il mistero dell` etrusco la tavola di cortona
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il mistero dell` etrusco la tavola di cortona
n47a19 20 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI IL MISTERO DELL’ ETRUSCO LA TAVOLA DI CORTONA ————— N el 1992 sette frammenti di una tavola bronzea con una fitta iscrizione vengono consegnati ai carabinieri di Cortona (antico centro della Valdichiana aretina, sede di lucumone in epoca etrusca) da un manovale del luogo, insieme ad altri reperti, anch’essi in bronzo. Dopo una lunga vicenda giudiziaria e molti anni di studio, la tavola è stata presentata. «Archeologia Viva» ha raccolto l’intera vicenda dai protagonisti, Francesco Nicosia, ispettore centrale del ministero per i beni culturali, e Luciano Agostiniani, docente di Glottologia all’Università di Perugia. Fu spezzata in tempo antico. Era, appunto, l’ottobre del 1992 quando la tavola fu presentata all’etruscologo Francesco Nicosia, all’epoca soprintendente per i beni archeologici della Toscana: rinvenuta in sette pezzi insieme con i frammenti di altri oggetti ugualmente in bronzo – così affermò lo «scopritore» Giovanni Ghiottini – a Camucia, ai piedi del colle in cui sorge Cor- Testo di Massimo Becattini Consulenza scientifica di Francesco Nicosia e Luciano Agostiani tona, fra la terra del cantiere edile delle Piagge. Se fosse provata l’associazione della tavola con gli altri bronzi rinvenuti (ma al momento gli esperti non sono in grado di stabilirlo) l’iscrizione si daterebbe tra III e I sec. (tra questi, due basi di statuette, la base di un cratere, una palmetta ornamentale di thymiaterion*) mostrano limature leggere che scrostano la patina: evidentemente, prima di consegnare i reperti all’autorità, si è cercato di ve- Uno dei testi più importanti in lingua etrusca. Questa volta non si parla di defunti o riti funerari ma di un concreto e articolato passaggio di proprietà fra etruschi preoccupati di tutelare le proprie ricchezze. a. C., quando tutta l’Etruria era già stata conquistata dai Romani. Lo «scopritore» dichiarò di aver lavato la tavola con uno spazzolino da denti e acqua corrente; in realtà si sono trovate tracce di bruschino d’acciaio, che in qualche punto ha segnato il bronzo. Anche gli altri reperti dere se il metallo fosse oro. La tavola presentava anche ampie tracce di ruggine, dovute al prolungato contatto con oggetti in ferro nei molti secoli di giacenza sotto terra. Al tempo stesso i punti di mineralizzazione sulle fratture dimostrano che il prezioso documento venne spezzato in anti- co e si può escludere così l’opera di un tombarolo. Una storia poco chiara. Lo stesso anno dichiarato della scoperta l’archeologa Paola Grassi, avvalendosi della Cooperativa Idra, condusse indagini accurate sulla terra presente nei frammenti degli oggetti in bronzo consegnati insieme alla tavola iscritta, ma risultò che non si trattava della stessa terra del cantiere, quindi i frammenti delle basi di statuette e della tavola non venivano dal cantiere, dove – secondo lo «scopritore» – sarebbe avvenuto il ritrovamento. Il Ghiottini sosteneva di aver visto, uscendo dal cantiere edile in cui lavorava, una specie di «ciotolina» rovesciata, ovvero un piede di cratere; guardando meglio avrebbe trovato altri bronzi e infine la tavola, mancante dell’ottavo pezzo. Gli archeologi vagliarono tutta la terra del cantiere nel punto indicato dal Ghiottini senza trovare assolutamente nulla, neppure tracce di ossidazione del ferro che aveva macchiato la ta- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 21 La Tavola di Cortona (Tabula cortonensis) dopo il riassemblaggio dei sette pezzi ritrovati. Manca l’ottavo, che tuttavia non è essenziale all’interpretazione del testo perché contiene solo dei nomi. Contrariamente a quanto può sembrare a prima vista, la faccia iniziale (lato A) è quella più breve. Esaminando bene le caratteristiche fisiche della scrittura gli scribi sarebbero stati due: il primo avrebbe scritto il lato A e tutto il lato B fino alla sest’ultima riga. I segni di ruggine sono dovuti al fatto che la tavola, una volta spezzata, sarebbe stata gettata in un deposito insieme ad altri oggetti di ferro. Si