Caro Pianeta Terra

Transcript

Caro Pianeta Terra
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Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Cristina Zagaria e con il coordinamento dei
propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e
delle classi appresso indicate:
I.I.S “M. Buniva” di Pinerolo (TO) – classe IIA C.A.T
I.I.S “Sabatini-Menna“ di Salerno (SA) - classe IIE
I.T.I.S. “Pininfarina” di Moncalieri (TO) – classe IIM
Liceo Statale “P.E.Imbriani” di Avellino (AV) – classe IID linguistico
Liceo Classico “Carlo Botta” di Ivrea (TO) – classi IIF/IIG
Liceo Scientifico “M. Morandi” di Finale Emilia (MO) – classi IIX/R/B/Z
Liceo “Alfano I” di Salerno (SA) - classe IIA Scienze Umane
Istituto Liceale “Canossa” di Reggio Emilia (RE) – classe II I Scienze Umane
Liceo Scientifico Statale ''E. Fermi'' di Cosenza – classe I I
Editing a cura di: Daniele Baldissin
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2013
La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura
Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso
dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio
VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA)
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e delle attività formative collegate
Maurizio Ugo Parascandolo
Responsabili di Area per le comunicazioni, il
coordinamento didattico, l’organizzazione
degli Stages, le procedure e l’interazione con
le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso
di Formazione collegato alla Staffetta 2013
Linda Garofano
Marisa Coraggio
Andrea Iovino
Area Nord
Area Centro
Area Sud
Segreteria di Redazione
e Responsabile delle procedure
Giovanna Tufano
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Daniele Baldissin
Grafica di copertina:
Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza
Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia
Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci,
Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti
del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo
di Design di Torino, Docente Sandra Raffini
Impaginazione
Bimed Edizioni
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Amministrazione
Rosanna Crupi
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della
Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola
2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta
esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli
Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta,
Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese,
Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si
ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio
Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di
Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione
Banca del Monte di Rovigo.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione
degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo,
Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint
Vincent, Procida e dal Parco Nazionale
del Gargano/Riserva Naturale Marina
Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato
per il buon esito della Staffetta 2013 e
che nella Scuola, nelle istituzioni e nel
mondo delle associazioni promuovono
l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle
nuove generazioni. Ringraziamenti e
tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per
la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up
dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche
e agli Uffici Scolastici Provinciali che si
sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S.
E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi
più ambiti per le istituzioni che operano
in ambito alla cultura e al fare cultura, la
Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot.
SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012.
Partner Tecnico Staffetta 2013
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2013:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
ADD e EDT Edizioni - Torino;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su
carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il
rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi
intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono
risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2012/2013
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
PRESENTAZIONE
dedicato alle maestre e ai maestri
… ai professori e alle professoresse,
insomma, a quell’esercito di oltre mille
uomini e donne che anno dopo anno
ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente
si ripete. In un tempo in cui non si ha la
consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi,
connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su
cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle
generazioni precedenti non è nel fatto
che da una parte vi sono quelli capaci
di sentire la rete come un’opportunità
e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri
giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità
di porsi delle domande. Così, però, è
tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo,
riflettere sul senso della nostra esistenza
è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come
il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere,
non può essere così.
Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a
internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione
tra conoscenza e nuove generazioni,
ma la conoscenza è altro, non è mai e
in nessun caso l’arrivo, l’appagamento
del bisogno… La conoscenza è nella
capacità di guardare l’orizzonte con la
curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il
corpo docente di questo Paese prova
a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna
e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che
a mille chilometri di distanza accoglie la
tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una
visione di globalizzazione positiva.
Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno
proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di
una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che
appartiene alla nostra natura l’essere
parte di una comunità, la grande
scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare
con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la
cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso.
Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e
gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è
proprio ri/partendo dalla Scuola che
potremo determinare l’evoluzione e la
qualificazione del nostro tempo e
dello spazio in cui viviamo. Diamoci
una mano, entriamo nello spirito della
Staffetta, non dividiamo più i primi
dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti
dai non abbienti…
La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto
formativo interno alla Scuola e, pure,
l’insieme che dall’esterno ha relazione
organica e continuativa con il fare
Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto,
un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di
esaltare il proprio se nel confronto,
nel rispetto e nella comunanza con
l’altro.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola
italiana.
Quando Bimed ci ha proposto di
operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a
meno di pensare a quale straordinaria
opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti
ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0,
ma cosa sono in realtà e quali sono le
opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare?
La Società sta cambiando e la
Scuola non può restare ferma di
fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha
portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e
quello di insegnamento non è che una
conseguenza naturale e necessaria
per preparare gli “adulti di domani”.
Con il concetto di “diffusione della
cultura digitale” intendiamo lo svi-
luppo del pensiero critico e delle
competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi
a districarsi nella giungla tecnologica
che viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo
interdisciplinare e trasversale: entra
perché i ragazzi di oggi sono i “nativi
digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e
che porta inevitabilmente la Scuola a
ridisegnare il proprio ruolo nel nostro
tempo.
Certipass promuove la diffusione della
cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo.
Poter anche soltanto raccontare a
una comunità così vasta com’è quella
di Bimed delle grandi opportunità che
derivano dalla cultura digitale e dalla
capacità di gestire in sicurezza la re-
lazione con i contesti informatici, è di
per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di
organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e
considerato anche che è acclarato il
dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di
alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano,
Research, Quality, Competitiveness.
European Union Technology Policy for
Information Society II- Springer 2012)
non soltanto di carattere digitale, ci è
apparso doveroso partecipare con
slancio a questo format che opera
proprio verso la finalità di determinare
una cultura in grado di collegare la
creatività e i saperi tradizionali alle
moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro,
partecipazione e condivisione… I
docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi
vivono e condividono grazie al web
con tanti altri studenti che altrimenti,
molto probabilmente, non avrebbero
mai incontrato e, dulcis in fundo, le
pubblicazioni…
Il libro che avrete tra le mani quando
leggerete questo scritto è la prova
tangibile di un lavoro unico nel suo
genere, dai tantissimi valori aggiunti
che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia,
le nostre tradizioni e la nostra civiltà
all’innovazione tecnologica e alla
cultura digitale. Certipass è ben lieta
di essere parte integrante di questo
percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico.
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
CRISTINA ZAGARIA
11 aprile 2280/Pianeta Terra
Località: ITALIA/Altezza sulla superficie: 1.220 m.
I cristalli di acqua intrappolati tra le nuvole riflettono la luce del sole in
un’eterna aurora. Luce viola, arancione, gialla. Luce non luce. Non esiste più
giorno né notte. Almeno io non li ho mai visti e neanche i miei genitori. Siamo nati
troppo tardi, quando ormai tutto era perduto. Sappiamo che un tempo sulla
Terra esistevano le tenebre e la luce del sole perché Internet ne custodisce la
memoria e perché ce lo raccontano i pochi anziani ancora vivi. Suona la sveglia. Apro gli occhi. La luce finta di questa alba senza fine mi infastidisce. Mi
alzo. Oggi non è una giornata come le altre. Oggi la squadra speciale “V”
parte per la missione. Io seguirò la spedizione, come inviata speciale del mio
giornale. Lavoro a questo caso da due anni. Ci sono molti segreti, troppi. Questa sarà l’occasione per vivere tutto in prima persona e rispondere a tutte le
domande che mi pongo da anni. Anzi, a me interessa solo la risposta a una domanda: “Possiamo tornare a vivere sulla Terra?”. Ormai siamo ostaggi della nostra tecnologia, chiusi in Stazioni Base computerizzate e autosufficienti, senza
più nessun contatto con il mondo esterno, perché le discariche di rifiuti hanno
preso il posto delle città. Gli scarti dei nostri antenati, troppo ingordi, superficiali, distratti per accorgersi di quello che stava accadendo, hanno invaso
ogni spazio. Gli inceneritori hanno bruciato rifiuti fino al 2090. Poi si è provato
a riciclare, smaltire, disintegrare. Ma l’uomo produceva e gettava più di quanto
riusciva a riconvertire. Quando stava per scoppiare la terza guerra mondiale,
con le navi cariche di immondizia che viaggiavano dai Paesi più potenti verso
i più deboli, e poi da un Paese all’altro come trottole e senza più distinzioni,
abbiamo fermato tutto. È stata firmata una tregua. E così nel 2200 ogni nazione
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ha abbandonato la vecchia vita e noi uomini ci siamo rifugiati in Stazioni Base,
città chiuse, sospese su piloni ancorati alla terra. Ma la Terra è davvero un
pianeta ormai invivibile? Io sono convinta di no. Politici, scienziati, ma anche i
miei colleghi sono tutti responsabili. Hanno nascosto la verità per difendere gli
interessi di pochi. Mi alzo e indosso la mia tuta. Non usiamo più vestiti. Sono superflui. Indossiamo tute sottilissime di materiale indistruttibile, senza segni distintivi. Avvio la macchinetta del caffè e mi affaccio all’oblò della mia stanza.
Ognuno di noi ha una dose razionata di acqua. Ormai l’oro blu è il bene più
prezioso. Ne uso un po’ per il caffè mattutino. Alla Stazione Base siamo autosufficienti. Produciamo tutto. Abbiamo orti, campi di grano e di caffè che crescono sotto luci artificiali. Il profumo del caffè mi fa pensare a mia nonna Ines,
una delle poche che ricordava ancora qualcosa della vita prima del trasferimento sulle Stazioni Base, qui sopra le palafitte, sospese tra la vecchia terra
e questo cielo perennemente coperto da una spessa coltre di nuvole, smog e
diossina. Sotto di noi ci sono le vecchie città, Roma, Parigi, New York, Vancouver. Sono ormai sommerse di rifiuti e scarti. Immense discariche. E noi uomini siamo
saliti più su: incapaci di arginare l’emergenza rifiuti, l’abbiamo subita. E ora?
Alla Stazione Base non si getta nulla, tutto si ricicla. Ma ormai è troppo tardi.
Guardo in basso e vedo le colonne di fumo che si alzano dal terreno. Ma oggi
sono meno cupe. O almeno lo sono per me. La missione scientifica che partirà
tra meno di tre ore è diretta dal professor Emilio Della Ragione. Il professore è
tra gli inventori delle Stazioni Base. Oggi ha 87 anni e dice che rifugiarci in
questo mondo artificiale è stato il più grave errore dell’umanità. Vuole rimediare.
Della Ragione è un testardo, che la comunità scientifica internazionale ha etichettato come folle. Ma è l’unico che cerca una soluzione. Ha organizzato una
squadra di sei giovani scienziati e tecnici. Un magnate sconosciuto ha finanziato il programma. I fondi e i mezzi sono illimitati. L’obiettivo uno: capire come
liberarsi dai rifiuti e tornare nelle nostre città. Il settimo elemento della spedizione sono io, l’unica che in questi anni ha continuato a dare spazio alle teorie
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del professore sul giornale. E anche io, Bianca Bacio, o BB come mi chiamano
tutti, sono una folle, una che racconta favole. Ma ora vedremo chi è folle davvero. Bevo il caffè e vado sul tapis roulant. Venti minuti di corsa veloce tra le
campagne toscane. Il monitor a trecentosessanta gradi proietta il filmato delle
colline ricoperte di vigneti gonfi di sole e di vita. E io corro. Mi voglio stancare.
Ho bisogno di sgomberare la testa da dubbi e paure. Ho bisogno di fare ordine, prima della partenza. Scendo dal tapis roulant. Sono sudata e stanca. Mi
infilo nella camera di igienizzazione. Indosso una nuova tuta identica alla prima.
Preparo il mio zaino. L’ultima cosa che prendo è la penna che mi ha regalato
mia nonna Ines. Non serve a niente, non scriviamo più, ma è il mio porta fortuna.
È la penna che consegnerò a mia figlia, Gloria, quando tutto questo sarà finito
e torneremo a vivere con i piedi per terra. Mi getto lo zaino sulle spalle. È ora.
Sono pronta.
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CAPITOLO PRIMO
Primi preparativi
Appena fuori dalla porta, un sentimento d’ansia mi assale. Ho paura, ma la curiosità per quello che potrebbe succedere laggiù, in una terra ormai sconosciuta,
è più forte.
Prendo l’ascensore, scendo e arrivo al piano terra. Aspetto qualche minuto l’arrivo dell’HVIC, l’High Velocity Intelligent Car, che mi porta al luogo prestabilito per
la partenza. Alte sagome grigie di palazzi, uno uguale all’altro, si susseguono
senza interruzione dal finestrino: ripenso con nostalgia alle antiche casette colorate, circondate da fiori ed alberi viste tante volte nelle vecchie foto e nei
documentari scolastici. L’auto si ferma silenziosamente davanti a un immenso portone di vetro e titanio: è un edificio imponente, più alto degli altri. L’atrio è vuoto
e silenzioso; un robot registra la mia entrata scansionando le mie impronte digitali.
Non ci sono colori, da tempo non se ne usano più, sono ritenuti superflui: tutto è
metallico e asettico… Abbiamo dovuto imparare a fare a meno della bellezza;
dopo aver sprecato e distrutto tutto ciò che di meraviglioso ci offriva la Natura,
ora siamo ridotti ad accontentarci di sopravvivere. Cerco di non farmi cogliere
dalla tristezza; prendo un altro ascensore, si ferma prima del previsto e sale un
ragazzo giovane. I suoi occhi verdi brillano di intelligenza, ha i capelli corti e
biondi ed è alto quasi quanto me, è bellissimo...
«Salve» mi saluta entrando. Dopo qualche istante, guardando il display, aggiunge: «Anche lei all’ultimo?» Sono incuriosita da questa domanda, l’ultimo piano
è quello del meeting, sarà anche lui un componente della spedizione? Non faccio
in tempo a rispondere che le porte dell’ascensore si aprono, percorriamo il corridoio davanti a noi. Il giovane apre una porta, la terza a destra, quella della
sala prestabilita per l’incontro: sì, ormai ne sono sicura, parteciperemo alla spedizione insieme.
