quali sono i driver ed i meccanismi di replicabilità in

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quali sono i driver ed i meccanismi di replicabilità in
Laboratorio Metropolitano per la conoscenza pubblica su innovazione e inclusione - Comune
di Milano
Iniziativa MilanoIn “Innovare per Includere”.
Research question: “Quando, in che modo e dove l’innovazione produce inclusione?”
Ambito di intervento: Innovazioni emergenti
TITOLO DEL PAPER
“Comunicazione Inclusiva a Milano: quali sono i driver e i meccanismi di replicabilità in ambito
urbano?”
Dott.ssa Lucia Dal Negro
De-LAB founder
www.delab.it
“I Pubblici poteri sono fatti per agire”.
Meny, Thoenig – Politique Publique – (1989)
L’esclusione sociale è una piaga che da lungo tempo colpisce minoranze e gruppi vulnerabili.
Come affermato da Silver (1994), l’esclusione sociale penalizza l’autostima e la sicurezza personale,
generando un diffuso senso d’inadeguatezza che mina la fiducia relazionale e la partecipazione
sociale. Diversamente dalla povertà, concetto riferito a dinamiche redistributive, l’esclusione
sociale indica un tipo di deprivazione relazionale, che isola i soggetti fino a considerarli esclusi da
una comunità di appartenenza originariamente identitaria. Storicamente l’esclusione sociale ha
danneggiato minoranze etniche, target di genere, immigrati e disabili, per quanto ciascuna di queste
categorie abbia sperimentato gli effetti discriminatori in tempi e modalità diverse.
Guardando nello specifico degli interventi volti a integrare persone svantaggiate, ed in particolare i
diversamente abili, le politiche pubbliche si sono spesso concentrate sui diritti-base, ossia sui diritti
di prima generazione, tra cui la salute (e.g accesso a farmaci convenzionati o trattamenti specifici);
la mobilità (e.g riduzione delle barriere architettoniche); il lavoro (e.g promozione di inserimenti
lavorativi ed incentivi per l’assunzione di persone vulnerabili). Meno è stato fatto, e dunque scritto,
circa la garanzia di un’equa partecipazione di persone svantaggiate all’interno dei processi di
progettazione e design delle strategie di comunicazione, soprattutto digitale, sia pubbliche che
private. In altre parole, la considerazione ed il coinvolgimento del disabile (ma genericamente del
soggetto svantaggiato) come attore partecipe della creazione e recezione di flussi di informazione
non è stata approfondita tra le modalità di creazione di policies sociali, soprattutto a livello urbano.
Questo tipo di marginalizzazione, che nel lungo periodo genera esclusione sociale poichè estranea
dalla comunità dei riceventi intere categorie di destinatari per via di limitazioni sensoriali, o
generiche condizioni di svantaggio economico-sociale, merita particolare attenzione considerando
l’accresciuto numero di informazioni e dati (anche di interesse pubblico) che circolano su canali di
comunicazione di cui i cittadini partecipano (se possono, cioè se vengono coinvolti) al rilancio,
tramite condivisione spontanea.
Molti soggetti vulnerabili, infatti, non hanno accesso ad informazioni di pubblico interesse perchè
non riescono a recepirle. Si pensi, per esempio, alle persone sorde che non riescono a fruire dei
messaggi veicolati dai mass media, o dal web, se non durante le poche edizioni dei telegiornali
tradotte in Lingua Italiana dei Segni. In quest’ultimo caso, poi, si rifletta sul modo in cui (non)
vengono visualizzati in video i soggetti svantaggiati: lo schermo è occupato da un primo attore
normodotato, che occupa la maggior parte dello spazio, e da un’interprete di Lingua Italiana dei
Segni (LIS) che viene visualizzato in uno spazio più piccolo e decentrato dello schermo, in una
distribuzione degli spazi che è anche gerarchia culturale e sociale.
Oltre ai media tradizionali, tra i diversi canali che veicolano informazioni di interesse pubblico e
privato, il web rappresenta certamente uno degli strumenti più potenti (Johnson e Frankel, 2012). Al
suo interno l’uso dei video tutorial (cioè l’impiego di video esplicativi per informare dell’uso di
determinati servizi/prodotti) è forse il mezzo più efficace per diffondere messaggi indirizzati ad un
pubblico vasto di potenziali utenti, essi stessi snodi dell’informazione grazie alla condivisione
spontanea sui Social Network1.
