altri contesti analizzati. Ciò è dovuto all’effetto
delle ipotesi inserite nel modello di previsione sulle peculiarità del
modello assistenziale adottato. Più precisamente, l’elevato differenziale
dell’incidenza della spesa tra il 2004 ed il 2050 è dovuto all’esteso ricorso
all’assistenza formale (residenziale e non) e al marcato universalismo.
L’effetto congiunto di queste due caratteristiche si ripercuoterà sull’entità
della spesa in maniera più accentuata che altrove.
1.4
I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate
Da un punto di vista strettamente economico la condizione di non
autosufficienza richiede, quando si manifesta, un notevole impiego di
prestazioni dal costo rilevante. Gli economisti dibattono da tempo in
merito a quale sia il sistema di finanziamento e fornitura delle prestazioni
più opportuno. In generale, l’ortodossia economica asserisce che, in
assenza di specifiche ragioni, il mercato è il miglior allocatore di risorse,
ossia il mezzo che garantisce la maggiore efficienza nel finanziamento
e nell’erogazione di beni e servizi. Il tema della non autosufficienza
presenta numerosi aspetti -primo tra tutti quello equitativo- che limitano
l’opportunità di affidarsi esclusivamente al mercato mentre obbligano ad
interrogarsi, con tanta più forza quante minori sono le risorse a disposizione,
su quale sia il sistema relativamente più efficiente per garantire ai non
autosufficienti le adeguate prestazioni11.
Il presente paragrafo fornisce inizialmente una breve sintesi delle
ragioni che giustificano l’intervento pubblico. In seguito viene proposta
una rassegna dei principali sistemi pubblici presenti attualmente nei
maggiori Paesi sviluppati e, infine, viene studiata la situazione italiana
mediante una analisi delle principali proposte di riforma presentate nel
corso degli anni ed una valutazione dei modelli che si sono venuti a creare
a livello regionale.
La prima modalità di finanziamento ipotizzabile è quella derivante
dall’uso delle risorse risparmiate da una persona nel corso della vita12.
Questa soluzione, marcatamente individualistica, appare inopportuna
per una serie di motivi: in primo luogo equitativi, dato che non tutti i
Per una rassegna dei fondamenti e dei vari filoni teorici dell’economia sanitaria cfr. Petretto (1997).
Sotto un profilo puramente strumentale il risparmio privato può avere la forma di attività finanziarie
(più o meno liquide) e/o reali. Nella recente letteratura risultano dibattute in particolare le soluzioni
che incentivano ad utilizzare il valore delle case possedute, ad esempio tramite la vendita della nuda
proprietà, per finanziare le spese per le long-term care. Pur essendo caratterizzata da limiti rilevanti
tale soluzione consentirebbe di smobilizzare la principale forma di risparmio degli anziani, in genere
caratterizzati da una scarsità di risorse liquide ma da una elevata ricchezza immobiliare (cd. “houserich, cash-poor”).
11
12
27
soggetti potranno essere in grado di far fronte alle spese e che, in
generale, non si riuscirà a destinare uguali risorse per uguali condizioni
di bisogno; sussistono, inoltre, aspetti inerenti alla lungimiranza delle
persone, in quanto non tutti potrebbero essere così accorti da accantonare
un ammontare adeguato di risorse13; esistono, infine, problemi relativi
all’efficienza complessiva, dovuti al fatto che la non autosufficienza non
si verifica per tutti e pertanto si presta ad essere gestita più efficientemente
in maniera collettiva.
Quest’ultima motivazione apre la strada alla soluzione assicurativa:
ogni soggetto si potrebbe assicurare contro il rischio di non autosufficienza
pagando un premio periodico in cambio delle prestazioni che riceverà in
caso di bisogno. L’assicurazione, ripartendo opportunamente il rischio,
trasferirebbe risorse dai soggetti “sani” a quelli “malati”, conseguendo
per questa via un guadagno netto in termini di efficienza sia per i singoli
che per la collettività (Moscarola, 2003; ISVAP, 2001). Tuttavia, lo scarso
ricorso all’assicurazione privata anche in contesti quali gli Stati Uniti,
dove questo modo di agire è ben rodato, solleva importanti interrogativi
sulla validità dello strumento. In effetti, sono riscontrabili rilevanti casi di
fallimento di mercato, tanto dal lato dell’offerta che della domanda, che
ne impediscono il corretto funzionamento ed uno sviluppo su larga scala.
Senza entrare nel dettaglio, possiamo mettere in evidenza alcuni risultati
emersi dalla letteratura economica che possono risultare utili nell’orientare
il dibattito anche in merito alla creazione di un sistema pubblico.
Per quanto riguarda l’offerta, il principale ostacolo riguarda l’asimmetria
informativa tra assicurato ed assicuratore14: se quest’ultimo non è in
grado di associare correttamente il rischio di non autosufficienza ad ogni
soggetto, non troverà il modo di ripartirlo sulla collettività degli assicurati,
con ripercussioni sulla profittabilità della gestione. Inoltre l’assicuratore
potrebbe essere tentato di assicurare solo coloro che non presentano rischi
eccessivamente elevati (cd. cream-skimming), violando l’universalità
delle cure che è alla base del sistema sanitario ed assistenziale del nostro
Paese. Una ulteriore motivazione, che frena lo sviluppo della soluzione
assicurativa, riguarda il fatto che secondo alcuni (Cutler, 1993; Norton,
2000) una parte del rischio di non autosufficienza non è diversificabile
-ossia non è ripartibile opportunamente tra soggetti sani e malati- in quanto
colpisce indistintamente tutti i soggetti assicurati, impedendo pertanto il
corretto funzionamento e la convenienza economica della gestione. La
La letteratura economica ha messo in evidenza anche un ulteriore aspetto problematico: se una
persona ritiene che in caso di non autosufficienza sarà comunque assistito dai familiari, sarà portato ad
accumulare un quantitativo di risorse inferiore a quanto ottimale. Il fenomeno economico al quale ci si
riferisce in questo caso è il cd. “comportamento sleale” (ex-ante moral hazard).
14
Il fenomeno economico al quale ci si riferisce in questo caso è la cd. “selezione avversa” (adverse
selection).
13
28
sostenibilità finanziaria è a poi rischio anche per altri motivi. Nel caso in
cui il soggetto sia assicurato tenderà ad avere un sovraconsumo di cure
formali dato che non sarà lui a doverne sostenere i costi (cd. “problema del
terzo pagante”). In altri termini è probabile assistere ad una sostituzione
tra cure informali e prestazioni formali da parte dei familiari in cerca di
sollievo15. Poiché il ricorso a cure informali è estremamente diffuso, esiste
pertanto il rischio che la compagnia assicuratrice si trovi a dover pagare
più prestazioni di quanto preventivato.
Dal lato della domanda, vale la pena inizialmente notare che pare
difficile che la coorte dei giovani, essendo gravata da altre e ben più
pressanti esigenze, sia disponibile a pagare un premio per la copertura
di un rischio che li riguarderà, probabilmente, solo nel lungo periodo16.
Resta tuttavia il fatto che la teoria economica vede nell’assicurazione
privata lo strumento che dovrebbe essere utilizzato da un soggetto che
agisce in maniera perfettamente razionale. Tale affermazione è stata
tuttavia scalfita dal risultato ottenuto da Pauly (1990), che giustifica lo
scarso ricorso all’assicurazione privata con il seguente meccanismo:
se il genitore si assicura nel corso della vita, esso in pratica rinuncia
ad ottenere cure informali da parte dei figli. Più realisticamente, come
hanno successivamente mostrato Zweifel e Strüwe (1996), se il genitore
si assicura, per poter avere cure informali dai figli, oltre che dalla
compagnia assicuratrice, dovrà trovare il modo di avere dei figli molto
altruisti. Un modo per raggiungere lo scopo, suggeriscono gli autori, è
quello di utilizzare l’eredità in maniera strumentale, ossia condizionando
la destinazione della stessa ai figli che li sosterranno con la loro attività
di assistenza.
Sia la soluzione individuale (risparmio) che quella collettiva privata
(assicurazione) risultano per tutti i motivi sopra elencati meno idonee
rispetto ad un sistema pubblico. Quest’ultima soluzione presenta
chiaramente numerose varianti sia dal punto di vista del finanziamento che
dell’organizzazione dell’erogazione delle prestazioni17 come dimostrano
le soluzioni adottate nei vari Paesi sviluppati. Nella tabella seguente
(Tab. 1.6) sono riportate, in estrema sintesi, le soluzioni in vigore in alcuni
Paesi per fronteggiare il problema della cura dei non autosufficienti.
Le soluzioni adottate dai diversi Paesi possono essere raggruppate
sulla base di caratteristiche comuni.
Glennerster (1998) afferma che tale fenomeno è alla base dei problemi finanziari riscontrati in
numerosi Paesi europei nonché negli Stati Uniti.
16
Uno studio di Brau R. et altri (2004) sulla disponibilità a pagare per la soluzione assicurativa ha
mostrato che in Emilia Romagna esiste un mercato potenziale dalle dimensioni piuttosto ridotte.
17
Per una ricognizione delle possibilità cfr. ISVAP (2001), Beltrametti (1998, 2000), Baldini e
Beltrametti (2005).
15
29
30
Canada
Austria
Australia
Paese
La riforma del 1993 ha introdotto
un programma universale
di supporti alle persone non
autosufficienti che unifica e
potenzia i singoli vecchi progetti.
Il finanziamento proviene da
fiscalità generale.
Il sistema federale canadese
assegna la competenza sulle
Long-term care ai governi locali.
Coordinano il sistema due
programmi nazionali: Insured
Health Services e Extended
Health Care Services
L’individuazione dei beneficiari
è basata esclusivamente sul
grado di disabilità, il reddito ed il
patrimonio sono considerati per
determinare la compartecipazione
al costo che si ha solo in caso di
cure intensive
Varia da territorio a territorio,
sebbene in genere preveda
l’accesso universale ed il meanstest
Varia da territorio a territorio
Caratteristiche generali
Requisiti d’accesso
Assistenza Residenziale
La struttura federale Australiana
Le Aged Care Assessment
Di due tipi: ad alta o bassa intesità di cure
prevede che l’assistenza ai non Teams (ACAT) provvedono alla
a seconda del bisogno. Finanziamento
autosufficienti sia erogata in
valutazione dei bisogni fisici,
a carico dello Stato ad eccezione di una
maniera coordinata dallo stato
sociali, psicologici dei soggetti.
contribuzione commisurata al reddito.
centrale con i livelli di governo Inoltre svolgono anche i compiti
Esistono due programmi che forniscono
inferiori. Il finanziamento
di informazione ed individuazione
ricoveri temporanei per il sollievo del
proviene da fiscalità generale, delle prestazioni più opportune. I
caregiver: National Respite for Carers
perlopiù statale.
servizi sono destinati a soggetti di
Programme ed il Residential Respite
tutte le età previo accertamento
dei requisiti reddituali e
patrimoniali (means-test)
Viene erogato un sussidio
universale per tutti i non
autosufficienti in relazione
al grado di disabilità
Prestazioni Monetarie
Due tipologie di intervento:
il Carer Payment, che
eroga un sostegno al
reddito per tutti coloro che
si prendono cura di un non
autosufficiente, ed il Carer
Allowance, che concede
un sussidio per coloro che
assistono una persona
con disabilità grave
Varia da territorio
Nel 2004 è stato introdotta
a territorio. In
la Compassionate Care
generale è senza
Benefit che eroga un
compartecipazione
contributo monetario,
al costo da parte
fruibile per soli sei mesi,
dell’utente, ma è
per chi assiste un parente
presente un limite
non autosufficiente in
all’ammontare di cui se
pericolo di vita.
ne può fruire
Assistenza Domiciliare
Tre diversi programmi
a cui corrispondono
crescenti prestazioni:
Home and Community
Care Programme,
Community Aged Care
Packages, Extended
Aged Care at Home.