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Primi preparativi
Siamo i primi oltre a Della Ragione. Il professore è proprio come me l’ero immaginato: barba bianca, capelli spettinati, tutto in lui ispira fiducia e simpatia. Indossa
sopra la tuta un vecchissimo camice bianco che sfiora il pavimento, il suo sguardo
vagamente folle penetra attraverso le lenti di piccoli occhiali argentati.
Il ragazzo che era salito con me in ascensore si presenta: si chiama Luca ed è un
biologo marino.
Nel frattempo arriva un altro giovane di circa vent’anni, molto più alto di me, capelli coperti da uno strano cappello color rosso porpora, chissà come lo avrà
avuto? È da tempo che di simili accessori non se ne vedono più.
Anche lui si presenta: si chiama Marco, viso sorridente, espressione simpatica,
dice di essere un geologo.
Dopo qualche istante entrano due ragazze, gemelle, identiche nel più piccolo
dettaglio, entrambe con un piccolo neo sotto il labbro inferiore, occhi scurissimi,
leggermente a mandorla. Una si chiama Chiara, ed è un chimico specializzato in
tecniche di riciclaggio mentre l’altra si chiama Giulia ed è un fisico. Sorprendo
Marco a fissarla, come incantato.
La porta si apre nuovamente e un ragazzo con capelli castani e occhi azzurri si
avvicina a noi con passo svelto: è uno psicologo, si chiama Giovanni. Mi chiedo
il perché della sua presenza fra noi.
La porta non è ancora chiusa che un ultimo scienziato la riapre presentandosi: il
suo nome è Matteo. Sembra freddo e altezzoso, capelli scuri, occhi coperti da
occhiali neri: è un antropologo.
Siamo tutti seduti. Dopo un lungo sospiro il professore Della Ragione inizia il suo
discorso: «Finalmente eccovi tutti qui riuniti per partire verso quello che un tempo
era chiamato il pianeta azzurro, nome a voi ormai sconosciuto. Le ultime sonde
teleguidate scese sulla Terra hanno raccolto in vari continenti campioni di materiali organici che mostrano possibili segni di mutamenti genetici, ma occorrerà
avere delle prove evidenti. Questa spedizione ci permetterà di verificare da vicino lo stato del nostro pianeta. Ora prendete i vostri strumenti, avete tutto l’oc-
Capitolo primo
19
corrente: un rilevatore per l’ossigeno, due videocamere, una sulla parte alta della
tuta e una sul bacino, un respiratore nel caso in cui la quantità di gas fosse eccessiva». Poi il vecchio scienziato consegna a ciascuno di noi uno strano braccialetto. Dice che è una nuova invenzione messa a punto da poco tempo e che
ci proteggerà una volta giunti sulla Terra. Schiacciato il pulsante centrale comparirà una tuta che una volta indossata ci permetterà di smaterializzarci e riapparire ad alcuni chilometri di distanza. È possibile fissare le coordinate
geografiche con la tastierina presente sulla manica.
A questo punto Luca prende la parola: «Sono onorato di comunicarvi che sono
stato scelto come capo della spedizione. Spero di esserne all’altezza.
Tutti noi siamo consapevoli dell’egoismo dei nostri avi, i quali hanno popolato e
distrutto la nostra Terra. Tuttavia, negli ultimi anni, sono state ideate nuove strategie che potrebbero permettere un parziale recupero del nostro pianeta. È triste
vedere che le persone più anziane vivono con rimpianto il ricordo lontano della
loro vita sulla Terra ormai perduta.
«Quando sono stato chiamato, mi sono unito a voi con la speranza che i sogni
di Ines, la grande scienziata ambientalista ammirata da tutti per il suo grande
coraggio, possano diventare realtà. Conoscete tutti lo scalpore che fece il tentativo di censura nei suoi confronti da parte della vecchia classe dirigente,
grande responsabile del disastro ambientale. Anche dai vecchi documentari appare evidente la sua grande tenacia, la coerenza con cui si batteva a sostegno
dei suoi ideali, per fermare quella sete di ricchezza e di potere che ha devastato
le risorse della Terra.
Ines è stata eliminata con la violenza ma non sono riusciti a fermare le sue idee
rivoluzionarie per un ritorno ad uno sviluppo ecosostenibile».
A sorpresa interviene la voce chiaramente commossa del professore: «Ho avuto
l’onore e il piacere di collaborare con Ines negli ultimi anni della sua vita, quando
cercavamo disperatamente metodi di smaltimento in grado di rendere nuovamente abitabile la Terra. Misteriosamente molti di quei geniali progetti, archiviati
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Primi preparativi
in un microchip sono spariti dopo la sua morte. Tuttavia io sono profondamente
convinto che Ines li abbia nascosti perché non finissero nelle mani di persone
sbagliate».
Cerco di controllare la mia emozione quando annuncio al gruppo che Ines era
mia nonna. Su tutti compare la stessa espressione di stupore. Solo il professore sorride: «Ragazza mia, non si è chiesta perché le è stato permesso di partecipare
alla spedizione? Non certo solo per i suoi brillanti e coraggiosi articoli! Ascoltate
bene, ognuno di voi è stato scelto per un motivo preciso, non solo per la sua preparazione scientifica. Chiara e Giulia, per esempio, sono state le prime gemelle
ad essere clonate e possiedono capacità empatiche uniche».
Il momento della partenza è arrivato: digito sul bracciale le coordinate che ci
condurranno in un punto preciso: la città caput mundi dell’antichità: Roma. Lì si
svolse l’ultimo incontro fra i grandi della Terra per trovare le ultime disperate soluzioni. Lì le poche speranze di salvare la Terra svanirono fra litigi ed egoismi…
Il professore Della Ragione ci ricorda brevemente lo scopo della spedizione:
scoprire anche la più piccola possibilità di tornare sulla Terra. Aria, acqua, terra
sono ancora mortalmente contaminati? Esistono forme di vita? Vi sono tracce di
mutazioni genetiche di qualsiasi natura? Dal materiale che riusciremo a raccogliere ed analizzare, dalle immagini che cattureremo, dipende il futuro di noi uomini. Nelle parole del vecchio scienziato si coglie tutta la determinazione e
l’impegno che lo hanno sempre accompagnato in questi anni.
Tutto è pronto, ci spostiamo in una camera di smistamento: le pedane di partenza
ci attendono. Ognuno vi prende posto. Il mio cuore sembra impazzito: penso a
Gloria, la mia bambina, quando ieri sera, prima di dormire, mi ha raccomandato
di tornare da lei. Stringo forte nelle mie mani la penna di nonna Ines: sarà lei il mio
portafortuna.
Capitolo primo
21
CAPITOLO SECONDO
L’Alfa e l’Omega
Il nostro gruppo di salvezza mondiale, nome in codice SPES (Speranza), è pronto:
digitiamo le coordinate sul bracciale e dopo esserci smaterializzati ci ritroviamo
in pochi attimi nella città delle città: l’eterna e antichissima Roma.
L’aria che si respira è acre e umida e mi trovo costretta come gli altri a utilizzare
il respiratore. L’antica città che avevo ammirato dalle foto e conosciuto grazie
ai racconti di mia nonna, ai miei occhi appare come una gigantesca discarica.
Alzando gli occhi al cielo il paesaggio non è migliore: tutti i gas e la nebbia che
ogni giorno ero costretta a vedere dalla piattaforma adesso mi si presentano
come una cappa grigia e spaventosa. Il mondo un tempo illuminato dal sole era
ora buio e grigio. In questo paesaggio spettrale, tra enormi masse nere di rifiuti
simili a giganti addormentati, ci incamminiamo a fatica verso quella che secondo
i nostri strumenti doveva essere la via Appia.
Le strade sono coperte da rifiuti ed è difficoltoso proseguire. Mi accorgo, notando un crocifisso che emerge dal fango, di essere arrivati nei pressi di un’antica
chiesetta. Una logora insegna indicava ai turisti la Chiesetta del Quo Vadis. Continuiamo a camminare quando vediamo spuntare tra i rifiuti i resti di un portale antico. Facendoci strada sul terreno tortuoso arriviamo all’apertura di un cunicolo
sotterraneo: erano le antiche catacombe.
Ricordo di aver letto per il mio esame di Storia antica terrestre che nel primo secolo i cristiani di Roma non avevano cimiteri propri. Se possedevano dei terreni,
seppellivano là i loro defunti, altrimenti ricorrevano ai cimiteri comuni usati anche
dai pagani. Nella prima metà del secondo secolo, in seguito a concessioni e
donazioni, i cristiani iniziarono a seppellire i loro morti sottoterra, costruendo le
prime necropoli. Questa doveva essere quella di San Callisto, la più grande di
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L’Alfa e l’Omega
Roma, che occupava un’area di ben 15 ettari, con una rete di gallerie lunghe
quasi 20 chilometri, disposte su diversi piani.
Proprio in quel momento, Marco esclama con tono concitato: «I miei rilevatori di
tracce organiche sono impazziti: segnalano la presenza di segni di vita proprio
in prossimità del cunicolo: c’è qualcosa là dentro!»
«Dobbiamo entrare, questa potrebbe essere la dimostrazione che c’è ancora
vita sulla Terra!» esclama Matteo, senza possibilità di replica.
Ci avviamo, quindi, in fila indiana, nei sotterranei delle catacombe. Cunicoli stretti
e lunghi, privi di luce e con mattoni ricoperti di muschio, si snodano in mille direzioni. Rimaniamo sorpresi nel notare che non c’è spazzatura, possiamo procedere
senza usare più i respiratori.
Noto che qua e là sono ancora visibili i resti di ossa e di teschi umani e che sulle
pareti spiccano tracce di antichi simboli. In particolare mi fermo ad osservare un
graffito: raffigura l’Alfa e l’Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco.
«I Cristiani credevano che Cristo fosse l’inizio e la fine di tutte le cose» ci spiega
Matteo.
Istintivamente, pensando alle antiche lettere, metto le mani nella tasca della tuta
e, come è mia abitudine fare nei momenti di tensione, gioco nervosamente con
la penna tra le mani. Mi torna in mente il momento in cui mia nonna mi ha regalato
la sua penna. Era il giorno del mio sesto compleanno. Come ogni sera mi raccontava storie sull’antichità, racconti di guerre tra popoli, fiabe e leggende. Fu
quella sera che mi fece dono della penna, dicendomi che sarebbe stata un portafortuna universale. A quel tempo non compresi appieno il senso di quella sua
affermazione.
Marco, che mi sta a fianco, si ferma all’improvviso e, con abile mossa, mi sfila la
penna lasciandomi di stucco per quel gesto. Poi si avvicina al muro ed esclama:
«Guardate! Sono gli stessi simboli!!!»
«Ho già visto questi simboli all’incrocio precedente» ci comunica Luca.
«E se fossero delle indicazioni per giungere a qualcosa?» domanda Giulia.
Capitolo secondo
23
I nostri interrogativi per il momento restano senza risposta, così decidiamo di andare avanti nell’esplorazione. Marco mi restituisce la penna come se niente fosse.
Non gli dico nulla. Procediamo, seppur con una luce fioca, attraverso quello che
ci sembra una specie di corridoio.
Marco continua a tenere d’occhio le strumentazioni quando all’improvviso il display del suo micro-PC inizia a segnalare delle anomalie.
Il geologo avverte: «Ragazzi, stiamo all’erta, non so in cosa potremmo imbatterci
qui. La mia strumentazione sembra impazzita!»
Questa storia incomincia a non piacermi, ho paura. Dopo quasi mezz’ora di cammino, ci troviamo di fronte a un bivio che si affaccia su una specie di piazzola di
pietrisco umido e ammuffito.
Luca chiede: «Allora, da che parte?»
Intervengo io: «Perché non facciamo testa o croce?»
Subito Giulia, senza alcun indugio, fa saltare una moneta digitale sul display
della sua tuta: «Testa a sinistra, croce a destra.» La moneta digitale volteggia per
un po’ prima di cadere. Esce testa, così entriamo tutti nell’enorme condotto a sinistra.
Dopo quasi un’ora di cammino, Giulia si volta spinta dal suo infallibile sesto senso,
scossa da una grande inquietudine. Capisce, grazie alle sue capacità empatiche, che deve essere successo qualcosa a sua sorella, perché non avverte più
la sua presenza: «Ragazzi, dov’è finita Chiara?» domanda con voce soffocata
dalla disperazione.
Tutti si agitano e si allarmano, me compresa. Luca rassicura il gruppo: «Manteniamo la calma e torniamo indietro, forse si è fermata perché ha trovato qualcosa».
A metà percorso sentiamo un urlo seguito da un boato. Giulia, presa dalla paura,
stringe istintivamente a sé Marco. Fin da subito mi ero accorta che tra i due stava
nascendo qualcosa: durante tutta la nostra esplorazione c’era stato tra di loro
un continuo scambio di sguardi intensi.
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L’Alfa e l’Omega
Continuiamo a tornare indietro e ci ritroviamo davanti al bivio dell’Alfa e l’Omega
e scopriamo che quel gran boato era stato causato da una frana. Siamo bloccati all’interno e non possiamo più guadagnare l’uscita. Marco cerca qualche indizio sulla causa della frana, si guarda intorno, esamina il terreno, e poco dopo
conclude che non è stato affatto un incidente; proviamo ad usare la tuta per
smaterializzarci ma lì sotto sembra non funzionare. Così, con l’aiuto del gruppo,
cerchiamo di spostare quei massi giganteschi, senza alcun risultato. Mentre cerchiamo delle travi per spostare le macerie, vedo Marco e Giulia lavorare gomito
a gomito e conversare tra loro come se si conoscessero da tempo: è ormai evidente la simpatia che c’è tra loro.
Una volta incastrate, facciamo leva sulle travi, creando un varco verso il corridoio. Casualmente ascolto un discorso tra Giulia e Marco: «Ti ringrazio molto per
il tuo sostegno soprattutto dopo quello che è successo a Chiara. Non mi sono mai
separata da lei prima d’ora!» Lui le sorride e le dà un bacio rassicurante sulle
labbra. Penso che in situazioni estreme come la nostra, è normale che aumenti notevolmente il bisogno di contatto fisico e di calore umano. Le mie riflessioni sono
bruscamente interrotte da un grido di Giulia: «Guardate lì per terra! C’è il fermacapelli di Chiara! Non se ne separerebbe mai spontaneamente! Cosa può esserle
successo? Oddio, sento... sento che è stata rapita!»
