Giovani: metafora e profezia

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Giovani: metafora e profezia
Giovani: metafora e profezia
José Luis Moral
1. Sentire con i giovani
 Riflessi
 Sfida
2. Come sono i giovani
 Nuovo modo di essere e vivere
 Approfondire la differenza
 Identità, «logiche vitali» e ambienti
3. Volti di giovani: metafora e profezia
 Più vittime che colpevoli
 Dalla metafora alla profezia
1. Sentire con i giovani
Anche se diciamo molte cose su di loro, anche se si moltiplicano gli studi, anche se sentiamo vivamente il bisogno di conoscerli, non è per niente facile parlare dei giovani. Non è facile, in un primo luogo, perché la maggioranza di noi non siamo giovani e pretendiamo di poter dire qualcosa di coloro che sicuramente preferirebbero parlare per se stessi, anche se – per tanti
motivi – non sono abituati a farlo. È difficile arrivare a convincersi che molte
cose che il giovane pensa o fa non saranno capite da chi non è più tanto
giovane se non dopo un lungo processo di simpatia e compassione; processo
che, (proprio a causa della sua difficoltà) purtroppo non raramente si ferma
a metà strada, in «forme più o meno nascoste di paternalismo o di commiserazione.
RIFLESSI
Per questo motivo, e senza rendercene conto, usiamo i giovani come
terreno gratuito per le nostre proiezioni e giustificazioni di adulti: a loro, infatti,
possiamo imputare molti eccessi ed attribuire la mancanza di senso che osserviamo in tanti campi della vita. Inoltre, nessuno ritiene ormai che si possa
parlare di gioventù come se si trattasse di una realtà naturale definita e omogenea. Ogni giorno si fa più palpabile l’inutilità della categoria sociologica
della gioventù: non esiste la gioventù, bensì i giovani – se c’è una cosa che li
caratterizza «in genere» è la diversità e la pluralità – e il voler trovare a tutti i
costi un comune denominatore non di rado ci fa sconfinare nella caricatura.
E poi si sa: cominciamo con una caricatura e finiamo con la certezza di trovarci davanti ad un ritratto. Oltre a ciò, «essere giovani oggi» è una realtà
sempre più relativa, uno «stato» ogni volta meno legato alla biologia e più dipendente dalla cultura e dalla società.
Comunque, il dibattito attorno ai giovani ha sempre costituito uno dei
temi usati dalla società per riflettere su se stessa. In tale senso, gioventù e società costituiscono un binomio in disaccordo. È questa la ragione per cui, sulla base di risposte standardizzate, quando non di banali stereotipi («roba da
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giovani che guarisce con l’età!»), quasi sempre ci si appella a un apparente
o reale divorzio per spiegare o perfino giustificare la visione sociale dei ragazzi. Emblematiche, a questo riguardo, le parole di Sallustio pronunciate circa
due millenni fa: “I giovani d’oggi non sono come quelli di una volta, che erano rispettosi verso gli antenati e gli anziani, generosi ed onesti; invece i giovani contemporanei sono invasi dalla dissolutezza, hanno un animo molle e debole, cadono facilmente negli inganni…, vivono in concubinato, sono imbroglioni e sciuponi”.
Infine, pur essendo frequentemente preda delle ideologie più diverse, i
giovani costituiscono, senza dubbio, un riflesso fedele – ben eloquente! – del
cambiamento sperimentato dall’essere umano negli ultimi cento anni. Agli albori del ventesimo secolo si assisteva all’inaugurazione di una sorta di «metafisica della gioventù» che idealizzava la sua identità fino a convertirla in paradigma di futuro e novità – «La gioventù è al centro dove nasce il nuovo»,
esclamava W. Benjamin nel 1914 –. Un secolo dopo, questa specie di metafisica suona come una sarcastica menzogna.
