Dossier - STORIA - Guida allo studio

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Dossier - STORIA - Guida allo studio
Dossier per la prima provai
DOSSIER PER LA STESURA DI UN “SAGGIO BREVE”
O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” DI AMBITO STORICO-POLITICO
Volume 2 - Sezione V
Consegne
STORIA © 2009 De Agostini Scuola SpA – Novara – Pagina fotocopiabile e scaricabile dal sito www.scuola.com
Sviluppa l’argomento in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano. Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base: svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con
opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Da’ al saggio un titolo coerente
con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se lo ritieni opportuno, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più
elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo “pezzo”. Da’ all’articolo un titolo
appropriato e indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista
divulgativa, giornale scolastico, altro). Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze
immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Per entrambe le forme di
scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
Argomento
La spartizione coloniale e le sue conseguenze
Documenti
1. Una “torta” da spartire
La divisione dell’Africa,
rappresentata come una torta invitante,
in una caricatura risalente all’epoca
della conferenza di Berlino (1884-85).
Il personaggio al centro è il Kaiser
Guglielmo II. In quel periodo apparvero
moltissime vignette simili a questa in tutti
i Paesi (Italia compresa).
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L’età dell’imperialismo
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2. L’Atto Generale della Conferenza di Berlino
Approvato il 26 febbraio 1885, questo documento, di cui si riportano alcuni stralci significativi,
segnò la sintesi di tutto il precedente dibattito sulla questione coloniale, nonché il futuro delle relazioni internazionali e della politica estera dei firmatari, almeno fino allo scoppio della Prima guerra mondiale (1914). Il documento va letto con attenzione: da un lato, esso rappresenta un’espressione della “coscienza felice” dell’imperialismo: la missione di portare la civiltà ai “popoli arretrati”; dall’altro, emergono considerazioni prettamente economiche e di prestigio internazionale.
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Art. 1. Il Commercio di tutte le Nazioni dovrà godere di piena libertà.
Art. 2. Tutte le bandiere, senza distinzione di nazionalità, avranno libero accesso all’intera estensione delle coste dei territori [africani] [...]
Art. 6. Tutte le potenze che esercitano diritti sovrani o influenza nei suddetti territori si impegnano a garantire la preservazione delle tribù native e a occuparsi del miglioramento delle condizioni
del loro benessere morale e materiale e a collaborare alla soppressione della schiavitù, e specialmente la Tratta degli Schiavi. Esse s’impegnano, senza distinzione di credo o Nazione, a proteggere e a favorire tutte le istituzioni e le imprese religiose, scientifiche e caritatevoli create e organizzate per gli scopi di cui sopra, o che abbiamo per obiettivo l’istruzione dei nativi e il portare
nelle loro case le benedizioni della civiltà.
(Atto Generale della Conferenza di Berlino, in appendice in A.B.Keith,
The Belgian Congo and Berlin Act, Clarendon Press, Oxford 1919, trad. it. G. Roncari)
3. La “zuffa per l’Africa”
Anders Stephanson, studioso nato in Svezia ma residente negli Stati Uniti, è uno storico esperto
della Guerra fredda e della storia delle relazioni internazionali. Nel brano che segue offre il quadro del contesto dal quale ebbe origine la “zuffa per l’Africa” fra le potenze imperialiste europee.