L’architettura condivisa e la rapida diffusione web delle informazioni visual permette, inoltre, una
continua innovazione delle forme comunicative: codici, linguaggi e significanti vengono creati e
rinnovati in un processo di aggiornamento costante. Ciò rende il campo della comunicazione atto a
1
Fonte: Rebecca Corliss, http://blog.hubspot.com/blog/tabid/6307/bid/33800/Photos-on-FacebookGenerate-53-More-Likes-Than-the-Average-Post-NEW-DATA.aspx
2
sperimentazioni i cui impatti si riflettono su un pubblico ampio per quanto non sempre, come detto
finora, completamente rappresentativo.
Rationale
Comprendere i processi di innovazione inclusiva all’interno del mondo della comunicazione, sia
pubblica che privata, risulta di particolare interesse per le istituzioni che attuano policies sociali in
ambito urbano per tre motivi fondamentali:
1. la replicabilità dei progetti di comunicazione innovativi è alta, giacché il funzionamento stesso
del processo comunicativo prevede la pubblicizzazione e la condivisione dei messaggi. Tale aspetto
risulta particolarmente utile per le amministrazioni pubbliche che intendono coinvolgere la
cittadinanza attraverso policies adattabili a diversi contesti (istituzionali, culturali, di servizio al
cittadino, ecc.) moltiplicandone “viralmente” gli impatti sociali aggreganti ed informativi.
2. la comunicazione socialmente orientata è un processo che interessa trasversalmente attori urbani
pubblici e privati. Da un lato l’attore istituzionale è chiamato a realizzare progetti di integrazione
sociale per motivi costitutivi e di mandato pubblico. Nondimeno, il rapporto tra comunicazione e
politica si fa strumentale se inquadrato nell’ottica del recupero dei consensi tramite campagne di
comunicazione (Bentivegna, 2002), o di diffusione di “nuove forme di discorso mediato
elettronicamente” (Poster, 1997:209). Dall’altro lato, l’interesse del settore privato per un tipo di
comunicazione responsabile (cioè eticamente orientata) è funzionale al rafforzamento della
reputazione sociale del brand. Da un punto di vista di mercato, infatti, l’importanza per le imprese
di poter creare una storia attorno al proprio brand passa anche per uno sforzo narrativo che richiami
l’attenzione di tutti gli utenti web, andando a creare e stimolare una community di follower che
finiranno per essere essi stessi parte della storia narrata, contribuendovi con idee e riscontri.
Risultato di questo processo di dialogo bi-direzionale tra aziende e destinatari della comunicazione
è quella “fusione” che sta alla base del marketing relazionale, che “premierà l’impresa recettiva e
consapevole, in grado di cogliere e interpretare i mutamenti sociali, in cui le strategie di marketing
(e di comunicazione n.d.a) non sono all’insegna dell’aggressione e della conquista del mercato ma
della condivisione, intesa come capacità di creare partecipazione e legame” (Gnasso e Iabichino,
2014:53).
Entrambi i soggetti, pubblico e privato, sono dunque chiamati ad attivare, sperimentare, innovare,
patrocinare e diffondere processi di comunicazione i cui impatti sociali positivi favoriscano
l’inclusione sociale. In questo svolgersi di iniziative promosse da attori diversi, ma con finalità
comuni, entrambi gli iniziatori possono avvantaggiarsi scambiandosi informazioni sui metodi più
efficienti ed i codici di comunicazione più efficaci, fino a costituire delle vere partnership pubblicoprivato focalizzate sul comune approccio inclusivo alla disseminazione di informazioni utili
(Krishna, 2003; Koppenjan, 2005; Austin JE, 2007).
3. la comunicazione inclusiva permette, infine, di sperimentare in contesti urbani i principi
dell’innovazione nelle forme di governance open-source e grass-root, tra cui i processi di crowdsourcing periferia-centro. Questi ultimi, data la loro natura decentralizzata e tendenzialmente
informale, aprono nuovi scenari di inclusione proprio perché aperti al contributo di tutti,
massimizzando il valore dell’accessibilità dell’informazione e dei meccanismi di decision-making.
A riguardo, per non confondere questi processi di partecipazione attiva con eventi spontanei di
contributo diffuso, è importante rintracciare quei meccanismi di controllo partecipato come la
fiducia condivisa, i rituali di senso morale e i controlli peer-to-peer che sostituiscono gli incentivi o
le sanzioni economiche come regolatori dei processi partecipati (Lattemann e Stieglitz, 2005).