In quel mentre Chiara apre lentamente gli occhi. È stordita e avverte un dolore
fortissimo dietro la nuca. Tenta di alzarsi ma non ci riesce: si rende presto conto
di essere stata legata. Si accorge inoltre che dalla sua tuta è stato strappato il
braccialetto per la smaterializzazione. In preda al panico cerca di capire dove
si trova, intorno a lei una piccola cella...
Ad un certo punto si spalanca una porta e fanno il loro ingresso due individui, somiglianti ad antichi uomini della preistoria, vestiti solo di pelli grezze. Chiara, cercando di riassumere il controllo di se stessa, facendo appello a tutto il suo
coraggio, domanda loro: «Chi siete? Perché mi trovo qui?»
Capitolo secondo
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I due non le rispondono, ma la prendono e la portano via, accompagnandola
in una grotta rivestita di antichi arazzi: qui, l’adagiano sul freddo pavimento roccioso della grotta.
A un tratto entra un vecchio dall’aspetto inquietante: una cicatrice sotto l’occhio
destro, la barba e i capelli lunghi, uno strano tatuaggio sul polso. L’uomo sembra
il capo dei due uomini. Fa’ loro cenno di allontanarsi. Poi, rivolgendosi verso
Chiara le dice: «Immaginavo che un giorno sareste tornati».
Chiara ancora più confusa lo incalza: «Ma chi siete? Che cosa volete da me?»
«Siamo i Ribelli che molti anni fa, quando l’umanità decise di rinchiudersi in quelle
prigioni sopraelevate, decisero di restare qui. Ormai questa è la nostra Terra e
non vi permetteremo mai di ritornare».
Nel frattempo, il gruppo d’esplorazione, indeciso sul da farsi, si trova in un cunicolo più stretto degli altri. Io gioco con la penna di nonna Ines, sono nervosa per
quanto è successo. All’improvviso la penna mi scivola di mano e, all’impatto con
il terreno, dalla sua punta si proietta sul muro opposto una figura sbiadita che via
via diventa sempre più nitida. Compare davanti a me l’immagine di una donna anziana con gli occhi di un intenso colore viola. Quegli occhi sono come i miei, un
inconfondibile marchio di famiglia.
La figura che prende a parlarmi è l’ologramma di mia nonna Ines: «Bianca, nipote
mia, se adesso stai guardando questo messaggio significa che io non ci sono
più. Immaginavo che avrebbero cercato di cancellare ogni mia traccia e per
questo ho deciso di lasciarti questo messaggio nascosto proprio nella penna
che ti ho donato il giorno del tuo sesto compleanno. So di lasciarti una tremenda
eredità, ma tu sei l’unica speranza per il nostro vecchio mondo. Segui queste coordinate: Latitudine 40° 50’ 00” Nord - Longitudine 14° 15’ 00” Est , ti porteranno
nella città sotterranea dove ho nascosto un’urna d’oro. Dentro troverai un microchip. È la sola cosa che può salvare l’umanità. Trovalo, bambina mia, trovalo…»
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L’Alfa e l’Omega
CAPITOLO TERZO
O’ Munaciello
Dopo pochi minuti riceviamo una richiesta di contatto da parte del professor
Della Ragione che vuole essere informato sugli sviluppi della nostra missione. Gli
raccontiamo quanto accaduto. Lui, dopo averci ascoltato, sembra esitare finché
in tono solenne ci confessa che sono diverse notti che non riesce a dormire.
«Penso sia giunto il momento di darvi delle spiegazioni sul mio passato e sul segreto che si cela dietro l’Alfa e l’Omega. Dovete sapere che nella mia vita sono
stati simboli molto importanti. Appena nato i medici mi diagnosticarono una malformazione cerebrale che impediva il normale sviluppo del cervello. I miei genitori,
disperati, decisero di tentare un rischioso intervento chirurgico con un medico che
usava, in via sperimentale, una tecnica basata sul bombardamento delle cellule
con un raggio laser appena brevettato. Il risultato fu al di là di ogni aspettativa
e, nel giro di alcuni mesi, ripresi le normali funzioni cerebrali.
«La mia vita cambiò radicalmente: l’intervento aveva positivamente interessato
e stimolato le aree del cervello deputate all’intelligenza logico-matematica. All’età di cinque anni venivo considerato un bambino prodigio, non avevo nessuna
difficoltà a passare dal calcolo infinitesimale alla meccanica quantistica. Mio
padre, intanto, stava studiando da alcuni anni una soluzione per risolvere il problema che affliggeva la Terra, diventata ormai una discarica globale. Progettò
delle torri autosufficienti lontane dal suolo terrestre. Anch’io mi appassionai al
suo progetto e cercai di aiutarlo. Sfortunatamente, dopo pochi mesi, mio padre
morì. Sul letto di morte mi volle accanto a lui e, con un filo di voce, mi sussurrò all’orecchio di completare il suo lavoro.
«Così, a sette anni, con l’aiuto dei suoi più stretti collaboratori, consegnai i progetti delle Stazioni Base che furono costruite immediatamente. Quindici anni
dopo conobbi Ines: eravamo affini in molte cose e presto ci innamorammo l’uno
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O’ Munaciello
dell’altro. Avevamo la stessa idea di futuro: ritornare a vivere sul suolo terrestre,
risolvendo definitivamente il problema dei rifiuti. Fondammo un gruppo scientifico
di ricerca, denominato appunto l’Alfa e l’Omega. Usammo in seguito queste due
lettere per indicare in codice il nostro legame particolare, un qualcosa di unico
tra la vita e la morte. Fu lei a voler incidere quelle lettere sulla sua penna portafortuna, quasi a voler lasciare un segno del nostro segreto».
Un silenzio pesante cala sui componenti della missione. Tutti sono pensierosi e
disorientati. La più frastornata sono io, proprio perché Ines era mia nonna e non
avrei mai pensato a una storia d’amore tra lei e il professore. Vorrei sapere qualcosa di più, avrei molte domande da rivolgere, ma forse non è questo il momento...
troverò il modo di parlargli in privato. Chiudiamo il contatto con il professore. In
questo momento abbiamo due problemi da risolvere: trovare Chiara e raggiungere il luogo indicato dalle coordinate del messaggio. Marco, dopo averle verificate, ci informa che si tratta della città di Napoli e precisamente dei suoi
sotterranei.
«Ci divideremo in due gruppi» dice in tono perentorio Giulia «io resterò qui con
Marco per trovare Chiara, il resto della missione si trasferirà a Napoli per cercare
l’urna d’oro. Appena possibile vi raggiungeremo».
Chiara, nel frattempo, ancora legata, è costretta a subire la presenza di quel vecchio inquietante. È confusa e impaurita, ma allo stesso tempo curiosa di sapere:
«Ero convinta che non ci fosse più nessuno nelle città, che tutti si fossero rifugiati
nelle Stazioni Base...».
«Ti sbagli, solo i traditori sono scappati, per diventare dei prigionieri del cielo.
Noi ci siamo rifiutati di abbandonare il nostro luogo natio. Ciò che voi non avete
ancora compreso è che le città che avete abbandonato sono tuttora abitate
nelle parti inferiori. Tutte loro possiedono delle società che vivono nei sotterranei.
E adesso voi, dopo molti anni, pretendete di ritornare e obbligarci a cambiare
vita. Non ve lo permetteremo».
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Capitolo terzo
«Anche noi, su quelle Stazioni Base, abbiamo dovuto cambiare vita...».
«Voi avete abbandonato il vostro mondo dopo averlo inquinato e distrutto. Per
anni vi abbiamo chiesto e implorato di smettere, contestando e dimostrando
pubblicamente il nostro dissenso. Ma nessuno, nessuno ci ha voluto ascoltare...».
«Ma non possiamo vivere così per sempre, noi su quelle palafitte d’acciaio e voi
nel sottosuolo!»
Alle parole di Chiara, il vecchio non replica. La osserva intensamente e poi le
porge un calice d’argento contenente del liquido di un colore verde: «Bevi,» le
dice «poi capirai».
Chiara, titubante, sorseggia lentamente. Il sapore è aspro. Dopo qualche istante,
sente come una scossa nel cervello, un fremito cerebrale che sovraccarica le sinapsi. La sua mente vede squarci luminosi e il suo pensiero diventa visione: «Oh
è bellissimo! La gente che passeggia, le piazze libere dai rifiuti, i bambini che
giocano nei giardini… è tutto splendido, un sogno! I cieli sono tornati di un azzurro limpido, le spiagge bianche come lunghe collane di perle; i mari sono finalmente blu, di quel blu cobalto e unico che ho sempre visto solo in fotografia. I
prati, colpiti dai riflessi dei caldi raggi del sole, mostrano il loro verde intenso. E
gli alberi, i fiumi, le montagne, tutti sono tornati del loro colore naturale. Ogni
cosa mi appare viva, la Terra è guarita, è tornata a vivere dopo una lunga malattia! Ma... che succede? Ora vedo... vedo della gente vestita in modo strano,
trasandato, sembrano dei sopravvissuti; i loro visi sono tristi e gli sguardi rivolti
verso il basso. Alcuni aprono delle botole situate all’angolo dei marciapiedi delle
città, infilandosi dentro e scomparendo: sono moltissimi. Altri, dalle stesse aperture,
risalgono verso la superficie e, prima di uscirne, si guardano attorno in modo circospetto. Perché mi sembra tutto così assurdamente reale?»
Marco e Giulia si allontanano, dopo aver salutato i compagni. I restanti componenti della missione ed io, dopo aver impostato le coordinate sui nostri rispettivi
braccialetti, ci ritroviamo direttamente a Napoli. Subito ci aggiriamo tra i resti di
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O’ Munaciello
una città irreale, sommersa da ciò che rimane di quelle montagne di rifiuti maleodoranti e decomposti nel corso degli anni. Tra cumuli di macerie, di vecchi utensili
e di ossa umane e animali scorgiamo una cupola di quella che sembra essere
un’antica chiesa.
Marco attiva subito il GPS incorporato nella tuta e, dopo pochi secondi ci informa che si tratta della cappella di San Severo, costruita alla fine del XVI secolo.
Sul suo fianco notiamo un sentiero che scende. Nessuno parla, indossiamo dei caschi di protezione con le celle fotoelettriche incorporate e ci avviamo. Continuiamo a camminare, quando vediamo sui muri, anneriti dal fumo, degli strani
animali: assomigliano a ragni.
«Dolicopodi, questo è il loro nome» ci informa Luca «vivono nel sottosuolo e non
hanno mai visto la luce del giorno».
Davanti a noi ci appare la navata centrale. La volta della cappella ha degli affreschi che hanno mantenuto intatti i loro colori e noi ci fermiamo ad ammirarli
con stupore. Non abbiamo mai visto niente di simile.
«Questi colori così vivi, da sembrare appena dipinti, sono opera di un principe
alchimista del Settecento: Raimondo di Sangro. Ma seguitemi, vi prego, da questa
parte, venite…» una voce ci invita a inoltrarci in un passaggio sotterraneo angusto e buio.
«Chi è che parla?» chiedo.
«Sono il Munaciello, o almeno così tutti mi chiamano da secoli. Per alcuni sono
un fantasma, per altri una creatura tra il magico e il reale. Da più di mille anni mi
aggiro nei cunicoli sotterranei di Napoli, insieme a tutti gli altri “pozzari”, i signori
del mondo sotterraneo che conoscono ogni cunicolo e ramificazione di quello
che era l’antico acquedotto greco romano. Col passare del tempo questa città
di tufo è diventata “l’altra Napoli”. Oggi, però, è l’unica Napoli. Seguitemi, conosco il motivo per cui siete qui e voglio aiutarvi».
«Per quale ragione dovremmo fidarci?» gli chiediamo.
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Capitolo terzo
Il Munaciello, sempre nascosto nella penombra, alza un braccio e con il dito
scrive qualcosa sui muri anneriti che trasudano umidità: Alfa e Omega. Ci guardiamo sbigottiti, mentre quella piccola figura, vestita con il saio di un monaco,
balza davanti a noi e inizia a camminare a passo spedito con il cappuccio rialzato. Nessuno di noi ha il coraggio di fiatare e lo seguiamo in silenzio. Scendiamo
ancora e raggiungiamo l’ingresso della cappella; subito al centro della navata,
ci appare una scultura che, ancora integra, ci fa rimanere a bocca aperta tanta
è la sua bellezza. È un Cristo di marmo coperto da un velo che sembra appena
posato.
«La leggenda narra che sia stato proprio lo stesso principe a coprirla» ci informa
la nostra guida «con un velo tessuto e da lui marmorizzato sfruttando un procedimento chimico. Ma seguitemi, perché le sorprese non sono finite…».
Aggiriamo un cumulo di macerie e ci troviamo in un locale più buio del precedente, dove due figure, apparentemente umane, si muovono in modo lento e cadenzato, quasi da automi. Una di loro tiene tra le mani un’urna che, pur nella
penombra, luccica come se fosse d’oro.
«Ecco, guardate,» ci invita il Munaciello con soddisfazione «guardate e osservate bene. Per secoli sono state conosciute come le macchine anatomiche del
principe, il risultato dei suoi esperimenti sui corpi umani. Le creò utilizzando due
corpi viventi scarnificati. Li sottopose a un processo di metallizzazione dell’apparato venoso e arterioso. Negli ultimi anni, gli abitanti dei sotterranei, sono riusciti a trasformarli in cyborg. Ammirateli, non sono stupendi?»
Mi sento come paralizzata dallo stupore. Nessuno di noi riesce a parlare: quell’importante scoperta suscita in tutti noi una fortissima emozione.
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O’ Munaciello
CAPITOLO QUARTO
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Ero tormentata costantemente dal pensiero rivolto ai cyborg. La lucentezza abbagliante dell’urna mi riempie di gioia e di stupore. Ci avvolge un silenzio quasi
imbarazzante, colmo d’interrogativi. Respiro con fatica; l’aria afosa che entra nei
polmoni mi strema. Tutto ciò appare impossibile. L’urna sembra essere la strada per
la soluzione, bisogna assolutamente aprirla.