ipotizza una datazione fra III e II sec. a. C. vola. Quindi – in base ai dati di scavo – non è stato possibile stabilire alcuna connessione fra il terreno e i reperti bronzei, né tra l’asserita località di rinvenimento, Camucia, e la tavola. Anche una telefonata anonima, g iunta in Soprintendenza il 12 ottobre del 1992, avvertiva che quei bronzi non venivano da Camucia. Siccome i dati riferiti del rinvenimento risultavano molto opinabili, l’allora soprintendente Nicosia sollecitò il procuratore della repubbli- ca a svolgere indagini in merito e Ghiottini finì accusato di furto ai danni dello Stato. Al processo l’imputato fu assolto, avendo egli comunque consegnato i reperti, ma la sentenza recepì quanto dichiarato dal soprintendente (che la scoperta non era avvenuta nel luogo dichiarato) e quindi non fu corrisposto il premio di rinvenimento*. Se potessimo sapere dov’è stata ritrovata.... In tutti questi anni si è continuato a cercare, non solo l’ottavo frammento, che in fondo non sembra essenziale, perché contiene solo un elenco di nomi propri, ma piuttosto il luogo di provenienza della tavola, che è il dato fondamentale della ricerca. Alla fine, il Ministero per i Beni culturali ha deciso che la scoperta non poteva più rimanere inedita e la notizia è stata divulgata; «ma ora – sostiene Nicosia (nel frattempo nominato ispettore centrale) – sarà molto più diff icile scoprire dove la tavola è stata re- cuperata». In base all’analisi linguistica effettuata dal glottologo Luciano Agostiniani si è comunque raggiunta la certezza che ci troviamo di fronte a un’iscrizione di area cortonese. Come e perché la tavola è rotta in otto pezzi? La faccia con l’iscrizione più lunga venne piegata sulla metà, poi spezzata, probabilmente appoggiandola dal lato opposto contro uno spigolo rigido; i due pezzi ottenuti vennero piegati e spezzati a metà nello stesso modo; infine i quattro pezzi furono divisi ancora in senso ortogonale. Perché questo accanimento? Purtroppo, non sapendo con certezza neppure dove la tavola è stata ritrovata – e tantomeno disponendo di risolutivi dati di scavo – non è possibile effettuare studi specifici, ad esempio sul microclima, per ipotizzare i tempi d’ossidazione del bronzo e quindi risalire al momento in cui la tavola è stata spezzata. Se conoscessimo da dove viene comprenderemmo meglio anche il senso del testo della tavola, e capiremmo perché, dopo essere stata appesa in qualche luogo, essa sia stata spezzata e buttata in un deposito insieme a dei ferri. Faceva parte di un archivio sacro o profano? Se la parola SIANS, che vi compare, è il nome di una divi- 22 nità, è possibile che venisse conservata in un tempio. Un’iscrizione per due scribi. La tavola mostra due facciate iscritte: una per intero con trentadue righe di testo, l’altra soltanto con otto righe. La scrittura procede da destra a sinistra e tra le parole, per lo più, sono interposti punti di divisione. Si sarebbe portati a pensare che il testo inizi dalla prima riga della parte lunga, occupi tutta la prima faccia e termini sulla seconda. Ma a questa interpretazione, certo la più naturale, si oppone un fatto importante. A partire dalla sestultima riga della faccia interamente scritta, lo scriba è cambiato, come mostra la diversa «calligrafia». L’alfabeto è lo stesso, nel senso che la struttura esterna delle lettere è la stessa, ma il ductus* è indubbiamente un altro: il nuovo scriba usa uno stilo (strumento incisorio) diverso, tende a incidere le lettere con maggior profondità, accentua la curvatura dei segni. Sull’altra faccia della tavola, torna il primo scriba. Dunque, se il testo cominciasse all’inizio della faccia completamente iscritta e continuasse per le otto righe della seconda, si dovrebbe immaginare una cosa di questo genere: a partire da un brogliaccio (com’e- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI ra di norma in questi casi) un primo scriba ha copiato il testo sulla tavola di cera precedente alla fusione in bronzo (vedi riquadro Fu realizzata così) fino alla sestultima riga, poi è intervenuto un secondo scriba, che ha completato il testo della facciata, e infine è rientrato il primo scriba, che ha copiato