La contribuzione dei
beneficiari varia in base
ai servizi ad al reddito
personale
Tabella 1.6
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLE SOLUZIONI ADOTTATE IN ALCUNI PAESI OECD
31
Giappone
Irlanda
Germania
Paese
Requisiti d’accesso
L’accesso ai servizi è garantito in
seguito ad una perizia medica che
provvede a quantificare il bisogno
e ad inserire il soggetto in una
delle tre classi a cui è associato
un diverso volume di prestazioni
da scegliere tra residenziale,
domiciliare e monetario. Non è
prevista alcuna limitazione nè per
l’età nè per reddito o patrimonio
posseduti
I servizi sono garantiti sulla
base delle necessità stimate da
un apposito Health Board. In
genere non è presente alcuna
preclusione per motivi di età ma è
previsto il means-test
Dal 2000 è stata aggiunta
Si procede ad una valutazione
ai vecchi programmi una
del bisogno e l’inserimento in
specifica assicurazione sociale uno dei sei livelli di prestazioni.
obbligatoria contro il rischio
La valutazione viene svolta
di non autosufficienza per gli secondo le procedure definite dal
over 40. Il complesso sistema
governo locale in accordo con
di finanziamento comprende
quello nazionale. Si distingue
sia una imposizione sul reddito
anche tra assicurati di prima
(contributi assicurativi) che
(over 65) e seconda fascia (over
risorse provenienti da fiscalità 40). Questi ultimi hanno accesso
generale. È inoltre in generale
alle prestazioni solo in caso di
previsto una compartecipazione infarto o Parkinson, altrimenti
pari al 10% del costo dei servizi è necessario ricorrere ad altri
usufruiti
programmi
Caratteristiche generali
Dal 1995 è stata introdotta
una specifica assicurazione
obbligatoria che si integra con
le altre quattro già presenti
nel Welfare State tedesco.
Il sistema è finanziato da
una imposta (contributo
assicurativo) dell’1,7% sul
reddito da lavoro, equamente
diviso tra lavoratore e datore
di lavoro.
Le prestazioni di Long-Term
Care, erogate dal servizio
sanitario pubblico, sono
finanziate da tassazione
generale
Riservata a coloro per i quali si è rilevata
un bisogno fisico e sociale incompatibile
con la permanenza a casa. È prevista
una compartecipazione al costo fino
all’80% del reddito dell’anziano. Criteri più
stringenti sono previsti per la permanenza
in strutture private convenzionate
La soluzione residenziale sussidiata è
preclusa per coloro che sono stati inseriti
nella sesta ed ultima classe di bisogno
La figura del care
È prevista l’erogazione
manager ha la
di un sussidio variabile
funzione di monitorare a seconda del territorio
l’aderenza del piano di di residenza e del livello
servizi domiciliari alle
di disabilità, solo per i
necessità del paziente familiari che si prendono
ed eventualmente di cura per almeno un anno
proporre modifiche.
senza utilizzare servizi
Sono previsti tetti di pubblici di un anziano con
spesa per ognuno dei una non autosufficienza
sei livelli di bisogno
medio-grave
Il programma
Community-based care
eroga servizi domiciliari
solo in parte sottoposti
a means-test
Assistenza Residenziale
Assistenza Domiciliare Prestazioni Monetarie
Secondo quanto previsto dalla classe
Secondo quanto
Secondo quanto previsto
nella quale il soggetto non autosufficiente previsto dalla classe
dalla classe nella
è stato inserito. Il vitto e l’alloggio sono nella quale il soggetto
quale il soggetto non
pagati dall’assicurazione pubblica solo
non autosufficiente è
autosufficiente è stato
per gli indigenti
stato inserito
inserito
Tabella 1.6 segue
32
Svezia
Spagna
Norvegia
Olanda
Paese
Requisiti d’accesso
Basato esclusivamente sul
bisogno, nessuna preclusione per
motivi legati all’età o al reddito
posseduto
Assistenza Residenziale
Per questa soluzione è prevista una
compartecipazione al costo in base al
reddito
Valutazione di un team di esperti
Distinte tra residential homes, usate
che colloca il soggetto in uno dei
solo per degenze di lunga durata di
tre seguenti gruppi di prestazioni: disabili gravi, e nursing homes, che sono
cure residenziali, cure semiutilizzate anche per accomodamenti
residenziali, cure domiciliari. Non
temporanei e centri diurni. Esiste poi
è prevista alcuna preclusione per
lo sheltered housing che combina la
motivi legati all’età o al reddito
vita indipendente con servizi di cura ed
posseduto
assistenza. La soluzione residenziale
comporta una compartecipazione
al costo dell’80% circa del reddito
dell’utente
L’assistenza continuativa è
Variano da regione a regione:
Varia da regione a regione. In generale
organizzata su base regionale. i criteri di eleggibilità, i servizi
è prevista una compartecipazione al
Il finanziamento proviene da
offerti, le compartecipazioni al costo del 75% della pensione oltre ad un
fiscalità generale
costo. In genere è previsto il
contributo aggiuntivo per coloro con un
means-test
reddito superiore ad una certa soglia
Il settore pubblico eroga un
Si basa sulla valutazione del Concessa solo in caso di elevato bisogno
rilevante volume di servizi
bisogno. Non è prevista alcuna
e assenza di una rete familiare. Sono
finanziati da fiscalità generale,
preclusione per motivi legati
previsti ricoveri temporanei, anche
perlopiù locale, con una
all’età o al reddito posseduto
solo diurni, per alleggerire il carico del
compartecipazione degli utenti.
caregiver familiare
La fornitura delle prestazioni è
organizzata su base locale
Caratteristiche generali
Le prestazioni di Long-Term
Care sono coperte da uno
dei tre pilastri sui quali si
basa la sanità olandese. Il
finanziamento proviene da
contributi assicurativi.
Il settore pubblico eroga un
rilevante volume di servizi
finanziati da fiscalità generale
con una compartecipazione
degli utenti. La fornitura delle
prestazioni è organizzata su
base locale
Tabella 1.6 segue
Prestazioni Monetarie
È prevista l’erogazione di
un sussidio
È prevista la figura
del care manager che
decide modalità ed
entità delle cure da
fornire. È richiesta una
compartecipazione
al costo da parte
dell’utente in relazione
alla quantità di servizi
utilizzati
Sono previsti per
l’assistente familiare: un
sussidio economico e la
possibilità di partecipare
a corsi di formazione. In
alcune regioni è possibile
l’assunzione del caregiver
da parte del governo
locale con compiti di
assistenza di un malato
terminale.
Sono presenti due
È previsto un sussidio
tipi di interventi:
retributivo per le persone
home help, soggetto
che si prendono cura
a compartecipazione regolarmente di un non
al costo con funzione
autosufficiente
di fornitura di cure ed
assistenza domiciliare,
e home nursing, che
fornisce assistenza
medica senza alcun
onere per l’utente
Varia da regione a
regione.
Assistenza Domiciliare
33
Francia
Regno
Unito
Paese
Assistenza Residenziale
Assistenza Domiciliare
Riservata a coloro per i quali tale
Il team che provvede
soluzione è stata ritenuta necessaria.
alla valutazione
La compartecipazione al costo varia in
si occupa anche
relazione a reddito e patrimonio ed è
dell’individuazione
assente se quest’ultimo risulta superiore dei servizi necessari.
ai 30000 euro. I sussidi pubblici per
La fissazione della
coloro che si rivolgono a strutture private compartecipazione
convenzionate variano a seconda della
al costo, da
regione
effettuarsi seguendo
i principi nazionali,
è responsabilità del
governo locale
Prestazioni Monetarie
È previsto un sussidio
per i caregivers (carer’s
allowance) spettante a
coloro che forniscono
almeno 35 ore alla
settimana di assistenza
ad una persona che
già riceve un sussidio
per la sua condizione
di non autosufficienza
(Attendance Allowance
o Disability Living
Allowance)
Le prestazioni assistenziali
La valutazione e l’individuazione
La soluzione residenziale è gravata
Il pacchetto di
Sono previsti due sussidi
per i non autosufficienti non
del pacchetto di prestazioni si
da una compartecipazione basata sui prestazioni è definito in monetari, in genere non
sono erogate secondo un
basa sul bisogno espresso dal costi sostenuti e su reddito e patrimonio sede di valutazione del cumulabili, di importo
programma unitario nè gestite soggetto e sulla sua condizione dell’utente. Il sussidio erogato dipende bisogno e delle risorse
variabile rispetto alle
da un singolo ente di governo.
economica. L’età funziona da
anche dall’età del soggetto
del soggetto.
necessità ed alle
Il loro finanziamento avviene
discriminante: è previsto un
condizioni economiche
mediante un contributo di
programma per i disabili con
che devono essere
solidarietà (Cotisation solidarité meno di 20 anni, uno per chi ne
impiegati nell’acquisto di
autonomie) pari allo 0,30% ha meno di 60, uno per chi ne ha
prestazioni assistenziali o
del salario. Sono previste
più di 60 e, in fine, uno per chi ne
mediche
compartecipazioni al costo
ha più di 65
Caratteristiche generali
Requisiti d’accesso
L’assistenza continuativa è
La valutazione è effettuata sotto
coordinata su base locale. Il
la responsabilità del governo
finanziamento proviene dalla
locale. Non è prevista alcuna
fiscalità generale, sebbene
preclusione per motivi legati
sia spesso richiesta una
all’età, mentre è spesso previsto il
compartecipazione al costo
means-test
variabile in relazione al reddito
e patrimonio dell’utente
Tabella 1.6 segue
34
USA
Paese
Requisiti d’accesso
L’eleggibilità in Medicare, definita
a livello federale, è riservata
agli over 65 ed a coloro che
hanno particolari malattie gravi.
Non è invece legata al reddito
posseduto. L’eleggibilità in
Medicaid, decisa secondo precise
modalità a livello statale, è
destinata ai poveri di qualsiasi età
Assistenza Residenziale
Medicare copre: i costi per un ricovero in
strutture per un limitato periodo di tempo
e la permanenza in strutture assistenziali
per pazienti terminali. In genere le
compartecipazioni al costo sono piuttosto
rilevanti. Medicaid offre la possibilità
di ricovero in strutture residenziali
secondo modalità che variano da stato
a stato. La compartecipazione è definita
a livello statale in base alle condizioni
economiche dell’utente
Assistenza Domiciliare
Medicare copre
l’assistenza domiciliare
supervisionata da
un medico. Medicaid
offre prestazioni di
assistenza domiciliare
che variano da
stato a stato. La
compartecipazione è
definita a livello statale
in base alle condizioni
economiche dell’utente
Prestazioni Monetarie
Fonte: elaborazione su OECD, 2005 e MISSOC (Mutual Information System on Social Protection, database consultabile sul sito http://ec.europa.eu), 2008
Caratteristiche generali
La sanità pubblica americana,
caratterizzata da un intervento
residuale rispetto al mercato, è
basata sui programmi Medicare
e Medicaid. Il finanziamento
dei due programmi proviene da
fiscalità generale e contributi
assicurativi raccolti sia a
livello federale che statale.
L’erogazione delle prestazioni
di Long-Term Care fornite
risultano limitate e gravate da
rilevanti compartecipazioni
Tabella 1.6 segue
Un primo insieme di variabili che può essere utilizzato quale
discriminante comprende l’individuazione dei beneficiari, la modalità
di finanziamento, il collegamento con la copertura sanitaria. La
maggioranza dei Paesi (Austria, Germania, Giappone, Olanda, Norvegia,
Svezia, Francia) adotta un modello assistenziale basato sulla copertura
universale slegata dal reddito percepito e dal patrimonio posseduto,
sul finanziamento garantito da un ampio ricorso a fiscalità generale o
a contributi assicurativi, sullo stretto coordinamento con gli istituti di
copertura sanitaria. I rimanenti (Australia, Canada, Irlanda, Spagna,
USA, Regno Unito) prevedono invece il means-test quale prerequisito
per l’accesso alle prestazioni, un finanziamento basato anche sulla
compartecipazione al costo da parte dell’utente, un collegamento solo
marginale con il sistema sanitario vigente.
Un ulteriore raggruppamento può essere effettuato facendo riferimento
all’enfasi che il sistema attribuisce alle prestazioni in kind (home care
e institutional care) oppure a quelle monetarie (cash benefits). La
maggioranza dei Paesi (Norvegia, Svezia, Germania, Irlanda, Spagna,
Canada, USA) adotta un sistema caratterizzato da una certa prevalenza
delle prestazioni in kind rispetto ai cash benefits. I rimanenti (Austria,
Olanda, Regno Unito, Francia) presentano invece una certa attitudine
a tutelare i non autosufficienti mediante trasferimenti monetari che
possono essere più o meno vincolati nel loro utilizzo. È necessario
precisare che questo raggruppamento non è esente da rischi, in quanto
non è sempre univoco riscontrare nei vari sistemi la preferenza per l’una
o l’altra modalità assistenziale (come ad esempio nei casi di Australia e
Giappone) a causa sia della possibilità di scelta che talvolta viene lasciata
all’utente, che della diversa attenzione che i vari sistemi di protezione
sociale dedicano al tema dei non autosufficienti.