Mi volto, il silenzio è spezzato da un rumore metallico: il cyborg si avvicina reggendo, in quelle che sono le sue mani robotiche, l’urna folgorante; scrutandola,
noto impresse su di essa le lettere che hanno segnato la vita di nonna Ines: l’Alfa
e l’Omega. Riesco a percepire che la soluzione è vicina. Siamo alla ricerca di un
qualunque indizio che possa aiutarci.
In preda al nervosismo inizio ad agitare la penna, non rendendomi conto che la
spiegazione dell’enigma è proprio sotto i miei occhi.
Istintivamente avvicino la penna all’urna. Con immensa meraviglia osservo il piccolo oggetto aprirsi: deve essere un meccanismo magnetico, penso.
Osservo minuziosamente l’urna notando al suo interno un dispositivo elettronico:
il microchip. In preda all’euforia, decidiamo di metterci in contatto con il professor
Della Ragione per informarlo della nostra ultima scoperta. Una volta stabilito il
contatto, il professore mi chiede di allontanarmi dal gruppo: capisco che vuole
parlarmi in privato. Mi sposto in un cunicolo laterale e accendo il braccialetto.
Sul display appare il volto del professore: mi sembra ansioso e turbato. Esordisce
dicendo che ha una lunga storia da raccontarmi. Io lo interrompo bruscamente
per informarlo del ritrovamento del microchip. Lui sembra rasserenarsi. A quel
punto non riesco più a trattenermi: «Penso sia arrivato il momento di raccontarmi
quanto sa di mia nonna» gli dico risoluta «mi ha detto che siete stati innamorati,
ma poi? Che cosa è accaduto dopo?»
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Il professore pare esitare ma dopo qualche istante di silenzio si decide a parlare: «Devi sapere, mia cara, che i nostri sono stati anni intensi, colmi di progetti
e di speranze, spazzati via per il volere della malavita… Che donna era tua
nonna! La stessa intensità del suo sguardo è presente ora nei tuoi occhi.»
Il professore tendeva continuamente a sottolineare la somiglianza tra me e mia
nonna, cosa che mi riempiva il cuore di una grande gioia. Un dubbio all’improvviso si fa strada e mi assale… era mai possibile che tra me e il professore ci
fosse un legame più forte?
Prendo coraggio e gli domando: «Professore, sono sua nipote, non è vero?»
Della Ragione non risponde, ma quel suo silenzio è per me un sì assordante.
Non voglio aggiungere altro ma sono molti i pensieri che affollano la mia mente
in quel momento. Decido di concentrarmi sul microchip; con voce esitante
chiedo, senza ancora riuscire a rivolgermi a lui dandogli del tu: «Cosa sa dirmi
a proposito del dispositivo?»
«Cara Bianca, devi sapere che il codice è il nome della donna che entrambi
abbiamo amato per una vita intera».
Contemporaneamente capisco che nonna Ines mi aiuterà anche in questo caso.
Saluto il professore e ritorno dal gruppo. Con lo sguardo perso nel vuoto e con
voce fioca dico loro che Il professore è mio nonno.
In quel momento un silenzio gelido e imbarazzante irrompe tra di noi. Nessuno sa
cosa dire. Poi Luca si avvicina e mi guarda. Lo guardo anch’io e sento all’improvviso che un sentimento forte, mai provato prima, si impossessa di ogni più
piccola parte del mio corpo: mi chiedo se sia amore. Sembra che il tempo si sia
fermato, siamo solo io e lui, degli altri non mi interessa più nulla. Il cuore, con il
suo battito incalzante, mi lacera il petto.
Una frase di Matteo interrompe all’improvviso quella magica atmosfera tra noi: «Pensiamo al microchip, la cosa più importante per ora è concludere la missione».
Poi, rivolgendosi a me, con una certa paterna risolutezza, mi dice: «Pensa che
tuo nonno sia semplicemente quel professore stravagante che abbiamo cono-
Capitolo quarto
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sciuto e ricorda che il microchip è la cosa più importante».
Non gli rispondo, decido di tornare all’urna. Ripenso alle mie conoscenze matematiche e ipotizzo una serie di soluzioni. Tra tutte scelgo la più semplice: ogni
lettera del nome di mia nonna corrisponde alla sua posizione nell’alfabeto.
9-12-5-17 sono le cifre che digito sul tastierino all’interno dell’urna. Provo ad inserire il microchip nel mio bracciale e magicamente appare un ologramma: la mia
ipotesi risulta corretta.
Davanti a me si materializzano i progetti che ci aiuteranno a salvare il mondo. Allo
stesso tempo, scopro che sulla Terra possono esservi delle persone ancora vive.
Faccio scorrere l’ologramma e capisco che a distruggere il nostro mondo sono
state le organizzazioni criminali con la complicità dei governi. Leggo che ingenti
quantità di rifiuti tossici furono abbandonati ovunque. L’indifferenza della gente
e gli interessi economici degli Stati hanno fatto il resto. Giovanni mi si avvicina e
afferma: «Il nostro è un tempo violento, crudele e spietato: purtroppo la violenza
è indissolubilmente legata al cammino storico dell’Umanità e oggi è diventata
un elemento strutturale del vivere in comune. In passato si pensava che la criminalità organizzata affondasse le sue radici, almeno in Italia, nella “cultura del
Meridione”. S’immaginava che il soggiorno obbligato al nord sarebbe bastato a
redimere coloro che erano affiliati alle organizzazioni criminali. Fu solo un’illusione,
presto si scoprì che anche il nord era corrotto».
Lo ascolto con attenzione e nel frattempo continuo a esaminare quei progetti nei
quali sono contenute le informazioni riguardanti i piani della malavita organizzata. Mi rendo conto che la situazione è più grave di quanto pensassi perché non
coinvolge soltanto aree isolate, ma tutto il nostro pianeta.
Ad un certo punto scorgo un nome: Vieques. Si tratta di un’isola vicino a Portorico
che per sessant’anni è stata usata dalla Marina come discarica per bombe e
rifiuti tossici. Nonostante l’apparenza tranquilla, Vieques è uno dei luoghi più inquietanti e pericolosi del pianeta: bombe esplose e inesplose, navi affondate
con i loro carichi tossici a poche centinaia di metri da spiagge tropicali.
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Infine una formula, una formula chimica che non avevo mai visto. Contiene elementi che non compaiono nella tavola periodica. A cosa potrà mai servire? Forse
che mia nonna Ines stava lavorando a questo? Memorizzo le immagini sul mio
supporto digitale.
Nel mentre leggo tutto questo avvertiamo una scossa. La temperatura subisce
un brusco innalzamento.
«Dobbiamo andare via di qui, il sensore indica che del magma sta risalendo in
superficie! Non abbiamo molto tempo: tra qualche minuto di questo posto non resterà più nulla!» ci informa Marco allarmato.
Le scosse diventano via via più forti: siamo in preda al panico e nessuno, nemmeno il più coraggioso di noi, riesce a tenere i nervi saldi. Dobbiamo scappare,
correre via da qui. Matteo ci suggerisce di stare uniti e di dirigerci lontano. Fuggiamo terrorizzati. Ripenso a Gloria, la mia bambina. Mi chiedo cosa ci faccio in
questo posto sperduto, così lontano da lei. Vorrei esserle vicino, sentire le sue
mani sul mio volto: non riesco a trattenere le lacrime.
Gli attimi passano veloci. Io sono accanto a Luca e ancora una volta mi batte
forte il cuore. Gli stringo forte la mano: se dovessimo morire ora, voglio che sia
questa l’ultima cosa che faccio.
Chiudiamo gli occhi: la fine sta per arrivare, l’aria si fa irrespirabile, il calore insopportabile. Un’altra scossa fortissima, poi, d’improvviso, la quiete.
Ci facciamo coraggio, e uno alla volta apriamo gli occhi: una serie di sedili in
pelle nera ci fanno capire che siamo su di un treno. Un treno a levitazione magnetica o Maglev, un tipo di treno che viaggia senza toccare le rotaie.
«Ma cosa ci facciamo qui?» ci chiediamo tutti ancora un po’ impauriti. Non può
che essere opera del professore, penso. Ma dove stiamo andando? Ho il forte
sospetto che la nostra meta sia l’isola citata nei progetti della nonna. Sono tante
le domande a cui vorrei dare una risposta, ma una tra tutte non mi dà quiete:
che fine avranno fatto Marco, Giulia e Chiara?
Capitolo quarto
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CAPITOLO QUINTO
Perottina 101
Chiara è ancora lì, in quella grotta rivestita di arazzi… l’uomo inquietante, con
la cicatrice sotto l’occhio, (che fosse davvero il capo dei Ribelli?), se n’è andato
mentre gli altri due la sorvegliavano.
Guardandosi intorno, nota alle sue spalle una scrivania ed una catasta di libri
che sembrano antichi. Ben attenta a non farsi sentire da chi, là fuori, fa la guardia,
si avvicina curiosa alla scrivania e scopre che, effettivamente, sono libri antichi,
di storia antica. Uno in particolare l’attrae e comincia a sfogliarlo. È una sensazione strana, quasi sovrannaturale: è la prima volta che tocca delle pagine, sì,
la prima volta. Lei, i libri, li ha sempre visti riprodotti negli archivi di Internet! Nel
mondo di sopra non ce ne sono, non ce ne sono mai stati, se non quelli conservati
di generazione in generazione, nelle famiglie più antiche… inoltre, i libri, là sopra,
si possono contare sulle dita di una mano.
Si sposta di qualche passo, perché in quel punto la luce è poca, così da poter
assaporare il primo libro della sua vita.
Parla di una cittadina, Ivrea, colonia romana nel 100 a.C., capitale del Regno
d’Italia intorno all’anno 1000 e poi, nel XX secolo, sede dell’Olivetti, azienda
che aveva reso famosa l’Italia in tutto il mondo per aver realizzato Il primo personal computer della storia, il “Programma 101”, soprannominato “Perottina”, dal
nome dell’ingegner Perotto che l’aveva progettata. La NASA se ne era servita per
il primo volo sulla Luna... Mentre avidamente legge queste informazioni Chiara
pensa a quanto Giulia sarebbe interessata a quel calcolatore.
Ma le voci dei due Ribelli la richiamano alla realtà, il libro le sfugge di mano e
ne scivola fuori una foto: due uomini sui 30 anni seduti dietro a una scrivania.
Sono quasi identici, ma uno porta gli occhiali. La cosa che attira e colpì l’atten-
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Perottina 101
zione della ragazza è la targhetta posta sulla scrivania. Su di essa, inciso, qualcosa d’inaspettato: “Prof. Della Ragione”.
Allibita per ciò che ha appena visto, si accorge di non essere più sola: l’uomo con
la cicatrice è tornato. Guarda Chiara e la foto che lei tiene in mano, con occhi
allarmati. E proprio in quegli occhi Chiara riconosce l’altro uomo di fianco al professore. Se prima la ragazza era confusa ora non sa più che pensare: perché il
professore è in quella foto col capo dei Ribelli?
«Questa spedizione doveva dare delle risposte e invece fa sorgere altre domande. Ora ci troviamo in un treno, stiamo andando all’isola di Vieques... ormai
sembra anche a voi l’ipotesi più plausibile, vero?» domanda Luca «Dev’essere
stato il professore a teletrasportarci su questo treno, io dico di aspettare ad andare via e di vedere dove Della Ragione ci vuole portare».
«Ma non avrebbe senso, ormai abbiamo il microchip, dobbiamo ritornare a casa»
afferma Matteo.
«E come te lo spieghi allora il fatto che siamo qua? Come capo spedizione vi
proibisco di teletrasportarvi via da questo treno!» esclama bruscamente Luca.
«Tu non mi dici quello che devo fare, sono un antropologo e me ne infischio del
tuo grado in questa spedizione! Questa storia non mi piace per niente, dimmi un
po’: sai com’è l’isola dove stiamo andando? No? Beh, nessuno lo sa perché nessuno, che l’abbia mai vista, è sopravvissuto per raccontarlo! E scusami se non
voglio morire nell’assecondare i desideri di un vecchio scienziato!» gli urla contro
Matteo.
Dallo sguardo preoccupato che ha, sembra che Giovanni sia della stessa idea.
Mi ritrovo a guardare la scena come se non ne facessi parte…
Mi manca Gloria, vorrei riabbracciarla, ma non posso, prima devo uscire da questo treno, voglio tornarmene a casa.
«Io sono d’accordo con Matteo!»
Capitolo quinto
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Dallo sguardo che mi rivolge Luca, capisco che non è stata una buona idea
esprimere il mio parere così di getto ma ormai è troppo tardi: il dado è tratto!
«Ah...sì!? Sei d’accordo con lui? E allora perché voi due non ve ne andate? Anzi,
ancora meglio, perché non ve ne andate tutti e tre!?»
L’uomo che pronuncia queste parole non è lo stesso che mi era vicino qualche
minuto prima a Napoli, è un essere rude e brutale e io non voglio avere niente a
che fare con lui.
Giovanni che, fino a quel momento, ha parlato solo con me confidandomi le sue
convinzioni circa la diffusione della criminalità organizzata, ora, in una situazione
forse ancor più drammatica perché è in gioco l’unità del nostro gruppo, interviene
con calma e autorevolezza. È uno psicologo: ora mi rendo conto del perché sia
qui con noi, proprio per situazioni come questa, dove solo una persona come lui
può capire come agire.
Ormai il futuro della spedizione è nelle sue mani.
«Avete ragione» dice a un tratto alzandosi in piedi «Avete ragione entrambi»
Poi, rivolgendosi a Matteo gli dice: «Dovremmo aspettare di vedere dove ci
porta il treno, non necessariamente la nostra destinazione è Vieques… e poi
non credo sia stato il professore a mandarci qui. Il microchip l’abbiamo... e abbiamo non solamente il risultato delle ricerche di una vita, ma anche la speranza
di tornare sul nostro antico pianeta Terra, a casa nostra. Propongo di aspettare,
e poi ho ragione di pensare che i nostri bracciali non funzionino».