Qui risiede il punto primo che, senza volerlo, può sfuggirci: non è vero
che tutto dipende dal colore delle lenti…, ma che «tutto è secondo il dolore
con cui si guarda» (M. Benedetti), il capire la realtà è, quindi, una questione
di cuore. Se, più che fare chiacchiere, ci impegnassimo a parlare con i giovani o ci pre-occupassimo di sentire con loro, forse scopriremmo come le nuove
generazioni sono le più soggette ai capricci della modernità. Se fossimo compassionevoli (patire cum), non ci azzarderemmo a definire i giovani immagine
e prefigurazione del futuro, perché sono più che altro un fedele riflesso degli
spropositi della nostra società e anticipano il volto delle vittime di quel domani che abbozziamo oggi.
Logico che le persone più deboli – ragazzi, adolescenti e giovani – siano indifesi davanti alle ingiustizie e alle astuzie manipolatrici del sistema stabilito. Solo una «ragione compassionevole» o un intellectus misericordiae (J. Sobrino) ci insegnerà ad amare il volto vero e concreto di ciascuno di loro.
SFIDA
In ogni caso, esiste un secondo punto non meno importante. L’umanità
cammina verso configurazioni sociali, economiche, politiche e religiose così
radicalmente nuove da spazzare via tutti gli schemi di cui ci siamo serviti fino
ad ora per comprendere la vita. Che lo vogliamo o meno, in questo modo si
sta forgiando culturalmente una nuova maniera umana di essere e vivere nel
mondo. E non è possibile tornare indietro (sono tanti gli anni d’incubazione!).
Ebbene, se ci pensiamo, disponiamo già di un’anticipazione di quello che
sarà il «nuovo individuo» che sta nascendo: il volto e la vita dei giovani ne
sono l’immagine anticipata.
In tale prospettiva, viviamo un «momento di transizione» da un ordine
ormai fatiscente ad un nuovo ordine di cui conosciamo solo la superficie perché non ne riusciamo a vedere il fondo. E la quasi impossibilità di scoprire ed
affermare il senso del tutto come unità dell’uomo e del mondo, spiega l’insicurezza e perfino l’angoscia del nostro tempo.
Noi adulti facciamo fronte all’esodo che comporterebbe questa situazione con grandi dosi di simulazione, qualche pizzico d’ipocrisia e sforzi dispe2
rati per nascondere l’incertezza. All’opposto, i giovani si lanciano senza calcoli né freni alla ricerca del senso per quest’uomo nuovo – che costituisce ormai la loro ossatura –, soffrendo come nessuno i dolori che porta con sé una
trasformazione così imprevedibile.
È questa la ragione della loro profonda delusione davanti alla storia e
dello scetticismo di fronte a qualunque ideologia o proposta razionale che
pretenda di spiegare tutto; ed è sempre per questo motivo che preferiscono
le miscele di desiderio e seduzione, di molto sentimento e un po’ meno di ragione. Ugualmente, è il disincanto che li spinge ad optare per un amalgama
di individualismo e gregarismo nel gruppo di pari; di rivendicazione del diritto
alla differenza e di assimilazione mimetica alle regole del consumo; di politeismo morale e religioso.
Due conclusioni iniziatiche per la pastorale giovanile. La prima: da
qualsiasi parte si guardi, i giovani non sono un problema ma un test e un’opportunità. Propriamente parlando, dunque, non esistono problemi o questioni
giovanili, bensì problemi sociali di cui i giovani sono lo specchio e il catalizzatore. Per questo motivo la sfida più urgente per noi risiede nell’affrontare i problemi della società e della religione che i giovani, provocatoriamente, ci mettono davanti. Per la Chiesa cattolica, quindi, e concretamente per noi, assieme a rappresentare le risorse che, per eccellenza, confermano o negano il
futuro, le nuove generazioni costituiscono un’ottima opportunità per ripensare l’esperienza cristiana.
La seconda conclusione: di fronte alle pretese di senso (salvatore?) della nostra mercificata e consumistica società, il cristianesimo è quel che è.
Non possiamo edulcorarlo né diluirlo con piccoli compromessi, con la scusa di
facilitare una prima digestione. Annunciare la fede ai giovani non è questione di corteggiamento o mero proselitismo, tanto meno è un modo per sollevarli dalla responsabilità delle scelte che fanno. Si tratta – come sempre – di
comunicare una buona novella che, se vuole risultare credibile e significativa, in grado di superare tutte le interferenze e di sintonizzarsi con lo stato di
coscienza delle donne e degli uomini – dei giovani – di oggi, non può più essere trasmessa con schemi o linguaggi premoderni, ma deve imparare a parlare la loro lingua, cioè assumere la loro carne e il loro sangue.