Aldilà delle differenze tra i sistemi vigenti, è opportuno segnalare
che diversità sostanziali tra i vari Paesi si hanno anche in proposito
all’attuazione di riforme organiche del settore. Una ulteriore distinzione
che può essere effettuata si basa sull’adozione o meno di una riforma
complessiva dell’assistenza ai non autosufficienti. Molti Paesi hanno
scelto di adattare il vecchio sistema di protezione sociale in maniera da
tutelare anche il rischio di non autosufficienza con risultati dall’efficacia
variabile a seconda del contesto. Molto più incisive sono invece state le
politiche di riforma organica del settore, tra le quali vale la pena segnalare
il caso tedesco dove è stato creato un ulteriore “ramo assicurativo”
dedicato alla tutela del rischio di non autosufficienza18.
18
L’assicurazione sociale a tutela del rischio di non autosufficienza (Soziale Pflegeversicherung),
entrata in vigore nel 1995, si colloca accanto agli altri quattro “rami” del welfare state tedesco:
assistenza sanitaria (creata nel 1883), pensione di invalidità e vecchiaia (1889), assicurazione contro la
disoccupazione involontaria (1927), previdenza infortunistica (1984).
35
In Italia la tutela della non autosufficienza in età anziana non è
affidata ad un unico programma, ma viene effettuata con una pluralità di
interventi afferenti ai comparti della sanità e dell’assistenza, che tuttavia
appaiono complessivamente frammentati e non organici, essendo per lo
più categoriali e non universali. Alcuni interventi sono gestiti a livello
nazionale (in genere dall’Inps) come le pensioni integrate al minimo,
l’assegno sociale, le indennità di accompagnamento, le rendite di
invalidità civile e quelle per ciechi e sordomuti; altri sono invece gestiti
a livello locale come i servizi di assistenza domiciliare, i ricoveri in
case protette, i programmi di minimo vitale e di sostegno alle categorie
emarginate. In definitiva, tuttavia, lo strumento su cui si fonda la tutela
della non autosufficienza degli anziani è l’assegno di accompagnamento
affiancato dalle forme di intervento costituite dai servizi territoriali forniti
dagli Enti Locali.
L’indennità di accompagnamento è un trasferimento monetario
universalistico pari ad un importo di 472 euro mensili, erogato a tutti i non
autosufficienti indipendentemente dalla loro condizione economica. Tale
istituto è stato introdotto negli anni ’80 allo scopo di integrare l’assistenza
alla non autosufficienza erogata dagli Enti Locali; tuttavia, come
affermano Bosi e Toso (2003), la sua gestione poco efficace, l’esiguità
dell’importo, l’erogazione talvolta tardiva, uniti alla completa assenza di
una gradazione in relazione alla gravità della situazione e all’assenza di
un qualche controllo sull’utilizzo del trasferimento rendono questo istituto
inadeguato a fornire una risposta esauriente alle molte e variegate istanze
di assistenza dei non autosufficienti italiani.
I servizi territoriali gestiti a livello locale sono invece costituiti dai centri
diurni, dall’assistenza domiciliare, dai ricoveri in strutture residenziali
sociosanitarie o in istituti residenziali assistenziali.
I “centri diurni”, sono strutture in grado di accogliere anziani con una
lieve forma di non autosufficienza e di garantire loro durante il giorno
tutte le prestazioni necessarie (ricreative, sanitarie, sociali e di altro tipo
anche abbastanza intense), consentendo però al soggetto di ritornare la
sera alla propria abitazione. Ancora più importanti di questi sono forse
gli “interventi di integrazione alla gestione domiciliare” (ADI), che sono
rivolti a soggetti con una forma più grave ma comunque limitata di non
autosufficienza. In questo caso i servizi hanno lo scopo di integrare il
soggetto nello svolgimento delle varie attività, favorendone la permanenza
a domicilio attraverso la fornitura di servizi sanitari e socio-assistenziali.
Per quanto riguarda invece i servizi residenziali, il panorama nazionale
si caratterizza per alcuni mutamenti significativi intervenuti nell’ultimo
ventennio. Come fanno notare Pesaresi e Brizioli (2009), quaranta anni fa
erano presenti esclusivamente le Residenze Assistenziali (RA) -chiamate
36
comunemente “case di riposo”- che ospitavano indifferentemente soggetti
autosufficienti o meno. Tali strutture, oggi riservate esclusivamente
ad anziani autosufficienti19, sono state negli ultimi anni oggetto di una
costante perdita di utenti a favore delle Residenze Socio Sanitarie (RSS)
e, soprattutto, delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)20. Le prime,
nate negli anni ’70 e conosciute anche come “case o residenze protette”,
si rivolgono a persone non autosufficienti prevedendo prestazioni
specializzate ad alta integrazione socio-sanitaria. Le seconde, anch’esse
dedicate a soggetti non autosufficienti ma con un più elevato bisogno
assistenziale, prevedono un alto livello di prestazioni mediche, sanitarie,
sociali, alberghiere. È comunque importante sottolineare che è possibile
trovare approssimativamente le stesse condizioni di non autosufficienza in
persone che vivono a casa, usufruiscono di un centro diurno, risiedono in
una RSA. In altri termini si può affermare che la soluzione residenziale, più
che essere determinata dall’aggravamento delle condizioni, è implicata dal
venir meno del supporto familiare e dalla indisponibilità o impossibilità a
rivolgersi a collaboratori domestici assoldabili sul mercato21.
In Italia si discute ormai da alcuni anni della creazione di un sistema
pubblico -integrativo o sostitutivo rispetto a quello vigente- capace di erogare
le opportune prestazioni ai soggetti non autosufficienti. Ad oggi, tuttavia,
ogni proposta avanzata non ha visto l’approvazione definitiva lasciando
invariati i servizi per i non autosufficienti descritti in precedenza. A ciò
fa eccezione la creazione di un fondo per la non autosufficienza ad opera
del secondo governo Prodi, il cui importo risulta tuttavia eccessivamente
esiguo per poter avere un impatto significativo. Tale fondo, introdotto con
la Legge Finanziaria per il 2007, ha infatti una dotazione di soli 100 milioni
per il 2007, 300 per il 2008, 400 per il 2009, mentre il fabbisogno di ogni
possibile sistema di tutela alternativo viene quantificato in alcuni miliardi
di euro annui (Tab. 1.7).
Di seguito si riportano le principali proposte di riforma che sono state
avanzate in Italia negli ultimi 10-12 anni. Di queste solo alcune sono state
formalmente presentate come disegno di legge, mentre altre hanno visto
uno sviluppo solo primordiale.
In Toscana, secondo quanto previsto dall’apposito regolamento approvato con la DGR 231/2008, le
Residenze Assistenziali non sono più previste.
20
Il progressivo spostamento dell’utenza verso soluzioni residenziali orientate all’erogazione di
prestazioni per soggetti non autosufficienti, presuppone l’adozione da parte delle amministrazioni
regionali di opportune politiche che favoriscano la conversione delle vecchie strutture al fine di eliminare
il mismatch qualitativo presente tra la domanda degli utenti e l’offerta degli istituti residenziali. A tale
proposito la Regione Toscana si pone -assieme ad Abruzzo, Liguria, Trento, Umbria e Veneto- tra le
amministrazioni più avanzate (Pesaresi, Brizioli, 2009).
21
È significativo precisare in proposito che la bassa percentuale di anziani assistiti in strutture residenziali
in Italia (3% contro la media dell’Europa a 15 del 5,1%) è rimasta costante nell’ultimo decennio
probabilmente in virtù della rilevante ondata migratoria che ha reso disponibile per le famiglie interessate
una grande offerta di prestazioni assistenziali continuative (Pesaresi, Brizioli, 2009).
19
37
38
Potenziamento
Potenziamento
Potenziamento.
Fissazione di
standard di spesa
CGIL, CISL, UIL
(2005)
P.d.L. On. Castellani
et al. (2006)
Gruppo per
la riforma
dell’assistenza
continuativa (2006)
Potenziamento.
Fissazione di
standard di spesa
-----
Potenziamento
Potenziamento.
Raggiungimento di
standard definiti
Potenziamento.
Raggiungimento di
standard definiti
Coordinamento
dell’esistente
CAPP, CER, Servizi
Nuovi (2004)
Coordinamento
dell’esistente
Commissione
Maroni-Sirchia
(2003)
-----
Potenziamento
Potenziamento
Carlo Hanau (2002)
-----
Potenziamento
Potenziamento
Commissione Onofri
(1997)
Servizi residenziali e
semi-residenziali
Commissione Affari
Sociali della Camera
(On. Zanotti) (2003)
Servizi domiciliari
Proponente (anno)
Sviluppo offerta
-----
-----
-----
-----
-----
-----
-----
-----
Sostegno
assistenti
familiari
Introduzione PAB
(Prestazione
Assistenziale di Base)*
-----
Concessione all’interno
della valutazione
distrettuale
Graduale superamento
per confluire nei LEA
Mantenimento con
introduzione di vincoli al
suo utilizzo
-----
-----
Graduale superamento
per confluire nei LEA
Indennità di
accompagnamento
Sviluppo domanda
Mix ISEE
individuale/
familiare
-----
-----
-----
-----
ISEE individuale
Si
ISEE
4
-----
-----
Crescita intervento
pubblico oltre alla
possibilità di stipulare
una assicurazione
facoltativa
Contributo di solidarietà
-----
Finanziamento
Stima risorse
aggiuntive (mld
Strategia
euro annui)
Spostamento risorse
----all’interno della spesa
per il welfare
2,6
----Possibile contribuzione
obbligatoria oltre ad
----una assicurazione
facoltativa
Incremento pressione
fiscale oltre alla
2,1 – 4,5
possibilità di addizionali
regionali
Incremento pressione
8
fiscale e spostamento
risorse disponibili
Tabella 1.7
PRINCIPALI PROPOSTE DI RIFORMA DEI SERVIZI AI NON AUTOSUFFICIENTI AVANZATE NEGLI ULTIMI ANNI IN ITALIA
39
-----
-----
-----
Sostegno
assistenti
familiari
-----
-----
-----
Indennità di
accompagnamento
Sviluppo domanda
A regime ISEE
individuale
-----
-----
ISEE
-----
5,3
-----
-----
Spostamento risorse
da sanità e istituzione
di un fondo vincolato
-----
Finanziamento
Stima risorse
aggiuntive (mld
Strategia
euro annui)
* si tratta essenzialmente di una riforma dell’indennità di accompagnamento in maniera tale che: aumentino gli utenti; sia stabilito un legame con la fruizione di servizi; il sussidio
sia graduato in relazione al bisogno e, in particolare, sia maggiore di quello attuale per coloro che stanno peggio
Fonte: elaborazioni ed integrazioni su Gori (2008)
Potenziamento.
Fissazione di
standard qualitativi
e quantitativi
-----
Commissione LEA
per la residenzialità
(2007)
D.d.L. delega
Ferrero (2007)
-----
Potenziamento.
Fissazione di
standard qualitativi
e quantitativi
Commissione LEA
per la domiciliarità
(2006)
Potenziamento.
Fissazione di
standard qualitativi
Potenziamento.
Fissazione di
standard qualitativi e
quantitativi
Servizi residenziali e
semi-residenziali
Servizi domiciliari
Proponente (anno)
Sviluppo offerta
Tabella 1.7 segue
La discussione sulle possibili proposte si interseca necessariamente
con la riforma dell’assetto istituzionale italiano. Le leggi Bassanini di fine
anni ’90, la legge 328/2000 e la modifica del Titolo V della Costituzione
hanno inciso non poco sulla distribuzione delle competenze legislative ed
amministrative nonché di finanziamento delle prestazioni, nel settore oggetto
di studio. Secondo quanto disposto dal nuovo art. 117 Cost. la materia
appartiene alla potestà concorrente Stato-Regioni sotto il profilo sanitario e
socio-sanitario, mentre l’autonomia legislativa è esclusiva nell’ambito dei
servizi socio-assistenziali. Da un punto di vista amministrativo, invece, le
competenze sono da suddividere tra la Regione e le AUSL da una parte, e
gli enti locali dall’altra. Infine, il finanziamento delle prestazioni è ancora
ancorato in gran parte ai circuiti finanziari della sanità e dei servizi sociali
con una legislazione che, sia a livello statale che regionale, ha avuto troppo
spesso uno sviluppo poco organico (Ferioli, 2006).
In particolare, come si evince dalla tabella riepilogativa dei vari
sistemi regionali presentata di seguito, sono ancora rari i casi nei quali si
è scelto di finanziare una parte delle prestazioni erogate con tributi ad hoc
o apposite addizionali o sovrimposte su tributi in vigore.
Riepilogando, le Regioni sono oggi investite in prima persona nel
definire gli opportuni sistemi di finanziamento ed erogazione delle
prestazioni pur nel rispetto di numerosi e stringenti vincoli di varia natura.