A questo nessuno ha pensato. I nostri bracciali non funzionano e questo significava una cosa sola: che siamo in trappola su questo treno.
«Ma se non si tratta del professore, perché qualcuno ci ha voluto teletrasportare
qui sopra?»
Nessuno vuole dire più nulla, la questione viene lasciata cadere, rimarremo qui,
su questo maledetto treno e andremo dove qualcuno ci vuole portare. Solo una
cosa mi domando: siamo ancora una squadra dopo il litigio di prima? E se non
siamo uniti, come potremo sopravvivere?
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Perottina 101
«Voglio riprovarci! Impossibile che Chiara non riesca a sentirmi… non vorrei illudermi, ma mi sento più sollevata, come se avessi tra le mani un filo di speranza.
Voglio avere fede... lo sento, sento che la ritroverò! Tu però aiutami, stammi vicino... promettimelo! Tu non mi lascerai mai, vero?»
Marco non esita un momento: le stringe forte le mani e sente la forza di quelle parole, lascia scorrere in sé il vigore di quella fede nuova, inattesa. Occorre agire
subito e mentre Giulia armeggia, sullo schermo del suo braccialetto compare un
codice binario: 0101. Marco e Giulia decidono di inserirlo sul tastierino della
tuta e all’istante vengono teletrasportati: intorno a loro nuove macerie e residui
industriali.
«Non c’è dubbio, questi sono strati geologici diversi, componenti elettroniche
ossidate, cavi, silice….» E, mentre sposta i detriti più vicini e friabili, Giulia si trova
tra le mani un cartello con una scritta “Tecnologic@mente” ed un oggetto, apparentemente integro, con una targhetta: “Programma 101”. Accanto un QRcode che, prontamente strisciato sul lettore, proietta l’ologramma delle istruzioni
e della storia di quella inusuale macchina. Davanti agli occhi increduli dei due
giovani scorrono le immagini di una rivoluzione mancata e di un complotto internazionale.
«Ti rendi conto, Marco? Abbiamo tra le mani un reperto storico industriale di straordinaria importanza... Sembrerebbe una banale calcolatrice e invece… leggi,
guarda lì… cosa c’è scritto? Il primo personal computer della storia, una macchinetta maneggevole, trasportabile, che poteva stare su di un tavolo e che conteneva la memoria fino allora supportata da apparecchiature ingombranti, tali
da occupare una stanza, lente e complesse».
«Sì... un’autentica rivoluzione... leggi più avanti… un calcolatore di cui solo otto
modelli funzionanti esistevano al mondo nel lontano 2000, di cui cinque ad Ivrea,
e gli altri tre, verosimilmente...».
«Dove?»
Capitolo quinto
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«Nelle basi della Marina Britannica di Portorico e di Vieques visto che la Royal
Navy, che voleva un dispositivo in grado di calcolare le traiettorie dei missili,
l’aveva commissionato all’azienda italiana Olivetti».
«Olivetti? Intendi quell’Adriano Olivetti che aveva portato l’azienda di Ivrea,
agli inizi del 1900, all’avanguardia nel campo dell’elettronica».
Giulia annuisce e aggiunge, quasi intenerita: «Perottina! Questo soprannome le
sta bene... guarda com’è graziosa ed elegante…».
«Caspita!» sfuggì a Marco «Ricordo bene la storia! La rivalità degli altri industriali
italiani e la concorrenza delle multinazionali americane soffocarono questo potenziale economico che avrebbe potuto rendere l’Italia leader mondiale nel settore dell’elettronica».
«Rischio e coraggio, innovazione, lavoro di squadra e amicizia, talento, investimento nei giovani, leadership... doveva essere una personalità scomoda questo
Adriano Olivetti...».
A un tratto il treno si arresta di colpo. Scendiamo e posiamo i piedi su quella che
un tempo doveva essere una spiaggia. L’aria è pesante, la nausea mi assale.
Mentre ripenso alla mia piccola Gloria che mi aspetta, noto un movimento tra i
rifiuti. Ma non doveva essere spopolata la Terra? E invece ecco due occhi fosforescenti emergere dal buio tetro dei gas e una sagoma comparire davanti a
noi. Tutti abbiamo un sussulto a causa del suo terrificante aspetto. È un ragazzo:
pelle grigiastra, due occhi giallo vivo, stracci luridi che lasciano intravedere orribili squame.
«Chi siete?Cosa volete?» chiede con voce roca.
«Siamo terrestri che vivono sulle Piattaforme Base, siamo scesi sulla Terra per trovare un modo per salvarla e renderla di nuovo abitabile» risponde Luca.
«E tu chi sei?» domando io.
«Sono un umano come voi, ma il vivere su quest’isola inquinata ha modificato geneticamente il mio DNA. Ma voi? Perché qui a Vieques?
«Ce lo chiediamo anche noi, siamo stati teletrasportati, ma non sappiamo esat-
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Perottina 101
tamente da chi e perché» risponde Matteo.
All’improvviso una richiesta di contatto: è la voce di Marco: «Bianca? Bianca,
dove siete? State tutti bene?»
«Oh, Marco, finalmente! Sì, stiamo tutti bene, siamo stati teletrasportati in un’isola,
Vieques, probabilmente dal professore».
«Cosa? Vieques?» Mi interrompe Marco, stupefatto. «Non c’è tempo da perdere,
cercate la Perottina, senz’altro è per lei che il professore vi ha pilotati lì!»
Capitolo quinto
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CAPITOLO SESTO
L’egoismo è la rovina dell’umanità
Come un fulmine rischiara e per un momento illumina la notte, così il nome Perottina
risveglia in me il ricordo dei discorsi di mia nonna.
«Ma che cos’è la Perottina?» chiede Luca.
«La Perottina, ma certo! L’ho già sentita nominare varie volte quando ero piccola!
La nonna me ne parlava spesso come di un progetto rivoluzionario, ma non capisco come possa servirci...».
Timidamente, avanzando di qualche passo, lo strano essere si avvicina interrompendomi: «Forse io posso aiutarvi».
Lo guardiamo allibiti e lo incoraggiamo a proseguire. «La Perottina è stato il
primo personal computer della storia; fu ideata dall’ingegner Adriano Olivetti
che aveva intuito quanto la cattiva politica del ventesimo secolo, condizionata
dalla sete di denaro e incentrata sul profitto, avrebbe danneggiato e progressivamente distrutto le risorse naturali della Terra.
«L’ing. Olivetti era ben diverso da tanti altri suoi colleghi imprenditori concentrati
solo sul proprio interesse e con scarso senso di responsabilità. Quella di molti
uomini potenti è stata una spregiudicatezza che nel tempo ha causato danni irreparabili all’ambiente riducendo anche l’isola di Vieques un luogo infimo e inospitale; la popolazione è stata colpita da malattie respiratorie, cancro e diabete
a causa delle sperimentazioni effettuate per fini militari e sfruttamento economico.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’invenzione del computer! Armi
atomiche, bombe e scorie nocive hanno reso invivibile questa splendida isola!»
Matteo, diffidente, gli si rivolge bruscamente: «E tu come fai a sapere queste
cose? Sembri un po’ troppo giovane... C’è qualcos’altro che dovremmo sapere?»
Dopo una breve pausa in cui i suoi occhi gialli si inumidiscono di lacrime, il ragazzo respira profondamente e riprende: «D’accordo, vi racconterò i fatti dal
44
L’egoismo è la rovina dell’umanità
principio. Mi chiamo, o almeno mi chiamavano, Gabriele. Io stesso sono un esempio vivente degli eventi disastrosi di cui vi ho parlato. Ai vostri occhi appaio
giovane, ma in realtà ho subito una mutazione genetica che ha ritardato il mio
invecchiamento esteriore. Per il resto il tempo è trascorso anche per me, sono
vecchio e temo che non vivrò ancora a lungo per poter vedere il nostro mondo
risanato, meraviglioso come lo era una volta...».
Gabriele esita, poi riprende: «Sono l’unico sopravvissuto di una famiglia di stretti
collaboratori del prof. Della Ragione che, da quel che mi è sembrato di capire,
voi avete già conosciuto. In qualità di membri dell’associazione “Alfa e Omega”
ci trasferimmo qui al tempo in cui le grandi multinazionali e la Royal Navy scaricavano su Vieques le loro bombe ad alto contenuto di uranio, molte delle quali
sono rimaste inesplose. Della Ragione, dopo essersi trasferito nelle Stazioni Base,
ci chiese di cercare i codici che ci avrebbero permesso di attivare più di un milione di unità di cyborg, le straordinarie macchine robot con cui in dodici mesi
avremmo potuto raccogliere i rifiuti e trasportarli nel pianeta più vicino al Sole,
dove l’alta temperatura li avrebbe distrutti.
«Purtroppo, criminali senza scrupoli, con la complicità di uomini spregiudicati e
potenti, accecati dalla sete di potere e di guadagno, hanno sabotato il nostro
progetto ed io sono rimasto solo. Ma forse non tutto era perduto! Il professore
Della Ragione mi disse che le Perottine erano tante e che ognuna conteneva
una parte di codice utile alla loro attivazione, ma mi confidò anche un importante
segreto: solo due Perottine potevano consentire di unire le loro due parti e comporre l’intero codice in grado di far funzionare i cyborg.
«Mi affidò una di queste due speciali Perottine, ma non sono riuscito a recuperare
l’altra metà del codice; sono anni che cerco inutilmente la seconda Perottina».
Le parole di Gabriele mi riportano alla mente una frase che mi ripeteva spesso
la nonna: “L’egoismo è la rovina dell’umanità”. Solo adesso comprendo appieno
il significato di quelle sagge parole.
45
Capitolo sesto
Animata da nuova speranza mi rivolgo al gruppo: «Dobbiamo assolutamente trovare la metà mancante del codice».
«Allora seguitemi, vi mostrerò la Perottina».
Dopo qualche minuto, facendoci strada tra i rifiuti e le macerie scorgiamo da
lontano l’insegna “Tecnologic@mente” e due figure che ci sembrano familiari.
Avanziamo ancora e dopo pochi passi riconosciamo Marco e Giulia.
«Anche voi qui? Finalmente possiamo riabbracciarci!» Spieghiamo loro perché
Gabriele ha quell’aspetto strano e inquietante. Raccontiamo a Marco e Giulia
quanto abbiamo scoperto, poi riprendiamo il cammino arrivando presto a destinazione.
Gabriele si allontana qualche minuto dal gruppo, per poi tornare con il codice:
«Questa è la metà che possiedo, ora spetta a voi ritrovare la seconda parte.
Vista l’importanza del progetto, il professore aveva nascosto il codice in due
Perottine: una l’ha affidata a me, l’altra è stata rubata. Purtroppo non so da chi
e non posso aiutarvi».
Intanto Chiara vive momenti di paura: nella cella entra il capo dei Ribelli: «Voi potete andare» dice rivolgendosi alle guardie. Lei lo guarda attentamente e nota
una certa familiarità con il professore. Stessi occhi, stessi tratti, stessa espressione.
Non resiste e istintivamente grida: «Allora tu sai chi mi ha mandata! Dimmi cosa ti
lega al professore!»
«Stai calma ragazzina. Ogni cosa a suo tempo» risponde il capo in tono minaccioso.
«Io devo sapere. Voglio sapere!» gli urla contro Chiara mostrandogli la fotografia.
Il capo dei Ribelli si decide finalmente a parlare: «Io e Della Ragione eravamo
una squadra. Eravamo giovani, pensavamo di poter cambiare il mondo. Ma lui,
lui no! Voleva fare sempre a modo suo. Nonostante la sua straordinaria intelligenza non aveva capito il pericolo cui stavamo andando incontro.
46
L’egoismo è la rovina dell’umanità
«Io ho provato a farlo riflettere, ma non c’è stato nulla da fare! Siamo anche arrivati a uno scontro violento…».
«La cicatrice… Ma, se eravate così diversi, che cosa vi ha uniti?»
«Il sangue, purtroppo».
«Il sangue?»
«Proprio così, siamo fratelli, o almeno, lo eravamo».
«E io? Io cosa c’entro in tutto questo?»
«Tu sei ciò che mi permetterà di realizzare i miei piani».
«Non... non capisco...».
«Sarai la mia merce di scambio».
«Scambio? E con cosa?»
«Ti ho già detto abbastanza, non è più tempo di fare domande».
Il capo dei Ribelli lascia sola Chiara e lei, ricordando il gioco che tante volte
avevano fatto quando volevano stupire i loro amici, prova a concentrarsi per
tentare di comunicare telepaticamente con la sua sorella gemella.
47
Capitolo sesto
CAPITOLO SETTIMO
Il ritrovo
Nella sua mente affiorano innumerevoli ricordi, che spesso sono come le maree:
nascono dal nulla, si avvicinano silenziose e inaspettatamente travolgono. Lo
sforzo di concentrazione è notevole, ma funziona. Nello stesso istante Giulia sente
la consueta vibrazione che le indica l’imminente contatto con sua sorella.
«Chiara, Chiara!» esclama esaltata a contatto avvenuto.
«Giulia ascoltami… prima che venga lui!»
«Lui chi?» chiede lei spaventata.
«Lasciami parlare, sono ostaggio dei Ribelli! Il loro capo vuole usarmi come merce
di scambio. Qualcuno possiede qualcosa che a lui serve per il raggiungimento
dei suoi piani. Lui è il fratello del professore Della Ragione, capisci?»
«Cosa? Ma dove diavolo ti trovi adesso?»
«Credo di non essere mai uscita dal luogo in cui era arrivato il nostro gruppo.
Posso solo dirti che dinanzi ai miei occhi vedo, dipinto sulla parete, il ritratto di
una donna velata, con le braccia rivolte verso il cielo in atteggiamento di preghiera».
«Va bene Chiara, credo di avere abbastanza elementi per individuare la tua
posizione, ne parlerò con il resto della squadra... ma, che sta succedendo? Sento
il contatto farsi più debole… Chiara, ti prego, resisti! Ti giuro che ti troverò!»
