Giuseppe Di Bartolomeo, Storia di Partinico, 1805

Transcript

Giuseppe Di Bartolomeo, Storia di Partinico, 1805
Giuseppe Maria Di Bartolomeo
Storia di Partinico
Manoscritto inedito del 1805
Trascrizione e commenti di
Giuseppe SCHIRÒ
Gioacchino NANIA
REGIONE SICILIANA
Assessorato Beni Culturali Ambientali e Pubblica Istruzione
Copertina:
Stampa:
© 2007:
Carta dell’Ufficio Topografico del Regno di Napoli del 1851
Reperibilità: Archivio Istituto Geografico Militare - Firenze
Tipografia Puccio di Fiorello Paolo & C.
Arcipretura di Partinico
prof. Giuseppe Schirò:
ing. Gioacchino Nania:
[email protected]
[email protected]
Finito di stampare nel mese di marzo del 2007
2
Giuseppe Maria Di Bartolomeo
Storia di Partinico
Manoscritto inedito del 1805
Trascrizione e commenti di
Giuseppe SCHIRÒ
Gioacchino NANIA
REGIONE SICILIANA
Assessorato Beni Culturali Ambientali e Pubblica Istruzione
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4
Presentazione
Vedere pubblicato il manoscritto del notaio Giuseppe Maria Di
Bartolomeo sulla “Storia di Partinico”, è una delle soddisfazioni più
grandi della mia vita e assume maggiore importanza perché avviene mentre svolgo il mio servizio pastorale come ArcipreteParroco nella Chiesa Madre del mio paese.
Sono grato all’Assessorato Regionale dei BB.CC.AA e alla Pubblica Istruzione per avere contribuito alla pubblicazione di tale importante iniziativa.
La mia gratitudine va anche ai due studiosi che hanno profuso
tanto impegno per la realizzazione di questa preziosa opera: il
prof. Giuseppe Schirò e l’ing. Gioacchino Nania che hanno trascritto l’intero manoscritto corredandolo con annotazioni e curandone
anche l’aspetto tipografico.
Il mio ricordo va al rev.mo can. Salvatore Modica, della Diocesi
di Caltanissetta, il quale mi ha consegnato il manoscritto che, a
sua volta aveva ricevuto dal sac. prof. Francesco Gibellina, partinicese, docente al Liceo Classico di Caltanissetta.
La ragione più profonda della mia soddisfazione deriva dal fatto
che con questa pubblicazione del notaio Di Bartolomeo, nato e
vissuto a Partinico, viene a mettersi in luce la storia della nostra
città, dei suoi monumenti e, soprattutto, delle sue radici cristiane.
Sono sicuro che questa pubblicazione, oltre a far conoscere
aspetti poco noti della vita della nostra città, sarà utilissima alle
nuove generazioni per proiettarsi in un avvenire migliore.
Partinico marzo 2007
mons. Giuseppe Geraci
Arciprete di Partinico
5
Introduzione
Sono diversi gli scrittori di storia di Partinico che nelle loro opere
si riferiscono agli studi, sullo stesso oggetto, fatti dal notar D. Giuseppe Maria di Bartolomeo. Possono citarsi il Marchese di Villabianca (1802), Marino (1850), Gibellina (1910), Lo Grasso (1935).
Scrive Giuseppe Casarrubea nel suo Uomini e terra di Partinico –
Vittorietti Editore – Palermo (1981) nella nota a pag. 10: figlio di
Domenico, uno dei più grandi gabelloti del tempo, e di Crescenzia
Oddo, sua terza moglie, il Di Bartolomeo è uno di quegli sconosciuti letterati del Settecento che meriterebbero di essere portati
alla luce se non altro perché il Settecento siciliano è ancora oggi
poco conosciuto.
Il Villabianca ce ne dà un quadro sommario: da giovinetto questi
dotato dalla natura del bel genio di coltivare le muse e la leggiadria
della comica teatrale, ne ha professato egli in tutti i tempi della sua
età gloriosamente le belle arti. Ne vagano quindi le di lui composizioni e parti graziosamente lavorate su tal talento per le mani dei
letterati e quasi tutte esse quantunque inedite sono state portate in
scena con sommo applauso e stimate degne della luce dei torchii.
Una delle sue opere è la commedia dei Golosi Scherniti stampata a Palermo per i tipi di Pietro Bentivegna nel 1779. Ai torchi furono dati anche parecchi suoi sonetti in lode di alcuni scrittori di opere scientifiche.
Ma il Di Bartolomeo fu soprattutto autore di commedie e tragedie che si àn fatto nome ne' teatri e montano più volte in scena
portando il carattere per lo più buffo.
Nessuno, malgrado estenuanti ricerche in archivi e biblioteche
nel corso del tempo, è mai riuscito a venire in possesso del prezioso documento – pronto per essere dato alle stampe e consegnato alla storia nel 1805 – per il semplice motivo che il manoscritto originale non si trovava neppure in provincia di Palermo e, solo
recentemente, è stato reperito da mons. Giuseppe Geraci, Arciprete di Partinico.
Il notaio Don Giuseppe Maria di Bartolomeo nacque in Partinico
il 19 marzo 1753 da Domenico, anch'esso notaio, e da una popolana, Crescenza Oddo. Il padre era nato nel 1695 a Regalmuto,
mentre il nonno, Niccolò era originario di Corleone.
Contemporaneo e in rapporti con l'illustre Marchese di Villabianca l'autore riporta una cartolina estratta dagli opuscoli sulle qualità
del padre Domenico: Notar D. Domenico di Bartolomeo, pel latino
eloquio, per la buona disposizione, ed esattezza legale, che contengono li libri di questo notaio, si può dire di essere le migliori di
tutti quanti che ne corrono de' difonti notai di Partinico. Si anno
questi attivati per libri mastri, esenti di ogni ammenda. La famiglia
di Bartolomeo fiorì nobilissima nella città di Palermo. Il primo che
6
di lei leggiamo è Lembo di Bartolomeo, giurista, che fu Giudice
della Gran Corte del re Pietro II nel 1340 scrive l'autore.
L’opera è costituita dall’aggregazione di nove quinterni legati insieme in modo piuttosto precario e formanti un unico volume, privo
di copertina, della quale però si conservano tre legacci di cuoio
nella zona centrale.
Lo stato di conservazione è piuttosto buono. Vi è solo una leggera macchia di umidità nell’angolo inferiore sinistro, che si estende per tutto il volume, che ha provocato un leggero degrado dello
scritto. L’inchiostro di colore bruno è ben conservato, le carte hanno la dimensione di cm. 25 x 35 e provengono dalla stessa cartiera, la Fagiani, e, quasi tutte presentano evidenti impronte dell’uso
manuale nella zona destra. Le prime tre carte non contengono
numerazione. La quarta inizia col numero 1 e la numerazione, recto e verso, prosegue sino al n. 228. Dopo questo numero è evidente la mancanza di un quinterno e la numerazione riprende col n.
241 e prosegue sino all’ultima carta col n. 250. La prima carta di
frontespizio, contiene il titolo, con la dedica, la data ed una frase
del Metastasio.
Si è in presenza di un’opera di eccezionale valore storico e culturale, che restituisce a Partinico la sua memoria e la sua identità
nel modo più completo. L’autore si distingue anzitutto per la sincera ed onesta probità intellettuale, per la rigorosa precisione delle
informazioni fornite, perché cita scrupolosamente le fonti che, nella
maggior parte, sono costituite da atti notarili, dei quali era un perfetto conoscitore ed un attento e meticoloso ricercatore.
E’ quanto mai interessante la trattazione della vita della città e
dell’evoluzione delle sue strutture amministrative, la descrizione
precisa del territorio, della sua estensione, dei suoi prodotti, delle
memorie, delle usanze, delle tradizioni, della storia dei monumenti,
la trascrizione delle lapidi e delle iscrizioni ivi poste, molte delle
quali sono ormai perdute, come pure sono assai interessanti le
numerose informazioni biografiche sulle personalità più illustri e
benemerite di questa città.
Tutte queste qualità lo rendono nettamente diverso e superiore
rispetto a tutti gli altri autori che, in passato, si sono occupati della
storia di Partinico, come il Marchese di Villabianca, coetaneo ed
amico del Di Bartolomeo, autore di una “Storia della Sala di Partinico”. Il Villabianca però non era originario di Partinico e la sua opera, se pur ricca di pregi, ha una carattere piuttosto descrittivo e
distante, mentre nell’opera del Di Bartolomeo si avverte l’amore
dell’autore per la sua città e per la sua storia.
Questa pubblicazione contiene il testo integralmente trascritto,
nel rispetto dei moderni criteri di trascrizione, corredato da un indice onomastico e toponomastico. Le annotazioni al testo, oltre ad
7
esplicitare la terminologia usata, fanno riferimento alle più recenti
ricerche nei settori specifici, sia storici che toponomastici.
Partinico dicembre 2006
Giuseppe Schirò
Gioacchino Nania
8
Indice generale
Presentazione ................................................................................5
Introduzione ..................................................................................6
Indice ............................................................................................13
Parte prima ..................................................................................16
Capitolo I .......................................................................................... 16
Introduzione alla storia: etimologia di Partinico – sua origine –
sito antico e moderno della medesima. ..................................... 16
Capitolo II ........................................................................................ 25
Origine e fondazione della venerabile regale Abbazia di Santa
Maria d’Altofonte, sotto vocabolo del Parco e Partinico e de’ suoi
privileggi ed essenzioni........................................................... 25
Serie storico-cronologica degli abbati di Santa Maria d’Altofonte
conosciuta sotto vocabolo del Parco e Partinico. ..................... 34
Capitolo IV ....................................................................................... 49
La nostra città di Partinico in prospetto, sua fondazione,
progresso e stato presente con quanto v’ha in essa di
rimarchevole. ......................................................................... 49
Capitolo V ......................................................................................... 64
La terra del Parco, altro fondo di nostra venerabile reale Abbazia
d’Altofonte, con quanto in essa e suo territorio si contiene. ...... 64
Capitolo VI ....................................................................................... 70
Borgetto e Sicciara, loro chiese un tempo di pertinenza e
giurisdizione della nostra real Madrice chiesa di Partinico, di lei
suborghi adesso dismembrate. ................................................. 70
Capitolo VII ..................................................................................... 85
Strade suburbane di Partinico, stato rurale della medesima città,
continente il di lui moderno salmeggio, siccome i suoi possessori
utili domini ed enfiteuti e quanto in esso Stato oggidì esiste
d’anticaglie saracinesche, casini e chiese villerecce................. 85
Capitolo VIII ................................................................................... 96
Fiumi, fonti d’acque, mulini, cartiere, stazzoni, trappeti, mangani
da seta, tonnare e laghi di pesci d’acqua dolce, che si trovano
nella città di Partinico e suo territorio e di lui produzioni. ....... 96
Capitolo IX ..................................................................................... 106
Luoghi deliziosi, cacce, accademie e anticaglie che avvanzano
nella città e sue vicinanze e territorio.................................... 106
Parte seconda: della fondazione delle chiese ....................115
Capitolo I ........................................................................................ 115
9
Fondazione della venerabile regal Madrice chiesa di regio
patronato ............................................................................. 115
Capitolo II ...................................................................................... 137
Chiesa di San Leonardo in cui la Compagnia del ss.mo
Sacramento .......................................................................... 137
Capitolo III .................................................................................... 140
Ven. Spedale dell’Infermi e sua chiesa ed aggregazione della
Compagnia dell’Immacolata Concezione. ............................... 140
Capitolo IV ..................................................................................... 144
Ven. Chiesa di San Francesco ed Opera del Purgatorio .......... 144
Capitolo V ....................................................................................... 146
Venerabile convento e chiesa dei Cappuccini ......................... 146
Capitolo VI ..................................................................................... 151
Ven. chiesa di santo Rocco, ovvero convento e chiesa del Carmine
........................................................................................... 151
Capitolo VII ................................................................................... 156
Ven. Chiesa di s. Antonio di Padova ...................................... 156
Capitolo VIII ................................................................................. 160
Venerabile regal Collegio di Maria ....................................... 160
Capitolo IX ..................................................................................... 169
Ven. chiesa dell’oratorio del Carmine ................................... 169
Capitolo X ....................................................................................... 169
Ven. Compagnia e chiesa del SS. Crocefisso .......................... 169
Capitolo XI ..................................................................................... 170
Ven. Compagnia di Maria SS. Del Rosario ............................. 170
Capitolo XII ................................................................................... 171
Ven. Congregazione ossia Confraternita dell’Opera Santa della
Misericordia, cui oggidì va aggregata la filial parrocchia. ..... 171
Capitolo XIII ................................................................................. 174
Ven. chiesa e Confraternitadi Maria SS.ma degli Agonizzanti . 174
Capitolo XIV .................................................................................. 175
Ven. chiesa della Confraternita di Gesù Maria, cui oggi è
aggregato lo ritiro detto di padre Manfré, ossia l’orfanotrofio di
Maria SS. del Ponte. ............................................................. 175
Capitolo XV ................................................................................... 176
Reclusorio delle donzelle sotto titolo di Maria SS.ma del Ponte,
titolo da me suggerito in onore di nostra Padrona oggi, detto lo
Ritiro di padre Manfré aggregato a detta ven. Confraternita di
Gesù Maria .......................................................................... 176
Capitolo XVI .................................................................................. 182
10
Ven. chiesa e Confraternita del patriarca san Giuseppe. ......... 182
Capitolo XVII ................................................................................ 184
Ven. chiesa di S. Maria della Grazia, volgarmene detta di Ballo,
oggi real cappella del casino reale. ....................................... 184
Capitolo XVIII .............................................................................. 186
Ven. chiesa del patriarca san Gioacchino .............................. 186
Capitolo XIX .................................................................................. 187
Santa Casa degli Esercizi di s. Ignazio .................................. 187
Capitolo XX ................................................................................... 190
Ven. santuario di Nostra Signora Maria SS.ma del Ponte ........ 190
Capitolo XXI .................................................................................. 195
Iscrizioni lapidarie ovvero epitaffii sepolcrali che esistono nelle
chiese infradette ................................................................... 195
Capitolo XXII ................................................................................ 204
Uomini segnalati nel servigio di Dio ed in santità .................. 204
Capitolo XXIII .............................................................................. 223
Uomini illustri in letteratura, professioni ed arti .................... 223
Appendice.....................................................................................233
Memoria per la manipolazione dei vini ......................................... 233
Indice dei nomi e dei luoghi ..................................................240
11
STORIA di PARTINICO
di
Notar D. Giuseppe Maria di Bartolomeo
della medesima
Non meritò di nascere
chi visse sol per sé
Met. 1
Memorie Storiche
Intorno alla fondazione, progresso e stato
della ven. reale Abbadia di Santa Maria d’
Altofonte
sotto titolo del Parco e Partinico,
e delle stesse popolazioni e contadi:
ricavate e scritte da notar Don
Giuseppe Maria di Bartolomeo
di detta città di Partinico.
consacrate
a Sua Altezza il principe D. Leopoldo
di Borbone secondo genito del Re nostro Signore
Delle Due Sicilie Ferdinando primo
Terzo,
Regio Commendatore di
suddetta Abazia, oggidì aggregata alla
Real Commenda della Maggione
Anno 1805
1
Metastasio, “Il sogno di Scipione” – Il verbo non è visse ma vive
12
Indice
Parte I
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Introduzione alla storia: etimologia di Partinico, sua origine,
sito antico e moderno della medesima.
Origine, fondazione della venerabile regale Abbazia di Santa
Maria d’Altofonte, sotto vocabolo del Parco e Partinico e de’
suoi privileggi ed essenzioni.
Serie storico-cronologica degli
abbati
di
Santa
Maria
d’Altofonte sotto vocabolo del
Parco e di Partinico.
La nostra città di Partinico in
prospetto, sua fondazione, progresso e stato presente con
quanto v’ha in essa di rimarchevole.
La terra del Parco, altro fondo
di nostra venerabile reale Abbazia d’Altofonte, con quanto in
essa e suo territorio si contiene.
Borgetto e Sicciara, loro chiese
un tempo di pertinenza e giurisdizione della nostra real Madrice chiesa di Partinico, di lei
suborghi, adesso dismembrate.
Strade suburbane di Partinico:
stato rurale della medesima città, continente il di lui moderno
salmeggio, siccome i suoi possessori utili dòmini ed enfiteuti
e quanto in esso Stato oggidì esiste d’anticaglie saracinesche,
casini e chiese villerecce.
Fiumi, fonti d’acque, mulini,
cartiere, stazzoni, trappeti, mangani da seta, tonnare e laghi di
pesci d’acqua dolce, che si trovano nella città di Partinico, suo
territorio e di lui produzioni.
Luoghi deliziosi, cacce, acca-
Foglio 1
Foglio 11
Foglio 23
Foglio 40
Foglio 54
Foglio 60
Foglio 76
Foglio 89
13
demie e anticaglie, che avvanzano nella città e sue vicinanze
e territorio.
Foglio 99
Parte II
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
14
Fondazione della venerabile regal Madrice chiesa di regio Padronato.
Chiesa di san Leonardo, in cui
la Compagnia del ss. Sacramento.
Venerabile spedale dell’infermi
e sua chiesa ed aggregazione
della Compagnia della Immacolata Concezione.
Venerabile chiesa di san Francesco ed Opera del Purgatorio.
Venerabile convento e chiesa
de’ Cappuccini.
Venerabile chiesa di santo Rocco ovvero convento e Chiesa del
Carmine.
Venerabile chiesa di sant’Antonio di Padova.
Venerabile regal Collegio di
Maria.
Venerabile chiesa dell’oratorio
del Carmine.
Venerabile Compagnia e chiesa
del ss. Crocefisso.
Venerabile Compagnia di Maria
ss.ma del Rosario.
Venerabile Congregazione ossia
Confraternita dell’Opera Santa
della Misericordia, cui oggidì va
aggregata la filial parrocchia.
Venerabile chiesa e Confraternita di Maria ss. degli Agonizzanti.
Venerabile chiesa della Confraternita di Gesù e Maria, cui oggi
è aggregato lo Ritiro di padre
Manfré, ossia l’orfanatrofio di
Maria ss. del Ponte
Foglio 107
Foglio 129
Foglio 131
Foglio 135
Foglio 137
Foglio 142
Foglio 148
Foglio 152
Foglio 161
Foglio 161
Foglio 162
Foglio 163
Foglio 165
Foglio 166
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Reclusorio delle donzelle sotto
titolo di Maria ss. del Ponte, titolo da me suggerito in onore
della Padrona, oggi detto lo Ritiro di padre Manfré aggregato a
detta venerabile Confraternita di
Gesù e Maria.
Venerabile chiesa e Confraternita del patriarca s. Giuseppe.
Venerabile chiesa di Maria ss.
della Grazia volgarmente detta
di Ballo, oggi real cappella del
Casino reale.
Venerabile chiesa del patriarca
san Gioacchino.
Santa Casa degli Esercizi di
sant’Ignazio
Venerabile santuario di Nostra
Signora Maria ss. del Ponte
Iscrizioni lapidarie ovvero epitafii sepolcrali che esistono nelle chiese infrascritte
Uomini segnalati nel servizio di
Dio e in santità
Uomini illustri in letteratura,
professioni ed arti.
Foglio 168
Foglio 174
Foglio 176
Foglio 178
Foglio 179
Foglio 183
Foglio 187
Foglio 195
Foglio 220
15
G.M.G.L. 2
della storia della città di Partinico
ossia
della venerabile regale Abbazia
di s. M.a d’Altofonte sotto titolo del
Parco, e Partinico.
Parte prima
Capitolo I
Introduzione alla storia: etimologia di Partinico – sua origine –
sito antico e moderno della medesima.
Non v’ha tra gli uomini cosa più cara, monumento più augusto
per la posterità, che l’istoria patriottica. Un invincibile istinto
d’innato affetto verso la patria ci attira sempre e ci pervade costantemente a promuoverne l’avvantaggi possibili e stabilirne
per quanto da noi si possa la felicità, sino alle volte a costo del
proprio sangue. Tanti venerabili esempi dell’antichità ce lo danno a rivedere in persona d’innumerevoli eroi: l’unanime consenso di tutte le nazioni del mondo ce lo contestano, e fin anco ce
l’ammaestra l’amoroso attaccamento ai lor propri covili de’ bruti
stessi; e noi, qualora spinti e guidati dalla molla della natura non
ché dalla ragione ci facciamo un dovere di calcare le stesse onorate tracce degli ottimi cittadini, ci rendiamo all’ugual tempo e
giusti insieme e gloriosi onorando la patria, avendo a cuore la
stessa.
2
Sono oramai di già trascorsi quattro secoli e più da che risorse
nuovamente al fiorire l’odierno abitato di Partinico; quella stessa
Partinico rimasta oscura fra gli avanzi de’ barbari, ma adottata
bambina poi e resa adulta all’aura felicissima di prelati cospicui,
d’insigni porporati, d’illustri sempre e magnanimi Commendatarii, che - vaglia la verità – attesa la dovizia de’ campi, la di lei
amenità, la invidiabile situazione cui fu dalla natura fortunatamente dotata, d’avanzo miserabile di ruine di antica città qual
surse un giorno, loro mercé la estolsero a contrastarne, per così
dire, il primato alle più colte, più belle e più ragguardevoli città
del Regno, e che oggidì finalmente esaltata si vede all’energico
(e non senza mistero) specioso titolo di divota e fedele città; doti
peculiari detettevi dalla munificenza del migliore tra i Re, Fer2
G.M.G.L = Gesù Maria Giuseppe Leonardo
16
dinando III di Borbone – Dio guardi – nostro amabilissimo Sovrano; a segno ché non solo trovasi da quello garentita e distinta, ma careggiata altresì e prediletta, sovente onorandola dalla di
lui augusta dimora, prescelto avendosi nel di lei seno un di lui
regale albergo e delizioso, onde da presso godersela, qualora
stanco dalle cure del Regno dar voglia all’animo suo regale de’
prudenti sollazzi, in essa trasferendovisi gioviale dalla vicina
dominante Palermo.
Avventurati cittadini, cui è toccato in sorte sì clementissimo
Principe, epoca sì faustissima alla vostra felicità! Io non v’invidio punto, giacché del pari godo io delle communi fortune, perché partecipe delle medesime
3
qual membro fedelissimo di cui mi vanto. Ciò mi ha impuntato a
ragione, tutto ché inetto, disadorno e sfornito de’ necessari talenti, a trarre dall’oscurità e dimenticanza de’ tempi andati la
presente storica narrazione ed agognare, per quanto le mie deboli
forze il permettono, all’impasto della medesima in ammenda della negligenza o disamorevole errore de’ miei concittadini, cui
avrebbe prima peculiarmente dovuto premere l’interesse e
l’impegno in onor della patria, e per non assoggettirsi alla reprensibile trascuratezza, indegna di un buon patriotta, per cui
benedico i sudori se trovo la mia mercede, come non dispero ritrovar senza meno, nel solo commune aggradimento e benignità,
insieme del sempre grande e amabilissimo nostroPadre e Signore, sotto i di cui regali auspici esce fortunatamente alla luce 3.
Partinico adunque se vogliam darle (come senza fallo se le deve) la precedenza ai tempi de’ Saracini ed attenersi alla di lei
greca definizione παρϑενικοs corrisponde a Virginalis de’ Latini e a quella quindi di parte verginale degli Italiani. E ciò forse
per ragione alla dedicazione di una qualche vergine dea od altro
che ché si fosse da noi ignorato. Se poi si voglia, per un momento, saracinesca voce Parthenic, secondo rapportan Malaterra ed
altri (a) Parthenic cum omnibus suis pertinentiis, etc 4. dee premettersi, come parecchie città situate sull’eminenza d’una qualche collina o montagna del nostro Regno, portavano l’aggiunto
di Naica ossia Calata, voce che usavan gli Arabi a significare,
anche semplicemente, un monte e infatti trovasi la fortezza Naica, che da’ scrittori
3
4
Annullata nell’originale
Parthenic con tutte le sue pertinenze etc.
17
(a) Libro 3. N° 2, pag. 214. Tomo I della Biblioteca del Caruso, ed anche in un
diploma del Conte Rogieri al 11935 appo il Pirro, Not. Eccles. Mazar. pag. 500.
4
s’interpreta: la fortezza in cima al monte e quindi presso già Partinico. Onde ci fa credere fuor di dubbio che un tal nome formato fosse da due parole: Nico, cioè, e Parte, dalla voce Phart o
Bart, che significano: signum rectum ad indicandam viam, dux et
index vie 6 vale a dire il Nico per relazione a Naica, ch’era la
suddetta fortezza, e Parte, significante il posto di un poggio, un
ermete 7 o altro segnale, che indicasse il cammino o viottolo per
andare a Naica, ossia Nico (a).
Nell’intelligenza che il nome Partinico è stravisato dall’arabica
pronunzia, quali arabi tra l’altri stravolgimenti privi sendo nel di
loro alfabeto della lettera equivalente al P de’ Latini, sebbene
alle volte il compensino col Phe forte ed acuto, ossia segnato col
Tefodidum, pello più però lo proferiscono col Be, cossì in fatti,
per rapportarne fra l’innumerevoli un esempio: invece di Petros
proferiscono e scrivono Betros.
Voglion altri che Partinico fosse cossì appellata ed essere stata
Parte del castello di Naica suddetta, perché nei tempi oscuri e a
noi lontani chiamata Castel de’ Sicoli, come sotto diremo.
Non patisce frattanto dubiezza alcuna il costante nome di Partinico ai tempi di suddetti Arabi, che benanco la dissero Barstanin.(b) 8
E del pari, in una carta geografica dell’antica Sicilia, ove si respingono in lingua latina i nomi delle città tutte, terre, castella
ed ogni altro, ch’esistevano allora in essa isola, vi si annovera e
legge Parthenicum, di genere neutro, e che oggi non si sa il perché scrivesi Partenicus, tolta e abbolita l’h e ridotta a voce maschile.(x)
E che cotesta voce sia passata altresì a volgari(a) Tardia, Opusc. Sic. Di Blasi, Tom. 8 fogl. 309
(b) Pirro, Sic. Sacr., Not. 6. Maz. Tomo 2. Fog. 398. Tardia, Opusc. Sic. Di Blasi. Tom. 8. Fogl. 309
(x) L’anzidetta carta geografica trovasi annessa nel Viaggio della Sicilia del cavaliere Gastone conte della Torre di Rezzonico, patrizio comasco, prima edizione
5
Da correggere in 1093
segno retto per indicare la via, guida e indice della via
7
Scultura su colonna raffigurante una testa umana e parte appena del busto (dal latino
Herma = forma femminile di Hermes, dio Ermete (Mercurio).
8
Nel periodo arabo, Partinico è riportato al-Bart’niq e Parthenicum come si rileva nei testi
arabo e latino della donazione di Guglielmo II al monastero di Santa Maria la Nuova di Monreale risalente al maggio del 1182. La forma Barstanin riportata da Rocco Pirri è uno dei
tanti strazi operati dallo stesso nella trascrizione di numerosi toponimi.
6
18
in Palermo, 1828, presso gli eredi Abbate del fu Francesco, nella quale carta si
legge: Sicilia antiqua cum antiquis itineribus, ex itinerario M. Antonimi, ove si
vede la descrizione del viaggio della posta: da Palermo = Panormus – Hiccara –
Parthenicum – Segesta – Drepanum. E che la marina vicino Partinico si chiamava Aquae partinicenses9. Quindi ad evidenza si contesta l’esistenza di Partinico
nell’epoca di Segesta che fu distrutta da ……..(sic)
5
zarsi e adottata in cognome di famiglia illustre (o perché natia o
perché oriunda) si ha dal Pirro anzidetto nel suo Tomo I della
Sicilia Sacra al f. 98 nella soscrizione di taluni soggetti intervenuti a legalizzare un atto regio fatto da Guglielmo I, Re di Sicilia, a favore della Metropolitana di Palermo nell’ottobre del
1157 VI ind. 10, in cui si legge: Ego Mattheus de Partinico testis
sum 11.
Dall’addotte irrefragabili storiche testimonianze probanti la denominazione suddetta si ha pure chiaramente esservi stata sin dai
tempi trasandati e pria dell’attuale abitato, cotesta antica Partinico e seco ancora senza contrasto la sua fortezza Naica o altrimenti detta Castel dei Sicoli. Per rimontarne ora a un di presso
l’epoca onde sursero e contestarne insiememente il verisimile
preciso topografico sito, per quanto ci addottrinano gli scrittori e
ci guida la prudente conghiettura, andrem di passo a respingerne
la circostanza.
Si vuole che il famigerato Castel de’ Sicoli fosse stato nella sua
origine assegnato in custodia di Partinico. Cotesta abitazione,
senza meno, dobbiam crederla precessa alla fabrica del medesimo. Ciò dovette avvenire immancabilmente sotto il governo de’
Sicoli – giacché il Castello ne assunse il nome ed indi poi lo ritenne lungamente – dominanti allora di nostra isola, discacciati i
Sicani e pria d’essere eglino respinti da’ Greci. I Sicoli signoreggiarono la Sicilia anni 427 avanti Gesù Cristo e del 4 anno
della guerra del Peloponneso ossia al II dell’Olimpiade XXCVIII
che compongono ventidue secoli e alquanti anni di più addietro(a).
Suddetti edifizi di Partinico e suo Castello de’ Sicoli si vollero
giacenti presso l’antica Elima, città cioè detta anche Palamita(b),
quella stessa fondata dal famoso Aceste condottiero dei fuggiaschi Troiani origine della guerra co’ Greci pel ratto di Elena,
9
Nei codici è riportato “perticianenses” non “partinicenses”
Ind. = Indizione: corrispondeva ad un periodo cronologico di 15 anni. Erano gli anni amministrativi utilizzati soprattutto nel calendario ecclesiastico. Tali anni presi a gruppi di quindici a partire dal 313 d.C. iniziavano il 1° Settembre di ogni anno e cessavano il 31 Agosto
dell’anno successivo. Tale computo fu abolito con decreto del 19 Novembre 1818.
11
E’ l’atto con cui Guglielmo I dona alla Chiesa Panormitana il feudo di Broccato nei pressi
di Caccamo. L’atto è controfirmato anche dal noto Matteo Bonello.
10
19
famosissima bella regina greca, moglie del re Menelao, cognata
di Agamennone, detto Re dei Re
(a) Tucidide, Libro 3 ed Opusc. Sic. Tomo 6 Fog. 292 e 293. Il chiarissimo Canonico di Gregorio sul tomo I delle sue Considerazioni vuole Partinico antichissima e vi prova esservi stata anche truppa di militi
(b) Caruso, Stor. Sic. Part. I, Vol. I, Libr. I, Fogl. 33
6
circa l’anno 1201 prima di Gesù Cristo(a). Del pari si accenna il
sito della città anzidetta: su la cima di un monte, quell’appunto,
che tutto si estolle lungo la marina di s. Cataldo, littorale di Partinico, secondo il Cluverio, e se ne indicano altresì l’orme di un
sontuoso tempio da Enea troiano innalzato in onore di Venere
sua genitrice, come si ha dallo scrittore Antonino 12 nel suo Itinerario Romano delle Provincie(b). Non è ciò frattanto senza contrasto appo degli antiquarii, che tolgono affatto Elima dalla corografia di nostra isola sebbene il Fazello la voglia assolutamente (c). E si vuole per fine, che nell’indiziato Castello fossevi stato relegato da Guglielmo, re di Sicilia, l’uno di quei tre rei cavalieri, stante l’altro in quello di Bonifato (oggi montagna
dell’alto) d’Alcamo, ed il terzo nel castello di Corleone.
Ciò va apertamente e con ragionevolezza lontano troppo dal vero
e patisce dell’insuperabili ostacoli e contraddizioni. Primieramente perché Partinico, nonché il divisato Castel de’ Sicoli, dalla invasione di varie potenze nemiche e benanco de’ Saracini,
accaduta poi nel sesto secolo sino al nono, furono da quei barbari distrutti in un colla detta Elima, stata edificata da Elimo(d),
disgrazia a cui soggiacquero tante altre rinomate antichissime
città dell’isola e, tra l’altre Segesta, stata fabricata da Egesto, di
cui salvarono il solo tempio, oggi giorno esistente e ristorato dal
nostro sovrano Ferdinando dall’ingiuria del tempo e da un fulmine, ed il secondo poi che il re Guglielmo (sia stato il Buono o
il Malo) non regnarono che sul secolo XII, epoca in cui non più
esisteva il citato Castello.
Tal evidenza dunque ci porta a credere indubitatamente l’antica
Partinico e il suo Castello di Guardia non sorgere presso la voluta Elima, ossia Palamita, ma con più di ragione e verosimiglianza in prospetto della detta città, come andremo raggionando.
(a) Canterani, Traduzione della Storia…. foglio 265 e f. 267
12
L'Itinerario di Antonino non prende nome da uno scrittore, come riferisce il Di Bartolomeo,
ma dall'imperatore romano Antonino Caracalla sotto il cui impero ne fu iniziata la compilazione. L'Itinerario di Antonino risulta inoltre aggiornato sino al periodo di Costantino il Grande (primi decenni del 300 dopo Cristo).
20
(b) Panormo-Hiccara 16, Parthenico 7, Aquis segestanis 12, Drepanis 14. E in
altro luogo viene a descrivere: 6 Hiccaris per maritima loca Drepanum usque
m.p. 46. Sic Parthenico 12 ad Aquas Parthinicenses 16 Drepanis 18.13
(c) Storia di Sicilia, Dec. I Libr. 7, fog. 141
(d) Fazello, fogl. 139, fogl. 142, Dec. I
7
S’egli è vero ciò che si legge fra i storici: che il Castello de’ Sicoli distava dalla sua Partinico lungi un miglio, si accorda bene
riconoscerlo piuttosto su la vetta della nostra montagna denominata la Baronessa, rimpetto appunto di Elima, dalla parte di
mezzodì e poco men che una lega da quella lungi. Ci portan a
credere ciò per altro benanco parecchi fondamentali monumenti
vetusti ivi esistenti a dì nostri e, fra l’altre antichità, un collo ossia bocca di cisterna di bianco marmo scovertasi a caso l’anno
1800 or passato, ròsa alquanto dall’uso del logoramento del canape della secchia con cui verisimilmente da questi abitatori attingevansi in essa dell’acque e colla stessa guida riconoscer piuttosto Partinico nella prossima sottoposta pianura di S. Catrini (o,
come altri vogliono, S. Margarita o Margaritella) ovvero dove
attualmente fiorisce, come sotto diremo, amendue cotesti siti, distanti un miglio circa dal suddetto Castello.
In verità, le antichissime evidenti reliquie, l’invecchiati rovinosi
avanzi coverti alcuni tutti di edere, tronchi e spineti, unitamente
alle circostanze immancabili, ci portano più sennatamente a ravvisar l’abitato e il Castello colà, che alla marina di San Cataldo e
lungo Elima, molto più che il priore D’Amico, ai tempi di Carlo
V Imperatore nel XVIII (sic) secolo, ci assicura: il Casale di S.
Margarita essere stato abitato da n. 200 anime e 70 fuochi(a).
Cheché ne dicono altrimenti alcuni, che opinano questo casale
essere stato il Borgetto (attuale vicina terra alla nostra città),
imperocché questa terra sin dal principio del passato secolo 18°
non formava altro che umili capanne e rarissime casette villerecce, e dependenti le loro anime dalla giurisdizione della nostra
Madrice, ed abbiamo ancora de’ nostri padri viventi, che se ne
ricordano, la formazione di quella terra, prima
(a) Lex. Topog. di Sic. Parthenicum par. 2 fol. 74. Fazello ancora nel Val di Mazara pone Sala di Partinico fuochi n. 70 nel 1548. Dec. 2 Libr. 10 fol. 601. Tradusse l’Abate D. Martino La Farina quello stesso che stampò vari tomi di tragedie antiche d’uomini dotti di cui io ne ho un tomo
13
Bisogna correggere in: Panormo-Hiccara 16, Parthenico 8, Aquis segestanis 12, Drepanis
14. inoltre: iter ab Hiccaris per maritima loca Drepanum usque m.p. 46. Sic Parthenico 12
ad Aquas Perticianenses 16 Drepanis 18
21
8
appellata feudo del Borgetto e dagli atti pubblici, stipolati in
questa nostra città a mancanza dei notai di quella e massime dal
difonto mio padre notar don Domenico, chiaramente si dice Apud
feudum Burgetti per transitum mei notarii infrascripti.
Il Pirri similmente porta un soldato e servitor di Roberto Avenello, principe normanno e del real sangue de’ Normanni, Re di Sicilia, che chiamossi Giovanni e fu naturale di Partinico e non
mai del Borgetto (a).
Il castello poi, dove venne deportato il surriferito Re d’ordine di
Guglielmo, poté verosimilmente essere stato l’attuale diruto castellaccio, un tempo detto Castello d’Ercole 14, oggidì abbellito
dal nostro sovrano Ferdinando, cui eresse la scala e gli serve da
vista, accordandosi benissimo e la conghiettura e l’epoca della di
lui antichità coi tempi di suddetti sovrani, perché comunemente
creduto da’ periti opera saracinesca e non mai d’altra nazione, e
sorto e costrutto sul lor governo. In esso Castellaccio similmente
dice di aver tenuta abitazione il gran capitan Sala di nazione
spagnuolo, come meglio a suo luogo ragioneremo nella fondazione di nostra città, allora terra. Beninteso non essere stato questo il Castelletto di cui fa menzione il Fazello, che asserisce essere stato rovinato al tempo del normanno conte Rogieri (b).
Sin dai primi anni del secolo XII furono baroni di Partinico i tre
fratelli di Avellano 15 (sic) , conti palermitani, appellati Drogone,
Roberto e Rinaldo (c), da cui indi nel 1112 lo Stato e Casale di
essa passò graziosamente in donazione al monastero di s. Bartolomeo di Lipari unitamente ad una chiesa, un mulino e famiglie
villiche, poste nella medesima baronia e di loro spettanza (d).
Cotesta chiesa si opina ragionevolmente essere stata l’attual rifatta e abbellita chiesa di Santa Maria delle Grazie del fu marchese di Grammontagna, don Vincenzo del Castillo nel luogo di
Ballo, oggi interna alla real casina e villa. Il mulino poi esserne
stato l’antico primo denominato il Molinello Vecchio, oggi non
più esistente, e ch’era situato nella contrada dell’istesso nome in
fine
(a) In Cronic. Reg. Sic. fol. 16
(b) Fazello, Deca 2, libro 7, fol. 141
16
(c) Pirri, Sicilia Sacra e nella Cronic. De’ Re di Sicilia, Tom. I, foglio 11.
14
Quasi certamente tale castello corrisponde alla “turris herculis” della Donazione di Guglielmo II al Monastero di Santa Maria la Nuova di Monreale del 1182. Tale torre costituisce
punto di riferimento per uno dei confini della Divisa di Mirto.
15
Avenello.
16
Pirri, Sicilia Sacra, tomo II pag. 772: “In nomine Sanctae, & individuae Trinitatis anno ab
Incarnatione 1111. Ind. 3. Regnante in Sicilia Rogerio Comite, & Adelayda matre ejus, filio
Rogerii Comitis fra tris Roberti Guiscardi Ducis. Ego Raynaldus Avenellus, concedente uxo-
22
(d) Inveges, Pal. 1206 f. 163
9
dell’abitato che guarda verso greco, di cui si servì più anni
l’odierna Partinico.
Beninteso che se si voglia per detta chiesa quella di s. Cataldo,
la qual si accenna in un diploma di Papa Lucio III sin dal 1182,
spedito in favore di S. Giorgio di Grattieri di Cefalù (a), ciò si
pretende senza alcun fondamento, attesoché lo scaro ossia litorale di s. Cataldo ov’è posta la detta antica chiesa e oggidì reformata e tirata di pitture, tuttoché attaccato al nostro territorio,
non si legge però mai essere stato compreso nel medesimo e
spettare alla nostra Partinico, ma come parte delle Balestrate, riconosce la sua soggezione alla Dominante.
E qui cade in acconcio creder verisimilmente denominata della
Baronessa la succitata montagna, che sovrasta alla nostra Città
verso sirocco, dal Baronaggio tenutone gli anzidetti di Avellano 17 e di essa e dell’intero contado, come sopra abbiamo detto.
In quest’istesso sito di Partinico, che ne venne impossessato dal
conte Rogieri Bosso, conquistatore di nostro Regno in un co’
suoi commilitoni, dietro aver cominciato a trionfar da Siracusa
nel 1085 dalla ruberia saracinesca, entrandovi glorioso in ottobre, epoca felicissima pe’ siciliani, i quali vennero sin dal 1060
a respirar la quiete, il pacifico e libero uso ed esercizio della cattolica religione, stata tiranneggiata da quei barbari per lo spazio
anzidetto di oltre quattro secoli e dal 649, il quale corrisponde al
29° dell’Egira maomettana sino al detto anno 1060(b). In questo
stesso sito di Partinico restò poi sul 1179 18 effettuata la seconda
ripartizione de’ feudi e castella in Sicilia pattuita da detti commilitoni, come riferisce Goffredo Malaterra (c) dicendo: Sici-
re mea Fredesenda, fratribusque meis Roberto, & Dragone dedi, atque concessi libere, &
absolute Ambrosio Liparitano Abbati, ejusque successoribus in perpetuum Ecclessiam,
quae est in casali meo sub Partiniaco, & Molendinum, quod est juxta Ecclesiam, & decem
villanos cum omnibus rebus suis, & familiis, & duas terrae culturas, una supra viam publicam, alteram inferius juxta fontem, & vineam, quae est sub Ecclesia. Uxor vero mea Fredesenda dedit unum villanum cum omnibus filiis suis, & rebus, Guernerico miles similiter unum, Sanson similiter unum. Hujus rei etiam testes Ego ipse Raynaldus, qui feci hanc donationem Monasterio S. Bartolomaei Liparitanae Insulae pro anima Rogerii Comitis terrae acquisitoris, & anima mea, & parentum meorum. +Fredesenda. +Drogo Avenellus. +Robertus
Avenellus. +Sanson. +Raynaldus de Terrone. Radulphus de Nonanto. Joannes de Partiniaco. +Juditta filia Comitis. Alchemius de Ficaria, +Ambrosius Liparitanus Abbas.
+Blancardus monachus. +Andreas Monachus. Coram his omnibus testibus supradictae Ecclesiae S.Bartholomaei post mortem meam, concessit libere, & absolute, & habere concedente uxore mea Fredesenda, & fratribus meis Roberta, & Drogone in camera domus,
quam habeo Panormi, Casale Mirti cum omnibus appenditiis suis.
17
Avenello
18
Da correggere in 1079
23
lienses ergo milites suos, quibus iam impertierat possessiones
insule quantum subjugaverat apud Partinicum 19
(a) Pirri, Tomo 2, f. 839
(b) Burigny, Storia di Sicilia
(c) Appo il Tornamira, Prosapia di S. Rosalia, fol. 340
10
Ad ogni modo cotesta Partinico non ha che fare con quella menzionata coi privilegi e citata benanco dal Caruso (a).
Non può frattanto rivocarsi in dubbio che pria di assumer Partinico la forma di città nell’odierno sito, e non mai presso
d’Elima, si estolsero parecchie torri, che s’istradavano, come al
presente se ne veggono i cammini sotterranei, l’una coll’altra e
ciò unitamente al divisato Castellaccio, già quasi distrutto dalle
ingiurie del tempo divoratore (b).
Che sia frattanto risorta ed ampliata la nuova nostra città nel sito
istesso dove fiorì l’antica, verte indeciso ancora il giudizio, pende irresoluta la quistione fra i storici. Si consulti su questo articolo La Sicilia in prospettiva ne’ luoghi non più esistenti. Pure,
la verisimiglianza, gli antichi peculiari documenti e le circostanze tutte ci portano a riconoscerla, fuor di contrasto e senza fallo,
quivi appunto dove adesso s’innalza e dietro il privilegio ottenutone da Federico il…(sic), da’ Cistercio pochi anni dopo la
…(sic), come a suo luogo diremo cioè dopo il 1307, (nel qual
tempo esistea in piccola borgata), tanto ciò è vero che pria di istituirsi l’Arcipretura che fu nel secolo XV, cioè l’anno 1495,
Partinico possedeva il fondaco, ciò rilevandosi da due scritture
pubbliche in notar don Domenico di Leo di Palermo a 1 dicembre, 14a ind., 1495, in cui si assegna detto fondaco per confine
alla censuazione dalle terre, dalla baronessa donna M. Ant. Pucci
e Raccuglia, a 9 dicembre, 15 ind. 1496, e mai affatto però lungo
la citata marina di s. Cataldo, in cui non si scorge orma veruna
né cadaun vestigio, che ci faccia almen per poco dubitare di sua
antica esistenza, molto più che mai è stata la contrada anzidetta
di pertinenza del nostro badiale contado.
(a) Storia di Sicilia, Tomo 2 fogl. 180
(b) Bonfiglio – Stor. Sic. Fogl. 244
19
(Allora mandò alcuni) suoi militi siciliani, a cui aveva già assegnato quei possedimenti dell’isola che aveva soggiogato presso Partinico (e Corleone, perché
molestassero i cittadini di Jato. Egli stesso, con dei Calabresi, andò
all’assedio di Cinisi, che similmente era ribelle).
24
11
Capitolo II
Origine e fondazione della venerabile regale Abbazia di Santa
Maria d’Altofonte, sotto vocabolo del Parco e Partinico e de’
suoi privileggi ed essenzioni.
Non sia di discaro al lettore, pria d’inoltrarci nell’arringa e ragionare della fondazione e origine di nostra reale Abbazia
d’Altofonte dal pio Federico Terzo donata al monastero dei Cisterciensi, di far parola di codesto Ordine ed istituto, e ciò in
grazia della novità per chi mai l’ignorasse e per ammirarsene insieme le imprescrutabili disposizioni della Provvidenza, che nel
suo principio lo volle in Sicilia aggregato alla Maggione, cui oggigiorno venne inopinatamente a riunirsi, dietro il lasso di sette
secoli e sotto i fortunatissimi auspici di un real commendatore
Leopoldo di Borbone, nostro Augusto Signore e secondogenito
amabilissimo di Ferdinando III, re di Sicilia, che Dio in felicità
lungamente ci serbi e l’uno e l’altro, in un con tutta la regale
famiglia.
La Congregazione adunque, ossia l’Ordine de’ monaci cisterciensi, trasse la sua denominazione da Cistercio 20, luogo remotissimo e solitario nel ducato di Borgogna. In esso, sul 1098, fu edificato il loro primo monastero dal beato Roberto 21 abate, che
era de’ molismensi, col piacer di Gualtiero, vescovo di quella
città, coll’autorità di Ugone, arcivescovo di Lione, e coll’aiuto
altresì di Oddone, duca di essa Borgogna. L’istituto che adottarono, detti Cisterciensi, si fu quello di san Benedetto: vestivano
tonaca bianca, cocolla 22, scapolare e cappa nera, cingendosi di
cordella di lana. Non si cibavano di carne mai, ma per un brieve
pontificio del 1560, l’usavano poi alquanti dì della settimana(a).
(a) Padre Morigia, Storia delle religioni, foglio 80 e seguenti.
12
Il suddetto Beato Roberto (dopo essersi restituito alla sua antica
Abbadia di Langres, dello stesso ducato) successe in Abate di
detto monastero de’ Cisterciensi un zelantissimo di quei medesimi monaci chiamato Stefano ed indi s. Bernardo, dietro tre lustri dalla di lui fondazione e anni 22 della sua città, reggendolo
parecchi anni, sinoché venne destinato a fondare la famosa Ab20
Citeax (lat. Cistercium) in Borgogna
San Roberto di Mosleme
22
Sopravveste che s’infila come una pianeta ed è fornita di cappuccio.
21
25
badia di Chiaravalle nel detto dominio di Langres, non lontano
dal fiume Alba.
Nel 1150 ad istanza di Rogiero, Re di Sicilia, furono da detto
padre abate Bernardo destinati nel nostro Regno alquanti de’
suddetti Cisterciensi ed ebbero il loro monastero ossia albergo in
Palermo, provveduti di vari beni dalla regia munificenza del prelodato sovrano, venne detto albergo aggregato alla Maggione, su
le mura di Porta di Termine, eretta da Matteo di Ajello anni prima (a).
Creduti fazionari i monaci anzidetti del re Tancredi, nel 1195,
perseguitati perciò dall’imperadore Enrico VI e spogli de’ loro
beni, vennero espulsi da detto albergo, dopo averlo abitato ben
quarantacinque anni (b).
Non ebbero più in Palermo detti monaci il loro monastero per lo
spazio di più di un secolo, finoché si compiacque il Signore riporli un’altra volta in decorazione, mercé la real munificenza e
pietà di Federico, Re di Sicilia (c). Fu costui Secondo di cotal
nome, ma detto il Terzo, nativo di Aragona, figlio del Re Pietro I
e germano di Giacomo, monarchi siciliani. Fu falsamente appellato il III per confonderlo col Federico Svevo stato imperadore
di Germania sotto nome di
(a) Mongitore, Monumenta historica Mantionis, Cap. 2, fol. 5
(b) Mongitore, Monumenta historica Mantionis, fol. 12
(c) Fazello, Traduzione del R. D. Martino La Farina, deca 2, dall’Istoria di Sicilia, Libro II, foglio 475, cap. 3.
13
Secondo e insiememente Re di Sicilia col titolo di Federico I, attesoché il terzo Federico propriamente fu quel re nostro, che per
la sua dapocaggine venne cognominato il Semplice, a parte che il
prelodato Federico Secondo di Aragona è lo stesso sovrano che
da noi Siciliani vien detto debitamente il Grande, mercé il di lui
valore addimostratoci in guerra, sostenendosi gloriosamente il
diadema, in onta alla triplice belligerante potenza europea, che
agognava di strapparglielo dalla fronte e attese ancora le lasciateci insigni opere, sagre non sol che profane, unitamente
all’amore, benemerenze, trionfi e privilegi de’ quali e generosamente e magnanimo fu a colmare la nazione attirandosi a ragione
l’amor de’ popoli.
Questo cattolico glorioso monarca fu desso appunto che alla gloria di Dio e della ss.ma Annunziata Signora, di cui era al sommo
divoto e giusto, perché il dì di Pasqua di Resurrezione e della festa della medesima, 25 marzo 1296, fu assonto al trono siciliano
e coronato nella regia Cattedrale. Egli quindi fondò generosa26
mente la doviziosa sua regale Abbazia d’Altofonte (b), che non
la cede affatto ad un vescovado e che francamente può dirsi la
massima e la XIII fra le parlamentarie abbazie del Regno (c). La
dedicò alla Vergine dell’Altofonte, giusto per una sacra immagine di Maria, che in pittura veneravasi in una cappelletta campestre ne’ monti del Parco Nuovo, sovra posta a una sorgiva
d’acqua, che scaturiva da un alto fonte, come si vuole dall’antica
tradizione (d).
Sedata che fu la guerra, da Federico intrapresa col re angioino,
con Giacomo suo fratello e col papa Clemente V, di nazione
francese, insorta e che ardea per lo conquisto del Regno di Sicilia e per sbalzar dal trono il nostro Federico, e ottenuta finalmente
(a) Fazello Dec.2 Libro 9 Foglio 475
(b) Fazello, Sommario delle Chiese Cattredali e Abbazie di Sic., Traduzione del
Farina, in fine della Storia di Sicilia, foglio 623.
(c) Ordine del Parlamento Generale in fine del Fazello, come sopra
(d) Fazello, Deca I, libro 8, foglio 175.
14
la pace coll’anzidette tre allegate potenze, grato egli a Dio degli
usatigli benefici nell’averli conservato l’Impero, trovandosi a respirare la tranquillità, dietro i sofferti affanni e goder delle cacce, si guardavano al Parco nuovo presso la Dominante, stabilì fra
sé stesso, in giusto ossequio alle beneficenze divine, di fondare
un monastero di Cisterciensi e secondare con ciò al tempo istesso la brama ed inclinazione del suo gran genitore, re Pietro, facendo prima celebrar la santa Messa il dì solenne di nostra divina Signora Annunziata, affin di Dio prendere a grado l’offerta
pia opera.
Con un tal santo e costante proponimento restituitosi il pio sovrano in Messina, mandò tosto ad effetto i suoi voti, fondando
l’anzidetta Abbazia ed eligendo in seguito il di lei primo Abate,
della qual fondazione ossia elezione, l’original privilegio è desso
il seguente come lo rapporta il padre don Michele lo Giudice (a),
quale in verità non può darsi più ampio, più generoso e più pio
di quel processe a decorare e beneficare la Casa del Signore, che
racchiudevasi nel corpo di quel Monastero.
CXLIIX (b). A 11 giugno, nella cappella regia del real palazzo
della città di Messina, l’arcivescovo Arnaldo alla presenza del
re (Don) Federico e della regina donna Eleonora sua moglie, celebrando messa solenne, benedisse fra Michele, primo abate di
donna Maria d’Altofonte o del Parco, dell’ordine Cisterciense e
della Diocesi di Monreale, (h)avendo prima fatto solenne pro27
fessione con giuramento nelle mani sue di prestar riverenza ed
obbedienza a Lui ed a suoi successori.
A 28 poi del suddetto mese di Giugno 4a ind. 1306
(a) Descrizione del R.Tempio e Monastero di Morreale. Parte 2, foglio 52.
(b) Lello, Descrizione del R.Tempio et Monastero di Morreale, Sommario de’
privilegi. f.66
15
in detta città di Messina avendo il Re Federico, di già fondata la
regale Abbazia, lontana sei miglia da Palermo, dedicata a M.a
SS.ma dell’Altofonte, e nel monte del Parco per le ragioni anzidette in presenza di Gualtiero di Manna, Abate di s. Spirito di
Palermo e di Giovan d’Oberto di Camerana, 23 passò a spedirne il
formal privilegio, concernente la fondazione e donazione regale,
in favor de’ monaci cisterciensi e loro Abate, che in quei tempi
fiorivano in santità e dottrina nella riferita città di Messina, e ciò
per suffragar l’anime di Pietro Primo d’Aragona e della regina
Costanza, sveva, di lui consorte, nonché de’ suoi consanguinei e
regia stirpe. Quale donazione e fondazione tornò l’istesso Re
don Federico a rattificare ed omologar legalmente con nuovo
privilegio in Messina suddetta, per mano di Federico Massasanta, Gran Cancelliere del Regno, come vuole il Pirri, addì 23 o
come altri scrittori a 27 (a) del mese di settembre dell’anno 4a
ind. 1320, in favore del succitato fra Michele, primo Abate del
Parco e Partinico (b).
Venne scelto il Parco nuovo pel luogo peculiare in cui dovea erigersi e si eresse il monastero (c), come quello in cui fu ispirato
il nostro gran Re di fondar l’Abbazia e dedicarla alla immagine
di suddetta Nostra Signora d’Altofonte (da lui così denominata)
per la scaturiggine ben alta come sopra si è detto – in cui veneravasi effigiata, e perché quivi solea sovente il pio nostro fondatore trasferirsi per godere della caccia, cui era portatissimo. Lo
volle inoltre simile al chiostro fioriva in Aragona sua patria e
23
Il testo riportato dal Di Bartolomeo risulta lacunoso. L’originale del Lello è il seguente: “Il
Re Don Federigo à 28 di Giugno 1306 in Messina havendo fondata l’Abbadia di Santa Maria lontana sei miglia da Palermo, sotto un grande fonte, che però si chiama d’Altofonte, &
nel Parco del Rè Guglielmo II, che però si chiama del Parco, havendola fatta soggetta al
monasterio delle tre sante della diocese di Barcellona, trovandosi presenti Gualtieri di Manna Abbate di Santo Spirito di Palermo, & Gio. d’Oberto di Camerana, il quale li donò Partenico (dove era una terra del medesimo nome al’ tempo del Rè Ruggirei) con facoltà del Rè,
che ve se ne potesse fare un’altra (come seguì co’l nome di Sala) li donò molti beni, & particolarmente il monasterio di San Giorgio nella contrada di Palermo detta Kemonia dell’ordine
di San Basilio co’l fego, & casale di Casibili, & Abdelalì, & il Parco nuovo, dove haveva edificato l’Abbadia, & il Parco vecchio di Palermo; la quale donatione tornò il medesimo Rè
Don Federigo à ratificare per mano di Federigo Massasanta Cancelliero del Regno à 27 di
settembre del 1320 al detto Fra’ Michele primo Abbate.”
28
proprio nella Diocesi di Barcellona sotto titolo delle Sante Croci, serbante l’augusta tomba de’ regi suoi avoli aragonesi e Principi del suo sangue reale, epperò questo sottopose egli a
(a) Lello, loco cit. foglio 67
(b) Padre del Giudice, loc. cit., f. 52
(c) Fazello, Deca I , libro 8, foglio 175
16
quel di Barcellona da cui prese direzione, leggi e regolamenti,
come a filial monastero.
Pel decoro e sossistenza del prelodato Chiostro, convenendo la
dote, venne detto monarca su regia pargamena nell’indigitato
privilegio del 1306 a costituirvi e donarvi i seguenti beni:
Primieramente i due Parchi, vecchio, cioè, e nuovo, ville reali e
defense, siccome i luoghi destinati alle cacce dagli antichi nostri
sovrani serenissimi, colle campagne e feudi tutti di loro pertinenza, esistenti amendue cotesti Parchi, vale a dire il vecchio
(unitamente ai due palazzi della Cubba e Zisa, che in esso si alzavano fastosi) nel territorio di Palermo 24, prossimo all’abitato,
accerchiato allora di mura palizzate (ciò forse significando la
voce Parco, destinato in simil guisa ad uso delle cacce e specialmente per serraglio di fiere, solite mantenersi da’ monarchi
in mostra di lor grandezza) e il Parco nuovo, che trae cotesta sua
denominazione dal monte istesso chiamato Parco in cui surge la
terra, ossia paese, che tutt’ora fiorisce, del medesimo nome, sendo codesto uno de’ monti del territorio palermitano, che sta su
del monte dello Stato di Monreale, appellato volgarmente la Pizzuta.
Vieppiù, la picciola borgata ossia casale detta pria ovvero anticamente dell’Altofonte, indi del Parco, esistente nei dintorni di
suddetto monte del Parco, a cinque miglia distante dalla Capitale. Le anime che a dì nostri l’abitavano il padre priore de Amico
ce le porta assorbire il numero di 1222.
17
La foresta inoltre, il Bosco di Partinico, che in distanza di 6 leghe, ossia di miglia 18 dalla Dominante va a campegiare
coll’antica, esisteva terra al tempo del re Rugieri (a), avanzo
della città, che quivi era stata una volta anticamente col nome di
Partinico, da’ Saracini distrutta. Lo stesso contado pria di spet24
Il sito del Parco Vecchio sembra essere quello tra Santa Cristina Gela e Marineo come si
vedrà meglio in seguito.
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tanza dei fratelli di Avellano 25, indi poi del monastero di san
Bartolomeo di Lipari e allora in tempo di detta fondazione e dedica possesso dal detto pio Giovan di Oberto di Camerana, signore del Casale di Misilicurto, maggiordomo della regina donna
Eleonora, citata moglie del nostro re Federico (b), dal quale di
Camerana, per l’effetto di cotesta reale fondazione era stato dimesso e trasferito al Re nostro, riportato avendone egli da quel
giustissimo e generoso Monarca il corrispondente sorrogato e
compenso mediante l’assegnazione d’altri feudi nobili e notabili
feudi.
Concessesi del pari dal prelodato pio regal fondatore al monastero anzidetto intuitivamente alla detta donazione la potestà e facoltà di poter edificare nella succitata foresta una novella Terra
col nome di Sala di Partinico, come in progresso di tempo verificossi, adottando la denominazione anzidetta di Sala, che si crede
così ordinata dal Sovrano in onore e benemerenza del nobile oriundo spagnuolo capitan Sala, che in tempo di detta fondazione
si era cattata la regia benevolenza, ad effetto co’ servigi prestati
alla corona, mercé la di lui residenza e vigilante cura in essa foresta, quella felicitando con estirpar gli ladroni che la infestavano, ed altresì ovviando alle depredazioni de’ Turchi e ai danni
ancora recavano sovente alla medesima e loro pochi abitanti coloni nonché alle cacce regali. Non lasciano frattanto alcuni di
credere lo detto capitan Sala, signore di quel distretto di terra in
cui se ne ideò e stabilì di poi la formazione e fabrica della novella terra o pure che Sala appellavasi realmente cotale contrada. E
affinché il monastero avesse potuto a bella posta rinvenir degl’indi(a) Lello, Sommario de’ privilegi di Morreale foglio 67.
(b) Lello, Descrizione del Tempio di Morreale, p. 3 e n. 150
18
vidui onde fondarla, furon costoro in numero 100 famiglie per
espressa grazia affrancati da cadauna gabella e dazio per lo giro
d’anni cinque (a).