Le scelte operate nel corso degli anni dalle varie amministrazioni sono
state, anche in questo caso, piuttosto eterogenee sotto vari punti di vista.
Alla stessa stregua del contesto internazionale, la distinzione più netta si
pone tra chi ha deciso di intervenire in modo organico e coloro che hanno
adottato soluzioni tampone.
Nella tabella 1.8 sono sintetizzate, mediante l’analisi di alcuni parametri
significativi, le soluzioni adottate in alcune Regioni italiane.
Alla stessa stregua delle soluzioni internazionali, anche quelle regionali
possono essere raggruppate sulla base di caratteristiche comuni. Una prima
variabile che può essere utilizzata per questa operazione è la modalità di
finanziamento delle prestazioni dedicate alla non autosufficienza: molte
Regioni (Liguria, Province Autonome di Trento e Bolzano, Veneto, Friuli
Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Basilicata,
Sardegna) hanno sinora optato per la realizzazione di un apposito “fondo
regionale per la non autosufficienza”, mentre altre non hanno ancora
voluto o saputo giungere allo stesso risultato. Tra quest’ultime vale la pena
segnalare il caso lombardo, nel quale è stata implementata una politica
robusta e ben strutturata a sostegno dei non autosufficienti senza ricorrere
allo strumento del fondo. In generale la creazione del fondo è sinonimo di
attenzione politica alla questione, ma non è necessariamente da associare
al reperimento di risorse ulteriori a quelle già presenti.
40
41
Provincia
Autonoma di
Trento
Lombardia
Liguria
Valle d’Aosta
Regione
Requisiti d’accesso
Prestazioni erogate
Finanziamento
Risorse regionali e statali.
L.R. 93/82; L.R. 1/00; Residenza nella Regione (da
Compartecipazione al
Assistenza residenziale e semiL.R. 13/06; DGR
oltre 5 anni per la soluzione
residenziale; ADI; Microcomunità costo da parte degli utenti
2868/06; DRG 20/08; residenziale); età superiore
e Centri Diurni; Telesoccorso
(e dei familiari) sulla base
DRG 15/09
ai 65 anni
dell’IRSE*
Potenziamento assistenza
residenziale e domiciliare.
Valutazione di una disabilità
Erogazione di un sussidio
grave, aver un ISEE inferiore economico per il caregiver (anche Risorse regionali e statali.
Fondo Regionale
ai 20.000 euro, essere
se badante) o per pagare altri È previsto il ricorso ad una
(L.R. 12/06)
percettore dell’indennità di
servizi privati. Le prestazioni
addizionale
accompagnamento
vengono erogate in ordine di
graduatoria e compatibilmente
con le risorse disponibili
Residenza in Regione.
Risorse regionali e statali.
Accesso universale, priorità Titoli per l’acquisto di prestazioni
L.R. 3/08
Compartecipazione al
in base al bisogno ed alla
domiciliari
costo degli utenti
condizione economica
Residenza biennale nella
Provincia, disponibilità
Fondo Provinciale
a mantenere l’anziano a
Risorse provinciali,
(L.P. 23/07)
domicilio, erogazione di
È previsto un sussidio economico
regionali, statali. No risorse
con funzione di
un livello di cure informali
per l’assistenza e cura a domicilio
aggiuntive rispetto a quelle
coordinamento delle
adeguato, condizione
delle persone non autosufficienti
in vigore
prestazioni già in
economica inferiore ad un
essere
livello soglia, dichiarazione
di non fruire di servizi sociali,
sanitari, assistenziali
Principali riferimenti
normativi e
caratteristiche
generali
Tabella 1.8
SOLUZIONI ADOTTATE DA ALCUNE REGIONI ITALIANE
X
X
X
Servizi
domiciliari
X
X
X
Trasf.
monetari
Tendenza sviluppo dei servizi
Servizi
residenziali
42
Toscana
Emilia
Romagna
Friuli Venezia
Giulia
Residenza in Provincia,
valutazione della non
autosufficienza da parte di
una apposita commissione
Requisiti d’accesso
Finanziamento
Assegno di cura mensile di
Risorse provinciali,
importo variabile a seconda della regionali, statali. Inoltre
gravità (4 livelli), pagamento
gli interessi attivi derivanti
assistenza domiciliare e
dalla gestione patrimoniale
residenziale, copertura spese
del fondo. No risorse
previdenziali a favore del
aggiuntive rispetto a quelle
caregiver
in vigore
Prestazioni erogate
Fondo Regionale
(L.R. 1/08)
Valutazione non
autosufficienza e situazione
È previsto un assegno di cura
Risorse regionali e statali
economica (ISEE)
Valutazione non
Sussidio economico di entità
Risorse regionali e statali.
Fondo Regionale L.R.
autosufficienza e ISEE
variabile in base al reddito ed al
No risorse aggiuntive
6/06
inferiore a 35.000 euro
livello di non autosufficienza
rispetto a quelle in vigore
Valutazione non
Risorse regionali e statali.
autosufficienza e calcolo
Assegno di cura destinato ai
È previsto il ricorso ad
Fondo Regionale
dell’ISEE, disponibilità
caregiver disposti a mantenere a
addizionali su IRPEF e
(L.R. 27/04)
a mantenere il non
domicilio l’anziano
IRAP
autosufficiente a domicilio da
parte del caregiver
Residenza in Regione,
valutazione della condizione
di non autosufficienza
Interventi domiciliari in forma
Risorse regionali, statali
Fondo Regionale
da parte di una apposita
diretta e indiretta (voucher),
e comunali. No risorse
(L.R. 66/2008)
commissione (in alternativa
inserimento in strutture
aggiuntive rispetto a quelle
riconoscimento della
semiresidenziali o residenziali
in vigore**
disabilità a i sensi della L.
104/1992)
Fondo Provinciale
(L.P. 9/07 e 10/07)
Provincia
Autonoma di
Bolzano
Veneto
Principali riferimenti
normativi e
caratteristiche
generali
Regione
Tabella 1.8 segue
X
X
X
X
X
X
Servizi
domiciliari
X
X
X
X
X
Trasf.
monetari
Tendenza sviluppo dei servizi
Servizi
residenziali
43
Valutazione non
autosufficienza e situazione
economica
Valutazione della non
autosufficienza
Fondo Regionale
(L.R. 9/08); L.R.
28/07; DCR 290/09
Fondo Regionale
(L.R. 20/06)
Fondo Regionale
(L.R. 4/07)
Fondo Regionale
(L.R. 2/07)
Umbria
Lazio
Basilicata
Sardegna
X
Risorse regionali e statali.
No risorse aggiuntive
rispetto a quelle in vigore
* Indicatore Regionale della Situazione Economica; ** L’aumento del budget disponibile per il finanziamento delle prestazioni
per i non autosufficienti è infatti stato ottenuto stornando risorse da altri capitoli di bilancio e non inasprendo l’imposizione fiscale
Fonte: elaborazioni ed integrazioni su Francesconi, Razzanelli (2008), Beltrametti (2008), Giorgi, Ranci Ortigosa (2008)
X
X
X
Trasf.
monetari
Risorse regionali e statali.
No risorse aggiuntive
rispetto a quelle in vigore
X
X
Risorse regionali e statali.
No risorse aggiuntive
rispetto a quelle in vigore
Interventi domiciliari in forma
diretta e indiretta (voucher)
X
Risorse regionali e statali.
Compartecipazione al
costo da parte degli utenti.
No risorse aggiuntive
rispetto a quelle in vigore
Interventi domiciliari diretti ed
indiretti (“assegno di sollievo”),
soluzione residenziale solo
per persone con alto bisogno
assistenziale e assoluta
inadeguatezza ambientale
Servizi
domiciliari
Tendenza sviluppo dei servizi
Servizi
residenziali
Finanziamento
Prestazioni erogate
Condizione di non
autosufficienza. Priorità alle
persone con più di 65 anni Introduzione sperimentale di un
e in condizione di basso
assegno di cura
reddito (valutato tramite ISEE
familiare)
Valutazione della disabilità
Prestazioni, graduate in base
grave secondo quanto
alle necessità, di assistenza
previsto dalla L.104/92
domiciliare e ricoveri di sollievo
Requisiti d’accesso
Principali riferimenti
normativi e
caratteristiche
generali
Regione
Tabella 1.8 segue
Anzi, sono poche le realtà regionali dove si è scelto di istituire
addizionali su tributi esistenti (Emilia Romagna e Liguria) o di architettare
un sistema che, mediante la gestione patrimoniale del fondo, faccia fronte
alla sostenibilità finanziaria intergenerazionale (Provincia Autonoma di
Bolzano). Nelle restanti Regioni il fondo creato è stato in genere utilizzato
per razionalizzare le numerose fonti di finanziamento, operare una
riorganizzazione dell’erogazione delle prestazioni, ampliare il volume dei
servizi a discapito di altre voci del bilancio regionale.
Una ulteriore variabile utile per raggruppare le varie esperienze regionali
riguarda i requisiti di accesso alle prestazioni. Gran parte delle amministrazioni
richiedono, oltre chiaramente ad un adeguato accertamento della presenza e
della gravità della condizione di non autosufficienza, anche la residenza nella
Regione da uno o più anni (Valle d’Aosta, Lombardia, Province Autonome di
Trento e Bolzano, Toscana22). Alcune, inoltre, richiedono che l’anziano (o la
famiglia dell’anziano) sia in condizione economica inferiore ad uno standard
prefissato (Liguria, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Umbria, Basilicata). In genere la
condizione economica è stimata mediante l’ISEE (o ISEE familiare): solo la
Valle d’Aosta adotta infatti il proprio Indicatore Regionale della Situazione
Economica (IRSE).
Infine, è possibile distinguere le Regioni sulla base delle modalità con
le quali le prestazioni vengono erogate. In particolare, è utile suddividere
in relazione alla preferenza a fornire servizi in kind (servizi residenziali,
semi-residenziali, domiciliari) o sotto forma di cash benefits (trasferimenti
monetari). Molte delle Regioni analizzate hanno introdotto negli anni
passati degli appositi assegni di cura più o meno vincolati nel loro utilizzo.
In molti casi lo strumento è stato adottato per sostenere in maniera diretta
o indiretta le famiglie che hanno scelto di rivolgersi ad una badante. Più
precisamente, le ragioni che hanno portato tali amministrazioni ad avvalersi
di tale strumento sono riconducibili a (Gori, Pasquinelli, 2008): fornire
un sostegno economico e garantire al contempo ampia libertà di scelta
delle prestazioni al beneficiario (Lombardia); sostenere chi è più fragile
incentivando l’emersione del lavoro nero (Veneto e Sardegna); qualificare
il lavoro di cura e coordinarlo con il sistema di servizi (Emilia Romagna,
Friuli Venezia Giulia).
In Toscana l’art. 8 della L.R. 66/2008 istitutiva del Fondo Regionale per la non autosufficienza
richiede semplicemente la residenza nel territorio regionale.
22
44
2.
LE CURE AI NON AUTOSUFFICIENTI: IL RUOLO DI MERCATO, FAMIGLIA E
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
I servizi assistenziali ai non autosufficienti possono essere erogati da membri
della famiglia, personale a pagamento, operatori finanziati dalla pubblica
amministrazione.
Negli ultimi anni, il progressivo declino della famiglia quale principale
erogatrice delle cure, legato in particolare alla crescente partecipazione
sul mercato del lavoro da parte della donna, ha determinato l’instaurarsi di
una nuova divisione del lavoro di cura degli anziani non autosufficienti. Le
famiglie, non essendo più in grado di garantire una quantità di assistenza pari a
quella riscontrata in passato, si rivolgono con maggiore insistenza alla pubblica
amministrazione -capace oggi di fornire solo una quota minoritaria di servizie soprattutto al mercato, dove è possibile trovare persone disposte a fornire
un’assistenza continuativa non specializzata a basso costo (cd. badanti).
La scelta tra queste tre modalità di assistenza, certamente non esclusive tra
loro, dipende da una pluralità di fattori non facili da identificare ed analizzare.
Lo studio di questi aspetti assume tuttavia un ruolo di primo piano a causa delle
forti implicazioni finanziarie che esse avranno nel prossimo futuro quando
crescerà la platea dei non autosufficienti23. Pertanto, comprendere le dinamiche
che spingono i soggetti a scegliere un determinato modello assistenziale, non
solo è cruciale nell’ottica di predisporre ed organizzare i servizi pubblici, ma
anche per tentare di incidere sulle scelte compiute in maniera tale da poter
raggiungere gli obiettivi preposti, in primis quelli della sostenibilità finanziaria,
dell’efficacia delle prestazioni, della soddisfazione degli utenti.