2. Come sono i giovani
Non è possibile capire come sono è cosa capita ai ragazzi senza guardare il contesto. In due parole: assistiamo più che a un’epoca di cambiamenti ad un cambiamento d’epoca: l’ umanità cammina verso configurazioni sociali, economiche, politiche e religiose di una novità così radicale come
per spezzare tutti gli schemi che fino adesso ci servivamo per comprendere la
vita. Cioè, stanno per finire le immagini del mondo che ci assicuravano la conoscenza e l’azione, mentre si ricostruiscono la razionalità e il senso (come in
buona misura abbiamo già visto nel tema precedente).
NUOVO MODO DI ESSERE E DI VIVERE…
Tanto lo «stato di coscienza» dell’uomo odierno come il «paradigma
esplicativo moderno» hanno consacrato in maniera irreversibile, da un lato,
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l’autonomia e la libertà come fondamenti dell’identità umana; dall’altro, la
secolarità come ambito dove sviluppare la propria vita. In questa prospettiva,
viviamo un «momento di transizione» tra un ordine crepato e un nuovo ordine
di cui sconosciamo parecchi delle sue facciate. Questo spiega la insicurezza
e perfino l’angoscia: non risulta mica facile riconoscere ed affermare il «senso
del tutto» come unità dell’essere umano e del mondo. Insomma, il pluralismo,
la democratizzazione, la complessità, il cambio nell’immagine del mondo e
dell’uomo, la secolarizzazione e la laicizzazione, l’atto di conoscere come
atto d’interpretare…, ci tengono tutti un po’ confusi e non ci permettono di
camminare se non tramite accordi, faticosamente acquisiti. Questa intemperie può far si che cadiamo nella tentazione di inventarci rifuggi fasulli e dimenticare – come ci ricorda W. Kasher – che «l’attuale mondo senza Dio, in buona parte, è conseguenza di aver predicato un Dio senza riferimento al mondo». Così siamo arrivati ad un problema che W. Pannenberg giustamente formula in questi termini: non sappiamo ormai se l’uomo moderno può essere
ancora cristiano senza soffrire una rottura dualista della sua coscienza, e se
un cristiano può tuttora essere un uomo moderno senza perdere la sua identità. J. Moltmann lo dice con altre parole: “l’esistenza di teologie, chiese ed
uomini si trovano più che mai davanti ad una doppia crisi: rilevanza ed identità. Quanto più i cristiani cercano di incidere nei problemi attuali, tanto più
profondamente si addentrano nella crisi di identità; e quanto più affermano
l’identità cristiana tramite i dogmi, dottrina, riti ed ideali morali tradizionali,
tanto più scoprono la loro irrilevanza e mancanza di credibilità”.
In questo contesto, vogliamolo o meno, si sta forgiando un «nuovo individuo», una nuova maniera umana di essere nel mondo o un «nuovo
uomo»… e disponiamo di una anticipazione: il volto dei giovani costituisce
una vera e propria figura dell’ uomo di domani. Possiamo esemplificare questa specie di parto tramite l’immagine della bussola (uomo antico) e il radar
(uomo nuovo): l’uomo-bussola di ieri orienta la sua vita seguendo un nord fisso, il medesimo sempre e più o meno uguale per tutti, un nord che esiste per
se stesso ed indica la meta suprema del cammino umano; invece, l’uomo-radar si guida attraverso uno schermo personale dal cui centro parte un raggio
luminoso e vibrante che gira e agisce con delle risposte sempre nuove e
cambianti d’ accordo con quanto trova di fronte… In questo senso, i giovani
– uomini-radar – ci indicano la necessità di guidarci più in funzione di informazioni vive ed istantanee che attenendoci a delle «norme obiettive e fisse»;
loro non ammettono di essere guidati da un qualcosa di esteriore a se stessi:
tutto deve emanare della persona, si impone il radar anzi che la bussola.
