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1/6 Neotenia: evolversi tendendo alla gioventù La
Roberto Weitnauer
Stesura: 1 dicembre 2005
(12009 battute)
Versione d’origine pubblicata e diritti ceduti a terzi
Neotenia: evolversi tendendo alla gioventù
La neotenia è un fenomeno noto dello sviluppo degli organismi viventi. Essa
comporta che una specie possa presentare tratti acerbi, mancando di maturare del
tutto in alcune sue parti o anche nella sua globalità rispetto a specie che l’hanno
preceduta nella storia evolutiva. L’anfibio Axolotl, un tipo di salamandra, è un
esempio neotenico pregnante: essa non subisce in genere la solita metamorfosi verso
la fase adulta, continuando a vivere solo in acqua come larva dalle sembianze ittiche.
Poiché gli anfibi sono i progenitori di tutte le creature terrestri, è interessante notare
come molti animali superiori abbiano ereditato qualità neoteniche, ricalcando nei
concetti portanti la condizione di Axolotl. In particolare, l’essere umano evidenzia un
tratto neotenico cruciale: la mancata maturazione del cervello. È proprio questo che
ci permette di apprendere di più e più a lungo nella nostra vita.
Con riferimento alla radice etimologica, “neotenia” significa “tendenza alla
gioventù”. Il termine scientifico designa la permanenza nella forma e nelle funzioni
degli organismi viventi adulti di aspetti immaturi dello sviluppo: una sorta di
sindrome di Peter Pan biologica. Gli anfibi (letteralmente: animali a doppia vita) sono
una classe evolutiva intermedia tra pesci e rettili e manifestano talvolta marcati
aspetti neotenici. Circa 400 milioni di anni fa, uscendo dalle acque marine, essi
furono i pionieri nella conquista della terraferma. Noi umani, come tutti gli animali
terrestri, siamo i loro discendenti. In che modo la doppia vita acquatica e terrestre
degli anfibi e la loro sindrome di Peter Pan biologica possono riguardarci?
Per affrontare il discorso partiamo dalle rane. Tutti sanno che le rane sono anfibi e
che nascono come girini per poi trasformarsi radicalmente. Le larve di rana sono
simili a quelle dei pesci e questo rispecchia un tratto diffuso nella vita sul globo: i
piccoli di una specie hanno spesso caratteristiche in comune con i piccoli di una
specie progenitrice. La differenza maggiore concerne la circostanza che i piccoli della
specie meno evoluta seguono poi nella vita uno sviluppo minore.
Nel caso della rana le larve, simili a pesciolini, sviluppano a un bel momento
zampe, mentre le branchie cedono il passo alla formazione indipendente dei più
evoluti polmoni. Alla fine dello stravolgente sviluppo prende corpo una creatura
molto mutata che può uscire dall’acqua, respirare nell’aria e compiere grandi balzi sul
suolo. Ma il balzo della rana può intendersi anche in senso metaforico ed è su di esso
che dobbiamo fare le nostre considerazioni.
Una trasformazione di tale portata richiede in genere modifiche genetiche ingenti e
milioni di anni di evoluzione. Nondimeno, gli anfibi riescono a pilotarla in alcune
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settimane, cavandosela con un unico ceppo di geni che programmano un sistema
endocrino ad hoc. È infatti la secrezione di ormoni a indurre l’abbandono della fase
larvale. La transizione può essere persino stimolata o inibita artificialmente. Gli
ormoni sono una trovata fenomenale della biosfera per indurre modulazioni cospicue
dell’accrescimento e del metabolismo degli organismi, senza fare appello a grandi
risorse genomiche, sempre critiche da controllare al cospetto della selezione
ambientale.
Negli anfibi il sistema endocrino riesce a esprimersi dunque in modo molto
marcato, comprimendo il passaggio filogenetico dall’acqua alla terraferma in un solo
individuo. In natura vi sono tuttavia degli anfibi che non maturano affatto e che non
escono dall’acqua. Un caso interessante è quello di Axolotl, una salamandra
originaria del Messico il cui nome rievoca secondo un mito azteco il dio della
trasmutazione e della morte. In situazioni normali essa vive per tutti i suoi 15 anni
nelle vesti di larva pesciforme e si riproduce in quello stato. Ebbene, Axolotl è un
caso interessante di evoluzione neotenica, cioè di animale in cui gli aspetti immaturi
dello sviluppo (come il fatto di non subire necessariamente la metamorfosi e di
somigliare ai pesci) risultano adattivi, ossia proficui per la sopravvivenza.
L’habitat acquatico è per Axolotl in genere molto meno rischioso di quello attiguo
terrestre. Se tuttavia diventa per qualche motivo ostile oppure se si prosciuga, ecco
che l’anfibio attiva per stress il proprio apparato endocrino e solo allora subisce la
metamorfosi verso lo stadio adulto. Va detto che il passaggio gli può essere fatale e
comunque accorcia la sua vita, tuttavia gli può anche consentire la ricerca di risorse
all’asciutto. Il mutamento d’emergenza, per quanto drammatico, ha dunque indubbi
vantaggi per la prosecuzione della specie in condizioni radicali.