tutto il testo dell’altra faccia. D’altro canto, la struttura del breve testo di quest’ultima faccia dà un’impressione di autonomia. Le otto righe di testo iniziano con un nome, nella tipica formula onomastica a tre membri, cioè nome personale + gentilizio + gentilizio della madre: i primi due elementi stanno da una parte del supporto centrale, il terzo dall’altra, dopo di che si va a capo, come si trattasse di un’intestazione. Segue una formula di da- FUSIONE ACCURATA Due particolari della Tabula cortonensis: si tratta di frammenti in alto a sinistra rispettivamente del lato A e del lato B. L’iscrizione non fu incisa direttamente sulla tavola bronzea, ma realizzata su un modello in cera da cui si ricavò per fusione l’intera opera in bronzo. tazione, in cui compaiono i nomi dei due mag istrati eponimi * : ‘sotto la magistratura di Larth Cusu f iglio della Tityinei e di Laris Salini figlio di Aule...’. Possiamo allora pensare che le due facce riportino due testi diversi, uno più breve e uno più lungo. L’estensore ha cominciato col testo breve, poi ha girato la tavola andando avanti col testo lungo fino alla sestultima riga: dopodiché, per motivi a noi ignoti, un altro scriba è subentrato a terminare il lavoro. Accapo come i nostri. Per analizzare i due testi, quello breve e quello lungo delle rispettive facciate, occorre considerarli distintamente. Iniziando dal testo breve – meno chiaro dell’altro per l’interpretazione – troviamo che alla formula di datazione segue una frase di nove parole, di cui sette assolutamente nuove e due che sono rispettivamente un pronome relativo e un verbo generico, ‘stare’; è quindi difficile capire il significato di questa riga. Segue l’elenco di un certo numero di persone, espresso al genitivo, forse indicante l’appartenenza di qualche cosa. Per quanto riguarda il testo lungo, è interessante, dal punto di vista grafico, la presenza di una sola partizione, cioè di un solo accapo. RIVISTA DEGLI STENOGRAFI 23 Sopra: la traslitterazione del testo della Tabula cortonensis, con qualche semplificazione e alcuni interventi (separazione di parole, integrazioni e altro) volti ad agevolare la decodificazione. Le varie righe corrispondono a quelle del testo etrusco che però si svolge da destra a sinistra. A sinistra: il testo in caratteri etruschi delle due facce della Tabula cortonensis: lato A (breve, 8 righe) e lato B (lungo, 32 righe). Le ultime sei righe del lato B appaiono scritte da una mano diversa. Anche se ci sono altri accapo virtuali, ottenuti attraverso un segno identico a quello impiegato oggi da un correttore di bozze: un segno semioticamente motivato, un gesto grafico naturale che fa parte del nostro stesso modo di concettualizzare lo spazio. L’accapo vero permette di individuare preventivamente due partizioni nel testo lungo, che inizia con una prima parte di sei righe e mezzo, chiuse da un segno di divisione; poi un brevissimo testo di una riga incastonato tra due segni di divisione; ancora una parola, Nutanatur, seguita da un elenco di nomi che termina alla riga 14, con un segno di divisione. Dalla riga 14 alla 15 abbiamo un testo di due parole, seguito ancora da un altro elenco di nomi fino alla riga 17. Dopo di che inizia un altro testo, la cui prima parte è subito comprensibile (‘questo 24 testo è stato scritto...’), che arriva fino alla riga 23; abbiamo infine un brevissimo testo di tre parole e ancora un ultimo elenco di nomi, incompleto per la mancanza dell’ottavo pezzo. Compravendita di terreni. Ci sono due modi per affrontare un documento come questo. Il primo consiste nell’andare dal particolare al generale: cercare cioè di capire la struttura del testo partendo dal significato delle parole note che vi figurano. Ma nella Tavola, su una sessantina circa di unità lessicali che sono state identif icate, circa la metà sono nuove, e non se ne conosce il significato: e anche per parte delle altre i significati sono spesso incerti e molto generici. Le condizioni sono quindi piuttosto sfavorevoli e indirizzano verso l’altro metodo – che è poi quello seguito dal professor Agostiniani – che, al conrario, va dal generale al particolare: si fa un’ipotesi sul contenuto generale del