Gli adulti, davanti al nuovo individuo che sta nascendo, affrontiamo
l’esodo che comporta con grandi dosi di dissimulazione, qualche pizzico d’ipocrisia ed intenti disperati per nascondere l’incertezza; all’opposto, i giovani
si lanciano sfacciatamente e sfrenatamente (chiamando le cose con il loro
nome) nella ricerca di senso per quest’ uomo nuovo, sentendo che il suo
scheletro è conformato già con tale pasta nuova e soffrendo come nessuno i
dolori del parto, di una trasformazione così imprevedibile.
APPROFONDIRE LA DISTINZIONE…
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Nella distinzione, quindi, i giovani ci indicano la necessità di farci guidare più da informazioni vive ed istantanee che dalle «norme obiettive e fisse» di
un nord impassibile. In modi diversissimi e contrapposti, oltre a ritenere che in
questo mondo non ci sia nulla di eterno e universale, ci dicono anche che
non sono disposti a farsi guidare da un qualcosa di esterno a loro stessi. Tutto
deve emanare dalla persona ed è proprio per questo che il radar s’impone rispetto alla bussola.
IDENTITÀ, «LOGICHE VITALI» E AMBIENTI
Purtroppo stiamo configurando un mondo dove ci assomigliamo ogni
volta di più gli uni agli altri, gli adulti ai giovani e viceversa, ecc.: la civiltà contemporanea –creata per gli adulti, mica per i ragazzi ai quali non resta che
subirla – è un grande domatore in questo nostro circo –sarcasticamente chiamato «liberale»– e, pian piano, ci fa passare per il cerchio o anello degli stessi
desideri, pensieri uguali… (Qui ha una rilevanza fondamentale la comunicazione e l’informazione).
Comunque, l’economia liberale-capitalista di mercato, la globalizzazione, l’informazione (praticamente inabbordabile), ecc., spingono nella stessa
direzione. Tutto giova a gonfiare l’importanza del denaro e del potere, mentre si riduce il valore dell’ idee e i vincoli personali: una atmosfera che debilita
i punti di riferimento per crescere umanamente, ammollisce l’identità e le relazioni ed esalta fino all’apoteosi i desideri.
Per tutto questo, si parla oggi dei giovani come della «generazione più
integrata di tutta la storia». In grande misura, è vero; tuttavia, essendo uguali
agli adulti, bisogna aggiungere che sono più vittime che colpevoli. Nulla è
così drammatico come scoprire che sono altri ad immaginare la vita dei ragazzi, che la nostra società inabilita la loro capacita di sognare, ingabbiandoli nel carcere di un presente senza futuro.
I tratti caratteristici del volto dei giovani attuali (parliamo dei giovani
occidentali e in una maniera molto generica) si possono riassumere in questo
modo:
 Giovani felici, istallati «nella quotidianità» (autonomia troncata, allungamento della gioventù e della vita in famiglia…).
 Identità: non più guidata da modelli ed ideali, bensì costruita per «sperimentazione» (identità aperta, importanza del suo tempo – ozio e tempo
libero – degli amici).
 Logiche vitali: «doppio vincolo» (obbedienti lungo la settimana, trasgressori
il weekend) ed «accettazione-implicazione distaccata» (conoscono e riconoscono i valori, però non sono disposti a fare l’esercizio di volontà per
raggiungerli…).
 Centri vitali: famiglia, amici, notte, divertimento e consumo.
Le nuove generazioni hanno la particolarità di costruire l’identità personale non più come noi – abituati ad imitare e seguire modelli, acquisire valori
ecc. –. La cosiddetta identità debole del nostro tempo, riguardo ai ragazzi, si
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crea all’interno di molteplici processi di sperimentazione, dove ognuno ammette e cerca di fare quello che gli piace, dove si trova a suo agio.
Inoltre, i sociologi affermano che i ragazzi agiscono seguendo due logiche.