Siamo tutti con Giulia mentre ci racconta del colloquio avuto con la sorella gemella.
Il tono della sua voce è un intreccio di emozioni differenti: emergono la gioia di
avere ancora una speranza nel ritrovare Chiara, la paura che possa succederle
qualcosa che metta a repentaglio la sua vita, il timore di non arrivare in tempo.
Intuisco che, se Chiara è nelle mani dei Ribelli, è perché ciò che noi possediamo
è ciò che vogliono in cambio di Chiara: la seconda Perottina! Ma questo significa
anche un’altra cosa: che loro hanno l’altra.
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Il ritrovo
I miei pensieri si interrompono udendo la voce di Matteo che esclama compiaciuto: «Non è stato facile ma l’ho trovata! Tua sorella si trova nelle catacombe
di Priscilla! L’immagine di cui ti ha parlato è senza dubbio il cubicolo della velata
che risale al III secolo e prende il nome da un affresco, una lunetta che rappresenta una donna velata in atteggiamento orante al centro di un arcosolio».
Le parole di Matteo riaccendono in tutti noi la speranza di ritrovare Chiara. D’un
tratto mi sento osservata, posso chiaramente percepire l’intensità dello sguardo
ardente di Luca; sono imbarazzata, ho l’esigenza di guardare altrove. Istintivamente sfilo una ciocca di capelli dalla chioma e ne attorciglio l’estremità con la
punta delle dita. Mentre ancora sento la pressione dei suoi occhi su di me, continuo a stropicciarmi le ciocche simulando indifferenza, cercando di reprimere in
me il desiderio di incontrare il suo sguardo, di affondare i miei occhi nei suoi. Per
distogliere l’attenzione e nascondere il mio disagio propongo frettolosamente di
contattare Della Ragione affinché ci faccia tornare a Roma. Diamo un ultimo saluto a Gabriele promettendogli che ritroveremo la seconda Perottina.
Dopo aver comunicato con Giulia, Chiara si lascia lentamente cadere sul gelido
pavimento di quella stretta stanza, piangendo ininterrottamente. I pensieri la tormentano e l’immagine di quei Ribelli si presenta continuamente davanti ai suoi
occhi; non sa cosa fare, è impaurita e confusa e teme di poter rimanere imprigionata lì per sempre. D’improvviso, un uomo entra nella stanza in cui è rinchiusa. La
ragazza sente il respiro stringersi in gola, la sua fronte imperlarsi di sudore e un’ombra annebbiare i suoi pensieri: ha paura.
Ma l’uomo appena entrato le tende la mano ed è solo guardando i suoi occhi
così profondamente azzurri e tristi che il respiro di Chiara si placa.
«Che cosa vuoi da me?» gli domanda con un filo di voce.
«Stai tranquilla, io non sono come gli altri... un tempo anch’io avrei voluto rifugiarmi
come voi sulle stazioni base, ma poi le pressioni e le scelte della maggioranza
dei Ribelli hanno oscurato la mia mente, portandomi ad accettare le decisioni
49
Capitolo settimo
prese da altri. Solo ora mi rendo conto del mio grande errore. Ma questo non è
importante. Ho con me la Perottina. Sono sicuro che ai compagni del tuo gruppo
interesserà».
«Che cosa ti spinge ad aiutarci?»
«Finora sono stato un uomo inutile, incapace di agire... ecco, non voglio più esserlo. Le nostre scelte non hanno portato a niente».
«E come pensi di potermi aiutare?»
«Seguimi».
I due avanzano cautamente verso la libreria quando l’uomo le fa cenno di fermarsi: «Aiutami a spingere, qui dietro c’è la nostra salvezza: l’ “Interpretazione
dei sogni” di S. Freud… è questo il libro che ci serve».
L’uomo lo estrae, e infilando la mano nello spazio vuoto dello scaffale, spinge una
leva, azionando un meccanismo nascosto. Davanti a loro si apre un cunicolo
stretto e buio.
«Forza, entriamo! Appoggiati alle pareti, questo è l’unico modo per poter proseguire, qui dentro è buio pesto.»
Chiara segue il consiglio dell’uomo.
«Aiuto! Qualcosa di viscido ha sfiorato le mie mani!» grida a un certo punto.
«Tranquilla, questo cunicolo è pieno di muschi, ramificazioni e piante che si sono
adattate all’atroce vita di questo pianeta, come la Tillandsia, l’unico vegetale
capace di nascere e di crescere in un luogo chiuso e stretto come questo. Non
ha bisogno di luce».
«Basta, basta! Ho prurito dappertutto! Queste piante emanano un odore nauseabondo e così forte da farmi lacrimare gli occhi!»
«Ascolta, questo è l’unico modo che abbiamo per uscire di qui… non lamentarti
e continua a camminare! I Ribelli non perderanno tempo a cercarci quando si accorgeranno che ho con me la Perottina. Se ci trovano per noi sarà la fine».
Spaventata dalle parole dell’uomo, Chiara smette di lamentarsi e accelera il passo,
nonostante l’odore nauseante che respira le procuri dei continui conati di vomito.
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Il ritrovo
Proprio in quel momento una pallida luce suggerisce ai due che la meta è vicina. «Finalmente!» esulta l’uomo «Ancora qualche metro e siamo fuori di
qui…».
È da tanto che siamo alla ricerca di Chiara, ormai sui nostri volti s’intravedono i
segni della stanchezza e la speranza di ritrovarla sembra cessare quando all’improvviso, nella penombra di questo triste paesaggio, intravedo la presenza di
due sagome che si avvicinano a noi misteriosamente. Non riesco a capire subito
chi siano o cosa siano fin quando, voltandomi a guardare Giulia, mi accorgo
che nei suoi occhi è ritornata una luce che da tempo non vedevo più.
«Chiara... è Chiara!» esclama Giulia con gioia. Subito le corre incontro per abbracciarla senza badare all’uomo che è con lei.
Quando ci accorgiamo che Chiara non è sola ci guardiamo tutti allarmati.
«Chi è l’uomo accanto a te?» chiede Giovanni.
«Ero uno dei Ribelli» risponde l’uomo titubante prendendo la parola.
C’è un momento di gelido silenzio finché l’uomo riprende a parlare: «Dovete sapere che il capo dei Ribelli ed Emilio Della Ragione sono fratelli, o almeno un
tempo si consideravano tali. Da giovani diedero vita ad un progetto che riguardava l’utilizzo di cyborg per lo smaltimento dei rifiuti sulla Terra, ma il progetto non
andò a buon fine. Emilio Della Ragione, infatti, volle stabilirsi sulle stazioni base,
credendo che fosse l’unico modo per sopravvivere ma, ritirandosi, ha assecondato soltanto gli interessi delle eco-mafie. Pentendosi vi ha mandato qui, ma i Ribelli, non accettando il vostro arrivo, si sono opposti».
Restiamo in silenzio tutti, poi Matteo, come se avesse letto nei nostri pensieri,
chiede «E cosa ti fa pensare che ti daremo la nostra fiducia?»
«Ho una cosa per voi, questo vi basta?»
Sbalorditi non riusciamo a credere a ciò che vedono i nostri occhi: l’uomo ha
con sé la seconda Perottina.
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Capitolo settimo
«Ora soltanto ho capito che unendoci possiamo salvare realmente la Terra e vivere in pace, spero non sia troppo tardi: è per questo che ho liberato Chiara e
ho deciso di aiutarvi».
Luca, incredulo, tende la mano all’uomo: «Grazie, a nome di tutti noi».
È finalmente giunto il momento di unire le due Perottine.
«Fratelli, voi che avete affrontato infinite sofferenze e tortuose manovre di agguati e assalti, siete giunti fino a quest’ultima battaglia che ci porterà alla gloria.
Ciò che prima sembrava irraggiungibile a breve sarà nelle nostre mani e ogni singolo spazio della terra cadrà sotto il nostro dominio. Riservo ai più deboli il compito di lamentarsi delle nostre azioni. Ho costituito un’organizzazione con l’intento
di ripulire la Terra e di sconfiggere i nemici traditori; li ridurremo in schiavitù. Mi
sono assunto pesanti responsabilità in questi anni e spero che mi siate riconoscenti di tutto ciò. Siete a conoscenza del mio piano, ed ora più che mai sono
sicuro che nessuno potrà sabotarlo» così sta parlando il capo dei Ribelli ai suoi
uomini chiamati a raccolta, quando all’improvviso uno di loro, cercando di farsi
largo tra la folla, stremato per lo sforzo dovuto alla corsa, grida con quanto fiato
ha in gola: «La ragazza è scappata!»
52
Il ritrovo
CAPITOLO OTTAVO
Il confronto
In seguito alla liberazione di Chiara e all’incontro con il resto della squadra, tentiamo di utilizzare i codici ottenuti dall’unione delle due Perottine per riuscire ad
attivare i sensori dei cyborg.
Davanti a noi, nella sua imponenza, si allunga la via dei Fori Imperiali, gli antichi
e straordinari monumenti della gloria degli imperatori Augusto, Vespasiano, Nerva
e Traiano; secoli fa erano il cuore dell’impero di Roma, ma oggi la loro superficie
è occupata solamente da una discarica a cielo aperto. La colonna di Traiano,
nonostante i suoi 35 m di altezza, è quasi scomparsa in mezzo a decine di metri
cubi di spazzatura, dalla quale proviene un odore nauseabondo. Ora tutto ci
appare come un immenso e uniforme ammasso di rifiuti dal quale emergono solo
alcuni capitelli di travertino, il cui primigenio colore giallognolo e luminoso è divenuto ora un grigio freddo e malinconico nel suo sudiciume. Il mucchio di spazzatura semi-decomposto inizia a tremare senza apparente motivo. Lentamente i
cyborg cominciano ad emergere dalla profondità delle umide e malsane catacombe, azionati dal collegamento delle Perottine.
Vedo che non rispondono ai nostri comandi, avanzando minacciosamente, per
poi disporsi attorno al Colosseo, in una specie di amplissimo ovale, entro cui vi
siamo anche noi.
I cyborg sono alti circa cinque metri, i loro movimenti sono lenti e incisivi. Durante
gli spostamenti gli arti inferiori provocano un fastidioso stridìo metallico, lasciando
delle enormi e profonde impronte nel terreno. Non ci sono più lastre di marmo a
ricoprirlo, esse sono state tolte dai Ribelli per essere usate come barriere alle
entrate dei diversi cunicoli. Il suolo ha così assorbito le piogge acide e tutti i
percolati velenosi che sono stati prodotti dalla fermentazione delle sostanze tossiche e chimiche compattate nelle collinette che ci circondano.
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Il confronto
A quel punto il Ribelle che ha liberato Chiara ci rivela una cosa importante: il loro
capo ha modificato la programmazione originale dei cyborg, non è riuscito del tutto
nel suo intento, ossia quello di renderli docili alla sua autorità, tuttavia sono ormai
praticamente incontrollabili.
Ci guardiamo tra di noi atterriti: persino Giovanni, che fino a questo momento ci
aveva sempre sostenuto e dato sicurezza, sembra demoralizzato.
Quando tutto pare ormai perduto, Chiara è improvvisamente colta da un sussulto:
ci mostra uno strano oggetto, piccolo e blu, formato da una parte di plastica e una
di metallo, che ha preso nel covo dei Ribelli. Ci spiega che lo ha nascosto in tasca,
dopo averlo visto in una piccola nicchia nel muro. Era stato il capo dei Ribelli a sollevare il pannello dietro il quale era nascosto, senza accorgersi che lei era ben
sveglia e lo stava osservando. Ci chiediamo tutti a cosa possa servire: decidiamo
di prendere contatto con il professore Della Ragione nella speranza che ci possa
aiutare.
Intanto un gruppo di Ribelli arriva correndo nella piazza situata tra il Colosseo e i
Fori imperiali proprio nel momento in cui riusciamo a stabilire il contatto attraverso
lo schermo spazio temporale.
«È un dispositivo antichissimo!» esclama il professore vedendolo, «avete trovato un
oggetto importantissimo: si tratta di una chiavetta USB, chiamata anche memoria
esterna, che è rimasta in uso sulla Terra fino al 2021, quando il microchip salva-memoria per computer, inventato dal nipote di Steve Jobs, lo ha del tutto rimpiazzato».
Mentre Della Ragione proferisce queste ultime parole, appare improvvisamente il
gruppo dei Ribelli guidato dal loro capo.
Il loro comandante si avvicina incredulo, vedendo l’ologramma del professore davanti a sé. Della Ragione rompe gli indugi: «Sapevo che prima o poi ci saremmo rincontrati.»
Noi del gruppo decidiamo di lasciarli da soli e ci allontaniamo. A quel punto i due
iniziano a parlare, per la prima volta dopo decenni.
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Capitolo ottavo
Il capo dei Ribelli replica: «Speravo di non vederti mai più, o almeno di trovarti
di fronte al fallimento dei tuoi progetti e al successo dei miei».
«Perché conservi ancora questo profondo rancore nei miei confronti?»
«Non l’hai ancora capito? Dopo così tanto tempo? Fin dalla nostra infanzia sei
sempre stato considerato l’orgoglio della famiglia. Non ti bastava essere il più intelligente e stimato, volevi essere il più noto, conosciuto, famoso e celeberrimo
scienziato del pianeta! Potevamo diventare ricchi e felici insieme, invece… dopo
aver incontrato quella Ines, che ti ha inculcato certe strane idee, sei improvvisamente cambiato».
«Non incolpare lei! È stata una mia decisione, mia soltanto. Tu piuttosto, invece
di unirti a noi per salvare il pianeta, hai preferito diventare schiavo del denaro!
Non ho mai capito una cosa del vostro modo di ragionare: che ve ne fate di tutti
i soldi del mondo se non avete più un mondo in cui vivere?»
«O come ti sbagli caro fratellino! Negli ultimi cinquant’anni tutti, criminali e non,
hanno dovuto seguire un percorso ben preciso nella propria vita. Mettere da
parte tutte le cose inutili… la famiglia e gli affetti in primo luogo, ma anche le debolezze quali la pietà e l’umanità, che in fin dei conti non sono mai servite a
niente di utile, almeno per chi volesse contare qualcosa».