testo e da questo si deducono i significati delle parole. Nella prima parte del testo viene menzionato un personaggio, che si chiama Petru Scevas, insieme a una famiglia, quella dei Cusu. Segue un elenco di 15 personaggi, tutti maschili, menzionati attraverso RIVISTA DEGLI STENOGRAFI la formula onomastica normale: o il doppio nome (personale + gentilizio) o il nome personale + gentilizio + cognomen * , o il nome personale + gentilizio + gentilizio della madre. Dopodiché, il testo continua affermando che ‘sono Eprus’ (una delle tante parole nuove) cinque persone: due della famiglia Cusu, poi Petru Scevas e la moglie, e ancora un personaggio maschile. A questo segue un altro spezzone di testo, in cui sono di nuovo menzionati sia Petru Scevas, sia la famiglia Cusu; e infine dopo una frase di tre parole, di nuovo un lungo elenco di persone. Un’ipotesi è che si tratti di una transazione tra la famiglia Cusu, di cui farebbe parte il personaggio Petru Scevas, da una parte, e un gruppo di quindici persone, dall’altra. Ciò che si decodifica subito è una serie di numeri: il numero 10 (SAR), il numero 4 (SA), il numero 2 (ZAL), che potrebbero indicare quantità di cose o estensioni di terreno. È possibile, secondo Agostiniani, che si tratti dell’atto di vendita di un terreno da parte dei latifondisti Petru Scevas e Cusu a piccoli proprietari compratori. È stata individuata anche una sequenza di segni numerali, con una specie di sigma*, quat- È SENZ’ALTRO UNA TAVOLA CORTONESE Due tipi di E e l’etrusco Velara. Studiando la tavola etrusca il glottologo Luciano Agostiniani ha rilevato nell’alfabeto impiegato un’inconfondibile caratteristica locale. Nel testo compaiono, infatti, due tipi di E: una E che segue l’andamento della scrittura, quindi con i trattini verso sinistra, e un’altra rovesciata (trattini verso destra); ciò dà la sicurezza matematica della provenienza della tavola dall’area di Cortona. Un’altra conferma viene dal gentilizio Velara, ugualmente attestato solo a Cortona, di uno dei personaggi menzionati: tra i nuovi ritrovamenti del Sodo*, esposti al Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, è presente l’urnetta cineraria dedicata a un certo Velara (e, come nella Tavola, il nome è scritto con la E rovesciata). A Cortona si leggevano in modo diverso. Fino a oggi si era pensato che questa alternativa di E normale (trattini verso sinistra) e di E rovesciata (trattini verso destra) fosse casuale; in realta, sarebbe bastato confrontare tutte le iscrizioni etrusche di Cortona per capire che così non è. Le due E rappresentano due segni per due suoni diversi; lo si vede da come sono distribuite: la E rovesciata compare solo nella prima sillaba e in sede finale, come trasformazione del dittongo ai; quando la E è finale (ma non è contrazione di un dittongo, come in AVLE) non è mai rovesciata. Queste due E erano diverse, forse perché una era breve e l’altra lunga, ma più probabilmente perché una era aperta e l’altra chiusa: un carattere distintivo della varietà di etrusco parlata a Cortona, forse presente anche in altre varietà di etrusco, ma non rilevato dalla scrittura. tro lineette verticali e una C rovesciata. Dalle monete sappiamo che la C rovesciata vuol dire ‘metà’, i quattro tratti significano ‘4’; non sappiamo cosa significhi la sigma, forse ‘10’ (anche se il dieci dovrebbe essere rappresentato da una X come in latino); potrebbe trattarsi di un ‘14 e 1/2’, ma non sappiamo riferito a che cosa; se i numeri in lettere sono di estensioni o di quan- tità, quelli in cifre potrebbero essere somme da pagare in danaro. Per il contratto garantivano anche figli e nipoti. Molti sono gli elementi eclatanti in questo testo. Anzitutto la formula di datazione con il nome degli eponimi, attestata qui per la prima volta per l’Etruria settentrionale (le altre note vengono da Tarquinia). E ancora: il primo dei personaggi RIVISTA DEGLI STENOGRAFI che compare nell’ultimo elenco è accompagnato dall’epiteto della carica rivestita, assai importante e attestata sempre per la prima volta nell’Etruria settentrionale: si tratta dello Zilath Me?L Rasnal, il magistrato supremo dello Stato, che interviene nella stesura dell’atto. Per