Beninteso, che il peculiar privilegio concesso dal prelodato re
Federico al nostro monastero intorno alla erezione di suddetta
nuova Terra baronale nella foresta 26 di Partinico e che appellar si
25
Avenello
Dei confini del Bosco di Partinico si riportano due descrizioni negli anni 1327 e 1502. (Anno 1327 – Archivio di Stato di Palermo Fondo San Martino delle Scale F2 B1613 Foglio
165): “Fines vero tenimenti foreste et nemoris partinici sunt hii: (videlicet): incipit divisio
a...que est in mari que vocatur calataiub et exinde itur ad vallonem q. dicitur di modica unde
currit aqua deinde vadit per viam qua itur apud montem regalem et transit per planum que
26
30
dovesse Sala, processe tre anni dopo la indigitata donazione e
fondazione della reale Abbazia e dato in Trapani addì 20 gennaio, 6a ind., 1309 e venne similmente rattificato e confermato
dai privilegi seguenti, spediti ed emanati dai regii successori del
nostro fondatore.
Più la Chiesa e monastero di s. Giorgio de Kemonia, degente in
Palermo nel quartiere dell’Albergaria vicino il monastero di s.
Giovanni Ermete, detto volgarmente degli Eremiti, unitamente a
tutti gli averi e possessioni a quella spettanti, consistenti cioè
nel feudo e casale di Casibili e Abdelalì (oggi corrottamente Rapitalà) dalla nostra Commenda nel 1800 venduto a don Vincenzo
Marù, e impiegato il Capitale nella compera del luogo del Crocefisso e poderi aggregati, come agli atti di notar don Marco Morici di Palermo, siccome in vigneti, case, giardini, censi, dritti e
raggioni tutte, e ciò a comodo e ospizio degli abati cisterciensi
suddetti, volendo abitar la capitale, coll’obbligo preciso però di
soggiornarvi alquanti padri e funzionarvi in detta chiesa, in supplire al difetto de’ monaci greci dell’Ordine basiliano, che per
l’addietro possedevano detto monastero e chiesa di Kemonia,
prima del sesto secolo tratta avea la sua origine e fondazione in
la suddetta Palermo. Si perdè indi ai tempi del primo re Rogieri
(a) Pirri, Sicilia Sacra, Tomo 2, foglio 1325
dicitur de finochio, pianura et postmodum pervenit ad locum... vallonem que dicitur donna
dominica et deinde ascendit usque ad serronem curresim et deinde descendit ad vallonem
de finocharis usque ad viam qua itur de modica apud discisam et postmodum vadit per viam
viam usque ad cristas que sunt supra indulcinum quod indulcinum nunc tenet ...montis regalis remanente (?) ...indulcino infra fines ...nemoris partinici et vadit per viam viam ... quadam crucem que est in medio vie usque ad vineam presbiteri petri de disisa quam vineam
nunc tenet ecclessia montis regalis... et postmodum ad quoddam gurgum aque postea ascendit ad quoddam serram ... et postmodum descendit per eandem serram usque ad falcunariam ubi est quedam via p. quam itur a panhormo ad desisam et modicam et postea
descendit per eandem viam usque ad flumen jati ubi erat molendinum quoddam de testa et
postea descendit per flumen flumen usque ad aquam que descendit de miritecto (?) et postea ascendit per vallonem vallonem miritecti (?) usque ad fontem rachalis et postea ascendit per ipsum fontem supra planum de pulicariis et postea vadit per timpas timpas de plano
pulicarioris(?) usque ad transitum aque que venit de merito ubi est quedam via que descendit de merito usque ad sanctam disam et postea ascendit per vallonem vallonem que
dicitur de...ascendendo usque ad palearia...masserie et mandre que tenet ...fratris jordani et
postea vadit ad fontem que dicitur de ficu et postea descendit de fonte p.quendam vallonem
qui dicitur de timpa rubea et postea descendit ad quendam violum qui est sub terram de
rubuli et postea per ipsum violum vadit ad quemdam lapidem vocata petra grossa edificium
burgecti et postmodum vadit ad viam que itur ad montem regalem et postmodum per ...viam
usque ad vallonem que dicitur gualdicassar et postmodum descendit per ipsum vallonem
seu flumen usque ad mare et postmodum p.litus litus maris pervenit ad locum unde incepsa
est divisio supradicta.”
Anno 1502 (Archivio di Stato di Palermo Fondo San Martino delle Scale F2 Busta 1567 Foglio 199): “...a vallone Gued Elcassaro usque ad vallonem calatacubi incluso eodem tenimento calatacubi cum eius pertinentiis et ascendendo per...vallonem calatacubi descenditur
ad casalem indulcini incidendo per timpam casalis disise, descenditur a flumine Jati et deinde ascenditur ad casalem mirtetti quod cum omnibus pertinentiis suis in eadem foresta et
defensa includitur et deinde per montem Partinici proceditur et tenditur ad ...primum vallonem Gued elcassaro.”
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19
figlio del liberatore Gran Conte dell’istesso nome, da cui venne
reedificata per servir da cimiterio al real duomo di palazzo, sotto
titolo di S. Pietro, così dal privilegio di detto monarca Rogieri,
dato in Palermo l’anno 1140 (a).
E finalmente la chiesa denominata di s. Giorgio esistente in detta
capitale Palermo, oggi Molo di quella marina, con godere la nostra Abbazia e di lei abati all’anno dalla tonnara di essa chiesa,
che portava lo stesso nome di s. Giorgio, la quantità di barrili
cento di tonnina preparata e salsa.
Non mancò pure il piissimo real fondatore, a parte di suddetta
donazione de’ beni, di concedere alla nostra Abbazia in larga
copia e generosamente, anco con l’attrasso de’ suoi regii dritti e
proventi (oltre l’addotta grazia di erigersi la nuova Terra) de’
sommi e speciali privileggi onde sossistere e mantenersi splendida sempre e ricca ne’ tempi avvenire e rendersi invidiabile a
cadauna altra Abbazia e Commenda del Regno, ammirandosene
insiememente col girare de’ secoli la sua regia munificenza.
Son dessi privileggi i seguenti:
- primo: di poter liberamente una barca del monastero pescar
sempremai nei mari e porto della capitale Palermo affin di provvedersi diariamente del pesce e ciò franco dei pesi e dazii di dogana ed altri qualunque si fossero spettanti alla regia Corte;
- secondo: la stessa similmente generale ampissima franchigia
accordossi al monastero d’ogni sorta di gabelle, dogana, cassia,
assisa ed altro, per quello concerne il distretto di Partinico non
solo e Parco, ma benanco per tutta l’Isola, sopra i viveri, animali
e generi di qualunque specie, a condizione che sieno spettanti e
provenienti all’Abbazia e di lei monaci, dalle loro massarie, poderi e pertinenze civiche e rusticane;
(a) Pirri e Mongitore: Not. Cap. Divi Petri, fol. 4 e 5
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- terzo: per conservarsi illese le giurisdizioni, dritti e interesse di
suddetto monastero intorno all’acqua fruiva il medesimo dal suo
contado del Parco, non tralasciò lo zelante e amorevolissimo sovrano con sue reali lettere, in data delli 8 luglio 1312, sciolte in
Messina, d’inculcar severamente ai Ministri giustizieri di Palermo di gastigare e raffrenar coloro che, con temerità, si fossero
fatti lecito di usar e usurpar di quell’acqua in pregiudizio del
monastero e Abati e de’ loro sommi interessi;
32
- quarto: pensò altresì la regale accuratezza del non mai abbastanza commendabile Monarca di custodir la persona delle genti
e famigliari del monastero, con accordargli l’apportazione
dell’arme vietate per la propria difesa, e ne sciolse un suo regio
diploma in Palermo li 27 aprile 15a ind., dell’anno 1318;
- quinto: anzi a magior cautela dell’anzidetto monastero si accordò da quel Sovrano benignissimo la facoltà di fabricar un fortalizio nel casale della Sala e Bosco di Partinico, come si rileva
da una regia carta segnata in Palermo li 21 maggio del succitato
anno 1318; credendosi verisimilmente codesto fortalizio essere
stata fra tante, che ancora s’innalzano, più rispettabile la magnifica torre del Ballo (oggi attaccata e interna al regal Casino e
pria de’ marchesi di Grammontagna) la qual contiene ben otto
stanze superiori e altrettante inferiori, con porta inferriata, premunita a dovere di forti volte, che naturalmente servì di ospizio
ai padri del monastero, forse quivi eretta perché vicina alla chiesa di esso luogo e poco lungi dal Castellaccio, da cui era custodita e guardata;
21
- sesto: a codesta novella terra di Sala di Partinico fu parimenti
concesso il privilegio di respingere in rame la propria marca, segno ossia stemma conforme lo godono le terre baronali, come
per lettera e concessione reale date in Messina li 30 luglio del
1320. E di fatti levava l’Aquila Palermitana. Lo geroglifico poi
peculiar del suo stemma Partinicoto ci resta ancora ignoto affatto, perché la carta reale non lo individua;
- settimo: dall’istesso augusto fondatore, con altro suo privilegio
in favore del nostro monastero e Abbazia, dato in Catania li 6
maggio 1321, si venne ad accordar l’ampia e generale esenzione,
franchigia e libertà d’ogni sorta di gabelle e regie dogane in ogni
e qualunque caso di voler comprare e vendere, immettere in regno ed estrarre altresì per fuori territorio tutta sorta di robbe di
panni, tele ed altri generi e cose attinenti a coprir la persona, che
i monaci, servi e loro terrazani faranno in tutti i luoghi e città
del regno per uso delle loro vesti necessarie, a parte già sempre
di aver omologato nello stesso privilegio e carta reale, anzi aver
rinnovato accortamente il precedente privilegio della franchigia
accordata al monastero di tutte le sue pertinenze come sopra annoverate e considerate;
- ottavo: in suddetto magnifico privilegio del 1321 a magior
comprova della regia deliberazione e volontà, confermato ed approvato altra volta dallo stesso pio fondatore nella città di Catania, con carta delli 5 luglio 1332 e tal rattifica ed approvazione
fu parimenti indi omologata e confermata dal Re Pietro 2, di lui
33
figliuolo, con diploma reale dato in Messina, addì 18 di agosto
dell’anno 1340;
22
- nono: dal precitato re Pietro Secondo (allora Infante reale) fu
commendato al capitano giustiziere di Palermo il nostro monastero e Abbazia di Altofonte, vale a dire posto lo stesso su la valevolissima protezione di un sì potente ministro onde non venir
leso, anzi manutenuto nelle sue giurisdizioni e ragioni riguardo
alle di lui possessioni e dominii, come per lettere reali date nella
città di Polizzi li 10 maggio 1322, nelle quali si descrivono i
confini dello Stato del Parco, controversi allora da monsignor
Arcivescovo di Monreale, tenendo quindi detto capitano giustiziere la giurisdizione sopra Parco e Partinico in forza delle lettere indigitate (a). Donde fu che in progresso fu considerata la nostra patria per quinto quartiere di Palermo.
(a) Capitoli del Senato Palermitano, edizione del 1766, fogli 8,9 e 10.
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Capitolo III
Serie storico-cronologica degli abbati di Santa Maria
d’Altofonte conosciuta sotto vocabolo del Parco e Partinico.
Fondata già, come sopra si è detto, la nostra venerabile regale
Abbazia di Santa Maria d’Altofonte conosciuta sul vocabolo del
Parco e Partenico, ben è dovere che adesso si sappia la serie de’
suoi abbati e commendatarii dal suo principio sino al dì d’oggi,
per quanto se ne ricava dal Mongitore appo il Pirri nella di lui
Sicilia Sagra.
1 – Del primo, dunque, abbate che abbia avuto la ridetta Abbazia
non occorre dirne di più di quanto se ne disse nel precedente capitolo. Si sa purtroppo essere stato il cisterciense fra Michele, né
più di ciò ne rapportano gli suddetti due scrittori di Pirro e Mongitore. L’anno della di lui elezione, che correva nel 1306 alli 11
di giugno, fu quell’istesso dell’epoca della di colei fondazione
sotto il pontificato di Clemente V.
2 – Fra Pietro Guzio, cisterciense, ancora ne fu il secondo abbate, insignito nell’anno 1318, sotto il regno dell’istesso nostro
Federico 2 e pontificato di Giovanni XXI. Vi si rese meritevole
troppo a cagion de’ privileggi. Il suo stemma gentilizio è una
barriera, al di sopra una fenice e al di sotto fra due cipressi un
cane, come dal Mugnoz, Tomo 2, foglio 38.
34
3 – Fra Paolo, terzo abbate cisterciense, sotto il regno di Pietro
II e pontificato di detto Giovanni XXI. Desso fu Arcivescovo di
Morreale sul 1328. Sebbene Lello nelle vite degli Arcivescovi di
detta città, a foglio 32, lo voglia intruso. Di lui se n’ha la iscrizione su d’una porta della di lei chiesa cattedrale, la qual ce lo
conferma nostro Abbate nei sensi seguenti:
24
Anno Domini 1328, XI ind., opus factum est tempore fratris Pauli Abbatis S. Marie de Altophonte. Lo stemma di questo reverendissimo abate ci è ignoto.
4 – Fra Pietro Gaetano, cisterciense e quarto Abate del nostro
monastero, creato al 1340, sotto il regno dell’indigitato re Pietro
2 e pontificato di Benedetto X detto XII, ebbe la dignità di regio
cappellano, brigò detto anno la conferma ed emologazione regale
de’ privilegii del monastero che reggea, sendo benemerito molto
al prelodato re Pietro. Per stemma respingea due fenici e sei barriere.
5 – Qual nome abbia avuto il quinto abbate di nostra Abbazia
che fiorì nel 1341, dopo detto fra Pietro Gaetano, per fatali combinazioni ci è ancora ignoto, né alcuno de’ scrittori sa darcene
contezza. Dalle lettere dell’Ill.mo allora e adesso Ecc.mo Senato
Palermitano spedite al re Pietro 2, per la chiestagli grazia di farsi la collazione di questa nostra doviziosa Abbazia non se ne deduce il nome, ma si dice soltanto nella persona di un cittadino di
Palermo, e ciò in detto anno 1341. Lo stemma ancora di questo
prelato non è alla nostra cognizione.
6 – Fra Giovanni, cisterciense, fu il nostro sesto abbate
d’Altofonte. Si ha di costui solamente contezza nella lite verteva
allora al 1397 tra di lui qual abbate e il venerabile gregoriano
monastero di San Martino delle Scale di Palermo onde fissarsi i
reali e veri confini di nostra Partinico co’ feudi del Borgetto,
pertinenza dello stesso San Martino. Ciò dovette avvenire sul regno di Maria, figlia di Federico 3 e moglie di Martino I. Ci è
quindi ignoto di questo abbate l’anno della sua elezione e ben
anco lo stemma della famiglia.
7 – Fra Rainaldo di Lezione, cisterciense, priore di Santa Lucia
di Montagna, sul regno di suddetta Maria figlia di Federico 3 e
consorte di Martino I, passò ad essere il settimo nostro abbate
sul 1396, pontificato di 27.
25
27
manca una riga
35
Di questi abbate nel 1413 si hanno pubblici monumenti nella regia cancelleria.
8 – Giovanni Pontecorona, palermitano, venne eletto in ottavo
nostro abbate nell’anno 1413 dalla regina Maria, governatrice
del Regno, e nell’interregno di Martino e Ferdinando I di Aragona, detto il Giusto, sul pontificato di Giovanni XXI detto XXIII.
Credesi aver egli rinonziato questa Abbazia per non pregiudicar
e togliere il legittimo dritto ai poveri Cisterciensi. Godè per altro
la dignità di canonico della cattedrale di Palermo e quell’altra
più insigne di ciantro della medesima, sul 1420. Leva per stemma un fiume, nel cielo una stella e al di sopra, una corona.
9 – Fra Giovanni di Stefano, cisterciense, fu il nono abbate
ch’abbia goduto l’Abbazia nostra e che gloriosamente si fe’ distinguere sul 1424, regnando Alfonso detto il Magnanimo. Insiememente alla suddetta dignità ebbe quella di cappellano maggiore di questo Regno. Fiorì in talento e l’anno anzidetto fu adibito ad aggiustar le liti insorte tra l’abbate e monaci del monastero di Santa Maria la Noara. Collo stesso incarico abbisognò di
poi farla da giudice compromissario fra le controversie occorsero tra l’Arcivescovo di Palermo e Michele cancelliero, pel beneficio di San Giacomo la Mazara, ch’era di regio patronato, definendole giuresperitamente nel 1428. Finì di vivere l’anno 1435
in qualità di giudice Conservatore del gregoriano monastero di
San Martino delle Scale di Palermo, stato eletto l’anno precedente da papa Eugenio 4. In seguito alla morte di questo prelato insigne e decorato abbate, fu chiesta la nostra Abbazia o ne principiò la interruzione e a conferirsi la medesima non più a persone
chiesiastiche, ma a secolari, contro la mente del regal privilegio
dell’ordine, e quindi ne venne dichiarata Abbazia commendataria
tenendo nel monastero i seguenti di lui abbati l’osservanza
dell’istituto e il servigio della parrocchia del Parco, non altro
contribuendo ai poveri monaci se non se
26
i scarsi alimenti, e quindi, poco curanti questi dell’istituto, si resero monaci di solo nome e retinenti il solo abito cisterciense,
degenerando dall’esemplare loro regolarità e divozione. A dì nostri poi finalmente, attesa la poca loro osservanza, furono sul
1770 anche coll’opera e zelo del degnissimo monsignor Francesco Testa, arcivescovo di Monreale, dimessi dal monastero del
Parco e in esso sostituiti i reverendi cappellani per la cura
dell’altare e parrocchia di quel paese, come tuttora assistono lodevolmente a profitto spirituale dell’anime, e vi ha nel 1800 accomodato in esso un decente quartino e appartamento per uso e
comodo di Sua Altezza Reale il principe don Leopoldo di Bor36
bone, odierno nostro illustre commendatario, e del di lui troppo
degno cavaliere don. Felice Lioy, regio Intendente Generale della commenda della Magione. Lo stemma di suddetto Stefano abate è quello di un albero di pegno a cui vi si avventa un lione.
10 – Ugone de Cordova fu il X abbate, che fiorì al 1435, sotto il
regno di detto Alfonso e pontificato di Eugenio 4, veneto. Tutto
s’ignora di costui, malgrado le praticatesi diligenze. Levò per
stemma tre fiori, situati due al di sopra ed un sotto.
11 – Fabrizio Sottile sortì in undecimo nostro abate dietro la
morte del di lui predecessore Ugone, e ciò l’anno 1436. Cittadino palermitano, sul regno ed azione del prelodato Alfonso
d’Aragona e pontificato di detto Eugenio 4. L’arma gentilizia del
di lui casato è quella appunto di un’aquila coronata.
12 – Fra Giacomo de’ Tedeschi, nobile catanese e nostro insigne
siciliano, successe in abbate al precedente Sottile nell’anno 1438
sul dell’indigitato re Alfonso, figlio di Ferdinando il Giusto, e
pontificato di suddetto Eugenio 4. Pure pel di lui monito ottenne
anco la prelatura della città di Messina. Fu regio consigliere: ottenne, sendo abbate nostro, la franchigia per anni sei
27
d’ogni regia colletta in favor de’ suoi Stati abbaziali, a parte già
delle franchezze, privileggi ed assenti, che antecedentemente
godeva il cisterciense suo monastero, in forza di quanto si espressò nel capitolo della fondazione. Lo stemma di questo abbate è un albero con d’ue rami sopra d’una barriera.
13 – Giovanni Bernardo Leofante riportò la elezione di XIII abbate d’Altofonte l’anno 1456, da surriferito re Alfonso, sotto il
pontificato di Calisto 3, spagnolo. A di lui istanza fu transontato
e ridotto a gli atti pubblici il privilegio a pro della sua Abbazia,
d’ordine del re Pietro 2, emanato sul 1340, e ciò appo le tavole
di notar Giorlando Vergelito di Palermo, l’anno 1456. Il di lui
stemma è un elefante.
14 – Niccola Leofante, nobile palermitano, venne creato in XIV
abbate dal suddetto re Alfonso con reali lettere date in Foggia
città del regno di Napoli, addì 15 giugno del 1457, sotto il pontificato di suddetto Calisto 4, da Valenza. Attesa la pienezza de’
suoi meriti, fu inoltre insignito dal mentovato Monarca degli uffici di usciere e falconiere maggiore dell’istesso sovrano e della
più eccelsa carica di luogotenente di Mastro Giustiziere del Regno. Contese molto con essolui il Senato palermitano, pel privilegio ottenutone i di lui cittadini (Federico terzo, dato in Messina li 25 feb. 1306, 4 ind.) di poter fare dei legna nei territorii di
Parco e Partinico (a) per uso di loro case, contrastato da detto
abbate, ma cedè quindi poi nell’opposizione suddetta di molesta37
re i Palermitani. Morì finalmente a 7 ottobre 1486 coll’onore di
essere stato egli il magior privilegiato de’ suoi abbati antecessori, giacché in retribuzione de’ suoi fedeli servigii prestati alla
corona, si rese concessionario del jus di regio patronato su la
collazione della nostra Abbazia, coll’espressa facoltà di liberamente tramandarlo a suoi posteri abbati d’Altofonte, nonché di
casa Leofante, per grazia singolare accordatagli detto re Alfonso, con diploma dato in detta città di Foggia, della Capitanata di
Napoli, li 15 giugno 5 ind., 1457, come rapportasi dall’
(a) Del Vio, Priv. Pan. foglio 39
28
Inveges, nel di lui Palermo Nobile, nell’apparato, a foglio 86. Lo
stemma poi di questo nostro abbate è lo stesso elefante di sopra
indiziato.
15 – Giovan Goffredo Balves, di nazion francese, benedettino
della Congregazione cloniacense di Borgogna, sul 1487. Fu questo nostro abbate, che successe al surriferito Leofante, giusta la
elezione riportatane da Ferdinando II il Cattolico, reggente il sacro trono di Piero Alessandro VI, spagnolo, ed in quel tempo appunto in cui esso Balves godeva della dignità di cardinale di santa Chiesa, e quell’altra di confessore dell’XI Luigi, re di Francia,
e similmente di quella di Vescovo nel Ducato di Angiò. Ne morì
egli alla fine in Roma nell’ottobre del 1491.
16 – Giovanni Sanchez, cesaragustano, ossia di Saragozza di Aragona, fratello di Luigi, tesoriere del nostro Regno alla morte
del Balves ne occupò il luogo in qualità di sestodecimo abbate
eletto dal prelodato sovrano Ferdinando 2, sul pontificato di
Giulio 2, da Savona, e crebbe e avanzossi sempre in magiori onori in Sicilia. Qui, da cameriere apostolico in cui fioriva, la fe’
da ciantro della regia cappella di san Pietro in palazzo, indi poi
da priore di Sant’Andrea di Piazza. Promosso al 1506 alla nostra
Abbazia la chiuse col Vescovato, che acquistossi di Cefalù. Respingeva il suo stemma fra quattro barriere un lione.
17 – Francesco Sanchez, cittadino palermitano, fu il decimo settimo abbate, ch’abbia vantata la nostra Altofonte l’anno 1520,
creato da Carlo V imperadore, sotto il pontificato di Leone X,
fiorentino. Vantossi costui del grado di canonico della chiesa di
palazzo e ciantro ancora della collegiata di san Piero di detta regia, oltre del priorato, nel Regno, di Sant’Andrea di Piazza, godendo similmente le uguali dignità del suo antecessore Giovanni
Sanchez. Eresse nella chiesa del suo monastero nella terra del
Parco, la
38
29
Cappella in onor del Natale di Nostro Signore, cui fu apposta in
marmo l’iscrizione, che siegue: Franciscus Sanchez istius Monasterii perpetuus commendatarius me construit anno 1522 28.
Null’altro di più se ne sa di costui.
18 – Scipione Rebiba, di eterna nostra ricordanza e gratitudine,
fu quel decimottavo illustre abbate, che decorò l’Abbazia
d’Altofonte, colla elezione che ne ottenne sul 1568 da Filippo 2
Re di Spagna, sotto il pontificato di Pio V, d’Alessandria. Fu costui nativo della terra di San Marco nostro siciliano, sebbene il
Chiarandà lo voglia della città di Piazza nel nostro Regno, di cui
il Pirro nella sua Sicilia Sagra punto non se ne incarica. Il veritiero onesto uomo e regio storiografo nostro signore conte Emmanuele marchese di Villabianca asserisce, per la sincera assicurazione fattagli il difonto parroco don Giuseppe Iugnino, che il
Rebiba, conferitosi nella capitale ragazzo, dalla sua patria di San
Marco, attesa la di lui povertà si diè per vivere a farla da sagristano nella chiesa parrocchiale di Castellamare di essa Palermo e
che mercé le sue insigni virtù, gli ottimi suoi morigerati costumi
lo portarono debitamente all’eminenza delle seguenti illustri dignità. Fu desso onorato della porpora cardinalizia di Chiesa santa nel 1559. Abbate altresì di San Filippo il Grande, ristorò egli
le fabriche cadenti del monastero cisterciense del Parco, vi eresse dentro l’atrio del medesimo il fonte marmoreo, e ciò si rileva
dall’affissa lapide in esso fonte sul tenore infrascritto: Cardinalis Pisan familiae de Ribiba sacrario, domibusque, restauratis
tunc ab lato fonte deduxit anno 1573 29.
30
Costui di Rebiba zelantemente fu quell’abbate, che passò alla elezione del primo reverendo arciprete di nostra Partinico in persona del sacerdote don Pietro Lombardo, come nella cronica degli arcipreti della nostra madre chiesa sarà per divisarsi. Cotesto
gran cardinale ed abbate, qual nostro nazionale siciliano, fu pure
Vescovo di Troja nella Capitanata del Regno di Napoli, e di Sabina in Romagna e Inquisitor Supremo del Tribunale del S. Officio, ultima carica con cui chiuse gloriosamente i suoi dì a 24 luglio dell’anno 1577 e 73 di sua vita, assalito da soffocazione, a
cagion di sua somma pinguedine. Il di lui cadavere fu posto a
giacere nella chiesa di san Silvestro al Quirinale col seguente e28
Francesco Sanchez, perpetuo commendatario di questo monastero, mi ha
costruito nell’anno 1522
Il cardinale Pisano della famiglia Rebiba, avendo restaurato il sacro edificio,
vi addusse l’acqua nell’anno 1573
29
39
pitafio: Scipioni Rebiba siculo Episcopo sabinensi S. R. E. Cardinali Pisanum, integritate, doctrina, religione prestanti, haereticae pravitatis Inquisitori summo fidei orthodoxae acerrimo
propugnatori, Prosper Rebiba Patriarcha Costantineapolitanus
et Troie Civitatis Episcopus patruo benemerent. maestissimo posuit. Vixit annos 73 obiit die 24 Julii 1577 30. Due mazze incrociate forman lo stemma del nostro Rebiba.
19 – Antonio Marino de Pazos, di nazione spagniuolo da Compostella, capitale di Galizia e del villaggio, nativo ignobile di Protovedere, fu che, al 1580, occupò qual decimonono abbate, la
nostra abazia, sotto il regno di Filippo II, Re di Spagna, e pontificato di Gregorio decimoterzo. Si rese questi chiarissimo e ricolmo di sommi onori, priaché assonto fosse stato alla detta Abbazia mercé i talenti e dottrina di cui era adorno, in la più alta
sfera. Resse il Tribunale della Santa Inquisizione di Fede in Siviglia e in Toledo nell’Iberia. Fu Vescovo di Patti, nel nostro
Regno, indi traslato al vescovado di Avola e di Cordova nella
Spagna, godè della carica di Presidente
31
del Supremo Conseglio di Siviglia suddetta. Frattanto con sì cariche eccelse, a rendersi più luminoso presso il suo protettore Filippo suddetto, che lo guardò di buon occhio, siccome ad impinguarsi vieppiù malgrado le sue larghe dovizie, pose in impegno
la revoca alla sua azienda badiale di tutti i fondi, che la componevano e ch’erano stati dati antecedentemente a censo alla ragione di tarì 8 e taluni a tarì 6 salma (giusto perché allora trovavansi boschigni ed incolti). S’istituirono a tale oggetto de’ competenti giudizii, ma quindi a carico della potenza, non prevalendo la ragione de’ sudditi coloni, si pattuì il canone regolarsi e
aumentarsi a tarì 24 la salma per le terre, ed unico terragiolo ed
ottina della frutta di vigna, affrancando affatto i frutti d’ogni genere di albero e massime dell’ulivi. Se ne stipolò di tal concordato legal transazione appo gli atti del notar Antonio Occhipinti
di Palermo, su li 17 luglio, X ind., 1592 e ne seguiron anco dappoi dell’altre transazioni consimili, presso le tavole di notar
Giuseppe Sapienza di detta capitale nel corso della stessa indizione, agli atti stessi del divisato Occhipinti, li 21 di detto luglio
1582, come altresì seguinne il reale assenso interposto da S. E.
30
Prospero Rebiba, patriarca di Costantinopoli e vescovo della città di Troia,
pose (questo sarcofago) in onore dell’afflitto zio paterno, ricco di meriti, Scipione di Rebiba, vescovo siciliano di Sabina, cardinale Pisano di Santa Romana Chiesa, eccellente per integrità, dottrina, religiosità, Inquisitore della detestabile eresia, acerrimo propugnatore della fede ortodossa. Visse 73 anni, morì il 24 luglio 1577
40
Viceré Marcantonio Colonna, procuratore seriamente creato a tal
uopo dalla Maestà di suddetto Filippo 2, in forza di lettere regali
della Cancellaria, date a 10 aprile del 1581 ed esseguite in Palermo li 10 gennaio del 1582, come si espressa a piè dello indigitato atto di transazione in detto notar Occhipinti, detto giorno 21
luglio 1582.
A perpetua cautela degli enfiteuti si ricuperò ben anco la Paolina
della Santità di papa Gregorio XIII, data in Roma, li 8 febbraio
del 1583, essecutoriata in Palermo a 23 marzo dell’istesso anno e
ne seguì finalmente in conferma di sì gran transazione formal
sentenza, profferita dal delegato apostolico monsignor Ludovico
de Torres, Arcivescovo di Morreale, che venne transuntata in Palermo da notar Giacomo Lavaggi, li 7 luglio del detto anno 1583,
avverso i contravventori di essi accordii.
32
Illese soltanto si resero dal comune augumento ed esenti da tal
transazione le possessioni denominate di Gambacurta Raccuglia,
ossia Salvini, attaccate alla nostra città, che in detto anno 1582
si tenevano da Leonardo de Scorza, da cui a tutta possa si resistì
legalmente alla pretesa dell’abbate, ed oggidì i di lui successori
corrispondono alla nostra azienda l’antico tenue censo. Dessi sono il barone don Pietro e donna Antonia Puccio, erede questa del
difonto don Emmanuello Raccuglia e Salvini, di lei primo marito, e quello del consorte secondo e dotatario della medesima
donna Maria Antonia.
L’autor veramente della regolazione e aumento del canone annuale di suddetti fondi badiali a carico de’ censualisti non fu in
realtà il de Pazos abbate, ma la suggestione del di lui procurator
generale dottor don Giovan Battista Salamone e di lui subalterni,
a magiormente godere della grazia del suo costituente. Pagarono
frattanto costoro il loro fio di tanta dannosa novità con prossima
morte e miserabile fine, e il loro capo, vale a dire il Salomone la
finì da forsennato, stante la morte seguita del suo costituente,
epperò cadute le sue speranze ed estinte le sue fortune, oltre
all’odio attiratosi dalle due popolazioni Abbaziali.
Chi brama poi più largamente venir a lume del deplorabile fine
di suddetti ministri, promotori di suddetto aumento de’ censi, riscontri il Di Giovanni nel suo Palermo ristorato, libro 4 fogli
275 e 276. Lo stemma del nostro de Pazos è un mascherone di
etiopo con ciuffo e mustacchi.
20 – Simone Tagliavia, Aragona, Ventimiglia, Emanuele e Moncada venne creato a vigesimo abbate d’Altofonte dal prelodato
beatissimo padre Gregorio XIII, nel 1595, regno di suddetto Fi41
lippo 2, Re della Spagna. Nacque egli a 20 maggio del 1550 in
Castelvetrano,
33
terra di nostra Isola e nella Val di Mazara, vassallagio di proprio
retaggio di sua chiarissima famiglia. Il difonto duca di Terranuova Carlo Tagliavia, detto magnus siculus, e Margarita Ventimiglia jugali furono i suoi genitori. Fu degnissimo chiesastico
e, mercé l’aura di suo gran padre e per il suo gran merito, giunse
al grado di cardinale di santa Chiesa nel 1583, in età di 33 anni,
godé la carica insigne di commendatario della Maggione e insiememente poi abbate di altre due chiese in Sicilia, cioè S. Angelo di Brolo e Santa Maria della Noara. Finì di vivere in Roma
a 20 del mese di maggio dell’anno 1604 d’anni 55 e venne sepolto nella Chiesa del Gesù. Leva per stemma un pegno, tre barriere, un’altra laterale, due lioni, due bracci, che impugnano spade,
otto occhi o, a dir meglio, otto O.
21 – Ascanio Colonna, romano, figlio di Marcantonio Colonna,
stato viceré di Sicilia e di Felice Orsini, jugali, venne eletto in
nostro vigesimo primo abate in seguito alla morte del sopradetto
suo predecessore l’anno stesso 1604 reggendo il freno apostolico
la santità di (sic)
sotto il regno di Filippo 3, Re di Spagna.
Ebbe altresì conferita in sua persona l’altra Abbazia di Santa
Maria della Noara, lo stesso anno, e fu ben anco cardinale di
Chiesa santa. Chiuse i suoi dì gloriosamente in Roma li 17 maggio del 1608. Lo stemma di sua famiglia è quello appunto d’una
colonna con al di sopra un diadema.
22 – Andrea Mastrilli occupò il vigesimo secondo numero de’
nostri abati pella riportatane elezione del Re Filippo 3 suddetto,
addì 5 novembre 1608, seguita la morte del Colonna, e sotto il
pontificato di
(sic)
. Fu desso per privilegio, palermitano, ma nativo della terra di Golisano del nostro Regno. Quando
fu creato in abate resedeva in Spagna presso la corte col grado
eccelso di regio appellano. Ristorò il refettorio minacciante rovina del suo monastero de’ cisterciensi nel Parco, in cui di presente se ne veggono i marmi continenti lo stemma di sua famiglia Mastrilli, che sono: un leone, una barra grande, con uno
scorpione e una quasi M. La iscrizione
34
che portano i detti marmi è la seguente: D. Andreas Mastrilli
Abas 1616 (a). Passò indi ad occupare il vescovado della città di
Messina.
42
23 – Giovanni Pirrello fu quel vigesimo terzo abbate, che
s’ignora dal Pirri nella sua Sicilia Sagra, e venne eletto da Paolo
V Sommo Pontefice, sotto il Regno di Filippo 3 a dì 16 marzo
1614. Null’altro si sa di questo nostro prelato.
24- Scipione Borghese, romano di nazione, ottenne la nostra Abbazia sul 1618 qual vigesimo quarto abate sotto il regno di detto
Filippo 3, Re di Spagna, e pontificato di (sic)
fu
costui nipote per parte di sorella della beatitudine di papa Paolo V,
godé fastoso della porpora cardinalizia e delle mitre vescovili di
Sabina e Bologna, ristorò decentemente la chiesa del Parco occorrendo alla di lei minacciante ruina. Su la porte del tempio
leggesi quanto siegue: Scipio Cardinalis Burghesius Pauli V
Pont. Max. piiss. munificentis. nepos, Abbas Sanctae Mariae de
Altophonte magni umani insignis in eum pietatis, eo in Cistercensium familia, beneficentia, templum hoc a fundamentis excitatum AE.S.P. anno salutis 1632. 31
Morì finalmente in Roma il nostro Scipione li 2 ottobre del
1633. Ed il suo stemma levava due aquile l’una sotto l’altra con
in capo una corona e in loro mezzo una barca.
25 – Il serenissimo arciduca don Sigismondo d’Austria tuttoché
tenerissimo di età fu quel nostro chiarissimo vigesimo quinto
abbate, che illustrò e decorò l’Abbazia colla riportatane elezione
del 1635, governando per lui e gloriosamente amministrando la
stessa la di lui augusta sempre arcidechessa madre e signora
Claudia de Austria, e ciò sotto il pontificato di (sic)
e regno
di Filippo 4, Re di Spagna. In questo glorioso soggetto, così piacendo a Dio, si estinse l’augusto ceppo della Casa austriaca del
ramo degli illustri duchi di Ausburgh del Tirolo in Germania,
chiudendo i giorni l’anno del 1665. Ottenne questo principe abbate dalla munificenza di Filippo IV,
(a) Si dubita apposta per errore la data del 1616 a cotesta lapide, qual almeno
avrebbe dovuto portar quella del 1610, per non luttare colla data dell’elezione del
di lui successor abate Pirrello al 1614, tempo in cui non esistea più abate il Mastrilli. Pure anche la data dell’elezione di detto Pirrello, a mio avviso, patisce altresì della contraddizione manifesta, creder dovendosi anche erronea: giacché il
successor del medesimo che fu incontrastabilmente l’abate Scipio Borghezio al
sommo ne debbe occupar la carica al 1610 e non già al 1618, come vuole il Pirri
da noi seguito, mentre sul governo di questi cardinale commendatore si leggono
stipolati vari istromenti di concessioni enfiteutiche di questo fondo badiale, agli
atti di notar Vincenzo Ferranti di Palermo, li 17 novembre, XI indizione, 1612, in
seguito della potestà per esso chiesta e accordatagli il Re cattolico Filippo di
Spagna, con regio biglietto dato in Madrid a 27 marzo 1611, esecutoriato in Re31
Il cardinale Scipione Borghese, nipote del munificentissimo e piisimo pontefice massimo Paolo V, abbate di Santa Maria di Altofonte.costruì questo tempio a sue spese, dalle fondamenta nel 1632, per manifestare la sua grande
affezione e per beneficare la famiglia cistercense.
43
gno li 5 giugno 1612. E però volendo assentar l’epoca delle elezioni e del Pirrello e del Borghezio, quella sarebbe espediente crederla apocrifa (giacché il Pirri
non porta affatto questo abate e se vogliam crederlo col Mongitore, fol. 106 allora erronea) e se vera sul 1610 e non al 1614 e questa del Borghezio contemporanea al 1610 o 1611
35
monarca delle Spagne la esenzione e franchigia per anni sei delle
tande regie dovute su l’Abbazia di Parco e Partinico con real
carta data in Madrid li 5 dicembre del 1637, esecutoriata in Palermo li 18 aprile 1640. Sotto il suo felicissimo governo e per
effetto di sua beneficenza e generosità, come a pio cristiano, si
edificò dai fondamenti la nostra madre chiesa in questa forma
che esistì sino al cadere del passato secolo, in cui venne alquanto ingrandita nella foggia, che adesso fa ravvisarsi. E’ vano qui
di annoverar distintamente gli effetti della sua larga munificenza
e carità usata coi vassalli, e le illustri doti, che il fiancheggiarono mai sempre, degne tutte di eterna ammirazione, perché figlia
di un germe di un eccelso sovrano. Lo stemma gentilizio è quello
di due barre apposte in campi diversi.
26 – Francesco Maria Medici, figlio di Ferdinando 2, Gran Duca
di Toscana, a riguardo di sì gran padre, ancorché fanciullo tenero, ad esempio del di lui predecessore, conferita ebbe nel 1666
l’Abbazia nostra d’Altofonte, disimpegnandola egli qual vigesimo sesto abbate, e decorandola illustramente, e ciò sotto il regno
di Carlo 2, Re di Spagna e pontificato di (sic)
fu desso cardinal di Chiesa santa, ristorò in Palermo la chiesa di san Giorgio
de Kemonia, con accrescerla insiememente di decenti ornati,
perché stava cedendo, atteso l’irremissibile tarlo de’ secoli. Nella marmorea lapide ivi affissa leggevasi la seguente iscrizione:
A.M.D.P – Quod bonum, faustumque felix Carolo II Hispaniarum et Siciliae Rege, Franciscus Maria Princeps alter magni
ducis Etruriae Ferdinandi II filius, sanctae Mariae Altiphontis
Regio ex munere Abas religionis gratique animi erga sacram
hanc aedem post alias munificentia haud regi penitenda instaurandam, exornandam, ditandam curavit. Anno 1676 32.
A conservarsi la sua sovrana progenie de Medici, come che allora scevra di maschia prole, fu duopo ammogliarsi in Leonora
Gonzaga. Fu quindi astretto rinonziar l’Abbazia e la porpora altresì cardinalizia. Morì frattanto senza
32
Il principe Francesco Maria, figlio secondogenito del granduca dell’Etruria
Ferdinando II, abbate di Santa Maria di Altofonte per regia concessione, regnando Carlo II, re di Spagna e di Sicilia, pose questa lapide affinché si conservasse il buono e felice ricordo di aver restaurato, decorato, arricchito questa sacra dimora ed altre ancora, con munificenza degna di un sovrano. Anno
1676
44
36
prole alcuna, deluse le sue speranze e quelle del Regno, il dì 3
febraio 1711. Si celebrarono l’essequie di sì gran principe collo
sfarzo possibile dai padri dell’Oratorio di san Filippo Neri di Palermo nella loro chiesa li 2 luglio di detto anno, a proprie spese
dell’infrascritto di lui successore Acquaviva. Lo stemma di questo illustre principe abbate si è quello di numero sei O ed in
quello del centro tre rose.
27 – Francesco Maria Acquaviva, napolitano, fu il vigesimo settimo e penultimo nostro illustre abate, creato l’anno 1709, in seguito alla rinunzia del di lui predecessore de Medici sotto il regno di Filippo 4, Re di Sicilia e pontificato di (sic)
Godé del cappello di cardinale di Chiesa santa, e ottenne pe’
suoi meriti, a 8 gennaio del 1725, il vescovado di Sabina, in cui
non poté porsi in possesso perché prevenuto dalla morte in Roma. Eresse nella nostra piazza a comodo ed utile di noi partinicoti la fontana marmorea in cui si leggono le infrascritte due iscrizioni: in quella che guarda sirocco (a):
Fontana di Partinico (1860)
da M.Viollet Le Duc – “Lettres sur la Sicile” – pag. 9
45
Eminentissimo Domino Francisco S.R.E.
Cardinali de Acquaviva S. Mariae Alti
fontis Abbate, ejusque vices Procurante
Simone Zati et Gucciardini Congregationis
Oratorj Panormitani presbitero hoc exci
tato fonte fuit publicis votis munifi
centissime consultum. Anno salutis MDCCXVI 33.
Nell’altra che guarda a tramontana la seguente epigramma:
D.O.M.
Natura irriguos cum mergeret undique campos
optabat populus divite fonte flui (sic)
sed modo dedaleo sublato marmore ludens
vitrea municipes alluit unda suos.
Sic Domino defert vectigal gratior amnis
Ire vias cupidus quas Acquaviva docet 34.
Lo stemma di questo eminentissimo abbate è un campo in un
quarto del quale un leone, nell’altro un altro leone e nei restanti
due quarti alcune barre attraverse.
(a) Cotesta iscrizione e l’epigramma seguente si dicono componimenti del cele
bre giureconsulto Antonino Veneziano di Morreale
37
28 – Giuseppe Barlotta e Ferro, principe di San Giuseppe, famiglia nobile della città di Trapani, dietro la morte di Giovanna
Papè, de’ duchi di Giampilieri e Protonotai del Regno, annoiato
dalle lusinghe del mondo, abbracciò volentieri lo stato chiesiastico, attesi i di lui fedeli servigii prestati all’augustissimo Carlo
VI, imperatore austriaco allora in Sicilia, al 1726, in premio ne
ottenne dal medesimo l’Abbazia nostra sotto il pontificato di
(sic)
di cui prese il possesso addì 5 magio di esso anno.
A parte della carica anzidetta godè la dignità di vescovo titolare
di Teletta. Era egli di buon cuore, gran limosiniere e protettor
33
Questo fonte è stato eretto per venire incontro splendidamente alle pubbliche attese, essendo abbate di santa Maria di Altofonte l’eminentissimo cardinale di Santa Romana Chiesa Francesco Acquaviva e suo procuratore Simone
Zati e Gucciardini, presbitero palermitano della Congregazione dell’Oratorio.
Anno 1716
34
Al Signore Ottimo e Massimo - Mentre la natura provvedeva ad innaffiare i campi
attorno, il popolo aspirava a godere di una fonte abbondante. Ma adesso una
fonte cristallina insinuandosi come in un dedalo di marmo, lieta scorre a bagnare i cittadini. Così il fiume reca vantaggio al padrone per quelle vie indicate
dall’appassionato Acquaviva
46
zelantissimo de’ suoi sudditi baziali. Costrusse per lui comodo
un decente quartino nel monastero del Parco, istituì le annue limosine, che tuttora si corrispondono, eresse il Collegio di Maria
in detta terra del Parco, sul 1757, e promosse in Collegio ancora
il Conservatorio dell’Orfane di questa città, fondato prima
d’Antonino di Bartolomeo, cui assegnò onze 63.12 all’anno, in
sussidio dell’alimenti, su gl’introiti dell’Abbazia, e ciò dietro il
dispaccio reale in idioma spagnuolo, dato in luglio al 1759.
Gli adulatori di cui era assistito profittando del suo buon cuore
lo persuasero a praticar delle novità con di lui poca gloria: si
pretese dal medesimo le decime ed ottine sopra i frutti degli alberi e piante, nonché delle olive, istituitosene formal giudizio a
carico di coloni ed enfiteuti, finalmente dal Tribunale della Real
Monarchia e dal Giudice allora di esso monsignor Giuseppe Rifos, sotto li 30 giugno del 1732, si rigettò la istanza del Barlotta
e Ferro, qual abbate suddetto, restando esenti i frutti suddetti
dalla nuova pretesa decima ed ottina, com’erano pell’addietro, e
ciò mercé l’antichi privilegii reali.
Di ciò non contento l’abbate avvanzò altro nuovo libello, chiedendo l’ottina sopra le uve moscate e lignaggi, e questa pe’ suoi
maneggi e per la negligenza e povertà de’ litiganti sudditi felicemente la ottenne, al 1734, malgrado le lettere viceregie del
principe Filiberto di Savoja de’ 26 agosto 1622, al volume 5 di
Albragiara, foglio 410, presso il conte marchese di Villabianca,
essecutoriate in Palermo per la regia Corte pretoriana, a 9 settembre 1622, ove si leggono soggette a detta decima ed ottina le
sole uve semplici, latine.
38
Ciò non ostante, dal padre di Francesco Maria Emmanuele, marchese di Villabianca, come uno degl’interessati, perché ha de’
luoghi nel nostro fondo Abbaziale, si fecero sciorre, in onta a
detta sentenza, delle lettere osservatoriali di queste antiche viceregie del 1622, e questo sotto li 10 settembre del detto anno
1734, come al volume suddetto di Albragiara, al foglio 156. Ma
frattanto, non brigandosi d’alcuno, restarono frustanee l’ anzidette lettere ed inoperative e vigente la sentenza a pro
dell’abbate, in seguito di che oggigiorno l’azienda ricupera le
decime e ottine delle uve moscate, oggi di già abbolite, atteso lo
strasatto convenutosi mercé l’opera del degno cavaliere don Felice Lioy, intendente generale della Commenda.
Fu sedotto altresì detto monsignor principe abbate a cattivarsi
l’indignazione de’ sudditi, a cagione della ricordiazione e misura
praticata dei fondi rustici e urbani di questa città nostra. Frattanto fu così tenue questo augumento ritrovatosi che bastò a pena a
47
soddisfarne le ingenti spese di agrimensori ed ufficiali impiegatisi a tal oggetto, potendosi dir con Stazio in Gambacorta foro
Cristiano a foglio 245:
Est quoque cunctarum novitas gratissima rerum
eventus nocuos res nova semper habet 35
Ed è veramente la gran massima di chi voglia governar bene e
meritarsi l’amor de’ sudditi il non dar ascolto alle lingue adulatrici e il non permettere delle novità.
Morì finalmente l’abbate nostro in Palermo li 11 maggio del
1764. Pure non dee passarsi in silenzio la sua somma pietà addimostrata l’anno precedente del 1763, nella ingente carestia del
frumento, in cui arrivò pubblicamente a dire: Si vendano le mitre, si versi il mio sangue e si occorra alla compra del grano
pell’amati miei partinicoti. E la nostra sola Partinico fu quella
fra tutto il Regno cui non mancò né scarseggiò del pane, né minorò punto dal solito stabilimento del peso di once 3.10, per ogni
grani otto, malgrado l’ingente prezzo e scarsezza comune. Gli
sacri di lui arredi, dietro della sua morte, vennero ad appropriarsi in parte alla nostra
39
Madrice e, in parte, a quella della terra del Parco. Il suo cadavere giace sepolto nella chiesa di san Giuseppe della Dominante e
nella propria cappella di sua famiglia nobile, in cui si veggono
due lapidi marmorie colle seguenti iscrizioni:
Ioseph Barlotta et Ferro, Episcopus Theleptensis,
Abbas S. Marie Altifontis, Princeps Sancti Ioseph
obiit V idus Maii 1764. Corpus eius hic posuit
amantissimus nepos Ioseph Barlotta et Bonfiglio.
Cor Iosephi Barlotta et Ferro Episcopi,
Abatis, Principis 36
Lo stemma di questi ultimo nostro principe e abate commendatario.
Dietro la morte del prelodato Barlotta e Ferro, cesse l’Abbazia
nostra di aver abbati commendatarii, attesoché restò incamerata
35
La novità riesce sempre gratissima, ogni cosa nuova reca disastri
Giuseppe Barlotta e Ferro, vescovo di Telepte (città della Tunisia non più
esistente), abbate di santa Maria di Altofonte Principe di San Giuseppe. Morì
l’11 maggio 1764. Il suo affezionatissimo nipote Giiuseppe Barlotta e Bonfiglio
depose qui il suo corpo. Il cuore di Giuseppe Barlotta e Ferro, vescovo, abbate, principe.
36
48
per la regia Corte e, di special ordine di Sua Maestà Ferdinando
3, passò ad amministrarsi prima dall’illustre don Domenico Salamone, indi a don Diodato Targiani, rispettivi consultori di Sua
Eccellenza in questo Regno, e finalmente dal real Consesso Patrimoniale, da cui si diè in arrendamento, sendone stato l’ultimo
arrendatario don Giuseppe Pardo, dichiaratario di don Giuseppe
Fuxa, liberatario pro persona nominanda, sebbene, in realtà di
fatto, sieno stati sommessi dei fratelli don Giuseppe e don Leonardo Rizzo, come si rileva da un atto presso le tavole di questo
notar Giuseppe Maria di Bartolomeo, autore della presente Storia, sotto li 20 ottobre, 5a ind., 1801.
Oggidì però e fin dall’anno 1799 fortunatamente venne altra volta l’Abbazia d’Altofonte, come fu nella sua prima origine, ad
aggregarsi alla real Commenda della Magione in Palermo, di cui
n’è il degnissimo commendatore l’augusto figlio del nostro Sovrano, Sua Altezza il real principe don Leopoldo di Borbone,
dietro la morte di Sua Altezza il principe don Gennaro, di lui
fratello (a), e vanne, con speciale zelo ed impegno, amministrata
e protetta dal mentovato illustre intendente cavaliere Lioy, come
largamente a suo luogo dirassi nel corrispondente capitolo dell’aggregazione.
(a) Si inserisca per nota, la iscrizione lapidaria sul prisco gusto, in istampa per
Januario Borbonio.
40
Capitolo IV
La nostra città di Partinico in prospetto, sua fondazione, progresso e stato presente con quanto v’ha in essa di rimarchevole.
1 – De’ i due abitati che oggidì sorgono nel contado badiale di
Santa Maria d’Altofonte, il primato di loro origine dee competere, senza contrasto, affatto mai alla terra del Parco, ma alla nostra Partinico. Cotesta, malgrado la fatale calamità e sciagura cui
soggiacque miseramente ne’ tempi oscuri col suo Castel dei Sicoli celebratissimo, e a cagion indi della sofferta total distruzione sotto la tirannica barbarie saracinesca (a), pur tuttavolta remastine della medesima alcuni umili avanzi (bastevoli pur non di
meno a non farla cadere nella total dimenticanza, anzi a riconoscere quindi poi in un Casale) unitamente alle erettevi poscia
torri saracinesche, vennero, la Dio mercé e del sempre piissimo
nostro gran fondatore, sul cominciare del sesto decimo secolo,
ad accrescersi così rapidamente che la resero ben grossa terra,
indi invidiabile città del Regno. Di modo ché adesso può fran49
camente vantarsi la capitale della real commenda della Maggione, cui si trova, come si è detto, di sovrana grazia aggregata e
gareggiarla colle prime città.
2 – Di essa adunque primieramente ben’è dovere tener ragione
sul progrediente corso della sua storia particolare (peculiar assonto di nostra impresa) in di poi di quella del Parco come a
germana, amendue figlie di nostra Abbazia d’Altofonte.
3 – Fa di mestieri aversi pria contezza che il vasto territorio di
Partinico, costante di salme 5487.8 terre (b) dal dì della fondazione di nostra reale Abbazia l’anno 1307, trovavasi imboscato,
inselvatichito e de’ suoi uberi campi la magior parte inculta, non
ostante il casal contenea e non altra dinominazione ritenea che di
Bosco di Partinico, che poi sul 1309 per un
(a) Bonfiglio, Storia di Sicilia, Parte I libro 6 foglio 244.
(b) Relazione di Giovanni Inga, agrimensore cittadino data in agosto del 1800,
conservata nell’archivio della Commenda.
41
secondo espresso privilegio reale del nostro pio fondatore, come
si ha nel suo capitolo precedente, fu accordata la graziosa facoltà
di costruirvisi altra borgata o terra col nome di Sala.
4 – La mancanza di braccialieri, le guerre, che intestine in quei
tempi ardevano dapertutto pel conquisto della nostra Isola,
gl’ingordi lupi, che ne difficultavano la coltivazione, i turchi
spesso, che colle loro scalate nel nostro littorale depredavano coi
coloni abitanti i loro scarsi averi, strascinandoli cattivi in Tunisi,
e finalmente i ladroni famosi, che colle scorrerie loro, cogli assassini e omicidi, attesa la comoda opportunità del loco,
l’infestavano terribilmente (a), recava tutto ciò unito e lo sconcerto e l’orrore a quella contrada e partoriva all’ugual tempo
l’incoltura della medesima.
5 – In quella e sua torre ossia castello, come a loco micidiale ed
infame, si deportavano e restringevano dal Governo per l’avanti
i malfattori e, fra gli altri, l’accennato cavaliere sotto il regno
del re Guglielmo.
6 – Qui fu che poi il nobile capitan Sala, oriundo della Spagna,
destinato a soggiornare in esso loco con de’ soldati e proprio nel
Castellaccio, alle falde della montagna, mercé la sua accurata
vigilanza e la forza si venne a capo una volta di ovviarsi a tanti
sconcerti e pericoli e tranquillar la contrada.
7 – Cotesta lodevolissima opera del Sala meritò degnamente cattarsi tutta la real grazia e beneficenza del giustissimo fondator
Federico, a segno ché, nell’accordar ch’ei fece la detta potestà al
monastero di edificar la nuova borgata o terra del Bosco di Par50
tinico, per eternare il nome di tanto militare, ordinò espressamente che dessa assunto avesse il nome di Sala. Così dalla tradizione non contrastata o smentita sino a dì nostri da nessuno
scrittore. Partinico, ne giace nel Val di Mazara, e nello spirituale
depende dal Vescovo di essa, tuttodì monsignor Della Torre. La
diocesi e vescovado di Patti vi avrebbe dovuto aver diritto per la
concession della chiesa di san Cataldo esiste alla di lui marina,
fatta dal conte Rogieri al prelato allora di quella città, e similmente potea pretenderlo quello di Cefalù per detta chiesa di san
Cataldo, che anticamente spettava al monastero di san Giorgio
dell’ordine dei Premostratensi, fondato nella diocesi di detta Cefalù in forza della bolla sciolta al detto monastero da papa Lucio
3, ne’ suoi tempi del 1181, di sopra accennata (b). Tant’è, che
adesso, comunque stata si fosse la mutazione delle diocesi, noi
riceviamo le leggi e siam visitati dal prelodato Vescovo di Mazara e siamo suoi diocesani. Ossia la fede e pia devozione a codesto glorioso S. Cataldo o’ natural salubrità dell’acque del di
lui litorale in cui esiste la chiesa: buttandosi in quelle i leprosi e
gli attaccati di scabbia ne vengono, per ordinario, mondi e sani e
ciò tanto i cittadini che gli esteri, quali vi concorrono apposta.
Siccome ancora il dì dell’Ascensione un’infinità di bestiame
d’ogni sorta, si paesano che estraneo, seriamente si porta a
quell’acque per venirne bagnato e benedetto dal reverendo Cappellano, a nome di Dio ed ad intercessione del Santo onde conservarsi in sanità.
Finalmente il litorale anzidetto di san Cataldo, volgarmente detto
Scalo, nonché i vicini … del Trappeto e Sicciara in ogni … di
doverne venir custoditi per qualunque urgenza di nemici, fuorché
pestilenze e simili debban custodirsi dall’Università d’Alcamo e
Carini a seconda della pianta della contribuzione stabilita a 11
dicembre 1733 dal Consesso Patrimoniale, d’ordine preciso di
Sua Eccellenza conte di Sastago (?), Viceré allora di nostro Regno, rattificata ed emologata la pianta suddetta, ad istanza della
nostra Partinico, in due dispacci del Supremo Tribunale suddetto
del Regio Patrimonio, in data l’uno del 3 agosto 1752 e l’altro
de’ 4 giugno 1777, in ricorrenza di simili custodia de’ litorali
surriferiti, diretto alli Giurati della città di Alcamo, in cui si incarica la custodia di nostra marina, compresa nelle nove miglia a
detta Alcamo toccanti, stante che le miglia 15 spettano a Carini,
alla cui Università devono avvisarne le emergenze detti Giurati
di Alcamo.
9 (sic) – Non va’ la città nostra premunita di mura. I nostri padri lontano dall’ambire un sì sicuro ornamento, sempre mai
l’abborrirono. Difatti sul 1743 che dallo zelo dell’accorto abbate
Barlotta, principe di San Giuseppe si accerchiò di mura pel sospetto dell’invasion del contaggio, che partiva da Messina, sva51
nita tosto la pestilenza nel Regno, i nostri stessi di notte tempo
le demolirono.
(a) Fazello, hodie ager, Dec. I, libro 7, titolo 1, cum notis Amici, a fol. 309 =
Partinici nomen retinet nemori cognomentum dedit toti Siciliane ad latrocinandum olim accomodato notissimum
(b) Pirri , Sicilia Sacra, not. Cepalum, tomo 2 f. 389 et not. Maz. f. 898
42
Il superstizioso movente o la ragion forse, che prevaleva allora
in quell’anime libere, si era di poter venirne con ciò assoggettito
un giorno il Paese a vettigali ed imposizioni di cui godeva la totale esenzione, in forza de’ suoi privileggi e molto più della imposizion della poliza sul macino de’ grani, al di cui solo nome
paventa ancora, anzi abomina forsennatamente la popolazione.
10 – Il circuito che la contiene tuttora sorpassa la meta delle due
miglia e mezzo siciliani, giusta l’ultima cordiazione e misura
dell’espertissimo nostro patriotta regio agrimensore don Gaetano
Inga, respinta l’anno 1781, in occasione della ragionevol domanda popolare avvanzata al Re, per la erezione d’una nuova
Parrocchia, che sortì indi sul 1783.
11 – Contavasi in detto tempo di abitanti il numero di più di
quindici mila, compresi i borghi del Trappeto, San Giuseppe,
Gesuiti ossia Parrini, Ramo, Raccuglia, Giudeo, Sicciara e Sicciarotta, Giambruno ed Albragiara, come dalla fede autentica de’
deputati del Senato, ingionta nell’incartamento drizzato al Sovrano, per l’effetto di suddetta Parrocchia, si deduce. E quindi
mercé sì incontrastabile documento, asseconda le prammaticali
costituzioni, vennero abilitati meco alla sobintranza ed esercizio
di pubblici Notai della medesima don Luigi Speciale, oggi di
domicilio in Alcamo, che per la sua laurea in legge ha goduto la
Giudicatura in quella città, e don Leonardo di Bartolomeo, mio
fratello, e ciò in onta alla fede della numerazione dell’anime della Madrice, che in quei tempi, per privati riguardi di
quell’arciprete Perrone, da Marineo, non oltrepassava giammai il
numero delle dodicimila forse (ma senza forse) temendo
l’erezione della pretesa parrocchia e venirgli così minorati i di
lui diritti parrocchiali. Adesso però, per la sterilità de’ tempi, si
è ridotta la popolazione presso a poco al numero di quattordici
mila anime.
12 – Larga e spaziosa è la pianura in cui si alza la città nostra.