«Anch’io come te ho fatto dei sacrifici, ma tutti al fine di aiutare l’umanità intera.
Le mie ricerche, i miei studi... però tutti noi moriamo, e nel corso della nostra esistenza penso che valga davvero la pena fare del proprio operato qualcosa di
più d’un semplice scopo di lucro».
Mentre i due discorrono animatamente, mi viene tristemente da pensare a mia figlia Gloria. A quest’ora (sono più o meno le 4.20 del mattino), lei starà dormendo
profondamente e tranquillamente nella sua cameretta, con i poster alle pareti
che mostrano alcuni bei paesaggi, di quei tanti che un tempo ricoprivano la superficie del pianeta azzurro. La savana, la steppa, la barriera corallina, la giungla della Malesia… Diventa via via più forte in me il desiderio di riuscire in questa
spedizione, anche a costo della vita, così da poter dare anch’io il mio contributo,
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Il confronto
come ha fatto mia nonna Ines e come sta continuando a fare ora il Professore.
Fino a poco prima mi sentivo sconfitta, priva di forze per andare avanti, ma ora
sono certa che tutti noi, uniti insieme, ce la potremo fare.
In quell’instante un boato interrompe la comunicazione. Luca accorre allarmato
dai due fratelli: «I cyborg sono fuori controllo e stanno danneggiando le fondamenta delle basi spaziali! Mettete da parte il vostro orgoglio! Cosa dobbiamo
fare?»
È il professor Della Ragione a parlare per primo: «Dovete utilizzare la chiavetta,
perché contiene i codici dell’originale programmazione dei cyborg: vi servirete
di loro per costruire delle piattaforme sulle quali potranno essere collocati dei termovalorizzatori. Questi sono degli enormi inceneritori che serviranno a bruciare
l’eccesso dei rifiuti permettendovi di convogliare i gas tossici in depuratori e sfruttare il calore per produrre elettricità…».
La voce di Della Ragione, così chiara, scandita e perentoria, viene rapidamente
e improvvisamente a mancare, non possiamo sentire le sue ultime parole. Un fragore si diffonde ovunque, tutti noi ci gettiamo a terra, dopo aver prontamente
azionato il dispositivo che riempie d’aria ad alta pressione le doppie cavità incorporate nelle nostre tute. Speriamo così di non rimanere schiacciati dalla mole
di frammenti di cemento armato, pietre e calcinacci, provocata delle microbombe scagliate dai cyborg, che ci ricoprono sollevando attorno a noi una
densa e lattiginosa nube di polvere.
L’esplosione mette in fuga i Ribelli nelle catacombe, e anche il loro capo. La comunicazione si è interrotta, attorno a noi non c’è più nessuno e, fortunatamente,
siamo ancora tutti sani e salvi. Il nostro telecomando per lo schermo spazio-temporale è stato però colpito in pieno da una scheggia: non abbiamo più alcun
modo per comunicare con il Professore, dovremo farcela da soli.
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Capitolo ottavo
CAPITOLO NONO
La battaglia finale
Quel che si vede è al dir poco agghiacciante: i cyborg distruggono tutto ciò che
incontrano. Di fronte a loro siamo inermi e paralizzati. Luca mi stringe forte per
proteggermi, e ad un tratto mi chiede di stargli vicino. Sono stupita, gli sorrido e
mi rannicchio vicino a lui nel tentativo di trovare riparo alla furia dei cyborg. Intanto, nel profondo delle catacombe, i ribelli riprendono conoscenza...
Una parte di loro è sopravvissuta e cerca di orientarsi nel luogo tetro e buio
in cui si trova. Il paesaggio è terrificante, ci sono morti e feriti ovunque, una
vera e propria carneficina.
«Ma dov’è finito il capo?» chiede uno dei Ribelli. Lo cerca con lo sguardo, si
rialza a fatica e nel frattempo giunge vicino a lui un Ribelle mandato in esplorazione che, subito dopo aver ripreso conoscenza, aveva fatto una ricognizione del luogo. Riferisce di aver scoperto che quelle sono le catacombe di
San Severo, nel sottosuolo di Roma. Del capo ancora nessuna traccia. I due,
nel frattempo, si prendono cura dei compagni feriti che sistemano in un’area
un po’ più protetta. «È un disastro, siamo rimasti in pochi» dice il Ribelle al suo
compagno, «non abbiamo più nulla, abbiamo perso tutto».
I due insieme ad altri sopravvissuti si attrezzano con delle corde e delle assi
di legno trovate per terra per proteggere i compagni da un altro eventuale
attacco dei cyborg. L’esploratore informa i Ribelli vivi di averli avvistati e insieme preparano un piano di difesa. Legano una delle corde ad una botola
collocata in alto e la riempiono di sassi. Poi costruiscono una piccola palizzata che rompendosi farà scattare la trappola. «Possiamo tendere anche
delle reti colme di pietre ancorandole al soffitto. Facendole cadere, una volta
avvistati i cyborg, possiamo colpirli in pieno. Abbiamo poco tempo, forza, all’opera!»
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La battaglia finale
Tutti si danno da fare, ognuno collabora come può finché una sentinella avvisa
che i cyborg stanno arrivando. «Eccoli! Si avvicinano sempre di più, muoviamoci! Vengono da diverse direzioni, siamo circondati!»
Sotto i colpi dei cyborg la palizzata crolla travolgendo ogni cosa. Le reti, rompendosi, liberano i massi: la trappola funziona. La prima battaglia sembra terminata e vede vincitori i Ribelli, ma altre ondate di cyborg si avvicinano.
Luca e gli altri sono tutti arrivati sul posto grazie al teletrasporto.
Luca esorta il suo gruppo ad entrare in azione: «Ragazzi, dobbiamo aiutare i
Ribelli, sono umani come noi e non meritano di morire!» Siamo tutti d’accordo
con lui e pronti ad agire. Ci dividiamo in due gruppi, uno composto da Marco,
Giulia, Chiara e il Ribelle che l’aveva aiutata a fuggire, l’altro formato da Giovanni, Luca, Matteo e me. Abbiamo un unico obiettivo: quello di condurre a termine la nostra missione. Il gruppo capitanato da Marco irrompe all’interno delle
catacombe e grazie ai rivelatori di tracce organiche riesce a trovare i Ribelli
che si erano rifugiati nella grotta: sono ancora in preda al panico, feriti, incoscienti e incapaci di agire. Marco cerca di spronarli: «Coraggio, dobbiamo
uscire da qui, lasciate da parte ogni rancore verso la nostra gente e seguiteci
senza esitare, vi aiuteremo noi, è in gioco la vostra stessa esistenza, forza
usciamo!»
In quel mentre gli altri membri della spedizione ed io arriviamo in una grotta
adibita a moderno laboratorio informatico. Da qui possiamo visualizzare ed
attivare i contenuti della chiavetta USB che ha il codice di programmazione
dei cyborg. Riusciamo nel nostro intento ma si presenta un nuovo problema: i
cyborg non svolgono, malgrado l’inserimento del codice di attivazione, il compito per cui sono stati programmati. Incapaci di agire con le sole nostre forze,
comunichiamo la posizione agli altri componenti del gruppo, che ben presto ci
raggiungono. Con loro c’è il capo dei Ribelli. Era stato ritrovato dai suoi uomini,
intrappolato tra le macerie, medicato e salvato. Gli altri Ribelli gli avevano
raccontato come, grazie al nostro aiuto, molti di loro erano riusciti a salvarsi.
Capitolo nono
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«Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto!» continua a ripetersi sconvolto. Osservo
la scena e provo una grande compassione per quell’uomo. Ha compreso la gravità del suo errore, e ora dovrà fare i conti con la propria coscienza.
A un tratto una mano mi afferra una spalla. La paura mi assale. Mi giro di scatto
e vedo due occhi inconfondibili: sono quelli di mia nonna, di nonna Ines in persona! Non posso crederci! Sono senza parole! Mi sembra di sognare, ma è proprio
lei. Mentre cerco di capire se è tutto vero o se si tratti di un’allucinazione, sento
la sua voce commossa che mi dice: «Piccola mia, sei ormai diventata una donna.»
Resto ad ascoltarla in silenzio, con le lacrime agli occhi per la gioia, la sua voce
mi riempie il cuore. Lei continua: «Piccola, fa’ molta attenzione a quanto sto per
dirti... congiungi le due perottine in posizione contraria».
Poi, l’immagine di mia nonna si fa meno nitida, fino a scomparire. Capisco di avere
avuto una visione, ho il cuore affranto e pieno di tristezza. Prendo le due perottine e seguo il consiglio di mia nonna Ines. D’un tratto, un intenso fumo giallognolo
e di cattivo odore si espande per tutta l’area della catacombe. Ma che sta succedendo? Una scia luminosa rischiara il soffitto della catacomba permettendoci
di scorgere un ologramma che proietta sul muro le coordinate di una nuova catacomba, quella del cimitero dei Cappuccini a Palermo. Luca ed io pensiamo che
quelle coordinate significhino qualcosa e decidiamo di teletrasportarci laggiù.
Dopo aver inserito i dati ci ritroviamo immediatamente nella catacomba siciliana,
nel sottosuolo della splendida città di Palermo. Avanziamo lentamente con una
torcia, abbiamo paura, vediamo cadaveri dappertutto, non sappiamo cos’altro
può apparire dinnanzi a noi. Nel buio, d’un tratto, vediamo un’accecante luce
verde smeraldo che proviene da un altro cunicolo. Incuriositi, lentamente proseguiamo in direzione della luce e intravediamo nell’oscurità un’ampolla contenente
un liquido fluorescente. Avvicinandoci leggiamo una scritta alla base dell’ampolla: ‘’A Bianca, mia nipote’‘.
«Che cosa sarà mai?» si chiede Luca. Ci guardiamo negli occhi, senza capire.
Senza parlare compiamo gli stessi gesti, non c’è più tempo, programmiamo il te-
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La battaglia finale
letrasporto, prendiamo l’ampolla e la portiamo a Roma. Tutto sembra essere stranamente tranquillo. Gli altri del gruppo ci vengono incontro: «Li avete fermati!
Siete riusciti a fermarli!» ci gridano in coro. Noi non capiamo ma uno sguardo più
attento intorno a noi ci mostra dei cyborg immobili.
«Ma cosa...» io e Luca restiamo attoniti per lo stupore.
«Siete riusciti a disattivarli... unendo in posizione contraria le due perottine avete
resettato il codice di programma-zione» ci spiega il capo dei Ribelli.
«Solo una donna come Ines poteva pensare ad uno stratagemma così semplice
ed efficace allo stesso tempo. Aveva previsto tutto... Io vi ringrazio a nome di
tutta la mia gente e spero che un giorno possiate perdonarmi».
«Potrebbe non essere tanto lontano quel giorno, vero fratello mio?» Riconosco
subito quella voce, è quella del professore! Ma non è solo la sua voce, è proprio
lui in carne ed ossa! Quando mi volto e lo vedo non riesco a trattenere le lacrime
dalla gioia.
«Perché non ti unisci a noi?» propone il professore al fratello. «Insieme potremo
sistemare un po’ di cose, non credi?»
«Dici sul serio? E come potrei mai aiutarti?»
«Tutti i cyborg sono da riprogrammare. Loro potranno darci una mano a ripulire
il pianeta. Ho già pronti i piani per la costruzione di termovalorizzatori di quarta
generazione. Ci vorrà del tempo, ma con l’aiuto di tutti, della mia e della tua
gente, forse un giorno tutto questo sarà soltanto un bruttissimo ricordo».
I due fratelli si stringono la mano. A quel punto Luca mi fa cenno di avvisare il professore di quanto abbiamo trovato. Consegno l’ampolla al professore. Sia lui che
il capo dei Ribelli si illuminano d’improvviso alla vista del fluido fluorescente.
«Non ci posso credere! Alla fine Ines ci ha battuti tutti e due! Ce l’ha fatta da sola!
Incredibile!»
Li osserviamo tutti senza capire. Ci sembra che i due fratelli comunichino tra loro
in una lingua a noi sconosciuta. Ci spiegano che ciò che abbiamo trovato è il
risultato di una formula chimica importante a cui loro, insieme a Ines, avevano
Capitolo nono
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provato a lavorare a lungo senza successo. «Questa sostanza» continua il professore «è in grado di rendere di nuovo fertile la terra. La chiamavamo “il mud”,
ricordi, fratello?»«Certo che me lo ricordo. Vedete…» continua il capo dei Ribelli
rivolgendosi a noi, «non sarebbe servito a nulla ripulire ogni cosa se il terreno
fosse rimasto contaminato per migliaia di anni».
Ma il professore si rabbuia poco dopo: «Freniamo l’entusiasmo, abbiamo il mud
ma non la sua formula».
A quel punto mi ricordo che io una formula chimica l’ho vista da qualche parte.
Ma sì, è fra i progetti contenuti nell’urna d’oro! Controllo sul mio dispositivo di
supporto immagini. «È forse questa che cercate?»
I due fratelli e tutto il gruppo rimangono senza parole.
«Il buon sangue di tua nonna Ines scorre nelle tue vene!» esclama il professore
vedendo la formula.
«Ma questo è l’ingrediente che ci mancava!» gli fa eco il fratello. Questa molecola è prodotta dalle radici della Tillandsia!»
Lasciamo i due fratelli a discutere animatamente di scienze, come facevano un
tempo. Luca mi stringe forte a sé. L’unica cosa che penso è che presto riabbraccerò mia figlia Gloria e che ho fatto tutto questo esclusivamente per lei. Ho portato a termine il lavoro di mia nonna. Sono felice. Quante storie potrò raccontarti
quando sarai più grande, piccola mia! Toccherà a te, ai tuoi figli e forse ai figli
dei tuoi figli riportare questo pianeta allo splendore di un tempo. C’è molto lavoro
da fare, cresci in fretta figlia mia! Con la nostra missione noi tutti abbiamo voluto
restituire a coloro che non sono ancora nati, la speranza di un mondo migliore.
Con la nostra missione, noi tutti abbiano soltanto dato inizio ad una nuova era.