Luciano Agostiniani, se il primo elenco rappresenta i venditori e il secondo i compratori, il terzo elenco potrebbe citare i garanti della regolarità del contratto, in base ad affinità con iscrizioni siceliote del III-II sec. a. C., dove compaiono quattro o cinque righe con l’atto di vendita e altrettante con i nomi degli ampochoi, i ‘garanti’; non a caso nella tavola il primo di questi è il magistrato supremo, mentre gli altri sono spesso accompagnati dalla dizione Clanc (‘e il figlio’), Cleniarc (‘e i figli’) o Papalserc (‘e i nipoti’); cioè, chi garantiva la regolarità del contratto e dei pagamenti non lo faceva solo per sé, ma anche per i suoi discendenti. Insomma, in caso di disgrazia o di insolvenza, il figlio o il nipote doveva garantire l’esecuzione del contratto. Un’ultima cosa importante è dove si dice: ‘questo testo è stato scritto...’, con una formula che si ritrova nel cippo di Perug ia (vedi riquadro Monumenti di scrittura etrusca). La tavola ha 25 FU REALIZZATA COSÌ Prima un brogliaccio e l’incisione su cera. La tavola è una lamina in bronzo di 28,5 per 45,8 cm, dallo spessore inverosimilmente basso (dai 2 ai 2,7 mm), con i segni (profondi da 0,3 a 0,5 mm) di un testo sulle due facce. Tali segni non sono stati incisi direttamente nel bronzo, ma su una lamina di cera abbastanza dura ed elastica da sopportare l’incisione senza rompersi. Ciò significa che il testo era stato preparato su un brogliaccio (papiro o pergamena) e poi consegnato allo scriba esecutore, che lo trascrisse in bella grafia (carattere capitale quadrato) su una cera assai dura: lo si comprende dai segni dell’incisione, che mostrano una certa difficoltà di progressione, e insieme da qualche piccolo errore di trascrizione, individuato dall’incisore e corretto in maniera approssimativa (altri piccoli refusi, invece, sono stati individuati dal professor Agostiniani che ha studiato il documento). Fusione a cera persa. Una volta realizzata, la tavola di cera iscritta fu ricoperta da qualche millimetro di luto (argilla molto fine) sulle due parti. A sua volta la forma in luto, essiccata, venne racchiusa nella madre-forma in refrattario (un’argilla speciale che sopporta il calore). Dopo aver predi- sposto gli sfiati, la matrice fu scaldata intorno ai 150ø per sciogliere tutta la cera; a questo punto dai crogiuoli venne colato nella forma il bronzo fuso (reso più fluido con l’aggiunta di piombo). È stato forse in questo momento che la matrice ha avuto un lieve cedimento, portando in qualche punto lo spessore da 2 a 2,7 mm. Una volta fredda, la forma è stata spezzata e aperta, e le impurità di fusione rimosse. Ottimo livello tecnico. La tavola si rivela fusa magistralmente perché non risultano visibili né i fori di mandata e di uscita del bronzo, né i punti di attacco dei distanziatori che tenevano in posizione le due valve della forma. Evidentemente queste erano ben salde e, a parte il lieve cedimento (inferiore al millimetro), il lavoro risulta perfettamente riuscito. Probabilmente erano predisposti nella forma anche i fori per i ribattini che fissano il manico per appendere la tavola. Sarebbe stato più semplice ed economico incidere una lamina di bronzo già preparata; ma qui ci troviamo in presenza, verosimilmente, di un importante atto ufficiale che doveva essere tecnicamente molto elaborato. NON TUTTI SANNO CHE... Cognomen. Nell’onomastica latina il terzo membro del nome, aggiunto a quello gentilizio (nomen della gens) e originato da particolarità fisiche, morali o dalla località di provenienza. Ductus. Il tratto, ovvero il modo in cui si configura la scrittura, in particolare riguardo allo strumento impiegato e all’inclinazione del supporto scrittorio rispetto a chi scrive. Eponimo. Il magistrato che dava il nome all’anno secondo un uso comune presso i Greci e Romani. Premio di rinvenimento. La legge 1089 del 1939 stabilisce che lo scopritore di un oggetto archeologico ha diritto a un «premio di rinvenimento» da parte dello Stato, pari a «non più del 20%» del valore del reperto. Praenomen. Nell’onomastica latina il primo membro del nome, vera indicazione personale. Sigma. Diciottesima lettera dell’alfabeto greco (σ, Σ) corrispondente alla s latina. Sodo. Località presso Camucia, a Cortona, dove sono state rinvenute due monumentali tombe a tumulo di età arcaica (VII-VI sec. a. C.), chiamate meloni: i Meloni del Sodo (vedi AV n. 34). Thymiaterion. Recipiente bruciaprofumi, su piedini o su sostegno conformato a colonnina o figurina. 