Va dessa in giro circondata d’alti feraci monti,
43
52
che a guisa di propugnacoli par che la difendino e coronino dapertutto. Spezzano solamente per buon tratto di via dal capo Rama, lasciandoci liberamente godere del vasto seno dell’acque
mediterranee da parte dell’occidente, che ne forma l’orizzontale
prospetto, in cui va l’occhio a perdersi giocondamente. Dalla
parte di sirocco ci si presenta poi la sovrastante picciola montagna, detta la Baronessa, cotanto a cuore del nostro amabilissimo
Re, che destinolla per la sua invidiabile situazione, in luogo di
sue private delizie, con allocarvi delle cacce di pernici e volatili,
ed aprirvi delle agiatissime vie sino alla cima, su cui godesi il
più bel colpo d’occhio del mondo e tutto ciò che v’ha di peregrino, di vago e di ridente nella sottoposta sterminata campagna
(*).
13 – Va’ dessa tutta sparsa ed ingombra d’orti, giardini, vigneti
ed olivari e vi fioriro un tempo delle cannamele di zucchero (a)
al trappeto, che ne conserva ancora la denominazione. E’ contesta insiememente di alberghi villerecci, casini, antiche torri saracinesche e molini, irrigata per ogni dove d’acque sorgive e perenni, fonti e fiumi, donde promana la universale fertilità e abbondanza d’ogni genere necessario alla vita, da cui resta provveduta la popolazione, non che le convicine terre e città.
14 – Dal punto d’austro la confinano i monti altissimi del Borgetto, ai cui pie’ ne giace la terra del di lui nome di spettanza del
venerabile gregoriano monastero di San Martino delle Scale di
Palermo.
15 – Succedono a codesti le inaccessibili erte montagne dalla
parte d’oriente di pertinenza di Monreale colle terre e paesi di
Montilepre e Giardinelli, l’uno appartenente al principe di Carini, duca delle Grotte, e l’altra al principe di Niscemi, a cui sieguono concatenatamente quelle di Carini colle possessioni ed edifici rurali del baron Vernagallo.
16 – L’ultimo monte infine, che serra cotal vago anfiteatro si è
quello in cui si volle la città d’Elima, volgarmente Palamita al
Capo Ramo (b) toccante il greco e lungo lo scaro di San Cataldo(c).
17 – All’opposta sponda del Mar Tirreno detta volgarmente il
Capo di
(*) Viaggio nella Sicilia del Cavaliere Carlo Gastone conte della torre di Rezzonico, patrizio comasco, prima edizione siciliana, Palermo, 1828, presso gli eredi
Abate, fol. 48 Per la via non cessava di meravigliarmi da principio a guardarlo
la fertilità delle valli e delle agevoli colline a sinistra e l’asperità e la nuda apparenza de’ monti a destra. Ma dopo alcune miglia entrasi in una gola di mon-
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tagne sterilissime e di sassose vallee, finché si scopre quella deliziosissima e
spaziosa dove giace Partinico37
(a) Fazello, Deca 1, tomo I, folio 309
(b) Fazello, Deca 1, libro 7, cap. 5, foglio 142
(c) Fazello, Deca 1, cap. 5, foglio 141
44
Santo Vito verso maestro, ossia ponente và a scoprirsi in lontananza la vasta piana girata altresì di monti sino al mezzodì, che
ci presentano il Lilibeo, sacro per le ceneri del vecchio Anchise
(a), e l’altissimo Bonifato, un tempo detto Bonifacio (b), a pie’
di cui nel piano la citta d’Alcamo, dodici miglia da noi distante.
18 – Nella conca di cotesta pianura, sotto la zona temperata, a
maestro del Borgetto, e lungo appunto le falde di suddetta montagna della Baronessa, rimpetto la prossima accennata marina,
che dista quasi tre miglia, si erge e fiorisce tuttodì la nostra Partinico, quell’istessa che nell’aprile del 1800 venne a fruire dalla
regia clemenza de’ speciosi titoli di devota e fedele città lastricate intieramente ne contiene le strade, fiancheggiate all’intorno
di rispettabili pubblici e privati edifizii e talora benanco d’umili
case, granai e cantine. Le fabriche frattanto non son desse in verità di quelle che necessitano l’attenzione e molto meno la meraviglia de’ riguardanti, a riserba della real Casina nella contrada
di Ballo, frattanto non la cedono in politezza, modernismo e comodità a quelle di qualunque nobile città del Regno.
19 – Avvanzan dentro d’essa città n. 12 torri saraceniche, cioè:
la più superba quella di Bisaccia rifatta dal barone Scammacca,
oggidì marchese Bellaroto. La 2a detta di Camillo, quadra 38, oggidì di Domenico Bonì. La 3a l’antico campanile della Madrice,
oggi diroccata. La 4a il Castello o sia carcere, poi demolita dal
Re, al 1800. La 5a di Ballo, la più grande di tutte, aggregata alla
real Casina. La 6a di Seregnano, oggi duca Verdura. La 7a di
Ragona. L’8a di notar Speciale. La 9a di Riso, vicino lo Spedale.
La 10a di Ficarra, dietro detto Spedale, che servì per carcere di
detta e della corte foranea. L’11a di Villabianca … ( illegibile )
20 – Le chiese son piuttosto poco decenti al sagro culto che magnifiche quai dovrebbero essere, toltone quelle di san Giuseppe,
convento del Carmine, san Gioacchino (non ancora perfezionata)
e Colleggio di Maria, in cui per altro non se ne ammira che una
37
Aggiunta in un foglio con grafia diversa. Tale aggiunta, verosimilmente, è successiva alla
morte dell’autore.
Nota cancellata: dal di lei amenissimo sito meritò dessa l'elogio del Padre Aghilera della
Compagnia di Gesù in quella espressione latina: Partinicus amoenissimo in lithore posita,
altissimis longe montibus circum septa
38
54
graziosa lindura e il greco odierno stucco, ma quella di san Gioacchino riescerà maestosa.
21 – La regia Madrice chiesa sta in fabrica, ma ancor che poi
terminata e abbellita sarà sempremai angusta attesa la popolazione e sempre non perfetta in architettura, giusta il comune sentimento de’ periti, perché dilungata oltremodo e non costrutta seriamente e con quella perfezione e venustà
(a) Virgilio, Eneide, libro 5
(b) Fazello, Deca I, libro 7, foglio 241
45
si converrebbe a cotesta Matrice e di lei arcipreti furon suddite
le chiese e parrocchiani tutti della terra del Borgetto, sin
dall’anno 1710, e della borgata o casale della Sicciara, sino al
1800, adesso già dismembrate, comeché a suborghi allora di nostra città, di cui largamente ragioneremo nel di loro appresso serio capitolo.
22 – Riguardo alle sacre case de’ Regolari sieno d’uomini come
di donne han desse quasi del buono e ragguardevole magiormente nell’interno. Son elleno il convento de’ Carmelitani, che la
gareggia coi primi della Provincia, quello de’ PP. Cappuccini
che non la cede a verun altro, il Collegio di Maria tanto utile alle
ragazze per la cristiana disciplina e manifatture, il Ritiro nuovo
detto di padre Manfrè, sotto titolo di Nostra Signora del Ponte,
ossia l’Orfanatrofio.
23 – Sette sono le strade maestre e principali che si distinguono
infra tante altre, lunghe, dritte, spaziose e selciate, interamente
piane altresì e rotabili tutte, a riserba di pochissime, in parti rimote. L’una vien detta del Corso, che parte dallo stradone di Palermo, passa innanzi la Madrice, s’inoltra avanti il convento del
Carmine, e termina colla fine della città a intersecare con una
via, che porta in Alcamo.
L’altra la Strada grande, che dalla piana a sirocco tira rettamente
sino alla chiesa dell’Agonizzanti, lasciando a sinistra la chiesa
dell’Opera del Purgatorio, ossia san Francesco nel di lei principio, e quell’altra dell’Orfanatrofio ossia Gesù Maria e chiude a
tramontana colla ridente veduta di giardini seguita dall’ orizzontale marina di San Cataldo.
La terza, che dal Carmine termina colla casa del dr. Greco, da
cui poi si torce a sinistra a trovar il Collegio di Maria; la quarta,
che dal corso trova in prospetto il suddetto Collegio; la quinta,
che dal piano di esso porta alla trada grande.
La sesta, che da essa dietro l’Orfanatrofio a sinistra va a ritrovare quella che dal Carmine scende a detta casa di Greco; e la set55
tima finalmente che dal fianco della Madrice a man sinistra conduce alla Villa reale.
24 – Avvi laterale alla Madrice la piana del mercato, sparsa di
spezierie, zagati, forni e botteghieri, che provvedono alle umane
indigenze, e sorge in essa illustre fontana provveduta d’otto
sbocci di perenni acque eccellenti (oltre al beveratoio per giumenti, che giace lungo la stessa piazza, a man destra, sotto la
pubblica osteria e fondaco) fiancheggiato il beviere suddetto
d’altri due piccioli fonti ad uopo de’ cittadini.
25 – Ben altre cinque fontane provvedono d’acque limpide la città: cioè quella attaccata alle mura del Collegio nel di lui piano,
l’altra nella strada grande, la terza lungo le case dette di
46
Avellone, attaccata a un beviere per gli animali, la quarta infine
dell’abitato a tramontana nel terreno di Bellaroto (oltre quella
interna nel cortile della gran Torre dell’istesso marchese) quella
infine detta di Merelli nel terreno di Cesarò.
26 – E ciò a parte dell’innumerevoli pozzi così pubblici che privati ed interni in una infinità di case particolari, tutti perenni
d’ottime acque, come diremo nel suo competente capitolo
dell’acque sorgive e fonti di cui abbonda la città nostra non meno che l’intera campagna.
27 – L’aere n’è piuttosto media, quasi uguale a quella che si respira nella Dominante, anzi si vuole abbia un grado di miglioranza, perché più svelta e favorita dal vento di tramontana. Lo
scirocco però vi si fa sentir spesso spesso e tante delle volte temibile, perché si rovina giù la montagna ed ordinariamente pizzica troppo forte. Vero è che nei mesi estivi abbondano degli
ammalati, ma questi tali per ordinario son gente villica, ch’esce
dalla città per faticare nelle campagne esterne e quindi dall’aere
malsana e corrotta, nonché dall’intemperanza e abuso de’ vili
cibbi e sregolatezze contraggono de’ morbi, che seco portano
nella patria e disgraziatamente communicano ai lor congionti,
de’ quali ne restano attaccati de’ cittadini. Se sia ciò di verità si
consulti la popolazione civile: codesta di rado vien corrotta da
malattie. Ciò si assicura dai fisici, cui tocca meglio ciò giudicare.
30 (sic)
– A proposito di cotesto capitolo cade in acconcio di
riferire un ottava siciliana del commendabile regio istoriografo
Francesco Maria Emanuele, conte marchese di Villabianca più
che nostro buon patriotta, cui si deve molto pei lumi ci ha tramandati coerenti all’impasto della presente storia.
Eccola originale e in tutto uniforme alla verità:
56
Gran cità Partinicu ora è chiamata:
Chiesi ha decenti e casi appalazati:
La sua campagna è tutta abbivirata
d’acqui; ed ha orti e frutti prelibati;
47
in idda nun c’è terra, chi spughiata
fussi di olivi, vigni e siminati.
E’ la sua conca chiù meghiu indorata
di chidda di la domina citati.
28 – I costumi dei cittadini sono eglino come alla comune di tutti gli altri del Regno. La religione cattolica vi si osserva nel suo
rigore: le limosine a poveri e mendicanti, siccome alle chiese si
può dire eccedente ed il culto divino e de’ santi ne occupa il
primo luogo. I vizii son quegli stessi, che ha in retaggio la umana fragilità: il lusso e lo sfarzo nel vestire e banchettare, massime poi in occasioni di nozze, non la cedono a quei della capitale,
da cui traggono l’esempio per la di lor vicinanza; la urbanità e il
tratto famigliare abbonda più in verso de’ forastieri, per i quali
di sovente si fanno un piacere attrassar i concittadini, massimente la gente culta.
29 – I nostri agricoli (sia ciò detto a gloria loro) non invidiano in
sì nobile facoltà i più migliori delle più colte e perite nazioni. La
lor perizia si singolarizza in questo genere (e ardiscesi dir francamente) fra tutto il Regno, e la feracità de’ campi nostri sotto a
tali coloni rende commendabile la loro industria ed opulenta
all’ugual tempo la patria. Se si tradisca con tal debito encomio la
verità ci smentisca chi è stato su la faccia del luogo, e sopratutto
il Sovrano istesso, Ferdinando, Dio guardi, che se n’è reso testimonio di veduta e come inteso abbastanza di un tal mestiere, non
ha potuto colla sua giustizia non ammirarne l’arte, lodarne
l’eccellenza e compiacersene grandemente. Il celebre canonico
Zucchini, sanese, tanto del prelodato Monarca prediletto, attesa
la di lui nota espertezza nell’agricoltura; destinato apposta in
giugno del 1801 da quel provvido zelante padre e signore a visitar i contadi della real commenda, non si ebbe a pentire de’ suoi
sparsi sudori e del suo accesso in queste nostre campagne, né
ebbe coraggio di riprendere i nostri villici, anzi quello di uniformarsi sinceramente alla citata sovrana oppinione in favor di
coloro. L’ocular visione poi può abilitar a poter dire su questo
emergente col poeta cesareo:
chi vuol vedere appieno
se fu attento il cultor guardi il terreno.
57
31 – Ciò malgrado non vanno esenti i giardinieri nostri ed ortolani
48
di massimi difetti. La loro infingardagine li defrauda non poco
del centuplo, che potrebbero ricavare da quelle terre, che lascian
vuote d’alberi, ortaggi ed arbitrii.
32 – Riguardo poi al Governo, questo toccante lo Stato civico
antico pel temporale, politico e civile fu di spettanza della capitale Palermo e il ripartimento dell’annona governato da quattro
deputati di piazza ovvero acatapani che venivano eletti dall’Ecc.
Senato e si regolavano a norma delle istruzioni foggiate in questa in discorso di visita dell’ill.mo don Geronimo Pilo, senatore
in data delli 24 marzo 1714. E’ in tutto adesso il Governo suddetto si ha appunto da Sua Altezza Reale il nostro don Leopoldo,
commendatore dell’Abbazia di cui zelantemente ne fa le veci il
degno signor Intendente della Magione don Felice cav. Lioy.
Il militare all’Auditor generale da cui si eligge il suo delegato in
questa e sua Corte ossia Ispettore, oggi don Antonino Ragona.
L’arcipretura e rettoria di questa ven. regal madre chiesa e beneficiale di Nostra Signora del Ponte, si conferisce a soggetti cittadini dalla suddetta real commenda come succeditrice ai regii
dritti dell’Abbazia e oggigiorno la gode meritatamente il sempre
degno per costumi e dottrina sac. dr. don Vito Bordonaro. Codesta arcipretura, antecedentemente al 16 dicembre del 1781 in cui
si abolirono dal Governo i dritti funeratizii ed altri che ricavavansi dalla numerosa popolazione, era considerata per uno de’
migliori parrocati del Regno. Si ridusse indi all’estremo a cagion
anco dell’annua contribuzione fa delle somme pel manutenimento della nuova parrocchia, la quale è suffraganea alla Madrice
sin dal 1783, come diremo a suo luogo. Adesso però la regal
munificenza dell’amabilissimo nostro Sovrano, con suo regal biglietto delli settembre, 5 ind., 1800, le costituì in supplemento di
congrua la somma di onze ottanta all’anno su i proventi di nostra
abazia.
33 – La magistratura civile, nonché quella criminale resideva ne’
tempi andati in un solo soggetto probbo e civile col titolo di castellano, dependente però dalla capitale dietro l’atto risolutivo di
Pietro Giron, duca di Ossuna del 1616 20 aprile, 14 ind., ottenutane detta Palermo, a cui assoggettiva Partinico qual di lei territorio e borgo insieme, anzi considerata qual quinto quartiere (a)
od altro atto a dì nostri a 12 ottobre 1741(b). A ricorso de’ naturali venne codesto castellano abolito dalla Maestà Sua e con carta reale del 1775 fu in dette cariche sostituito un giureconsulto
58
colla facoltà di giudice, regio capitano giustiziere col mero e misto imperio e ciò a no(a) De Vio, Priv. Pan. foglio 469
(b) Reg. Sanz. tomo I, foglio 384
49
mina ogni anno dell’eccellentissimo Senato, da cui per onerario
se gli rispondevano onze 120 su gl’introiti della pingue gabella
del tarì 6, dovutagli la nostra popolazione su ogni botte di vino.
Nel 1800 e nel mese di marzo per la mutazione del Governo perché aggregata l’Abbazia alla commenda, da questa si abolì la
giudicatura anzidetta, non che la deputazione dell’annona, la di
cui elezione tenne detto Senato tanti secoli per l’addotta ragione
d’esser Partinico riputato quinto quartiere della Capitale, e come
quella, che fruiva delle palermitane franchigie e privilegii (a), e
ciò attesa la collettazione di questo comune seguita in dicembre
dell’anno precedente 1799 venendone dalla commenda eletta la
magistratura delle consuete Corti civile, capitaniale e Giuratoria,
dietro il solito squittinio, come più largamente ci riserbiam rapportare nel suo competente capitolo.
34 – Pel corpo militare presedé allora nei tempi antichi un soggetto col titolo di capitan d’armi e guerra, con pensione di onze
200 all’anno, regolata poi al 1752 ad onze 61 comprese 10 che
rispondea la terra del Borgetto. Era dessa la carica più luminosa
e cospicua del paese e che, per le istruzioni nel dispaccio del 31
agosto del 1710, godè del privilegio di suonar tromba nel territorio: di occupar il primo luogo ed il più degno nelle funzioni
chiesastiche e sagre processioni, massime in quella del Corpus
Domini, cui seguiva con brandonotto di cera e tenente a mano
una bianca fetuccia, che scendeva attaccata al baldacchino (onorificenza adesso conferita al regio Segreto). Venne soppressa e
abolita codesta carica di Capitano d’armi sin dal 1754 con carta
del 17 aprile in tutto il nostro Regno di real ordine, ma nella nostra città abusivamente pochi anni sono restandone affrancata di
corrispondere quell’inutil annua tangente delle onze 61. Usossi
in detti tempi e sino a dì nostri il tocco dell’oriuolo, a lunga
pezza battuto da un sol martello, situato nell’antico campanile
della Madrice sul batter delle ore due della notte, che chiamavasi
la castellana, nata tal costumanza anticamente per avvisarsi gli
artisti di serrar a quel suono le loro botteghe e ritirarsi a casa
ogni cittadino, onde il capitan d’armi co’ suoi custodire il paese.
59
Di tal tocco d’ore si ha menzione nella Storia di Riccardo di S.
Germano al 1626 (b) 39 (sic)
35 – La giurisdizione protomedicale sopra gli aromatari, medici,
barbieri, spezieri ossia Botteghe di merci e simili, e la potestà di
visitare i medesimi fu sempre della capitale, e del Pretore della
medesima in forza di un atto viceregio dato in Palermo li 19 agosto, 4 ind., 1616 (c). Oggi però per la mutazion del nostro Governo come sopra, la real commenda crede
(a) Cap. del Senato di Palermo edizione del 1745 f. 226. Altri come sopra, edizione 1760 foglio 473 e foglio 503.
(b) Villabianca, Opuscoli siciliani, tomo 29, art. 119, foglio 386
(c) De Vio, Reg. priv. di Palermo, f. 469
50
di essere sua ispezione, e ne sta implorando dal Sovrano gli ordini convenienti: frattanto l’ill. duca Lucchesi qual Protomedico
del Regno crede spettare a lui e sta usando della sua giurisdizione.
36 – L’interessi dell’Abbazia, come l’amministrazione
dell’economico ed ogni altro concernente la stessa, veniva ciò
tenuto in tempo degli abbati e commendatarii da loro procuratori
generali. In quello dell’incamerazione della regia Corte del Consultor del Governo di allora, don Domenico Salomone indi don
Diodato Targiani, e finalmente dal Patrimoniale Consesso, in
qualittà ogni uno di serio amministratore reale, da cui veniva eletto un proamministratore in questa, sendone stato il primo il
degnissimo don Giuseppe Gigante, il secondo di lui successore
dietro la di lui morte notar don Vito Giuseppe Gigante, rimosso
per l’aggregazione dell’Abbazia seguita alla regia commenda.
Oggidì però si amministrano dal prelodato regio generale Intendente cavaliere Lioy e, per esso, qui dal regio Segreto notar don
Sebastiano Cannizzo, dal Sindaco, don Giuseppe Bonura e dal
cassiere don Gaetano Bonura.
37 – Il Santo patrono della città sin dai tempi della sua fondazione n’è stato sempre san Leonardo, perché ragionevolmente
monaco dell’istesso Ordine dei cisterciensi, su cui fu fondata la
39
L’anno non è il 1626 ma il 1226. Ryccardi de Sancti Germani notarii chronica: “Anno
1226…Henricus de Morra magister iustitiarius auctoritate imperiali, contra forbannitos et
lusores taxillorum, et euntes nocturnis horis post tertium campane sonitum, sua statuta edidit in Sancto Germano, et contra tabernarios etiam, ut ad secundum campane sonitum
claudant tabernas suas, ita quod af ad tertium campane sonitum nella earum aperta valeat
inveniri. Et super hiis inquirendis certum statuit numerum iuratorum, qui pena statutas a
transgressoribus recipiant pro diversa criminum qualitate. Quod si aliquis iuratorum in dolo
seu fraude vel negligentia fuerit deprehensus, penam recipiat quam recipere deberent predicti, salvo in omnibus mandato et ordinatione imperiali”.
60
nostra Abbazia, e vi si celebra l’annua festività li 6 novembre,
giorno destinato dalla Chiesa e per noi di precetto (a). In questo
stesso dì s’impone la legal meta delle uve obbligate dai vocali ed
officiali competetenti, cioè rev.mo arciprete, rev.mo Vicario foraneo, rev.mo padre priore del Carmine, rev.mo padre guardiano
de’ Capuccini, rev.mo giudice delegato della regia Monarchia,
rev. giudice delegato del Tribunale della SS. Crociata, regio secreto, giudice civile e capitano di giustizia, siccome altri due
soggetti probbi cittadini disinteressati, e vi presiedono col loro
maestro notaro li quattro giurati della città, e questo giusta le
senatorie istruzioni dell’illustre giurato marchese Pilo, stabilite
al 1714. Questa meta ed anche dell’olii da norma alle convicine
terre e città riguardo all’uve di obbligazione e si forma sui riveli
degl’individui venditori, e compradori delle uve
(a) Croiset, Vol. XI. Mese di Novembre.
51
acconce territoriali, ricavandosene il prezzo supremo, medio ed
infimo.
38 – L’annuale popolar solennità è quell’appunto che si festeggia con isfarzo a 3 maggio in onore e gloria della invenzione di
santa Croce, prescelta da nostri primi antichi padri in un con
quella di Nostra Signora del Ponte e ciò per lo giro di tre giorni,
che chiude colla sacra condotta dei venerabili loro simulacri e
alle volte ogni cinque.
Il Santuario della Madonna del Ponte dopo i restauri del 1935
61
39 – Non è da passarlo in silenzio l’occorso nel secolo XVII. Di
special grazia reale di Filippo IV Re delle Spagne e nostro, passò il contado di Partinico in donazione al regente Benedetto
Frelles, marchese di Toralba e consorte di Elisabetta Agliata, figlia di Giuseppe, principe di Villafranca, col titolo insieme di
principe a lui collocato in regno. I nostri padri partinicoti stimarono meglio restar vassalli del Senato palermitano, che sudditi
addivenire di un barone, il quale, per ordinario, riuscir suole il
di lui governo infelice per popoli. Strepitando quindi presso la
corte di Spagna e fattasi al Re giustissimo palpare la irragionevolezza del seguito consiglio e l’ingiuria arrogavasi ad un paese
al sommo libero, al sommo privilegiato e sacro, qual era Partinico, dai di lui antecessori regnanti nella di lui fondazione, ne ottennero alla fine la liberazione, derogandosi la grazia emanata
(a). Se ne deduce laonde da ciò: che Parco e Partinico sono vere
demaniali e noi cittadini non d’altri signori vassalli che di Sua
Maestà, che Dio ci guardi felicemente.
40 40 – Gli oneri, i pesi e le gabelle, che tuttora rispondonsi da
Partinico e suoi cittadini, tutto che franco nella sua origine (b),
son frattanto i seguenti, di cui raggioneremo nel loro capitolo
particolare, consentendoci per ora qui di accennarli.
41 – La gabella del tarì sei per ogni botte di vino, che si produce
in questo territorio, e si risponde all’eccell.mo Senato di Palermo, loco omnium, cioè in vece de’ dazii, donativi, tande regie ed
ogni altro, ch’egli corrisponde alla regia Corte per Partinico, di
lui quinto quartiere e ciò giusta il concordato dell’anno 1692, 27
marzo (c).
42 – La gabella di grano uno a rotolo sopra il pesce, che si vende
in questa per pagarsi l’orologio, il quaresimale, capitan d’armi,
rappezzi di strade, catusato del beveratoio imposto con dispaccio
patrimoniale, sotto Carlo, …a 30 ottobre 1603 …( illegibile)
(a) Diploma regale del 15 gen. 1660
(b) Vedi capitolo ultimo 31 ottobre 1799: disserzione circa l’università
(c) Vedi Consiglio per la collettazione, cap. unico e ultimo, anno 1799
52
Questa piazza e città impostasi volontariamente sin dall’anno
1694 per le cause nel documento di tal imposizione.
43 – La gabella di grano uno a rotolo sopra la carne, grossa e
minuta, che si macella e vende in questa città, impostasi volontariamente la popolazione, in favor del regio convento del Carmi40
Da 40 sino a 49 risultano cancellati dall'autore ma vengono trascritti ugualmente.
62
ne, giusta il Conseglio civico del 1634, 17 settembre, 3a ind.
(Vedi convento del Carmine).
44 – Il dazio sorrogato al 1781 in onze 781.25.1 all’abbolito appalto del tabacco indi alla ragione di tarì 5.8, imposto sopra ogni
salma di terre in quantità di salme del nostro Stato giusta il dispaccio patrimoniale del 1793. (Vedi capitolo unico ed ultimo
l’anno 1805).
45 – Quell’altro dazio temporaneo di tarì 6 a salma sopra le stesse terre per saldar la massa e capitale, erogatosi per la costruzione della nuova strada carrozzabile da questa città alla Dominante, e che intersica con quella di Miserocannone, e ciò per lo documento del 1791, che se ne dee richiamar il conto per la liquidazione e così via. (vedi il Consiglio la collettazione).
46 – La gabella del torchio sulle olive si producono nel territorio
nostro, alla ragione di tarì tre la salma a seconda la imposizione
del 1638 abolita poi al 1804. (Vedi capitolo ultimo).
47 – L’altra, volgarmente detta della Miraglia, ossia del Grande
Ammiraglio di grani 14 a carico d’ogni salmiere e di tarì 1 a carico come sopra, nel tempo quaresimale sopra i pesci si vendono
in questo pubblico mercato abusivamente, e questo per la forza
del concordato del 1692. (Vedi consiglio dell’Università).
48 – I soliti dritti di dogana su le immissioni in questa di pannimi, telarie, merci e simili spettanti alla regia Corte, non già i
comestibili di zagato perché franchi.
49 – E la gabella del nuovo Imposto e Fiore da pochi anni a questa parte abusivamente introdotta. (Vedi il Consiglio dell’Università).
50 – Tutto finalmente, senza alcuna eccezione, produce la nostra
piana, perché tutto vi alligna feracemente. Sarebbe di soverchio
l’individualizzarne la specie e gli generi dell’innumerevoli frutta, ortaggi simili di cui abbonda in guisa da restar provveduta ad
esuberanza la città e avvanzarne in larga copia per le vicine terre
e città in cui si portano a farne la vendita. Taccio de’ vini
53
moscati e calabresi, cotanto celebrati dall’esimio poeta alcamese
Sebastiano Bagolino, ne’ suoi epigrammi illustrati dal chiarissimo cav. Giuseppe Triolo e Galifi, di lui concittadino(*). Taccio
degli ogli comunali e di lino per cui vi sono veri serii tappeti,
taccio altresì degli agrumi, canapi, tartaro, feccia di botte, portogalli e miloni eccellenti e singolari per gusto e grossezza (sebbene quei irrigati coll’acqua esterna e non dell’Abbazia pregiudichino in qualche maniera la salute) attesoché questi generi
vantano i primi capi dell’opulento commercio e che si estragge
la magior parte loro e si consuma in uso della Capitale, Trapani,
63
vicine isole aggiacenti e benanco se ne estraregna massime i portogalli. Il grano però e legumi, lini, bambaggia, soda e verme di
seta (di cui ve n’è il mangano, ossia l’arbitrio di estrarla). Questi
tuttoché abbondino, non arrivano però in quella copia degli anzidetti generi. Fuvvi un tempo che altresì vi fiorirono perennemente delle canne di zucchero ed ebbe il vanto di riportar
l’elogio il nostro contado d’ aquis irriguus et cannamelis feracissimus (a), confermato dal di Giovanni (b). Di fatti il feudo del
Trappeto, nostro suborgo, ne ereditò la denominazione appunto,
a cagion del Trappeto o sia arbitrio, in cui si estraevan gli zuccheri e tuttodì ancora se ne veggono le rovine degli edifizii e loro moli, che mulivano le cannamele. Scusi intanto il chiarissimo
regio istoriografo signor abate Leanti e si ricreda nella sua Sicilia di portar per capo di commercio la città nostra delle pezze e
stracci, da far la carta. Evvi fra gli altri, è vero, cotesto mercio,
ma desso è fra gli ultimi e non è cosa da farne strepito.
(*) …29 epigramma 46, tom. 2 Implet saepe …sua pocula Partinicus, dum fundit
gelidas …Maragis aquas … Sebben non si dica del vino di Partinico, pure il luogo che lo produce è nel di lei territorio … 212 nella nota dell’epigramma 32° esalta il nostro vino Tunc ego hilaris et attonitus amphoram uno eodemque die
mecum natam. Attenta gubernante, plenam veteris Partinici mecum afferma, così
il poeta celebrando col suo amico Polizzi, cui va diretto l’epigramma al tom. 2
(a) Fazello, tomo I, foglio 309
(b) Palermo ristorato, foglio 351
54
Capitolo V
La terra del Parco, altro fondo di nostra venerabile reale Abbazia d’Altofonte, con quanto in essa e suo territorio si contiene.
La terra del Parco (o come altri vollero nella sua origine,
d’Altofonte) (a) - fu fabricata, secondo le conghietture, contemporaneamente quando fu dedicato il suo monastero de’ Cisterciensi, oggi Collegio di Maria, vale a dire: immediatamente alla
fondazione della regia Abbazia, l’anno 1307.
E’ dessa una picciola, ma spiritosa popolazione, giacente in seno
quasi della montagna di cui adottò il nome. Di cotesta montagna
del Parco, comecché di gioconda situazione, fu scritto da’ storici: oculos prospectu jucundissima (b). Costa tuttora di quasi n.
2000 anime, ma un tempo ne contò 1222 (c), gente tutta stata
sempre attaccata alla felicità della patria e a non farla attraversar
punto dai suoi privileggi onde fu assonta e gratificata dai Sovrani. Ciò l’han sostentato nei Tribunali anche a costo del di loro
64
interesse e ad attirarsi l’indignazione de’ propri abati padroni e
commendarii. Oggidì resta aggregata unitamente colla sua sorella Partinico, nostra Città, alla real commenda della Maggione
come sopra si è detto.
Amena e presepiale è la sua situazione, sendo accerchiata dai
monti dello Stato di Monreale dalla parte di scirocco sino a levante, da cui scuopre la marina della capitale in distanza di sei
miglia. Ha sottoposta una vaga e ridente campagna di spettanza
di suddetta azienda arcivescovile di Monreale, irrigata generosamente per ogni dove d’acque perenni e adorna tutta d’alberi
dimestici. Il suo territorio non oltrepassa le salme 3000 di terre,
ma feraci e proficue, riccamato di vigneti e olivari. Il capo primario del suo commercio, che fa distinguerla, si sono i fichi, che
soprattutto produce in abbondanza
(a) Inveges, Pal. Ant. f. 33 - 34
(b) Hondro, appo il Massa Sic. In prospettiva, Monti e caverne, tom. I, fol. 174
(c) Amico nel suo Lexicon.
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e qualittà di gusto particolare, almeno ai cittadini della dominante, che ne fa stima e aggradimento. L’aere che vi si respira è
piuttosto sana e salubre.
Ne’ tempi lontani in detto monte del Parco vi fiorì un sacro
chiostro fondato da san Gregorio il Grande, sotto nome de’ santi
palermitani Massimo ed Agata e che venne dappoi da’ Saracini
abbolito e mandato a male, chiamando in seguito detto santo
pontefice questo estinto monastero col titolo di Lucusiano, che
vuol dire bosco e luogo di campagna (a), e ci da coraggio di verificare la nostra asserzione di essere stato il riferito chiostro del
Parco di cui parliamo, e come del pari ne da ragione il Pirro con
note d’Amico (b) e similmente l’Inveges (c).
La sua chiesa parrocchiale è quella stessa del monastero de’ Cisterciensi, ora addivenuto Casa del Collegio di Maria di donne
sotto titolo di sant’Anna, dietro la dimissione ed espulsione de’
monaci sin dal 1770. Pria n’era regolata ed ufficiata da coloro ed
un di essi la faceva da parroco, indi a tutt’oggi è retta da un rev.
sac. secolare col titolo di parroco curato, che venne eletto dal
Tribunale del Real Patrimonio, di nome don (sic)
Guitto, ma
dietro la di lui morte la creazione di un tal soggetto appartiene
alla commenda.
E’ posto il Parco soggetto alla giurisdizione chiesiastica di
mons. Arcivescovo di Monreale, perché chiuso nel di lui territorio. Dovrebbe spettare all’Arcivescovo di Palermo per trovarsi
troppo vicina al contado palermitano, tant’è che altrimenti
65
l’abbate Amico riflette non esservene stata altra ragione che
quella d’esser il Parco perché chiuso, come sopra si è detto, epperò segregato dal territorio (d).
Pell’addietro usavavi giurisdizione nel temporale e politico la
Dominante qual di lei quinto quartiere, come usavala in Partinico, amendue feudi Badiali. Oggidì in tutto ne riceve le leggi della commenda della Magione.
I pesi e le collette le risponde il Senato palermitano cui si paga
la gabella del tarì sei per ogni botte di vino, come meglio si disse di Partinico nel precedente capitolo.
(a) Epistole. libro 7 num. 27. libro 9 num. 42 e 43.
(b) Sicilia Sacra. lib. 4. tomo 2. foglio 1070
(c) Pal. Sacro. foglio 452
(d) Lex. Sic. V. Parcus. tomo 2, part. 2, Vallis Mazarie. foglio 66
56
Nel piano esiste in essa terra del Parco, si erge una fontana in
cui eravi un’antica tabella marmorea, che rinnovatasi fu surrogatavi la seguente iscrizione:
Fontem hunc gemino decurrentem morem (sic)
Ferdinandus IV Borbonius munificentissimus aere suo erigendum curavit au
spice tribunali realis patrimonii anno
reparationis salutis 1794 41
Dell’altro fonte nel chiostro e sua iscrizione, se n’è fatta menzione nella cronica degli abbati e commendatarii, e giusto in
quello del Rebiba cardinal Pisani.
Nella foresta del Parco, attesa la sua amenità venustale e ubertà
di fiere, furonvi prescelte dagli antichi nostri sovrani le reggie
cacce e luoghi di delizia, ed ecco l’Inveges su tal preciso come
si espressa (a).
Parco, Partinico e Monreale furon foreste destinate alle caccie
regali, altro Parco non significando che luogo chiuso in cui si
rinserravan le fiere ad uso di caccia locus ad ferarum custodiam
(b), e così pure il Pirro (c).
Nel monte del Parco, detto volgarmente la Pizzuta, designato
venne ed eretto un regio Parco in serraglio d’animali di caccia
selvagia come danii, capriroli, cignali, lepri e simili accerchiato
41
Il munificentissimo Ferdinando IV Borbone, con l’auspicio del Tribunale del
Real Patrimonio, fece erigere a sue spese questo fonte, che scaturisce dal
monte.
66
e custodito di siepi, spinetti ed in parte di muri, denominandosi
poscia il Parco nuovo, a distinzione del Parco vecchio che esisteva girato di muri interamente al di sotto nella pianura, ove
fiorirono le praterie, le ville regali e il serraglio della Cubba, che
un tempo serbò le fiere del Re, come vogliam dire: leoni, orsi,
pantere 42.
Amendue cotesti Parchi fondati vennero dal re Rogieri, figlio
degnissimo del nostro conte liberatore della tirannide saracinesca. Sebbene il Parco nuovo (di cui teniamo raggione) si vo
(a) Pal. antico. foglio 34
(b) Du Gange in Glossa
(c) De Abbatiis lib. 4, f. 160
57
glia attribuire dal Fazello al re Guglielmo il Buono, poiché Romualdo, arcivescovo di Salerno (a) scrive di suddetto monarca:
quosdam autem montes, et nemora, que sunt circa Panormum
muro fecit lapideo concludi, et Parcum deliciosum satis, et amenum, diversis arboribus insitum, et plantatum construi jussit, et
in eo damas, capreolos, porcos silvestres jussit includi 43. Ciò
similmente rapportato ci viene da parecchi scrittori (b).
Nel Parco vecchio tuttora si rilevano le rovine di antiche e magnifiche fabriche, real sogiorno dei sovrani, mentre ivi si portavano per l’esercizio della caccia: e fra gli altri una torre di antichissima struttura, che lo scrittor Massa crede non esser stata
opera né de’ Romani, nettampoco de’ Greci.
In conferma di quanto citammo sopra del re Guglielmo II, ecco il
Fazello come si esprime: Saltus Guilelmi secundi quos Parcum,
aut Circum regium nominabant, ubi frequenter venationi indulgebat (c) 44. E Lello altresì lo conferma nella sua descrizione del
tempio di Morreale (d).
Cotesto nuovo Parco è quello appunto che, insiememente alla
nostra Partinico e sua foresta ed altri beni, furono di special grazia regale concessi e donati, come si è detto, ai monaci Cister-
42
Il Parco Vecchio cui fa riferimento l’autore non si trovava nella piana di Palermo ma tra
Santa Cristina e Marineo. L’identificazione è possibile attraverso la donazione di Guglielmo
II al Monastero di Santa Maria la Nuova di Monreale del maggio 1182 laddove è riportato il
‘murum parci’ che delimitava l’area. Ancora oggi il sito è denominato Parco Vecchio.
43
fece circondare alcuni monti e boschi attorno a Palermo con un muro di pietra e fece costruire un parco assai delizioso e ameno col piantarvi degli alberi
e vi fece immettere camosci, capre selvatiche e cinghiali.
44
terreno selvoso di Guglielmo secondo, che chiamavano Parco o recinto regio, dove spesso si intratteneva per la caccia
67
ciensi dalla pietà del nostro fondator Federico, dopo la solenne
dedicazione alla Vergine d’Altofonte.
La immagine di un quadretto di Nostra Signora d’Altofonte è
quell’istessa identifica cui fu dedicata dal pio Sovrano al 1306 la
real Abbazia, ch’era posta su la sorgiva dell’Alto Fonte, nella
montagna del Parco stesso. In venerazione quindi, fabbricata la
terra, monastero e chiesa, ivi venne trasferita dalla divozione de’
Cisterciensi e paesani, e tuttodì si venera nella Madrice chiesa e
sul primo altare all’ingresso da mano destra. Tal figura per la
sua enorme antichità meriterebbe abolirsi, ma la divozion nol
comporta. Le iscrizioni, che porta ai piedi sono
(a) In Chronic. Ad annum 1149
(b) Rinald. Cron. ad annum 1149. Dufresne, Glossar. latin. tomo 2, f. 158.
Mongitore in Addit. ad Pirr. Not. N. 66. Parci tom. 2, f. 1322. Mongitore, Sic.
Ricercata. Cap. delle cacce. tomo I foglio 333.
(c) Fazello, Deca I, lib. 8 foglio 188 et cap. de Parc. tomo I folio 347.
(d) Part. 3, folio 52, n. 149
58
elleno aragonesi, onde illegibili, ma pur si ravvisano.
Non poco abbonda il Parco di limpidissime acque eccellenti, le
quali, comeché vantano dell’alto posto nella loro sorgiva, dette e
appellate vengono dell’Altofonte. La loro prima fonte o scaturigine nasce a pie’ del monte di Moarta e che, scorrendo per la
pianura del Parco, state son meritevoli a dar titolo non solo alla
nostra Abbazia d’Altofonte, ma anche alla stessa abitazione de’
coloni del Parco, che nell’origine di sua edificazione fu chiamata
la terra d’Altofonte, come sopra accennossi.
Vi ha il fonte Oreto, che spetta all’acque dell’antichissimo vasto
fiume, del suo nome tanto dai poeti celebrato, e che bagna la
Dominante Palermo, in cui, toccando il punto di Gurgur, che
giace sotto la chiesa vecchia de’ Padri della Grazia, va a dar sua
foce. Nasce egli dalla montagna volgarmente dinominata Ragaliceusi, nello stato arcivescovile di Morreale, alquanto sopra la
scaturigine di Cannizzaro, e miglia due su di quella di Ambleri,
vomitando acque da cento bocche di vive selci in un picciol vivaio a pie’ di terra, ond’è, che, a ragion del posto eminente di
capo d’acqua sortito graziosamente dalla natura, fu chiamata la
fontana d’Altofonte. Ciò non ostante prende e gode il primato fra
l’acque del Parco la sua sorgiva, come comunemente si stima, a
pie’ del monte di Moarta (voce corrotta da Barca) (a), cinque
miglia lontan da Palermo, per cui l’acqua di Altofonte volgarmente vien detta: l’acqua del Parco (b).
68
Quest’acqua adesso si divide in due corsi, passa l’uno in menzo
la terra stessa del Parco facendo girar tre mulini da grano, scende l’altro e s’inoltra sin a Santa Maria di Gesù. In molti luoghi
suole assiemarsi dessa coll’acqua di Ambleri dell’ Auricchiuta.
45
(a) Cascini, A vitam S. Rosaliae … I, f. 17
(b) Di Blasi, Opusc.Sicil. T. X, fol. 210
59
Lo storico Di Giovanni abbaglia senza meno quando pretenda
dar capo vena a questa bella fonte nella piazza della chiesa Abbaziale del nostro Parco, in cui non si scorge altro di cospicuo
che una piccola fontana pubblica. Cadde pure in questo errore
l’abate don Vito Maria Amico nel suo Lexico topografico siciliano (a).
Fiume lo chiama il Baronio questa gran fonte dell’Altofonte, la
quale sgorga perennemente tre zappe d’acqua (b).
Rendesi quindi a ragione delizioso insieme e fruttifero al sommo
il divisato monte del Parco e, conseguentemente con esso, la sottoposta campagna palermitana (c).
Meritò degnamente questo bel monte e luogo del Parco l’elogio
onde gli attribuisce il Baronio anzidetto per la sorgiva dell’acqua
surriferita, colla seguente magnifica espressione (d):
Totum panormitanum aequor uno lustratur
aspectu unaque aspectu, variis, iucundis
simisque rerum, fere omnium imagini
bus affatim advenae incolaeve desiderium
satiatur, undequaque fontes erumpunt,
undequaque etiam ut innui vernat, et
avis, ut post haustum beneficii non im
memor loci delitium, cantu reddat amoe
nius vel loci delitium ingeminato Carmine
consultet. In eo nihil est cur quispiam de
sideret 46
45
E’ molto improbabile che il toponimo Moarta abbia a che fare con Barca. L’autore fa riferimento alla “Vita e Invenzione del corpo di Santa Rosalia” del gesuita impressa nell’anno
1631. In essa si fa riferimento al sito Barca. Trattasi però di un feudo alle falde del monte
Pellegrino, quindi in tutt’altro luogo, appartenente al Monastero di San Martino delle Scale.
46
Tutta la pianura palermitana offre una vista luminosa, il desiderio del forestiero e
dell’abitante è soddisfatto abbondantemente dalla lieta immagine di ogni cosa, scaturiscono
fonti da ogni dove, tutto rinverdisce e gli uccelli allietano col dolce canto. Non c’è nulla che
si possa desiderare di più. (Il testo appare quasi incomprensibile, forse per qualche errore in
esso riportato e, pertanto, la traduzione non risulta del tutto rispondente)
69
Dal divisato fonte di Moarta viene a precipitarsi una seconda
fontana, che nasce da una selce ossia grossa rocca, laterale al
luogo di Roana. Cotesta acqua vien detta di Fontana Rossa e
consiste di una zappa. Per acqua parimenti del Parco vien reputata quella della masseria dell’Api, voce corrotta dalla latina turris
lapidum 47.
(a) T. 2, parte I, vedi Altus fons
(b) Palermo glorioso, cap. 3, f. 29
(c) Di Giovanni, Palermo ristorato, Libr. 2, fogl. 3q retro
(d) Maestà palermitana, libr. 1, cap. 12, fogl. 93
60
Nella possessione di Manno chiusa nel territorio del Parco sorge
altresì dell’acqua, che volgarmente va detta della Paglia, la quale vena se non supera la quantità dell’acqua accennate di sopra,
le avanza certamene in qualità. Vi è finalmente per chiudere il
presente capitolo l’acqua chiamata di Antonio Di Liberto, di ottima e bastante qualità e quantità.
Capitolo VI
Borgetto e Sicciara, loro chiese un tempo di pertinenza e giurisdizione della nostra real Madrice chiesa di Partinico, di lei suborghi adesso dismembrate.
Il Borgetto (situato all’opposto di Montelepre)(a), casale un
tempo ed oggi grossa terra, in cui si annoverano 4273 anime, unitamente al suo feudo nobile 48, confina e attacca da vari lati col
nostro contado badiale e ne giace lontano da Partinico a levante,
poco meno che un miglio. Si ha creduto sempre un’antica tradizione tale voce Borgetto essersi corrotta col volger degli anni e
che peculiarmente ne fosse stata nella sua origine quella di Borghetto, giusto perché considerato quel casale un piccolo borgo
della nostra città, a cui fin dall’anno 1710 venne soggetto in
rapporto alla giurisdizione spirituale, che la tennero sempre i nostri reverendi arcipreti, spacciandosi anche in stampa Parrochia
47
Torre delle pietre. Il toponimo Api più che da turris lapidum quasi certamente deriva da
don Vincenzo di Lapi che nel 1549 era massarioto del sito.
48
-feudi nobili: erano quei feudi non concessi a nessuno, nel pieno dominio e nella libera
amministrazione della Chiesa.
-feudi censionali: quelli “li quali riconoscono alla Chiesa una determinata somma e canone
pecuniario”
-feudi a comune e decime: quelli che pagavano alla Chiesa la decima parte dei prodotti presunti.
-Feudi a Massarie: quelli “concessi dalla Chiesa a particolari a modo di enfiteusi perpetua,
con patti però ed oneri molto differenti dagli ordinari contratti enfiteutici”.
70
di Partinico e Borgetto. A palparsi siffatto errore e deteggersi
apertamente che sì non era e che
(a) Descrizione geografica di Sicilia, Palermo, edizione del 1798, fol. 56
61
all’opposto il Borgetto così appellavasi, sin da secoli trasandati
anche prima che la nostra Partinico fiorissse, a piacere degli amatori della storia, siami lecito per qualche volta, giacché mi
cade in acconcio e quasi per episodio, di rapportare succintamente le nozioni pria di scendere a ragionare della di lei dismembrazione, nonché di quella della Sicciara, dalla nostra madre Chiesa.
Dal re Giacomo di Aragona, l’anno di nostra salute 1294, il Nobil Uomo Simone de Esculo, signore del feudo e del Casale del
Borgetto, ottenne carta di commendazione diretta all’Infante don
Federico, luogotenente allora di questo Regno di manutenendo
nei di lui diritti (a), a cagion che ne veniva molestato dal (nostro) nobile Giovanni Oberto da Camerana, signore del bosco e
foresta di Partinico e regio foresteraio e custode della defensa e
cacce riserbate al regio diporto.
Passò quindi il Borgetto a Margarita de Esculo, figlia del mentovato Simone (a mancanza di maschia prole), che andò a marito in
Federico di Antiochia. E comeché amendue cotesti jugali si resero felloni, gli venne al 1339 confiscato e dal re Pietro Secondo
donato al nobile Raimondo di Peralta, a premiarne col merito gli
servigii prestati alla Corona (b).
Sul 1343, il divisato Raimondo chiese il permesso al re Ludovico
di poter alienare il feudo del Borgetto, onde occorrere col di lui
prezzo a ricattarsi dai debiti contratti e torsi la vessazione dei
suoi creditori, e il Re benignamente vi condiscese con sua carta
reale (c). Di fatti poi, al 1346, passollo a vendere al nobile Perrono de Campsora con tutti i jussi e ragioni, giustizie e giuste
pertinenze sue superiori ed inferiori. A cagion quindi de’ contratti debiti dal Campsora, già domino del feudo di Borgetto, cotesto alienossi nel 1351 alla nobile donna Margherita de Blanco
per sentenza proferita dal Tribunale
(a) In quodam casali suo vocato dello Borgetto, cum pertinentiis et finibus suis
(b) Terram et castrum Caltabillottae et castra Calatubii et Burgetti prope Alcamum, cum Castro ad mare de Gulpho, quae in unum corpus redigentes et unientes et Comitatus nomine et vocabulo insignentes et decorantes, quem Comitatum
Caltabillottae vocari decrevimus, ea cum omnibus vassallis et omnibus territoriis, molendinis, aquis, venationibus, gabellis, juribus, quae castra Calatubii,
71
Burgetti et Mare de Gulpho Fridericus de Antiochia proditor noster tenebat a
Curia
(c) quoddam eius feudum vocatum del Burgetto, situm et positum in Valle Mazariae
62
della Regia Gran Corte (a).
Da cotesta pia Dama passa in dominio al ven. monastero di San
Martino delle Scale di Palermo il prelodato feudo del Borgetto,
l’anno 1355, in forza di una irrevocabile donazione (b).
Conferma il nostro prelodato sovrano Federico la indigitata donazione ed esenta il monastero dal servizio militare, a cui veniva
tenuto il feudo nobile del Borgetto, e ciò con la di lui regia carta
del 1366 (c).
Il monastero, in seguito a sì regal dispaccio, ha sempre usato
giurisdizione in detto feudo, conservata con continuate lettere
osservatoriali. Ha eletto gli ufficiali e si veggono informazioni
appo la di lui corte sin da due secoli addieto. Ha tenuto nella
dominante Palermo da gran tempo il giudice di sua Corte superiore, e qualche volta ne ha fatta cadere la elezione in persona
dell’avvocato ficale della Gran Corte, previa la corrispondente
dispensa, onde poterne esercitare la carica. Nei contratti enfiteutici, da più di tre secoli sono, si è curato di conservarsi la propria giurisdizione (d). Sonovi delle sentenze che la Corte pretoriana non s’intrometta nello Stato dello Borgetto e vassalli del
monastero, lettere rogatoriali del Senato che parlano di alcuni
luoghi dello Stato del Borgetto nella più energica favorevole
guisa (e). Vanta il monastero la facoltà di carcerare i propri vassalli in Palermo, e insomma è stato sempre, per parecchi secoli,
in possesso pacifico ed assoluto della giurisdizione civile e criminale a relegazione infra, con esercitar l’altra a relegazione
supra il tribunale della regia Gran Corte.
Ciò presupposto frattanto la spirituale giurisdizione
(a) cum omnibus rationibus proprietatibus et pertinentiis suis
(b) cum omnibus juribus et pertinentiis suis cum servitio equi armati
(c) Pro salute animarum progenitorum nostrorum et nostrae
(d) Debent conveniri in Curia ipsius monaterii
(e) Quia dicta loca reperiuntur extra nostrum territorium, ideo rogamus
63
e la cura di quelle poche anime, che in quei tuguri e casette villerecce abitavano, dietro di essersi ingrossata la nostra Partinico
e resa di già parrocchial la sua chiesa; fu sempre di spettanza
72
della medesima e in essa si soddisfaceva il precetto pascale dei
borgettani, in cui similmente si riceveva il santo battesimo e si
adempivano religiosamente tutti gli altri sacramenti sino ad aver
in quella la sepoltura. Si rispondevano all’ugual tempo al rev.
arciprete i dritti di stuola, primizie e funeratizii e tutto ciò che
dai partinicoti pagavasi e si reputavano insomma i borgettani altrettanti parrocchiani di Partinico. Di fatti, in contingenza di doversi costruere la campana grande di nostra chiesa (che tuttodì
esiste, sebbene più ingrandita al 1719), concorsero quei comparrocchiani al soddisfo del prezzo, e ne acquistarono benanco la
facoltà perenne, come la godono i nostri cittadini, di dover quella suonare a mortoro nei loro funerali, senza pagar dritto alcuno
all’arciprete, a riserba soltanto del tarì 1 al sacrestano (a).
Nulla di manco, esisteva al Borgetto una campestre chiesetta in
onore di san Nicola (ch’è adesso la sacristia della Madrice), ma
codesta era soggetta benanco alla giurisdizione di nostra Madrice e vi amministravano a loro bell’agio i sacramenti i nostri
rev.di arcipreti, la tenevano però sprovveduta assai troppo dei
sacri arredi e poco ben culta, per l’alpestre sua situazione, talché
essa degenerò in uso profano in quegli abitanti.
In discorso di sacra visita, tenuta in ottobre del 1705, il rev.mo
monsignor don Alessandro Castelli, Vescovo di Mazara in quel
casale degente, conoscendo la necessità dell’anime di quella
chiesa e per renderla culta e fornita di quanto decentemente convenivasi, fè produrre delle testimonianze corrispondenti al bisogno e poi, al 1706, il dì 18 di ottobre, si ordinò dalla sua
(a) Contratto presso gli atti di notar Giovanni di Lione di Partinico, addì 30 marzo 1696, conservati nel pubblico archivio
64
Gran Corte vescovile al rev.mo arciprete, don Francesco Albamonte, a conferirsi sulla faccia del luogo e profanare solennemente la detta chiesa di san Niccola, giusto il sacro romano rito.
E come in esso casale eravi stata eretta una nuova chiesa, dedicata a santa Maria Maddalena, dispose in seguito suddetto monsignore che in essa dovesse erigersi un altare al detto glorioso
san Niccola e si dovessero assegnare a detta cappella quei frutti
annuali, che erano stati assegnati alla riferita chiesa profanata.
Ordinò similmente detto rev.mo Vescovo, su’ li 27 ottobre di
detto anno 1706, che l’arciprete Albamonte dovesse eligere fra
mesi quattro e manutenere, a spese sue, un rev. cappellano e un
sacristano e provvedere altresì di suppellettili, sacri arredi e ornamenti la detta chiesa bisognevoli per l’amministrazione dei
sacramenti per le anime di quel casale.
73
Inteso di ciò, il rev. padre don Simeone Zati, general procuratore
dell’eminentissimo card. Medici ed abbate nostro commendatario, cui privativamente spettava il jus di regio patronato su la
ven. nostra real Madrice, a cui era quella del Borgetto soggetta,
si gravò nelle debite forme nel Tribunale della regia Monarchia e
Apostolica Legazia della processura del Vescovo di Mazara et,
servatis servandis, fù da detto Tribunale, a 27 agosto 1708, proferita sentenza, per cui si disse non darsi luogo al gravame per
questa causa, venendo confermata la stessa dal Tribunale del regio Concistoro, sotto li 23 marzo 1709, e cotesta ben’anco da
quello della Gran Corte Criminale di CC. DD. Il dì 3 agosto
dell’istess’anno.
Non venivano dall’arciprete frattanto eseguite siffatte sentenze,
motivo che da quel prelato si passò alla formale ingionzione a di
lui carico, il quale non potendo esimersi di esecutoriare le suddette sentenze e peraltro, come a zelante che era, facendosi carico del dan65
no spirituale dell’anime abitavano quel casale (rimorsi che
scompigliavano la sua illibata coscienza) procurava tuttavia di
ritrovar de’ mezzi onde avesse potuto coonestar tali pendenze,
senza attrassar la sua congrua, che riconosceva impotente a sostenere il nuovo peso se gli voleva indossare, in pregiudizio dei
di lui successori.
Ma, profittando dell’incontro di sì favorevoli momenti, non meno che delle critiche situazioni e costernazion dell’arciprete,
l’accortezza dell’abbate di San Martino, già Signore del mentovato casale, quale donatario di detta nobil donna De Blanco, e
spinto similmente dallo zelo di quell’anime alla sua giurisdizione soggette, nonché del piacere d’indipendenza baronale, che per
sé attiravasi, colse il punto e guadagnossi quella buon’anima
dell’Albamonte, inducendolo alla stipola di un contentamento e
liticessione ai precedenti giudizii e sentenze, ottenendo dallo
stesso la piena facoltà di poter a suo bell’agio in ogni tempo divenire alla nomina ed elezione del cappellano sacramentale della
Madrice chiesa del Borgetto, d’approvarsi dall’Ordinario e, come tale conferire a costui il corrispondene titolo di arciprete di
quella, con obbligarsi al tempo stesso perpetuamente il monastero rispondere all’intero mantenimento della Madrice per tutte le
bisogne ed urgenze parrocchiali, rinunziandosi intuitivamene
all’accordio anzidetto da riferito Albamonte, al tutto che poteasi
di sua eccezione esperire circa i premessi e così venir disgravato
esso lui ed i suoi successori dai pesi impostigli l’Ordinario, co74
me meglio si rimarca dall’atto corrispondente presso le tavole di
notar Stefano Sardo, addì 22 febbraio 1710.
66
Ed ecco ciò posto che nell’istess’anno e sotto il dì 5 maggio,
prese l’esercizio quella chiesa dei dritti parrocchiali (a), battezzando per la prima volta un bambino borgettano, nato dalla famiglia Pezzino, cui venne imposto il nome di Onorato, in venerazione del rev.mo suo padrone abate don Onorato Salerno, cassinese, unico mentre era unita la Congregazione cassinese, Presidente siciliano, uomo insigne che fè onore alla stessa e al monastero, arricchendolo di un grandioso organo, coro e eccellenti
sacre pitture, ed al qual bambino da esso battezzato detto rev.mo
padre abbate, a nome del suo monastero, graziosamente assegnò
e concesse salma una di terra nel territorio del Borgetto, sul solo
canone di onza una annuale.
Difonto l’Albamonte e succedendo all’arcipretura di nostra madre chiesa l’anno 1731 il rev.mo dr. don Giovanni Paolo Raccuglia, nostro degnissimo concittadino, risentissi costui a carico
del monastero e arciprete del Borgetto, presso il nostro allora illustre abbate commendatario, monsignor principe di san Giuseppe, allegando sanamene: non essersi potuto dal di lui antecessore
pregiudicar punto ai dritti del regio Patronato, che risiedono negli abbati di Altofonte, da cui non si era affatto prestato assenso
alla suddetta dismembrazione, ed ancorché tolleranza fussevi
stata dall’abbate commendatario di allora, pure sendo questi un
mero custode, anziché despota o assoluto signore de’ dritti Abbaziali, in nulla pregiudicar poteva ai medesimi, perché illesi ed
intatti dovea conservarli a pro’ dei suoi successori nell’istessa
Abbazia, epperò nulli si pretendevano gli atti tutti interposti in
pregiudizio del jusso del regio patronato. Frattanto, qualsiasi
stata la magnete o la tempra della molla adopratasi in tal emergente dalli abbati presso il Raccuglia, da cotui si liticesse del pari e in premio (diciam così) dell’omologazione dei dritti acquistati dal monastero, da costui ottenne per uso della nostra Madrice e pro omni jure un calice d’oro ben grande, che tuttora conservasi (b) (e ciò circa
(a) sendone stato insignito da cappellano curato il rev. don Giovanni Flores, indi
a 24 di esso maggio il rev. don Antonio Paruta, sino a 2 novembre 1723 e vi successe il rev. don Antonio Paruta e poi al 1725 don Giuseppe Urso al 1727, don
Simone Macaluso al 1730 don Giacomo Torre a cui nel 1733 gli fu aggionto un
rev. cappellano don Serafino Pignatelli a cui gli fu sostituito in grado di rev. cappellano nel 1735 don Luca Mandalà e qui finiscono poi gli cappellani curati
75
(b) e ciò giusta contratto di transazione, rogato da notar don Salvatore Nuvola
(?) di Palermo a primo maggio 1737 ratificato da … a li atti del fu mio genitore
notar don Domenico li 10 di detto mese 1737 …
67
l’anno 1739) attesoché sino al precedente 1738 (a), in cui celebrossi in Mazara da quell’Ordinario monsignor Caputo il sinodo
dato alla luce colle stampe, il nostro Raccuglia, nella tavola dei
parrochi concorsivi, spacciò il titolo di Arciprete di Partinico e
di Borgetto.