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Alla luce di ciò, è importante approfondire quanto sopra evidenziato declinandolo in ambito urbano
per:
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abilitare il protagonismo di persone con disabilità in veste di attori e registi di una
comunicazione pubblico-privato innovativa e socialmente orientata;
coinvolgere soggetti privati e pubblici nella riflessione sul ruolo del linguaggio e della
comunicazione urbana;
riflettere sul tessuto economico-istituzionale da intendersi come laboratorio urbano di
comunicazione;
attivare meccanismi virtuosi di cross-fertilization tra attori urbani diversi.
In questo scenario, porre l’accento sulla città di Milano, intesa come orizzonte urbano di
sperimentazione di tali iniziative, permette di capire se, e fino a che punto, essa possa aspirare a
diventare un vero laboratorio a cielo aperto per attori pubblici o privati interessati a sperimentare
esperienze di comunicazione inclusiva.
Analisi
Al fine di capire la praticabilità delle iniziative di comunicazione inclusiva sopra delineate, tre
esempi verranno illustrati in virtù del loro valore aggiunto innovativo espresso nella metodologia di
realizzazione del servizio di comunicazione proposto (primo esempio), nel processo di dialogo
garantito tra pubblico e privato in contesto urbano (secondo esempio) ed infine, nell’output ottenuto
grazie a strategie di comunicazione e policy-making partecipate (terzo esempio).
Il primo caso è il progetto Voilà®, testato per la prima volta in Italia nell’ottobre 2014 a Milano2. Il
progetto parte dalla constatazione che persone affette da disabilità uditiva sono marginalizzate dal
processo di creazione e produzione di tutorial online. Per ovviare a questa carenza nel panorama dei
servizi di comunicazione etica e socialmente orientata, è stato ideato e registrato un nuovo format
video in cui persone sorde assieme a persone udenti spiegano un prodotto/servizio usando
contemporaneamente la Lingua Italiana dei Segni (LIS) e l’italiano orale. Tale processo, portato
avanti senza l’utilizzo di sottotitoli né di interpreti-traduttori, permette ad entrambe le comunità
(normodotata e sorda) di visualizzare e percepire il messaggio trasmesso unendo così due tipi di
utenti web separati a causa delle loro diversità sensoriali. Tali video, innovativi nel processo di
allineamento simultaneo delle due lingue risultano poi condivisibili e replicabili viralmente
attraverso tutti i canali web, come un qualsiasi prodotto di visual marketing con impatti di
Corporate Social Responsibility. Il portato innovativo, in questo caso, è proprio nel percorso di
design del prodotto, capace quest’ultimo di veicolare un messaggio di origine pubblica o privata
rivolto a tutto il pubblico (potremmo dire “tutti i cittadini”) che popola spazi virtuali e non.
Il secondo caso è quello della rassegna “Wave Innovation: come l’intelligenza collettiva sta
cambiando il mondo”, promossa da BNL/BNP-PARIBAS nel mese di giugno 2015. Durante
l’evento, svoltosi a Milano, diversi attori (sia pubblici, che privati) hanno patrocinato gli eventi in
programma promuovendoli, partecipando, facilitandone la realizzazione e condividendo risorse e
spazi. Questa forma di “blended governance” ha interessato soprattutto la comunicazione degli
eventi, resa accessibile e partecipata anche grazie alla disseminazione di un programma di iniziative
diffuso, con proposte localizzate in varie zone della città di Milano. L’aspetto rilevante di questa
manifestazione è quindi stato l’allineamento di un processo di promozione e condivisione dei valori
presentati da parte di attori urbani diversi, che hanno disseminato informazioni e proposto contenuti
2
Fonte: www.voila.delab.it
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rielaborandoli, cioè “appropriandosi” di un messaggio culturale autenticamente collettivo perché
inclusivo ed aperto a tutti. Dal punto di vista della comunicazione, in questo caso si profila un
diverso metodo di promozione dell’ evento culturale, dove non è più la quantità di simpatizzanti
(misurabile con metriche di marketing) bensì la qualità degli apporti esterni che, appropriandosi
liberamente del concept della manifestazione, vi contribuiscono in maniera estremamente originale
nelle forme e nei contenuti.