Il capitolo individua inizialmente alcuni possibili modelli di cura e ne
quantifica la rilevanza. In seguito passa in rassegna il contributo della letteratura
economica e delle analisi empiriche al fine di mettere in rilievo alcuni risultati
significativi.
2.1
I modelli assistenziali
L’attività di cura ed assistenza ai non autosufficienti può essere erogata
a domicilio, in maniera alternativa o complementare, da un parente in
maniera informale, da personale privato a pagamento, da dipendenti
Ad esempio, l’assistenza residenziale risulta assai più incisiva sul bilancio pubblico di quella
domiciliare (cfr. OCSE, 2005).
23
45
pubblici. Alternativamente esiste la soluzione residenziale che, eccettuando
le soluzioni ibride come i centri diurni o i ricoveri di sollievo, si caratterizza
per essere sostitutiva rispetto a qualunque altra attività di assistenza
domiciliare.
Astraendo rispetto alle possibili peculiarità riscontrabili nelle suddette
modalità24, i modelli di assistenza possono essere ricondotti a tre distinte
tipologie:
1. la soluzione residenziale (institutional care);
2. l’attività di caregiving informale da parte di un parente integrabile
dall’assistenza domiciliare pubblica;
3. la cura a domicilio da parte di personale privato a pagamento (in
particolare le cd. “badanti”).
Ad ognuno di questi si può ulteriormente integrare l’apporto del
volontariato che agisce in maniera trasversale.
Volendo tentare una sintetica descrizione del ricorso a questi tre modelli
nel contesto italiano e toscano, è sufficiente notare che la soluzione
residenziale è una opzione adottata dal 7,5% circa dei non autosufficienti
in Italia e dal 5% circa in Toscana25. Il ricorso limitato a questa soluzione è
spiegato soprattutto dalla scarsità di offerta: in Italia si hanno solo 373 posti
ogni 100.000 abitanti mentre in Toscana tale valore scende a 364 (Ministero
della Salute, 2008)26. Il costo medio mensile per utente si è attestato in Italia
nel 2004 a 2.260 euro, dei quali 1.065 (47,1%) sono stati versati dall’utente,
983 (43,5%) dall’ASL, 212 (9,4%) dal Comune (Pesaresi, 2008a)27. I dati
mostrano piuttosto chiaramente che le famiglie sostengono il peso economico
più rilevante. Ciò è confermato anche dal fatto che gli utenti non pagano
alcunché solo nell’8% dei casi (Pesaresi, 2008b). La Toscana non si discosta
molto da questo quadro generale: la spesa media per ricoverato mensile è di
2.462 euro, dei quali 1.115 (45,3%) sono versati dall’utente, 1.032 (41,9%)
dal SSN, 315 (12,8%) dal Comune. La soluzione residenziale si pone spesso
come sostitutiva piuttosto che integrativa rispetto all’assistenza domiciliare,
dato che le soluzioni ibride come i centri diurni o i ricoveri di sollievo
risultano ad oggi ancora troppo poco diffusi28.
Per una analisi puntuale delle modalità residenziale e domiciliare anche nei Paesi europei cfr.
Pesaresi, Gori (2006).
25
Si tratta di elaborazioni IRPET su dati ISTAT (2005b).
26
Il dato comprende anche l’assistenza di tipo psichiatrico.
27
La spesa per utente cresce all’aumentare del contenuto sanitario delle prestazioni. Ad esempio essa
si attesta a 2.454 euro nelle residenze sociosanitarie.
28
Lo squilibrio osservabile nei dati più aggiornati (anno 2006) tra le soluzioni residenziale e
semiresidenziale è piuttosto netta per quanto riguarda i servizi agli anziani: in Italia i posti di quest’ultime
strutture sono solo il 6,9% del totale e servono il 7,2% degli utenti. In Toscana la situazione non è
dissimile visto che i posti nelle strutture semiresidenziali sono l’8,8% del totale e servono l’8,9% degli
utenti complessivi. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda i disabili fisici, per i quali si assiste
ad una ripartizione quasi equivalente tra i posti in strutture semiresidenziali e quelli invece residenziali.
Ciò vale sia per il contesto italiano che toscano (cfr. Ministero della Salute, 2008).
24
46
Il modello basato sull’assistenza erogata informalmente da parte di
un parente, integrata eventualmente con i servizi domiciliari, è ad oggi
quello prevalente in tutti i Paesi sviluppati. L’OCSE (2005) mostra che
nei Paesi sviluppati oltre l’80% delle ore di cura ed assistenza sono fornite
informalmente da un parente stretto, sovente di sesso femminile, del
soggetto disabile. In genere si tratta del coniuge, di un figlio o della nuora.
Anche in Italia la famiglia rimane il sostegno fondamentale delle persone
con disabilità: sebbene una quota non trascurabile di non autosufficienti
viva sola (32%) essi possono comunque contare sull’aiuto dei figli, che
nell’89% dei casi abitano nelle vicinanze e nell’87% delle situazioni
vanno a trovarli almeno una volta a settimana29. L’accentuarsi di questo
stato dei fatti mostra l’instaurarsi di una sorta di “intimità a distanza” tra
i figli ed i genitori non autosufficienti, che tuttavia non scalfisce il ruolo
preponderante dell’assistenza informale erogata dai parenti più stretti: si
stima che un numero compreso tra i 3.000.000 ed i 3.500.000 di italiani
forniscano aiuto ad un parente disabile (Eurofamcare, 2007). Dallo stesso
studio emerge inoltre che il carico assistenziale dei primary caregivers è
piuttosto rilevante: in media si tratta di 92 ore settimanali, mentre in un
terzo dei casi tale attività si estende a tutto l’arco della giornata. Tale carico
di lavoro non è sempre sopportato agevolmente, visto che circa il 25%
degli assistenti familiari soffre di stress ed insoddisfazione legati proprio
all’attività di cura (Eurofamcare, 2007). In questo contesto i servizi
domiciliari paiono avere un impatto limitato, dato che l’utenza raggiunta
è pari solamente al 4,7% degli ultra 65enni, di cui il 3% attribuibile
all’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) fornito dalle ASL, mentre il
restante 1,7% al Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD) erogato dal
Comune (Baldini et al., 2008). Anche l’intensità non pare significativa:
per l’ADI si tratta di 24 ore annue per caso30 (Ministero della salute,
2008), mentre per la SAD si stima una media di 2-3 ore settimanali
(Baldini et al., 2008). Per quanto riguarda il contesto toscano, Antoni
et altri (2008) hanno rilevato che circa l’80% dei non autosufficienti a
domicilio non riceve alcun aiuto pubblico, mentre oltre il 60% riceve
esclusivamente cure informali da parte di un familiare. Un altro studio
recente di Di Bari et al. (2008) mostra che nell’area fiorentina la rete
assistenziale, composta in media da tre persone, comprende personale
pubblico solo nel 7% dei casi mentre gli assistenti privati sono presenti
in quasi il 45% dei casi. L’onere dell’assistenza ricade invece con
forza sui parenti stretti: il consorte è presente in circa il 30% dei casi,
il figlio in oltre il 75%. Anche nel contesto toscano permane, dunque,
l’impressione che l’assistenza domiciliare pubblica non si caratterizzi
29
30
Cfr. www.disabilitàincifre.it.
In Toscana tale valore sale leggermente assestandosi a 25 ore.
47
come una alternativa all’assistenza familiare quanto come un fattore
complementare, a causa della piccola platea di beneficiari e della scarsa
intensità della prestazione.
Il terzo modello assistenziale individuato, quello basato sul ricorso
a personale privato a pagamento, è ad oggi quello che funziona da
ammortizzatore rispetto alle tendenze in atto. Infatti, il progressivo
ampliarsi della domanda, associato ad una cronica scarsità di offerta
di servizi pubblici, obbliga gli utenti a ricorrere con forza al mercato,
nel quale è possibile trovare personale generalmente straniero e non
qualificato disposto ad assistere un non autosufficiente. La stima della
rilevanza di questo modello risulta piuttosto difficoltosa a causa della
frequente irregolarità della condizione lavorativa che caratterizza il
personale privato. Attenendoci a quanto rilevato ufficialmente dall’INPS31,
i lavoratori domestici risultavano nel 2007 in Italia 597.281 di cui 52.600
in Toscana. In linea con questa rilevazione l’ISTAT, nell’indagine sulle
condizioni di salute per il 2005, stimava che circa l’1,7% delle famiglie
si avvalesse di un collaboratore domestico, per un totale di oltre 400.000
persone impiegate. Stime più recenti, rivolte a quantificare anche l’ingente
lavoro sommerso, attestano la numerosità di tali soggetti in 700.000 unità
(Baldini et al., 2008). Secondo Spano (2006) tali soggetti potrebbero essere
invece tra 713.000 e 1.134.000 unità. Infine, i sindacati confederali hanno
stimato che tali figure professionali potrebbero ammontare addirittura a
1.500.000 (Filippi, 2008).
2.2
Le interazioni tra i soggetti: i risultati della teoria economica e dell’analisi
empirica
Contestualmente all’aumento del rilievo del tema della non
autosufficienza, la letteratura economica si è concentrata sull’analisi dei
processi decisionali che guidano le famiglie a scegliere l’uno o l’altro
modello assistenziale. L’obiettivo dei lavori di teoria economica, denotati
da un elevato livello di astrazione, è quello di cercare di spiegare la scelta
del primary caregiver al variare di alcune caratteristiche significative
della persona e del contesto. Più precisamente, le variabili prese in
considerazione sono riconducibili a:
1. reddito del caregiver;
2. livello di disabilità del non autosufficiente;
3. grado di altruismo del caregiver.
Cfr. INPS Osservatorio sui lavoratori domestici, consultabile all’indirizzo: http://servizi.inps.it/
banchedatistatistiche/domestici/index.jsp.
31
48
Le prime due variabili influenzano le modalità con le quali il familiare si
prende cura dell’anziano, indicando qual è il comportamento prevalente al
mutare del contesto: viene preferito dedicare tempo ed assistenza in prima
persona o acquistare prestazioni assistenziali sul mercato? E in quest’ultimo
caso, con quale livello di specializzazione? Il terzo fattore condiziona
invece l’entità dell’assistenza erogata direttamente o indirettamente dal
familiare. Vediamo in sintesi quali indicazioni possiamo estrapolare da
questa mole di studi. Si precisa che gli studi citati si concentrano, al fine di
semplificare l’analisi, su un contesto nel quale è presente un solo familiare
che può decidere di prendersi cura personalmente o meno dell’anziano non
autosufficiente residente a domicilio.
1. Il reddito guadagnato dal caregiver influenza notevolmente le modalità
con le quali quest’ultimo si prende cura dell’anziano non autosufficiente.
I risultati degli studi (Zissimopoulos, 2001; Sloan et al., 2002; Pestieau
e Sato, 2004, 2008) mostrano che all’aumentare del reddito guadagnato
dal caregiver aumenta la tendenza a trasferire all’anziano somme
monetarie sempre più ingenti per far ricorso ad acquisto di prestazioni
assistenziali e particolari ausili, mentre diminuisce, anche se in genere
in maniera meno che proporzionale, il tempo che il caregiver dedica
all’anziano. A parità di reddito del familiare, l’ammontare di risorse
trasferite è influenzato dal reddito e dal patrimonio dell’anziano:
all’aumentare di questi ultimi diminuisce infatti il volume di risorse
trasferite. Questi risultati, piuttosto intuitivi, sono spiegabili assumendo
la piena razionalità da parte dei figli, che tenderanno a concentrarsi
nelle mansioni nella quali riescono meglio. Più precisamente, se il
potenziale caregiver ha un’alta produttività sul mercato del lavoro e
riesce pertanto a guadagnare un reddito ingente, si troverà, nel caso
in cui decida di prendersi cura dell’anziano in prima persona, a dover
rinunciare a benefici consistenti. In altri termini, la scelta di assistere
il non autosufficiente avrà per lui un costo-opportunità elevato,
cosa che lo spingerà a ridurre il tempo dedicato alla cura a favore di
quello impiegato nel mondo del lavoro, nel quale potrà guadagnare
a sufficienza anche per poter assumere personale che garantisca le
prestazioni necessarie all’anziano. Un aspetto collegabile alla questione
del reddito del familiare sul mercato del lavoro è quello dell’eredità: il
potenziale caregiver potrebbe essere attratto dall’idea di avere un posto
di riguardo nei trasferimenti finanziari che avverranno al momento
della morte dell’anziano in virtù della loro attività assistenziale prestata.