Ciò malgrado il primo arciprete che vantò quella Madrice di
Borgetto, l’anno 1737, a 3 agosto, si fu il rev. padre cassinese
don Fulgenzio Platamone, il quale dopo pochi anni renunciando,
vi successe al 1739 il rev. padre don Severino Barochal, che del
pari al second’anno rinonziò, subintrandovi il rev. padre don
Emmanuello Ventosa che col suo accostumato zelo trovando la
Madrice alzata sino al cornicione, dalla cura de’ benefattori e dei
suoi predecessori, che fabbricata l’avevano, coll’avvanzati cementi d’un cominciato nuovo monastero, ov’è tuttora la casa
grande di don Emmanuele Migliore, nel piano del Castellano, la
finì egli al 1748, adornandola di una magnifica scalinata a due
fughe con balaustri d’intaglio all’ingresso da tramontana, siccome del sacro fonte battesimale, del coro, dell’orologio e campanile l’anno 1762, opera de’ nostri fabbri mastro Antonino Savarino e mastro Salvatore Caiola, come dall’iscrizione in esso rilevasi Saverino et Caiola fecere 49.
Finalmente il Ventosa, tanto benemerito alla popolazione, li 4
dicembre 1769, con universal cordoglio della medesima, cesse di
vivere e venne sepolto nella sua madre chiesa, innanzi l’altare
maggiore, coverto di una lapide marmorea portante il seguente
epitafio:
Adsta viator quod mortalibus de hoc mundo
superest, ut semper prae oculis haberes hoc mihi
Et successoribus posui sepulcrum rev.mus D. Emma(a) nonostante la detta transazione l’anno 1838
68
nuel Maria Ventosa, decanus casinensis, jam
archipresbiter terrarum Cinisis et Terrasinis
nunc huius Ecclesiae pastor et rector. Anno
49
opera di Saverino e Caiola
76
MDCCLVII, obiit IV decembris 1769 50
A sinistra dell’altare suddetto, ossia alla cancellata del coro
s’alza poi l’urna marmorea con medaglia rappresentante al vivo
la immagine del Ventosa, in cui la seguente iscrizione:
R.mi P.tris D. Emmanuelis Ventosa, Ordinis S. P. Benededicti,
marmor hoc refert imaginem, mores, animi indolem, reffere haud
valet qui mundum a teneris cautus trasfuga deserens in coenobio
S. Martini delituit, virtutibus incumbuit seque perpolivit, ditavit,
sacris plene addictus ad hanc regendam paroeciam tertius Archipresbiter reluctans vocatus, templum vix inceptum desudans
perfecit, Christi pauperrimus pauperum ditissimus cultor, coelo
maturus, cunctis tandem flebilis occidit, anno salutis 1769,
aetatis suae 82 51
A gloria dell’accuratezza e interesse per la Madrice del Ventosa,
dee ascriversi la seguente iscrizione in una tabella apposta su la
porta della sacristia, monumento tanto interessante la storia:
D.O.M.
Parrocchiali veteri ecclesiae, sub titulo sanctae Mariae Magdalenae hic sitae unceas duodecim annuas praestitit D. Philippus
Zappulla, anno 1680, die 5 aprilis, per acta Honuphrii Sardo et
Fontana, Panormi, cum onere unius sollemnis Missae quolibet
anno dicendi in eius hobitus anniversario, praeter missas privatas XXX solennemque aliam in die hobitus omnes pro Dei gloria,
donantis, anima eiusque intentione. Item trecentas alias uncias
ad novae fabricae constructionem anno Domini 1726, die 14
maii subministravit per acta Francisci Sardo et Fontana aedificata jam nova ecclesia quae in Archipresbiteralem anno 1737
die primo iunii erecta fuerat maximisque monasterii S. Martini
de Scalis expensis cui patronatus presbiterosque nominandi, eligen50
Fermati o viandante: affinché tu abbia sempre davanti agli occhi quello che
di questo mondo resta ai mortali ho posto questo sepolcro per me e per i miei
successori io Don Emanuele Maria Ventosa, decano cassinese, già arciprete
delle terre di Cinisi e Terrasini, adesso pastore e rettore di questa Chiesa.
Anno 1757, morto il 4 dicembre 1769
51
Questo marmo reca l’immagine del rev. padre Emanuele Ventosa, dell’ Ordine del santo padre Benedetto, ma non può rapportare i suoi costumi, l’indole
dell’animo di lui che, da fanciullo abbandonò il mondo nascondendosi nel cenobio di San Martino, cercò la virtù, si perfezionò, si arricchì. Essendosi interamente dedicato alle cose sacre, venne chiamato, contro sua voglia, a reggere questa parrocchia quale terzo arciprete, completò con sacrifici questo tempio la cui costruzione era appena cominciata. Poverissimo, ebbe gran cura dei
poveri di Cristo, maturo per il cielo, divenuto debole per tutti, morì nel 1769,
all’età di 82 anni.
77
69
di jus per superiora annorum 1694 et 1696 instrumenta competit
integre completum lapidem hunc posuit Rev.mus Pater D. Emmanuel Maria Ventosa monacus decanus praedicti monasterij et
tertius Archipresbiter anno Domini 1764 52
L’anno 1770 fu assonto all’arcipretura il rev.do padre cassinese
don Giuseppe Settimo, il quale renuziò la carica dopo due anni
di sua regenza e l’occupò degnamente, al 1772, il rev.do padre
don Giovanni Crisostomo Settimo, alla di cui rinunzia successe
il rev.do padre don Anselmo Caldarera, che finalmente morì al
1777 e venne sepolto nella suddetta Madrice.
Sul 1778 godè l’arcipretura il rev.do padre don Benedetto Requisens che rinunziò al 1791 e morì quindi appresso, nella città di
Napoli, e fu quella conferita in persona dell’odierno rev.do padre
don Casimiro Drago, l’anno 1792, da cui si eresse il non tuttora
indifferente ragguardevole altare sul 1794.
E vaga e decente la madre chiesa anzidetta, che venne adorna
tutta di pittura sul greco gusto l’anno 1780 e dirimpetto a cui si
erige nel piano una fontana marmorea con vari sbocci di limpidissime acque e porta seco le seguenti iscrizioni: da parte di scirocco:
Praesulis eximii Requisens benefacta loquatur
qui Crjcimanno praeside fons struitur 53
Verso tramontana:
Anno ab erecta Universitate huius terrae Burgetti 1754 D. Cjrus
Baiardi capitaneus, magister Leonardus Vicari, juratus, magi-
52
Don Filippo Zappulla cosituì una rendita di dodici onze l’anno, in favore di
questa antica chiesa parrocchiale sotto il titolo di santa Maria Maddalena, il 5
aprile 1680, con atto di Onofrio Sardo e Fontana di Palermo, con l’onere di
una messa solenne da celebrarsi ogni anno nell’aniversario della sua morte,
oltre le trenta messe private ed un’altra messa solenne nel giorno della sua
morte, tutte a gloria di Dio e per l’anima del donante. Parimenti il 12 settembre
del 1726 elargì altre trecento onze per la costruzione della nuova fabbrica, con
atti presso Francesco Sardo e Fontana, essendo stata costruita la nuova chiesa, che era stata elevata ad arcipretura il primo giugno 1737, con grandi spese del monastero di San Martino delle Scale, cui era stato conferito il diritto di
patronato e di nominare i titolari , con atti del 1694 e 1696. Il rev. padre Emanuele Maria Ventosa, monaco, decano del predetto monastero e terzo arciprete pose questa lapide nell’anno del Signore 1764
53
Questo fonte, costruito sotto la presidenza di Crescimanno, manifesti i benfatti dell’esimio prelato Requisens
78
ster Joseph Polizzi, juratus, magister Joseph Bonfardeci, juratus
et magister Santus Migliore, iuratus 54
Ben un’altra fontana detta di Vittoria, laterale allo stradone
70
porta altresì la iscrizione seguente:
Hic erecto fons meruit Victoria nomen
nam primus in aquis solus hic umor habet 55
La Patrona di detta terra n’è la vergine santa Maria Maddalena,
venerata tanto dai borgettani, ed a cui solennizzano l’annua popolar festa l’ultima domenica del mese agosto con l’universal
brioso concorso della gente di nostra città, attesa la di lei vicinanza e agevolissima piacevol strada, sì per godere delle corse
dei berberi, che dell’artificio di fuoco la sera. Saluberima e sana
n’è l’aere della medesima erta, scoscese e disastrose ha le strade,
a riserba di quelle del corso, resa carrozzabile adesso pel tragitto
dalla nostra città alla dominante, seben non lascia di non esser
erta.
Non va però esente il Borgetto della innata divozione alla Vergine. Vanta egli la Madonna dello Rimitello, nome assonto, come
sotto diremo, la quale la domenica in albis si trasferisce solennemente dalla vicina montagna delle Ciambre in detta madre
chiesa e vi si fa la solita annua regal processione. In detto monte
fuvvi costrutto, vivente la donatrice De Blanco, un monastero
(adesso rovinato), che dedicato venne alla Vergine sagratissima,
e il di lui abbate appellossene di Santa Maria del Borgetto. Fabbricò quello il beato Angelo Senisio, cassinese, cittadin di Catania, quell’istesso insigne soggetto che l’anno 1362 reedificò
l’altro di San Martino nella valle rimpetto Palermo, monumento
oggidì che attira l’universale ammirazione e per la magnificenza
della mole e per la religiosità dei monaci vi soggiornano, tra i
quali fiorisce tuttodì in vasta erudizione il chiarissimo padre abate don Salvatore Di Blasi, cui vagli tenuta non poco la repubblica delle lettere, per le di lui scientifiche cognizioni e raccolte
degli opuscoli dell’Autori siciliani, date alla luce a beneficio di
letterati, nonché per la biblioteca (a) e Museo di cui ne fu
l’auttore, raccoglitore e conservatore don Salvatore De Blasi (b).
54
Nell’anno 1754 dalla costituzione del Comune di Borgetto Don Ciro Baiardi
capitano, mastro Leonardo Vicari giurato, masro Giuseppe Polizzi giurato, mastro Giuseppe Bonfardeci giurato e mastro Santo Migliore giurato
55
Questo fonte ha meritato il nome di Vittoria, infatti è il primo e solo che porge acqua
79
Quivi alle Ciambre abitò da penitente il beato Giuliano abbate
Majale, che indi rinselvossi più addentro a menar vita romitica,
fabbricandosi colà una celletta con altarino ed in cui, per la tradizione, si dice esser morto sul 1447, dietro
(a) Catalogo dei libri di stampa del XV secolo esistenti nella biblioteca del monastero di San Martino delle Scale di Palermo nel mese di giugno del 1778, in
Palermo colle stampe del Raponi (?)
(b) panormitani casinensis gregoriani monasterii sancti Martini de Scalis, Panormi, bibliotecarii ac cimeliarche ad referendum praesulem D. Petrum Aloysium Galletti, SS.mi Salvatoris et Cyrini casinensis congregationis abbatorum
epistola
71
d’aver goduto in sua vita più fiate dell’illustre grado di ambasciadore del nostro re Alfonso, in Tunisi e altrove.
La chiesetta surriferita esiste tuttodì rinnovata colla erogazione
recente di onze 47 della pia devozione del degno sacerdote don
Vincenzo Vicari, borgettano, abbondando quel luogo di molte
vene limpidissime d’acque dioretiche e freddissime.
Nella montagna detta Lingone, oggi comunemente Romitello
(che diè il titolo alla Vergine prelodata), questo lo ereditò e ritiene dall’abitazione eremitica presceltavi in essa il rinomatissimo padre Teofilo Folengo, mantovano, che meritò per la sua insigne poetica (a), molto più in essa nel secolo XVII, l’elogio
dell’universo, sendo stato il suo nome accademico pastorale
quello appunto di Merlin Coccaio (b). Checché ne sia stato, il
motivo del suo ritiro in detto romitaggio delle Ciambre ci è ignoto, come del pari l’altro della sua repentina segreta fuga e restituzione alla patria, l’anno 1544, in cui chiuse i suoi dì li 9 dicembre dell’istess’anno, trovandosi nella sua cella a caso la seguente epigramma, lasciatavi lo stesso romito di suo carattere originale:
Dulce solum, patriaeque instar, mea cara Ciambre
accipe supremum cogor abire, vale.
Vos rupes atque antra, cavi gratique recessus
quodque horrore nemus, silva virore places.
Vos vitrei fontes et amoris conscia nostri,
murmura perpetuo vere cadentis aquae.
Tuque mei testata grave via longa labore,
tuque olim sancto cellula culta sene.
Si vestri curam gessi quidquamve peregi,
quo facti auctorem fas sit amare boni.
Mantuam aeternis memorate Theophilon annis,
80
sitque meae vobis causa sepulta fuge 56
Ed ecco altresì l’epitafio in morte dell’accennato poeta:
Hic cineres Theophili monachi
tantisper ut reviviscant
asservantur
(a) Scelta di canzoni, tom. I, in Venezia presso Lorenzo Baseggio, 1727, fol. 482.
Si trascriva il sonetto del poeta Quando l’alma gentil, Descrizione geografica di
Sicilia, terza edizione in Palermo del 1728
(b) Giovan Mario Crescimbeni, Storia della volgar poesia, vol. 2, parte I, f. 328
72
in Domino quievit die 9 decembris 1544 57
Circa sepulcrum sequentes versus
Hospes, siste gradum, manus venerare solutas
Merlini corpus conditur hoc tumulo;
quod si fata viri, sortem patriamque requiris
saxo hasce inscriptos perlege versiculos
Mantua me genuit, Veneti rapuere, tenet nunc
Campasium 58: eccini ludica, sacra sales 59
E per chiudere finalmente le notizie riguardo al succitato Merlino, si trascrive l’estemporaneo sonetto dell’abbate D. Martino
Anastasio, dirimpetto alle ninfe del poeta anzidetto:
Venni ai monti ciambrischi, ove rivolto
trovai del bel Parnaso il dotto coro
e dai rami più languidi d’alloro
vidi cinger ben tosto il crin disciolto.
Flebili in voce e pallide nel volto
cangiato in nero e ruvido lavoro
56
Dolce suolo, simile alla patria, mia cara Ciambra, ricevi il mio estremo saluto,
sono costretto ad andare via, vale! O voi rupi, antri, caverne e grati recessi,
orrido bosco e verde selva gradita. Voi fonti cristallini, testimoni del nostro
amore, mormorii permanenti dell’acqua, Tu, cammino faticosoe tu cella dotta,
dimora di un santo vecchio.Se ho avuto cura di voi e se ho fatto qualcosa, sia
consentito usare affetto per l’autore del ben fatto. Ricordate per sempre Teofilo e Mantova e dimenticate la mia fuga
57
Qui si conservano le ceneri di Teofilo per quel tempo che dovranno risuscitare
58
Campese: frazione del Comune di Bassano del Grappa (VI).
59
Sul sepolcro i seguenti versi: Ospite, ferma il passo, sciogli la mano in un
saluto. In questo sarcofago è conservato il corpo di Merlino e se vuoi conoscere il destino di quest’uomo, la sua sorte, la sua patria, leggi questi versi scolpiti nella pietra: Mantova mi ha generato, i veneti mi hanno rapito, adesso mi
trattiene Campese: ho cantato cose scherzose, cose sacre, cose argute
81
delle seriche vesti e l’ostro e l’oro
cantar le vidi, quanto ho qui raccolto:
questa è la dolce cura e il grato suolo
di chi formò non mai più interi canti
che straccò dalla fama il grido e volo
i chiari fregi e gli onorati vanti
rammenti oggi sorelle il nostro duolo
e viva il nome suo ne’ nostri pianti.
Tanto fin qui riguardo il Borgetto.
Seguitando poi il nostro assunto per quello riguarda il casale
della Sicciara è da notarsi che fu desso sempre soggetto alla giurisdizione temporale, e molto più spirituale, della nostra città e
suo rev.mo arciprete. I deputati nostri di annona esercitarono nei
suoi tempi la visita dei generi comestibili e potabili. Il castellano
ed in poi il giudice e regio capitano di Partinico vi amministrava
e compartiva la giustizia, sì nel civile che nel criminale, ed il
nostro arciprete riconosceva in suoi parrocchiani gli abitanti di
quella borgata, vi amministrava i sacramenti,
73
ne praticava la numerazione dell’anime e da esse ne ritraeva ogni anno la solita primizia.
Adesso, per la mutazione del governo e per la nuova eretta Università, il tutto si amministra in quel casale dall’illustre generale
Intendente sig. cavaliere Lioy e per esso riguardo all’annona dai
nostri spettabili giurati da cui si eligono colà due deputati: riguardo alla giustizia dal giudice civile e Corte capitaniale di nostra città, e per quanto concerne lo spirituale resta questo liberato, separato e dismembrato da questa nostra ven. madre chiesa
per quanto veniam di riferire.
Implorata la Maestà del nostro amabilissimo sovrano Ferdinando, Dio guardi, da don Paolino Gesugrande di Palermo, possessore di due terze parti del territorio delle Balestrate, ossia del
casale di suddetta Sicciara, come altresì dagli altri tenutari del
territorio suddetto, abitanti colà al numero di 500 circa, affinché
si fosse la Maestà Sua benignata dismembrare suddetto territorio
e casale dalla soggezione spirituale ha sempre in esso tenuta il
nostro rev.do arciprete, con ridursi in parrocchia la chiesa di
sant’Anna quivi esistente, eligendosi un serio rettore, ossia vicario curato, stante la lontananza da questa madre chiesa e per avere quell’anime un pabolo spirituale e l’amministrazione dei santi
sagramenti, venne il Re nostro Signore, per effetto di sua pietà e
regia clemenza, a menar buona l’inchiesta, e con suo regio biglietto dato in Palermo, diretto all’Ordinario di Mazara mons.
82
don Orazio della Torre, de’ principi della Torre, sotto li 26 maggio 1800, ordinogli l’erezione di suddetta nuova parrocchia e la
dismembrazione da questa venerabile madre chiesa.
In seguito a siffatta regia carta, il Prelato anzidetto eseguendo
prontamente il comando reale, attenta la positiva urgenza spiritual di quell’anime, sciolse ordine al nostro rev.mo Arciprete
dottor don Vito Bordonaro, per via del suo vicario generale e visitatore degente in Palermo, don Agostinto canonico Cangemi,
sotto li 16 agosto di detto anno 3 ind., 1800, registrato in questa
Corte foranea li 25 di esso mese, in cui partecipava ed inibiva
questo
74
nostro arciprete Bordonaro della sovrana risoluzione concernente
la dismembrazione anzidetta e all’ugual tempo la esenzione di
quelle onze 12 annuali contribuiva quel casale all’arciprete, per
ragion di primizia. Alla quale inibizione formale praticata da
quesa Curia foranea, il rev. Di Bordonaro, arciprete rispose sul
seguente tenore: Essere stata questa appunto la sua premura per
il maggior vantaggio di quell’anime, onde volentieri addiviene
ad esentar quel casale e suo territorio dal pagamento delle primizia, cominciando dal raccolto del 1801 in poi, e ad erigersi la
nuova parrocchia colle riserve volute da’ canoni a favore della
parrocchia primiera e servata sempre l’identità dello stesso
dritto di regio padronato. In Partinico, li 26 agosto 1800. Vito
Bordonaro, arciprete.
Dietro a tanta edificante risposta si devenne da quel zelante pastore per l’organo della sua Gran Corte, Vescovo di Mazara a
sciorre le legali canoniche lettere ossiano bolle contenenti la dismembrazione surriferita di quel casale della Sicciara da questa
nostra venerabile madre chiesa, sotto li 11 ottobre 4 ind. 1800,
che registrate ed eseguite vennero da questa Corte foranea li 13
novembre dell’anno stesso.
Dal suddetto vescoval documento si rileva essere stata eretta di
già in parrocchia la chiesa di sant’Anna esiste alla Sicciara,
d’ordine di Sua Maestà, a ricorso del Gesugrande e commoranti
di quel casale, per le necessità spirituali di sopra rapportate, come altresì di spettare l’elezione di quel rettore, o sia vicario curato e cappellano all’Ordinario monsignor Vescovo di Mazara e
suoi successori in perpetuo, e del pari la dote costituita alla parrocchia anzidetta nell’annua somma di onze ottanta perpetue,
contribuendo e pagando questa, cioè onze 36 in supplemento di
esse 80, dalla regia munificenza dello stesso piisimo Sovrano
Ferdinando e del regio erario commendale dell’Abbazia di nostra
83
75
Signora d’Altofonte, onze 20 sopra l’azienda vescovile
dell’istessa Mazara (giusta il regio anzidetto biglietto de’ 26
maggio 1800) ed onze 24, cioè onze 12 dagli stessi abitanti della
Balestrate, sotto la legge e condizione di venir esenti di rispondere in futuro la primizia al nosto rev. arciprete di Partinico ed
onze 12 dal succitato don Paolino Gesugrande ed altri compossessori del detto territorio della Sicciara. Con questo però che
per la facile consecuzione di esse onze 24 in due partite promesse detto don Paolino particolarmente ed espressamente obbligossi all’annual adempimento, di terzo in terzo ovvero di mese in
mese. Siccome del pari a proprie spese e di detti compossessori
far gli ripari ed acconcimi necessari alla chiesa parrocchiale,
suddetta cappella e case annesse alla medesima, giusta la mente
dell’atto di obbligazione, stipulatone presso notar don Lorenzo
Generale della dominante, sotto li 20 luglio del 1800. La regia
munificenza poi, a parte di suddette onze 36 l’anno onde istituersi detta parrocchia, deliberò sborzare altre onze 150 per una
sola volta per la costruzione (di già adempiuta) del sagro fonte
battesimale, de’ sacri vasi e suppellettili necessari alla chiesa
anzidetta e per l’amministrazione dei santi sacramenti. Dichiarandosi perfine dalla suddetta gran Corte vescovile, nelle accennate bolle le surriferite onze 80 annuali destinarsi cioè onze 30
all’anno al rettore, ossia vicario curato di detta nuova parrocchia
da esso vescovo eligendo, vale a dire onze 24 per la di lui congrua porzione ed onze 6 pel loero della casa di sua abitazione,
onze 24 al cappellano di essa parrocchia, cioè onze 18 per salario ed onze 6 per limosina di tante messe da essolui celebrande a
tarì 1.10 l’una, a seconda l’intenzione dei contribuenti, onze 6 al
sagrestano per salario ed onze 20 per manutenimento delle lampade accese, cera, giogali ed utensili in servigio della stessa
chiesa parrocchiale. Conchè dette onze 20 di dote particolar della chiesa si amministrassero sempre mai dal suddetto rettore o
vicario curato (eligendo già dall’Ordinario) e da altri due deputati anche dal Vescovo eligendi, con renderne ogni anno
76
i conti al medesimo della eseguita erogazione. E intuitivamente
frattanto all’esenzione della soggiogazione, separazione e dismembrazione suddetta, si prescrisse e decretò da quel Vescovo
darsi in ogni anno e in perpetuo al nostro rev. arciprete di questa
Partinico e suoi successori un cereo di peso di once tre, in giusto
tributo e ossequio alla primiera parrocchia, nel dì della festa della Purificazione di Nostra Signora e in segno dell’antica sogge84
zione, e ciò dal rev. rettore o vicario curato di quel casale e di
lui successori.
Ed ecco com’è seguita la dismembrazione suddetta e già assistita
quella nuova parrocchia da suo rettore o vicario curato, che ne
riportò la prima elezione dal Vescovo di Mazara il rev. sac. don
Giuseppe Burgio da Giancascio, con bolle date in Mazara, sotto
li 13 di detto novembre 1800.
Capitolo VII
Strade suburbane di Partinico, stato rurale della medesima città, continente il di lui moderno salmeggio, siccome i suoi possessori utili domini ed enfiteuti e quanto in esso Stato oggidì esiste d’anticaglie saracinesche, casini e chiese villerecce
Duodeci sono le strade suburbane che partono e dan l’uscita dalla nostra città alla campagna e che rendono vieppiù adorna e dilettevole la medesima. Poche pari nel Regno, a sentimento comune, dar se ne possono che invitino al passeggio al diporto gli
animi i più tristi, i più melanconici
77
sollevandoli al piacere ed insiememente allo ristoro delle fatiche
da cui si trovi oppressa ed attediata la povera umanità.
N’è la primiera quella resa di fresco carrozzabile, che dalla parte
di oriente torcendo a dritta s’inoltra a levante esibendosi dirimpetto in poco più di mezzo miglio, lo rispettabile castello ossia
casino appellato di Ramo (nome che assunse dal di lui autore
don Francesco Ramo e non Ramirez, come altri credono, uomo
pio e generoso, che nel principio del passato secolo se ne morì,
donando la di lui libreria al nostro venerabile convento dei Cappuccini). Vaga ed amena è codesta possessione di spettanza oggigiorno dell’illustre don Antonino Stella e Valguarnera, duca di
Castel Mirto. Si ascende al casino anzidetto per una scalinata a
due fughe, quale introduce ad un vasto terrazzo, girato intorno di
contornati balaustri in mezzo a cui si estolle il suddetto castello,
di nobile piuttosto architettura e ricco al di dentro di non poche
comode camere, a segno ché venne riconosciuto e capace e decente a potervi alloggiare S. E. il Principe di Caramanico, Viceré
del nostro Regno, in un con tutto il suo equipaggio, in occasione
di essersi l’anno 179 (sic) conferito nell’antica Segesta e quivi
ammirarne l’ancora esistente rinomatissimo tempio. Presenta ben
anco questa strada, a fianchi del riferito castello, la vaga presepiale veduta di alcune deliziose colline, attaccate dalla parte destra all’alte montagne delle Ciambre e Lingona nelle quai sorgo85
no e’l romitaggio, un tempo del beato Majale, e l’altro con chiesetta della Madonna del Romitello, solitudine presceltavi il celebre poeta Merlin Coccai, ossia padre Teofilo mantovano, di cui
parlammo nel precedene capitolo. Sparse si veggono e tappezzate l’anzidette montagne di ridente verzura e arborata, mista ad
erte graziose pendici ed antri muscosi da cui sgorgano limpidissime vene d’acqua perenni, che irrigandole le fertilizzano e nobilitano grandemente. Alle falde di quelle erger si vede la grossa, sebbene bambina, terra del Borgetto, a cui conduce la strada
istessa, e frattanto del passeggiere o del passeggiator chiunque
sia al restituirsi dal suo diporto in città, comeché rivolto a discendere gli spaziano dappoi gli sguardi giocondamene su la
sterminata sottoposta pianura ricamata di verdi piante, di villerecci alberghi di torri saraci78
nesche in mezzo a cui vede alzar la città e chiude infine
coll’orizzontal veduta del mar Tirreno, lungo le spiagge di san
Cataldo, Trappeto Sicciara e Capo di San Vito in ben lunga distanza.
Pochi passi pria di inoltrarsi, il passagiere o passeggiatore nella
strada anzidetta incontra a sinistra un arborato quadrivio, fianchegiato da sedili di forte pietra, lasciando a destra giù la città
buona pezza di via, incontra e prosegue il suo corso piuttosto
agevole e selciato per poco men di un miglio, che porta poi similmente alla surriferita terra del Borgetto. Va questa strada adorna dall’uno all’altro lato d’olmi, noci e di pioppi, ordinatamente disposti e di continuate spalliere di verdi landri, che in lor
stagione il suo roseo colore diletta i riguardanti e chiudon finalmente sull’alto questo cammino due proporzionati pilastri, opera
tutta e capriccio del rev. padre don Gesualdo di Santo Stefano,
stato anni 24 addietro degnissimo rettore di quel paese.
Ben larga e dilettevole nonché lunga n’è la terza, che in dirittura
alla piazza esce e parte a ritrovar la terra di Montilepre, sparsa
graziosamente per ogni dove d’olivari saracineschi, che in distanza formano quasi un intricato boschetto. A sinistra pochi
passi già scorsi e quasi un quarto di miglio, ne giace la casina
denominata di Gambacorta ossia Raccuglia, accerchiata di muri,
comoda e spaziosa all’interno, in cui avvi la sua chiesa, uno stagno con dell’acqua corrente, dentro al qual guizzano de’ pesci
indiani e nostrali e vi fiorisce del pari un ameno giardino di portogalli, delle frutte e pergolati di scelte uve. Podere è questo di
spettanza oggidì della baronessa donna Maria Antonia Pucci,
consorte del barone don Pietro Pucci, abitante palermitano. Si
tralascia qui di annoverarsi gli ridenti viali si diramano in cotal
86
nobile possessione conducenti ad orti, giardini e luoghi deliziosi
che ricreano colla soavità in sua stagione de’ fiori dell’arangi e
d’altri alberi domestici e piante aromatiche de’ quali va straricca.
79
La quarta è quella che dal piano del convento de’ padri Cappuccini scorrendo dietro apre un bivio, il quale porta l’una strada
nuovamente selciata al di sotto a destra pei giardini e conduce
agiatamente, seguitando per ben due miglia circa, alle nobili
possessioni dell’illustre Francesco Maria Emanuele, conte marchese di Villabianca, dinominate dell’Albragiara, Ramotta e
Principe di Cutò; l’altra poi che scende dritta e ben anco di recente selciata porta agevolmente ai prossimi primo, secondo,
terzo mulino di questa nostra regale Abbazia, tutti e tre dalla città non lungi che più di mezzo miglio, ed indi, in distanza di un
miglio, incontra la casina e sua chiesa, rispettabili allora, ospizio
degli espulsi Gesuiti, detta volgarmente li Parrini, oggi possessa
co’ suoi poderi da diversi inquilini, che ne rispondono l’annuo
canone alla nostra Abbazia ossia azienda.
Per cotesti fondi cade in acconcio di rapportare all’erudita curiosità dei lettori le seguenti storiche cognizioni e frammenti.
E’ antichissima la torre saracinesca esiste all’Albragiara,
dall’arabico idioma Hbaxara (a), in mezzo a varie case, cantine
e stanze, formanti tutte una decente casina. Và dessa circondata
da vigneti e d’un magnifico giardino di agrumi, pomi, portogalli
e dilettevoli, fiancheggiati d’arbori e spalliere di landri, con introspetti orizzonti di fabbriche villarecciamente pitturate e a di
cui piè giacciono de’ sedili a comodo dei passeggiatori. Và la
possessione abbondante dell’acque condottevi dalla cura del
provvido padrone. Portavi la medesima in vari muri eretti ad ornamento di essa delle diverse iscrizioni, parto del talento del
prelodato Marchese che qui riferiam fedelmente:
(a) porta in uno svolazzo marmoreo scolpito: saracenicum Habaxara nel di lei
frontespizio
80
Nelle case dell’Albragiara:
Quae modo frondosis nucibus via clauditur unde
grata sub arboribus gignitur umbra comis
laetior et duplices nectens pro finibus aedes
maius ab Emmanuel nomen adempta suo est
87
sic tibi iam fesso requiem dabit umbra viator
utraque et hospitium proxima villa dabit.
Anno Domini incaluit 1764 60
Nel giardino di detta Albragiara e in una lapide apposta alla peschiera:
Effuso aere nimis, septem quaesita per annos
centenos tandem vena cavatur aquae.
Fontibus hinc habitis cum ter bibat omne virescens
spicae, oleae et vites ter modo poma ferunt.
Piscina inde subest, germinant viridaria ob undas
quae feudis complent gaudia, delicias.
Pro te, o posteritas, res haec cumulantur in arvis
hinc tibi post spectat quod meliora seras
tertius Emmanuel Franciscus marchio quartus
haec fecit gaudens magna dedisse suis
Anno 1791 61
Nella fonte della torre di Albragiara l’infrascritto disticon:
Ut purgentur lina, bibant animalia fontem
si jaceo hic fluminis sic mihi jussit opus.
1791 62
Nel beveratoio del luogo di Cutò:
Sat foecunda oleis, sat pomis terra referta est
cunctaque frondosis vitibus arva virent.
Omnia quam bella deerat si rivus aquarum
inriguis decorat fontibus Emanuel
Anno 1764 63
81
60
Quella via fiancheggiata da noci frondosi, che porge lieta ombra sotto gli alberi ancor più festosamente collegale due dimore e maggiore vanto ha conquistato col suo Emanuele e così darà riposo a te, stanco.viandante e la villa vicinati darà ospitalità. Nell’infuocato anno 1764
61
All’aria aperta finalmente sgorga una antica vena d’acqua attesa da sette
anni. La presenza della fonte disseta per tre volte ogni essere verdeggiante, le
spighe, gli olivi, le viti adesso fruttificano tre volte. Vi è anche una peschiera, i
giardini raddoppiano il loro prodotto perché irrorati. In tuo favore, o posterità
tutto ciò si accumula nei campi, a te si ha riguardo, affinché possa coltivare
ancora meglio. Tutto ciò ha realizzato il terzo Francesco Emanuele, quarto
marchese, godendo di dare ai suoi. Anno 1791
62
Affinché si purifichino i panni e le bestie vengano a dissetarsi. Se mi trovo
qui è perché così ha voluto l’opera. 1791
63
La terra abbonda di olivi e di frutta, i campi verdeggiano per le viti frondose.
Emanuele ha recato decoro con questi ruscelli. Anno 1764
88
Nella gebbia alla Ramotta:
Limpha optata diu per nos post tempora surgit
piscina hos hortos quos subit aucta rigat.
Cum plantis hinc poma fluunt cum vitibus uvae
quando ubi spinetum terraque limus erat. Anno 1789 64
Nel giardino grande del luogo della Ramotta:
En nova fit Manuel turris qua poma tuantur
sit specula in fures agricolaeque domus.
A Paula et Manuel conduntur turris et horti
fecit at is curis, alter et aere suo. Anno 1794 65
Per quello riguarda poi la casina degli espulsi Gesuiti, ovvero
luogo detto delli Parrini, occorre in quella un prodigio, che credesi per opera del tanto servo di Dio padre Luigi Lanuza, rapportato nella sua vita scritta dal padre Michele Frazzetta, della stessa Compagnia di Gesù, stampata in Palermo al 1708, a foglio
140, ed eccolo:
Fra Giuseppe Cannella, sovraintendente alla casina suddetta, vide a sé una mattina venire un giovane d’aria gentile, ma in abito
di marinaio, portante seco una cesta di quantità d’ottimi pesci
per venderglieli, al che il fratello gesuita rispose di non averne
bisogno. Il marinaio però gli soggiunse: no, fratello, comprateli,
in fede mia, e assicuratevi che questa sera vi saran d’uopo, perché si porteranno qui alcuni vostri padri, né io domando altra
paga da voi che un sol piccolo pane e questo fiaschetto ripien di
vino. Il Cannella, credendo e non credendo, accettò i pesci e, dato ordine al suo garzone di dargli del pane e vino, salì le scale
per prendere un mezzo scudo e darlo in prezzo de’ pesci e non
profittar della generosità
82
del marinaio. Frattanto, ritornando il fratello col denaro alla mano e ricercando del marinaio, non fu possibile di ritrovarsi, perché disparve, restando soprafatti e stupiti col fratello gli astanti
tutti. Verificossi la sera l’accesso del prelodato padre Luigi La-
64
La linfa da lungo tempo desiderata sgorga, la peschiera si accresce. Adesso
la frutta abbonda sugli alberi e le uve nelle viti, qui dove la terra era fango e
spine. Anno 1789
65
Ecco che sorge una nuova torre, opera di Emanuele, a difesa dei giardini:
sia di guardia verso i ladroni e casa per i contadini. Paola ed Emanuele creano
la torre ed i giardini, l’una con sua cura, l’altro con sue spese. Anno 1794
89
nuza a cui narrato l’occorso, questi rivolto al cielo, ringraziò Iddio della divina providenza fatta precedere al di lui arrivo.
La sesta strada detta dell’acqua longa o, come altri la chiamano,
della Madonna del Lume, si è quella che dal portone della torre
merlata, detta di Bisaccia, su la fine della strada grande di nostra
città, oggi possessa dall’illustre don Pietro Bellaroto, marchese
della Scala, in retaggio paterno. Scende essa ad oriente e torce
quindi a sinistra a tramontana, chiudendola con una cappelletta
in onore della Vergine del Lume, di cui si ne adotta il nome. E’
agevole, larghissima ed arborata dal uno e l’altro lato, correndo
quasi un miglio e dando a vedere in prospetto la marina di San
Cataldo. Nella detta possessione del Bellaroto, in fine della città
e in prospetto a levante, avvi una fontana che porta la infrascritta iscrizione:
Latet hic regia munificentia illustri domini Benedi
cti Bellaroto, marchioni Scalae, baroni feudo
rum Castellutiorum, Campileti et Grani unius
pro qualibet tritici salma extraendo, ex
principibus Alcarae ex baronibus feudi Mun
ghi ac certo quodam canone pro se suisque
donatus ab eodemque spectatissimo viro suo
aere iniugem fontem huc usque transvectus
83
et adornatus ad publicam utilitatem fecit, anno nostrae
salutis MDCCLXXIV 66
La settima è quella strada per cui si parte dal piano di Avellone e
Russo (case amendue ben grandi e rispettabili oggidì in abbandono perché in fine dell’abitato) e scende a settentrione guardando la marina, a cui porta per mezzo a varii giardini.
L’ottava è la strada volgarmente appellata della Madonna del
Ponte, perché per essa si conduce la domenica in albis la nostra
divina Signora in città e nella sua regia madre chiesa ver le ore
21 circa di ogn’anno dalla di lei campestre chiesa nella contrada
del Ponte (da cui trasse la denominazione). In essa strada concorre l’intero divoto popolo partinicoto non meno che borgettano
66
Qui la regia munificenza si cela all’illustre signore Benedetto Bellaroto, marchese della Scala, barone dei feudi di Castelluzzi, Campolieto e del Grano,
gravato dall’obbligo di estrarre un solo grano da ogni salma dai principi di Alcara e dai baroni del feudo Murghi e per un canone offerto per sé ed i suoi
dallo stesso rispettabilissimo uomo che, a sue spese fece addurre l’acqua a
questo fonte, ornandolo per la pubblica utilità. L’anno 1774
90
e forestiere ed è ammirevole la pia festiva gioia dell’incontro ed
arrivo della sacra imagine in tela di sì celeste regina e madre nostra. Appena il suolo può occuparne il concorso, è inenarrabile il
tripudio ne fa la gente attaccatissima a sì gran Vergine, le lagrime di piacere che ne spremono gli occhi, gli replicati frequenti
evviva, i continui dispari dei fucili e mortaretti, i concenti sonori
che echeggiano da per tutto, la banda musicale e i pastorali
strumenti da fiato che assordan l’aere, insomma l’universale
contento che spira ognuno può esprimerlo soltanto chi è stato divoto spettatore di sì festevol giorno e di sì grato spettacolo, degno trionfo di nostra santa religione.
Ed è la nona strada della Scalilla, che comodamene guida alla
terra di Valguarnera Ragali, indi in Alcamo.
E’ la decima quella in fine allo stradone del corso della nostra
città, che torcendo a dritta intersica coll’anzidetta, che conduce
alla Scalilla.
La undecima strada parte d’innanzi la reale casina di Ballo, porge agli occhi dei passeggeri un prospetto orizzontale di teatral
boschetto, vagamente intrecciato di olive saracinesche, qua e là
sparse dall’arte con simetria, s’inoltra più addentro a libeccio a
trovare a sinistra in poca distanza
84
91
la nuova regal possessione e casino detta del Crocefisso in cui
sorge la superba ammiranda regia cantina, eterno insigne monumento di eccellente architettura, che darà a vedere alla prosperità più remota la regale grandezza del nostro generoso Sovrano
Ferdinando I (Dio ci conservi) e in faccia alla medesima casina
verso oriente avvi una seconda brieve stradicella, ma agiata, larga ed amena, che esce a scirocco e chiude alle falde della montagna della Baronessa, da cui sbocca in Santa Catrini.
L’ultima finalmente dodicesima strada suburbana si è quella appunto che dalla piazza e sotto il campanile della nostra Madrice
va direttamente alla santa Croce esiste quivi alberata in una angusta pianura della Cubba, lungo la riferita montagna della Baronessa, ov’è il lago che serra dell’anguille e simili pesci
d’acqua dolce, in solazzo della pesca regale, tanto cara
all’amabilissimo nostro prelodato Monarca quando qui trovasi,
ed in cui sorgono infinite vene di cristalline linfe, parte discoverte e che hanno il loro corso nel fiume ossia vallone, in servigio di pulirsi le biancherie dalle lavandaie del paese e che poi,
giunte in città, per sotterranei acquedotti, va a ritrovare i mulini
che fa girare e parte resta imprigionata e difesa da una gran cupola per guardarla dall’inclemenze dell’aria, acqua cotesta in
gran copia e perenne destinata in uso della popolazione e fontane
a cui perviene limpidissima e fresca per mezzo di sotterranei catusati.
Descritte dunque di già le strade suburbane ridette, ch’escono alla campagna del nostro Stato, inoltriamo di grazia nell’interno di
esso.
E’ questi consistente, senza abbaglio, di salme cinquemila e trecento di terre (comprese le balestrate) tutte occupate in vigneti,
olivari saracineschi e di Mazara ed in giardini con orti, poche restandone boschigne
85
e inculte e poche altresì destinate al seminerio, e ciò giusta
l’ultima cordiazione fattane in agosto 1800 gli regi agrimensori
Giovanni e suo figlio don Salvatore Inga, nostri concittadini.
In maggior parte vien desso territorio posseduto da varii utili
dòmini ed in parte da diversi diretti enfiteuti baziali, vale a dire
in salme 2523.13.0.3, di cui consiste la piana ossia campagna
nostra, e in salme 2776.2.3.1 il di lui bosco e ciò oltre il feudo di
Rapitalà, anticamente Abdellalì, consistente di salme 187.8 terre
con case, che in detto anno 1800 dalla nostra azienda ossia real
commenda alienato venne e venduto per onze 8.000 a don Natale
Mignano, alias Manì, ed il di lui prezo suddetto surrogato in
compra dell’indigitata possessione del Crocefisso e luoghi ag92
gregati, posseduti allora da diversi individui partinicoti. Cosicché in tutto poi il contado ossia territorio a partenente alla nostra
Abbazia ovvero azienda assorbisce la quantità di salme 5487.8 a
parte già del territorio del Parco.
La distribuzione poi del salmeggio delle terre suddette e i possessori ancora delle medesime eccoli qui brevemente accennati
coi nomi peculiari dei luoghi e colle case, chiese campestri e torri saraceniche in alcuni di loro esistenti.
Luoghi nella piana ossia campagna di Partinico:
Margi sottani e soprani posseduti da diversi inquilini che ne rispondono il canone direttamente alla reale azienda, in
tutto
Ramo possesso dal ven. monastero di
San Martino delle Scale di Palermo
Capo d’acqua possesso da don Saverio
Fazio, oggi real Commenda nostra
Montagna della Baronessa, possessa
dall’illustre
donna Rosalia Ventimiglia, ossia Cesarò, oggi regia commenda nostra
Crocefisso con casino e chiesa di suddetto Ventimiglia, oggi commenda
Galeazzo con casa campestre di donna
Maria Giardina
86 Giorgentana con casa e magnifica
eco degli eredi di Antonino Lo Jacono
Torrisi soprano con casa e torre del
ven. convento della Zisa fuori le porte
della città di Palermo
Nocilla con case dirute e mulino del
ven. monastero di san Martino
Galifi con case dirute del ven. monastero di Monreale
Marcianò Galifi con case dirute
dell’eredi di mastro Fedele e Lionardo
Marcianò
Albragiara Garofalo, principe di Cutò e
Ramotta, con casini, torre, chiesa e magazzini da vino, dell’illustre don Franco Maria Emanuele, conte marchese di
Villabianca
Mezzavilla, Bracco e Conti con case e
torre dell’eredi di don Domenico Parisi
salme
500
salme
70.8
salme
8.13
salme
32
salme
28.4
salme
60.4
salme
7.13
salme
41.13
salme
3.2
salme
4.10.3
salme
5.8
salme
159.5
salme
44.8
93
Raccuglia, con casino case, torre e
chiesa del barone don Pietro e donna
Maria Antonia Puccio e Raccuglia
Pollastra con torre dell’illustre donna
Antonia Tomasi
Parrini ossia gesuiti, oggi regia Corte
per l’azienda gesuitica con torre, case,
cantine e chiesa
Piano del Re, Giannella, con case e torre antichissima del barone don Pietro
Di Miceli
Ballo e Sovaro, con casina reale, magazzini, officina, chiesa e torre, come
ancora il castellaccio in mezzo Ballo e
Crocefisso, oggi del nostro amabilissimo Sovrano ossia commenda
Bisaccia con torre e case e chiesa
dell’illustre don Pietro marchese Bellaroto
San Carlo, case e torre, oggi del monastero di San Carlo
Badia di san Castro ossia san Castrense
di Monreale con case e torre
Badiotta del suddetto monastero di
Monreale
Milioti, con case e torre del reverendo
don Girolamo Di Leo e Milioti
San Cataldo, Balestrate, con antica rinnovata chiesa di questo nome, taverna e
mulino di detto barone Miceli
87 Trappeto Balestrate di suddetto di
Miceli, sobborgo nostro con casale e
chiesa
San Francesco Di Paola ossia Seregnano, con torre e casino del del barone
don Gerolamo Seregnano e Crapanzano
Badiotta del monastero di san Castrense
di Monreale
Pagino sottano del marchese di Savochetta don Girolamo Garzia Fernandez
Bisignano con casino di detto di Savochetta
Carrozza della Zisa, con case e torre
Torrisi sottano di detta Zisa
San Giuseppe, cioè Pellizza, Ogliastro
e Framisteri, con casino, case, chiesa
94
salme
36
salme
28.10
salme
163.8.2
salme
52.12.3
salme
11.9.3
salme
79.2
salme
33.6
salme
16.1.1
salme
5.10.2
salme
18.8
salme
55
salme
100
salme
55
salme
15
salme
15.4
salme
salme
salme
20.15
32.12
28
diruta e torre del barone della Leggia
don Giovanni Michele De Francisco
Carrozza di Pollastra, con case e torre
dell’illustre donna Antonia Tomasi
Giambruno, Raccugli, Federico, Santa
Catrini e Lenzotti, in varie parti con casino, case, torre e chiesa dell’illustre
don Franco Simone Tarallo duca della
Miraglia e Ferla
Piano d’ Inferno, Balestrate, con case e
torre di detto Illustre duca Tarallo
Spadafora
con
casino
e
torre
dell’illustre duca di Sperlinga don
Francesco Oneto
Timpanelli del barone del Prano don
Benedetto Barone e Godano
Corso di suddetto di Barone
Giannella del dr. Domenico Puma
Giannella del ven. Spedale dell’infermi
di nostra città
Cicale, Bellacera, Cannizzaro, Gencoria
e Ponti, con casino, case, torri e chiesa
degli eredi del barone don Andrea Gallo
Randazzo con case e torre del ven. nostro convento del Carmine
Monacelli con case e chiesa dell’eredi
di notar don Diego 88 Speciale
Mottola con case e torre di don Salvatore Mottola
Rognone ossia Randazzo di Giulia Artesi
Carrozza dell’Abbazia con case e torre
Carrozza di Parisi
Credenziero con case dirute del ven
convento de’ Benfratelli di Palermo
Piana ossia campagna
Bosco di Partinico possesso tanto da
naturali che in maggior parte dagli alcamesi, che direttamente ne rispondono
il loro annuo canone all’Abbazia ossia
reale azienda, nei luoghi rispettivi de’
quali esistono vaghi casini, cantine da
vino, trappeti da oglio, giardinetti,
chiese ed alcune torri ben anco saraceniche, tutti per lo più cotesti luoghi spi-
salme
54.2.3
salme
15.10
salme
247.3
salme
60
salme
75.8.3
salme
salme
salme
8.13
37
1.9.2
salme
2.9
salme
185.15
salme
15
salme
25.8.1
salme
33.6
salme
salme
salme
8.10.2.3
3.5.2
6.2.3
salme
salme
8.6.2
2523.13.0.3
95
rano amenità e vi si diportano in villeggiatura i padroni, massime alcamesi
nell’autunno, ascendenti le loro terre in
tutto a
In tutto
salme
2776.2.3.1
5300
Alle quali terre che formano il territorio baziale di nostra città
aggiontevi quelle del feudo di Rapitalà, oggi non più della nostra
azienda perché alienato al suddetto di Mignano
salme 187.8
In tutto dunque costa effettivamente il contado surriferito
di
salme 5487.8.
Oltre salme 388 Parco Vecchio ossia Parco Reale vicino la Piana
dei Greci possesso da don Camillo di Gregorio, enfiteuta
dell’Abbazia che pretende essere nel territorio di Monreale,
quando è inviscerata nel territorio di Partinico
Le torri e castella saracineschi che ci avvanzano nel territorio
assorbiscono il numero di ventisei e cioè: Bragiara (sic), Antiochia presso Pollastra, Bracco, Carrozza, Castellaccio, Santa Catrini, Cicala, Gesuiti ossia Parrini, Giambruno, Giorgentana,
Giuseppe, Ponte Milioto, Passo di Conti, Raccuglia, Crocefisso,
Federico, Rapitalà, Ramotta, Spadafora, Torre del Re, che si
crede di guardia dell’antica città di Elima e soggiorno per la
caccia dei Re di Sicilia, Rognone, Solitano, Trappeto e Torrisi
oggi del rev. don Martino Mattina, in tutto
n. 26
oltre le 12 che ci avanzano in città, fanno in tutto il
n. 38
89
Capitolo VIII
Fiumi, fonti d’acque, mulini, cartiere, stazzoni, trappeti, mangani da seta, tonnare e laghi di pesci d’acqua dolce, che si trovano
nella città di Partinico e suo territorio e di lui produzioni.
Propriamente son cinque i fiumi che scorrendo nobilitano fertilizando la nostra piana e campagna di Partinico, tuttoché molti
apparissero pe’ molti e vari nomi adottano dalle diverse contrade
e mulini per cui passano pria di metter la loro foce e internarsi
nel mare.
Il primato lo gode senza meno l’antichissimo e sempre mai perenne regal fiume di Jato. Nasce cotesto tra Leto 67, castello un
tempo, oggidì rovinato a la Scala del Palazzo 68 da una fonte chiamata Cannavera e tosto comincia a ingrossarsi per l’acque del
67
68
Qui l’autore fa riferimento a quanto riportato dal Fazello. Leto è Jeto (Jato).
Lungo la Regia Trazzera della Cannavera in corrispondenza delle case della Procura.
96
fonte Bizzolo 69, indi per quelle di Chisa 70, le quali scaturendo in
alcune caverne s’impietriscono e con esse si congiunge la fonte
della Ginestra, che sbocca dalla montagna della Chiusa e feudo
dell’istesso nome Ginestra da levante a ponente, sotto la modernissima terra delli Mortilli ossia San Giuseppe, di pertinenza del
marchese della Sambuca. Coteste fontane tutte riunendosi a piè
del monte, nel feudo di Jato, territorio di Monreale, formano il
fiume anzidetto, così vasto e sì grosso che volge il mulino quivi
esistente, da cui piglia il nome, il quale si lascia egli a destra la
rocca di Mirabella, indi lontano ben quattro miglia riceve nel
corso l’acque del fiume Balletto, che scaturisce nel feudo di tal
nome e vede in passando il rovinato antichissimo Castel di Lisia 71, posto appiè del colle, passa per altri feudi di detto territorio di Monreale, indi entra nel nostro contado badiale e poi in
Tauro 72 (già stato castello saracinesco) sotto la terra di Valguarnera Ragali
90
verso Alcamo e con ciò prende ancora la denominazione di Tauro, scorrendo sotto un magnifico ben premunito ponte e s’inoltra
a trovar altro ponte ben grande nella contrada che da esso adotta
il nome dalla chiesa campestre di Nostra Signora e Avvocata
Maria Santissima e finalmente si scarica e mette foce alla Mangiona, s’interna nel mar Tirreno in mezzo ai scari, ossiano littorali del Trappeto e Sicciara, che massime in tempo del verno si
può soltanto valicare con della barca a tal uopo destinata (a).
E’ Renda l’altro fiume, che piglia vari nomi dalle varie contrade
per cui scorre. Egli è men ragguardevole del Jato, la fonte di costui ci è affatto ignorata, tant’è che si vede scaturire dalla parte
di levante e dalla contrada di Renda (che gli presta il primo nome) in mezzo alle altissime montagne di Sagana (possessione
adesso di sua Altezza il Principe ereditario Francesco Gennaro) e
giù la nuova strada carrozzabile di Palermo. Si precipita pel vallone di Simone, sbocca ai mulini della Nucilla, che fa girare e
lavorare insiememente il paratore, fabbrica così detta, in cui fan
degli albraggi, vale a dire rozzi panni e grossolani di lane nere e
bianche per uso di gente villica; si volta a settentrione e internandosi nel mulino della cartiera, sotto la picciola terra dei
Giardinelli, si volge a Passo di Conti e scende nel luogo delli
Cuti, assumendo cotal nome e quivi ritrovando un mulino, fa che
69
Il fonte Bizzolo, sempre riportato dal Fazello non ha mai trovato una sua precisa collocazione.
70
Probabilmente Chiusa
71
Il Fazello riporta Gisia (Disisa?)
72
Tajuro
97
lavori e poi si avanza mettendo foce nello scaro di San Cataldo,
di cui adotta l’ultimo nome e si abbandona nel mare, ivi trovando un vastissimo seno ricco di pesci denaro, del quale in prima si
scorgevano delle rovine grandissime di una fortezza, stata anticamente edificata in guardia del littorale istesso e sua riviera.
Appresso a questo luogo eranvi delle molte cavernette allora nei
tempi antichi accomodate con alquante finestre
(a) Fazello
91
guardanti il mare, dove poteasi agevolmente abitare e si può verisimilmente credere che quinci stessero coloro ch’erano destinati alla custodia e che spiavano l’arrivo de’ nemici, donde anche
gli potevano offendere quando fussegli bisognato e un mezzo
miglio poi da qui distante si trova la fonte del Re cotanto antica,
come diremo appresso (a).
Il terzo è il Cirasella, che in prima porta il nome della sconfitta
(forse da una qualche scaramuccia o battaglia ivi datasi nei tempi oscuri). Nasce questo in larga vena dal feudo di Mirto e Valle
d’Olmo, poderi dell’illustre duca di Castel Mirto, don Antonino
Stella e Valguarnera, cioè 15 teste dai casalini di esso fondo ed
una da detta valle. Quest’acqua sì abbondante, lavorando il paratore e volgendo il mulino di detto Mirto, si bipartisce quindi in
due corsi: l’uno piglia la direzione per la contrada della Sconfitta, passa alla Giorgentana, in cui s’ingrossa da una fonte ivi perenne, s’inoltra nel luogo di Carrozza, incontrando delle nuove
vene d’acqua, entra in quello di San Francesco di Paola ossia Seregnano, in cui prende forze maggiori per altre acque che acquista, siccome in quell’altro di San Giuseppe e di lui grotta e va
poscia a far girare il mulino di Cerasella e’l paratore colà esistenti, da cui sboccando tra il menzo delle contrade di Alvini e
Ciaramita, si perde in mare poco lungi da San Cataldo. L’altro
corso poi dello restante di suddetta acqua e in maggior copia del
Cirasella, passa e s’interna nel luogo di Ballo 73, adesso real villa,
uscendo nel piano della Cubba e sotto il lago di essa intersica
col fiume della medesima e, resosi grosso bastante, dopo di aver
servito alle lavandaie della città per pulire le biancherie e imbianchir le tele, per acquedotti sotterranei esce a far girare i tre
mulini della nostra azienda, lungo il convento de’ Cappuccini,
indi poi nel tempo estivo serve ad inaffiare i giardini, gli orti e
73
L’esatto corso di questo braccio dell’acqua di Mirto è rilevabile in una carta dell’Ufficio
Topografico del Regno di Napoli dell’anno 1851 che riportiamo nella pagina successiva.
98
le innumerevoli nogare di milloni, sino a che arriva a concentrarsi nel mare di San Cataldo.
(a) Fazello, Decade I, libro 7 foglio 141 e 142
92
Pratti si è il quarto fiume, che dalla montagna delle Ciambre, sovrapposta alla terra del Borgetto, in cui ha la sua fonte a levante,
si precipita e viene a sboccare verso sirocco, lungo il casino e
castello di Ramo, scorrendo sotto di un ponte ivi eretto modernamene, a comodo della strada carrozzabile di Palermo, si avvanza a trovare altro ponte più antico, ma dappoco, in menzo la
vecchia strada, che va al Borgetto, esce e s’interna nel luogo di
Gambacurta overo Raccuglia, in quello dell’Albragiara, tragitta
il passo di Gallo, torce su quasi la casina un tempo de’ gesuiti e
ritorce a tramontana a sboccare ne lo mare e scaro di San Cataldo, unendosi pria col Renda nella contrada della Coda della Volpe 74.
Ed è il quinto il fiume del Borgetto, il quale scende dalla montagna detta la Carrubella, su la riferita terra del Borgetto, e forse è
un rivolo dependente dalla fonte di Pratti. Scorre questi verso
occidente, congiungendosi col detto fiume di Pratti nel luogo di
74
In Sicilia sono numerose le contrade “Coda di Volpe”. Prendono nome da un’erba chiamata appunto Coda di Volpe (alopecurus pratensis) detta anche Fanusu o, ancora, erba
mazzulina.
99
100
Ramo, pria d’arrivare al ponte della detta strada vecchia del
Borgetto, prosieguono indi amendue sotto unico torrente il loro
corso sino a mettere la loro foce in San Cataldo, come si è detto
del riferito Pratti.
E ciò a parte di molti altri torrenti, volgarmente detti valloni,
che si tralasciano di annoverare in grazia della brevità e perché
di fatti non sono ragguardevoli a segno da farcene carico.
Gli effettivi mulini poi, che sorgono nel nostro contado badiale e
che ad esso in parte a partengono sono i seguenti, quali tutti
vengono girati dall’acque degli anzidetti fiumi:
il mulino che anticamente e sino al 1646 si serviva questa nostra
popolazione era quello dappoi denominato sino ai dì nostri del
Molinello. Esistea questo in fine dell’abitato ad oriente e
all’impresso oggidì del luogo di Gambacurta, che da esso viene
ora tal contrada il nome di Molinello
93
Di tal mulino ne esistì sino a pochi anni addietro l’avanzo di una
sola casetta, che servì per arbitrio ossia fabrica di polvere da
fuoco e ben anco per luogo di mangano, ordegni da caldaia e
ruota da estrar dal verme la seta. Tenea il corso il fiume della
Cubba, che volgea detto mulino, per menzo l’attual piazza e
s’inoltrava a trovar detta contrada di Raccuglia ossia Gambacurta, da cui sboccando nel vallone di esso Raccuglia, dietro varie
giravolte, andava a perdersi in mare.
101
Resa più grossa la popolazione nel principio del 1646, si penzò
dall’abbate di fabbricare altro più grande corrispondente mulino,
egli fu quello appunto ch’oggi esiste nel menzo, cioè del primo e
del terzo de’ nostri odierni tre mulini.Trascorsi indi degli anni e
su la fine dello stesso secolo (abbandonato il vecchio Molinello),
bisognevole il paese di un secondo, vi fu aggionto quell’altro,
che portò il nome dell’ultimo Mulino.
Nel 1767 poi, ad insinuazione di mastro Geronimo Finazzo, ingrandita di molto la popolazione e la gente, d’ordine della Maestà Sua Ferdinando, si eresse il terzo ossia l’odierno primo mulino (sebbene ne contenga due e quindi è che lavora sempre mai) e
ciò con l’acque della Cubba e Mirto e Valle d’Olmo, guidate per
sotterranei acquedotti, e coll’occasione di cavar questi furono
dagli operari ritrovati dei diversi corpi ed ossa giganteschi e saracenici. Dio però perdoni il Finazzo! Giacché la costruzione di
un tal mulino e l’imperizia di quei ingegnieri partorirono lo stravisamento di quella parte di città, in menzo a cui bisognarono
alzarsi delli muri, detti volgarmente saitte per portare in alto
l’acque surriferite, e tante delle volte si generavano delle laterali
paludi, causa forse di render l’aria poco sana della città. Non è
da omettersi la providenza legale data dall’illustre commendatore Troisi, con disposizione del 20 luglio 1800 passato e registrata in questa Curia civile li 26 d’esso mese: si ordina in esso e si
stabilisce che i molinari e arrendatari de’ nostri mulini debban
dar l’acqua ai giadinari ed ortolani del territorio nel tempo estivo per tutti quei mesi appunto ne’ quali l’han goduto da un recente decennio, fuori però dell’inverno e ciò nonostante qualunque differente patto stabilito e convenuto nel contratto del 1795
tra l’illustre duca allora di Castelmirto e Gaspare Ficarro, fittaiolo di acqua.