Quella del «doppio vincolo», in altre parole: ammettono che lungo la
settimana devono sottomettersi alle regole della società adulta; tuttavia esiste il loro tempo, il fine settimana, il tempo per trasgredire; ossia, si raddoppiano gli spazi, i tempi, i modi di comportarsi: ci sono spazi, tempi e temi che gestiscono gli adulti, ed altri che sono veramente i loro spazi, i loro tempi, i loro
temi…
L’altra logica che guida la sua vita si può nominare come «accettazione o implicazione distaccata»: i giovani d’oggi sanno distinguere, scoprono e
conoscono tanti valori, tanti obiettivi e fini che potrebbero guidare la loro esistenza, persino (sempre a modo loro) ci tengono a questi valori come la solidarietà, l’ecologia, la pace ecc, però non accettano che si debba faticare
tanto per arrivare ad essi. Non vogliono sborsare sforzo, impegno sostenuto,
ovvero non accettano la strada dell’educazione della volontà. Tutto sommato, i ragazzi vivono soddisfatti e, in sostanza, sono flessibili, docili, amano la
compagnia, ascoltano gli educatori che hanno vicini, telefonano ai genitori
se sono lontani, raccolgono anche le spinte verso la trascendenza nella loro
versione più poetica, più ecologica, più rasserenante. Però…, adattano tutto
alle esigenze individuali.
Infine ed in genere, il giovane è ben integrato con l’adulto e fa di tutto
per non disturbarlo. I rapporti figli-genitori sono buoni, anche se gli studi di sociologia qualitativa lasciano intravedere che forse si tratta soltanto di un «lasciar fare», senza appena esistere dialogo e confronto tra di loro.
3. Volti di giovani: metafora e profezia
Ma… sarebbe sbagliare tutto se ci fermassimo a queste caratteristiche
o non andassimo aldilà delle consuete immagini «piatte» o superficiali e topiche… (giovani presentisti, edonisti, amorali, a-religiosi, ecc.).
PIÙ VITTIME CHE COLPEVOLI
Emerge, ancora una volta, quella variabile che ridimensiona il valore
delle affermazioni precedenti: i giovani appaiono più vittime che colpevoli.
Lo manifesta palesemente il profondo disinganno che provano in tante situazioni della vita. Il peggio è che neppure sanno come denunciarle. Per questo
motivo, il rimprovero più grande che i giovani fanno alla nostra civiltà risiede
nello stesso disinteresse che mostrano per essa. Non cercano nemmeno di
accusare o attaccare: semplicemente ignorano le sue istituzioni, le sue voci. E
partono per la loro strada, senza preoccuparsi più di tanto dei percorsi da seguire.
Sarebbe questa la metafora nella quale si concentrano tutti i loro messaggi: la gioventù, a modo suo, ci sta dicendo che, «così come siete, voi
adulti non ci interessate» (e… non hanno torto perché, veramente non lasciamo loro in eredità un mondo con tanto senso…). Le generazioni giovani, con
tutto il loro scetticismo, pluralismo e adattabilità, percepiscono le istituzioni
della società adulta e i suoi quadri etici di riferimento come impalcature che
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reggono facciate senza quasi niente dietro, come strutture e principi in cui la
stessa società crede poco e che pratica ancora meno. Secondo una grande
maggioranza di giovani, nelle istituzioni sociali, politiche e religiose la buccia
predomina sulla sostanza. Sotto questa luce di inautenticità, leggono anche
le «autorità» – grazie al discredito che si sono guadagnato – e tante relazioni
umane stimate dai giovani stessi cariche di pregiudizi morali, carenti di significato e di attualità.
Tali variazioni metaforiche sono attraversate dal desiderio di convivenza e di rapporti nuovi – sperimentati in gruppi che li riportano ad emozioni primarie… – e condite di indifferenza verso una normativa sociale che considerano cinica. Oltre a ciò, insieme alla pratica della libertà – reale o fittizia –, alla
loro affannosa ricerca di novità, alla variabilità nell’ esteriorizzare gli affetti,
possiamo trovare nei giovani una certa capacità di protesta che però difficilmente si trasforma in ribellione aperta, quanto piuttosto in diffidenza nel riguardo dei discorsi socio-politici e culturali magistrali.
Anche se non possiamo comprendere fino in fondo questa loro metafora, come ho detto, comunque le nuove generazioni anticipano molteplici
aspetti di quel modo di essere e vivere, di quel «nuovo individuo» frutto delle
profonde e rapide mutazioni del mondo contemporaneo.