L’antagonismo all’interno di questo ordine politico [quello degli Stati-nazione] essenzialmente europeo (di cui il Giappone entrò a far parte negli anni novanta [del XIX secolo]) si manifestava in
maniera preminente con periodiche crisi diplomatiche e con la costituzione di alleanze; tuttavia, il
fatto più saliente, almeno per i contemporanei, fu l’esplosione dell’espansione imperialistica. Fra
il 1875 e il 1914, un quarto del mondo venne rivendicato come possedimento coloniale. La sola
Gran Bretagna si ingrandì di undici milioni di chilometri quadrati. Gli imperi europei esistevano,
naturalmente, da molto tempo, ma fu soltanto dopo il 1870 che venne compiuto uno sforzo costante per trasformare i possedimenti coloniali, che si stavano rapidamente accumulando, in un
sistema formale. Fu allora, per esempio, che la regina Vittoria si aggiunse ufficialmente il titolo di
imperatrice. Nell’imperialistica “zuffa per l’Africa”, come di diceva allora, e in analoghe contese in
altre parti del mondo, le aspettative di vantaggi economici giocavano un ruolo importante. I profitti derivanti dal commercio e dall’estrazione di materie prime furono, in realtà, molto inferiori alle
attese. Ma la corsa alla conquista dei territori, una volta cominciata, assunse motivazioni strategiche, divenendo parte della partita globale fra grandi potenze. Gli Stati Uniti, pur essendo un gigante economico, non facevano ancora parte della cerchia dei veri giocatori. Il “mondo civilizzato”, in poche parole, si stava trasformando in un sistema di entità nazionali, e potenzialmente nazionalistiche, con supplementi coloniali ed economie protezionistiche.
(A. Stephanson, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene, Feltrinelli, Milano 2004)
4. L’imperialismo britannico
Il brano dell’economista John Atkinson Hobson (1858-1940) che segue propone una giustificazione critica delle ragioni dell’imperialismo britannico.
Noi dobbiamo avere mercati per le nostre manifatture in continuo sviluppo, dobbiamo avere nuovi sbocchi per gli investimenti dei nostri capitali e per il continuo aumento della popolazione [...].
Nel corso degli ultimi trent’anni però la nostra supremazia nella produzione dei manufatti e nel
commercio dei medesimi è stata fortemente scossa: altri Stati, in particolare la Germania, gli Stati Uniti e il Belgio, si sono fatti avanti a rapidissimi passi e la loro concorrenza sta rendendo sem2
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pre più difficile disporre di liberi mercati per le nostre manifatture. Le intrusioni di questi Paesi
persino nei nostri possedimenti ci impongono con la massima urgenza l’adozione di energetiche
misure che ci assicurino nuovi mercati. [...]
È pertanto necessario usare la diplomazia e le armi della Gran Bretagna allo scopo di costringere
coloro che possiedono i nuovi mercati a trattare con noi; e l’esperienza insegna che il mezzo più
sicuro per assicurarsi e per sviluppare tali mercati è quello di stabilire protettorati oppure di occupare dei territori. [...]
Per quanto costoso, per quanto rischioso questo processo di espansione imperiale possa essere, è indispensabile alla continuità della nostra esistenza e del nostro stesso progresso: l’imperialismo non va visto come una scelta, ma come una necessità.
(J.A. Hobson, Imperialism. A Study, 1902)
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5. Ritardo e urgenza del colonialismo italiano
Riportiamo uno stralcio del verbale del discorso tenuto dall’on. Crispi il 19 marzo 1889 alla Camera dei Deputati italiana, in cui questi, all’epoca presidente del Consiglio, invita alla massima
fretta la Nazione, affinché questa non resti indietro ed esclusa dalla spartizione coloniale del
mondo rispetto alle altre potenze europee. Al contempo, con estremo e spietato realismo, Crispi
si mostra consapevole della debolezza militare ed economica italiana e della necessità di operare
una politica coloniale spregiudicata, possibilmente a costo zero in termini umani e finanziari.
Siccome era obbligo nostro, a’ termini dell’articolo 31 dell’atto della conferenza di Berlino del 26
febbraio 1885, di questo nostro protettorato si diede comunicazione a tutte le potenze, le quali
accettarono il fatto compiuto (Commenti).
Queste sono le notizie che posso dare ai due interroganti. Ma siccome l’onorevole Di Rudinì vuol
conoscere i motivi e gl’intendimenti del Governo, brevemente e francamente gli risponderò (Segni di attenzione vivissima).
Nelle varie parti del mondo, di non occupate non ci sono che alcune regioni dell’Africa. Di tutto il
resto della terra, nonostante che i nostri padri [per es. Cristoforo Colombo] ne siano stati gli scopritori, in nessuna parte noi abbiamo impresso il segno del nostro impero. E anche nell’Africa bisogna far presto, affinché altri non ci precedano. Quindi, non abbiamo avuto nessuna esitazione
ad accettare il protettorato di Opia [un piccolo possedimento dell’Impero ottomano in Africa], che
non ci costa né un centesimo né un soldato; e questa è la prima notizia che bisogna che la Camera sappia (Mormorio).