Il terzo caso, anch’esso riscontrato nell’area urbana di Milano, è l’iniziativa “Expo-dopo-Expo”
promossa da Corriere della Sera e operata da Oxway con l’obiettivo di raccogliere idee su come
gestire gli spazi espositivi dopo la fine dell’ esposizione universale3. Anche qui, come per il caso
sopra citato, la partecipazione è stata diffusa4 ma, a differenza che per “Wave Innovation”, non è
stata il risultato di un’impostazione progettuale bensì l’impostazione progettuale stessa. Infatti al
fine di individuare e selezionare idee sul futuro dell’area che ha ospitato Expo2015, gli
organizzatori hanno promosso una challenge online per raccogliere suggerimenti su come
riutilizzare gli spazi abbandonati del dopo esposizione. Il meccanismo presentazione, condivisione e
interazione tra le idee e i relativi proponenti ha coinvolto anche (e soprattutto) non addetti ai lavori,
cioè persone non abituate a speculare sulla seconda vita di spazi urbani di uso pubblico, perché
generalmente considerati da istituzioni e progettisti dei meri utenti finali5.
In questo senso, meccanismi di crowd-sourcing rivolti alla massimizzazione dell’intelligenza
collettiva hanno favorito la diffusione e la partecipazione della cittadinanza urbana, aumentando
l’accessibilità e migliorando l’aderenza dell’iniziativa al più reale sentimento cittadino.
Applicazioni e rilevanza
Quanto sopra riportato, evidenzia una serie di elementi importanti per la facilitazione e la
ridefinizione in chiave innovativa delle politiche urbane, queste ultime applicabili a tematiche di
studio e sviluppo sociale quali:
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Welfare aziendale
Corporate citizenship
Partnership Pubblico-Privato
La prima area di appartenenza concettuale dei progetti di comunicazione inclusiva fa riferimento al
welfare aziendale, da intendersi come una serie di iniziative volte a migliorare il benessere dei
dipendenti attraverso azioni di supporto alla persona o ai familiari. Occorre infatti ricordare che la
comunicazione inclusiva è di per sé un percorso partecipato di progettazione. In questo senso,
quindi, la collaborazione dei dipendenti per la realizzazione di uno script condiviso e co-creato con
soggetti svantaggiati genera un tipo di impatti sociali positivi interni. In questo caso è, infatti, il
milieux lavorativo a trarre beneficio dalla condivisione tra tutti i colleghi, superando le gerarchie
interne, di un obiettivo comune che li avvicini ai bisogni di persone svantaggiate e che li porti a
dialogare tra loro e assieme ad inediti co-partner progettuali. Semplicemente, quelli che vengono
definiti come gli impatti benefici del lavorare in squadra sono amplificati dall’avvenire assieme a
persone che solitamente si auto-escludono (Blanton et al., 2000). Infine, lo stesso approccio di
comunicazione inclusiva che sopra è stato accostato al mondo del welfare aziendale, può applicarsi
3
Fonte: Corriere della Sera, 8 ottobre 2015.
Più di 1500 sono stati i commenti alle proposte durante la fase di discussione, mentre le
interazioni complessive (incluso le valutazioni incrociate tra gli utenti) sono arrivate a 22.900.
Fonte: Corriere della Sera, 26 ottobre, 2015.
5
Secondo dati Oxway, il 25,4% dei partecipanti era formato da impiegati, mentre solo il 7,4% da
architetti/designer e il 6,1% da imprenditori.
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a quello del settore pubblico giacché esiste la medesima necessità di aggregare i dipendenti
coinvolgendoli in attività ad impatto sociale come la creazione di un progetto di comunicazione
inclusiva;
La seconda area di affiliazione culturale dei progetti di comunicazione inclusiva è quella della
corporate citenzship. Essa fa riferimento alle attività e ai processi organizzativi adottati dalle
imprese per rispondere agli obblighi sociali (Maignon et al., 1999). In questo caso il valore aggiunto
risiede nell’offrire all’azienda l’opportunità di poter finalmente comporre quell’”ethical divide” che
da sempre penalizza le aziende private che adottano metodi o temi socialmente orientati (Valor,
2005). Pertanto, la comunicazione inclusiva permetterebbe di avvicinare le aziende alle istanze
sociali di inclusione offrendo un metodo di coinvolgimento diretto, capace di generare un risultato
concreto da utilizzarsi per accrescere la propria brand reputation. In questo scenario, le istituzioni
pubbliche urbane possono sicuramente fungere da garanti dei processi di integrazione comunitaria,
oltre che riscoprire un terreno comune di dialogo con il mondo aziendale più illuminato;
Infine, la terza area di appartenenza teorica dei progetti di comunicazione inclusiva è quella delle
partnership pubblico-privato (PPPs). Esse sono definite come un processo di coinvolgimento
intersettoriale di attori pubblici e privati per portare a termine in maniera cooperativa obiettivi di
policies su temi trasversali a interessi diversi come la sostenibilità ambientale, la povertà,
l’accessibilità economica dei servizi pubblici, l’immigrazione (Brinkerhoff & Brinkerhoff, 2011). In
questo quadro teorico, progetti di comunicazione inclusiva non fanno altro che replicare le stesse
dinamiche di interazione tipiche delle PPPs proiettandole a livello di output, cioè generando un
servizio innovativo frutto di un metodo di innovazione sociale partecipata. In sostanza, quindi, la
comunicazione inclusiva rappresenta uno dei frutti del dialogo incrociato tra attori diversi
all’interno delle PPPs, con l’aggiunta del valore sociale dovuto all’essere essa stessa portatrice di
co-creazione.