Seguendo questo ragionamento essi potrebbero decidere di sacrificare,
completamente o solo in parte, la loro attività sul mercato del lavoro
a favore di quella assistenziale. I risultati ottenuti da alcuni autori
(Zweifel, Strűwe, 1996; Pestieau, Sato, 2004, 2008) mostrano che tale
49
fenomeno si verifica se l’entità dell’eredità è apprezzabile e se il non
autosufficiente riesce ad utilizzare tali risorse in maniera strumentale
allo scopo di ottenere assistenza dalle persone care.
2. Com’è facilmente intuibile, il livello di disabilità dell’anziano è una
variabile altamente significativa nello spiegare il modello assistenziale
che viene approntato per far fronte alle sue necessità. I risultati di questo
filone di studi (cfr. Bonsang, 2008) hanno messo in luce, in primo luogo,
che all’aumentare del grado di disabilità diventa progressivamente
meno opportuno l’assistenza formale erogata da persone con una bassa
qualifica -in particolare le badanti- a favore di prestazioni caratterizzate
da una più alta specializzazione come quelle di medici e tecnici
sanitari. L’interpretazione di tali risultati risiede nel fatto che con bassi
livelli di disabilità i compiti assistenziali richiesti sono facilmente
espletabili anche da personale unskilled, mentre all’aumentare della
gravità della situazione il carico assistenziale richiede la presenza (o
la compresenza) di personale più qualificato. In secondo luogo, le
analisi citate tentano di prevedere il comportamento dei caregivers
familiari al variare del livello di non autosufficienza dell’anziano.
I risultati sono in parte sorprendenti, non confermando il possibile
modello interpretativo secondo il quale l’attività di assistenza dei
familiari diminuisce all’aumentare del grado di disabilità dell’anziano.
Infatti, mentre per bassi livelli di dipendenza, per i quali vi è necessità
di personale poco specializzato, è riscontrata una alta sostituibilità tra
l’attività assistenziale di quest’ultimi e quella dei familiari; per alti
gradi di non autosufficienza emerge una significativa complementarietà
tra le prestazioni di operatori specializzati ed il caregiving familiare.
In altri termini, mentre i familiari sono disposti a delegare l’assistenza
del non autosufficiente quando l’anziano è dipendente in maniera non
rilevante, essi non lo sono più quando il soggetto presenta elevati livelli
di disabilità rendendosi disponibili a partecipare all’attività assistenziale
insieme ad operatori specializzati. La spiegazione di questo risultato
risiede, oltre che nelle differenti caratteristiche dei due tipi di cure
formali (estensive quelle fornite da personale unskilled, intensive quelle
erogate da personale specializzato), anche per motivi legati alla migliore
comprensione dei bisogni dell’anziano. In altri termini, se il familiare è
sufficientemente altruista nei confronti dell’anziano avrà interesse a far
valere la sua maggiore capacità di comprendere le necessità dell’anziano
quando quest’ultimo presenta bisogni particolarmente ingenti.
3. L’altruismo dei parenti nei confronti del non autosufficiente si può
definire come il benessere percepito dal fornire assistenza in maniera
non formale e non retribuita. Gli studi teorici (cfr. Jousten et al., 2005)
raggiungono risultati piuttosto intuitivi: all’aumentare del grado di
50
altruismo cresce, a parità di altre condizioni, la rilevanza dell’assistenza
che viene fornita dal caregiver. Essi mettono in rilievo anche una
ulteriore caratteristica del fattore oggetto di analisi, ossia la difficoltà a
verificarne la presenza e l’entità32.
Passando adesso all’analisi dei risultati delle indagini empiriche,
si passeranno in rassegna alcuni studi particolarmente significativi.
In generale, le indagini empiriche consentono di mostrare l’eventuale
validità delle affermazioni ottenute mediante il ragionamento teorico. In
ogni caso i risultati ottenuti da elaborazioni su dati reali consentono di
estrapolare utili indicazioni in merito all’adesione più o meno marcata ai
modelli teorici, di effettuare ipotesi circa le motivazioni alla base di quanto
osservato, nonché di evincere ulteriori indicazioni di policy. Si precisa
che, dato che le motivazioni insite alla scelta dipendono anche dal contesto
socio-culturale nel quale vengono rilevate, si cercherà di mettere in risalto
il contesto geografico nel quale i risultati sono ottenuti affinché il lettore
possa trarre le opportune conclusioni.
Bonsang (2008), lavorando su dati riferiti al contesto europeo,
analizza le determinanti della sostituibilità tra cure formali ed informali
e della scelta della soluzione residenziale. L’autore scopre che risultano
determinanti positive delle cure informali la numerosità delle figlie ed
il livello di disabilità. Influenzano invece negativamente la probabilità
di essere caregiver la distanza dall’anziano e, seppur in maniera blanda,
l’elevatezza del livello di istruzione.
Lo studio Eurofamcare (2007) descrive le caratteristiche tipiche
del caregiver in Italia. Come intuibile, emerge che esso è nella grande
maggioranza dei casi una donna, spesso identificata nella figlia o nella
moglie (o convivente) del non autosufficiente. Dall’analisi emergono
anche alcuni aspetti sorprendenti: il reddito, sia familiare che pro capite,
è superiore nell’insieme dei prestatori di assistenza rispetto agli altri;
l’istruzione è maggiore per i carers rispetto ai non carers; l’attività di
assistenza diretta è più intensa tra coloro che lavorano nel settore privato
rispetto a quello pubblico.
La questione, sulla quale non ci dilunghiamo, diventa particolarmente rilevante non appena si
passa dalla fase di analisi a quella di policy. In quest’ultimo contesto, infatti, non ci si può esimere
dal dare una risposta a questioni del tipo: è meglio sostenere le situazioni nelle quali il familiare si
prende cura altruisticamente dell’anziano -garantendo un maggior benessere a quest’ultimo ed un
minor ricorso a prestazioni pubbliche- o contesti nei quali il non autosufficiente viene lasciato solo
da parenti non altruisti, mossi dall’esigenza di tutelare una persona in condizioni peggiori? In altri
termini, come si chiedono Francesconi e Razzanelli (2008), “il caregiver familiare è da considerarsi
una ricchezza del paziente, che ha quindi meno bisogno di sussidi o servizi da parte dell’ente pubblico,
oppure una ricchezza del sistema assistenziale che va quindi incoraggiata e premiata”?. Questioni
del genere sono trattate nei modelli citati, nei quali viene spesso evidenziato che le politiche adottate
dall’operatore pubblico rischiano talvolta di generare risultati difformi rispetto agli obiettivi perseguiti,
caratterizzandosi quali classici casi di eterogenesi dei fini.
32
51
Uno studio del CERP (2003) ha identificato le caratteristiche del tipico
caregiver italiano. I risultati sono difformi da quanto rilevato dallo studio
Eurofamcare (2007). I caregivers, in genere di sesso femminile, non
giovani ed in buona salute, tendono a prestare assistenza prevalentemente
a donne con un livello di disabilità non elevato. Non sorprende poi che
all’aumentare del reddito familiare diminuisca la probabilità di divenire
assistente33, così come risulta in linea con le previsioni teoriche il fatto che
il reddito dell’anziano agisca, seppur in maniera blanda, come attrattore
di cure da parte dei figli. Sorprende invece l’evidenza che l’attività di
caregiving, intesa anche come intensità delle cure prestate, sia correlata
positivamente con i maggiori livelli di istruzione. Infine, l’analisi statistica
consente di dare una indicazione a proposito dell’attività lavorativa:
la decisione di divenire caregiver non sembra fortemente influenzata
dall’estensione dell’orario di lavoro, mentre essa sembra incidere sulle ore
dedicate all’assistenza.
L’analisi di Lippi Bruni e Ugolini (2005), condotta su dati relativi
all’Emilia Romagna, ha messo in evidenza che l’assistenza informale è
correlata negativamente con l’età del non autosufficiente, con la durata
del periodo di disabilità, con la rilevanza della condizione di dipendenza.
Esiste poi un’ulteriore correlazione negativa, seppur molto blanda, con
il reddito familiare. Il ricorso a cure a pagamento sembra invece legato
positivamente all’età dell’anziano e al reddito familiare.
Osservando i lavori presentati nel loro complesso e confrontandoli con i
principali risultati dell’analisi teorica, si notano alcuni punti di convergenza
ma anche alcune discrepanze.
La presente ricerca, i cui risultati sono descritti nella parte seguente,
ha cercato di indagare in merito alle determinanti della scelta del modello
assistenziale riferendosi all’esperienza diretta delle famiglie toscane che
vivono nell’area empolese.
È interessante anche la quantificazione di questo risultato: all’aumentare del reddito di 5.160 euro
la probabilità di divenire caregiver diminuisce del 2,5%. Inoltre all’aumentare della stessa quota di
reddito le ore di assistenza settimanali, identificate in media in 31, si riducono di quasi una unità.
33
52
Parte II
L’INDAGINE
53
3.
L’INDAGINE SUL LAVORO DI CURA NELLA AUSL 11 - EMPOLI
3.1
La struttura e le finalità dell’indagine
Le dinamiche attese -crescita dei non autosufficienti e difficoltà per i
familiari a prendersi cura di essi, combinate con la prevedibile scarsità di
fondi a disposizione- costringono l’operatore pubblico a sfruttare appieno
tutti gli strumenti di governo della domanda al fine di organizzare una
efficiente ed efficace rete di servizi. A tal fine appare cruciale, soprattutto
in un contesto come quello italiano caratterizzato da universalità e piena
esigibilità delle prestazioni, la necessità di conoscere quali sono e quali
saranno le scelte operate da coloro chiamati a decidere le modalità di
assistenza degli anziani non autosufficienti. Non meno importante sembra
poi riuscire a stimare il costo, sia economico che sociale, associato
all’assistenza informale. Solo in questo modo, infatti, si potrà riuscire a
definire un sistema di tutele per i non autosufficienti che riesca a coniugare
virtuosamente l’esigenza di rispondere alle loro necessità con l’obiettivo
di sostenere la crescita economica, vero strumento che potrà garantire nel
lungo periodo la reale sostenibilità nel tempo del welfare state toscano.
Sulla base di queste considerazioni, la ricerca si propone di analizzare
le caratteristiche della domanda e dell’offerta di assistenza, con
particolare riferimento all’attività di caregiving familiare, oltre a cercare
di quantificare il costo, implicito ed esplicito, sostenuto dai familiari
impegnati nell’attività di cura.
Il contesto nel quale è stata condotta la ricerca è quello della Società
della Salute di Empoli della AUSL 11, dove è stato possibile considerare
l’intero universo dei non autosufficienti. L’indagine è stata condotta
mediante una intervista telefonica diretta al primary caregiver, ossia alla
persona che coordina l’attività di assistenza tenendo i rapporti con la
pubblica amministrazione, la “badante” e tutti gli altri soggetti che, a vario
titolo, partecipano all’attività assistenziale. Più precisamente, dopo aver
escluso le persone non contattabili, si è proceduto ad inviare per posta una
specifica informativa a tutti i non autosufficienti per avvertire della ricerca
in corso e dare loro la possibilità di non partecipare34. Al termine di questa
operazione di scrematura del campione, è stato possibile identificare
Ai destinatari veniva concessa la facoltà di non partecipare all’indagine avvertendo tempestivamente
l’IRPET mediante l’invio di una apposita lettera preaffrancata fatta recapitare insieme all’informativa,
o telefonando al numero verde attivato.
34
55
l’insieme di persone disponibili ad essere intervistate. La tabella seguente
(Tab. 3.1) descrive da un punto di vista quantitativo i passi effettuati.
Tabella 3.1
OPERAZIONI DI SCREMATURA DEL CAMPIONE
Non autosufficienti nella AUSL 11 - SdS Empoli
Esclusi per assenza recapito telefonico
Persone dichiaratesi non disponibili
Persone potenzialmente intervistabili
Numero
% sul totale non autosufficienti
2.843
556
188
2.099
100,0
19,6
6,6
73,8
Fonte: elaborazioni IRPET
In seguito è stato possibile iniziare le interviste che sono state realizzate
nel periodo di ottobre-novembre 200835. Nel grafico 3.2 sono riportate le
incidenze percentuali sul totale dei vari esiti delle interviste telefoniche.
Grafico 3.2
INCIDENZA PERCENTUALE DEI VARI ESITI DELLE INTERVISTE REALIZZATE
Assistente non ritracciabile
1,4
2,9
4,5
Intervista interrotta
Assistito defunto
7,0
8,2
Numero inesistente/errato
Rifiuto
Senza esito
16,8
59,2
Interviste realizzate
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Fonte: elaborazioni IRPET
Come si può notare sia la numerosità delle persone intervistate che la
loro incidenza sul totale sono ampiamente soddisfacenti, soprattutto se si
tiene in considerazione della sensibilità del tema oggetto di analisi.