DALLA METAFORA…
Quel nuovo modo di essere che loro ormai sentono… converte i giovani in una vera metafora del cambiamento storico in corso: bisogna leggerla
fino in fondo per riuscire a capire la sua vita, i sui bisogni, le sue sfide… E la denuncia maggiore che i giovani fanno alla nostra civiltà consiste appunto nel
loro disinteresse di fronte ad essa; neppure si fermano ad accusare, non vogliono neppure attaccare, semplicemente ignorano le istituzioni, le voci della
società, ecc.
… ALLA PROFEZIA
I giovani vivono in un crocevia dove risuonano in maniera particolare i
problemi fondamenti delle persone e della società e, con i loro gesti, parole e
azioni, denunciano il presente e annunciano il sogno o la «piccola utopia» di
una società diversa, più comunitaria e umanizzante, più giusta e fraterna.
Esprimono quindi, anche se balbettando, il desiderio di una società alternativa, un’aspirazione verso altre cose e modi di vita. Inventano segni e liturgie laiche che cercano di conferire nome e significato a quanto si trova
nel profondo di sensibilità che ancora non hanno scoperto espressioni sociali
– ed ecclesiali – concrete. Il loro modo di vivere, quello che sperimentano, intuiscono e sognano… va oltre la semplice metafora per trasfigurarsi nella «forza profetica» che sta dietro il senso.
Tre sono le direzioni di questa profezia, per piccola che sia, incarnata
dalle nuove generazioni: 1/ Domanda di accoglienza, che coincide con la ricerca di padri e maestri; 2/ Denuncia dell’esclusione; 3/ Desiderio di sentirsi
necessari.
 Richiesta di accoglienza: forse la generazione che ha – oppure ha avuto
tutto –, però… (mancanza di «padri», clima affettivo, modelli-maestri, «au7
torità»…).
 Denuncia dell’esclusione: condannati a rimanere «in eterno» davanti allo
«sportello della vita». Cosa fare?: «giocare con la vita», divertirsi… (rischio:
«angoscia»…).
 Desiderio di «sentirsi necessari»: paura davanti alla solitudine, bisogno di
sentire che qualcuno «conta» su di loro… (rischio: movimento egoistico di
sopravvivenza…).
PROFEZIA 1: DOMANDA DI ACCOGLIENZA
Profezia è, in primo luogo, la loro domanda di affetto.
Paradossalmente, una delle note con cui solitamente si caratterizzano i
giovani di oggi si riassume nella diffusa affermazione che sono i «ragazzi dell’abbondanza», che hanno o hanno avuto tutto.
Non possiamo negare che questa sia cresciuta come la generazione
più protetta. Tuttavia, forse gli abbiamo dato tutto… tranne l’unico di cui avevano più bisogno. Abbiamo riempito la loro vita di cose e l’abbiamo svuotata
di affetto, di compagnia, di modelli per imparare a vivere.
L’attuale concetto di benessere conduce frequentemente a dare ai
giovani quello che mancò agli adulti, senza renderci conto di quello che veramente necessitano. Non penso che siano da considerare straordinariamente fortunati perché hanno a disposizione tante cose, quando proprio questa
«generosità» ha condotto gli adulti a liberarsi dalla preoccupazione di accoglierli e dalla responsabilità di accompagnarli con autorità.
Sono protetti sì, a costo però di rimanere ostaggi, prigionieri delle stesse
cose che diamo loro e addirittura insoddisfatti perché, nonostante l’abbondanza dei beni materiali, molti dei loro desideri – persino i più semplici – si rivelano irraggiungibili. Giovani protetti sì, ma poveri fino all’estremo perché non
sanno nemmeno spiegare quello che veramente desiderano. Non possiamo
stupirci quindi se, nonostante la loro intelligenza, non riescano a prolungare la
soddisfazione dei desideri per portarli a diventare progetti.
L’espressione «eclissi della famiglia», utilizzata da numerose ricerche rivela efficacemente la mancanza di calore e di luce di cui hanno bisogno i
ragazzi per crescere. Solo una famiglia ricca di un accogliente «clima affettivo» assicura infatti quella imprescindibile prima educazione che passa attraverso l’esempio e si appoggia su gesti di tenerezza ed imitazione.