Driver e replicabilità
Volendo astrarre delle condizioni necessarie per la comparsa di un ecosistema urbano di
comunicazione inclusiva, ha senso domandarsi quali elementi siano irrinunciabili (anche in vista di
una replicazione delle esperienze in contesti urbani differenti) organizzandoli all’interno di tre
direttrici:
1) Governance partecipata
Come esposto finora, l’assetto trasversale dei processi di decision-making è fondamentale. Esso non
solo consente di raggiungere e coinvolgere soggetti marginalizzati ma anche di condividere metodi
progettuali testandoli all’interno di users ed enablers non omogenei, rendendo il processo di design
dell’iniziativa più efficace e coerente con le finalità di integrazione sociale.
2) Meccanismi di co-creation
Logiche e metodi partecipativi sono strutturali all’esperienza di comunicazione inclusiva dacché
permettono di manifestare il potenziale aggregativo ed innovativo che deriva dal contatto e dal
confronto tra in-group e out-group (Brown, 1997). Codici linguistici, ipotesi progettuali, assunzioni
d’intento e prassi operative sono alcuni degli aspetti che risultano trasformati e rinnovati all’interno
di processi di design inclusivo della comunicazione (USAID, 2013). In conseguenza, policies
urbane pensate e sviluppate per accrescere il loro valore innovativo tramite interazioni tra soggetti
diversi avranno impatti più trasformativi all’interno della comunità urbana.
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3) Diversità dei soggetti coinvolti:
Al fine di massimizzare il potenziale di innovazione presente in un ecosistema urbano di
comunicazione inclusiva è basilare riuscire a coinvolgere attivamente soggetti diversi, tendendo a
rivolgere i processi di design del servizio dal centro al margine. Solo la condivisione progettuale
con i cosiddetti “fringe stakeholder”, infatti, permette di innescare le logiche sopra citate.
Conclusioni, prospettive e replicabilità
Scopo dell’indagine qui riportata era di analizzare se, e fino a che punto, abbia senso immaginare la
città di Milano come un centro di sperimentazione nazionale della comunicazione inclusiva nelle
sue diverse forme. Senza dubbio si può affermare che Milano lo potrà diventare nella misura in cui
riuscirà, attraverso le sue istituzioni pubbliche, a farsi portavoce, iniziatore e garante di processi di
dialogo aperti ai soggetti svantaggiati.
La prospettiva di condivisione dal basso delle policies e delle strategie di comunicazione pubblica
offre dunque alle istituzioni l’opportunità di innovare i canali d’informazione verso i cittadini tutti
(i), la possibilità di restare coerenti ad una funzione “di servizio” (ii) e, infine, l’occasione di
dialogare in maniera partecipata con altri attori dell’ecosistema urbano attivi su simili iniziative (iii).
Senz’altro, alla base di ogni spinta verso nuove modalità di policy-making e di contaminazione tra
domini differenti dev’esserci la volontà di credere nella missione inclusiva delle istituzioni,
quest’ultima a vantaggio della coesione sociale della comunità urbana. A riguardo, la lettera aperta
scritta dal presidente dell’Unione Europea Ciechi ai ministri europei responsabili dei temi digitali
per rivendicare più inclusione per disabili e anziani nella direttiva UE sulla web accessibility,6
dimostra una volta di più l’urgenza del tema e motiva un ulteriore coinvolgimento da parte delle
amministrazioni pubbliche, oggi, come sempre, fulcro di innovazione sociale se e solo se
pienamente consapevoli della responsabilità del loro potenziale.
Riferimenti Bibliografici
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Testo ufficiale della lettera EBA:
http://cms.horus.be/files/99909/MediaArchive/OpenLetterWebDirective_Final.pdf
7
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