Si ritiene che Axolotl discenda da anfibi terrestri simili alla più grande salamandratigre. Può allora apparire paradossale che un organismo mantenga aspetti più
ancestrali, come quelli dei pesci, di quelli della forma da cui deriva. In altre parole,
nella sequela filogenetica di pesci, salamandra-tigre e Axolotl sembra quasi che
quest’ultimo abbia subito una regressione, tornando alla maggiore semplicità ittica.
Non è però così. È vero che la neotenia guarda al passato, ma è il risultato di un
processo evolutivo, non un passo indietro.
In sostanza, Axolotl ha in sé alcune potenzialità dei pesci che ha evolutivamente
superato. Perseverando nello stadio giovanile, quelle potenzialità gli sono utili per
condurre un’esistenza acquatica tranquilla. Tuttavia, un pesce mai potrebbe
procacciarsi il cibo fuori dal suo ambiente natio. Axolotl lo può invece fare in caso di
bisogno, proprio come lo fa di norma la salamanda-tigre da cui deriva. D’altronde,
questa è costretta a maturare, conducendo poi una vita adulta anche sul suolo, fuori
dall’acqua, esponendosi a certi rischi. Axolotl non segue invece questa via obbligata.
Possiamo dire in un certo senso ch’esso può fare cose che né i pesci, né le
salamandre-tigre possono fare.
Tutto questo non significa che Axolotl abbia in assoluto maggiori garanzie di
adattamento dei pesci o delle salamandre-tigre; ogni organismo deve affrontare
ambienti specifici col proprio assetto strutturale e fisiologico. Quella di Axolotl è solo
una delle tante strategie di sopravvivenza messe in atto dalla vita sul pianeta, una
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strategia che funziona, com’è testimoniata dalla sopravvivenza fino ai giorni nostri di
questa interessante specie. Bisogna insistere sul fatto che la neotenia non corrisponde
affatto a un depauperamento, bensì a una sofisticata modulazione di caratteri
incorporati per ereditarietà. Il passato biologico torna utile in condizioni normali, ma
in certi frangenti minacciosi i caratteri genetici acquisiti nella successiva evoluzione
vengono richiamati ad hoc dal sistema endocrino. Una soluzione adattiva alquanto
sofisticata che sul piano evolutivo pone Axolotl dopo la salamandra-tigre e senz’altro
molto dopo i pesci.
La riflessione evolutiva appena condotta stuzzica la nostra curiosità se ricordiamo
che i vertebrati superiori sono dopotutto degli ex-anfibi. Viene insomma da chiedersi
se anche negli uccelli o nei mammiferi, ed eventualmente nell’uomo, sussistano tratti
neotenici. Come Axolotl trae vantaggio dalle potenzialità ittiche, senza protendere
alla fase adulta ed evolutivamente più recente, così anche animali più complessi
possono forse usufruire della conservazione nel loro assetto di stadi immaturi dello
sviluppo, riflesso filogenetico dei predecessori.
Per meglio inquadrare la questione occorre dapprima ricordare che le fasi di
sviluppo embrionale e larvale, nonché il raggiungimento della condizione adulta
implicano passaggi e funzioni che variano da specie a specie e che sono tutt’altro che
semplici o schematici. Il caso delle rane o delle salamandre è un caso di maturazione
netta, ma nella biosfera la transizione è spesso più complessa. Inoltre, noi siamo
abituati a considerare il raggiungimento della maturità sessuale come una tappa che si
accompagna al viaggio verso l’età adulta. Infine, pensiamo di solito che lo sviluppo
sia un processo uniforme nella biosfera, ovvero che avvenga in tutti gli animali e in
tutte le sue parti con progressioni analoghe. Non è però questa la condizione nel
regno vivente.
Alcune larve acquatiche sono molto più mobili degli adulti e sono quindi esse ad
assicurare alla specie il mescolamento dei geni e l’occupazione di nuovi ambienti. In
altre parole, la maturità sessuale viene raggiunta a uno stadio immaturo. Negli insetti
lo stadio larvale serve invece per accumulare l’energia richiesta dalla successiva
scalata verso l’età adulta, una cosa un po’ diversa. Tra i crostacei non è possibile
distinguere bene tra sviluppo larvale e maturazione, perché le fasi si succedono quasi
senza soluzione di continuità. Infine, le forme di vita più progredite e complesse sono
prive di uno stadio larvale, sostituito da una crescita di tipo embrionale protratta
anche dopo la nascita, situazione che evidentemente riguarda anche noi umani.
Lo sviluppo di ogni nuovo organismo è insomma un processo articolato, governato
da geni e, subordinatamente, dal sistema endocrino secondo varie possibili strategie.