Il questionario utilizzato nelle interviste, che è stato appositamente
costruito, è riportato in appendice. La sua struttura ricalca le finalità
dell’indagine, essendo suddiviso in tre sezioni: la condizione dell’anziano,
dove si analizzano le peculiarità del non autosufficiente; la scelta del
metodo assistenziale, nella quale si indaga in merito a quali diversi
modelli si tende ad orientarsi; la condizione del primary caregiver,
dove si passano in rassegna le caratteristiche del familiare. Concludono
35
Le interviste sono state realizzate dalla società EUREMA S.r.l..
56
il questionario alcune domande più sensibili in merito alla condizione
economica dell’anziano e della famiglia, nonché relative alla situazione
giuridica dell’eventuale badante.
3.2
Il contesto della AUSL 11 - Empoli
L’Azienda USL 11 presenta al suo interno due Società della Salute
-Valdarno ed Empoli- e si colloca territorialmente a cavallo tra la Provincia
di Firenze e quella di Pisa. Essa comprende 15 Comuni -Capraia e Limite,
Castelfiorentino, Cerreto Guidi, Certaldo, Empoli, Fucecchio, Gambassi,
Montaione, Montelupo Fiorentino, Montespertoli, Vinci, Castelfranco di
Sotto, Montopoli in Valdarno, San Miniato e Santa Croce Sull’Arno- per
una estensione territoriale di oltre 933 Km2. Se andiamo ad osservarne
le caratteristiche principali in termini di popolazione in confronto alle
altre AUSL emerge, come mostrato nella seguente tabella (Tab. 3.3), una
dimensione medio-piccola.
Tabella 3.3
INDICATORI DEMOGRAFICI SIGNIFICATIVI PER LE AUSL TOSCANE. UNITÀ. 2008
Azienda USL
1 - Massa Carrara
2 - Lucca
3 - Pistoia
4 - Prato
5 - Pisa
6 - Livorno
7 - Siena
8 - Arezzo
9 - Grosseto
10 - Firenze
11 - EMPOLI
12 - Viareggio
TOSCANA
ITALIA
Popolazione
residente
Popolazione
over 65
Incidenza
anziani (%)
Indice di
vecchiaia (%)
Indice dipendenza
anziani (%)
203.698
221.999
290.596
246.034
334.718
350.909
269.473
346.324
225.861
813.077
236.928
168.201
3.707.818
59.619.290
49.177
51.859
65.424
49.775
75.884
84.803
66.139
78.096
55.975
195.625
51.382
38.541
862.680
11.945.986
24,14
23,36
22,51
20,23
22,67
24,17
24,54
22,55
24,78
24,06
21,69
22,91
23,27
20,04
209,85
183,57
177,85
145,51
181,29
205,22
200,29
177,85
218,51
190,28
158,30
190,02
185,94
142,77
37,51
36,55
34,73
30,72
34,97
37,73
38,83
34,82
38,80
38,01
33,56
35,24
36,23
30,39
Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT
Oltre alla dimensione contenuta della Azienda USL 11 si nota anche
che i valori dei tre principali indici riferiti agli anziani sono migliori
rispetto a tutte le altre AUSL toscane se si eccettua il caso di Prato che,
come noto, si contraddistingue per una elevata immigrazione che tende
57
ad abbassarne l’età media. Alla stessa conclusione si giunge se andiamo a
confrontare (Graf. 3.4) la composizione della popolazione empolese con
quella regionale. Dallo stesso grafico si desume inoltre che la quota di
anziani è superiore a quanto rilevato per l’Italia nel suo complesso.
Grafico 3.4
RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE IN CLASSI DI ETÀ. 2008
SDS Valdarno
13,7
65,6
20,7
0-14
SDS Empolese
13,7
64,0
22,3
15-64
AUSL 11
13,7
64,6
21,7
Toscana
12,5
64,2
23,3
ITALIA
14,0
66,0
20,0
0%
20%
40%
60%
80%
65+
100%
Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT
La distinzione tra Società della Salute mostra che nel contesto empolese
è presente una quota di anziani superiore a quanto registrato sia nella AUSL
nel suo complesso che su tutto il territorio nazionale.
Sintetizzando i risultati presentati, si può affermare che il contesto
demografico nel quale è stata svolta l’indagine non presenta sostanziali
differenze rispetto al quadro complessivo. Ad ulteriore conferma di ciò
si può notare che anche nella AUSL di Empoli sono all’opera gli stessi
processi che sono stati rilevati nell’introduzione per la Toscana e l’Italia
in generale: l’aumento progressivo sia della numerosità degli over 65, sia
della quota degli anziani sul totale della popolazione che, infine, dell’età
media. Tali informazioni sono presentate nella tabella 3.5.
Tabella 3.5
ANDAMENTO NEL TEMPO DI ALCUNI INDICATORI DEMOGRAFICI RELATIVI ALLA POPOLAZIONE
RESIDENTE NELL’AUSL 11
Residenti over 65 (unità)
Incremento della popolazione over 65 (in %, anno base 1971)
Popolazione over 65 su totale popolazione (in %)
Età media della popolazione over 65 (anni)
1971
1981
1991
2001
2008
28.383
14,33
73,03
34.498
+21,54
16,49
73,77
39.847
+40,39
19,01
74,51
46.578
+64,11
21,36
75,29
50.845
+79,14
21,73
75,63
Fonte: elaborazioni IRPET su dati ISTAT
58
Per quanto riguarda poi l’insieme dei non autosufficienti, se ne può
osservare nel grafico 3.6 sia la numerosità, che la fascia di età nonché il
livello di abilità perduta36.
Grafico 3.6
NUMEROSITÀ E RIPARTIZIONE PER FASCIA DI ETÀ E GRAVITÀ DELLA NON AUTOSUFFICIENZA DEI
DISABILI NELLA AUSL 11. UNITÀ. 2006
8.000
6.000
4.000
2.000
0
Maschi Femmine TOTALE Maschi Femmine TOTALE Maschi Femmine TOTALE
Età <75 anni
Età >=75 anni
Lieve
Moderata
Intermedia
Tutte le età
Grave
Fonte: elaborazioni IRPET su dati AUSL 11
Anche in questo caso si osserva che nella realtà empolese l’incidenza
della non autosufficienza per classe di età è in linea con quella regionale;
tende a crescere all’aumentare dell’età; si manifesta più incisivamente
nelle persone di sesso femminile.
Interessante a questo punto è chiedersi come viene organizzata l’erogazione
delle prestazioni. Il caso della AUSL di Empoli si contraddistingue per
numerosi fattori di innovatività nella creazione di un sistema di cura ed
assistenza alle persone non autosufficienti. Ad una prima analisi si notano
una particolare attenzione al coinvolgimento dei pazienti, al collegamento tra
assistenza ospedaliera e territoriale, alla costruzione di sistemi informatici,
alla integrazione tra le varie prestazioni. Sono tutti elementi particolarmente
significativi anche in sé, che tuttavia possono essere ricondotti ad un comune
denominatore, che ne è anche il principio ispiratore. Il tentativo che la
AUSL di Empoli sta cercando di attuare, distinguendosi significativamente
da altri contesti, è quello di cambiare radicalmente l’approccio delle cure:
da un intervento esclusivamente ex-post, ad uno centrato sulla proattività
e sulla prevenzione. L’approccio adottato si fonda sul modello teorico
Si intende: per disabile grave 3 ADL perdute, intermedio 2 ADL perse, moderato 1 ADL perduta,
lieve 3 IADL perse.
36
59
denominato Chronic Care Model (Bodenheimer, Wagner, Grumbach, 2002a;
Bodenheimer, Wagner, Grumbach, 2002b) che, nel contesto di una progressiva
riqualificazione del ruolo delle cure primarie in ambito internazionale
(Maciocco, 2008), si propone come obiettivo finale quello di avere “un
paziente informato che interagisce con un team preparato e proattivo, con
lo scopo di ottenere cure primarie di alta qualità, una utenza soddisfatta e
miglioramenti nello stato di salute della popolazione”. Le innovazioni
introdotte, recepite in parte anche dal Piano Sanitario Regionale 2008-2010
della Regione Toscana (2008), caratterizzano l’AUSL empolese per una
più efficace erogazione delle prestazioni rispetto ad altri contesti territoriali.
Rimandando al lavoro di Mele e Tosi (2009) per una dettagliata descrizione
e spiegazione dei risultati raggiunti, sembra utile soffermarsi ad analizzare
alcuni indicatori particolarmente significativi delle performance empolesi.
Il laboratorio MES (2007), nel suo lavoro “Il sistema di valutazione
delle performance della sanità toscana”, ha analizzato ogni AUSL
Toscana in tutti i loro molteplici aspetti mediante lo studio di numerosi
indicatori. Essendo l’obiettivo della ricerca citata quello di fornire un
quadro esaustivo in merito alla capacità delle singole AUSL di conseguire
adeguati risultati nei vari ambiti nelle quali si trovano ad operare, essa
rappresenta un privilegiato punto di osservazione per comprendere,
almeno da un punto di vista generale, la bontà dell’approccio empolese. Lo
studio del Laboratorio MES (2007) mette in rilievo che l’AUSL Empolese
presenta una buona capacità di conseguire nel tempo gli obiettivi regionali,
presentando la più alta percentuale nel panorama toscano di indicatori
dal valore “buono” o “ottimo” (29 su 46, 63%) e non mostrando aree di
particolari criticità. La constatazione che l’AUSL empolese sia capace di
conseguire ottimi risultati generali non autorizza tuttavia ad affermare che
le performance nel nostro campo di analisi -gli anziani non autosufficientisiano altrettanto valide. Per approfondire la questione è utile far ricorso al
portale “ISA 65+” dell’ARS Toscana, che raggruppa un set di 22 indicatori
aggiornati annualmente in merito alla qualità ed all’efficacia delle cure
agli anziani erogate dalle AUSL toscane. Pur rimanendo ad un livello di
analisi piuttosto generale, lo studio di tali indicatori mostra che l’AUSL
empolese riesce a conseguire i migliori risultati nel contesto toscano. Nel
grafico 3.7, si nota infatti che la AUSL 11 si colloca alla seconda posizione
per il numero di indicatori migliori della media regionale e alla penultima
posizione per quelli peggiori. Nel complesso si pone dunque ai vertici di
questa particolare classifica37.
Alle medesime conclusioni si giunge scendendo nel dettaglio degli indicatori che più di altri testimoniano
la capacità di erogare una assistenza continuativa ed appropriata che consenta di evitare il ripresentarsi
di eventi patologici acuti (ad esempio: la terapia farmacologica nei casi di infarto incidenti, la terapia
farmacologica nei casi prevalenti di infarto, i soggetti con ictus sottoposti a riabilitazione entro 30 giorni),
dato che l’AUSL 11 manifesta valori “significativamente migliori della media regionale”.
37
60
Grafico 3.7
INDICATORI RELATIVI ALL’ASSISTENZA AGLI ANZIANI SIGNIFICATIVAMENTE MIGLIORI, PEGGIORI O
NELLA MEDIA RISPETTO ALLA RELATIVA MEDIA REGIONALE
AUSL 1
AUSL 2
6
10
15
3
AUSL 3
AUSL 4
AUSL 5
AUSL 6
6
4
6
14
7
5
7
11
8
9
10
6
2
7
8
11
5
2
4
14
9
0
5
8
7
AUSL 11
AUSL 12
1
3
14
4
AUSL 7
AUSL 8
AUSL 9
AUSL 10
2
14
2
14
4
Indicatori migliori
6
8
10
12
3
14
Indicatori nella media regionale
16
18
20
22
Indicatori peggiori
Fonte: ARS Toscana
Sintetizzando quanto emerso da queste due distinte fonti informative -il
laboratorio MES (2007) ed il portale ISA 65+ dell’ARS Toscana- si evince
che le performance dell’AUSL 11 sono tra le migliori nel panorama toscano
sia nel complesso che nel più ristretto campo di analisi degli anziani38.
Tale constatazione consentirà di apprezzare con maggiore cognizione di
causa i risultati mostrati nei seguenti paragrafi, oltre a costituire un utile
riferimento per un qualsiasi tentativo di paragone tra le evidenze emerse in
questa ricerca e quelle relative ad altri contesti territoriali.
3.3
Le caratteristiche dei caregivers e dei loro assistiti
Al fine di descrivere in maniera esauriente il contesto nel quale l’indagine è
stata effettuata e al contempo fornire i corretti riferimenti per interpretare le
analisi che seguono, si riporta una sintetica descrizione delle caratteristiche
generali dei caregivers intervistati e dei loro assistiti non autosufficienti.