Oltre alla difficoltà insita in questo compito, e a molti altri dati, influisce
negativamente sulla famiglia la grave crisi di autorità che si registra al suo interno. Mi riferisco, ovviamente, al senso di autorità significato dalla stessa etimologia della parola, e cioè all’autorità quale «aiuto per crescere» affidato ai
genitori. Ma c’è ancora di più. La mancanza di padri, per molti e diversi motivi, è accompagnata dalla carenza di maestri. E tutto questo in una società
che, come la nostra, è senza modelli o, se lo si vuol dire con altre parole, è
strapiena di modelli di cartapesta.
Viviamo, insomma, una particolare penuria di padri e maestri, una crisi
di compagni e guide, unita a ciò che alcuni chiamano la «plasticità dei desideri»: la giovane generazione odierna soffre, forse come nessuna di quelle
che l’hanno preceduta, il deficit di un volere che non arriva a forgiare solida8
mente. E tutto ciò senza rendersi conto, per un altro lato, di quanto il nostro
mondo sia vuoto di utopie, povero di progetti in grado di cambiare le ingiuste
relazioni che presiedono la vita degli esseri umani.
Molte delle forme in cui i giovani affrontano l’esistenza, relativamente a
questo aspetto e con l’ambiguità che li caratterizza, svelano l’umile profezia
che si concretizza nella richiesta di accoglienza e nella ricerca di compagni,
di padri e maestri.
PROFEZIA 2: DENUNCIA DELL’ESCLUSIONE
Una profezia che provoca e ferisce ancora di più è, in secondo luogo,
la denuncia, da parte dei giovani, dell’esclusione sociale che subiscono.
Il nostro è un «tempo di moratoria» per i giovani e anche un tempo di
profondi cambiamenti. Sia l’attesa – oggi sempre più lunga –, della scoperta
di cosa si vuole fare nella vita, che le trasformazioni in corso, obbligano i giovani a ricostruire un’identità che, a differenza di una volta in cui tutto sembrava più orientato e determinato, non si modula più sulla preparazione per la
vita adulta (impiego, matrimonio…).
La complessità e le nuove prospettive di organizzazione della vita sociale ostacolano gravemente l’identificazione personale. Nella maggioranza
dei casi, i giovani possono aspirare solo ad un’identità debole e frammentata, esposta a frequenti cambiamenti. L’unico rimedio che rimane è quindi
prolungare la permanenza nella casa paterna e (per chi può) il tempo degli
studi. Va da sé che queste dilatazioni (di tempo) e dilazioni (di scadenze),
piano piano assumono per i giovani più il carattere di un’installazione nella
precarietà che un motivo di preoccupazione e responsabilità.
La ridefinizione dell’identità giovanile si tesse col filo della ridistribuzione
di funzioni e risorse che si producono nella società. I cambi strutturali che si
succedono al suo interno sono la ragione più profonda delle trasformazione
dei valori, dei modi di vivere e di comportarsi propri della popolazione giovanile.
Le forme di vita della gente giovane hanno subito modifiche molto drastiche, che riguardano in primo luogo le occupazioni, le relazioni, le possibilità
e i bisogni, con i conseguenti «aggiustamenti valoriali» – strettamente correlati
al ritardato sviluppo di una personalità autonoma – di cui non ne conosciamo
ancora la vera profondità.
Infine, l’attesa che devono sopportare nella nostra società, fa sì che i
giovani prendano la vita con la filosofia più conveniente. D’altronde, cosa
fare quando ci si trova fermi davanti allo «sportello della vita», perennemente
in «lista d’attesa», sapendo che non arriverà il proprio turno se non dopo molto e molto tempo? La risposta dei ragazzi non lascia spazio al dubbio: «Poiché
la nostra vita non conta quasi niente, neanche noi la prendiamo sul serio; meglio giocare e divertirsi». Il divertimento o addirittura lo scherzare con la vita
non sarebbero quindi altro che risposte spontanee per alleggerire quella noiosa fila capace di amareggiare l’esistenza a qualunque persona. In simili circostanze, fosse solo per scappare, finiscono per considerare la vita come un
semplice spettacolo – almeno fino a quando non trovano una porta aperta
per accoglierli –. Ovviamente, quando vale così poco ed è sempre in ballo,
la vita può perdersi in qualsiasi scommessa, anche la più banale. Ed è sempre
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più frequente, oltre al ricorso a gesti estremi causati dalle sconfitte della vita,
la presenza di ragazzi che soffrono una particolare depressione: non provano
emozioni, si sentono vuoti, sono profondamente frustrati.