Non solo le tre fasi in oggetto possono dilatarsi o restringersi da specie a specie, ma
al loro interno sono riconoscibili dinamiche differenziate. Così, stabilendo dei
confronti tra gli organismi, vediamo che per qualcuna che subisce un ritardo ve ne
possono essere altre che sono invece anticipate. Ogni creatura segue un proprio
modello di crescita multipla, calibrato dall’evoluzione. Non c’è una sola soluzione e
questo è il bello della biosfera.
Tutto questo indica che se valutassimo la neotenia in relazione a qualche
metamorfosi brutale, tipo quella delle rane o delle salamandre, incontreremmo
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notevoli difficoltà nell’accostare gli anfibi a discendenti molto più avanzati. In verità,
il caso degli anfibi ci è servito qui da introduzione, giacché la neotenia si manifesta in
maniera così pregnante in Axolotl da fare la differenza tra l’avvio e la soppressione
della metamorfosi stessa. Negli altri casi dobbiamo affinare lo sguardo per trovare
indizi significativi. L’importante a questo punto è aver afferrato il principio adattivo
della neotenia. In particolare, conviene ora procedere prendendo in esame lo sviluppo
comparato di specie affini.
Seguendo questa traccia, possiamo considerare, ad esempio, che è stata più volte
rimarcata la somiglianza tra gli adulti dei volatili terrestri (volatili che non volano,
come lo struzzo) e i piccoli di specie analoghe volanti. Similmente, i cani
condividono vari tratti con i cuccioli di lupo. Le specie domestiche sembrano in
generale costituire la forma neotenica di quelle selvatiche. L’elenco è abbastanza
lungo, ma ci conviene saltare direttamente all’essere umano.
I commenti più scontati riguardano la carenza di peli e la testa grande in rapporto
al corpo; sono fattori che ci rendono simili agli scimpanzé immaturi o anche a dei
bambinoni neandertaliani, come indicano i reperti fossili. Ma c’è dell’altro. La
femmina umana incontra particolari difficoltà all’atto del parto, a causa del bacino
profondamente modificatosi durante la transizione verso la postura eretta. Il cranio
non sviluppato e non calcificato dei neonati attenua il problema descritto. Ebbene,
esso è l’effetto di un ritardo di crescita rispetto agli altri primati. Anche qui si tratta di
fattori genetici ed ormonali.
L’aspetto neotenico più rilevante nell’uomo riguarda però l’encefalo. Può fare
specie sapere che, paragonato ad altri animali superiori, l’uomo possiede un cervello
decisamente immaturo. Si tratta tuttavia proprio di quanto concorre a renderlo così
sofisticato. Il sistema neurale umano mantiene infatti per tutta la vita una notevole
plasticità residua. Questo significa che le reti nervose non maturano del tutto,
assumendo configurazioni circuitali rigide, ma restano suscettibili di plasmarsi con
l’esperienza, come fossero una sorta di creta da modellare.
In molte altre specie la plasticità nervosa riguarda più che altro l’inizio della vita. Il
celebre etologo Konrad Lorenz mostrò come gli uccelli imparassero a riconoscere i
genitori entro un lasso di tempo circoscritto. In genere, lo sviluppo cerebrale degli
animali ha delle finestre critiche all’interno delle quali vengono appresi precisi
comportamenti, grazie al modellamento delle reti nervose. Trascorsi gli stadi plastici,
i circuiti maturano, si cristallizzano e cessano di essere plasmabili. Gli schemi di
elaborazione risultano veloci ed efficienti, ma da quel momento in poi anche poco
modificabili.
I movimenti dei cuccioli sono tentennanti e imprecisi perché le reti motorie non
sono ancora ben configurate. I neuroni, le cellule nervose, competono tra loro e
risultano ancora decisamente soprannumerari. Quelli che non riescono a fare parte di
qualche rete reattiva vengono eliminati. Come si diceva, la plasticità accompagna i
primi passi dei piccoli di varie specie. Il gioco in un ambiente protetto dai genitori
non è altro che una serie di esperienze precoci sperimentali che sono necessarie per
plasmare il cervello in una configurazione ottimale che poi tornerà utile per tutta la
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vita. Quando infatti l’individuo matura perde il legame parentale e affronta la vita
autonomamente con un assetto cerebrale consolidato dalle esperienze iniziali.
Noi umani abbiano circuiti meno fissi, reazioni lente e meno precise e istinti non
altrettanto sviluppati di quelli di molti animali. È lo scotto che dobbiamo pagare
all’evoluzione neotenica per disporre di risorse elaborative sempre rinnovate in
funzione degli accadimenti ambientali. In un certo senso, restiamo dei cuccioli di
primati che apprendono fino all’ultimo giorno, affrontando situazioni sempre nuove.
Con ogni probabilità lo dobbiamo un po’ ad alcune trisavole immature, le salamandre
come Axolotl che hanno giocato con gli ormoni per diventare delle specie di Peter
Pan ben adattati all’ambiente.
Roberto Weitnauer
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Vista frontale di Axolotl
(tratto da http://www.bogleech.com/pokemonzoo.html)
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