N’è il quarto il mulino detto delli Cuti di spettanza degli eredi
del dr. don Domenico Barone Parisi, tre miglia
94
lungi dalla nostra città, in cui ordinariamente si servono le vicine terre di Favarotta e Cinisi.
Il quinto è quello di Cirasella, anche tre miglia lontano, che appartiene al barone della Leggia, don Giovanni Michele De Francisco .
Il sesto il mulinello di San Cataldo dell’ugual sopradetta distanza e proprio del barone don
(sic)
Di Stefano.
Il settimo quello della Madonna del Ponte, sei miglia da noi lontano, di pertinenza del barone don Antonio Morfino e La Via.
L’ottavo finalmente è il Tauro, che serve a varie esterne città,
come Alcamo, i feudi di Monreale, la terra di Valguarnera Raga102
li e tant’altre, e spetta al barone di sant’Anna d’Alcamo, don
Giuseppe Maria Triolo e Galifi, tre miglia e menzo lungi la città
nostra.
Le fonti, sorgive e pozzi che danno perennemente dell’acqua alla
città non meno che al territorio sono dessi innumerevoli e difficilmente posson tutti con distinzione annoverarsi senza ristuccar
gli lettori. A parte dunque delle cinque fontane che saziano i cittadini pubblicamente nell’interno dell’abitato, nonché i di loro
armenti, sonovi in considerevole copia dei pozzi nelle rispettive
case e quasi potrebbe con franchezza asserirsi non esservi albergo che ne vada esente. La piana poi ed il bosco senza fallo abbonda infinitamente di vene, rivoli, sorgive e fontanelle nonché
di pozzi ancora, a segno ché di rado si trovi una contrada, un podere che mendicassse dell’acqua. La maggiore però fra tutte si è
quella che scaturisce nel delizioso luogo di Cappello, rispettabile
possessione del barone don Nicola
95
dr. Pastori alcamese, che arrivò per menzo dell’arte ad unirne
molte vene e renderla corrente, stringendola in stagni e fontane e
destinarla ad irrigar de’ bellissimi orti e giardini, piantati e coltivati da quell’accorto e provvido padrone, che seppe unire
all’utile lo dilettevole, sendo ripieni d’insigni alberi di pomi,
pruni, peri, melogranati, portogalli, limoni e d’ogni altro particolare genere di squisite frutta. Ma di tutte poi coteste fontane,
vaglia la verità, ne ha il primo vanto e l’ha tenuto ben anco nei
tempi oscuri quella indeficiente mai sempre denominata del Re,
quale nasce presso l’antica gran torre, che la segnalisce e distingue fra tante l’istesso nome regale, esistente del pari nel luogo
della medesima denominazione del Re, lungo alquanto lo scaro e
chiesa di San Cataldo, che sgorga delle generose limpidissime
acque, abbeverando e saziando tutti i dintorni di quel fertilissimo paese (a).
Sono diverse e in diverse tenute del territorio nostro le fabriche,
ovvero arbitrii, a varie cose destinati, infiniti (per così dire) i
torchi volgarmente appellati stringitori da spremer l’uva, (oltre
gl’infiniti esistono nella città e suborghi), molti trappeti da olio
di olivo e lino, a parte di quei numero sette nella città, che inservono pubblicamente a comodo di tutti, cioè quello dei fratelli
don Nicola e don Luigi Minore, nel quartiere dell’Agonizzanti,
l’altro di don Antonio Ragona, nel suo terreno e quartiere di San
Giuseppe, quello del dottor don Domenico Puma, nel piano del
Collegio di Maria, quell’altro di don Giuseppe Zaccaria, nel
quartiere di don Domenico Sapienza, alla fine dello stradone, il
quinto di don Domenico Randisi, nel quartiere de lo Presti, il se103
sto di mastro Giuseppe Patti, nel quartiere di Bisazza ed il settimo del marchese don Pietro Bellaroto, in detto quartiere e dentro
il recinto e case della torre del medesimo.
(a) Fazello, Deca 1, fol. 142, libro 7
96
V’ha similmente l’ordegno da estrar le sete dal verme detto il
mangano, in fine dell’abitato e in principio del luogo del capo
d’acqua. Sino a dieci anni sono esisteano e lavoravano della carta da straccio due cartiere nella contrada di San Francesco di Paola, appartenente a donna Palmina Seregnano e Crapanzano
(oggi l’una distrutta e l’altra lavora delle lane di albraggio, detta
il paratore di Seregnano). Giace questo arbitrio presso la collina
detta del Re Cucco; è dessa tutta ingombra di edere e di fichi
d’India, si aprono ai di lei fianchi vaste bocche d’orride caverne
quali si stradano in vastissimi sotterranei. Quivi vuole l’antica
superstiziosa ignoranza del vulgo che vi siano de’ nascosti tesori
impossessati da’ spirti infernali e giunge a segno la guasta fantasia di codesti avidi creduli ad assicurare altrui costantemente aver udito e veduto colà dell’urli, strida e gemiti e dei spettri e
larve terribili. Fanvi frattanto in esse gli uccelli di rapina i loro
nidi ed è altresì lo ricovro degli altri di passa in differenti stagioni, partendo da libeccio per indi avvanzarsi a ritrovar altro asilo a greco su’ le vette della montagna ov’era Elima ossia Palamita.
Assicura ne’ suoi opuscoli e notizie storiche Francesco Manuele,
conte marchese di Villabianca, che amendue le riferite cartiere
di Seregnano, nel passato secolo lavoravano perfettamente della
carta di scrivere ed egli stesso dice possederne ancora indentificamente dei fogli, soggiungendosi all’ugual tempo che intanto si
sospesero i lavori di tal carta non già perché non riesciva perfetta, ma in quanto la spesa eccedeva poi il prezzo della carta nel
comune spaccio se ne faceva.
Eravi ancora nei tempi andati nella nostra campagna l’ordegno di
estrar lo zucchero dalle cannamele, va ciò senza contrasto, come
abbiam prima di adesso riferito, e perché il luogo ne ritiene sino
ai di nostri la denominazione di Trappeto e perché lo assicura
nella sua Sicilia il Fazello.
Sonovi di presente e vi sono stati mai sempre nella nostra
97
città dei stazzoni, in cui si lavorano a dovere i vasi di creta cotta
per uso d’acqua, per tegole e mattoni da pavimento e per fabri104
che di dammusi finti o sia volte di camere. Vero si è che per
quest’arte di costrurre detti finti dammusi di mattoni la portò nel
passato secolo in questa nostra città il celebre mastro Francesco
Brù, spagnuolo, ma i di lui scolari, nostri concittadini,
l’appresero sì finamente che non ci è ardire l’assicurare che superarono e tuttora superano il lor maestro ed inventore. I vasi
poi anzidetti per conservarvi dell’acqua e potabili, come il servigio da cucina e per piantarvi de’ fiori e simili, i nostri stazzonai non invidiano ad alcuno della loro arte e tanto sono abbondanti tai vasi che vanno di buon mercato e se ne provvedono altresì le vicine terre e città.
Due sono le tonnare appartenenti al nostro contado, l’una è quella denominata li Magasenazzi, posta alla punta dove termina il
littorale in cui succede quello d’Alcamo. Cotal denominazione
ella l’ha tolta dal vallone detto Magasenazzo, il quale parte dalla
surriferita città a trovare il mare. Le sta alle rive una torre di
guardia per difesa della pescagione de’ tonni ed alalonghe. Di
essa tonnara ne è la proprietaria signora la eredità de’ baroni
Specchi di Naro. E l’altra, la Sicciara, tonnara, suborgo tuttora
della città nostra, malgrado la dismembrazione nello spirituale
dalla nostra Madrice, come si è detto nel suo serio precedente
capitolo. Vien quella fiancheggiata dalla Cala del Lagone.
L’antica di lei signoria la tenne in prima il Principe di Paceco, in
forza dell’avvenutogli retaggio dell’illustre famiglia Fardella da
Trapani, adesso però è posseduta da donna Cristina di Gaetani e
Basile, di Palermo, riescendo alle volte la pesca così abbondante
che reca alla popolazione del vantaggio notabile.
Oltre alla pescaggione delle anzidette tonnare non manca il littorale di suddeti mari de’ Magasenazzi, Sicciara, Trappeto, Salvina
e San Cataldo di abondare della pesca d’ogni sorta di pesci di
bellissima qualittà, in uso e
98
comodo dei cittadini in cui vengono dai pescivendoli a smerciarsi diariamente a discreto prezzo.
Nell’anzidette fiumare non meno che nei valloni e laghi ben anco si fan delle pesche continue di pesci d’acqua dolce, come a
dire di anguille, moletti, tenchie, orgioni, corinella, minusa,
gambaro, granchi, ranocchie e simili di eccellente e saporita
condizione, e tante delle volte queste diarie pesche suppliscono e
correggono la mancanza del pesce marittimo nei tempi sterili,
cattivi e tempestosi, a gran comodo e piacere della popolazione.
Delle anguille poi particolarmente n’è dovizioso e perenne (ed
anco dei moletti e tenchie) tutto il corso del Jato sino alla di lui
foce, nonché delli cuti e soprattutto il lago della Cubba, pesca
105
riserbata ad uso e diporto peculiare di sua Maestà, nostro signore, e ne’ tempi trasandati dai notri illustri abbati e commendatari.
Non è finalmente da passarsi in silenzio la insigne feracità del
nostro territorio, può quella con franchezza arguirsi dalla di lui
doviziosa annuale produzione di generi principali capi del commercio. Diamo di essi un brieve dettaglio, a soltanto appagare la
curiosa intelligenza di chi mai l’ignorasse:
-Vino botti ottomila circa
-Olio da ulivo da circa quintali settemila
-Canape da circa dugento quintali
-Lino da circa quintali cento
-Melloni d’acqua e da pane sopra quintali trentamila
-Melogranati ricci, napoletani, valenziani ed agrodolci, portogalli, agrumi, noci fichi secche e simili frutti in copia tanto considerevole quanto a parte di restarne la città provveduta ne avvanza un infinità capace ad abbondare le vicine terre e città e se ne
estrarregna per Napoli
99
ed isole aggiacenti alla nostra Sicilia.
-Tartaro da botte da circa quintali dugento
-Cenere di feccia e di soda in circa quintali cinquecento
-Manna in pochissima quantità e par che il paese non la comporti
Gli ortaggi e frutta d’ogni specie e genere sono in abbondanza
straordinaria ed in eccellente qualittà.
Riguardo poi al grano ed orzo non son costoro della primaria
produzione, ma non sono frattanto dell’ultima. Vi se ne immette
dagli esteri però tal quantità che Partinico vien riputata per caricatore, a segno ché provvista la città ne avanza tanto quanto i
suoi mercatanti ne fan l’abbasto e provvista alli convicini paesi
di Valguarniera Ragali, Borgetto, Montilepre, Giardinelli, Favarotta, Cinisi, Torretta, Capaci e Carini, come annualmente da vari atti pubblici si rimarca.
Capitolo IX
Luoghi deliziosi, cacce, accademie e anticaglie che avvanzano
nella città e sue vicinanze e territorio
Chi non si è mai trovato nella nostra città non può giudicar sanamente delle doti della medesima e si catterebbe la riprensione
dei saggi se si volesse dar il coraggio di contradirgliele. La natura vi concorse prodigamente in renderla quanto potè amena per
ogni dove, verità quanto perenne altretanto incontrastabile
106
dall’istessa invidia. Tranne la dominante, cui cede in paragone,
non è mica iperbole o prevenzione patriottica il doversi di giustizia Partinico annoverare tra le prime città del Valle. Ove trovarsi di essa al pari un paese che spiri dappertutto decenza, allegria insieme e abbondanza, che anima, diporta e provvede i suoi
abitanti, conservandoli gioviali e contenti di loro sorte? I passagieri che di frequente la tragittano pe’ di loro interessi e i villeggianti palermitani, che vi si portano io chiamo in testimonii
irrefragabili di tanta verità, senza impegnarsi di soverchio a decantarla.
100
E con non poca ragione, atteso il di lei amenissimo sito, meritossi sin d’allora l’elogio (ancorché bambina e sfornita di quei
preggi che andò quindi acquistando) dal padre Aghilera della
Compagnia di Gesù in quella imparziale e sincera espressione
Partinicus amenissima in littore posita, laetissimis longe montibus circumsepta. 75
Sono parecchi i suoi luoghi deliziosi, che invitano al diporto, al
sollievo dalle serie occupazioni gli animi lassi o tristi, ma noi
per non ristuccare i lettori e curiosi forestieri o replicar ciò che
innanzi forse se n’è accennato, andrem brevemente respingendone taluni meritevoli di distinzione.
Tale si è quello appunto della vetta della montagna la Baronessa,
a cui salire non isdegnò la maestà del nostro Ferdinando e di onorarla a perenne memoria, con ispecialità del suo positivo aggradimento, nonché la Sovrana amabilissima Carolina d’Austria
e l’intera real famiglia, ivi portandosi a cavallo, ogni qualvolta
si conferiva in Partinico a fruir con diletto della vista di quanto
al di sotto se le presenta di ameno dalla natura, rendendo quella
agiatissima, accettabile e dilettevole per via di comodi sentieri,
d’erta e ripida che era, non perdonando la di lui regal grandezza
a spesa di sorta alcuna, sino ad ordinarne un modello che a propria delizia detiene nella regia (a).
Non è mica invidiabile la regal villa e casina sul finire della città, verso mezzogiorno e nel luogo di Ballo, quasi alle falde
dell’addotta montagna. Anzi, a dir meglio, non v’ha fra tutto il
paese e nel Regno singolarità più pregevole e gloriosa di cotesta.
La Maestà Sua non a caso la prescelse per sito di suo delizioso
sogiorno. Lo riconobbe non indegno pur troppo della sua regal
persona. Di quai piante non ha egli arricchito quel fortunato feracissimo campo? A parte già dei vigneti, olivari e portogalli, di
75
Partinico amenissima, posta vicino al mare, circondata a distanza da monti
rigogliosi e ridenti
107
cui abbonda a dovizia, di fresco vi ha ordinata la piantagione di
n. trentaseimila piante di alberi dimestici in uso di fruttiera, scegliendo fra le migliaia di ottime frutta, a render quella deliziosa
per quanto si può ridente, non men che utile e compiuta. Oltre
poi dell’anassiera fabricata co’ suoi cristalli e vari boschetti e
bottaniche. V’ha ancora aperti e selciati de’ vari nuovi viali. E
senza iperbole: da su’ poggetti alle falde
(a) Fu fatto da don Giuseppe Patti, ingegniero, nostro concittadino al 1801
101
della montagna e massime dalla piccola casina, ivi sorge a fronte
la tramontana; sul cadere del giorno, sull’opposto orizonte si respira piacevolmente e si gode di tante vaghezze, che vi presenta
la natura, nella ridente sottoposta pianura, oltre al veder declinare piacevolmente nella larga marina il luminoso diurno pianeta.
La regal cantina poi, già fabricata ed eretta nel contiguo regal
luogo del Crocefisso, oggidì aggregata alla deliziosa anzidetta, è
dessa per la verità una delle sorprendenti magnificenze proprie
di un Sovran generoso nonché provvido ed accorto pe’ suoi regali interessi.
Cantina reale borbonica
L’arte vi si è impegnata a segno che si è resa tal rarità il primiero augusto monumento del Regno d’attirar eternamene
l’ammirazion ancora de’ più curiosi viaggiatori e vi è più
degl’insigni architetti del mondo. Se ne danno in le straniere na108
zioni, per quel ch’io so, di simili, ma lavorate sul tornio di cotesta ed in egual grandezza e vastità penerei a crederlo. S’istrada
ella in tre spaziose braccia e ben proporzionate, larghe, l’uno de’
quali, il più rispettabile, sotterraneo, l’altri su la faccia del suolo
ad una corispondente maestosa altezza, seguendo ad essi loro un
ben vasto magazino. Avvi una comoda scala o salita dalla parte
d’oriente, aggiata tanto che rende facile la salita e scesa da’ piccoli giumenti nella vendemmia, carichi de’ soliti vasi di legname, pieni dell’uva onde pestarsi. Evvene una seconda
all’opposto e rimpetto a libeccio, più magnifica e spaziosa, per
dove si salisce ad una loggia, che guarda a sirocco ossia la mentovata montagna e da codesta poi si passa nelle stanze superiori
di suddetta cantina. Le porte, le finestre son elleno lavorate con
sodità e galanteria di legname di noce, tinte e piene l’ultime di
vetriate, con suoi ferramenti al gusto moderno. Tutto e di dentro
e al di fuori spira novità e grandezza e vi si sono profusi a tutto
l’anno 1803, in si finirono i bracci suddetti la somma di onze
.
(sic)
Non è indifferente il torchio da spremer l’uva. Egli costrutto di
nuova foggia e con argano, maneggiandolo non più di tre uomini
e vi si spremono carrozzate (sic) dell’uva ad ogni volta. Il costo di tal ordegno si fa ascendere ad onze seicento. E ciò oltre ai
torcolari nazionali e con questi di cui ve ne son dei parecchi, a
parte un’infinità di botti 76.
102
Avvi una peschiera detta la Cubba ossia lago, quasi alle falde
della citata montagna da cui si tramanda l’abbondantissima acqua perenne e cristallina alla magiore fontana marmorea della
piazza, con otto sbocci, siccome al beveratojo laterale alla locanda e alla locanda istesa e macello, che poi passa per meati
coverti alle fontane della strada grande di Merelli, del Collegio
di Maria, di Avellone e Bisaccia ossia Bellaroto. Cotesta Cuba
oggigiorno e sin dal 1804 trovasi dilatata ed ampliata di gran
lunga di quell’era anticamente e munita all’intorno da grossi ripari di pietre forti, appellate a carrozzata, onde conservarsi le di
lei sorgive, che zampillanvi dentro. E’ ricca dessa e popolata da
moltitudine di anguille e tenchie, che crescono in smisurata
grossessa e riescono squisite al gusto. Di quando in quando va’ a
ripulirsi codesto lago per non rendersi paludoso e nocivo alla
prossima popolazione, come del pari le circonvicine terre, che
vennero in detto anno purgate da paludi e rese abili e feraci alla
76
Si è ritenuto opportuno riportare in appendice lo studio fatto dal cav. Lioy sulla lavorazione del vino. E’ molto probabile che la regal cantina borbonica di Partinico sia stata realizzata proprio in funzione delle nuove teorie espresse dal Lioy.
109
coltivazione e prodotti, come di fatti furonvi poste delle varie
piante di melaranci e altri con portogalli, rendendole a giardini.
Di tratto in tratto galleggia in essa Cubba una galante barchetta,
remiggiata d’un pratico, che va battendo le onde della medesima
per tenerle vive e agitate, siccome a svellerle delle piante acquatiche soglionvi nascere e renderle sempremai chiare, dolci e salubri. Opera tutta, zelo ed ingentissima spesa del regio erario e
della esimia premura dell’amabilissimo nostro Sovrano Ferdinando.
Sollazzevole e amena, sebben piccola, è del pari la villetta o, per
dir meglio, giardinello di notar don Mariano Usai, quatripartita
in dilettevoli viali adorni di vasi di fiori, molto più di rose, garofani e fiori peregrini, massime la contigua fioriera. In essa sorgono de’ pergolati d’uve ragguardevoli e frutta singolari e spira
il tutto aggradimento e diletto, molto più in tempo di primavera.
La romita, orto e picciola fioriera interna al convento dei Cappuccini, unitamente al parterra (opera del molto
103
rev. padre Giacinto da Palermo) che sporge tramontana e scopre
coll’ameni e sottoposti giardini la prossima marina da un capo
all’altro, sono tutti aggradevoli, spirando del piacere alla gente,
che il dopo pranzo vi si porta a scacciarne la melenconia e tedio
delle cure seriose.
Le cacce degli uccelli e de’ minuti quadrupedi, come vogliam dire tordi, quaglie, beccafichi e anitre, colliverdi e simili acquatici
e sovratutto delle francoline e pernici introdottevi da vicino il
nostro Sovrano nella montagna della Baronessa son quelle in abbondanza, come ancora delle lepri e conigli che trovansi in tutto
il territorio. Avvi però, per divieto regale, la proibizione penale
di ammazzarsi e a tale oggetto sonvi destinati de’ guardaboschi,
che custodiscon girando le riserbe, impedendo gli contrabandieri. Maggiore impegno e rigore su l’assunto vi è per la caccia de’
cinghiali nel feudo del Lavadore, qual’era feracissimo oltre modo sino all’anno 1797 (a), tempo in cui ne tenne per anni 12.
L’arrendamento dell’interi fondi badiali di don Giuseppe Pardo,
persona sommessa de’ fratelli di Rizzo, qual feudo adesso trovasi censito al cav. Don Vincenzo Mollica (b), reso di già in vigneti e giardino.
Si ha per tradizione che i nostri antichi sovrani solevano portarsi
in questo territorio per sollazarsi alla caccia e massime nei tempi
andati nel piano del Re (nome restatogli dalla dimora ivi faceano
in tale occasione) e nella di lui torre, che ancora vi sorge intatta
e ritiene il nome della torre del Re similmente.
110
E in comprova che abbiano i prelodati Sovrani quivi trasferitisi o
in altre allora foreste del territorio si rimarca costantemente della cura ne tenne il mentovato Giovanni da Camerana ossia Camerano, uno dei regi forestari o siniscalchi del Regno (c), quali regii ministri ebber benanco quella delle defense altri luoghi destinati alle cacce reali. Di essi luoghi si ha espressa menzione nelle
Costituzioni del nostro Regno e in un de’ privilegi della città di
Palermo raccolti da S. Vincenzo del Vio a foglio 16, come altresì
nei capitoli del Regno stesso e in particolare del re Giacomo, al
cap. 28 (d).
Tra le anticaglie che ci avanzano v’ha la torre detta del Re Cucco, esiste cotesta nel luogo di San Francesco di Paola di spettanza un tempo del barone don Geronimo Sevagnano, oggi del moderno Duca della Verdura. Varie fole la credula plebbe asserisce
su questo Re Cucco. Alle vicinanze di essa torre si stradano sotterraneamente delle spelonche, ove asseriscono gli ignoranti villani per antica tradizione esservi occultati de’ tesori e possessi
cotesti da spiriti. Varie burle a costoro si son dati in parecchi
tempi da gente di spirito brillante e lepida da potersene formar
romanzi. Quello però che rende meraviglia si è la struttura,
grandezza e formazione delle grotte incavate dalla natura che
forma una comoda abitazione. Vi ha parimenti nell’
(a)
(b)
(c)
(d)
da cui venne distrutta con incendio a torsi dei danni subiva da dette fiere
per l’atti di Luigi Maria Vasta di Palermo il 6 marzo, 14 ind. 1796
Mongitore, Sicilia Sacra, Pirri, Notizia t. 2, fol. 1323
Mongitore, Sicilia sacra, t. 1, fol. 334
104
accennato luogo un poggetto che si denomina il Belvedere di Seregnano, nome che acquistò per l’amenissima sua situazione e
per tutto ciò che porge di vago e dilettevole alla vita de’ curiosi
per la smaltata campagna ridente.
Non è da passar in silenzio la famosissima eco che vanta la
Giorgentana, possessione vicina alla città, che appartiene alla
famiglia Iacono, oriunda di questa, abitante in Montilepre. Ella
interamente e con tutta chiarezza ripete non sol la voce e le varie
parole, ma altresì qualunque passaggio di canto o suono di strumenti, siano di fiato non che di corda.
Altra ve n’ha il luogo di Ballo, oggi regal casino, accanto la Hanassiera, dalla parte a montagna, ma è troppo inferiore alla prima.
Moltissime poi sorgono ancora delle torri saracinesche, tanto in
città che in territorio, che per essersene d’elleno fatta altronde
menzione non ristucchiamo il lettore curioso.
111
Intorno a pitture è dell’ultima ammirazione il quadrone che sta
nell’altare maggiore della chiesa dell’Opera Santa, oggi anche
parrocchia. Desso rappresenta la Deposizione del sacro corpo di
Nostro Signore dalla croce. Tutto vi ha in esso di arte sovrafina.
L’eroe è inavanzabile, la svenuta madre, la desolata Maddalena,
l’inconsolabile discepolo, i devoti prìncipi fanno inarcar le ciglia
per la vivezza, per la mossa, per la naturalezza del colorito e
tutt’altro. Opera si dice del Muto, morrealese, ma altri credono
venir dal pennello del celebre Piero Novelli. Non è d’omettersi
l’altro quadrone della Nunziata Signora (titolo della Madrice in
cui esiste), ma non arriva alla perfezione di quello.
All’altar maggiore del convento del Carmine si ammira il quadrone della Vergine del medesimo; non è pezzo di antichità, ma,
a senno de’ pratici, si asserisce copiato su di originale di Raffaello di Urbino e forse della perizia somma.
105
Non ha mai avuto Partinico casa senatoria o simile albergo addetto ai pubblici congressi, a riserba della casa dell’Abbazia, in
cui ogni anno si fa l’esazione dei censi nella vindemmia, siccome l’altra appellata la decima, in cui si ritiravano le decime in
uve, che peste poi, il vin mustale si conservava nelle botti del
famosissimo di lei interno magazzino e similmente i terragioli,
oggi tutti aboliti e strasattati, pagandosi quelli in denaro per opera laudevole del regio Intendente cav. Lioy.
In detta casa della Bazia oggi però si tengono i congressi civici
da’ Giurati, servendo in casa senatoria ossia della città. I consegli pubblici frattanto si detengono nelle ricorrenze nella chiesa
di san Leonardo, seguendosi l’antica costumanza che in sua origine si celebravano dentro la chiesa madre.
Il luogo delle adunanze letterarie ovvero Accademia, nel trasandato secolo, si fu la casa del Duca della Ferla don Simone Franco Tarallo (oggi di don Giuseppe Domina). Il zelo di suddetto
cavaliere istituì sotto i suoi auspicii, al 1776, questo corso di letteratura, intitolando i pastori accademici gli scienziati agricoltori (a). Indi restituitosi alla capitale, al 1794, il duca anzidetto
sobintrò in di lui vece e in mecenate don Franco Paolo del Castillo, marchese di Granmontagna, che con pari zelo protesse
quell’assemblea, provvedendola delle corrispondenti nuove patenti in stampa, aggiungendo al di lei titolo di scientifici agricoltori quello di Granmontagna, apponendovi lo stemma di suo casato, qual è un castello. Le radunanze tengonsi in casa
dell’istesso marchese. (Tuttora per la moderna mutazione del
governo e per essersi il detto marchese domiciliato in Palermo,
non sonosi seguite le solite radunanze). Il numero dei pastori che
112
compongono l’assemblea suddetta si fanno ascendere a più di 60,
compresi taluni degli esteri paesi ad essa arrollati e la medesima
trovasi aggregata del pari a quella degli Aretusini di Siracusa. Il
di lei peculiare istituto si è quello di discorrersi almeno una fiata
all’anno su dell’agricoltura, oltre delle varie di lettere, scienze e
cicalate.
Non meno ammirevole è il gusto e genio innato dei nostri concittadini pel teatro scenico. Soggetti purtroppo degni di gloria e di
encomi produce la città nostra. Io ne chiamo in testimoni i paesani dilettanti delle convicine terre e città, nonché i nobili villeggianti della capitale, che gli colmavan di plausi nelle recite
così tragiche che comiche e caratteristiche d’ogni sorta. Sotto gli
auspicj massimamente del difonto marchese di Granmontagna
don Vincenzo del Castillo (da cui fu eretto nel 1794 il graziosissimo domestico teatro sul moderno buon gusto) e dietro la di lui
morte, della di lui vedova marchesa
(a) Le patenti in stampa portarono lo stemma di una aratro tirato da una coppia
di buoi con de’ stromenti pastorali adatti alla messe. I nomi del mecenate e accademici corsero in lingua greca, imitando gli Ereini di Palermo, perché Partinico
allora godeva de’ privilegi di quinto quartiere di quella. Il mecenate per allora ne
venne eletto il prelodato Duca … (illeggibile perché sbiadito).
106
da cui venne ampliato decorato di fine scene e finalmene dal di
loro figlio il di sopra mentovato moderno marchese, che lo ristorò ed arricchì di quanto credé necessario ad ogni rappresentazione, si ammirarono delle più squisite rappresentazioni, sostenute
egregiamente da ogni attore e arricchite superbamente da decorazioni, vestiario e comparse, tutto a loro proprie spese e senza
paga veruna dell’uditorio, che veniva invitato. Più di 100 fra
commedie e tragedie videro le dette scene frà il corso circa di 20
anni, e ciascheduna di esse soffriva la replica almeno di dieci
fiate. I caratteri delle donne si sosteneano a meraviglia dalle due
damine, figlie di detta marchesa e sorella di detto marchesino,
l’una delle quali (oggi duchessa d’Acquaviva) disimpegnava mai
sempre il carattere forte, grave e severo, l’altra, oggi difonta
(che fu moglie dell’attuale barone don Michele Capuzzo), si distinse inavanzabilmente nelle parti tenere, tragiche e, quel che
sembra difficile, nelle lepide e brillanti, toccandole alle volte
quelle di servetta e ordinariamente napoletana, vernacolo non
nazionale, ma ch’ella imitava aggraziatamente. Gli caratteri buffi, siano in lingua toscana che nella nostra e nella napoletana ancora si addossavano (colla scelta dell’opera e sotto la direzione
ben anco) a me di Bartolomeo e notar don Mariano Usai ed ab113
bimo la sorte di venirne compatiti. Adesso, sendo passato il palazzo di detto marchese unitamente alla villa e teatro al degnissimo nostro Sovrano amabilissimo, non è stato proprio montar
più quelle scene.
Né solamente in teatro si è sempre distinta la comica de’ partinicoti, ma eziandio si è fatta vedere sempre uguale a sé stessa su
de’ palchi in pubblici piani della città, in occasione di solenni
festività celebrate in ricorrenza dell’invenzione di s. Croce. Ne’
tempi antichi e sotto l’arcipretura dell’esimio e dotto Albamonte,
nei primi anni del passato secolo, resta ancora a perenne memoria la celebre procession iconografica rappresenante l’istoria dei
tempi andati, dalla creazione del mondo sino alla Crocefissione
del Redentore Gesù, composto da circa 800 caratteri, parte dei
quali dialogizzava a proposito comicamente
107
de pezzi concernenti quell’azione. Anche il teatro fiorì in
quell’età e, tra l’altre rappresentazioni, tenne il maggior vanto la
passione di Cristo, sotto titolo dell’ Amor deicida, tragedia del
dottor Mancuso, poeta egregio nazionale in quei tempi, sendo
stata disimpegnata dal ceto tutto chiesiastico, di cui ancora se ne
raggiona. A nostri tempi poi (e parlo con chi è vivente e col concorso quasi universale dei popoli spettatori seriamente qua portatisi) non ebbero compagne le tre processioni iconografiche,
dette volgarmente ideali, l’una della passion del Signore, l’altra
del giudizio finale e la terza della spiegazione del Credo, sì per
la ricchezza dei personaggi e vestiario che per le recite dialogistiche frammessevi. Memoria che passerà alle rimote posterità
con invidia, in cadauna delle quali si profusero dell’ingentissime
somme a cui, per la decadenza dei tempi, io opino non potervisi
di più aspirare (a).
Ma è tempo ormai di inoltrarsi nella fondazione e fabrica delle
chiese e luoghi pii, che sorgono nella città, di cui di passo in
passo tratteremo nei seguenti capitoli della seconda parte.
114
Parte seconda: della fondazione delle chiese
Capitolo I
Fondazione della venerabile regal Madrice chiesa di regio patronato
Tanto è lontana da noi la intelligenza della erezione della chiesa
di san Cristofaro, antico e primitivo titolo della nostra madre
chiesa, quanto ci ha resi inetti a praticarne le ulteriori diligenze
onde venirsi a capo di poterne fissare precisamente l’epoca della
sua origine. Quel che frattanto saremo per narrare in progresso e
che si ha ricavato da pubblici documenti si è ch’ella trasse da
regii successori di Rogieri, sovrano di Sicilia la di lei fondazione, che è stata mai sempre di regio pattronato e che di tanto
s’incarica il successor di coloro Federico II detto il III, nella sua
dedicazione alla Vergine di Altofonte, allorché la di lui pietà
passò a conceder la fondata Abbazia del Parco e Partinico, al
1306, agli Padri cisterciensi. Si ha però per tradizione che cotesta chiesa campestre venne fabbricata dai successori di Rugiero
conquistatore, per comodo di sentir la santa Messa, in occasione
delle … per cui in questo allora bosco di Partinico si portavano.
Nel mancare del quindicesimo secolo, risorta già nel principio
del seguente la nuova odierna Partinico e accresciuta … la popolazione, avanzossi da ella all’abate
(a) Oggidì esiste il real teatro detto di san Leonardo nella strada grande, più vasto di quello di san Ferdinando di Palermo, ma oggidì per la resistenza dei tempi
svaligiato di quasi tuta la scena e decorazione, in atto in notar don Giuseppe Bartolomeo
108
commendatario allora l’eminentissimo don Scipione Rabbiba,
cardinale di Chiesa santa, la supplichevole istanza onde venisse
provveduta del parroco cotanto necessario al culto divino, nonché al proprio sprituale vantaggio delle anime per l’ amministrazione dei sacramenti, di cui era manchevole. E menando buona
quel zelante Padrone l’ortatoriale domanda, passò di buon grado
ad eligere in arciprete, rettore della borgata ossia in quei tempi
casale, il rev. sac. dr. Luca Lombardo, cittadino del Monte di
San Giuliano, con atto rogato appo le tavole di notar Girolamo
Lo Cascio di Palermo, a dì 8 marzo 1573 ed istituzione dei santi
sagramenti, in forza di pubblico stromento, stipulato li 25 dello
stesso mese, per gli atti di notar don Vincenzo Lo Vecchio di
115
Carini, oggi conservati nel pubblico archivio dei notai di quella
terra e di cui in seguito l’anno istesso in persona del medesimo
se ne sciolsero dalla cancelleria di Mazara le consuete canoniche
bolle di arcipretura rettoria, preso avendone quello il governo
de’ parrocchiani con quella vigilanza ed affetto convenivasi a
proprio pastore. Ed ecco divenuta l’oscura picciola chiesa (quasi
campestre) da quind’innanzi novella rettoria ossia parrocchia,
ritenendo il titolo del riferito santo e soggetta immediatamente al
regio patronato e rispetto all’amministrazione de’ sagramenti sacramentali all’Ordinario di Mazara, come vescovo della diocesi.
Godé fin di allora il detto primo arciprete dell’annua perpetua
dotazione di onze sei sovra alcuni pezzetti di terra con canneti
esistevan nel territorio e luogo detto di Tremmistieri, il quale
oggidì appartiene alla famiglia del barone della Legia don Giovanni Michele di Francisco, da cui se ne fé la renovazione
dell’atto a favore dell’arciprete di detta Madrice (a). Similmente
godé d’onze sei annuali perpetue per l’onorario di un cappellano,
che si rispondevano su’ i proventi dell’Abbazia. E ciò oltre ai
frutti volgarmente detti di stuola, pertinenti all’arcipretura, che
sino a pochi anni addietro si ridussero a quasi ad onze 200 annuali.
116
Ma non potendo in conto alcuno decentemente sossistere il divisato arciprete, nonché l’anzidetto suo cappellano colla tenue dotazione anzidetta, fatto nuovo ricorso all’illustrissimo e rev.mo
monsig. don Bernardo Asch, vescovo di Mazara, e da esso al
1580 si permise tassarsi ai parrocchiani tarì tre per ogni famiglia
all’anno, che poi al 1581 in di loro vece si contribuì il dritto di
primizia, come oggidì si costuma, cioè riguardo ai borgesi che
seminan dei frumenti, tumeno uno per cadauna famiglia
(a) In notar Gaetano Malinaci di Partinico, li … (sic)
109
e per le altre a grana 35 a famiglia.
Cotesto regio dritto di patronato della divisata Madrice nel 1584
venne espressamente dichiarato tale ed omologato da don Francesco Del Pozzo, in qualità di regio Visitatore, seriamente a tal
uopo eletto e destinato in questa dal sudetto abbate commendatario e ciò in occasione della sua prima visita pratica nella predetta
madre chiesa.
Resse per ben 19 anni con zelo e carità l’incarico di arciprete il
riferito don Luca Lombardo, il quale finalmente per divina disposizione, l’anno 1592, cesse di vivere, lasciando degna memoria della sua irreprensibile spirituale condotta.
Per fatali combinazioni non esistono affatto nell’archivio di detta Madrice i libri della numerazione dell’anime, battesimi, confermazioni, sponsali e defunti, tanto necessari alla posterità, occorsi in detti 19 anni di detta pria arcipretura, né tampoco quei
che precedentemente doveano esistere.
II – A quel degno soggetto, in detto anno 1592, vi successe il secondo arciprete, rev. don Lionardo Ferigo, che sostenne ancora
la carica di Vicario foraneo. Dietro al quarto anno della sua rettoria e proprio nel 1595 finì coi suoi giorni di governarla. Di
questo rettore non se ne sa affatto né i natali né la padria né
tampoco il dì preciso di sua elezione e morte. Non ci avanzano
di esso vestigi di monumento alcuno, anzi si può incolpare di
negligenza, attesoché i libri del medesimo soggiacquero similmente all’istesso fatal destino del suo predecessore e ch’esso lui
avrebbe potuto rintracciare, restorare e preservare dalle ingiurie
del tempo in vantaggio dei parrocchiani.
III – Nell’anno 1598 ne occupò la dignità di arciprete in terzo
luogo il rev. don Antonio Guerraci, nativo della città di Monreale. Costui sostenne altresì (verosimilmente a mancanza di soggetti) le veci di Vicario foraneo. Assonto quindi al canonicato
della cattredale metropolitana chiesa di suddeta città, passò a ri117
nunziare l’arcipretura anzidetta, restituendo nel 1606, dietro anni
undici di sua reggenza ad amministrarne la nuova dignità.
Mancano similmente i libri dall’archivio di cotesto arciprete
Guerraci, altri non avendo che quel de’ defunti, quale incomincia
dall’anno 1595 e l’altro de’ battesimi dall’anno 1599
Del 1 e secondo trascriviamo le prime note, ossia fedi, su lo stile
e ortografia di quei sciocchi soggetti: dal libro dei difonti: A die
2 di novembro 1595 morsi
figlia di Filippo di Mauro, sepulta in questa mag110
giori ecclesia e per la morte di la ditta si ave avuto tarì 3.10.
Nell’altro de’ battesimi, al 1599: A 6 gennaro, io don Antonio
Guerraci, archipresbyter della Sala di Partinico, ho b. (che tale
lettera b. abbreviata voglia dir battezzato) lo figlio di Domenico
e Vincenza Xhimeca, nome Vincentio, lo patrino Vincentio Miopoli, la patrina Eulalia La Brama.
IV – L’anno suddetto 1606 venne ammesso alla stessa arcipretura il quarto rettore don Vincenzo Lo Monte di detta Monreale,
goduto avendo altresì dell’onore di Vicario foraneo sino all’anno
1628. Beninteso che in detto anno 1606, sotto li 12 dicembre, 5
ind., si conchiuse e stipolò transazione tra detta ven. rev. madre
chiesa e Compagnia del SS.mo Sacramento, riguardo ad alcune
giurisdizioni ed obbligazioni reciproche, come meglio sarà per
dirsi di sotto nell’ultima transazione.
Intorno all’anno 1630 si crede verisimilmente istituita l’annua
popolare festività in onore del Ss.mo Crocefisso. E’ fola quanto
si vuol dal vulgo che suddetto simulacro sia stata opera del glorioso san Luca, il quale sebbene si dica d’essere stato pittore,
non l’abbiamo però per scultore. La festa anzidetta si celebra il
tre di maggio, di che la Chiesa solennizza la Invenzion di Santa
Croce e ciò con l’ultima pompa e splendidezza e la precede una
sacra quindicina la sera, esponendosi dinnanzi il Cristo a’ fedeli
una delle sante spine in dorato ostensorio (qual sacra quindicina
sarebbe meglio abolirsi ad ovviare tanti concerti e forse peccati
si commettono pel concorso festivo di sessi divesi). Chiudeva finalmente la solennità con decorata condotta della bara del Crocefisso Signore e dell’altra di Nostra Signora del Ponte, precedute da confraternite, clero e poi da’ regolari, come ancor si costuma, sebben di giorno, che allora si estendea sino alle ore sei
della notte, girando tutto l’abitato.
Ingrossatasi di molto la popolazione, nell’anno 1639, a preghiere
della medesima, fu dallo zelo e dovizia del serenissimo don Sigismondo d’Austria, eminentissimo cardinale e abbate commenda118
tario, ordinato lo ingrandimento o, per dir meglio, la nuova fabrica di suddetta madre chiesa, che sin allora altro
111
non era che una povera chiesetta senza navi e colonne o pilastroni. Durò la fabrica per ben sei anni continui, sino al 1645, in cui
venne per intiero disbrigata nella guisa che sarem per descrivere.
Officiossi frattanto nella picciola chiesa dell’oratorio di san
Francesco lo vecchio, che esisteva in quei tempi ove tuttora sorge la graziosa chiesa della Congregazione del patriarca san Giuseppe, dove fu trasferito in detto anno 1639, processionalmente e
con pompa, il divinissimo sacramento dell’Eucaristia.
La forma e struttura che nuovamente prese la ridetta Madrice capace allora per quella popolazione fu la seguente:
venne disposta in tre navi con ordine di colonne di pietra forte al
numero di 14, sette cioè per ciascun lato su cui erano volti degli
archi corrispondenti. Entro di ognun de’ quali nelle laterali navicelle si eressero delle cappelle co’ suoi altari, oltre quello maggiore nel coro, ma senza del The e cupola, e altre due cappelle
ne’ frontispizii delle navicelle. Codeste tutte cappelle si dedicarono in onore degli infrascritti santi.
Nel maggiore adoravasi il divinissimo Sacramento, custodito nel
tabernacolo, dietro cui si alzava il quadro coll’immagine di Maria SS.ma Nunziata, nuovo titolo della Madrice, che pria portava
di san Cristofaro e che tuttora insiememente ritiene.
Nelle laterali cappelle in frontispizio alle porte picciole delle
due navatelle a destra si eresse l’altare e cappella per SS.mo
Crocefisso, coverto da cinque veli in cui effigiati i cinque principali misteri della passione, e a sinistra l’altro a Maria SS.ma
del Rosario lungo il quale fu scavata la sepoltura per sotterrare i
confrati di suddetta Vergine, come del pari avanzi quello del
SS.mo Crocefisso in uso dei confrati di quello.
Scendeano del pari rispettivamene le restanti cappelle con altari
dall’uno e l’altro lato de’ seguenti, cioè a destra della Madonna
dell’Itria, di san Cristofaro, restava vuota la terza per conserva
della bara o sia cereo del SS.mo Crocefisso, la quarta Madonna
del Lume (che poi la domenica
112
in albis cedeva il luogo alla patrona Maria SS.ma del Ponte (che
conducevasi dalla di lei ordinaria residenza e chiesa campestre,
nella contrada da cui trasse il titolo) e ciò sin dopo la solennità
de’ 3 maggio, siccome in altri tempi e staggioni, che per li bisogni popolari coll’ultima divozione e fede andava la gente da lì a
119
levarla e condurla nella Madrice, come pratica di presente. La
quinta della Vergine assonta al cielo, restando la sesta prossima
all’ingresso piccolo per uso del fonte battesimale.
Dalla sinistra poi, quella di Maria SS.ma Addolorata, cui seguiva
quella di San Francesco Saverio, restava la terza vuota per uso
del confessionale, la quarta quella di santo Stefano, la quinta
quella di santo Menna e la sesta finalmente, prossima
all’ingresso piccolo, del vescovo san Polino.
In onore di tutte le sovrascritte sacre immagini, a suo tempo, si
celebravano delle solennità, con della pompa e devozione de’
quali oggidì la maggior parte resta in disuso.
Guardava l’ingresso intero, come tuttora guarda, la tramontana
con tre porte, l’una grande centrale, laterali le due restanti.
Accanto l’una di queste picciole, dalla parte di fuori nel tocchetto, verso oriente, si vedeva la cappella colla immagine del santo
Cristofaro, che guardava la tramontana, dinanzi al quale la sera
vi si accendeva una lampada e nel dì della sua festa si apparava
la cappella suddetta. A questa sagra immagine fu concessa indulgenza da monsignor Alessandro Caputo, vescovo di Mazara,
come oggigiorno si rimarca dalla iscrizione esistente, tuttoché
non esista la cappella anzidetta.
Non portò la detta Madrice più di numero due campane, che furono appese nella torre saracinesca esistea allora dalla parte verso oriente, ov’è tuttora la nuova antesacristia. Codesta torre per
più tempi fé le veci di campanile. Eran coteste campane l’una
picciola, l’altra più
113
grande di peso di cantari 8.60, a spese popolari costrutta, col
concorso altresì degli abitanti del feudo del Borgetto, anch’essi
comparrocchiani, come il tutto si rileva da un atto in notar Giovanni di Lione di questa, li 30 marzo del 1605. E infatti gli borgettani suddetti, in forza del citato istromento, vengono abilitati
del pari de’ partinicoti a pretendere a martoro il suono della medesima, senza rispondere dritto alcuno, a riserba del tarì uno,
mercede del sacristano. Rottasi indi la stessa, se ne fuse altra più
grande, che assorbì il peso di cantari 11.70, in giorno di sabato
del mese aprile e si spinse in detto campanile ossia torre il dì
primo maggio del 1719 e che tuttora è esistente nel nuovo campanile, dietro di essersi atterrata la torre nel 1783, a cagion
dell’ingrandimento novello dell’attual Madrice, la qual campana
venne solennemene benedetta da monsignor Ugone Papé, de’
principi di Valdina, vescovo di Mazara, in giorno di domenica,
con concorso del popolo.
120
In detta antica torre eravi ancora l’orologio, che batteva le sole
ore. Al presente però esiste nel nuovo campanile, battendo ancora le quarte e annunziando il mezzodì e la mezzanotte e prima
alle ore 2 suonava a lungo.
Domentre era per spedirsi la fabrica di detta nuova Madrice, alli
7 dicembre del 1645, finì di regere l’arcipretura il detto rev. di
Monte, dopo anni 39 di commendevole condotta, ignorandosi
frattanto se fosse morto ovvero se abbia renunziato la carica. Attesoché se morto fosse se ne troverebbe la nota nel libro de’ difonti in cui manca con effetto, molto più che un giorno dopo li 7
dicembre sudetto, vale a dire alli 8 di esso mese, di detta arcipretura se ne prese il possesso dal di lui infrascritto successore.
Il rev. don Pietro Palazzolo, oriundo del Monte di San Giuliano e
cittadino di Palermo, cominciò a governare dal suddetto giorno 8
dicembre 1645 la nostra regal Madrice, la quale fiorir si vide da
indi in poi perennemente e nel mateiale e nel suo formale avendo
quella ornata e provveduta di sagri arredi, dell’organo, del fonte
battesimale in miglior forma dell’antico e delle citate sagre immagini, che affisse alle cappelle ed espose alla venerazione de’
fedeli rendendola officiabile e degna finalmente del culto divino,
restando affatto sbrigata il dì 28 aprile del 1646.
Era desso rev. arciprete insignito della laurea dottorale in amendue
114
le leggi di cui fu peritissimo e dalle allegazioni da lui foggiate e
scritte di proprio pugno (come ho veduto cogli occhi miei presso
il rev. arciprete Bordonaro) e ciò in difesa delle giurisdizioni e
qual avvocato della propria parrocchia, si discerne abbastanza la
di lui legale e giurisperita facoltà possedeva.
A 29 poi di detto aprile e il giorno appunto della domenica in albis, venne la detta madre chiesa benedetta e vi cantò lo stesso
arciprete solennemente la prima messa. Il dopo pranzo, dato il
vespre, con l’intiero concorso del popolo spettatore, con religiosa divozione e festiva ilarità, sposato il tutto ad una solenne
condotta di tutte le confraternite in sacco, communità regolari e
clero, fu restituito con lagrime di pia gioia nel proprio sacro
soggiorno parrocchiale il divinissimo Sagramento eucaristico,
dall’oratorio anzidetto di san Francesco, e da indi in poi la Madrice, attesa la detta nuova decente riforma, cambiò d’aspetto,
nonché di titolo, assumendo quello della SS.ma Nunziata, non
lasciando l’antico di san Cristofaro, menzionandosi nelle scritture e documenti sino al di d’oggi: Sanctissimae Annuntiationis,
olim divi Cristofori.
121
Molto si riceve da un antico scritto di original carattere dello
stesso arciprete (che conservasi dal detto arciprete Bordonaro)
delle intraprese pie, agognate dal Palazzolo, in vantaggio della
sua chiesa. Stabilì essolui otto chiesiastici per ufficiarvi a coro
(che colla di lui morte cessa affatto, forse a mancanza del necessario rendale per la di lui sossistenza), istituì il canto gregoriano, sistemò lo regolare suono delle campane per le ore canoniche, ché tutto si osserva, introdusse la celebrazione solenne di
tutte le feste mobili, l’ottava decentissima del corpo di Cristo,
con processione diaria e tutto ciò che si pratica in una ben culta
parrocchia, cose tutte non più praticate per l’addietro dai suoi
predecessori, introdusse la sagra novena alla Nostra Signora del
Ponte Padrona principale della città, dietro di essersi trasferita la
Domenica in albis dal di lei santuario, che si erge nella contrada
del Ponte, da cui trasse la denominazione, a diferenza di quella
di Altofonte, che la riportò dalla sorgiva d’un alta rupe nei monti
del Parco. Pure inerendo al regal ordine del cattolico re Filippo
IV, emanato l’anno 1659 per tutto il Regno e quell’altro in seguito
115
dell’Ordinario di Mazara, l’eminentissimo titolar cardinale di
santa Cecilia, prescrisse con fervente zelo e sotto pene pecuniarie la solenne processione della prelodata Signora, il dopo pranzo della domenica in albis. Subito quella arrivata nel piano allora detto di Campo, poi di sant’Antonino ed oggi del Collegio di
Mariani cui accorrono vestite a sacco le confraternite, le comunità regolari ed il clero ad onorarne l’accesso alla condotta festiva nella Madrice, la quale onorava di sua sagra dimora, per parecchi giorni sin dopo li 3 maggio, terminata la sollennità del
SS. Crocefisso.
Trascorso appena un lustro del suo commendabile governo, pe’
suoi imprescrutabili fini, Dio Signor Nostro chiamò a sé il Palazzolo a ritirarne nella sua celeste magione il meritato eterno
compenso, come si spera, mercé la sua clemenza e attese le di lui
esimie cristiane virtù, e ciò a 22 settembre 1650.
Nel 1652, anno appunto dalla morte del prelodato arciprete, vi
successe il sesto rev. dr. don Vincenzo Conti. Se ne ignora di costui sin la patria e i natali e’l dì preciso di sua elezione, malgrado le nostre più attive diligenze. Nulla si sa benanco in che abbiasi segnalato nel suo corto governo, che durò circa sette anni,
che corrispondono sino a 2 luglio del 1658, in cui finì di vivere.
Dai pochi suoi scritti, che avanzano nell’archivio, si può più tosto dedurre della sua scarsa letteratura. Si ha unicamente di lui
che abbia egli concesso alla Compagnia di Nostra Signora del
122
Rosario la cappella dentro la madre chiesa, colla facoltà di collocarvi il simulacro della stessa, che persisté sino ai dì nostri, in
cui vi si sostituì l’attuale di miglior gusto e scultura in legno,
siccome il luogo della sepoltura de’ confrati, con atto in notar
don Onofrio Casafuri li 2 maggio, 8 ind., 1655, che tuttora le
godono, malgrado l’erezione indi seguita della propria chiesa e
oratorio, attaccata e laterale a quella dalla parte verso sirocco.
Il laureato in amendue le leggi, rev. don Marco De Marino fu
quel settimo arciprete che sobintrò in detto anno 1658 al predetto Di conti. Di costui non avanza altro monumento che il solo attual fonte marmoreo bianco del battisterio, che eresse l’anno
1666, osservandosi nella base del medesimo la seguente incisa
iscrizione: Utriusque juris doctor dominus Marcus De Marino,
archipresbiter. Finì i suoi giorni nel 1670.
116
VIII Al riferito Di Marino, in detto anno, vi successe l’arciprete
don Gaspare Carnevale e dietro il di lui brevissimo governo del
tutto oscuro, nel 1671, ne occupò il luogo il di lui successore
nell’anno istesso che fu
IX – il rev. don Antonio Peggino, il quale cesse poi l’anno 1683.
Ma come né dell’un né dell’altro abbiam positiva materia da
tramandare alla posterità, perché amendue o non feron copia di
loro stessi o non si distinsero di preciso, così ci asteniamo di ristuccar gli lettori con inutili dicerie. Non altro avvi di questi arciprete se non che perfezionò nel detto 1683 il tocchetto sotto
cui costrusse il cimiterio, come dal millesimo inciso nelle palle
di pietra, si rileva. Di questi Peggino, perché morto in Palermo
l’anno 1683 li …(sic) se ne trova il cadavere seppellito nella
ven. chiesa di s. Eligio, portando la di lui lapide il seguente epitaffio:
Antonino Pegino, ex can. Montis Regalis ecclesia, parthinicensi
pastori vigilantissimo D. Cassandra Fernandez e D. Catharina
lacrimantes sorores hanc lapidem posuerunt.
Obiit Panormi, 2 novembris MDCLXXXIII 77.
X – L’anno stesso 1683 venne conferita l’arcipretura anzidetta in
persona del rev. don Vincenzo Agliata La Farina, che la resse da
circa anni nove e sino al 1702, in cui morì. In cotesto soggetto
abbiam poco è vero, ma non nulla da ammirare. Dalla di lui con77
A don Antonino Peggino, canonico della chiesa di Monreale, vigilantissimo
pastore di Partinico donna Cassandra Fernandez e donna Caterina, sorelle, in
lagrime, posero questa lapide. Morì a Palermo il 2 novembre 1683 .
123
dotta si deduce il costante suo zelo nella conservazione delle
proprie parocchiali giurisdizioni, massime doverosa in chi regna
di mantenerle illese o’ vendicarle in pro’ de’ successori. Si pretese tra gli altri dal Capitan d’armi e guerra di quel tempo, don
Marcello Rogasi, la esorbitante vanità, a carico dell’arciprete,
dell’acqua benedetta sino alla porta maggiore della chiesa, il serio invito ad intervenire in tutte le sagre funzioni si celebravano
in essa nelle festive solennità, riscuotere dell’importuni ossequj
non più praticati o, se alcuna volta praticati, sol per ufficio di
polizia ed urbanità e simili stucchevoli pregiudizii d’anime vulgari ed altere, che impropri sembrarono al circospetto arciprete e
che meritamente seco negossegli e vi resistì implorandone la
provvidenza da’ magistrati supremi in onta agli ordini ottenuti
da parte di detto rogati o’ carpiti dal Tribunale della Regia Monarchia e che l’arciprete per allora bisognò, a mancanza del necessario tempo, riparare con un preventivo atto preservativo di
ragioni a carico del Capitan d’Armi, che stipolossi da notar don
Girolamo Cannizzo seniore, li 24 dicembre, 4 ind., 1695. Siccome ancora, insorte tra detta Madrice e la ven. Compagnia del
SS.mo Sacramento delle questioni relative e dependenti dalla
prima citata transazione tra esse sin dal 1606 stabilita, egli,
l’Agliata la Farina,
117
usando di sua prudenza e attese le circostanze si frapposero allora, condiscese volentieri alla stipola di un secondo accordo regolatorio al primo, che venne rogato appo gli atti di notar don Giuseppe Bellomo a 13 giugno, 7 ind., dello stesso anno. Di qual
transazione, in grazia qui della brevità, ci riserbiamo di più largamente rapportarla in appresso sotto il governo dell’arciprete
Raccuglia, in cui cade magiormente in acconcio.
XI – Fu l’undecimo nostro arciprete don Paolo Cocuzza. Visse
egli sì poco, sì poco resse la carica che nulla lasciò dopo, che
possa interessare la storica curiosità, dapoiché l’anno appresso
alla sua promozione, ossia nel 1702, ci venne rapidamente a
mancare.
XII – Non poco influiscono al volere divino lo stato de’ buoni
costumi e la dovizia delle scienze. Di nulla di queste doti fu
manchevole il rev. dr. don Francesco Albamonte, duodecimo fra
gli arcipreti di questa nostra Madrice chiesa di Partinico e del
Borgetto, cui coltivava lo spirituale, e ciò sin dai tempi trasandati, a mancanza di chiesa parrocchiale di quel feudo. Fu desso palermitano, di nobile casato, godè della laurea dottorale nell’una e
l’altra legge, Consultore del Tribunale della santa Inquisizione e
di lui qualificatore dotto nella sacra teologia, adorno di vaste
124
scienze, insigne poi e zelante oratore, che diè la spinta alla di lui
promozione all’arcipretura. Si crede figlio di Francesco Albamonte, come si ha dalla Biblioteca Sicula del Mongitore (a). Destinato in questa città per la carriera di predicator quaresimale
del 1702, incontrò così bene la grazia del Signore sposata al talento che, accaduta la morte dell’arciprete Cocuzza, di unanime
voto e istanza del pubblico avvanzati all’eminentissimo cardinal
Acquaviva, abbate allora commendatario, per acclamazione venne eletto in arciprete, dignità che la disimpegnò a segno che ne
resta tuttodì perenne la memoria, a gloria di Dio, in onor del
medesimo e in decoro della patria. La carità di costui non abbastanza esagerabile, d’una pingue arcipretura qual’era in quei
tempi, non altro ne ritraeva se non lo scarso frugale alimento,
tutto applicava ed ai poveri ed alla chiesa, questa rese adorna di
sacre pitture sino al soffitto, che poi mancando la vita terminò
il suo degnissimo successore.
(a) T. II in appendice prima, f. 14
118
L’amor poi pe’ parrocchiani si distinse in lui in grado eminente.
Non tralasciò mezzo onde solicitare coloro e nello spirituale con
esercizii di pietà e di s. Ignazio e nel temporale presso i ministri
ed officiali della città, onde governarla a dovizia e con rettitudine. Promoveva con attività e con del proprio interesse anche i
leciti diporti a magiormente tener occupata la gioventù in affari
scientifici e massime comici, facendola da direttore e tante delle
volte da suggeritore nei teatri accademici cittadini, ad impedir
l’intrusion degli stregoni e prezzolati, come largamente si è detto nel cap. IX. Egli era amabile e nelle conversazioni e nel pergamo e il suo volto ispirava divozione ed amore. Venne amato
oltremodo dal popolo e meritò degnamente la sua perdita il pianto universale, giacché dopo anni 29 di lodevolissima regenza,
sotto li 13 del mese aprile dell’anno 1731, ci fu rapito fatalmente. Venne debitamente onorato dalla orazione funebre del celebre
dr. Raccuglia, suo successore, di cui ancor se ne parla. Il suo cadavere fu sepolto nella nostra Madrice. Il suo originale ritratto
(primo di tutti i suoi antecessori) si conserva nell’antisacrestia,
colla epigrafe infrascritta:
Rev.mus Dominus utriusque juris doctor dominus Franciscus Albamonte, Tribunalis SS. Inquisitionis Consultor et qualificator,
Partinici et Burgetti Archipresbiter, humilitate et charitate in
pauperes mirabilis, eloquentia et zelo in concionando egregius,
conspicuoque nobilitatis genere nutritus,
125
obiit die 13 mensis aprilis 1731, aetatis suae annorum 63 78.
XIII – Ossia che la novità abbia il vantaggio d’incontrar più che
mai o che la magior fiamma suole estinguere la minore, la successione del rev. dr. don Giovan Paolo Raccuglia alla carica del
prelodato suo antecessore, ne compensò al pubblico abbastanza
la perdita. Non sono mai eccedenti le lodi ove abbonda la verità,
verità per altro che ci viene costantemente confermata da non
pochi, che tuttora sopravvivono al Raccuglia e potriano tacciarci
di adulazione. Fu egli il primo arciprete che vanta Partinico.
Trae desso l’origine da una famiglia palermitana piuttosto illustre. Le qualità di cui fu adorno bastarono ad immortalar lui e
decorare la patria. Fu versato quasi in ogni sorta di letteratura.