L’AUSL di Empoli si pone, per alcuni significativi aspetti legati alla prevenzione, addirittura ai
vertici della relativa classifica nazionale. L’indicatore “giorni perduti per cause evitabili” -che calcola
la capacità di minimizzare la mortalità implicata da tutte quelle cause definite “evitabili” proprio perché
riducibili con efficaci interventi di prevenzione primaria e secondaria, diagnosi e terapie precoci,
assistenza ospedaliera e territoriale opportuna- mostra infatti per l’AUSL 11 valori nettamente migliori
sia rispetto alla media toscana che, soprattutto, a quella nazionale (cfr. in proposito ERA, 2007).
38
61
Per quanto riguarda gli assistenti familiari, essi si caratterizzano per
il loro forte legame di parentela con l’anziano. In genere, come mostrato
nel seguente grafico (Graf. 3.8), essi sono figli o conviventi del non
autosufficiente.
Grafico 3.8
RIPARTIZIONE PERCENTUALE DEL RAPPORTO DI PARENTELA DEL CAREGIVER
CON L’ANZIANO NON AUTOSUFFICIENTE
60%
53,8
50%
40%
30%
21,2
20%
12,0
10%
6,9
3,1
1,6
1,3
0%
Figlio/a
Coniuge/ Nuora/Genero
Convivente
Nipote
Fratello/Sorella Cognata/o
Altro
Fonte: elaborazioni IRPET
Il dato rilevato sembra in linea con quanto emerge a livello nazionale,
dato in oltre la metà dei casi gli assistenti familiari risultano essere i
figli, seguiti dal coniuge39. Tutto ciò conferma che l’assistenza è fornita
in maniera preponderante da parte dei parenti più stretti e che il carico
assistenziale diminuisce con l’affievolirsi del legame di parentela.
La spinta a divenire caregiver generata dalla parentela troverebbe
difficoltà a manifestarsi in assenza della reale possibilità -in particolare a
proposito del tempo a disposizione- a svolgere tali mansioni. L’elevata età
media degli assistenti (61 anni in Italia -Eurofamcare, 2007) caratterizza
gli assistenti come persone in genere già uscite dal mercato del lavoro,
ossia individui in grado di dedicare una quota rilevante del tempo
giornaliero ai parenti in difficoltà40. La situazione presente nel contesto
empolese non si discosta molto dalle evidenze nazionali: neanche il 10%
dei caregivers ha meno di 45 anni mentre quasi il 70% di essi ne ha oltre
55 (Graf. 3.9).
Cfr. Eurofamcare (2007).
Ciò è confermato dal fatto che oltre il 60% dei caregivers sono casalinghe o pensionati
(Eurofamcare, 2007).
39
40
62
Grafico 3.9
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER ETÀ DEL CAREGIVER
40%
30%
34,6
33,0
Da 56 a 65 anni
Oltre 65 anni
23,0
20%
7,2
10%
2,2
0%
Fino a 35 anni
Da 36 a 45 anni
Da 46 a 55 anni
Fonte: elaborazioni IRPET
La distribuzione per età del caregiver mette in rilievo che numerosi
assistenti risultano a loro volta ad alto rischio di non autosufficienza. Per
rendere l’idea, circa il 9% (il 10% in Italia -Eurofamcare, 2007) ha 80
anni o più, lasciando prevedere che, in alcuni casi, si potrà avere entro un
lasso temporale relativamente breve un nucleo familiare composto da più
individui non autosufficienti.
Il genere dell’assistente è solitamente femminile: infatti, in quasi tre
casi su quattro l’assistente familiare è donna (Graf. 3.10). Il dato è in linea
con quanto rilevato in altre indagini di respiro nazionale, dato che solo
il 20% circa dei caregivers è di sesso maschile. Tuttavia è interessante
notare che se si osservano nel contesto italiano le ore di assistenza
prestate il differenziale a sfavore del genere maschile si riduce: poco più
del 30% del carico assistenziale è svolto da uomini, il restante da donne
(Eurofamcare, 2007)41. Mettendo insieme le informazioni si deduce che
la probabilità che il genere maschile si presta meno frequentemente
all’attività assistenziale, ma nei casi in cui lo fa l’impegno garantito
è relativamente più consistente di quanto offerto mediamente dalle
caregivers femminili.
Quest’ultima considerazione può essere l’effetto del fatto che, in genere,
sulla donna ricade anche l’onere di assolvere gli impegni derivanti dal
proprio nucleo familiare, fatto che può limitarne la capacità assistenziale.
Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il caregiver è coniugato o
convivente, ossia appartenente ad un nucleo familiare che può comprendere
o meno anche l’anziano non autosufficiente (Graf. 3.11).
Come si vedrà nel paragrafo 4.1 questa evidenza riscontrata nel contesto nazionale non è del tutto
verificata nel nostro ambito di indagine.
41
63
Grafico 3.10
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER SESSO DEL CAREGIVER
80%
71
60%
40%
29
20%
0%
Maschio
Femmina
Fonte: elaborazioni IRPET
Grafico 3.11
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER STATO CIVILE DEL CAREGIVER
100%
80,7
75%
50%
25%
8,5
6,6
4,1
Nubile/Celibe
Vedovo
Divorziato/Separato
0%
Coniugato/Convivente
Fonte: elaborazioni IRPET
Un ulteriore elemento che incide sull’assistenza fornita è il titolo di
studio posseduto. L’evidenza che si riscontra a livello nazionale è che il
livello di istruzione è correlato positivamente con l’attività assistenziale:
tra i caregivers il 16% è laureato ed il 34% diplomato mentre tra coloro
che, pur appartenendo alle medesime classi di popolazione, non prestano
attività assistenziale le percentuali sono, rispettivamente, dell’11% e del
27% (Eurofamcare, 2007).
A questo proposito i risultati dell’indagine (Graf. 3.12) mostrano una
discrepanza significativa rispetto al dato nazionale: solo il 5% circa è
laureato ed il 18% diplomato, mentre quasi il 50% ha al massimo la licenza
elementare.
64
Grafico 3.12
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER TITOLO DI STUDIO DEL CAREGIVER
50%
40,4
40%
28,8
30%
18,3
20%
10%
7,3
5,2
0%
Non ha
completato la
scuola elementare
Scuola
elementare
Scuola media
Scuola superiore
Università o
studi post-universitari
Fonte: elaborazioni IRPET
Una delle possibili spiegazioni di questo risultato dissonante può essere
rintracciata nel peculiare modello di sviluppo che tradizionalmente interessa
il contesto empolese. Secondo l’analisi di Bacci (2002) che ha identificato
per ogni sistema economico locale toscano le caratteristiche della traiettoria
di crescita socio-economica, il contesto empolese è interessato da uno
sviluppo tipicamente industriale. L’area empolese, essendo territorialmente
collocata lungo il corso dell’Arno, è tra le aree nelle quali si è sviluppato
il primo processo di industrializzazione della Regione Toscana -datato a
cavallo tra gli anni ’60 e ’70- che era ed è caratterizzato da una moltitudine
di piccole e medie imprese specializzate in produzioni manifatturiere ed
organizzate sotto forma di distretto. Proprio l’organizzazione distrettuale,
studiata a lungo da numerosi autori, rappresenta il motivo del più basso
livello di istruzione riscontrato. È infatti normale riscontrare nelle aree
distrettuali una minore propensione al proseguimento degli studi a causa
sia della presenza di appetibili occasioni lavorative che della prevalenza
della cultura del “saper fare” rispetto a quella di stampo tradizionale.
Volendo tentare a questo punto di caratterizzare il caregiver tipico, si
può affermare che esso è, in genere, un parente stretto dell’anziano, di
età piuttosto avanzata, di sesso femminile, coniugato, con un basso titolo
di studio. Tale caratterizzazione pare in linea con quanto rilevato dalle
indagini empiriche discusse nel paragrafo 2.2.
Passando adesso ad analizzare le caratteristiche della persona non
autosufficiente, si nota che essa ha una età media molto elevata (circa 85
anni), senza contare che più della metà degli assistiti ha più di 80 anni (Graf.
3.13). Tale evidenza non rappresenta una sorpresa, data la stretta correlazione
che intercorre tra età avanzata e condizione di non autosufficienza.
65
Grafico 3.13
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER ETÀ DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI
36%
27,6
24,3
24%
16,9
14,6
12%
8,8
6,0
1,8
0%
Meno di 70
Da 70 a 74
Da 75 a 79
Da 80 a 84
Da 85 a 89
Da 90 a 94
Più di 95
Fonte: elaborazioni IRPET
Le informazioni desunte dal grafico appena presentato consente di
spiegare con maggiore precisione anche alcune caratteristiche del caregiver
analizzate in precedenza. Appare infatti perfettamente coerente che gli
assistenti familiari -che in buona parte sono i figli dell’anziano- di disabili
con un’età elevata abbiano a loro volta un’età relativamente alta, tale da
caratterizzarli, in genere, come non più attivi sul mercato del lavoro.
L’anziano non autosufficiente è in genere di sesso femminile: la grande
maggioranza dei non autosufficienti è infatti donna (Graf. 3.14). Questo
dato è in linea con quanto rilevato in ambito nazionale, dato che l’ISTAT
(2005) ha stimato una incidenza quasi doppia della non autosufficienza per
il genere femminile rispetto a quella maschile.
Grafico 3.14
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER SESSO DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI
80%
69,6
60%
40%
30,4
20%
0%
Maschio
Femmina
Fonte: elaborazioni IRPET
Come atteso il titolo di studio dell’anziano è piuttosto basso,
non superando la licenza elementare quasi nella totalità dei casi
(Graf. 3.15). Il dato non è certo sorprendente, essendo rilevata anche a
66
livello nazionale una certa correlazione tra disabilità e basso titolo di
studio. In realtà questa evidenza sembra suscettibile di essere spiegata
anche in maniera più intuitiva: l’elevata età media dei non autosufficienti
consente di affermare che essi hanno frequentato la scuola in un periodo
storico -sicuramente antecedente agli anni ’70- nel quale non era presente
una scolarizzazione di massa42.
Grafico 3.15
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER TITOLO DI STUDIO DELLE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI
60%
47,2
46,5
45%
30%
15%
3,3
2,5
0,5
0%
Scuola elementare
Non ha
completato la
scuola elementare
Scuola media
Scuola superiore Università o studi
post-universitari
Fonte: elaborazioni IRPET
L’anziano vive in genere con una o due persone, che quasi sempre
sono il coniuge (se presente), uno dei figli o la badante (Graf. 3.16). Non
è comunque raro riscontrare casi nei quali il soggetto vive da solo: ben nel
12% circa dei casi siamo in presenza di solitudine abitativa. Quest’ultimo
dato, che pare a prima vista piuttosto elevato, risulta invece inferiore
rispetto a quanto rilevato a livello nazionale: ben il 31,9% delle persone
con disabilità in Italia vive da sola ISTAT (2005)43.
A complemento di questa analisi descrittiva sulla numerosità delle
persone con le quali vive l’anziano, è utile osservarne lo stato civile.
Si nota che nella maggioranza dei casi l’anziano è in condizione di
vedovanza, spiegando così il motivo del forte impegno assistenziale
da parte dei figli, che rappresentano i parenti più prossimi del non
autosufficiente (Graf. 3.17).
Cfr. in proposito Santamaita (1999).
Dalla stessa fonte si evince che la grande maggioranza di queste persone sono rappresentate da
donne vedove. L’età media delle persone non autosufficienti che vive in solitudine è di 78,2 anni per
gli uomini e 81,3 per le donne. Cfr. in proposito anche www.handicapincifre.it.
42
43
67
Grafico 3.16
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER NUMEROSITÀ DI PERSONE CON LE QUALI VIVE IL NON
AUTOSUFFICIENTE
50%
42,0
40%
25,9
30%
20%
11,7
11,1
6,6
10%
1,8
1,0
5
Oltre 5
0%
Nessuna
1
2
3
4
Fonte: elaborazioni IRPET
Grafico 3.17
RIPARTIZIONE PERCENTUALE PER STATO CIVILE DEL NON AUTOSUFFICIENTE
70%
58,6
56%
36,1
42%
28%
14%
4,7
0,6
0%
Vedovo
Coniugato/Convivente
Nubile/Celibe
Divorziato/Separato
Fonte: elaborazioni IRPET
Volendo a questo punto tentare di caratterizzare l’anziano non
autosufficiente, si può affermare che: appartiene alla coorte degli
ottantenni; ha un basso titolo di studio; è di sesso femminile, in condizione
di vedovanza e convivente con una o più persone.
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