Noi intendiamo, nei luoghi a noi concessi, di avviare società commerciali nostre; e se Dio ci darà
il tempo e la Camera ci concederà di vivere, faremo una di quelle convenzioni come hanno saputo farne gli Inglesi e i Tedeschi, e che metterà l’Italia in condizione di non dover portare laggiù i
nostri soldati.
(F. Crispi, Risposta alle interrogazioni dei deputati Della Valle e Di Rudinì circa la politica coloniale del Governo, 19 marzo 1889,
in Discorsi di Politica Estera. Aprile 1887 – Gennaio 1891, BiblioBazaar, LLC 2008, pp. 156-ss.)
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L’età dell’imperialismo
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6. La terra dei morti
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Giuseppe Scalarini, L’Africa: la terra dei morti,
“L’Avanti!”, 2 novembre 1911. Vignetta satirica
contro la pratica imperialistica delle potenze europee,
all’indomani dello scoppio della guerra italiana
di conquista della Libia (28 settembre 1911).
A pagare le conseguenze delle guerre coloniali,
infatti, erano anzitutto i popoli africani.
7. L’Africa agli Africani
Il testo che segue rappresenta una sorta di testamento spirituale di Patrice Émery Lumumba
(1925-61), protagonista nel Novecento della lotta per l’indipendenza del Congo, un Paese sottoposto a uno sfruttamento coloniale particolarmente violento e spregiudicato. È la lettera scritta alla
moglie Pauline mentre era prigioniero del generale Sese Seko Mobutu, autore del colpo di stato
che aveva rovesciato il suo governo legittimo e democraticamente eletto. La lotta per l’indipendenza delle colonie africane fu segnata da un grande paradosso: gli Africani lottavano contro gli
Europei proprio in nome degli ideali e dei valori tipici del Vecchio Continente, come quelli della
nazione, della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli.
Mia cara,
ti scrivo queste parole senza sapere se e quando esse ti raggiungeranno, e se sarò ancora in vita
quando le leggerai. Durante la lotta per l’indipendenza del mio Paese, non ho mai dubitato per un
solo istante del trionfo finale della sacra causa alla quale i miei compagni e io abbiamo sacrificato la nostra vita. Ma ciò che noi vogliamo per il nostro Paese, cioè il diritto a un’esistenza decorosa, a una dignità senza macchia, a un’indipendenza senza costrizioni, non l’hanno voluto né il
colonialismo belga né i suoi alleati occidentali, i quali hanno trovato appoggi diretti e indiretti, deliberati e non deliberati, tra certi alti funzionari delle Nazioni Unite, organismo nel quale abbiamo
riposto ogni nostra fiducia quando abbiamo fatto appello alla sua solidarietà. [...]
Non siamo soli. L’Africa, l’Asia e i popoli liberi e liberati di ogni parte del mondo si troveranno sempre al fianco dei milioni di Congolesi che non abbandoneranno la loro lotta se non il giorno in cui
non ci saranno più i colonizzatori e i loro mercenari nel nostro Paese. [...] La storia un giorno giudicherà, ma non sarà la storia che s’insegnerà alle Nazioni Unite, a Washington, a Parigi o a Bruxelles, ma quella che s’insegnerà nei Paesi africani affrancati dal colonialismo e dai suoi fantocci.
L’Africa scriverà la sua storia e sarà a nord e a sud del Sahara una storia di gloria e di dignità.
Non piangere per me, mia compagna, io so che il mio Paese, il quale soffre tanto, saprà difendere la sua indipendenza e la sua libertà. Viva il Congo! Viva l’Africa!
Patrice
(P. Lumumba, La Pensée politique, in S. Bono, Dal colonialismo all’indipendenza, G. D’Anna, Messina-Firenze 1974)
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