PROFEZIA 3: «SENTIRSI NECESSARI»
Queste situazioni racchiudono la denuncia dell’«esclusione sociale» alla
quale i giovani si vedono condannati. Ma non si ferma qui la loro profezia.
Contiene una terza variazione: il desiderio di sentirsi necessari.
Genitori ed insegnanti conoscono bene alcune reazioni del tutto impreviste da parte dei bambini: «Com’e possibile che quel bimbo esemplare –
mai si era comportato così – ha rotto il vetro, o la porcellana… Poi, ho capito
che voleva soltanto attirare la mia attenzione, dirmi che era lì mentre io quel
giorno neppure lo guardavo». Un qualcosa di simile a quanto è capitato a
questa maestra con l’allievo prediletto, accade con molte azioni compiute
dai giovani. Incendiano cassonetti oppure imbrattano i muri o le pareti della
metropolitana anzitutto per affermare: «Vedete, forse non vi rendete conto,
ma in questa città, in questo quartiere… ci siamo anche noi. Guardate, con
questo almeno ve ne accorgerete!».
I giovani tentano di attirare l’attenzione in tutti i modi. Dipingono o bruciano i cestini non solo o non tanto per dipingerli o bruciarli, quanto per scrivere con un certo carattere indelebile quel messaggio che non hanno il coraggio di dirci in faccia. Sotto la zona morta dei parametri della loro visione
del mondo o di una facile ricerca di autorealizzazione – più o meno narcisista,
edonista e carente di senso morale –, nel profondo della zona viva palpita il
bisogno di sentirsi necessari, di trovare qualche senso al loro esserci.
Non è solo una denuncia, quindi, è anche un annuncio, la comunicazione di un desiderio, della necessità di un senso non tanto filosofico quanto
concreto: «voglio essere necessario per qualcuno che ha bisogno di me»; vogliono sentire che si conta su di loro, attraverso la solidarietà, l’amicizia o l’amore. Tre modalità appunto con cui i giovani esprimono il loro bisogno di…
servire a qualcosa, di sentirsi necessari, di… consegnarsi nelle mani di qualcosa di bello, di qualcuno soprattutto.
È vero che, questo lato della profezia giovanile appare anche segnato
da una certa ambiguità. Nel giovane, tutto comincia con la necessità: molto
spesso è generoso più per se stesso che per l’altro; è generoso, passi l’espressione, per sentirsi generoso. Inoltre, nei ragazzi nessun sentimento sembra sufficientemente stabile da non destare il sospetto che costituisca più una strategia con cui vincere la paura quotidiana che una vera opzione con la quale
costruire il loro progetto vitale. Ma è proprio qui che sta la profezia.
Avvertenza conclusiva: spesso dimentichiamo che il sentimento di paura è costantemente presente nella vita dei giovani. L’angoscia fondamentale
procede dalla solitudine (e non tanto dal vuoto che cercano di riempire con
la festa, la TV, il compact-disc, il telefonino e il computer) che paradossalmente costruiscono essi stessi nell’intento di sedare ed occultare il sentimento di
noia che non riescono a scrollarsi di dosso.
Se fosse possibile esprimerlo in poche parole, quale sarebbe il messaggio essenziale che racchiude la multiforme maniera di agire dei giovani? Credo si possa riassumere paragonandolo alle due facce di una stessa moneta
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che porta scritto, da una parte: «Ho bisogno di sentire che qualcuno conta su
di me»; e dall’altra: «Ho così tanta paura della solitudine che farei di tutto…
per allontanare lo spettro dell’angoscia che mi gira attorno»…, che mi sta addosso.
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