La giovialità, la prudenza, la facondia non erano le magior doti
del suo animo. Giovò al pubblico nonché al privato sin dal dì del
suo possesso, che fu in detto anno 1731, dietro la riportata elezione che fugli presentata domentre scendeva dal pergamo di recitar l’elegantissima funebre orazione al difonto suo predecessore Albamonte. Prese a perfezionar interamente e abbellir la Madrice, a curarne gl’interessi più che gli proprj. Fu celeberrimo
oratore e quaresimalista,
119
precedente alla carica di arciprete e in qualità allora di Vicario
foraneo di nostra città, segnalossi nel 1728 nel pergamo della
città di Marsala, massime nella panegirica orazione da lui recitata nel corso del quaresimale in onore di Maria SS.ma della Cava,
padrona di quella città, che da codesti cittadini gli venne data alle stampe in Palermo, presso Vincenzo Toscano, detto anno, in
quarto, in carte n. 37, preceduta da n. 27 sonetti di quegli Accademici composti in di lui lode. Si distinse ben anco egregiamente
nell’arte poetica, ammirandosene moltissimi sonetti nella lira a
due corde del Pomé (a), oltre a tanti altri inediti e ad ottave siciliane, che restarono a memoria dei nostri concittadini e si recitavan occorrendo nelle ricreazioni. Tutti però i suoi scritti soggiacquero fatalmente, non si sa come, alla perdita, con notabile
danno della letteraria repubblica, che avrebbero potuto eternar
magiormente il di lui nome. Non altro avvanza presso il rev. don
Francesco Tosco, nostro letterato cittadino, che la panegirica orazione da lui scritta e recitata nella nostra Congregazione
78
Il reverendissimo signore don Francesco Albamonte, dottore in diritto canonico e civile Consultore e qualificatore del Tribunale della SS. Inquisizione,
arciprete di Partinico e di Borgetto,ammirevole per umiltà e carità verso i poveri, brillante per eloquenza e zelo nella predicazione, ragguardevole per nobiltà, morì il 13 aprile 1731 all’età di anni 63
126
dell’Opera Santa, in onor de’ gloriosi santi Giuseppe d’Arimatea
e Nicodemo, di lei protettori, tirata intieramente di suo carattere
e di gusto squisito su’ lo stil di quei tempi. Se mai poté meritar
la di lui condotta redarguzion alcuna, si fu quella di aver declinato nel suo governo alla dismembrazion della chiesa del Borgetto, di cui era anche arciprete, e furono i suoi predecessori da
questa nostra madre chiesa, come si disse nel cap. VI. In tutto il
resto poi fu irreprensibile, anzi ammirabile la sua condotta.
Sotto la sua reggenza e nel 1742 venne altra volta visitata da don
Giovanni Angelo De Ciocchis, regio visitatore, la nostra madre
chiesa e dichiarandola ulteriormente regia, disse spettar
all’abbate di s. Maria d’Altofonte tutto ciò che apparteneva al di
lei formale e materiale stato, giusta le regole delle chiese regali,
coll’infrascritto decreto.
Eamdem ecclesiam jam olim a principibus constructam et in eorum manu, potestate et dispositione positam, tum post donatam a
rege Friderico 2, vulgo 3, abbatiae praedictae S. Mariae de Altofonte, atque insuper anno 1573 ab abbate commendatario cardinali D. Scipione Rebiba in rectoriam erectam, sub inde vero
anno 1584 visitatam a regio visitatore Francisco de Puteo qui
fuit ultimus dictae abbatiae Parchestrator et demum a cardinali
(a) stampata in Palermo al 1731, fog. 91, 106, 217, 218, 241, 242, 247, 254, 256.
257, 268, 269, 276, 291, 305 e ciò in quarto
120
de Austria abbate commendatario in ampliorem formam anno
1645 redactam fuisse et esse regiam ex fundatione et membrum
regalis abbatiae S. Mariae de Altofonte, atque sub eodem regio
jurepatronatus totius abatis et sub jure, potestate, electione,
nominatione et omnimoda dispositione abbatis commendatarii
quoad formalem, tum materialem statum juxta morem et regulas
ecclesiarum regalium, iisque tandem nominibus fuisse et esse
sub jure, facultate et visitatione regiorum visitatorum ecclesiarum regii patronatus, juxta ultimum statum 79
79
Questa chiesa (fu) costruita anticamente da principi e posta nelle loro mani,
in loro potere e disposizione, donata in seguito dal re Federico II, detto III, alla
predetta abbazia di Santa Maria di Altofonte ed ancora nel 1573 eretta in rettoria dall’abbate commendatario cardinale don Scipione Rebiba, visitata nel
1584 dal regio visitatore Francesco Dal Pozzo, che fu l’ultimo Parchestratore
di detta abbazia, ed infine dal cardinale di Austria, abbate commendatario fu
ingrandita nel 1645. E’ di regia fondazione ed appartiene alla regale abbazia
di Santa Maria di Altofonte ed è sotto il diritto di regio patronato per l’elezione,
la nomina dell’abbate, sia dal punto di vista formale, quanto materiale, giusta
il costume e le regole delle chiese regali. Pertanto è stata ed è sotto il diritto,
la facoltà e la visita dei regi visitatori delle chiese di diritto patronato, come
risulta dall’ultimo stato.
127
Insorte nel governo di suddetto Raccuglia delle conroversie tra
la detta Madrice e Compagnia del SS.mo Sacramento intorno alle
due precedenti transazioni fra di esse e circa a varie reciproche
giurisdizioni, riserve e pazioni, si divenne finalmente, per opera
e prudenza di questo arciprete, nell’anno 1752, a stipolarne la
terza concordia, presso gli atti di notar don Domenico Di Bartolomeo, mio padre, sotto li 14 novembre, in cui sono respinti i pesi ed oneri reciproci di suddetta chiesa, che si pattuirono nelle
precedenti transazioni del 1606 e 1699. Vale a dire: somministrar la Compagnia alla Madrice la cera per l’associo del SS.mo
Viatico, solennizzar essa e far il sepolcro il giovedì santo nella
Madrice, dar n. 60 candele d’once 2 l’una pel sabato santo e domenica di Pasqua, con disparare n. 500 mortaretti, somministrar
l’olio pelle lampadi dinanzi il Divinissimo, musica in dette funzioni e finalmente solennizzar la festa del Corpus Christi e sua
ottava in detta Madrice, colle sue processioni, dovendo la domenica infra ottava celebrare e far la condotta del Divinissimo il
rev. cappellano ordinario di detta Compagnia, e come meglio dal
suddetto stromento si ravvisa.
Inaspettatamente, l’anno 1753, pria del vespro, li 26 agosto, domentre assiso tentava torsi da noje che l’affliggevano, nel balcone della propria casa, assalito da mortale accidente apoplettico
(morbo che minacciavalo in vita) subitaneamente ne perì con universale cordoglio e lutto della intera città e de’ di lui conoscenti, munito si rapidamente dei ss.mi sacramenti, come dalla
nota ne’ libri della Madrice rilevasi, in età di anni 56 (a).
Dall’epigrafe a pié del proprio ritratto, che serbasi nella detta
antisacrestia si legge:
Rev.mus dominus Sacrae Theologiae Doctor dominus
Paulus Raccuglia, archipresbiter, decus familiae
magnum, patriae majus, cleri sui maximum, mirum virtutis opus
praeclarum, scientiae miraculum.
Hac vel illo clarior incertum.
Certissima eius animi ingenii praestantia.
Saeculis ac siculis potius admirationi quam imitationi futurum.
Parem in eo habuere locum virtutes omnes,
mansuetudo in publicum, coeteris enim alios ac in seipsum praestitit, potiore hic omnium piissimus, aetatis suae annum
(a) La di lui orazione funerale la scrisse egregiamente e recitò l’eruditissimo rev.
don Leonardo Inglese
121
56 attingens, coelo maturus, subito correptus morbo, Cristo
128
fixis oculis animam efflavit
8 kal. Septembris anno a Virginis partu 1753 80
XIV - Nel settembre dell’istesso anno 1753, fu eletto da monsignor Giuseppe Barlotta e Ferro, vescovo di Teletta ed abbate
commendatario, il 14 nostro arciprete dr. don Pietro Perrone,
della terra di Marineo, per quanto si dice, in grazia dei servigii
prestati all’abate da don Onofrio Perrone fratello e razionale
dell’Abbazia. Cotale elezione non fu a dir il vero cotanto grata
al pubblico, in rapporto ai soggetti paesani di allora di maggior
merito e dottrina del don Pietro, ai quali si fé torto, attrassandoli
senza ragione. Tenne costui una condotta tutta propensa agli interessi dell’abbate, da cui venne sempre favorito e molto più allorquando, zelando il popolo e chiedendo l’ingrandimento della
Madrice (resasi poi troppo angusta pell’avanzata popolazione), a
consulto di detto arciprete, che assicurò non esservi tal necessità, si esentò dal contribuir alla spesa, cosa che gli attirò
l’indignazione di ognuno, ma che lui poi, difonto l’abate, forse
ravvedutosi dell’errore, lo emendò (ma non intieramente), cooperandosi col fratello razionale presso il Consultore Terziani,
amministadore (sic)
dell’Abbazia, a far ottenere dalla regia
munificenza dell’amabilissimo nostro Sovrano Ferdinando la
somma annuale di onze 200 per l’ingrandimento di suddetta Madrice sino al di lui fine pagabili, come si pagano, di terzo in terzo su’ proventi badiali, e ciò con biglietto dato in Napoli li 25
aprile 1777 (a), quandoché avrebbe potuto da quell’anima generosamente sovrana ottenere la nuova fabrica intera della Madrice, atta a capire la grossa popolazione e non lasciar un’opera
sempre angusta e imperfetta, quando anche vi si impiegasse un
tesoro. Ciò però partorì un disvantaggio allo stesso arciprete ed
utile al pubblico, qual fu quello che, attesa l’avvanzata popolazione ed elargato il distretto della città, chiese il pubblico a
monsignor Vescovo di Mazara don Ugone Papé una parrocchia
manutenuta e filiale dell’arcipretura, che menandola buona quel
zelantissimo prelato, non esitò punto di favorir la istanza presso
il Sovrano, da cui se ne ordinò la fondazione dell’attual parrocchia nella chiesa della Congregazione dell’Opera Santa, come in
essa si farà menzione.
80
Il rev. Don Paolo Raccuglia, dottore in sacra teologia, arciprete, decoro
grande della famiglia, più grande della patria, grandissimo del clero, amirevole
per virtù encomiabile per le opere, miracolo di scienza. Si può dubitare in quale campo sia stato più grande è però cortissima l’eccellenza del suo animo.
Per le future generazioni e per i siculi oggetto di ammirazione più che di imitazione. Le virtù ebbero in lui pari livello, mansueto con tutti, nelle altre virtù superiore a tutti, ma soprattutto nella pietà. Raggiunta l’età di 56 anni, colpito da
improvviso malore, spirò con gli occhi rivolti al Crocifisso il 25 agosto 1753
129
(a) comunicato in Palermo al Presidente allora don Stefano Airoldi, interino
amministratore della nostra Abbazia e Governatore di Sicilia, a 17 maggio di esso anno e da questi … a 23 maggio suddetto, registrato ed eseguito in questa
Corte baziale li 24 di detto maggio 1773
122
Per ciò che riguarda al formale di detta Madrice, ossiano giogali,
rappezi di fabriche e tutt’altro, nella morte dell’abate principe di
San Giuseppe di sopra riferito, accaduta in maggio 1764, e incameratasi l’Abbazia alla Regia Corte, assegnò codesta alla Madrice anzidetta, per la erogazione di suddetti giogali la somma di
onze 22.11.10 all’anno, che pria regendo gli abati si diedero carico di provvederla del bisognevole. Tant’è che sembra improporzionata cotal assegnazione e tenuissima, attesoché per la Madrice del Parco ne ritira quel parroco curato l’annua somma di
onze 80 e molto più a tempi di oggi che le merci sono carissime,
in una chiesa in cui debbansi provvedere 11 altari su una maramma che giornalmente ha bisogno or dell’uno or dell’altro
soccorso per mantenersi con decenza e politezza. Fu tanto ciò
chiaro che nel governo del seguente arciprete Bordonaro riparossi tal inconveniente dalla Maestà del Sovrano, per opera
dell’illustre Intendente cav. Lioy, accrescendosi la detta assegnazione, che tuttora l’arciprete la gode, come appresso si dirà
(a).
Dopo la lunga serie di ben 35 anni, alla perfine terminò i suoi
giorni il Perrone, li 5 dicembre 1788, restando sepolto in essa
Madrice in un fosso nell’ingresso della porta piccola a man destra, su cui nella lapide si legge l’epitaffio che trascriveremo nel
capitolo delle iscrizioni lapidarie sepolcrali.
Lo ritratto di codesto arciprete conservasi cogli altri due precedenti in detta antisacrestia, coll’epigrafe:
Sacrae Theologiae doctor dominus Petrus Perrone, parochus et
archipresbiter huius regiae matricis ecclesiae, qui cum per 35
annorum curriculum, exemplum gregi suo in doctrina, in integritate, in gravitate exstitisset, tandem naturae cessit, nonis mensis
decembris anno reparatae salutis 1787, aetatis suae 78 81
Onorò eccellentemene il Perrone l’elegantissima funebre orazione del dotto sacerdote don Francesco Ioseo, recitata con bello
81
Piero Perrone, dottore in sacra teologia, parroco e arciprete di questa regia
chiesa madre, essendo stato per 35 anni di esempio per il suo gregge nella
dottrina, nell’integrità, nella saggezza, ha infine ceduto alla natura il 5 dicembre 1787, all’età di anni 78.
130
spirito ed energia tuttoché allor non contava che anni 24 di sua
ettà.
XV – Il quintodecimo arciprete si fu il rev. sac. don Vito Bordonaro, oriundo della terra del Palazzo Adriano e dalla fanciullezza
abitatore in questa nostra città. Egli non deve nulla ai suoi natali, perché figlio di onesti parenti sì, ma assai umili, sendo stato il
suo genitore, Giuseppe Bordonaro, fattor di campagna degli espulsi allora Padri della Compagnia di Gesù di Roma, abitanti
nel feudo del Macellaro, oggi terra detta Camporeale. La sua
sorte e i suoi vantaggi gli deve a Dio signor nostro, indi ai meriti
propri e per ultimo a quei buoni religiosi che avvedutisi
(a) Dietro la suddetta assegnazione delle onze 20 temporanee venne ad elargarsi
la Madrice, aggiungendovi altre due colonne marmoree, il Thé con sua cupola ed
il coro unitamente al campanile, tutto ancora imperfetto sino alla morte del di lui
successore Bordonaro. E frattanto pel tempo che vi faticarono gli artisti , il Divinissimo si trasferì nella chiesa di san Giuseppe, che per allora fè le veci di Madrice.
123
nella fresca età della indubitata riuscita del ragazzo Vito, si cooperarono, coltivando co’ studi nel convitto di Mazara, in cui sviluppatosi, sorprese quei dotti lettori in qualunque scienza, che
rapidamente apprendeva, sorpassando l’età propria. Divenne in
brieve eloquentissimo, facondo, istrutto profondamente nella filosofia non meno che nella teologia, oltre all’umane lettere e poesia. Fu celeberrimo nell’arte oratoria, a segno ché nella città di
Alcamo, tuttoché giovane, nel corso del suo quaresimale, colla
recita d’una panegirica orazione in onore di quella Vergine de’
Miracoli, attirossi l’ammirazione ed applauso universale, tanto
quanto quell’Università fé dare alle stampe la di lui eruditissima
produzione in Palermo, l’anno 1762. Resta immortale il nome di
Bordonaro non solo in quel Seminario e città nostra, ma eziandio
nella intera diocesi e Regno, sì pegli amabili di lui costumi, che
per la sua profonda letteratura e sarebbe divenuto un portento
della natura se Dio per i suoi fini, nel più bel fiore non lo avesse
arrestato della carriera, colpendolo una notte nel capo, domentre
dimorava in detto convitto, in qualità di rettore, che fu motivo di
non essersi potuto da quindi innanzi da più applicarsi e proseguire gli studi, con di lui positivo increscimento e danno della propria casa e attraverso della sua fortuna. Gli convenne perciò restituirsi al padre, qui poi abitante e, dietro la di lui morte, a sostener la vita bisognò adottar l’incarico d’ajo in casa dell’illustre
duca della Ferla nella capitale, in cui dié saggio delle sue virtù
131
in quelle colte accademie fra’ quali fu ammesso con
dell’universale aggradimento.
Vacata l’arcipretura, per la morte del sopradetto Perrone, ad istigazione del riferito duca ed a proprie di lui spese, fu richiamato
in Palermo, pel concorso alla detta dignità, di cui egli per la sua
modestia si dichiarava immeritevole. E tuttoché sviatissimo
dall’apprese scienze, a necessaria cagione del citato morbo, da
cui fu letalmente corrotto e malgrado a qualunque preparazione,
dovea interporsi a siffatto negozio, pure sempre uguale a sé stesso, anzi di sé stesso maggiore, anche dopo un lungo lasso di sospesi studi, riportò il primato in esame con della ammirazione
degli eruditi soggetti scelti a tal uopo e a fronte altresì d’altri
due attelentatissimi competitori, dr. don Michele Marocco, consumato di gran lunga in quasi tutte le scienze e don Francesco
Tosco nel fior dell’anni suoi e nel caldo merigio de’ vivi studi, il
quale se non superollo, gli resisté l’emulo a segno che lasciossi
addietro il Marocco e avrebbe
124
riportata la palma se Bordonaro non era.
Egli adunque il Bordonaro ottenne da S. E. principe di Caramanico, Viceré del Regno, biglietto diretto al Tribunale del Regio
Patrimonio, rappresentante (per la incamerazion dell’Abbazia)
l’abbate commendatario, cui apparteneva la elezion dell’ arciprete, in cui si uniformava alla rappresentanza di esso Tribunale,
per lo proposto arciprete di nostra città, e ciò sotto li 31 gennaio
1792 (a). Dal quale Tribunale si spedì dispaccio al Vicario capitolare di Mazara, monsignor Di Vita, per spedirgli le bolle, e
questo sotto li 11 febbraio di esso anno. E di fatti furon le stesse
bolle in persona del Bordonaro arciprete sciolte dal Capitolo di
Mazara e da detto monsignor don Francesco Saverio Di Vita,
sotto li 2 marzo 1792, in seguito di cui si prestò dall’arciprete il
giuramento de adimplendo omnia et alia in dictis bullis, a mani
del notar don Sebastiano Cannizzo, notaio della corte foranea di
questa città, degente sotto li 3 di detto mese marzo, sendosi immesso in possesso il Bordonaro della carica anzidetta li 5 di detto marzo, per atto di possessione rogato all’atto di detto notaro
Cannizzo, cui seguì la professione di fede, fatta dal Procuratore
dell’arciprete in la cancelleria di Mazara, a 11 del mese aprile
1792, che venne poi dallo zelante pastor Bordonaro fatta personalmente in Palermo, per serenazione di sua coscienza, secondo
Lambertini nelle sue Notificazioni, e ciò a mani di don Vincenzo
Procopio, vicario generale di Mazara, a 13 gennaio del 1793.
Portossi laudevolmente in esercizio dell’arcipretura il Bordonaro, curò con tutto zelo disimpegnare il suo ministero, non solo
132
per quello riguarda alla coltura della chiesa e ben dell’alme affidate alla sua disciplina, ma eziandio alla conservazione delle
rendite e legati spettanti a quella, con aggiustar la scrittura, tanto pubblica che di contadoria, negligentemente l’addietro amministrata. Si avvide frattanto della povera congrua godea
l’arcipretura e tenutane parola con l’illuste Di Lioy, Intendente
della regia commenda, se ne procurarono le providenze per
l’augmento di quella, che finalmente si ottenne, in forza del seguente biglietto: Spett. Signore Presidente ossequentissimo, Con
regal carta del dì 3 del corrente mese mi è stata comunicata la
seguente sovrana determinazione: Sua Maestà approva quanto
Vostra signoria ha proposto con rappresentanza del 18 dello
scorso agosto per pagarsi
(a) Uniformandosi alla proposta che V. S. mi ha fatta, in esecuzione della sovrana risoluzione, con dispaccio per via dell’Ecclesiastico del 9 luglio dell’anno
scorso, per la vacante arcipretura di Partinico, siccome son venuto in eliggereil
primo nominato nella di lei rappresentanza de’ 25 ottobre e seguenti, don Vito
Bordonaro, così glielo prevengo in risposta per presentarlo all’Ordinario, onde
spedirgli le lettere di canonica istituzione, Nostro Signore La feliciti. Palermo, 31
gennaio 1792. Il Principe di Caramanico al Tribunale del Regio Patrimonio, co’
Ministri aggiunti
125
dal mese di novembre 1800 in avanti alla Madrice chiesa di Partinico onze sessantatre, tarì otto e grani due annuali pel mantenimento de lo culto giornaliero ed onze venti d’oggi innanti per
il consumo de’ sacri arredi. Vuole perciò la Maestà Sua che le
onze cinquantotto e tarì venti, soprapiù delle onze ventiquattro,
fissate dal Tribunale del Regio Patrimonio nel tempo della sua
amministrazione per congrua del mantenimento della stessa
chiesa, si rimpiazzi alla regia amministrazione della Maggione
sulle pensioni, che si pagano dall’azienda di Partinico e che andranno ricadendo, delle quali già se ne trovano vacanti onze
127. Di real ordine glielo partecipo in risoluzione della detta
sua rappresentanza, per l’uso che convenga all’adempimento.
Palermo, 3 settembre 1801. Francesco Seratti, sig. Intendente
Lioy. Nel comunicare a V. S. spettabile tal sovrana determinazione la incarico di curarne l’esatto adempimento. Beninteso che
in qualunque spesa che farsi deve, per conto della riferita chiesa, vi debba essere le cautela del di lei Visto Buono, a qual oggetto, Le acchiudo copia della congrua stabilitasi nel congresso
tenutosi tra V. S. spettabile con cotesto arciprete e vicario foraneo. Dispostissimo intanto a servirla, mi raffermo di V. S. spettabile, Palermo li 9 settembre 1801, Spett. dr. don Sebastiano
133
Cannizzo, regio segreto, Partinico, affezionatissimo servitore
cavaliere Lioy. A pié di cui si legge trascritto il distinto piano
per il congruo giornale manutenimento della real Madrice chiesa
risultato in detta annualità di onze 63.8.2, che termina come
appresso: Beninteso che intorno alla costruzione ossia formazione dei nuovi giogali relativi a sacri aredi e mantenimento della
Madrice chiesa e cose straordinarie ne’ bisogni che occorreranno se ne proporrà a V. E. (s’intende per il sig. cav. Lioy) la rispettiva necessità per ottenerne la corrispondente provvidenza.
Don Vito Bordonaro Mercurio stato Vicario foraneo, Sebastiano
Cannizzo, regio segreto. Confronta coll’originale che a
tutt’oggi, 9 settembre 1801, si conserva nella segretarìa della
regia Intendenza della Magione, Bernardo Scinia, regio segretario. Praeparetur exsecutio et stet penes acta. Cannizzo regius
secretus, die 10 septembris 1801. Praesentetur. Praesentata et
exequta fuit et est una cum interclusa notula (idest plano) in officio curiae secretialis de mandato supradicti spectabilis de
Cannizzo, regii secreti hodie. Philippus Bonì, magister notarius. Copia ex originali. D. Filippo Bonì maestro notaio
126
Cosiché la congrua di sudetta arcipretura in tutto assorbisce
l’annua somma delle onze 83.8.2, cioè onze 20 che godea precedentemente al trascritto regio biglietto e le restanti onze 63.8.2
in forza del medesimo. E ciò oltre alla costruzione de’ nuovi arredi e bisogni straordinari che forse accadranno.
Notisi però che in detto piano vi sono considerati gli salari del
prefetto di sagristia e due sagristani, unitamente all’oglio per loro uso, non già però gli oneri de’ cappellani, quali si rispondono
dall’arciprete.
Scorsi quasi anni tredici, finalmente il desiderabile Bordonaro,
travagliato lentamente, sebben letale, da febbre, infra otto giorni
chiuse gli occhi alla vita caduca, per aprirli all’eterna e gloriosa,
cui Dio chiamollo, li 19 gennaio del 1805, in età d’anni 69 compiti, a 12 del passato dicembre 1804, dopo quasi due ore che fu
munito da’ ss.mi sacramenti e nel mezzodì di quel giorno, compianto universalmente da tutta la popolazione. Dalla sua ultima
volontà, che lui stesso foggiossi e scrisse di propria mano e che
pubblicossi lo stesso 19 gennaio, agli atti di me notaro don Giuseppe Bartolomeo, si rimarcano de’ tratti del suo talento, carattere e illibata coscienza. Il dopopranzo fu condotto alla Madrice,
preceduto il suo cadavere nella funebre bara da tutte le compagnie, confraternite, regolari e clero, non senza effusione di lagrime, ed ivi esposto su ragguardevole musoleo, d’innanzi a cui
l’indomani, giorno di domenica, col concorso dell’affollato po134
polo se ne celebrarono li esequie funerali, colla recita d’una eloquentissima corrispondente orazione, parto del felicissimo erudito ingegno del di sopra menzionato sacerdote dr. Don Francesco
Tosco, tirata sull’odierno buon gusto.
Resta il corpo del nostro Bordonaro interrato all’ingresso della
porta piccola a man sinistra della Madrice, giusta la sua testamentaria disposizione. E lo ritratto fattogli in morte la di lui erede e nipote, donna Marianna Nicolotti e Bordonaro, conservasi
presso lei, al qual io, per mio diporto in epigrafe, scrissi il seguente, che vi si potrebbe apporre:
127
Questi è il gran Bordonaro, il dotto, il pio
l’ugual sempre a sé stesso, anzi maggiore
che, in onta a sorte, con maschil valore
trionfò della morte e dell’oblio.
Fu finalmente il degnissimo nostro arciprete il portento degli ingegni, l’onor della patria, il decoro di sua famiglia, la gloria di
sé stesso e il lustro ancora ed ornamento della nostra Accademia,
delle di cui poetiche produzioni eccone in stampa un sonetto da
lui composto, nella ricorsa Accademia sulla morte del Redentore
nella casa di adunanza dell’illustre signor marchese della Granmontagna in Partinico:
Un Dio o un uomo è que’ che pende in Croce
squarcio di piaghe e d’atro sangue intriso?
Un Dio? Come morir? Un uomo? Il viso
perché natura in lutto atroce?
Un Dio? Ma come creatura il nuoce
l’ebreo trionfa ed e’ ne giace ucciso?
Un uom? Ma come a un ladro il paradiso
sovran dispensa e spira a un’altra voce?
Placa il ciel, frange i sassi: ei dunque è un Dio;
langue, geme, si duole: ei dunque è un uomo
si perde a tai misteri il pensier mio!
Ah? egli è uom Dio, poiché dal suo gran duomo
discese il Verbo e all’esser d’uom s’unio.
Tanto costò del primo padre il pomo.
XVI – Il decimo sesto rev. arciprete, ma il terzo fra’ naturali ne
è appunto il rev. sac. Don Francesco Inga, eletto da Sua Maestà
con real biglietto del 17 dicembre 1805, communicato dal Secretario di Stato Francesco Servati al regio Intendente cav. don Felice Lioy e da quesi al nostro odierno arciprete il 1 gennaio
1806.
135
I costumi di questo rev. arciprete furono angelici, fondati
sull’umiltà, era provveduto di buoni studi, ma questi non si poterono in lui ammirare, perché accagionato mai sempre da infermità e più di già da una pertinace podagra, che lo confinava a suo
dispiacere sempre mai in casa ed anche a guardare il letto, finché
retrocessagli al petto, lo strangolò alle ore 17, la mattina del
mercoledì 4 gennaio del 1809, di anni 44, con universale dispiacimento, giorno appunto consagrato al Sacro Cuore di Gesù, di
cui fu amantissimo
…dell’arcipretura …di tal Congregazione
oltre di essere stato operaio insigne e cappellano sacramentale
della filiale parrocchia
128
17 – Sac. don Ignazio Russo, si è appunto il decimo settimo arciprete.
Naturale di questa, successo alla morte del precedente don Inga,
venne desso degnamente promosso all’arcipretura, (dietro i suoi
fatti studi nel convitto di Mazara sino al sacerdozio) dall’ill.mo
e rev.mo vescovo don Orazio La Torre, de’ principi della Torre,
in seguito della nomina fatta da Sua Maestà (Dio guardi) per diploma del 24 aprile e per i Ministri della real Intendenza della
Magione e suo real commendatario e patrono, per epistola data
in Palermo, nella corte achiepiscopale del 1 aprile 1809 e per
bolla del suddetto nostro Ordinario delli 10 maggio 1809, presentata e registrata in questa corte foranea li 14 di esso mese, 14
ind., 1809, firmata dal fu sac.don Martino Matina, allora maestro
notaro.
Gli zelanti ed esemplari costumi di questo rev. arciprete, come
noti a cotesto pubblico io non so dir di più di quanto lo decanta
debitamente la fama di unita alle sue virtù e lettere, attesa la di
lui esistenza in vita e la sua modestia, né a me più lice
d’inoltrarmi. Desso fu quel soggetto cotanto benemerito alla città che mercé l’opera sua praticata coi capi di essa e Ministri allora in vigore nel comune si fé riconoscer degno in felicitando e
tranquillando la medesima nelle passate popolari vicende. Oggidì poi gode il titolo e la cariche d’Ispettore di queste publiche
scuole normali in cui ogni lunedì del mese, portandosi in esse e
casa comunale, le assiste, dirigge la gioventù presenzialmente e
il dopo pranzo ancora, conducendosi alla parrocchial chiesa
dell’Opera Santa, aggregata alla madre chiesa e d’essa dipendente, fondata appunto da monsignor vescovo Papé, come si ravvisa
da un atto registrato e rogato agli atti di me notaio, allora chiesa
filiale, detta la Congregazione dell’Opera Santa sotto titolo di
san Giuseppe e Nicodemo, opera che ha per peculiare istituto il
seppellir i morti poveri, che vengon portati dai gentiluomini
136
congregati in essa su’ le spalle ed in ogni anno indi il dopopranzo pratica esemplarmente la popolazione sacra condotta del
ss.mo corpo di Cristo unitamente alla Vergine della Solità e alla
raccolta di essi si recita un condegno sermone ai fedeli ivi concorsi in chiesa
129
Capitolo II
Chiesa di San Leonardo in cui la Compagnia del ss.mo Sacramento
Si vuole antica la erezione di cotesta chiesa in onore del nostro
glorioso san Leonardo e ce la fan credere di certo ove esiste un
pubblico forno della piazza in cui tuttodì ne avanzano due reliquie, come vogliam dire, cornicioni. Si vuole altresì che siasi
prescelto questo santo in patrono di nostra città perché monaco
dell’Ordine cisterciense in Francia e perché in questo luogo appunto, ove sorse poi l’abitato, si volle per costante tradizione esservi stata una parte del bosco di Partinico, appellata di san Leonardo. Io per me lascio i lettori di arguirne il verosimile e della
fabrica della chiesa e del titolo ed elezione del santo patrono.
Certo è però che la chiesa ove si venerò e si venera oggigiorno il
san Leonardo si fu quella eretta al 1634, come sotto diremo, e in
cui è fondata la Compagnia del SS.mo Sacramento e che questa
Compagnia o sia union di fratelli si vide fiorire coetaneamente
colla erezion della Madrice, dietro l’elezione del primo arciprete
Lombardo, e in quella esercitar gli atti di cristiana pietà e
l’istituto di confrati (a), e si rimarca da un atto conchiuso
coll’arciprete e stipulato in notar Vincenzo Di Franco li 17 dicembre, 5 ind., 1606, in cui si enunciano i capitoli sin dal loro
principio, stabiliti pel di loro governo ed approvati da monsignor
Vescovo di Mazara, a 22 agosto, 4 ind., dello stesso anno.
Intiepidita la Compagnia anzidetta, dallo zelo dell’arciprete
Monte a rinvigorirla nuovamente nel 1611 si fé aggregare a quella della città di Palermo e di Roma, come si detegge dagli atti di
notar don Vincenzo Bellinvia, di detta capitale Palermo sul governo delli seguenti rettori, cioè: superiore Pietro Longo, congionto di man dritta, detto rev. arciprete don Vincenzo Monte e
congionto di sinistra Filippo Valenza, sendo state accordate precedente a detto anno 1606 da esso arciprete a detta Compagnia la
facoltà di esercitare in detta Madrice chiesa le di lei funzioni e
di aprirsi la sepoltura per seppellersi ivi i confrati, come ancora
si pratica. Il tutto rimarcasi dalla sopra visita fatta in questa da
137
mons. Marco La Cava, vescovo di Mazara a 13 maggio, 2 ind.,
1613.
Smembrossi indi la detta Compagnia dalla Madrice, l’anno 1634,
in cui i confrati, a proprie spese, alzarono e costrussero la chiesa, che titolarono e dedicarono a san Leonardo, e in essa esercitarono le pie funzioni e quanto ne’ capitoli si era stabilito, quale
chiesa
ed
oratorio
ossia
Compagnia
venne
visitata
dall’eminentissimo don Giovanni Domenico Spinola, cavaliere di
santa Cecilia e vescovo di Mazara a 12 ottobre del 1639, respingendo in essa gli doveri di essa Compagnia verso la Madrice
chiesa.
Alzato il campanile, si diè a 30 aprile del 1643, il partito da detta Compagnia a mastro Andrea Corso per costruire due campane,
stipolandosene l’atto in notar Franco Di Franco, quali poi si consegnarono partitario, per apoca in detto notaro a 10 luglio, 11
ind., di esso anno.
Nella visita dell’Ordinario di Mazara fra don Giovanni Lazàno a
16 febbraio 1660
(a) si come altri vogliono a l gennaio 1599
130
vennero approvati i capitoli di detto oratorio, che si annunziarono a 22 agosto, 4 ind., 1606.
In detta chiesa si convoca, nelle contingenze, il civico consiglio,
in essa si sollenizza il 6 novembre la festa del santo patrono, lo
stesso giorno, dopo pranzo, s’impone dai vocali soliti la meta
delle uve e si porta processionalmente per la città il simulacro
del santo preceduto dalle Compagnie, regolari e clero, giusta la
provvista ottenutane i confrati nel loro mandato o dispaccio della
cancelleria di Mazara li 20 maggio, 9 ind., 1671.
Nell’istessa chiesa si solennizza le 40 ore, ove nella Pasqua di
Resurrezione, co’ suoi sermoni, messa cantata e musica, suolea
ogni terza domenica esporsi il Divinissimo nella Madrice, in cui
portavasi processionalmene la Compagnia, per cibarsi del corpo
eucaristico ed indi ne seguia la condotta nella piazza. Il giovedì
santo la stessa si porta ad assistere in quella pel s. Sepolcro, presedendo i rettori alla bozzetta con Cristo e lumi e similmente il
sabato santo, domenica di Pasqua di Resurrezione ed il lunedì di
essa, in cui si celebra messa all’altare maggiore, in onore del nostro santo patrono, con panegirica orazione del predicatore quaresimalista. Tutto ciò si ricava dalla visita di mons. don Bartolomeo Castelli, vescovo di Mazara, l’anno 1697, e dalle visite
posteriori sino ad oggigiorno dal nostro Ordinario.
138
Intorno alle differenze imposte tra questa ven. chiesa e Compagnia alla Madrice chiesa, circa le scambievoli loro contratti e
obbligazioni, si può vedere il capitolo della fondazione di detta
Madrice e perentoriamente sotto il governo dell’arciprete Raccuglia, che stabilì l’ultima transazione per l’atti di mio padre, notar
don A. Domenico di Bartolomeo, li 14 novembre 1752.
Fé acquisto della chiesa ed oratorio di non picciole rendite annuali, sebbene il magiore si è quello dei piedi delle olive e loro
frutto annuale, nonché pezzetti di trazziere esistono nelle vie
pubbliche di questo Stato badiale e ciò dai di lui abati e commendatari, e sotto tal emolumento perenne si resero obligati i
rettori a contribuir le spese per ss.mo Viatico, feste ed ogni altro
alla Madrice, giusta le enunciate transazioni. Ciò si ricava dalla
provvista del rev.mo di Bruno, vicario generale della Gran Corte
vescovile di Mazara, apposto in dorso ad un memoriale dei rettori di detta chiesa e Compagnia, sotto li 19 agosto, 1 ind., 1648.
L’inveterato possessorio di suddetti piedi e frutti di ulivi e pezzetti contratti di vendita e relazioni di detto inserto presso gli atti di vari notaj di questa, cioè anticamente in detto notar Di
Franco
131
a 10 aprile, 2 ind., 1598, e più recentemente in notar Antonino
Saporito, a 27 settembre, 8 ind., 1744; 5 novembre, 8 ind., di esso anno; 8 settembre, 9 ind., 1745; 21 settembre, 2 ind., 1747; 8
ottobre dell’anno istesso; 23 settembre, 12 ind., 1748; 5 ottobre
di detto anno e 14 e 20 settembre, 14 ind. 1750.
In comprova che i confrati godono la facoltà di seppellirsi nella
di loro peculiar sepoltura, dentro della Madrice, allora nel coro,
oggi esistente nel mezzo di essa, dietro il di lei ingrandimento,
se ne legge un documento, stipolato da due confrati, rev. sac.
don Pasquale Rubino e sac. don Pietro Piro, appo gli atti di notar
Francesco Minaci, li 12 marzo, 2 ind., 1748.
La terza campana venne fusa, a proprie spese, dal confrate Giuseppe Terrana e si rileva dalla lapidetta marmorea esiste nella
sacristia, colla seguene iscrizione: questa venerabile Compagnia
ha obbligo celebrare due messe ad intenzione di Giuseppe Terrana dell’elemosina che perverrà dalla campana e che detto
comprò de’ suoi denari, quando sona a martoro, eccetto per i
fratelli, e non celebrando le dette messe la detta campana
l’acquisterà l’Opera Santa, come per contratto in notar Giovanni di Leone a dì 8 aprile 1696.
139
Capitolo III
Ven. Spedale dell’Infermi e sua chiesa ed aggregazione della
Compagnia dell’Immacolata Concezione.
Malgrado le usate diligenze, non può darsi epoca certa alla fondazione di cotesto spedale, attesa la mancaza degli antichi volumi di scrittura del di lui archivio. Non è però da revocarsi in dubio che se non nacque in tempo dell’arcipretura è di lei contemporaneo di poco, vale a dire presso il 1570 circa. Ecco come si
contesta ed arguisce da pubblici documenti, che ci sono avanzati.
Creditor lo spedale di Francesca Tituni, alias la Palerma, vedova
di Giovanni Antonio Tituni, la Palerma distrasse dal di lui potere
vari beni e fondi, tra i quali salma una di terreno in questa Partinico, sovra di cui si doveano di canone annuale e perpetuo onze
dieci e tarì venti a Francesco Manganella, utile domino di esso
fondo, che vennero accollate dallo spedale e, per esso, dal di lui
procuratore Fabrizio di Trapani, come dalla cedola ridotta agli
atti della Regia Corte Patrimoniale di Palermo, li 27 luglio, 15
ind., 1617, ed atto di possesso li 3 luglio di detto anno.
In seguito al detto possesso se ne ottenne per detto Di Trapani, a
nome di detto spedale al riferito Manganella la legal pre132
stazion del consenso, stipulata agli atti di notar Geronimo Capurato di Palermo, il dì 11 febbraio, 3 ind., 1620 ed in ventre di esso istromento, a maggior cautela del Manganella e suoi successori, per l’annua contribuzione di dette onze 10.20, il riferito venerabile spedale, oltre la general ipoteca de’ suoi beni e rendite,
espressamente ipotegò varie rendite annuali a lui spettanti per
diversi contratti, l’epoca dei quali ci porta alla cognizione della
di lui origine avuta precedentemente:
di onza 1 annuale dovuta al detto spedale per Giovanni e Candia
Rosella, iugali, per soggiogazione in notar Alfonso Cavarretta,
di Palermo, a 8 di marzo, 7 ind., 1578;
d’altra onza 1 annuale per Giuseppe e Isabella De Federico, jugali, per l’atti di notar Cavarretta, di Palermo, lo 1 febbraio, 11
ind., 1582,
più tarì 15 annuali dovuti per Giovanni Nunzia Paladino, per
contratto soggiogatorio in notar Giovanni Purpurgnano, di questa, a 9 marzo, 9 ind., 1594,
d’altra onza 1 annuale dovuta a detto spedale per Giuseppe e
Giulia d’Orlando, jugali, per contratto in notar Ottavio Cannella,
di questa, il dì 11 novembre, 12 ind., 1598,
140
oltre non pochi altri istromenti publici che si enunciano nei primi del seguente secolo e pria di detto anno 1620.
Quel che però di certo ci rimane dalla tradizione si è che tale pia
opera fu promossa, istituita e fondata dalla pietà de’ fedeli donatori e testatori, fra’ quali costantemene si vuole il maggiore, il
prelodato Fabrizio Di Trapani, uomo molto dovizioso, e parecchie scritture par che cel dassero a divedére.
L’amministrazione poi dello rendale ed effetti, nonché la cura
degli malati, coteste è da credersi che ne’ primi tempi la tennero
i benefattori, senza veruna elezione dell’Ordinario. Tanto è ciò
vero quanto dall’eminentissimo cardinale del titolo di santa Cecilia, rev.mo don Giovanni Domo Spinola, vescovo di Mazara, in
discorso di sua sagra visita in questa, il dì 15 ottobre, 8 ind.,
1639, si trovò cotesto inconveniente, cioè che l’albergo degli infermi suddetto mancava di rettori legittimi, onde provvide di essi
il medesimo, creando il dottor in medicina Vincenzo Caruesicca,
il sac. don Gerolamo Lo Presti e Pietro Lo Re, soggetti probi, pii
e benestanti, e per depositario Giovan Pietro Toledo, e tutti a
beneplacito di suddetto eminentissimo cardinale, come il tutto si
rileva da un atto firmato da mons. don Giuseppe Lumia, vicario
generale della gran Corte vescovile di Mazara detto giorno, che
per sorte originalmente conservasi nel vol. I di scrittura, a f. 36.
Forma l’albergo un camerone, per uso degli uomini infermi e due
ben grandi camere per le femmine malate, distintamente l’un
dall’altre separati, serviti tutti dall’infermieri rispettivi
133
giusta il loro sesso, oltre la sovrintendenza diaria di un reverendo sacerdote stipendiato dall’Opera, che altresì fa da cappellano
ordinario, amministrando i sacramenti e assistendo a ben morire
gli infermi.
L’amminisrazione del tutto e la elezione de’ rettori, ufficiali e
detentoria ne’ tempi andati risiedè nell’Ordinario, indi nel Giudice locale, sino al 1799, e dal 1800 a questa parte a mani della
regia Intendenza.
Lo rendale di lordo di suddetto spedale si fa ascendere ad onze
185.19.9.4, da cui, scemati gli oneri e salari in onze 81.19.3 annuali avvanza all’anno per li malati la somma di onze 104.0.6.4.
Avvi la chiesa sotto titolo dello Spirito Santo, per uniformarsi
alla pia testamentaria disposizione dell’infrascritto di Manganella benefattore. In essa, a man sinistra e accanto la sacristia vi è
la cappella di Maria SS.ma Immacolata, espressa in vaghissimo
simulacro di legname, dinanzi cui ogni anno vi si celebrano li n.
12 sabati solenni, con messa cantata, sermone ed esposizione del
Divinissimo, e poi, nell’anno che le spetta, alli 8 dicembre, si
141
solennizza sfarzosamente la festa nella più devota e splendida
guisa, non inferiore alla capitale, che poi chiude con numerosa e
decente condotta del simulacro per la città nell’ultima festiva
gioia.
Gode l’altare maggiore, dedicato all’augustissimo Spirito Santo,
di onze 12 annue per la celebrazione di una messa al giorno, disposta da detto don Francesco Manganella nel suo testamento, in
notar Pietro Paolo Pontifici di Palermo, il dì 29 novembre, 13
ind., 1629, e ciò da un rev. cappellano celebrante, di pia vita,
fama e costumi, eligendo dal di lui erede universale, che ne fu
istituito il ven convento della ss.ma Nunziata della Zisa, fuori le
mura della città di Palermo e, per esso, dal di lui padre priore e
ben anco da governatore e un congionto della ven. Congregazione de’ Peccatori ripentiti, allora esistente nel ven. convento di s.
Agostino di detta capitale, e pagabile detto legato di onze 12 sopra le onze 75 annuali di rendita dovute a detto testatore di
Manganella dal Senato palermitano di due contratti soggiogatori,
agli atti di notar Francesco Panitteri, di detta città il dì 27 maggio, 8 ind., 1625 e dì 12 febbraio, 12 ind., 1629.
In essa chiesa sacramentale, ogni dì si fa la santa benedizione
del Divinissimo ivi perenne, ogni anno il santo Sepolcro e la risurrezione il sabato santo.
Sul cominciar del 1700, per un armonica convenzione, vi si aggregò a detta chiesa dello spedale e vi s’istituì la Compagnia di
Maria SS.ma Immacolata, prelodata di sopra, e ciò sul governo
dell’Ordinario monsignor vescovo di Mazara, don Bartolomeo
Castelli, da cui furono approvati i capitoli, presentati e disposti
dal Superiore e congionti, in discorso di sua sagra visita detto
anno.
134
Nell’anno poi 1703 e sotto li 23 maggio, per gli atti di notar don
Gaspare Bellomo, di questa, dai rettori dello spedale suddetto si
concesse al superiore e congionti della mentovata Compagnia il
terreno in detta chiesa, per edificarsi la di sopra riferita cappella,
ove situarsi e venerarsi il sagro simulacro della Signora, che pria
serbavasi nella sacristia ed esponevasi la di lei festa su’ l’altare
maggiore, si accordò similmente la potestà di scavarsi la sepoltura innanzi detta cappella, per sotterrarvisi gli confrati, e finalmente l’ampia e general facoltà di ufficiare e solennizzare in
detta chiesa a lor proprie spese e ben anco avvalersi della sacristia. Siccome del pari e intuitivamente alle dette potestà, la
Compagnia sborsò in contanti onze 50 ai rettori di detto spedale,
per erogarle tanto nell’erezione e costruzione decente della sa142
cristia che di un nuovo infermitoio, in uso de’ malati e finalmente ristorare la facciata allora cadente di detta chiesa.
Posteriormente a detta concessione e nel 1751, per altro istromento in notar Antonino Saporito, di questa, il dì 26 dicembre,
si accordò da detto spedale e a detta Compagnia altro pezzo di
terreno in detta chiesa, per altra sepoltura, onde interrarsi le mogli di suddetti confrati.
Mossa da zelo, la detta Compagnia e maggiormente promuovere
il culto divino a vantaggio de’ fedeli e gloria dell’Altissimo
nonché a veder più culta la chiesa, si opinò di concerto ai rettori
di detto spedale, di fondarsi l’Opera dell’Agonia, quale venne
approvata, a 4 settembre 1776, dalla gran Corte vescoval di Mazara e dal suo vicario generale degente in Palermo. E, volendo
decorar la chiesa del campanile e campane, di cui era manchevole, supplicandosi la Corte suddetta, se ne ottenne da lei la licenza, erigendosi detto campanile su la facciata della chiesa, con
due sonore campane, per le quali vi si erogarono onze 130, il
suono delle quali poi, da parte degli rettori dello spedale si pretese impedire pel disturbo apportava agli infermi. E di fatti se ne
istituì in detta gran Corte il giudizio formale, che poi, ad ovviarsi le spese, chiesto informo da mons. Maccajone, vicario generale in Mazara, al rev. dottor don Michele Marocco, di questa,
questi opinò consultare di restare il campanle e campane in decoro della patria e chiesa e per li altri mottivi addotti nel di lui
ben lungo consulto ed informo, firmato li 15 giugno 1778, dietro
di cui dal riferito mons. Maccajone col voto dell’Assessore
135
fu resoluto l’affare a pro’ di detta Compagnia per la permanenza
del campanile e campane, e ciò in forza di sentenza data in Mazara sotto il dì 25 agosto d’esso anno 1778.
Oggi però la detta Opera dell’Agonia in detta chiesa resta abolita
né di più vi officia, come solea, coll’esposizione del Divinissimo
nell’agonia degli ascritti alla stessa. Ma, i revv. preti della medesima siegono ciò non ostante il loro istituto di assistere a ben
morire i fedeli dì e notte, che trovansi arrollati all’Opera e corrispondono alla stessa grani uno a settimana a famiglia, per sostegni de’ soldi dei Padri e bidelli.
Vestono i confrati a sacco di tela fina bianca, con orlo di fettuccia celeste agli estremi e portanti una medaglia di argento, rappresentante l’Immacolata Signora.
Ma siccome pria della fondazione di cotesta Compagnia ed erezione del simulacro suddetto, solea per divozione la chiesa di
san Francesco solennizzar la festa dell’immacolato concepimento e far la condotta del proprio simulacro, nacque così della sa143
gra gara ed emulazione, che poi degenerò in invidia e contense
tra amendue le Compagnie, con scandalo e disturbo de’ fedeli,
attrasso del divino culto e dispendio delle medesime, sino ad inoltrarsi di contenderla con armi e in giudizio, per la qualcosa
poi, coll’opera de’ pii e savi soggetti patriotti, si divenne finalmente ad una buonaria concordia, stabilendosi di solennizzarsi la
fesa alternativamente ogni anno l’una di dette Compagnie, vale a
dire nell’anno paro quella del ven. spedale e nell’anno sparo
l’altra di san Francesco, potendo in tal anno altresì ognuna delle
Compagnie celebrare anche la condotta del sagro simulacro. Pur
ciò non di meno, i sabati si solennizzan mai sempre dallo spedale e, quando tocca a lui la festività, cotesta riesce e più devota e
più gaia e tenerissima da dopo la mezzanotte sino al giorno seguente.
Capitolo IV
Ven. Chiesa di San Francesco ed Opera del Purgatorio
Riconosce la sua fondazione cotesta chiesa dalla cristiana pietà
di Pietro Viola, mastro Vincenzo Di Franco e Ferdinando Lagudi, superiori, che ottennero da Mario Gambacorta, domino utile,
la assegnazione di un pezzo di terreno nel di cui luogo
dell’istesso nome in questa sotto la piazza e nella fine
dell’abitato, per contratto agli atti di notar Giuseppe Foscuni di
Palermo, il dì 26 maggio 1611.
136
Onde, al 1613, dai confrati della chiesa di s. Francesco, a proprie
spese, fu costrutto l’oratorio ed eretta la Compagnia su l’istituto
del serafico santo ed aggregata alla religion cappuccina da fra
Paolo da Cesena, generale dell’Ordine, regnando il santo Padre
Urbano V, e ciò sotto li 8 aprile del 1614, come altresì da altri
generali susseguenti nel 1619, 1636 e 1645.
Vanta dessa vari legati, assegnazioni e donazioni da parecchi fedeli, a segno ché va con le migliori chiese della città, possedendo altresì salme 4.0.3 terre con vigneti nel nostro fondo baziale,
oltre a non poche case date a censo. Il primiero benefattore fu
Paolo Anello, per scheda testamentaria, a 26 gennaio, 12 ind.,
1614 e il rev.mo arciprete Monte.
Nel 1618 si presentarono i capitoli di essa Compagnia, che poi
vennero confermati la prima volta da monsignor vicario generale
di Mazara, don Francesco de Vascerus, in discorso di sagra visita in questa li 15 agosto, 11 ind., 1623.
144
L’Opera del Purgatorio vennesi ad aggregare a detta chiesa e
Compagnia di san Francesco, giusta il breve apostolico in data
de’ 28 maggio 1633. E quest’Opera poi aggregossi a quella di
san Matteo nel Cassare di Palermo, per lettere delli 15 settembre
1655 e lettere osservatoriali, spedite dalla gran Corte vescovile
di Mazara, sotto li 22 febbraio, 10 ind., 1657.
Godé quest’Oratorio per ben sett’anni l’onore della Madrice
chiesa, dal 1640 a tutto il 1646, quanto durò la fabrica di quella,
funzionando e facendo le di lei veci.
Nell’anno 1660, abolito poi da detta Compagnia detto Oratorio,
si ridusse in magazino e due casette, ritenendo la denominazione
di San Francesco Lo Vecchio, quali indi, nel 1738, vennero dalla
Compagnia anzidetta concessi a censo a’ falegnami e bottai, per
l’atti di notar Antonino Rosario Greco, per fabbricarvi una chiesa, che adesso esiste, in onore del glorioso patriarca San Giuseppe e ciò sotto li … (sic)
. Pensando ad erigere l’attual chiesa
avvi in essa chiesa la cappella del glorioso vescovo s. Eligio, in
di cui onore in agosto se gli celebra la festa e il dopo pranzo vi è
la rinomata corsa dei barberi, che può dirsi la prima della città.
Finalmente, su’ li 11 gennaio, 14 ind., 1746 si unì a detta chiesa
l’Opera della prima messa mattutina pria dell’aurora, per opera e
zelo e alquanto propri beni del pissimo maestro Domenico Ragona che, sua vita durante, ne sostenne l’amministrazione e direzione, come si rileva dal decreto in sagra visita di mons. Vescovo di
137
Mazara, a 10 novembre del 1747 e dietro la sua morte don Pietro
Ragona, di lui figlio, per atto di elezione sotto li 28 ottobre
1777, presentato in questa corte foranea li 29 dell’istesso mese,
siccome dietro la morte del medesimo, oggi ne tien la cura don
Antonino Ragona, altro figlio del detto fondatore mastro Domenico.
Governando lo spirituale di detta chiesa il rev. dottor don Sebastiano Ragona, in qualità di cappellano ordinario, che la resse
egregiamente per ben 43 anni, finché ne morì nel 1803, lasciandovi ottimi sacri arredi e velluti d’apparare, ne ottenne la perenne permanenza in essa del Divinissimo, rendendola con ciò sacramentale qual è, e ciò con brieve apostolico de’ 22 setembre
1789 ed atto di contentamento fattone l’arciprete dottor don Pietro Perrone in notar don Michele Mancuso, sotto il 1 novembre
di esso anno.
145
Capitolo V
Venerabile convento e chiesa dei Cappuccini
La più antica comunita de’ regolari che abbia avuta la città nostra si è quella de’ reverendi padri Cappuccini, dell’Ordine del
serafico Padre san Francesco, quello stesso Ordine che ebbe origine dal Servo di Dio Matteo da Bassi, nella marca anconitana,
nella città di Camerino, sotto il papa Clemente Settimo, l’anno
1525, secondo rapporta il ven. padre fra Paolo Morigia, milanese, nella sua storia delle religioni, a foglio 160 e 274. Tutta
l’obbligazione di tal pia Opera tuttora meritamente dee attribuirsi allo zelo e dovizia del non abbastanza commendabile Fabrizio
di Trapani, cristianissimo gentiluomo palermitano. Scevro costui
e lontano d’ogni umana vanità e dal riportarne dei rapidi lampi
di fugaci terrene lodi, ma tutto per Dio e senza l’ambizione di
lasciarne a posteri l’ammirare della sua magnanimità, senza
scrittura alcuna, graziosamente concesse o piuttosto donò al nostro convento in perpetuo, nel 1617 salma una e tumeni due circa
di terreno, di maggior quantità possedeva qual uno degli enfiteuti di questa regia Abbazia, e ciò all’oggetto di quello avvalersene, cioè in quanto a tumeni otto per erigersi in esso la chiesa,
convento e villa, e li restanti tumeni dieci per lasciarsi vuoto e
formarsene una pianura, onde si rendesse quel chiostro segregato
dal consorzio e civica abitazione, a seconda gli istituti della sua
religione. Né di ciò contentossi il Di Trapani, ma co’ propri suoi
denari
138
ed incitato dal suo fervente zelo, in men di tre anni, fé il tutto
erigere e perfezionare. Talmenteché, nel 1619, se ne ammirò, a
gloria di Dio, la vasta rispettabile mole toccare il segno e la meta (che non può la grazia quando alligna in un cuore cattolico!),
ciò si rimarca da un marmoreo monumento che debitamente poi
la gratitudine cappuccina appose, per intelligenza de’ posteri,
su’ la porteria, ad onorarne il fondatore, in cui incisa si legge la
seguente iscrizione, che guastata dalle ingiurie del tempo, si fé
rinnovare dalla diligenza del molto rev. padre Luigi da Partinico;
D(eo) O(ptimo) M(aximo)
Anno Domini MDCXIX, Angelorum Imperatrici
beatissimo seraphico Francisco, Fabritius Trapa
ni Phanormitanus templum hoc erexit, adorna
vit, dicavit coenobium cappuccinorum familiare
construxit, instruxit, opere suo, nihil non suis labo
146
re, cura impendit, visitur 82
A maggior cautela del convento, dopo anni 22 dalla di lui fondazione, l’accuratezza del padre guardiano, fra Antonino di Palermo ne procurò providamente del suddetto terreno la corrispondente concessione, ossia prestazion di consenso, gratuita e
senza canone alcuno, dal rev.mo don Andrea Massa, procuratore
generale della serenissima arciduchessa donna Claudia di Austria, madre tutrice e libera amministratrice del serenissimo don
Sigismondo, figlio, qual Abbate e perpetuo Commendatore di
nostra real Abbazia, e ciò con solenne atto rogato da notar Melchiorre Montalbano di Palermo, addì 14 maggio, 7 ind., 1639.
Dalla pietà ancora del prelodato rev.mo di Massa, qual procuratore anzidetto, oltre fu fatta graziosa perpetua concessione enfiteutica in favore del rev. padre guardiano di quel tempo, fra Agostino da Palermo, di denari quattro d’acqua dalle sorgive
dell’acque dell’Abbazia, da rinvenirsi da detto padre guardiano
sopra la testa dell’acqua della nostra città, allora terra, a condizione che se fosse più di denari 10 allora s’intenda per denari
sei, e questo a uso e comodo del convento, stipolandosene l’atto
in notar don Francesco De Franchi li 10 giugno, 13 ind., 1645.
Dagli atti poi di notar Francesco Maria Minaci si rilieva essere
stata al convento donata d’Anna Furia, erede di Epifanio Impastato, altra quantità d’acqua dalle sorgenti del di lui luogo di
Ramo, cioè denari quattro per li mesi di giugno, luglio e agosto,
e per li restanti mesi dell’anno denari sei, sulla condizione
139
di doversi il convento acconciar la saetta e raccorne tutta la
quantità che scorre dal capo onde scaturisce e condurla in essa
saetta sulla caducità di essa donazione, come dalla medesima in
data de’ 12 aprile 1725.
L’anno 1752, a 29 agosto, il monastero di San Martino delle Scale di Palermo concesse a censo ai revv. padri Cappuccini, pel canone di due messe all’anno, un rivolo piccolo d’acqua, col terreno pell’acquedotto della medesima, quell’istessa acqua che sorge
dal territorio del Borgetto e dal luogo grande di Ramo, con facoltà di cavare una canna sotto ed altra sopra dell’origine ove
scaturisce e poterle fare una cupola, catusato e altre cose attinenti a poter condurre le suddetta acqua il dì appunto di San Francesco. Vedasi il contratto detto in notar don Giuseppe Di Lorenzo.
82
Nel 1619 Fabrizio Trapani, palermitano, in onore dell’imperatrice degli Angeli
e del beatissimo serafico Francesco, eresse questo tempio, lo adornò, costruì
il cenobio per l’ordine dei cappuccini, lo strutturò personalmente non senza
sua fatica e cura.
147
Frattanto, malgrado la sufficiente acqua che gode, dovrebbero la
cucina, orto, villetta e beviera ossia gebbia interni in esso convento abbondare anziché patirne l’attrasso e scarseggiarla con
penuria ne’ sei mesi estivi e autunnali sino a gennaio, a cagion
dell’appropriazione se ne fa la baronessa donna Maria Assunta
Puccio e Raccuglia, a comodo ed utile della di lei casina e giardino denominati di Gambacurta, prossimi al corso di suddetta
acqua e alla nostra città, a carico di cui la povertà e condizione
de’ frati non ha potuto contenderne la indebita percezione e ciò
non ostante l’incoato giudizio de spolio a 6 luglio del 1783.
Gode ciò nullostante il convento di un cristallino perenne corso,
donde attigne dell’acqua e con ciò ne corregge in parte e rimpiazza la mancanza.
A fiancheggiar di cautela la pacifica possessione ed acquisto di
suddetto convento, chiesa e terreno con quanto vi esiste, nel
1661, a dì 19 gennaio, si munì il convento delle solite lettere
possessorie, sotto il governo dell’imperator de’ Romani Carlo,
Re delle Spagne e di Sicilia e del di lui viceregnante Conte di
Ayala e che in seguito, a 25 novembre del 1722, se ne ottenne
patrimoniale dispaccio in triduo, continente le lettere osservatoriali di quelle emanatesi al 1661, che vennero in questa eseguite
e registrate dal Castellano di quei tempi, notar don Francesco
Maria Minaci, a 14 dicembre suddetto.