26 RIVISTA DEGLI STENOGRAFI infatti strette analogie con l’ipogeo di S. Manno (presso Perug ia), dove è riportato un contratto simile; col cippo di Perugia, che è la registrazione di una sentenza connessa con la proprietà di terreni; sia con una lamina da Tarquinia (III-II sec. a. C.), ritrovata sul mercato antiquario e presentata da Pallottino nel convegno di Studi etruschi del 1982. Quest’ultima è molto vicina alla nostra tavola perché comincia con una formula di donazione analoga, seguita da una parola che là compariva per la prima volta e che ritroviano anche nella tavola cortonese, forse inerente alla natura giuridica del testo, come pare ormai certo. Il momento storico (III-II sec. a. C.) è infatti quello della romanizzazione dell’E- truria: i due eponimi probabilmente configurano i «consoli» romani, come il nome Petru Scevas forse corrisponde al latino Scaevola (il monco, il «mancino») e potrebbe essere interpretato come Pietro il «mancino», e Raufe sta per Rufus ecc. Al di là dell’acquisizione di nuovi dati e di nuove parole, la tavola avrà un impatto anche sulla migliore comprensione dei vecchi testi; ad esempio, una frase della tabula cortonensis è confrontabile con un’altra del cippo di Perugia, della quale si impone ora una revisione del significato già attribuito. I risultati delle ricerche di Francesco Nicosia e Luciano Agostiniani stanno uscendo in un volume de L’«Erma» di Bretschneider. Francesco Nicosia e Luciano Agostiniani, rispettivamente ispettore centrale del Ministero per i Beni culturali (soprintendente archeologo della Toscana al tempo della «scoperta» della tavola etrusca di Cortona) e docente di Glottologia all’Università di Perugia. Sono i due esperti che hanno studiato la Tabula cortonensis e che hanno collaborato alla redazione del presente articolo. Testo e foto tratte da «Archeologia Viva», n. 78 Nov. Dic. 1999, edita da Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, offerta in abbonamento a prezzo speciale agli «Amici della Fondazione Giulietti». LA DISTANZA DI SICUREZZA «Quale deve essere il valore della “Distanza di sicurezza?”» Tale «valore» desidera conoscere un Lettore della «Rivista degli Stenografi» (vedere il N. 45, pagina 32). Accolgo l’invito a soddisfare la richiesta del Lettore sebbene non sia «uno dei massimi competenti italiani» attorno alla «prevenzione degli incidenti stradali». La «regola» enunciata da Stefano Livio è validissima. Mi sono proposto di rispettarla poiché richiede più di un secondo della «regola» da me enunciata nel 1964, che ora trascrivo: «La distanza di sicurezza, in metri, deve essere maggiore della metà della velocità, espressa in chilometri all’ora». In breve: Distanza di sicurezza metà della velocità. L’Articolo 348 del «Regolamento di esecuzione del Codice della strada» prescrive che la distanza di sicurezza corrisponda allo spazio percorso in un secondo, che è il «tempo di reazione» medio dei conducenti. Il detto Articolo è sicuramente errato in quanto non tiene conto dello «spazio di frenatura». Le Autorità preposte alla regolazione del traffico e della circolazione non hanno ancora modificato l’Articolo citato, sebbene siano state più volte sollecitate ad operare razionalmente per migliorare le «norme» del Codice della strada. A chiusura di questo breve scritto, mi sia consentito di pregare lo stesso Ministro di rendere esecutive le norme proposte dal Presidente dell’Automibile Club d’Italia, dottor Rosario Alessi, relative alla «Patente a punti» e al «Foglio rosa a sedici anni». Andrea Innocenzi Per un disguido postale, non è stata pubblicata, sul numero 45 di questa Rivista, la risposta data da Innocenzi qui sopra, «Non tutto il male vien per nuocere». Infatti, i signori Stefano Zanuso e Nicola Tedesco hanno dimostrato, nel frattempo, che il comma secondo dell’Art. 348 è errato, in quanto non tiene conto dello «Spazio di frenatura».