62
La battaglia finale
APPENDICE
1 .Primi preparativi
I.I.S “M. Buniva” di Pinerolo (TO) – classe IIA C.A.T
Dirigente Scolastico
Giovanni Trinchieri
Docente referente della Staffetta
Silvia Cavallotto
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Silvia Cavallotto
Gli studenti/scrittori della classe IIA C.A.T
Simone Airasca, Sandro Baridon, Elisa Bosticco, Gabriele Brunofranco, Stefano
Bunino, Jacopo Ciallella, Federico Cirillo, Andrea Dellacroce, Andrea Depetris,
Stefania Doretto, Martina Garis, Federico Laganà, Federica Lanzano, Andrea
Lazzari, Martina Gabriele, Noriega Jeremy, Paschetto Alessandro, Daniele Rollè,
Fabio Rostan
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Divertente e motivante. Ci siamo trovati anche di pomeriggio, per qualcosa
riguardante la scuola : incredibile! Scrivere può anche essere divertente e con
questo tipo di lavoro ed altri che la nostra prof. ci propone spesso lo abbiamo
davvero sperimentato. Tutti hanno partecipato e dentro il capitolo c’è un pò di
ognuno di noi: chi ha utilizzato la propria conoscenza del genere fantascientifico,
chi il buon lessico, chi le idee sulla trama. Nella formazione dei gruppi ci siamo
scelti in base alle affinità di carattere e non per le capacità scolastiche: è stato
liberatorio. Voto dell’esperienza: 9 ( per il dieci sarebbe dovutà durare di
più…)”.
APPENDICE
2. L’Alfa e l’Omega
I.I.S “Sabatini-Menna“ di Salerno (SA) - classe IIE
Dirigente Scolastico
Ester Andreola
Docente referente della Staffetta
Maria Di Lieto
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Di Lieto
Gli studenti/scrittori della classe IIE
Federica Altamura, Giuseppe Amatruda, Anna Balestrieri, Serafina Cappetta,
Chiara Cerasuolo, Noemi Ciancio, Maria Grazia Coppola, Nicole De Stefano,
Mario Guerra, Pierluigi Iuliano, Adrian Nicolas Ivas, Federica Lumino, Martina Montefusco, Maria Maddalena Pappalardo, Alessandro Pellicano, Margherita Ronca,
Claudio Scafuto, Giovanna Laura Senatore, Paola Sinopoli, Manuel Sparla , Giulia Stanzione, Erika Valenti, Luca Vernieri.
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Una staffetta realmente creativa e formativa con molti colpi di scena e spunti
interessanti. In ogni capitolo sono state fornite tante informazioni su luoghi geografici, episodi storici, scientifici ed economici.
Indubbiamente è questa una attività che ha un grande potere attrattivo perché
nella forza del gruppo stimola ed esalta le potenzialità di ogni singolo allievo”.
APPENDICE
3. O’ Munaciello
ITIS “G.B. Pininfarina” di Moncalieri (TO) – classe IIM
Dirigente Scolastico
Stefano Fava
Docente referente della Staffetta
Luciana Zampolli
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maurizio Piendibene
Classe che ha composto il capitolo: IIM
APPENDICE
4. 9-12-15-17
Liceo Statale “P.E.Imbriani” (linguistico-scientifico tradizonale e scienze applicate- musicale) di Avellino (AV) – classe IID linguistico
Dirigente Scolastico
Luciano Di Rienzo
Docente referente della Staffetta
Angelina D’Amato
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Giulia Marino, Rita Casarella
Gli studenti/scrittori della classe IID linguistico
Alessia Alfano, Elena Argenziano, Paola Argenziano, Alessia Barbati, Luca Carulli,
Maria Grazia Cucciniello, Sara De Feo, Chiara Dell’Aquila, Lucia Dell’Utri, Martina
Donnarumma, Arianna Festa, Licia Gallo, Federica Greco, Carolina Grieco, Giorgia Guarciariello, Lorenza Iandolo, Federica Iannaccone, M.Grazia Lubrano di
Scampamorte, Flavia Marrone, Alessia Mastrogiacomo, Sonia Milone, Alessia
Penna, Francesca Scherillo, Martina Solimene, Valentina Tirri, Rita Urciuli, Gilda
Vaccà
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Appena ci è stato proposto di partecipare alla staffetta abbiamo accettato
con entusiasmo, poichè per noi rappresentava un nuovo modo di lavorare e soprattutto un’occasione di confrontarci con ragazzi di altre scuole. L’argomento,
benchè l’incipit ci ha riportato alla mente il cartone della Disney “Wally”, ci ha
appassionato e ci ha stimolato ad approfondire meglio il tema dell’emergenza
rifiuti che così da vicino ci ha toccato. L’esperienza comunque è stata particolarmente significativa perché ha creato momenti di confronto fra le diverse personalità, e ci ha insegnato a condividere e comprendere i punti di vista dei vari
interlocutori.Il giudizio conclusivo è che queste esperienze sono una ricarica per
confrontarci e rimotivarci” (La seconda Dling).
APPENDICE
5. Perottina 101
Liceo Classico Statale con Liceo Linguistico Internazionale “Carlo Botta” di Ivrea
(TO) – classi IIF/IIG
Dirigente Scolastico
Lucia Mongiano
Docente referente della Staffetta
Teresa Skurzak
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Cristina Zaccanti
Gli studenti/scrittori delle classi
IIF - Roberta Cirsmaru, Daniele De Marco, Alessandro Ierardi, Barbara Leonino, Letizia Misale, Elena Morletto, Mario Moro, Alessia Pavani, Cecilia Racchio, Federico
Sciacero, Desirée Verga
IIG - Federica Agostino, Emma Astori , Elisa Basso , Matilde Boratto, Sara Florio,
Francesca Giordano, Sofia Gobbi, Martina Milazzo, Giacomo Oreglia, Federica
Parziale, Sabrina Pasteris, Asia Peinetti, Arianna Rapelli, Jacopo Sale, Alessia Servedio, Sara Tognelli, Dejaneera Valle, Martina Visentin, Panaiotis Vlahopulos, Valentina Zedde
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Il coinvolgimento di due classi, di 56 allievi complessivamente,per un numero
parziale di essi, ha determinato un impegno diversificato: potenziare l’attività a
gruppi motivando anche chi non era direttamente coinvolto; stabilire contatti per
confronti in fasce orarie curriculari ed extra; confrontare idee, selezionare e redigere una stesura che soddisfacesse tutti gli autori.
La fase di reperimento di informazioni ha promosso imprevedibili conoscenze circa
il nostro territorio che ci hanno incuriosito e responsabilizzato...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
APPENDICE
6. L’egoismo è la rovina dell’umanità
Liceo Scientifico Statale “Morando Morandi” di Finale Emilia (MO) – classi IIX/R/B/Z
Dirigente Scolastico
Anna Maria Silvestris
Docente referente della Staffetta
Luisa De Lucia
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Stella Zoboli
Gli studenti/scrittori delle classi
IIX - Chiara Raimondi, Azzurra Balboni, Elena Vitali
IIR - Borsari Anita, Toselli Annalucia, D’Agostino Anna, Panza Jessica
IIB - Benedetta Sardini, Anna Civolani, Matteo Reggiani, Anna Manfredini, Chiara
Battaglioli
IIZ - Maria Taddia, Valentina Bai, Serena Porcelli, Eleonora Po, Tea Bersani, Lucrezia Farotti
Hanno scritto dell’esperienza:
“…L’esperienza della staffetta di scrittura creativa è stata entusiasmante e motivante perché ha dato spazio alla nostra creatività e perché ci ha fatto sentire
parte di qualcosa di grande, di un progetto nazionale incentrato su una tematica
importantissima e attuale. L’attività ci ha permesso inoltre di utilizzare concretamente conoscenze e abilità messe a punto nel il lavoro in classe, di capire meglio
la struttura del testo, dall’interno, di praticare la scrittura in modo originale… Il
lavoro di gruppo infine è stato utile per confrontarci e conoscere nuovi amici del
liceo”.
APPENDICE
7. Il ritrovo
Liceo “Alfano I” di Salerno (SA) - classe IIA Scienze Umane
Dirigente Scolastico
Antonio Lepre
Docente referente della Staffetta
Mariella Sabino
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Roberta Reggiani
Gli studenti/scrittori della classe IIA Scienze Umane
Giulia Capezzuto, Francesca De Stefano, Francesca Di Muro, Maria Carpinelli, Marzia Della Corte, Marcella Falvo, Rosaria D’Agostino, Anna Di Muro, Antonia Fenza,
Ylenia Fortunato, Romina Noschese, Simona Salese, Morena Giannattasio, Carmen
Jole Palo, AntoniaSalzano, Anastasia Marotta, Anastasia Marotta, Gerardina Pierno,
Roberta Sammartino, Valentina Marrone, Angela Salernitano, Adaiane Somma, Italia
Memoli, Teresa Salerno, Milena Trasatti, Gilda Vicinanza
Hanno scritto dell’esperienza:
“…In un primo momento, sentita la proposta della nostra professoressa, eravamo in
dubbio se seguire o no il corso perché ciò avrebbe implicato la presenza in classe
per un maggior numero di ore e molte di noi, essendo pendolari, sarebbero tornate
a casa a pomeriggio inoltrato; tuttavia la parola “creativa”, (riferita alla scrittura)
suggeriva e prometteva chissà quali scoperte e opportunità sicché ci siamo lasciate
coinvolgere e guidare in questo insolito viaggio…
Gli incontri sono stati sempre positivi e stimolanti e possiamo affermare con certezza
che l’esperienza è stata senz’altro utile perché il doverci occupare di scrittura creativa, in particolare della realizzazione di un capitolo di un racconto a “tante mani”,
ci ha permesso di avere un’insegnante sempre a disposizione, di scrivere spontaneamente, di affinare le tecniche di scrittura e di acquisirne di nuove, di riflettere sulle
scelte operate dalle altre classi, di confrontarci con i propri compagni, di conoscere
nuovi autori...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
APPENDICE
8. Il confronto
Istituto Liceale “Canossa” di Reggio Emilia (RE) – classe II I Scienze Umane
Dirigente Scolastico
Lorella Bonicelli
Docente referente della Staffetta
Mariarita Schiatti
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Assunta Melli
Gli studenti/scrittori della classe II I Scienze Umane
Alessia Alboretti, Anna Boccia, Alexia Carpineta, Patrizia Catania, Sara Colazzo,
Gennaro Simona Di, Sara Fontanili, Greta Gagliano, Elena Guanti, Davide Grisendi, Susanna Gherardini, Sara Polimeno, Federica Prampolini, Sara Prato, Jasintha Ravichandran, Francesca Romani, Eleonora Rossi, Chiara Rubagotti, Anita
Tresca, Alessandra Trullu, Debora Terenziani, Federica Seligardi, Iana Zamaneagra, Antonella Zizza
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Esperienza certamente interessante e coinvolgente, la storia è stata apprezzata e la classe ha lavorato con impegno. Tuttavia il lavoro è stato impegnativo,
per cui ho dovuto sospendere l’attività didattica per un’intera settimana e ciò ha
rallentato la programmazione. Per un’eventuale prossima esperienza è necessario
saperlo tra settembre/ottobre (periodo in cui a scuola si stende e si consegna
la programmazione) per poter pianificare il piano di lavoro”.
APPENDICE
9. La battaglia finale
Liceo Scientifico Statale ‘’E. Fermi’‘ di Cosenza – classe I I
Dirigente Scolastico
Michelina Bilotta
Docente referente della Staffetta
Carmela Perri
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Carmela Perri
Gli studenti/scrittori della classe I I
Mattia Abbruzzino, Alessio Aquino, Vittorio Bafaro, Pietro Francesco Bitonte, Adele
Cameriere, Cristina Caruso, Camillo Cosenza, Marika Cosenza, Christian Ippolito De
Marco, Antonella Fedele, Gilberto Fialà, Giovanni Maria Fortino, Fabrizio Gallo,
Rosaria Adriana Gaudio, Antonio Greco, Gloria Greco, Francesco Parlato, Mariangela Santoro, Silvia Tommasi, Anna Zaccaro, Saad Zaiz
Hanno scritto dell’esperienza:
“…All’inizio ci siamo sentiti un pò smarriti, eravamo catapultati in una storia il cui
genere non è propriamente quello delle nostre letture preferite. Abbiamo letto tutti
i capitoli e compresa la storia ci siamo avviati a comporre il capitolo finale senza
ancora avere il penultimo. Lo scopo era quello di familiarizzare con il genere, di immaginare l’evoluzione dei personaggi e di immaginare una fine. Ci siamo divisi nell’ultima settimana, condividendo una struttura guida e abbiamo creato tre gruppi
che si occupavano di: parte iniziale, centrale e finale della storia. In questa organizzazione abbiamo scoperto che si poteva scrivere a più mani e che l’idea di immaginare un finale, che è una responsabilità importante, ci faceva sentire artefici
della storia. Ci ha sostenuti anche la telefonata fatta all’autrice dell’incipit che ci
ha soddisfatto alcune curiosità. Ce l’abbiamo fatta, ora la storia di tutti è anche la
nostra, siamo soddisfatti e speriamo che piaccia a chi lo leggerà”.
NOTE
NOTE
NOTE
NOTE
INDICE
Incipit di CRISTINA ZAGARIA ........................................................................pag
14
Cap. 1 Primi preparativi ........................................................................................»
18
Cap. 2 L’Alfa e l’Omega ........................................................................................»
22
Cap. 3 O’ Munaciello..............................................................................................»
28
Cap. 4 9-12-15-17 ................................................................................................»
34
Cap. 5 Perottina 101..............................................................................................»
38
Cap. 6 L’egoismo è la rovina dell’umanità ....................................................»
44
Cap. 7 Il ritrovo ........................................................................................................»
48
Cap. 8 Il confronto ..................................................................................................»
54
Cap. 9 La battaglia finale....................................................................................»
58
Appendici ..................................................................................................................»
64
Finito di stampare nel mese di aprile 2013
dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA)
ISBN 978-8897890-72-0