L’odierna biblioteca fu tolta dall’antico men comodo sito e eretta ove si vede al presente colla sua loggetta, dalla cura del molto
reverendo padre Urbano da Monreale. Va’ dessa proveduta da
140
pochi, ma scelti volumi, de’ migliori autori, mercé l’industria ed
applicazione di vari religiosi e divoti letterati. Ebbe la di lei
fondazione verisimilmente contemporanea alla fabbrica della sepoltura, che sorge accanto la chiesa, da parte di libeccio, sin
dall’anno 1737, sotto il governo del guardiano padre Placido da
Monreale e che fu edificata da fra Giuseppe da Termine e fra
Leone da Poggioreale, in termine d’anno uno. In essa vi si sotterrano delle più ragguardevoli famiglie, in buona parte in casse
pittate, pel divoto attaccamento al sacro luogo e per la decente
struttura della medesima e nel dì d’Ognissanti al vespro e de’ difonti vi concorre la pietà de’ fedeli a suffragarne quelle anime,
ammirandosene la funebre religiosa pompa de’ doppieri e lampane accese in gran copia in tutta la di lei estensione ed altare.
In una relazione redattasi l’anno 1758, il dì 23 di gennaro, presso gli atti dell’attuario del Tribunale della regia Gran Corte civile qui degente, don Vincenzo Bonarrigo, riferisce il perito agrimensore Vincenzo Tantilio, che, misurate le terre tutte di spet148
tanza del convento colla solita corda di canne 18.2, trovolle in
salme 1.1, cioè il circuito della sepoltura, convento, chiesa, orto
e giardino in salme 9 e la pianura verso sirocco dinanzi la chiesa
salme 8, dedotte le strade pubbliche dall’antica punta di Bisaccia
e quella della vecchia calcara, siccome l’altra che porta ai molini
dell’Abbazia.
Questo convento e famiglia, reggendo da guardiano il molto rev.
padre Michelangelo da Partinico, venne visitato dal padre generale Erardo da Radkerspurgo, il dì 12 dicembre 1777, e ricevuto
con divozione e onorificenza dal clero secolare e regolare, da ceto civile e maestranza e dal popolo tutto incontrato, con controsegni di special riverenza, nutrendosi da nostri abitanti sempre il
singolare affetto per tale sagro istituto.
Il parterra, ossia terrazzo rimpetto la marina di San Cataldo, fu
invenzione ed opera del dignissimo rev. Giacinto da Palermo, allora, al 1779, guardiano di questo convento, a lecito diporto e ricreazione de’ frati, nonché de’ devoti.
Ne va’ la chiesa disposta nella solita gujsa che si vedono l’altre
chiese de’ Cappuccini. Si contengono in essa quattro cappelle,
adorne di sagre immagini ed altari, oltre il maggiore, che conserva il Divinissimo e vi si venera la Vergine SS.ma degli Angioli (a seconda la voltontà e divozione del fondator Trapani e
analoga alla suddetta lapidaria iscrizione). Sotto il suddetto altare
141
va’ situato decentemente il venerabile corpo del martire san Benedetto, dono ottenuto per divozione del citato rev. p. Luigi da
Partinico, allor guardiano di nostro convento, dal cardinale eminentissimo Guglielmo Pallotta di Macerata, regnando pontefice
Pio VI, di felice memoria, pria appellato Giovanangelo Braschi,
alli 8 maggio del 1786.
Non vi è funzion chiesiastica che non si esercita da questi esemplari frati. Le maggiori solennità sono appunto li 4 ottobre, festa
del loro serafico istitutore; li 25 marzo di Maria SS.ma Annunziata, a spese dei nostri giardinieri e ortolani; li 19 marzo del patriarca san Giuseppe, nel corso della carriera quaresimale e 29
settembre del Principe delle celesti milizie san Michele,
l’arcangelo, a parte già della sontuosa e divota delli 2 agosto,
detta la Porziuncola, in cui religiosamente concorre la città tutta
per l’acquisto della plenaria indulgenza toties quoties visitandola, nonché le vicine terre del Borgetto, Valguarnera, Cinisi, Favarotta, Montelepre e Giardinelli, quali mancano di siffatte chiese francescane, cui è addetta e fu concessa la riferita indulgenza.
149
Conservansi in detta chiesa, rimpetto alla sepoltura, le ceneri del
sempre degno più che patriotta illustre marchese di Granmontagna, Vincenzo del Castillo, chiuse in urna con medaglia marmoria erettagli i suoi riconoscenti eredi continente l’infrascritto epitaffio:
D(eo) O(ptimo) M(aximo)
Vincentius del Castillo, marchio Magnae Montaneae, divi Georgii baro, ex Messanae patritiis atque regius eiusdem Magister
portulanus, genere haud minus quam ingenio, sed multo pietate
praestantior, mirum posteritati monumentum cessit anno
MDCCLXXV, die 17 januarii 83
Fra le altre regali grazie onde venne ricolma la città nostra,
coll’accesso dell’amabilissimo nostro Sovrano Ferdinando (Dio
guardi), la prima volta, nella novena del s. Natale del Signore,
l’anno 1799, non ne andò esente il nostro convento, venendo
desso onorato e visitato altresì dalla pietà di sì augusto monarca,
abbassandosi a segno di visitare il religioso padre Nicola da Partinico, sin dentro la di lui cella ove gemeva, voglioso di adorare
il suo padrone non più conosciuto ed impossibilitato di prostrarsegli, a cagion del morbo da cui veniva inchiodato. Consologli il
Re benignissimo e da padre piuttosto che da sovrano, deponendo
la maestà per alquanti minuti d’ora seco si trattenne gioviale
142
confortandolo e incoragendolo alla pazienza ed uniformità al divino volere e dandogli a baciare la regal destra. Si portò pure in
chiesa, in cui adorò il Divinissimo sacramentato, da cui ricevé
con edificazione del popolo che lo seguiva la divina benedizione
e passò finalmente a diporto ne’ sottoposti molini della bazia.
Soprafatti di tanto sovrano onore gli frati, a perenne loro riconoscenza e memoria, ferono incidere una tanto segnalata grazia in
un marmo che oggi si vede affisso su la porteria (ov’era prima la
sudetta tabella del fondatore, la quale venne altrove situata in
convento).
La iscrizione che quella porta eccola appresso:
Ferdinando III Siciliarum regi clementissimo
coenobium hoc, sacram aedem, solarium et
fratrem usque aegrotantem in cella X kal. Ja
nuarii 1799 perscrutanti, ad immortalem beni
83
Vincennzo del Castello, marchese di Gran Montagna, barone di San Giorgio, patrizio
messinese e regio Maestro portulano della stessa città, eccellente per nobiltà non meno che
per ingegno, ma molto più per pietà lasciò questo meraviglioso monumento alla posterità il
17 gennaio 1775.
150
gnitatis memoriam,
lapidem hunc, licet exiguum
humilis cappuccinorum familia D.D.D ( Dedicavit ) 84
Capitolo VI
Ven. chiesa di santo Rocco, ovvero convento e chiesa del Carmine
Gemente e paurosa di non soggiacere come tant’altre città del
Regno al pestilento contagio di cui veniva minacciata nel 1624,
la nostra popolazione si dié co’ voti più fervidi a ricorrere alla
protezione del glorioso santo Rocco, promettendogli, ottenuta la
grazia, di edificargli a di lui onore, una chiesa.
Esauditi appieno gli prieghi, dié principio in detto anno la divozion de’ supplicanti all’edifizio della chiesa, in un terreno concessogli il procuratore generale dell’em.mo cardinale don Scipione Burghesio, commendatore di nostra Abbazia, in forza
d’atto in notar Luca Scoderi, e ciò in quel luogo appunto ove oggigiorno s’innalza questo convento dei padri carmelitani. Fondata avendo in essa chiesa una Congregazione in onore del santo
prelodato, di cui ogni anno celebravasi la festa, terminando con
la condotta del simulacro del medesimo. E ciò sino al 1732.
143
Impotente la Congregazione di perfezionar con decenza la detta
chiesa, nonché quella manutenere del necessario al culto divino,
coll’occasione della santa missione portata in questa l’anno 1633
dal rev. padre maestro Bonaventura La Rocca e rev. padre maestro Giovanni Stefano Cuculla, provinciale dei carmelitani e della provincia di sant’Angelo, giudicarono espediente Giuseppe
Guitto, prefetto, ed un altro fratello di detta Congregazione, a
nome della stessa e perpetuamente, rinunziare e cedere a quei
rev. padri maestri carmelitani missionari la predetta imperfezionata chiesa ossia oratorio, stipolandone l’atto corrispondente
presso detto notar Scoderi, li 27 febbraio di detto anno,
coll’obbligo di conservarvisi sempre culto l’altare di santo Rocco, solennizzarvi la festa a 16 di agosto di ogni anno, farvi la
procession della bara col simulacro del santo, associata da padri
84
L’umile famiglia dei cappuccini dedicò a Ferdinando III, clementissimo re di
Sicilia, questa lapide, anche se piccola, a ricordo imperituro della visita di
questo cenobio, di questa sacra dimora, dell’infermeria e perfino di un frate lì
ammalato in cella, il 23 dicembre 1799
151
carmelitani ed altre convenzioni che si pattuirono in corpo di
detto stromento.
Ma non potendosi la detta chiesa né tampoco da detti revv. Padri
perfezionare e manutenere, perché sprovveduti del bisognevole
patrimonio, ancor quando vi aggregassero la fondazion di un
convento del loro Ordine, giusta il zelante desiderio dei medesimi e della popolazione, opinarono a proposito di concerto imporsi una volontaria gabella di grano uno a rotolo sopra la vendita
della carne bovina, porcina, pecorina e di ogni altra sorta, che in
questa si macellasse per così ottenersi il bramato fine istituirsi
quest’altra comunità regolare nel paese ad onor e gloria di Dio e
a profitto spirituale dell’anime.
Avvanzossi quindi dal popolo, regnando Filippo V felicemente al
governo di Sicilia e per esso al Viceré Duca Alcalà, spagnolo,
degente in Palermo, il corrispondente ricorso, che venne l’ultimo
di agosto, 2 ind., del 1634, decreto di dovesi tenere conseglio
sull’assonto, di che in seguito se ne sciolse, per la via del Consesso Patrimoniale, a 7 settembre di esso anno, il formale dispaccio, che venne eseguito e registrato in questa li 16 settembre
3 ind., dell’anno stesso dal magnifico don Pietro Di Franco, castellano e capitan d’armi e dal di lui maestro notaro don Luca
notar Scoderi.
Congregatosi il civico conseglio nella rev. madre chiesa, sotto
l’arcipretura allora del rev. don Vincenzo Monte, al suono della
campana grande, v’intervennero ivi n. 104 individui, compresi
detto rev.mo arciprete, nonché il rev. Vicario foraneo don Marco
Montalbano, detto magnifico Di Franco e gli deputati annonari
che stavano in quei tempi in loco di giurati, col voto comune,
nessun discrepante, si con144
chiuse e stabilì solennemente il dì 17 settembre, 3 ind., del riferito anno 1634 d’imporsi a questo pubblico la domandata gabella
del grano uno a rotolo sopra la carne, affin di applicarsi e assegnarsi, mentre sarà di bisogno, per la fabbrica di detta chiesa di
santo Rocco in questa terra e convento dell’Ordine de’ Carmelitani ed in essa e vicino essa da fondarsi, e poi in sussidio per il
manutenimento de’ di lui fratelli, da commorarvi colla clausola e
condizione che sempre di continuo, in ogni futuro tempo, stassero ed abitassero almeno quattro revv. Padri carmelitani, due de’
quali almeno confessori, quali ed altri oltre fratelli dovessero assistere e fossero tenuti, in detta chiesa e convento, confessar i
fedeli e amministrar i santi sacramenti, e mancandosi a tanto
cessar la detta gabella ed estinguersi pel tempo avvenire e si abbia per non imposta, come meglio dall’atto ridotto presso
152
l’officio di detto notaro di Scoderi, detto giorno 17 settembre, 3
ind., 1634.
Con lettere responsali di detta nostra Corte, firmate li 22 di detto
mese di settembre, fu trasmesso l’atto del succitato Conseglio al
Governo, per la via di detto Tribunale del Real Patrimonio, in
seguito di che dal medesimo venne ad approvarsi, con dispaccio
firmato da Sua Eccellenza il duca d’Alcalà e dai ministri tutti di
detta regia Camera, li 3 ottobre di detto anno, 3 ind., 1634.
Ciò posto e assicurato suddetto patrimonio onde sossistersi detto
convento e chiesa, si ottenne la debita licenza ed approvazione
di fondarsi quelli in detta chiesa di santo Rocco, accettandosi in
grangia del ven. convento di san Nicola di Palermo, nel piano
de’ Bologni, dell’istesso Ordine carmelitano, e ciò dal rev. governatore e vicario generale di Mazara, abbate don Rocco Pirri,
in corso di sacra visita, tenuta in Alcamo, li 4 ottobre dell’anno
stesso, 3 ind., 1634, coll’autentica a pié di don Andrea di Girolamo, regio notaro della città di Mazara, il dì 28 novembre, 12
ind., 1663, ottenendosi ancora da parte del padre Provinciale dei
Carmelitani la conferma della erezione dell’anzidetto convento
dal rev.mo p. Generale dell’Ordine, degente in Roma, con di lui
lettere in data delli 12 maggio 1636, intraprendendosi da indi in
poi, sino al 1641, la perfezione di detta chiesa ed altari, the, cupola e coro in prospetto l’altar maggiore, nonché di un picciolo
campanile e similmente la fabbrica del sontuoso convento nella
struttura appunto che oggi si ammira, col di lui atrio, colonnato e
quanto di bello e comodo vi si comprende.
145
Ad ovviarsi le frodi de’ macellai ottenne il convento dal governo sotto il serenissimo Sigismondo d’Austria, Viceré del Regno
di Napoli e capitano generale in questo Regno di Sicilia, dispaccio diretto al capitan d’armi e deputati di annona di questa,
d’ingionger quelli a non macellar bestiame senza la presenza
d’uno dei padri carmelitani o persona da loro designata, e questo
in Palermo, li 29 agosto 1641. Come del pari lettere osservatoriali per la contribuzione di detto grano uno a rotolo di carne ed
assistenza al peso di essa di un fratello carmelitano dal Senato di
Palermo, sotto pena di onze 100, li 5 settembre, 8 ind., 1654,
presentate ed eseguite in questa da don Martino Montalbano, castellano, li 10 dello stesso mese.
Pretese il capitan d’armi e guerra esentarsi dalla contribuzione di
detta gabella, come ministro principal del paese, ma non vennegli menata buona la domanda, anzi fu obbligato, con tutti gli altri ed esclusi soltanto gli chiesiastici e padri di duodeci figli,
153
come da un dispaccio patrimoniale, dato in Palermo li 17 ottobre
1687.
Altresì da parte dell’abbate commendatore si pretese a carico del
convento, su l’aspetto di zelo, di esentar il pubblico di suddetta
gabella abolendo la stessa, ma, atteso l’ottimo dritto del convento, fu a quegli denegata l’udienza, non solo, ma ancora, con serio
dispaccio del 4 ottobre 1705, confermato il Conseglio e la imposizione di detto grano 1 di gabella relativa al medesimo.
Nuovamente dal capitan d’armi, don Gregorio Castelli, si riprodusse la pretesa di esentarsi quel ministro dalla detta contribuzione e del pari se gli denegò la domanda con dispaccio patrimoniale de’ 4 febbraio 1723.
Per un ricorso avvanzato alla Maestà del nostro Re Ferdinando 3
dal rev.mo arciprete Perrone, clero e popolo tutto, al 1771, probante la dovizia già godeva il convento ed il pingue di lui patrimonio costituitovi la pietà di non pochi testatori, siccome
l’urgente necessità del popolo d’ingrandirsi la Madrice, si pretese trasferirsi e applicarsi detto grano 1 di gabella di carne in benefizio della chiesa madre suddetta e torsi al detto ven. convento. Fu tale affare dal giustissimo Sovrano rimesso alla legal cognizione dell’ill.mo don Diodato Targiani, consultor del Governo e regio amministratore di quesa regia Abbazia, da cui fu consultato in pro’ della Madrice, motivo per cui dal prelodato Regnante, con suo biglietto delli 31 agosto 1771, dato in Napoli e
diretto al Targiani per la di lui esecuzione venne detto grano 1 di
gabella assegnato alla madre chiesa per erogarsi in di lei ingrandimento ed indi restare in patrimonio della medesima.
Gravatosene di ciò il convento, umiliò le sue suppliche al real
trono, da cui, con biglietto de’ 31 maggio 1777 diretto al consesso patrimoniale in Palermo, ne commise a quei ministri
l’informo. Ma frattanto unitisi l’arciprete ed il priore finalmente
liticessero scambievolmente, autorizzandosi tutto l’enarrato di
sopra
146
venne il convento a racquistar la gabella, qual tuttodì percepisce
su la carne si macella, sendosene stipolata legal transazione
presso gli atti di notar don Giuseppe Savasta di Palermo il dì 17
agosto, 11 ind., 1778, dietro di cui il convento si munì, per di lui
cautela, di patrimoniale dispaccio, a 10 di agosto del 1781, emologante tutti i dispacci relativi alla gabella suddetta, ottenuti dal
convento dall’anno 1644 sino all’ultimo del 1764.
Oltre la gabbella anzidetta gode ancora detto convento per volontaria contribuzione sin dal governo dell’arciprete don Pietro
Palazzolo, al 1640, grano uno a settimana dai fedeli ascritti
154
all’Opera del Carmine, per cui godono della sepoltura e del martoro d’una campana. Cotesta questua si pretese allora da detto
arciprete impedire giusta le legali canoniche dottrine perché luttanti le stesse. Tant’è che il convento si sostenne e tuttodì questua cotesto grano a settimana da’ fedeli.
Vanta l’origine l’attual campanile sin dal 1736 contemporaneamente alla sepoltura ed all’oriuolo a campane.
Minacciando ruina dai fondamenti la chiesa e per quella ampliare a comodo dei fedeli, si opinò prudentemente dai padri, reggendo il convento da priore il rev. padre maestro Angelo Caravotta, nostro concittadino, di quella demolire e nuovamente costrurre. Di fatti se ne intraprese l’opera, a spese della communità, che si portò a fine di sole fabriche e altari, non già di stucchi
o pitture, nel 1794, e venne benedetta il dì 25 marzo solennemente, trasferendovisi in divotissima pompa il Divinissimo, che
pel corso di questi due anni si era riposto nella prossima chiesa
del santo patrono, in cui da’ frati si officiava, celebrandosi con
del fasto e culto religioso una festiva ottava al Sacramento
dell’altare, con messe cantate, la prima delle quali dal rev.mo
padre Giuseppe Maria d’Ippolito, provinciale, e che chiuse infine con solenne e divota processione.
Si venerano poi negli altari di essa chiesa, cioè nel maggiore,
l’immagine di Nostra Signora del Carmine, cui si celebra la festa
li 16 di luglio o la domenica imminente, che termina con la sagra
condotta del simulacro della Madonna, l’immagine di santo Rocco, quella dell’arcangelo Raffaele, l’altra di san Gaetano, di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, carmelitana, della sagra Famiglia
e del simulacro del ss.mo Crocefisso, in onore di cui e gloria di
Dio se ne solennizzano nell’anno le feste, oltre quella del patriarca san Giuseppe li 19 marzo, a cui privativamente appartiene
la condotta del simulacro per antico possessorio, malgrado la peculiar chiesa del Santo, la quale di esso non può farne la processione.
Non si manca dai zelanti padri di osservar con esempio del pubblico lo istituto loro monastico, nato sul pontificato di papa
147
Alessandro III, l’anno 1160, riformato da quel di s. Elia, anni
770 avanti Gesù Cristo e di san Giovanni Battista, anno uno prima dell’Incarnazione, vestendo l’abito bianco, ordinato da papa
Onorio III, e di chiamarsi religiosi della Beata Vergine del Monte Carmelo l’anno 1217, come attesta il Morigia, altrove citato a
foglio 171.
Attaccato in divozione il piissimo nostro Sovrano verso la Vergine del Carmelo, in niuna magione volle albergare quando si
155
portò in questa di passaggio per la caccia d’inici se non se in cotesto convento, il quale dalla compitezza de’ religiosi e molto
più del loro insigne ministro, padre maestro Ignazio Marchese,
allor priore nel 1799, venne apparecchiato di un appartamento
superiore, per quanto le forze della communità lo comportarono.
Il Re se ne mostrò contentissimo e vi dimorò di ritorno più giorni, anzi in altre occorrenze di solennità, che trovavasi in questa
sempre a goder dei spettacoli si volse la Maestà sua essere intesa
famiglia reale dal balcone di detto convento, in cui se
gl’inalberò il soglio, in dovuto ossequio. Anzi, debitamente grati
e fedeli i religiosi a tante grazie usategli la sovrana bontà, in
memoria incisero in marmi le seguenti iscrizioni che apposero e
si veggono la prima su la porteria rimpetto al piano e la seconda
sopra la porta che conduce al primo piano del convento in questo
tenore:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Ferdinando III Borbonio, Caroli III
Hispaniarum filio simillimo siculorum parenti magis quam regi,
quod in coenobium hocce viator diverterit tetrastichon miraris
quianam domus auctor ista superbit. Hospes adest siculi delicium populi, religio, virtus, clementia, quid tibi plura Ferdinandus cuncta hoc nomine dicta satis
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Ne ulla unquam aetas delere queat
quaesitum sacris his aedibus perinsigne augusti felicis pii Ferdinandi III Siciliae regis hospitio decus p(osuere ) M(ense) decembri MDCCXCIX. Vive diu felix Carmeli gloria nam hospes /
Ferdinandus et hic dat lapis usque decus 85
148
Capitolo VII
Ven. Chiesa di s. Antonio di Padova
Sul 1640, dalla pietà de’ fedeli si dié mano alla fabrica di una
chiesa in onore del gran taumaturgo s. Antonio di Padova, la
quale non potendo perfezionare, si esibirono i divoti sacerdoti
don Antonino e Michele Lo Re, fratelli, di ultimarla non solo,
85
A Ferdinando III di Borbone, figlio di Carlo III di Spagna, somigliantissimo
più ad un genitore di siculi che al re. Perché questo cenobio suscita la meraviglia del viandante per il suo quadriportico, che costituisce motivo di vanto per
questa casa. Qui vi è un ospite che è delizia del popolo siciliano, Ferdinando,
campione di religiosità, di virtù, di clemenza.
Affinché il tempo non possa distruggee il ricordo dell’onore per l’ospitalità data
all’augusto, pio re di Sicilia, Ferdinando III, è stata posta questa lapide nel
mese di dicembre 1799. vivi a lungo o felice gloria del Carmelo, questa lapide
conserva sempre il ricordo della tua presenza.
156
ma dotarla per sostenersi di onze 6.12 annuali perpetue, a loro
spettanti sopra una casa solerata, in questa città (che oggi possiedono gli eredi di don Bernardo Ajello per il censo di onze
1.13 annuali) (a), a condizione bensì di riportarne per essi e suoi
in futuro la elezione perenne del rev. beneficiale de jure patronatus, come ottennero da monsignor Vescovo di Mazara don
Diego Requisens, arcivescovo di Cartagine, con formale decreto,
per la via della sua Gran Corte vescovale e del suo vicario generale Lamia, in discorso di sagra visita, tenuta in Trapani li 15
giugno, 2 ind., 1649.
Terminaron di fatti gli riferiti fratelli de Lo Re l’edificio di detta
chiesa che resero da per tutto ufficiale e colta, e si posero in esercizio dell’ottenuto diritto di patronato su quella, eligendo in
beneficiale lo stesso don Antonino Lo Re, per gli atti di notar
Francesco Di Franco, inserendo in essa elezione il succitato vescovale decreto, e ciò sotto li 4 di luglio dell’istesso anno 1649,
celebrando l’imposta messa ogni settimana, il solito vespro e
messa cantata li 13 giugno, giorno appunto della festa del Santo.
Difonto li 27 settembre 1659 il suddetto primo beneficiale, che
venne sepolto in essa chiesa, ne ottenne la dignità stessa ed amministrazione il secondo beneficiale rev. don Bernardino Carrara, di cui se ne ignora l’atto di elezione, sebbene si contesti ed
enuncii in un dispaccio patrimoniale, da lui qual beneficiale ottenuto in occasione di avere preteso la elargizion della cera, come sotto si dirà, e resse costui la chiesa sin l’anno 1680, in cui
finì di vivere.
Lo stesso anno e sotto li 4 ottobre, 4 ind., riportonne l’elezione,
per gli atti di notar Simon Bruno, il rev. don Paolo Grassellino
dagli eredi et jus habenti et causam di suddetti
(a) delle quali tarì 12 pagarsi il censo alla ven. Abbazia e delle onze 6 celebrarsi
una messa la settimana ogni giorno di venerdì, vivente il detto rev. don Antonino
e dopo la sua morte ogni giorno di domenica, in perpetuo
149
fondatori de Lo Re, oltre le consuete lettere spedite dalla cancellaria di Mazara, firmate dal di lei vicario generale, rev.mo don
Gaspare Sanzone, sotto li 3 novembre dell’anno istesso, presentate, registrate ed eseguite in questa Corte foranea li 5 di detto
mese.
Questo beneficiale, nel tempo del suo governo, maneggiandosi
cogli successori di detti fondatori de Lo Re, ne ottenne da costoro il dritto e la potestà di poter egli, dietro la sua morte nominare ed eliggere un solo beneficiale di detta chiesa, e questo per gli
atti di notar Gerolamo Cannizzo senior il dì 8 aprile, 14 ind.,
157
1691, passandone infatti all’elezione appo gli atti di notar Antonino Greco a 2 giugno, 6 ind., 1728, in persona del chierico allora Benedetto Greco.
Morto nel 1733 il Grassellino, sobintrò nella carica di beneficiale il divisato precedentemente eletto di Greco, che l’amministrò
sino all’anno 1791, in cui finì i suoi giorni nella capitale.
Alla dignità surriferita venne poi assonto il rev. sacerdote don
Francesco Saverio Bonarrigo, eletto dall’Ordinario di Mazara, in
forza di lettere sciolte da quella cancellaria, li 3 ottobre di detto
anno 1793 ed atto di possesso datogli questa corte foranea,
d’ordine del rev.mo monsignor Di Vita, vicario capitolare e vescovo di Aquilea, in data delli 8 di esso mese novembre. E ciò
sulla credenza di essersi la facoltà di eligere detto reverendo beneficiale devoluta all’Ordinario mons. Vescovo, a mancanza di
successori et jus et causam habenti degli surriferiti fondatori de
Lo Re, quando costoro esistono tuttodì e sono mons. Giuseppe
Maria Di Bartolomeo e sorella, eredi e rappresentanti la persona
di notar don Domenico Bartolomeo, loro padre difonto intestato,
qual donatario egli per esso
e per di detto jus di eligere in
perpetuo detto beneficiale di s. Antonio, in forza di donazioni
irrevocabili, ricuperate per detto di Bartolomeo dagli successori
et jus et causam habenti di detto Lo Re, stipolate cioè due in notar don Giuseppe Di Lorenzo, di questa, sotto li 15 gennaio, 10
ind., 1732, insinuata nell’officio senatorio di Palermo li 17 di
esso mese, sotto li 21 di detto mese ed anno ed insinuata li 22
dello stesso, e la terza agli atti di notar Francesco
150
Maria Minaci sotto li 25 febbraio dell’istess’anno, insinuata a 27
del medesimo. Credendosi quindi da parte di detti di Bartolomeo, rappresentanti li fondatori Lo Re, nulla e insossistente la elezione del predetto rev. Bonarrigo, perché da lui procacciata col
pregiudizio del patronato.
E come si rendea mostruoso un corpo con due capi, oggi che detta chiesa va aggregata al ven. Collegio di Maria, come appresso
diremo, qual avvi il suo peculiar cappellano ordinario, così soglion sempre insorgere fra gli detti beneficiale e cappellano de’
pregiudizii, gelosie e freddure, con scandalo de’ fedeli e molto
più di quell’anime candide, sacrate a Dio, pretendendo alcun
d’essi di conservarsi i suoi dritti e giurisdizioni e ne restava attrassato l’onor del Signore e’l culto della chiesa, motivo per cui
si opinò prudentemente, nell’anno 12 ind., 1794, di venirsi dal
detto beneficiale Bonarrico a cedere al Collegio di Maria e di lui
rettori l’amministrazion delle rendite, trattenendosi soltanto li
onze 1.13 ne godean di netto i suoi predecessori e che si rispon158
dono all’anno dagli eredi di don Bernardo Ajello, su una casa solerata, nella stradella dell’Abbazia e riserbandosi altresì la giurisdizione di cantare il vespro e la messa cantata il dì della fesa di
sant’Antonio, sendosene di tutto ciò stipulato l’atto corrispondente in l’atti di detto notar Bartolomeo li sei del mese maggio
di suddetto anno.
Pur ciò non di meno non si estinse l’idra suddetta né il fomite
della contenzione inevitable e sarebbe di giusto ad ovviare il tutto che nel cappellano ordinario del Collegio risiedesse ben anco
la dignità di beneficiale, infatti nel triennio in cui venne eletto in
cappellano ordinario di detto Collegio lo stesso rev. beneficiale
di Bonarrigo si vide in detta chiesa e communità fiorir la pace, la
divozione, il sagro culto, abbondar l’elemosine né poteva sperarsi maggior tranquillità, gloria di Dio e cristiana pietà.
151
Da divoti venne la chiesa, ossia il di lui cappellone tirato da fini
stucchi a vari colori ed oro, unitamente alle due laterali cappelle.
In esse si venerano a man dritta la Vergine Assonta, cui si celebra solenne festa, con processione del simulacro in cera vestito
riccamente, dono del rev. padre don Vincenzo Arcieri di Palermo, nel 1800, e alla manca la gloriosa beata Rita da Cascia, alla
quale altresì ogni anno se ne solennizza la festività. Nell’altare
maggiore poi in fondo avvi il simulacro in legno del glorioso nostro sant’Antonio e dinnanzi si adora nel tabernalo il santissimo
sacramento dell’altare.
Nel principio del sec. XVIII, si praticò la processione del detto
simulacro del Santo nella più devota e solenne guisa, per espressa facoltà gode la chiesa accordata da monsigor Castelli, vescovo di Mazara, con lettere date in essa li 14 iugno 1702, presentate ed eseguite in questa corte foranea il 20 del medesimo.
Si conservano in ostensorio le venerate reliquie del nostro s. Antonio, che son frammenti delle di lui sagre ossa, e si espongono
all’adorazion de’ fedeli la mattina d’ogni martedì, cantandosi
dalle religiose del Collegio di Maria il solito responsorio: Si
quaeris miracula. Le stesse donate a detta chiesa e, per essa, al
detto beneficiale Grassellino, priore carmelitano nostro, quali
erano state donate assieme con dell’altre reliquie in primo luogo
al rev. padre lettore Agostino Maria Mandola del Terz’Ordine di
San Francesco, per l’ill.mo mons. Nicolò Maria Tedeschi, vescovo di Lipari, assistente al sacro solio pontificio, in forza di
sua autentica di sua propria mano scritta e sugellata col solito
sugello e data in Roma, senza giornata, indi poi donate al suddetto rev. padre maestro Agostino di propria mano di detto rev.
padre di Mandola, scritta dietro detta originale autentica in detta
159
alma città il dì 8 giugno 1716 e riconosciute ultimamente della
stesa guisa in cui furon donate per l’ill.mo e rev.mo mons. Castelli suddetto, in forza di esecutoria, dietro detta originale autentica, data in Mazara, li 28 di detto giugno 1716, come meglio
dall’atto della donazione irrevocabile, stipolata appo gli atti di
notar Domenico Greco li 4 giugno, 10 ind., 1717.
Ha il privilegio la chiesa della fiera franca nella ricorrenza della
festa del Santo. Questa erigevasi nel piano rimpetto quella, come
si contesta da varii dispacci
152
patrimoniali ottenuti dai beneficiali in data delli 28 maggio
1660, sotto il governo dell’augusto Carlo e di lui Viceré, il conte
di Ayala, 13 giugno 1690, dal Viceré, duca di Ossuna, spagnuolo, conte di Montalbano e finalmente, elargato il termine di ore
24 a quello chiesto di giorni quattro, in data delli 24 gennaio
1798, presentato quest’ultimo ed eseguito nella Corte del detto
Tribunale del Regio Patrimonio, qui degente a 2 giugno 1798.
La detta fiera, in comprova del di lei possessorio, si annovera fra
le altre del Regno, rapportate dal Buglisi nella di lui aritmetica,
tom. 2, nel fine.
Frattanto tuttodì la fiera anzidetta è in estrema decadenza, forse
per opposizione degli interessi della regia dogana, che non han
curato difendersi e sostenersi i beneficiali, né altro avvanzaci
che il nome di fiera, che piuttosto può in detta festa appellarsi
piazza del mercato, perché non altro vedesi esposto alla pubblica
vendita se non se delle frutta e vasini di creta paesana in trastullo de’ ragazzi e finalmente un buon numero di abigeato.
Ma come aggregato a detta chiesa ed attaccato vi esiste il Collegio di Maria, un tempo reclusorio, ossia ritiro delle orfane, volgarmente detto la Batiella, così cade in acconcio di parlar del
medesimo, tuttoché si alteri la prefissaci continuazione
dell’epoca de’ tempi delle fondazioni di nostre chiese.
Capitolo VIII
Venerabile regal Collegio di Maria
La promotrice di questa pia utilissima communità ne fu l’anno
1696 la vedova di Francesco Lo Jacono, allor pinzochera, appellata suor Benedetta Lo Jacono e Caruso. Il di lei originale ritratto esiste nel nostro Collegio di Maria, sopra la porta del di lui
refettorio.
Intenta ella sempre all’onore e servizio di Dio e a preservar dalle
umane lagune e pericoli le verginelle povere e pericolose, con160
gregò desse di cui si fé capo e mercé la pietà degli autori di don
Giuseppe La Franca, che le accordò la di lui casa isolata, si
chiusero volentieri in essa, dandogli il titolo di ritiro in cui colla
mercede delle proprie manifatture e colla questua che la divota
donna praticava
153
pel paese, con una bertola in collo, occorreva scarsamente al necessario sostenimento delle donzelle, che rese pinzochere, ancor
come dessa e vestite da tonichelle. Non avevano chiesa, ma ogni
mattina, coverte da velo, processionalmente e in devotissimo atteggiamento, precedute dalla lor medesima madre, portante una
croce inalberata, le trasferiva al prossimo tempio del convento
del Carmine, in cui assistevan tutte al divin sacrifizio della messa e usavano i sacramenti della santa penitenza ed eucaristia e
nel precetto pasquale alla regia madre chiesa, con edificazion
delle genti, e poi venivano a ritirarsi nel loro albergo.
Perdurò cotesto penoso tenor di vita per lo spazio di quasi diciotto anni, quando al 1714, mosso da divina ispirazione, il pio
Antonino di Bartolomeo, mio zio paterno, richiamò quelle edificantissime verginelle da l’albergo anzidetto, situandole a corpo
di communità nel soggiorno ove appunto sorge adesso il Collegio di Maria, che allora adottò il nome di ritiro, overo reclusorio
delle vergini orfane, indi badiella, pagandone egli la piggione
annuale alla madre chiesa, che n’era la posseditrice, qual aggiudicataria de’ beni di Carlo Colantonio, nonché contribuendo in
buona parte agli alimenti e provvedute avendo quell’anime innocentine di quanto fu d’uopo ad una formale unione.
Pella pietà del rev. don Filippo Drago nel di lui solenne testamento, aperto e pubblicato agli atti di notar don Antonino Terranova di Palermo, furono a quel ritiro da lui appellato conservadorio legati alcuni beni urbani qui esistenti, che vennero censiti
e tuttora li gode e possiede, e ciò sotto li 11 febbraio, 10 ind.,
1717.
A di lui esempio e per l’innato zelo nutriva il Bartolomeo a pro’
la detta casa del Signore, per fissar quella in futuro e rendersi
grato al medesimo dell’accordatagli dovizia a ottener la gloria
beata, che senza meno tuttora fruisce, stabilì ridurre il predetto
reclusorio in monastero claustrale e di fatti, per atti di notar
Giuseppe Di Lorenzo, suo cognato, il dì 24 dicembre, vigilia del
santo Natale, passò a stipolar donazione a favore di quella communità, in somma di onze 1538.2.8.5 a lui dovute da diverse persone in essa calandate, ordinandone l’impiego, cioè in onze 400
in compera di suddetto albergo, onde ridursi poi in monastero e
161
nello resto di rendita per fruttare perennemente a pro’ della
communità.
154
Non esatte ancora da’ debitori cessi in detta donazione le dette
onze 1538.2.8.5, pensò il donante di porsi in tutto e ricuperare
dalla trasferita la convenzione (ma redimibile ad effetto di rinvestirsi del vasto cennato albergo, sul piede di onze 10 di canone
annuale, stipolandosene la concessione enfiteutica in notar A.
Giuseppe Di Lorenzo li 15 novembre, 12 ind., 1718.
Ma possedendosi dal Bartolomeo alcune terre contigue
all’albergosuddetto, così, qual padre amoroso e intento all’utile
non solo che al diletto de’ figli, aggregò quelle al medesimo, che
indi vennero a ridursi in giardino, che fiorisce tuttora e sopra
delle quali se ne risponde il censo a don Carlo Avalos e Scammacca, descendente di don Lorenzo Scammacca, in forza di contratti stipolati l’uno in notar Franco Formica di Palermo, li 30
luglio 1682, altro in notar Giovanni di Leone di quesa, a 2 marzo
1684, altro in detti atti li 23 settembre di esso anno e l’ultimo in
notar Lorenzo de Ina, di Palermo, l1 5 maggio 1685.
Ad isolare ed ingrandire il succitato albergo se ne procacciò al
1742 dai rettori la compera d’altre case laterali da parte di oriente, di spettanza degli eredi di don Gaspare Florio, come si rimarca dall’atto col privilegio delle strade, stipolato agli atti di notar
Filippo Lionti di Palermo, a 29 luglio, 5 ind., e deposito di onze
157.9 nella Tavola, pel di loro capitale a 1 agosto di detto anno,
oltre onze 18.24, spese occasionali alla compra anzidetta, risultata in tutto ad onze 176.3. Sendosi anche poi, nel 1800, costrutto il nuovo camerone verso oriente e così resosi il soggiorno rispettabile e degno di un monastero.
Prive frattanto sul principio le verginelle di propria chiesa, desiderose di goder della perpetua dimora del corpo eucaristico, a di
loro prieghi si divenne dallo zelo del memorato beneficiale
Grassellino ad accordare alle medesime una crata nella loro casa
suddetta, communicabile nella riferita chiesa di s. Antonio e dalla vigilanza e religiosità quindi di mons. Castelli, vescovo di
Mazara, ad istanza delle medesime, fulle accordata la perenne
permanenza in detta chiesa del Divinissimo, nonché dell’olio
santo per l’Estrema Unzione, con sua provista in un memoriale
delli 14 giugno 1725.
Mai sempre intenta frattanto la pietà del Bartolomeo a mandar
compitamente ad effetto la promessa pia opera, malgrado l’atto
di dotazione del 1717, passò a 27 settembre 1720, per l’atti di
detto notar Di Lorenzo a contentarsi che impiegar si potessero le
162
onze 1538.2.8.5 in beneficio di detta novella communità, ancorché
155
non si riducesse il conservadorio in monastero claustrato,
sull’obbligo però di mantenere in esso gratis a piazza franca due
sue consanguinee sino al quarto grado, e similmente redimersi le
onze 10 annuali del censo dovuto sopra l’albergo suddetto, come
venne eseguito di poi per la revendita in detto notar Di Lorenzo,
a 3 ottobre, 15 ind., 1721 e affrancato perciò detto albergo perpetuamente di dette onze 10 di canone.
Guardando Dio Signor nostro coll’occhio della sua infinita carità
l’intrapreso virtuoso disegno del pio Bartolomeo, animò quello a
compirne la carriera. Di fatti, venuto a morte lo stesso e apertosi
e pubblicato agli atti di quel notar Di Lorenzo il di lui disposto
solenne testamento, si rilevò da esso, a maggio 1724, la sua cristiana ultima volntà, in parte corretta ne’ di lui anche solenni
codicilli detto giorno palesati nelli censi infrascritti:
istituì in suo erede universale il prediletto conservadorio surriferito delle vergini orfane;
elesse in fidecommissari della sua eredità gli rettori di quel pio
loco, fra cui espressamente conjunctim et non divisim volle sempre un di lui consanguineo, che per allora in primo chiamò notar
don Domenico di Bartolomeo, suo nipote (mio genitore), cui
concesse facoltà di nominare ed eligere, dietro la di lui morte,
altro soggetto in fidecommissario, coll’ugual potestà discensiva
perenne, che mio padre elesse me, per l’atti di notar don Sebastiano Catalano, li 18 febraio 1770, ed io mi trovo aver chiamato
in fidecommissario, dopo la mia morte mio figlio Francesco Paolo, agli atti di detto notar Catalano, sotto li 13 gennaio, 8 ind.,
1803;
si dispose una messa cotidiana di onze 8 perpetue all’anno e volle che, sendosi prete suo consanguineo, questi dovesse sempre
preferirsi nell’elezione del cappellano celebrante;
elesse in dette de’ libri di detta sua eredità e procure ancora a
costringere i debitori a locare e gabellare gli beni ereditari al
detto notar don Domenico di Bartolomeo, mio padre suo nipote,
che per la legge testamentaria di preferirsi sempre nell’elezioni
degli ufficiali i suoi consanguinei (tuttora godo io dopo la morte
del detto mio signor padre delle cariche anzidette, col salario
annuale di terzo in terzo postposto di onze 18, regolato nei codicilli delle onze 24 costitutivo nel testamento, tolte le onze 6, forse per la buona opera di qualche amico di mio padre);
156
163
volle benanco in perpetuo che fosse ammessa per signora e a
piazza franca in detto conservadorio, anche allorquando fosse ridotto in monastero, una di lui consanguinea senza dote; ordinando però espressamente (oltre ad altre sue disposizioni) che detto
conservadorio eriger si dovesse in monasterio claustrale, previe
le debite licenze del s. Padre e della Maestà Sua, dopo di essersi
cumulate onze 200 annuali di rendita perpetua. E queste non accordatesi, volle che cadesse il detto conservatorio dall’ istituzione di erede, succedendo ed istituendo e costituendo in di lui
vece e in sua erede universale la ven. Compagnia ossia oratorio
del Carmine e i suoi fidecommissari e rettori, i di lui superiori e
congionti e delle rendite fondarne tante messe cotidiane perenni.
Seguì la morte di sì degno benefattore e fondatore di sì pia casa
Antonino Di Bartolomeo, a dì 2 di detto maggio 1724, giorno in
cui ogni anno, per sua ordinaria disposizione, se ne celebra
l’anniversario funebre in detta chiesa. Fu seppellito, come egli
volle, nel ven. convento del Carmine, e subito si dié da’ suoi fidecommissari, rettori di detto conservadorio l’attenzione di celebrarne l’inventario di sua pingue eredità in detto notar Lorenzo, li 13 di esso mese. Indi a 14 del medesimo, inerendo alla di
lui volontà, ne implorarono dall’Ordinario di Mazara la facoltà
di adempiere il precetto testamentario di doversi erigere detto
santo luogo da monastero, qual facoltà venne tosto dal zelante
prelodato mons. Castelli conferitogli per lettere della Cancelleria
li 27 di suddetto mese maggio. In seguito di ché se ne stipolò la
formale rattifica di detto testamento e codicilli solenni e ciò agli
dello stesso notar Di Lorenzo, sotto li 6 giugno di detto anno
1724.
Chiesero inoltre gli suddetti rettori al Vescovo di Mazara
l’aggregazion di suddetta chiesa di s. Antonio al conservadorio,
domanda che fu accordatagli in un coll’amministrazione delle
piccole rendite di essa chiesa, per atto della Cancelleria, li 16
luglio 1736, non ostante la positiva resistenza ed opposizione del
di lei beneficiale don Benedetto Greco. Frattanto poi armonicamente se ne stipolò atto pubblico di aggregazione e concordia di
detti rettori e beneficiale in notar Antonino Fede di Palermo a 6
dicembre, 1 ind., 1737, restando solamente al beneficiale il diritto di celebrare i primi vespri e messa cantata il dì del santo e
delli onze 1.13, si rileva dalla in onze 6 celebrare tante messe
per l’anime di fondatori detta concordia, ratificata in questa Partinico, agli atti del notar Rosario Greco a 19 di detto dicembre e
venne approvata legalmente dalla Gran Corte vescovile di Mazara, con lettere firmate dal di lei vicario generale,
157
164
rev. don Carmelo Montalto, a dì 28 gennaio 1738, presentate ed
eseguite in questa Corte foranea lo stesso giorno, inibendosi, per
atto stipolato in notar don Domenico di Bartolomeo, li 25 giugno
di esso anno, per li debitori annuali di detta chiesa, a pagar ogni
anno i loro censi ai rettori di detto conservatorio. Un consimile
atto stipolossi agli atti di me notaro don Giuseppe tra il beneficiale don Saverio Bonarrigo e gli rettori di collegio sotto il dì 6
maggio 1794, come si disse nel superiore capitolo di detta chiesa
di s. Antonio.
Ridotto l’annuo rendale di detto fondator Bartolomeo, attesi gli
effettuati impieghi alla somma di onze 150, si opinò dai fedecommessi rettori, previo l’informo di mons. Alessandro Caputo,
vescovo di Mazara, diretto alla s. Sede romana di supplicar la
medesima accordargli la pastoral benedizione onde venir detto
conservadorio eretto in monastero claustrale, giacché pel compimento delle onze 200 di rendale, voluto dal fondatore esistevano da impiegarsi alcuni altri capitali. Una cotal domanda venne menata buona dal s. Padre e concessa la implorata facoltà e
benedizione, con suo brieve apostolico in pergamena, dato in
Roma il dì 1742. Ma restò frustraneo e inoperativo in quanto
non si poté ottenere la di lui esecutoria in Regno, attese le regie
opposizioni e giusti stabilimenti della felice ricordanza di Carlo
III, nostro allora felice regnante in Napoli. Motivo per cui bisognossi indi accudire coll’Ordinario mons. Vescovo per prenderne
essolui l’amministrazione e cura di detto conservadorio, come
avvenne, e se ne diedero le regole ed istituti coi quali si governaron più anni le convittrici e rettori di esso.
Volendo vieppiù decorare la casa del Signore anzidetta, l’abbate
nostro commendatore, mons. Vescovo di Seletta, principe di s.
Giuseppe, e allo stesso tempo giovare al pubblico nello spirituale e nel temporale introducendo le manifatture, con di lui memoriale avvanzato alla Maestà del nostro Sovrano Ferdinando III,
ottenne di aggregarsi detto conservadorio al novello Collegio di
Maria, dallo stesso mons. Abbate eretto nella terra del Parco e di
godere amendue queste communità del titolo di Collegio di Maria, osservandone le solite regole e rimanendo immediatamente
soggetto alla regia approvazione, sendosene sciolto regio dispaccio in lingua spagnola li 19 luglio dell’anno 1759, restando
all’Ordinario la cura dell’
158
anime, i sagramenti e sagramentali, nonché dei pii legati.
Ciò malgrado, assonto il titolo di Collegio, il nostro conservadorio non si vide mai amministrato dall’abbate, forse o perché se165
condo l’esposto al Re, cioè di doverne edificare un altro in Partinico, non si verificò o sia che il Vescovo di quel tempo, mons.
Palermo, ciò conoscendo, non abbia voluto perdere sopra di esso
la sua giurisdizione, restarono le cose nella loro situazione, altro
non essendosi veduta, a 22 1761, che una visita fattasi da detto
mons. Abbate, in qualità di semplice e mero visitatore, eletto dal
prelodato mons. Palermo, vescovo di Mazara, con atto di elezione, rogato in notar Gioacchino Cristofaro Cavarretta di Palermo,
li 9 ottobre 1760, nella qual visita non altro approvò di nuovo
che l’istituto introdotto nella pia casa suddetta di Collegio di
Maria, a quale effetto ne ordinò l’erezione delle scuole, per uso
delle ragazze, che si effettuarono collo sborso di quasi onze 300,
spesesi dall’eredità del fondator Bartolomeo, come si rileva
dall’apoche de’ fabri, stipolate agli atti di mio padre notar don
Domenico. Anzi, difonto l’abbate suddetto, principe di s. Giuseppe e incameratasi la nostra Abbazia alla Regia Corte, mai
questa usò giurisdizione alcuna su di detto Collegio, nettampoco
usolla il Consultore, don Diodato Targiani, regio amministratore
generale di nostra Abbazia e città, attesoché, nel 1774, tempo di
visita di mons. Ugone Papé, vescovo di Mazara, questi usò sopra
del nostro Collegio la sua giurisdizione, visitando lo stesso e lasciando scritte le sue ordinazioni, sotto li 18 dicembre di esso
anno, anche d’ordine del riferito Consultor Targiani, diretto ai
rettori di esso, cui unicamente vietò di non dare al Vescovo giurisdizione alcuna sugli assegnamenti fatti al Collegio dalla real
munificenza, perché ciò privativamente e di giustizia era della di
lui ispezione, qual regio amministratore anzidetto. E sebbene
precedentemente a tutto ciò l’elezione dei deputati ed ufficiali di
esso Collegio sia stata fatta a lettee dello stesso Consultore Targiani, ciò non pervenne per usar sua giurisdizione, ma di concerto ed armonia col vescovo di Mazara, mons. Scavo, come apertamente si ricava dalla di lui lettera data in Palermo, li (sic) e
diretta ai deputati rettori del Collegio, e tutto a maggior vantaggio dell’opera e per venirne maggiormente amministrati
l’interessi de’ pii testatori e la regia munificenza usatagli Sua
Maestà (come
159
appresso diremo) da un solo corpo di rettori deputati e non da
due coppie.
Non si lasciò frattanto dallo zelo e pietà dei prelodati mons. Abbate nel suo governo e Targiani amministratore nel suo, di sovvenire e abilitar nei bisogni del Collegio suddetto, in supplemento degli alimenti, anche a riguardo delle fatiche delle convittrici
in disciplinar le ragazze, sì nella cristiana dottrina che nelle arti
166
e manifatture, col sommo utile della popolazione. Attesoché il
primo vi ottenne dal Sovrano, con dispaccio de’ 26 gennaio
1765, l’annua assegnazione perpetua di onze 103.12, su’ proventi di questa regia Abbazia, e il secondo l’altra di onze 60 annuali
ancora su de’ proventi stessi, con regal biglietto de’ 12 aprile
1777, quali onze 163.12 immancabilmente vi si rispondono, di
mese in mese, ad onze 13.18.10 e perciò fu che la cognizione
dell’amministrazione di tal somma, unitamente all’osservanza
dell’istituto di detto Collegio, per ciò che riguarda il temporale,
resta riserbata privativamente ai regii ministri.
Richiamato in Napoli il Consultore suddetto, la intera amministrazione della nostra Abbazia e città e benanco per conseguente
del nostro Collegio, cadé per sovrano comando, a mani del consesso del Tribunale del Regio Patrimonio, assegnandone quello
in ministro per ripartimento di nostro Collegio e del Parco, il
degnissimo maestro razionale don Antonino di Napoli, dal quale,
in marzo 1798, se ne disposero le legali ordinazioni tendenti la
buona amministrazione dell’intero Collegio suddetto, ch’egli soleva appellare Casa di Educazione, e ciò con ben lungo patrimoniale dispaccio.
Ha finalmente adesso la sorte il Collegio nostro di venirne amministrato, sin dal 1799, dall’amabilissimo nostro augusto commendatore don Leopoldo (che Dio ci guardi mill’anni) e per esso
dalla regia Intendenza della Magione, cui fu aggregato Parco e
Partinico, cioè regio generale Intendente cav. A. Felice Lioy, e
consultore don Giacinto Troysi, che si dan tutto lo zelo e premura di vantagiargliene l’interessi e renderlo più che possan felice.
Son esemplari poi le convittrici che l’abitano ed espertissime le
maestre delle scuole, sia in leggere, scrivere ed abaco che in filare del lino e bambace, far delle calze di filo e seta, guarnizioni,
cucire anche alla francese, tessere e ricamare di bianco, seta, oro
e argento. Le ragazze, oltre a dover apprendere le virtù e le arti
suddette, van poi tenute ad apprender la dottrina del Bellarmino,
agli anni di ragione, celebrar per la prima volta il precetto pasquale tutte assieme, portandosi a due a due, vestite galantissimamente e parti a monachelle, precesse da un coro di essa cantante e croce inalberata, seguite da banda di stromenti, sino alla
madre chiesa, quasi al numero di 500,
160
la mattina del lunedì santo, e finalmente a recitare ogni anno, su
di un apparato palco, in detta Madrice, fra lieti suoni e sacre
canzoncine, alcuni articoli della dotrina cristiana, dialogizzata, a
due, tre e quattro di esse fanciulle, che riesce questa recita, volgarmente detta disputa, di graziosa, pia e religiosa aspettazione
167
del pubblico, riportandone alla fine de’ puerili doni
dell’arciprete loro pastore.
Va composta la communità di convittrici, di educande e di persone ritirate dal mondo, le prime godono della piazza franca,
perché manutenute a spese del fondatore e pii testatori, le seconde e terze dalle loro pensioni mensuali risponde al Collegio. E
tutte poi per supplemento de’ loro alimenti, colle dette onze
163.12 della regia munificenza.
Il fisso rendale del nostro Collegio raggirasi nella somma seguente:
dall’eredità del fondator Bartolomeo e pii altri
testatori onze
208.7.15.2
gravezze ed alimenti della comunità onze
183.23.3.5
cosicché avanzano all’anno onze
24.14.11.3
quali servono per occorrere alle spese occasionali, liti, acconcimi di fabriche e simili, più dalla regia munificenza le dette onze
163.12.
Gode pure il Collegio e sua chiesa di altra messa cotidiana (oltre
quella del fondatore Bartolomeo) dispostasi Michele e Margherita Cannizzo, la di cui eredità in circa onze 20 annuali è aggregagata al nostro Collegio e che pria celebravasi nel convento de’
Cappuccini, come per aggregazione ordinata dalla Gran Corte
vescovile di Mazara, per atto sotto li 8 gennaio 1741 ed elezione
di deposito.
Più dell’annua somma rendale di onze 10 circa, assegnate al nostro collegio, a titolo di dote dalle sorelle Di Florio, la di cui
suor Sigismonda fu convittrice, come per diversi atti stipulati in
notar A. Sebastiano Catalano li (sic) e per l’atti di me notaro
don Giuseppe, allora di domicilio in Valguarnera Ragali, sotto li
(sic)
Oltre dette due messe cotidiane, se ne celebrano le infrascritte
ogni anno per legati dei seguenti testatori, assentati al libro delle
rendite di nostra chiesa di s. Antonio, cioè:
D’Antonino e Michele Lo Re, n. 29 dal beneficiale di s.
Antonio n.
29
Di Franca, Di Bartolomeo le 5 feste della Madonna
5
Di Clemenza Lo Presti n. 12 ogni primo lunedì del mese
12
Di Giuseppe Palazzolo, n. 12 ogni primo lunedì di mese
12
Di mastro Giuseppe Di Palermo, n. 9,6 l’anno
6
In tutto n.
64
161
168
Capitolo IX
Ven. chiesa dell’oratorio del Carmine
Trasse la sua origine cotesto oratorio da Isidoro de Lunar e Coresano, capitan d’armi e guerra in questa città, e da Gio. Giorgio
Monte e Martino Montalbano, l’anno 1651. La pietà loro ne alzaron le fondamenta con concorso de’ confrati di cui furono Governatore e congionti, finché in brieve tempo le diedero perfezione. Si associarono in esso, sotto titolo di Maria del Carmelo
diversi individui delle famiglie più cospicue e, sin alla fine del
caduto secolo vantò gli stessi soggetti in zelanti confrati. Nacquero nel 1669 de’ pregiudizii giurisdizionali tra qusto corpo di
società e gli padri carmelitani, tra’ quali poi ne spuntò la concordia, colla stipola di formal transazione.
Vanta lo stesso l’aggregazione legale, sin dal 1698, a questa nostra Compagnia del serafico san Francesco, siccome altra a quella del Carmine di Monreale, sin dal 1729.
Va’ bastantemente, anzi è la primiera fra le compagnie nostre,
provvedute di legati di messe, disposti da vari pii testatori. E’
utile domino di salme 10.8.1 terre con vigneti nel nostro bosco,
predio appellato de’ parrinelli, riscuotendone annualmente dagli
enfiteuti il loro canone.
La chiesa che adesso sorge non è quella che nacque allora. Soggiacque la prima ad universale ruina e cotesta è tutta opera di
Franco Simone Tarallo e della sua carità.
Celebra ogni anno le quarantore al Divinissimo, ne’ giorni di Pasqua di Pentecoste, con sfarzo e divozione, recitandosi ogni dopo
pranzo degli eruditi sermoni intorno al SS.mo Sacramento.
Capitolo X
Ven. Compagnia e chiesa del SS. Crocefisso
Il difetto d’involata scrittura propria e di contadoria di cotesta
Compagnia ossia oratorio ci lascia in dubbio di poter fissar
l’epoca certa di sua fondazione. Per quanto si abbia praticato,
null’altro rimarcasi che il corpo di cotal Compagnia, pochi anni
prima del 1677 e sino al 168, di consenso dell’arciprete, esercitava i suoi ufficj di pietà
162
dentro la ven. regia madre chiesa e innanzi la propria cappella
del SS.mo Crocefisso ivi eretta, a pié di cui scavossi la sepoltura
169
per confrati, quale tuttora godono. In comprova di ciò, non altro
possiamo addurre che varie testamentarie disposizioni di fede
fatte a detta cappella ed a cotesta ven. Compagnia, fra cui il codicillo di Giovanni Vecchio, citato in notar Gerolamo Cannizzo
seniore, il dì 7 luglio del 1680.
Al 1688 esistea già l’oratorio, a segno ché, implorandosi da’
confrati all’ill.mo e rev.mo fra Francesco Maria Graffeo, vescovo di Mazara, l’approvazion de’ capitoli, gli venne accordato e
sottoscritti il 1 febbraio di esso anno. Ma bisognandogli stanza,
forse per la sacrestia, quella dopo mesi ottenne da Pietro Sgroi
per contratto in notar Gerolamo Cannizzo, li 29 agosto.
Ma come verisimilmente il partito della fabrica fu dato in credito
ed in così il prezzo venne soddisfatto posteriormente, indicandosi nell’unico libro di contadoria che ci avanza, a foglio 24,
due pagamenti fatti dal tesoriere Antonino Civvillera al mastro
Franco Savarino, muratore, in onze 15.23.5, in due volte, l’una a
4, altra a 13 maggio 1698, rapportando le apoche in notar Giuseppe Bellomo. Varii legati perpetui di messe si trovano disposti
a favore di cotesto oratorio, sotto l’unico giorno 25 marzo 1691,
per l’atti di notar Cannizzo anzidetto. Va aggregata questa Compagnia a quelle di san Francesco e, per un atto stipulato in notar Giuseppe Di Lorenzo, l’anno 1733. Siccome vanno aggregate
alla nostra le confraternite di santa Croce e del Sagro Cuore di
Gesù, l’una fondata dal rev. don Vincenzo Scichili, 30 circa, e
l’altra dal rev. don Vito Bonura anni 24 circa.
Capitolo XI
Ven. Compagnia di Maria SS. Del Rosario
La pietà di Giovanna de Franchi concesse verbalmente e senza
stromento pubblico, ma che indi venne rogato agli atti di notar
Vincenzo di Franco di questa, il dì 4 novembre, 11 ind., 1657, un
pezzetto di terreno accanto la ven. regia Madrice chiesa, verso
sirocco, a mastro Giuseppe Di Palermo, Francesco Bruno e Pietro Di Amico, superiore e congionti, ad effetto di fabbricarvi la
chiesa ed oratorio, in onore di Nostra Signora del SS.mo Rosario, come effettuarono l’anno 1656.
I confrati di essa, pria della fabrica di loro chiesa ed oratorio,
usavano i suoi divoti esercizi di pietà nella Madrice suddetta, in
cui l’arciprete accordato aveagli la erezione di una cappella di
170
loro Signora e innanzi di essa la sepoltura, che l’una e l’altra tuttora esistono, come si disse nel capitolo della Madrice.
Oltre la peculiar solennità celebra ogni anno la Compagnia, li 4
ottobre, a Maria SS.ma del Rosario, v’ha quella delle Quarantore, che principia il capo dell’anno e vi concorrono i fedeli il dopo pranzo, per ascoltarne i sermoni.
Oltre l’altar maggiore, avea quello in una cappella del glorioso
san Francesco Di Paola, in di cui onore ogni anno se
163
ne ha celebrata la festa, precessa dai tre divoti venerdì, con concorso del popolo.
Pell’ingrandimento della Madrice chiesa e per lo sfondo delle di
lei cappelle, parte di cotesta chiesa aggregossi a quella, sotto
l’obbligazione di riquatrarla e renderla altra volta ufficiabile,
che tuttora non è perché in fabrica, e ne venne ordinato il disbrigo ad istanza dei superiori, per un dispaccio patrimoniale de’ 4
maggio 1797, presentato ed eseguito in questa dal rev.mo arciprete Bordonaro e registrato all’atti di detto tribunale sotto li 27
di detto mese, in seguito di che se ne sta disbrigando la fabrica.
Capitolo XII
Ven. Congregazione ossia Confraternita dell’Opera Santa della
Misericordia, cui oggidì va aggregata la filial parrocchia.
Cotesta Confraternita e chiesa dai suoi promotori e fondatori
Pietro Sapienza, Francesco Bergamo e Bartolomeo Camarda fu
nel 1681 ideata erigersi in un pezzetto di terreno, che ottennero
in concessione enfiteutica dal conte cavaliere Agostino Zolferino, procuratore generale dell’abbate commendator di quel tempo
Cardinale Francesco Maria de Medici, per gli atti di notar Giovanni di Lione, che in effetti poi venne istituita ed eretta li 26
aprile 1682, con approvazione de’ capitoli, a 20 dicembre 1686,
dalla gran Corte vescovile di Mazara.
Nicodemo Salvina, al 1682, assegnolle una casa in questa (che
oggi possiede a censo il notar don Franco Garofalo), e ciò per gli
atti del citato Leone li (sic)
Vi è in essa istituita una messa cotidiana da Giuseppe di Fina,
sin dal 1700, in forza di testamento in notar (sic)
Porta in titolo l’Opera Santa ed in protettori i santi Giuseppe
d’Arimatea e Nicodemo, che si venerano in un quadrone all’altar
maggiore, opera insigne del celebre pennello di Pietro Novelli,
rappresentante la Deposizione dalla Croce del morto Redentore,
171
che ammirata ne viene dai professori e forastieri intesi di tal facoltà.
L’istituto della medesima si è quello di seppellir i morti poveri e
mendicanti, portandoli in spalla sul feretro, sino alla chiesa, ad
imitazion del santo Tobia.
I confrati ne sono i gentiluomini, preti, regolari, sacerdoti e nobili, fra i quali si annoverano il principe di san Giuseppe, mons.
Vescovo di Feletta e nostro abbate commendatore, siccome altresì, l’anno 1805, l’amabilissimo nostro padrone e commendatore
don Leopoldo, il di lui regio Intendente cav. don Felice Lioy, i
di lui figli, il dr. don Filippo Coniglio, avvocato fiscale della regia commenda della Magione,
164
don Bernardo Scinia, segretario di essa regia commenda, don Lorenzo Fazio, razional della medesima, accetti e cantati nella real
chiesa della casina di Ballo, e ciò per ordine del Sovrano piissimo Ferdinando, comunicato con lettera al riferito cav. Lioy, a
maggiormente decorar la Confraternita.
V’ha in obbligo ogni venerdì dopo pranzo recitar in comune in
detta chiesa almeno un notturno per suffragar l’anime de’ nostri
confrati e indi poi termina la Congregazione colla benedizione
del Santissimo.
I venerdì poi di marzo vi si sente un sermone sopra la passione
di Cristo, siegue la disciplina e finisce colla benedizione.
Per antica istituzione, vanta la gran processione del Corpo di
Cristo Crocefisso in una bara, seguita dalla desolata Signora, il
venerdì santo, con coro funebre e numeroso popolo. Tante delle
volte questa è divenuta precessa da una procession iconografica,
rappresentata da numerosi caratteristici personaggi, per la passione e morte del Redentore, con la gala la più squisita e la maggior compunzione degli astanti, in maggior copia forastieri convicini. Varie scene in essa si sono innestate e recitate in palco in
diversi piani della città, dagli stessi pesonaggi, con applauso popolare non ordinario.
Scovertosi di già molto esteso il paese e che dall’unica parrocchia era molto difficile amministrarsi i sacramenti, precisamente
agli malati, perciò, ad istanza del popolo e suoi deputati economici, con memoriale delli 31 maggio 1781 e rappresentanza del
vescovo don Ugone Papé, si compiacque poi la sua Maestà, fin
dall’anno 1783,condiscendere al Vescovo di designare un’altra
chiesa opportuna, con titolo di coadiutice, colla facoltà soltanto
di amministrare i due sacramenti di penitenza ed eucaristia e di
portare agli ammalati di uno fatto distretto il SS.mo Viatico ed
estrema unzione, sotto però la medesima identità di regio patro172
nato e sotto la rettoria dello stesso regio parroco della Madrice,
con ché vi si destinassero localmente due cappellani sacramentali, col salario di onze 20 per uno ed un sacristano col salario di
onze sei all’anno, da ricavarsi cioè, in quanto ad onze 20 per un
cappellano dagli introiti dell’arcipretura ed in quanto ad onze 26
per l’altro cappellano e sacristano dalla popolare gabella detta
del pesce.
Era una tal gabella arrivata in quel tempo al fruttato di onze 80
ed
165
anche più annuali, peronde poteva di leggeri portare, oltre gli altri pesi, questo ancora, ed infatti il portò sino all’anno 1796. Indi
verificatisi alcune sinistre combinazioni, minorò in maniera che
attrassò totalmente le onze 26 dovute di real ordine a cappellani
e sacrestano della mentovata coadiutrice, restando soltnto in piedi le onze 20 si rispondeano dall’arciprete. Tant’è che poi
nell’augmento della congrua dell’arcipretura, si accordarono,
come si disse, sotto il governo dell’arciprete Bordonaro.
In cotesta coadiutrice fu designata dal Vescovo anzidetto la nostra chiesa dell’Opera Santa, in seguito al regio biglietto de’ 29
marzo di detto anno 1793, comunicato dal Viceré marchese Caracciolo al prelodato monsignor Papé, Ordinario di Mazara, con
data in Palermo de’ 9 aprile dell’anno istesso e dispaccio della
gran Corte vescovile ossiano bolle a 29 giugno del medesimo
1793.
In essa vi si trasferì, a 22 giugno suddetto, la mattina, dalla Madrice il Divinissimo in trionfo. Vaglion nella medesima i confrati o siano congregati officiare, col di loro peculiar cappellano ed
esercitar ciò nullostante le loro giurisdizioni e festa de’ santi
protettori, giusta come si contiene nel loro memoriale avanzato
al ridetto mons. Vecovo Papé, qui allor degente, decretato li 30
detto mese giugno, transuntato appo l’officina di me notar Bartolomeo a dì 4 del seguente luglio, 1 ind., 1783.
Per costumanza, nell’ottava del corpo di Cristo, quando si pratica la condotta, vi intervengono dietro il superiore e congionti
della Confraternita, con torcie accese, ed il primo il giovedì santo suol prendere la chiave del santo Sepolcro, concorrendo la
Congregazione a qualche limosina ai revv. cappellani della coadiutrice, per le spese di tal solennità, che loro impiegano.
173
Capitolo XIII
Ven. chiesa e Confraternitadi Maria SS.ma degli Agonizzanti
Fu fondata e costrutta cotesta Confraternita e chiesa l’anno
1692, soggetta alla giurisdizione dell’Ordinario di Mazara dallo
zelo del rev. don Paolo Grassellino, beneficiale di s. Antonio,
sac. don Giuseppe Caprile e notar don Gaspare Bellomo, rettori,
unitamente a vari fedeli, che concorsero con pie limosine, e ciò
sopra li canne 9 di lunghezza, compresi i passetti, di canne 4.3 di
larghezza, oltre canne 2.2 lunghezza della sagristia quadra, che
ottennero dal barone don Matteo Scammacca, pel canone annuo
di tarì 9.5 a conformità della concessione enfiteutica, in notar
don Domenico Greco, ratificata dai confrati li 31 di agosto 1693.
166
Venne quindi poi la Congregazione abolita, sul governo di mons.
Giuseppe Stella, Vescovo di Mazara, e la chiesa venne amministrata nel temporale riguardo alle onze 10 circa di rendite, fra
legati e libero, dal rev. sac. dr. don Diego Sapienza, vicario foraneo di questa città, in qualità di delegato di detto monsignore,
e nello spirituale dal sac. don Giuseppe Lo Grasso, poi dal rev.
don Biagio Florio, indi dal rev. don Alvaro Perez, finalmente dal
rev. don Giuseppe Catania ed oggidì dal sac. don Antonino Proto.
Avvi l’altare dedicato al glorioso san Francesco di Paola, cui se
ne celebrano li 13 venerdì, che precedon la di lui festa, e similmente quello di san Paolino, al quale si solennizza pomposa festività, con artificio di fuoco la sera e corsa di berberi, solennità
che pria godeva la Madrice in cui l’immagine di questo santo risiedé sino al 1770. Vi ha per ultimo l’antico altare del ss. Crocefisso.
Nel governo del detto rev. Catania rifiorì la Congregazione,
composta dai giardinieri ed ortolani, dall’opera del medesimo
venne costrutta la cappella di san Francesco di Paola, a spese di
don Salvatore Minore, come si vede d’un contratto stipolato agli
atti di me notar Bartolomeo, li 26 ottobre, 6 ind., 1802, e similmente dal Minore costrutta la campana grande, secondo si rileva
dalla di lui testamentaria disposizione pubblicata appo le tavole
di notar don Sebastiano Catalano, sotto li (sic)
e per ultimo
dalla pietà della di lui figlia, donna Maria Minore, varii sagri arredi e vestimenti che si conservano presso i di lei eredi, ma in
pronto uso e servigio di detta chiesa, come dalla disposizione ultima di quella e dall’inventario testamentario, rogati alla mia oficina li 10 e 11 agosto, 6 ind., 1803.
174
L’oriuolo che batte l’ore e gli quarti di essa chiesa anche ebbe
origine dalla cura zelante di suddetto rev. di Catania, morto
nell’anno 1803 e sepolto in detta nostra ven. chiesa.
Capitolo XIV
Ven. chiesa della Confraternita di Gesù Maria, cui oggi è aggregato lo ritiro detto di padre Manfré, ossia l’orfanotrofio di
Maria SS. del Ponte.
Fu promossa cotesta devotissima ed esemplar Confraternita
167
di Gesù Maria dallo zelantissimo arciprete Francesco Albamonte, l’anno 1702 e fondata dentro la ven. Madrice chiesa, ma indi
a pochi anni s’intiepidì e si estinse. Rifiorì poi sin dalli 7 febbraio 1721 sotto l’aura del celebre sacerdote dr. don Giovanni
Paolo Raccuglia, che fu poi successore all’Albamonte e si aggregò alla chiesa dell’Opera Santa, ma non sofferta da quei confrati, passò in quella dello spedale, in cui soggiornò in fervore
sino al 1733, tempo in cui si terminò la fabrica dell’attual chiesa
peculiare di Gesù Maria. Venne questa edificata con le due case
e casaleno ed altra casetta nella Strada Grande, che comprarono i
di lei rettori sac. don Angelo Tafarella, mastro Vincenzo Santoro
e altri confrati, da potere di donna Antonina Di Bartolomeo ed
Ales, prima moglie di mio padre notar don Domenico, per contratto in notar Giuseppe Di Lorenzo, li 6 dicembre, 3 ind., 1726,
siccome con altre case prese anco a censo, per l’atti di notar Antonino Greco di questa, al 1733. Ebbe gettati i fondamenti e la
prima pietra con una moneta nel mese maggio 1725, da don
Nunzio Tarallo, dei duchi della Ferla, e fu finita interamente di
rustico nel principio del detto anno 1733, venendo benedetta il dì
30 giugno di esso anno dal cennato rev. di Raccuglia, in qualità
di vicario foraneo di questa Partinico, di licenza della Gran Corte vescoval di Mazara e processionalmente i confrati vi entrarono, tuttoché non ripulita e adorna, che poi compirono con sua
campana ed organo, e l’anno poi 1744 feron fondere la campana
grande da don Francesco Castronuovo.
Tre dì la settimana si raunano in essa i divoti confrati per udir la
meditazione e adempiere le loro regole e capitoli, cioè il mercoledì la sera, il venerdì la sera, la domenica la sera. Le loro festività sono le 40 ore, che celebrano gli ultimi tre dì di carnevale,
con edificazione del popolo, girando ogni dopo pranzo in abito
di penitenza, col loro cappellano, e precessi dalla corte per la
175
città, a raccorre fedeli per venire ad adorare l’esposto sacramentato Signore. Ogni anno poi, nella quaresima, ha gli esercizi del
gran padre s. Ignazio.
E’ stata sempre assistita dai primi soggetti chiesiastici della città, insigni per dottrina e religiosità, come appunto li surriferiti
arcipreti Albamone, Raccuglia, dr. don Agatino Greco, vicario
foraneo, che, pel suo vantagioso zelo, al 174 (sic) venne ucciso con due botte di fuoco, domentre un venerdì di marzo, la sera
alle due, si ritirava a casa, associato dai congregati, delitto atroce, per cui il paese ne sentì il positivo rigore, della giustizia. Furonvi pure fra’ i cap –
168
pellani il chiarissimo dr. don Michele Marocco, vicario foraneo,
il dr. don Matteo Lupo, il dr. don Giovanni Bambina e l’ultimo il
dr. don Franco Tosco.
Capitolo XV
Reclusorio delle donzelle sotto titolo di Maria SS.ma del Ponte,
titolo da me suggerito in onore di nostra Padrona oggi, detto lo
Ritiro di padre Manfré aggregato a detta ven. Confraternita di
Gesù Maria
L’ultima e più recente comunità della nostra patria si è appunto
cotesto Orfanotrofio. Ebbe dessa l’origine e promozione dallo
zelo apostolico e attività dell’esemplarissimo sacerdote don Simone Manfré, dell’Alcara de’ Friddi, prete ritirato in S. Eulalia
di Palermo, insigne missionario e allievo degnissimo dell’
rev. dr. Don Salvatore De Francisci, missionario rinomatissimo
per la sua dottrina e religiosità.
Portò il Manfré nel 1796, per ordine di mons. don Orazio La
Torre, vescovo di Mazara, la missione in questa, di cui vi era egli il capo. E seppe tanto la sua morale e cristiana pietà insinuarsi ne’ cuori de’ fedeli che ne procacciò, a gloria di Dio, delle
considerevoli limosine, quali impiegò in buona parte in ingrandire e perfezionare la nuova casa di santi esercizii e similmente in
occorrere ai premurosi bisogni dei poveri di Gesù Cristo.
Gli nacque in cuore il santo desiderio di fondare un monastero e
per allora un ritiro, in cui preservare alcune pericolose verginelle dall’insidie del mondo e dall’intraprendente suo spirito
nell’aiuto del Signore si prometteva ogni cosa, né resistendo
all’interno impulso, animava i cittadini ad incoraggiarlo in sì
fatta vocazione. Istituì ed intimò una sua predica nella Madrice,
176
il dopo pranzo del lunedì santo, 21 marzo, in cui fé intervenirvi
quelle donzelle che aveva adocchiate proprie, per formare sì edificante comunità. Sulle ore 21 di detto giorno, piena zeppa la
madre chiesa del popolo spettatore, dell’arciprete e clero, cominciò la ideatasi predica, che vestì in maniera che fé animar
tutti a concorrere al pio disegno e, consegnando il Crocefisso al
rev. arciprete don Vito Bordonaro, qual pastore, consegnò a lui
quelle predilette pecorelle, coverte con manti neri, alle quali assegnò per superiora donna Antonina Gigante, figlia vergine di
notar don Pietro, e in devotissima processione seguite dal popolo, can169
tando degli inni al Signore, le condusse nel soggiorno ove tuttora
convivono, entrando dalla parte di dietro e non dalla strada
grande, perché l’ingresso allora ivi esisteva.
Stabilitesi appena in quel sagro recinto, le verginelle abbisognavan del tutto, a cui provvide il Manfré, come ancora della chiesa
tanto necessaria per i loro spirituali esercizii, non ostante che il
loco era dall’una parte e l’altra, fiancheggiato e attaccato dalla
chiesa del Purgatorio a sirocco e di quella di Gesù Maria a tramontana, l’una delle quali, massime cotest’ultima, poteva concorrere maggiormente all’intento.
Adoprossi il Manfré con ogni calore presso i rettori di questa
Confraternita, pregandoli ad accordare alle verginelle la facoltà
di aprirvi nella loro predetta chiesa una porta, onde aver in essa
l’accesso su di un littorino, erigendo a spese del Manfré, e così
poter vedere la faccia di Dio, sentir la messa e assistere a sacri
uffici di pietà, come altresì di accordarle di aprirsi al di sotto in
loco opportuno un comunichino atto a praticarsi i due sacramenti
di penitenza ed eucaristia, promettendosi il Manfré rispondere
alla Confraternitatutto ciò che mai pretendesse per tal servitù,
sendo pronto a divenirvi a qualunque costo, previe le dovute
cautele.
Duri allora i confrati, inesorabili poi, accaniti sempre se gli niegarono (istigati dal nemico comune, per impedir la gloria di Dio,
il decoro della patria, il bene di tante verginelle) e giunsero finalmente a degli eccessi. I loro ricorsi ai giudici chiesastici e secolari (ancorché giusti poi pelle irritualità che l’ignoranza forense che il Manfré praticava) furono ritualmente menati buoni e si
videro le donzelle poco dopo cacciate da quella chiesa, demolito
il littorino, chiusi gli ingressi che aperti vi erano e fatte sloggiare, con loro rammarico e pianto dall’amabile loro albergo, ritornando parte di esse alle case paterne e parte ad abitare in unione
177
della superiora in una casa accomodatale la pietà del dr. don
Giuseppe Vizzini, rimpetto il Collegio di Maria.
Non furono frattanto desse mai abbandonate dal Manfré
170
sempre animandole a sperare nel favor di Dio e provvedendole
de’ necessari alimenti. Né egli stesso smarrissi mai, anzi intrepido, costante e sicuro, vantavasi glorioso.I fratelli di Rizzo, don
Giuseppe e don Leonardo graziosamene gli feron donazione di
quelle case rispettabili e di valore, destinate in albergo di dette
donzelle. Il dr. Castrense di Bella non mancò di donargli de’
fondi urbani e capitali, per sostenimento perpetuo della comunità, come pure altri pii soggetti da quali tutti se ne stipolarono a
pro’ di quella i corrispondenti istromenti legali presso gli atti di
me notar Bartolomeo, sotto li 11 e 12 e maggio, 14 giugno di
detto anno 1796, 4 ind., 23 febbraio dell’anno susseguente 1797
e altre giornate, per quanto venne non solo la communità ad aver
la proprietà del perenne soggiorno, ma altresì una picciola dote,
quale venne poi impinguata da varie compre di predij rustici,
procacciatele lo stesso Manfré e per gli atti miei e di altri pubblici notari e finalmente ad ingrandirle la casa, colla compra coattiva e per sentenze della Gran Corte civile e Concistoro, della
lateral casa di donna Antonina Gigante o sia razionale don Franco Perrone, e tutto ad ingenti spese e sudori dell’instancabile padre Manfré (a).
Ma volendo Dio il reclusorio anzidetto, viepiù incoragito il padre Simeone dai suddetti acquisti, animossi a ricorrere alla munificente clemenza dell’amabile nostro Sovrano Ferdinando, da
cui accolta la supplica, trovando in essa un padre ed un valevolissimo garante, accordogli la grazia della fondazione di detto
reclusorio, sciogliendo dalla sua regia Segreteria il biglietto ne’
seguenti sensi: Ferdinandus, Dei gratia, Rex utriusque Siciliae,
Hierusalem, Hispaniarum Infans, Dux Parmae, Placentiae et
Castri, huius Etruriae princeps, fidelibus dilectis: Con nostro
biglietto abbiamo comunicato alla Deputazione del Regno lo che
siegue: Per via dell’ecclesiastico con dispaccio de’ 17 del passato dicembre mi viene scritto quanto siegue: Si è degnato il Re
accordare alla popolazione di Partinico real permesso implorato
per la fondazione di un reclusorio di
(a) Non lasciò ancora la buona amicizia di don Paolo Catalano, col nostro padre
Manfré in questa contingenza, giacché egli per l’atti di notar Vito Riccobono di
Montilepre, passò a donare ad un di lui luogo di salme 12, tumuli 13.3 di terre
al Lavadore, sotto li 27 gennaio, 15 ind. 1797, su cui se ne ottenne dal reclusorio
e se ne legge il deposito e parte a 14 dicembre, 2 ind., 1798
178
171
donzelle, a condizione però che debba riputarsi laicale e sogetto
a pesi reali e civici e che non possa amministrarsi da ecclesiastici. Vuole inoltre Sua Maestà che nel disporsi le regole dalla
Giunta di Presidenti e Consultore, s’indichi il tenore degli stabilimenti presi dalla Maestà Sua per l’Orfanotrofio di S. Antimo di
questo Regno, per tenersi presenti e per applicarsi per quanto si
troverà convenientee per lo reclusorio di Partinico sudetto e per
altri. A qual oggetto, gliene rimetto copia. Lo partecipo di real
ordine a Vostra Signoria per lo adempimento ed in replica alla
sua rimostransa de’ 7 del passato luglio. Napoli. Lo che io comunico a Vostra signoria per sua intelligenza e adempimento,
nella parte che le tocca. Nostro Signore la feliciti. Palermo, 27
marzo 1797. F. Lopez arcivescovo Presidente. Alla Diputazione
del Regno.
In dopo del quale, nella sessione de’ 29 marzo 1797, a relazione
dell’ill.mo e rev.mo mons. Ajroldi, arcivescovo di Eraclea, diputato del Regno, priore provvidentissimo quod praesententur, registrentur, exsequantur et fiant litterae ad mentem regij chirographi: Essendosi intanto degnata la Maestà del Re Nostro Signore (Iddio conservi) col suddetto regio dispaccio de 17 del
passato dicembre, per via dell’Ecclesiastico, accordare alla popolazione di cotesta il real permesso implorato per la fondazione di un reclusorio di donzelle, a condizione però che debba reputarsi laicale e sogetto a pesi reali e civici e che non possa
amministrarsi da ecclesiastici, e vuole inoltre Sua Maestà che
nel disporsi le regole della Giunta de’ Presidenti e Consultore
s’indichi il tenore degli stabilimenti presi dalla Maestà Sua per
l’orfanotrofio di S. Antimo di quel Regno, per tenersi presenti e
per applicarsi per quanto si troverà conveniente e per lo reclusorio sudetto di codesta e per altri, abbiamo impertanto risolto
spedirvi le presenti colle quali, communicandovi l’anzidetta deliberazione della Maestà sua, vi ordiniamo che dobbiate eseguirla e farla eseguire da chi si deve ed osservare puntualmente, curandone dal canto vostro l’esatto religioso adempimento, in tutte
le sue parti, senza la menoma alterazione, per essere così della
nostra intenzione. Tanto eseguirete colla puntualità dovuta e
non altrimenti. Datum Panormi die secunda aprilis, 1797. F. Lopes, Archiepiscopus Praesidens. Il Principe di Paternò, deputato; Airoldi, arcivescovo di Eraclea, delegato; il Principe di Cassaro, pretore delegato; il Principe di Malvagna, deputato, Bernardo, ciantro vicario generale, deputato; il Principe di san
Giuseppe, deputato;
179
172
il Principe di Lampedusa, deputato; Gaetano Emmanuele, canonico abbate, deputato; il Duca Massa, deputato; il Principe di
Castelreale, deputato; cav. Giuseppe Stella Valguarnera, deputato; il Principe di Valdina, protonotajo del Regno; Bernardo
Maria Grifo, segretario. Alli magnifici Giurati di Partinico acciò debbano in tutte le loro parti eseguire e far da chi si deve
eseguire ed osservare il preinserto real ordine, con cui Sua Maestà è venuta in accordare a quella popolazione il permesso implorato per la fondazione di un reclusorio di donzelle, colle
condizioni di sopra espressate.
Ed ecco in seguito a sì sovrana risoluzione riposte con gloria le
verginelle suddette nel di loro bramato asilo. Son quasi per dire
dal Manfré nel sermone fatto alle verginelle il giovedì santo in
detta chiesa.
Non cessò frattanto il giudizio incoato da parte della Confraternitaavverso la pretesa del reclusorio per l’acquisto della chiesa
che finalmente dal piissimo Monarca, implorato dal Manfré, a
nome di quello, venne la stessa destinata, accordata e assegnata
in uso e comodo di quella comunità, con regio biglietto, dato in
Napoli e comunicato al riferito Arcivescovo di Palermo e Monreale, Filippo Lopes, Presidente del Regno, da cui si sciolse viceregio biglietto in di lui seguela, diretto al citato dr. Don Giuseppe Vizzini, giudice e vicario capitolare di questa città, dato in
Palermo, li 22 febbraio 1799, presentato, registrato ed eseguito
in questa li 2 marzo di detto anno, giorno in cui, per adempimento del sovrano decreto se ne dié da quel ministro esecutore il
possesso di detta chiesa a don Gioacchino Passalacqua, procuratore di detto conservadorio, che registrossi agli atti di questa
gran Corte capitaniale.
Dall’Ordinario di Mazara frattanto si diedero le provvidenze ai
ricorsi della Confraternitaper provvedersi di chiesa e le venne
assegnata quella dell’oratorio del Carmelo, in cui poco o nulla
risiedettero. Ma poi per non urtare alla divina disposizione, di
unanime voto de’ rettori del conservadorio e di quei della Confraternita, si stabilì e conchiuse la concordia: tornarono i confrati a valersi della loro chiesa, esercitando i divini uffizii e le loro
divozioni e istituti e fiorisce oggimai più che pria la chiesa suddetta nel culto divino, a bene dell’anime, ad onor della patria e a
somma gloria dell’Altissimo.
173
Ma gli alti imprescrutabili divini giudizii, dopo di aver assicurato la vittoria al Manfré e la grazia alle povere sue verginelle,
180
colpito letalmente da morbo itterico, il padre don Simone in S.
Eulalia.
Bisognava la chiesa almeno di una messa cotidiana per venire intesa dalle convittrici. Cotesta il padre le acquistò ancora dalla
carità del barone don Francesco Maria Custos di Palermo, che
cominciò a celebrarsi in essa e secondo la parola data dal barone
al Manfré, nonostante la di lui morte, nel testamento solenne di
quello, aperto e publicato in Palermo agli atti del notaro don
Francesco Salvadore Cirafici, li 3 marzo, 7 ind. 1804, se ne trova
la seguente disposizione: Di più voglio, ordino e comando che si
celebrasse una messa cotidiana per l’anima mia nel ritiro nuovamente fatto nella città di Partinico, seguitando il ritiro suddetto e non essendovi il ritiro suddetto omni futuro tempore si
dovesse celebrare in questa di Palermo da quel sacerdote ben
visto al mio erede universale e nella chiesa ben vista ai miei fidecommissarii, e ciò coll’elemosina di tarì due per ogni messa,
oltre le onze due annuali per
. Dovendosi invigilare la celebrazione della medesima e che con effetto si avesse celebrato in
detto ritiro con ritirarsi le certe delle dette messe in ogni mese
controsegnate dal rev. parroco don Agostino Cancemi o da quel
parroco che pro tempore sarà della detta ven. parrocchiale
chiesa di san Giacomo La Marina, in perpetuum et in infinitum,
perché così voglio e non altrimente.
Ma gli alti imprescrutabili divini giudizi chi può mai penetrare!
Dopo di avere la divina carità assicurata la vittoria al Manfré e
fatta la grazia alle sue verginelle, prematuramente e nel fiore
dell’età sua, con disvantagio di quella pia casa, cadde letalmente
colpito da morbo itterico il predetto don Simone in Palermo. Io
che mi trovavo per accidente colà posso assicurare che nulla si
spaventava della morte, ma quella dispiacevali al sol riflesso di
non poter più vantagiare gl’interessi della sua bambina communità, e conchiudeva poi con le lagrime la sua uniformità al divino volere, cui raccomandavagli quella. Comandò me con efficacia di garentir nelle occorrenze la medesima, ed io debolmente
per quanto ho potuto non ho mancatogli né mancherogli di parola. Cesse alla fine tra brievi giorni all’impeto del morbo, rassegnato e compunto li 18 giugno del 1799, in età d’anni 47, e venne sotterrato nella chiesa di s. Eulalia, sua casa. Curarono le
convittrici di averne in memoria il di lui ritratto e questo si
174
vede affisso nel parlatojo, portando la infrascritta epigrafe:
Rev. Sac. D. Simon Manfré, terrae Alicarae Frigidae, domus s.
Eulaliae bis praeses, sancti Caroli Congregationis tertius prae181
positus, ita charitatis igne flagravit ut in virtutum genere omni
enituerit, quam in Dei gloria augenda, animarumque profectu
procurando, disciplinaque ecclesiastica promovenda elaboraverit, tot civitates et oppida missionis opera perlustrata, giniceum
hocce puellarum sacro exercitiorum domus erectae egenis quos
fovit viduae quas adiuvit merentes ac infirmi quos solatus est,
peccatores quos verbo et exemplo ad Christi ovile reduxit, una
testatur diuturna corporis maceratione tractus ac sadissimis
persequtionibus potius quam morbo in breve consumptus, annos
natus 47, XIV kalendas junii. Anno Domini 1799, omnium luctus,
laetus mortem aspexit 86
Mancato appena dal mondo l’esemplarissimo uomo di Dio, io
son di aviso che nella gloria beata (ove piamente si crede esser
rinato) altra premura non abbia avuto che di pregar l’Altissimo a
confermar la stabilita pace e conceder delle grazie a quel sagro
asilo delle sue verginelle. Di fatti i congregati volentieri rittornarono alla lor chiesa e in essa esercitan le divote lor funzioni e
divoti esercizii, serviti con candidezza e puntualità dalle stesse
convittrici.
La detta communità gode dell’aggregazione e associazione ottenuta dal rev. padre Ilarione di Montemagno, commissario generale dell’Ordine frncescano, per lettere in stampa, dirette a suor
Maria Teresa Giganti e sue consorelle e date in Roma dal convento aracelitano, li 25 agosto 1803. Epperò l’indulgenza plenaria toties quoties la gode ancora la di loro chiesa, come quelle
de’ conventi francecani e dei monasteri di s. Chiara, Annunziazione e Concezione, volgamente appellata porziuncola.
Capitolo XVI
Ven. chiesa e Confraternita del patriarca san Giuseppe.
Si dal principio del passato secolo esistea formata la Confraternitadel patriarca san Giuseppe, colla di lui cappella e simulacro
di legno, dentro la chiesa del convento del Carmine, in cui si ce-
86
Il rev. sacerdote Simone Manfré, della terra di Lercara Friddi, due volte preside della casa di S. Eulalia, terzo preposito della Congregazione di San Carlo, arse talmente del fuoco della carità da risplendere in ogni genere di virtù,
nell’accrescere la gloria di Dio, nel procurare il profitto delle anime e la promozione della disciplina ecclesiastica. Missionario in molte città e paesi, eresse questa santa casa di eserciz per le fanciulle. Aiutò le vedove, confortò gli
infermi, ridusse all’ovile di Cristo i peccatori con la parola e l’esempio. Logorato dalla quotidiana penitenzae consumato in breve dalle maligne persecuzioni,
più che dalla malattia, a 47 anni, il 19 maggio 1799, compianto da tutti, vide
gioioso la morte.
182
lebrava l’annua festività, che chiudeva colla sagra processione di
quello.
Spinti i confrati dalla propria divozione nonché dalla insinuazione del rev. sac. don Domenico Guidara, all’oggeto di erigere ed
istituire una lor seria chiesa e Confraternita, vennero impediti da
ciò pra 175
ticare da parte del detto ven. convento, lo quale credea non potersi in di lui pregiudizio, pel lungo possessorio tenuto della
cappella, Congregazione, festa e processione. Se ne istituì qindi
iudizio nella Gran Corte vescovile di Mazara e finalmente separando la confraternita, in una notte dell’anno 1737, edificarono i
congregati l’altare, prendendo il possesso della chiesa che stavan
fabricando e terminrono di volo, ove tuttora si erge, in quel magazino e case che pria furono chiesa di san Francesco Lo Vecchio, già derelitte, e la detta Compagnia aveva loro succoncesse
ai congregati, per contratto in notar Rosario Antonio Greco, li 10
agosto 1737, ottenendo da mons. Alessandro Caputo, vescovo di
Mazara, la facoltà di questuare.
La procession però del simulacro del santo, il dì della sua festa,
restò in potestà di praticarla detto convento e non già la chiesa, e
tutto dì è in esercizio l’uno e l’altra di solennizzare la festività e
vespro, ma la procesione il convento.
Il primo cappellano di suddetta nostra Confraternitane fu il rev.
sac. Don Ferdinando Luna, per atto di elezione in notar don Domenico di Bartolomeo, mio padre, li 19 maggio 1737 ed indi al
1741 l’amministratore generale eletto dalla Gran Corte vescovle
di Mazara ed il di lei vescovo, mons. don Giuseppe Stella, si fu
il grande uomo e servo di Dio, sac. don Antonio Nicolò Zito, che
la governò e coltivò sino alla morte ed in età piuttosto decrepita.
I particolari benefattori furono Domenico Maddalena, che la ripulì e rese decente e con quadroni in tela, in cui la storia della
vita del santo Patriarca e altresì providela di sacri arredi, siccome Antonino Lo Medico, che, a proprie spese, le costrusse il
campanile con tre campane al 1780, l’una di cantara duodeci, altra di 6 e la terza di 3, e la recente Maria Anna Morreale, che vi
istituì la messa cotidiana per gli atti di notar don Diego Bonarrigo, nel di lei testamento, sotto li
(sic)
.
Fabricata la sepoltura con delle limosine, l’anno 1775 e del pari
mercé l’opera del rev. sac. dr. don Rosario Rizzo, cappellano,
vene la chiesa tirata di fini stucchi ed oro ed alquante pitture,
con l’altare maggior troppo eccellente. Potendosi vantar sinceramente esser la prima chiesa di mediocre gusto.
183
176
Vantò l’onore della Madrice, in occasione del di lei ingrandimento e fabrica. Il simulacro del santo Patriarca è un di quei che
fa gloria al di lui autore, l’insigne don Domenico Nolfo, scultor
trapanese, fu inciso in legno, l’anno 1778, dall’opera del saggio
cappellano, sac. dr. don Gaetano Tripodo.
Lo ritratto dell’uomo di Dio, sac. don Nicolò Zito, amministratore di cotesta chiesa, che esiste nella di lei sagristia, difonto li 22
gennaio 1767. Porta l’epigrafe nella
che osservasi nel capitolo
delle iscrizioni lapidarie e sepolcrali, fattogli detto rev. di Tripodo, da cui anche fu composta e recitata l’orazione funebre.
Avvi in questa chiesa la messa cotidiana e rotoli tre cera annuali,
dispostisi donna Ninfa e don Vincenzo Marù nei loro testamenti,
calendati nella transazione stipolata tra i superiori e gli eredi di
don Giuseppe Gigante, eredi di detti Marù Mignano, in notar Sebastiana Cannizzo, sotto li 14 febraio, 5 ind., 1802, e ratificati in
detti atti il dì 15 luglio dell’istess’anno.
Capitolo XVII
Ven. chiesa di S. Maria della Grazia, volgarmene detta di Ballo,
oggi real cappella del casino reale.
S’ignora di cotesta chiesa l’epoca della di lei fondazione. Sin
dopo l’anno 1760, tempo in cui il luogo di Ballo, di cui è pertinenza, si possedette dal principe di Villadicane, di Messina, contava la stessa piuttosto fra le chiese villerecce che urbane, perché non era allora il di lei terreno attaccato all’abitato, qual fu di
poi caseggiato ed è tuttora, e la medesima ne veniva coltivata
meschinamente da un povero vecchio romito, detto fra Salvadore
(che io conobbi nei primi miei verdi anni). Desso romito ogni
anno solea farle celebrar la festa il dì 8 settembre, col positivo
giubilo del popolo, framezzandovi la corsa degli asinelli,
quell’altra graziosa degli uomini posti in un sacco legato al collo, detta popolarmente dell’insaccati, ai quali davasi in premio
una berretta, un fazzoletto e simili e si facea altresì il gioco, ossia la presa del pioppo o vero dell’antenna
177
e la sera poi si disparava un picciolo, ma brillante artificio di
fuoco, tutto a forza di limosine, che questuava l’eremita per la
città, con una cassettina. Ogni sabato, alle ore 23, si cantavano
alla Vergine anzidetta le litanie dai particolari divoti, accompa184
gnate da strumenti, fra i quali immancabilmente interveniva quel
celebre suonator di violino, maestro Gaspare Li Calzi, che fé epoca in tutta la Comarca, divotissimo di suddetta sagra immagine.
Dietro la censuazione, fattasi indi di detto luogo di Ballo e
dell’altro detto del Sovaro del Villadicane al barone di san Giorgio, don Vincenzo del Castillo, nobile messinese abitante in Palermo, che fu dopo anche marchese della Granmontagna, titolo
della famiglia di don Antonino Stella e Valguarnera, duce del
Castel di Mirto, domiciliatosi questi cavaliere con sua famiglia
in questa Partinico e nella torre di detto Ballo, cui aggregò delle
stanze a di lui comodo, venne licenziato detto eremita da detta
chiesa e bisognò egli ricovrarsi in un povero catojo giacente sotto l’antica torre, che serviva di campanile alla madre chiesa, pria
dell’edificio dell’attuale. Si dié colui per vivere a questuare e
coltivar la cappella di Nostra Signora Assonta, esistente in essa
Madrice, in cui finalmente morì con buona fama e venne in essa
sotterrato. Restando la nostra chiesa di Ballo coltivata a dovere
dalla religiosità del Castillo, anzi ristorata e abbellita, e seguitò
a celebrarsene l’annua festività, oltre della messa cotidiana, a
comodo della propria famiglia e di quei convicini dalle due messe perpetue ordinatesi, donna Antonia Cavatore, zia di detto don
Vincenzo, inerendo alla disposizione dei suoi autori e riserbate
nella general donazione per essa fatta de’ suoi beni al ridetto baron di san Giorgio.
Difonto questi, acquistò dello splendore la nostra chiesa per opera della di lui vedova consorte donna Francesca del Castillo e
Sieripopoli, sua erede usufruttuaria, avendola arricchita di stucchi e tiratala decentemente, coll’occasione di aver ridotte le case
e torre suddetta a proprio elegante palazzo sin dal 1778. E la solennità della signora santissima celebravasi ogni anno coll’ ultima pompa e grandezza, con corsa di barberi, musica e ottimo artificio di fuoco.
178
Ma perché nacque fortunata davvero gode adesso sin dal 1800 la
sorte d’esser regia cappella, sendo stata onorata e venerata dal
Re nostro signore e dall’intera real famiglia, in ricorrenza della
compra del luogo, villa, palazzo ed ogni altro di Ballo fattane la
Maestà sua, da potere del moderno marchese di Granmontagna,
don Francesco Paolo del Castillo, erede di suddetto don Vincenzo, per gli atti di notar don Marco Morici, giusto per provveder
di soggiorno il di lui real figlio don Leopoldo, nostro amabilissimo commendatore.
185
Ne vanta perciò tuttodì l’onore di regio cappellano il rev. sac.
don Niccolò Lucchesi, con soldo di onze 48 annuali, per la sola
presenza, sendo la messa libera al medesimo, e ciò in forza di
regio biglietto delli 29 luglio 1800, dato in Palermo.
Capitolo XVIII
Ven. chiesa del patriarca san Gioacchino
L’ultima e più moderna chiesa di nostra città si è cotesta appunto
del patriarca san Gioacchino. La soprafina divozione del rev.
sac. don Francesco Ragona, nonché del sac. don Niccolò Ajena,
ne procurò la fondazione ed edifizio. Costoro, ma in sostanza poi
il solo Ragona, impegnossi a proprie spese e sudori, di portarla
ad effetto, ma volle riportarne l’onor di benefiziale de jure patronatus per esso e suoi e ne ottenne dalla Maestà sua il permesso e la facoltà con regio biglietto che trovasi inserto con altri
documenti nell’atto della legal fondazione al 1782, stipolato
presso le tavole di notar don Giuseppe Maria Cavarretta di Palermo, il dì 10 di giugno.
E’ tuttodì questa una povera chiesa, sebbene promette rendersi
ragguardevole tempio e forse l’unico per maestà, vastità, disegno
e perfezione che potesse vantar la città, se Dio si degni trarre a
lungo i giorni di suddetto rev. benefiziale, tutto intento alla di
lui fabrica, in gran parte già eretta.
179
L’attual umile campanile, che dovrà poi cedere al nobile, porta
desso due sonore campane, di prezzo di onze 80.12.18 e che erogovvi il benefiziale, per apoca collettiva in notar Giovan Battista
Maria Lo Bianco di Palermo, li 19 gennaio 1789.
Fé anche il predetto benefiziale incidere in legno il simulacro
del gran patriarca dalla celebre mano di don Antonino Barcellona, insigne scultore palermitano, costato in onze 54, per apoca in
notar Cavarretta suddetto, li 4 novembre 1783.
Vien coltivata la chiesa coll’ultimo zelo, si celebra ogni anno la
festa del santo, precessa da sacra novena, in cui interviene a folla la divota popolazione.
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Capitolo XIX
Santa Casa degli Esercizi di s. Ignazio
La gloria della fondazione di cotesta utilissima pia casa de’ santi
esercizi meritamente Partinico la deve alla pietà, zelo e attività
del molto reverendo padre lettore Giacinto di Palermo, celebre
oratore ed insigne missionario, che vanta la cappuccina religione. Questo fortunato promotore, prescelto l’anno 1798 per capo
di una missione nella nostra città, in riverenza all’età del rev.
padre Luca di Palermo, cesse al medesimo l’effimero primato,
ma ne sostenne poi in sostanza le veci e l’incarico ed a gloria di
Dio, nonché a di lui onore e spirituale profitto dell’anime la popolazione ne riportò le celesti benedizioni.
Nel corso dunque di sì edificante carriera apostolica, si avvide
l’accurato promotore de’ sconcerti, degl’incomodi, dell’interesse
che venivano i fedeli a subire a cagion della peculiar Casa degli
Esercizi di cui era manchevole la città. Non tralasciò colla di lui
prudente vigilanza, di tentarne le vie possibili onde di quella
provvederla, istituirla e fondarla. Ma come arrivarsi alla perfezione ed intrapresa di una maramma e di un monumento perenne
cotanto dispendioso e difficile senza denaro! Ispirato dal cielo e
invaso, per così dire, da una santa fiducia, intraprese l’impegno
ed elesse di volo in deputati a tal oggetto i reverendi sac. don
Niccola Messina, dr. don Vito Buonura, don Vincenzo Scichili,
dr. don Domenico Messana, patriotti esemplari
180
e di circospezione. Da essi quindi si adocchiò, fra tanti, il sito
più salubre, prossimo e adatto onde costruirla e ne ritrassero la
concessione del luogo in salme 2.2 da potere di Domenico Guastella, tutore e curatore di Onofrio Anselmo, dependenti delli
tumeni otto giardino possedeva in fine dell’abitato, vicino la
trazziera di Ragali, e ciò mercé lo sborso di onze 15, che vennero pagate dal divisato rev. di Messana, che ne ricuperò l’atto
corrispondente, legalizzato dalle necessarie solennità, per gli atti
di notaro
li 22
1778.
Il dopo pranzo de’ 25 marzo dell’anno istesso, giorno segnalato
di Nostra Signora SS.ma Annunziata, spinto l’infervorato popolo
dall’eficacissima insinuazione del prelodato Lettore, trattosi dietro l’orme del medesimo, avviosi al luogo destinato e, dietro un
sermone predicato ad alta voce da su’ un poggiolo, ivi con giuliva religiosa allegrezza, si gettò la prima pietra delle fondamenta,
per le innocenti mani del nobile marchesino di Granmontagna,
187
don Giuseppe Fedele del Castillo e Ferro, con una moneta al di
sotto, che vi frappose, a gloria dell’Altisimo.
Oltre ai suddetti quattro reverendi deputati chiesiastici, per opera dello stesso Lettor Giacinto se ne scelse altra coppia secolare
al novero di 50, capo de’ quali ne fu l’illustre abbate don Rosario Oliveri, de’ duchi d’Acquaviva, qui allor domiciliato, cavaliere di morigerati costumi. Tassaronsi costoro volontariamnte
ad onze 2 per cadauno e di volo si depositarono onze 100 circa.
Tra cotesta somma e le limosine de’ fedeli nonché l’aiuto spontaneo e fatica degli stessi e de’ fabri co’ loro giumenti, trasportando delle pietre, calcina e dell’occorrente necessario alla fabrica, se ne intraprese con del calore la formale erezione, che infra due anni venne innalzata e terminata di rustico, con le volte
di mattoni e gesso.
Né andò guari che piaciutagli a mons. Papé, vescovo di Mazara,
la prescelse in sua favorita, abitandola spesso spesso, e
181
con tale occasione, a proprie spese, la fé interamente coprir di
tetti e ripulirla unitamente al di lei frontespizio.
Lo intaglio del portone dell’ingresso si cavò e trasportò dalla
torre saracinesca del luogo detto Pacino. E non senza qualche
divino mistero, giacché è alludente tal denominazione alla pace,
sendo cotesta magione la opportuna mediatice della pace tra il
peccatore e Dio.
Il mentovato sac. Messina fu il primo che, sceltasi una delle
stanze, la ripulì e sbrigò a proprie spese, a suo uso e dei suoi. A
di lui esempio se ne invogliaron tanti altri e sacerdoti e gentiluomini, nonché artisti e borgesi ed a divota gara facendo lo
stsso, brevemente terminarono di tutto punto le stanze, rendendo
compiuta la casa ed abitabile, a riserba dello refettorio, che promodalmente accomodossi al di sotto, e della cappella, che amovibile fu eretta in una crociera d’un corritojo superiore.
Si aprì dunque per la prima volta ed esercitossi la casa l’anno
1783, in ricorrenza della missione, portatavi il rev. padre Serafino di Santa Maria di Gesù di Palermo, che fu bene accetto dalla
popolazione.
Ma Dio che aveva già preso a proteggere luogo così inteessante
per la salute dell’anime, animò il pio don Giovanni Ajello, patriotta dovizioso, il quale, a proprie sue spese, fé erigere, l’anno
1783, dietro l’assenso del Vescovo di Mazara (a), la necessaria
cappella, di cui riserbossi il jus patronatus per esso e suoi, scavandosi la fossa pel suo cadavere e suoi consanguinei nella medesima.
188
Nel 1790, a preghiera della popolazione, ritornò altra volta la
missione del mentovato rev. padre Serafino. Domentre davasi dal
medesimo per la prima fatta gli esercizi ai reverendi chiesiastici,
accadde in Palermo la morte del benefattore Ajello, il quale, per
sua disposizione, volle venire a interrarsi in detta cappella e così
fu eseguito, e giace il di lui cadavere nella fossa anzidetta, con
marmorea medaglia e l’epitafio seguente:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Deo populoque parthenicensi, aedem
hanc aere suo omnibus instructam numeris et aram qua in dies
sacrum peragatur ut suis sobolis hic quieturis exuviis, ex confluentium votis
(a) Mons. Papé, con decreto in data delli 2 di giugno di detto anno 1783, in forza
di lettere date in questa, ove dimorava detto monsignore ed eseguite in questa
Corte foranea il dì 3 giugno suddetto nelle quali lettere in cui va trascritto il memoriale di suddetto di Aiello e giusta la dimanda, si prescrive il patronato laicale
di detta cappella in perpetuo a detto fondatore e suoi: la sepoltura per esso, mogli
e discendenti, la comunione degli esercitati il dì del Paradiso, lo Rosario della
sera e il salmo del De profundis in quel
della buona morte e ciò in suffragio
dell’anima di detto don Giovanni, mogli e discendenti e riserbata all’Ordinario
la facoltà di visitar detta cappella
182
perpetuam obtineat pacem domino Hugone Papé, mazariensium
pontifice auspicante, aequa domini Joannis Ajello religio inauravit anno salutis reparatae MDCCLXXXIX 87
Dalla terza missione portatevi il rev. sacerdote dr. Don Simone
Manfré, dell’Alcara de’ Freddi, nel 1796, ritirato in S. Eulalia di
Palermo, venne la casa ad accrescersi di fabriche, della cucina e
del corrispondente refettorio, con quanto di necessario bisognavale.Può a miglior tempo ingrandirsi l’albergo, tant’è però che di
presente è desso bastevole e capace, forse, e senza dubbio, tra i
migliori della comarca. La conversione a Dio di tante anime traviate e massime di don Andrea Zangara e don Romeo Pareti, patriotti, devesi a cotesto tremendissimo luogo e alla divina clemenza. Il primo, con meraviglia, lo portò in età florida, robusta e
leggiadra struttura, tosatesi le chiome nella cappella, ad una
straordinaria mutazione di vita, a segno che, uscito dagli eserci87
Giovanni Ajello, con pieno senso religioso e con l’auspicio di mons. Ugo Papé, vescovo di Mazara, prescelse questa cappella, costruita a sue spese in
onore di Dio e del popolo partinicese, dotandola d’ogni occorrenza e di un altare per la celebrazione quotidiana del santo sacrificio e per dare riposo e pace perpeptua alle spoglie dei suoi discendenti. Anno 1789
189
zi, in atteggiamento dell’ultima compunzione, abbandonati i parenti, l’indomani partissi dalla capitale a vestir l’abito religioso,
sotto la disciplina del rev. predicatore Caccamo. Ma non potendo
reggere all’austerità della religiose, infermatosi con febbre etica,
fu costretto, suo malgrado, ritornare alla patria in veste chiesiastica, e finalmente, con ottima fama, finì di vivere l’anno 1798 e
venne sepolto nel convento de’ Cappuccini, con applauso universale. Il secondo poi, allor coniugato, difontagli la consorte, vestì
l’abito di san Pietro, ascese brevemente al sacerdozio, in cui riuscì edificante e pieno di zelo, sollecito alla conversione
dell’anime, predicando e dando degli esercizi spirituali, fintanto
che piacque a Dio di chiamarselo alla sua gloria, il dì
dell’Ascenzione del 1803, con della fama di uomo di Dio, e fu
sotterrato nel convento suddetto.
Godé la cappella anzidetta del catechismo cadauna domenica
dell’anno, in adempimento del contratto soggiogatorio in onze 6
annuali per di onze 20, fatto da don Bernardo Ajello, figlio del
detto don Giovanni
183
pello sborso fattogli mons. Vescovo di Mazara, don Ugone Papé
(a). Ad esso arenò il pagamento al catechista, epperò resta sospeso il catechismo anzidetto, in quanto gli beni ipotegati dal
detto Bernardo, alle dette onze 6 annuali pel credito dotale, furon retenti da donna Epifania Ajello e Bidera, di lui moglie e,
dietro la di lei morte, appropriati dai figli erdi della stessa (b).
Capitolo XX
Ven. santuario di Nostra Signora Maria SS.ma del Ponte
Il Santuario di Nostra Signora del Ponte, nonché la di lei sagra
immagine in tela, dalla struttura, architettura e disegno ci appalesano apertamente la di loro incontrastabile antichità. L’epoca
però certa di loro fondazione e pittura, la ragione per cui fu prescelta cotal contrada in cui eretto, il titolo che ne conserva, la
dimora che ivi ne tiene tuttodì l’adozione in Padrona ne gode la
popolazione e perché assunse finalmente la figura che mostra, io
sono di avviso non esser cose coteste tanto agevoli a poterle indovinare, anziché fissare costantemente.
190
Maria SS. Del Ponte
Varie fole si rapportan dal vulgo, varie nozioni intorno a ciò ci
tramanda la tradizione. Ma cose tutte, che riflesse da fino critico, da storico imparziale e sincero, donano a dividere non
v’esser nulla di positivo e risolvonsi in fola e senza alcun verosimile fondamento, a segno ché non mi è mai caduto in mente di
191
arrischiarmi con leggerezza e impostura o di autorizzarle o di
aggiungerne delle mie ingannando (imposturando) il mondo vivente e la posterità.
Per quanto gagliardo sia stato l’impegno che mi ha debitamente
trasportato ad appurar cotesto articolo che principalmente dee
interessar l’assunto di mia fatica, per quanti sudori abbia sparso
su dell’antiche carte, spolverando gli archivi e massime
dell’Abbazia, onde venire a capo de’ lumi necessari, rimontando
gli antichi secoli, pur tuttavia ingenuamente confesso che ho lavorato indarno, né mi ha toccato tuttora in sorte di arrivare alla
meta desiderata.
Sì che fra di me stesso ho andato ragionando su questo proposito
si è appunto che unicamente si potrebbe di passaggio porre in disanima se mai codesto santuario siasi stato costrutto dagli abbati
cisterciensi o d’altrui ed in qual secolo
(a) in notar Sebastiano Catalano, li 2 agosto 1790
(b) mutazione di titolo in notar Giuseppe Maria Bartolomeo, li … (sic)
184
Se dai primi ed a che fine nella rimota contrada del Ponte, lungi
ben cinque miglia del casale (allora) di Partinico (ancorché parte
del territorio) e non già nell’interno di quella o poco lungi almeno dell’abitato? E se d’altrui e a quale oggetto e perché? E perché poi appartenere alla nostra città?
Potrebbe verisimilmente sciorsi cotal dilemma con assentarsi per
poco e non va lungi dalla tradizione intesa da me nei primi miei
verdi anni da persone oneste e molto antiche e vogliamo prestar
loro fede, cioè don Francesco La Franca e don Giuseppe Coronda, che finivan di vivere il primo in età quasi di secolo ed intesi
nell’archivio dei notai difonti di questa
che forse la sagra
immagine fosse stata inventa dai monaci, in un qualche abituro
ivi prossimo, e non saria fuor di proposito quello credere nella
torre saracinesca denominata del Ponte, di cui farem menzione,
abitata forse in quei tempi lontani da persona divota della Beata
Vergine, la quale, a sua particolar divozione se l’abbia fatta effigiare con titolarla del Ponte, che vi fé sottoporre, per ragion
del luogo anzidetto, e che indi poi dai monaci, in venerazione
presceltala e designatala in peculiare Padrona di quest’altro lor
vassallaggio partinicoto, denominandola del Ponte, per darle un
caratteristico diverso di quella d’Altofonte, Padrona della terra
del Parco, su cui direttamente fu fondata, l’anno 1306, l’Abbazia
ed indi innalzatole il santuario, e lasciatala colà, onde conservarsi più viva la divozione de’ popoli e maggiormente riscuotere
della venerazione ed ossequio per la privazione e lontananza e
192
volersene nei più urgenti bisogni, come in tante altre città del
Regno costumasi e che similmente da noi si è così costumato.
Se altrimenti opineremo, parmi non potersi trovare sufficiente
ragione onde in qualche maniera convincerci. Ci è d’uopo dunque credere eretto il santuario dall’abbate dopo l’invenzione del
quadro della Signora in quel dato loco del Ponte e che ne trasse
da ciò la denominazione, analoga e allusiva benanco a quell’altra
immagine
per non urtar ciecamente in mille contraddizioni e
accostarci alla verità, e che l’epoca della di lui fondazione dovette raggirarsi nei primi anni del secolo XV o verso il 1430 circa, prima di essere stati esclusi dall’Abbazia i monaci cisterciensi e resasi dessa in commenda, data ad esteri chiesiastici o nobili
secolari e per consequente la immagine vantar più antichità del
santuario.
Tant’è che questa sagratissima Signora a ragione frenetica la devota popolazione, e ch’ella siasi dichiarata garante della medesima,
185
ha dato più fiate delle irrefragabili testimonianze, atteso ché,
implorato appena il di lei patrocinio, trasferitala appena dal santuario in città e nella cappella entro la Madrice, chi mai può lagnarsi di non esser stato esaudito, qual è stata mai quella grazia
o preghiera ch’Ella ha mandato a vuoto? Quando mai Partinico è
stata invasa da peste? Scossa dagli tremuoti? Arsa da guerra? ..
Mai, per quanto mi è toccato di sentire e scartabellar delle scritture, è venuta oppressa da ingiuste contribuzioni, da liti perturbanti i di lei privilegii, la quiete civica. Tutti favori di così degna Sovrana, di così amabile divina Padrona, in di cui gloria ed
onore Partinico le sparge il sangue.
La sua festa è annessa a quella del SS. Crocefisso, li 3 maggio di
ogni anno. La domenica in albis, giorno per Partinico il più segnalato giulivo, partono da essa ed a cavallo e a piedi delle migliaia delle persone d’ogni ceto a prendere ed associare,
coll’ultima divozione e letizia l’augustissima Imperadrice del
cielo, dal santuario in trionfo la trasportano coi fervidi evviva,
nati più dai cuori che dalle bocche, a suon di trombe e tamburi e
strumenti pastorali nella città. Il popolo spettatore l’attende impaziente fuori le mura, si gode, si piange dell’allegrezza con istupore degli esteri vicini concorsi a sì sagro e sorprendente
spettacolo. Arrivata l’immagine verso l’ore 21 nel Collegio di
Maria, ivi da quelle verginelle vien salutata colle litanie e canzoncine e la sera poi da numerosa processione di tutte le compagnie a sacco, dai regolari, dal clero e da’ gentiluomini in gala,
viene a suon di stromenti portata alla madre Chiesa.
193
In essa l’indomani se ne comincia la sagra novena caratteristica
debolissima fatica di mia divozione e ad eccitarla in altrui fatta
stampare in Palermo, dai torchi di Abate, l’anno 1790, approvata
pria da mons. Papé, Ordinario della diocesi.
Ogni sabato poi, la mattina, terminata la detta novena, per quel
tempo ch’ivi si resta la Signora Santissima, se le celebra festivamente il sabatino, composto ancora da me sul fine dell’istesso
libricino della novena, e la sera poi se le cantan le litanie. Terminata la festa dell’invenzione di s. Croce, con della tristezza,
ma con pompa non inferiore alla venuta, si restituisce dal popolo
al di lei santuario la Gran Madre di Dio e di Partinico.
Assistito tutto l’anno di un eremita stipendiato di onze 6.9 annuali, sebbene ha l’obbligo di tenervi sempre, a sue spese, accesa una lampana. Vi si celebra da regio cappellano ogni dì festivo
la santa Messa a comodo di quei abitanti
186
convicini; pell’addietro godeva egli dell’onerario di onze 14 annuali, che poi l’attual cappellano, don Vincenzo Noto ne ottenne
onze 18, in forza di dispaccio patrimoniale, dato li 29 luglio
1798, la di lui elezion precedente fu peraltro disposta in data de’
5 settembre 1796, registrata in questa li 13 di esso mese. Gli onorari suddetti si rispondono dai proventi della regia Abbazia.
Reggendo gli abbati, loro creavano l’eremita e cappellano e
l’ultimo abbate, mons. principe di san Giuseppe, ne fé la sua elezione in persona del rev. don Giovan Battista Bambina, per
l’atti di notaro don Pietro Gigante, li 13 maggio 1759. Indi, seguìta l’incamerazione dell’Abbazia, venivano eletti dal Tribunale del Regio Patrimonio. Oggidì però, dal 1799, si creano dal nostro augusto commendatore Sua Altezza don Leopoldo e, per esso, dal di lui regio Intendente, cavaliere don Felice Lioy.
A comodo del rev. cappellano, che si trasferisce colà ogni domenica o festa di precetto, se ne procacciò dal divisato rev. Noto la
concessione enfiteutica della torre saracinesca, detta del Ponte,
per gli atti di notar don Sebastiano Catalano, dalla baronessa
donna Concetta Gallo, il dì 7 giugno, 3 ind., 1800, pel tenue canone annuale di tarì 6 l’anno.
Bisognante la fabrica di ripari, fattene dell’istanze al Re, nostro
signore, gli deputati della Madonna ne ottennero lo sborso di onze … (sic)
, che vi s’impiegarono in opere necessarie e venne
di fatto ristorata l’anno 18… (sic)
, dietro il regio biglietto
del … (sic)
.
La divozione dei partinicoti, a proprie spese, costrusse in ornamento della sagra immagine, la veste, la corona, i diademi de’
laterali santi Pietro e Giovanni e i geroglifici loro, come il pon194
te, chiavi, calice, nonché il lampiere, tutti di argento. E coteste
cose vi si affiggono allorquando la Signora si trasferisce in città.
La pittura che adesso mirasi della immagine sagratissima de’
santi che la fiancheggiano non è già l’antico originale, ma una
esattissima copia, fattane il pittor don Domenico Ferrandina,
l’anno 1795, sovra nuova tela, sotto cui però giace l’antico originale suddetto, a perenne memoria, per essersi ridotto il medesimo per il lasso di più secoli, quasi da interdirsi e che appena
raffiguravansi i pinti personaggi, in quella già fracida tela, molto
più la protagonista o sia eroina.
A maggiormente decorar la Patrona, il popolo con sue limosine,
l’eresse una decente cappella ed altare nella Madrice, che adornò
187
di fini stucchi, tirati con alquanto dell’oro, e ciò l’anno 1804 e
ultimo l’anno 1807, il degnissimo arciprete in questa decorò il
pavimento di mattoni stagnati pinti.
Capitolo XXI
Iscrizioni lapidarie ovvero epitaffii sepolcrali che esistono nelle
chiese infradette
Nella Madrice chiesa:
Tredici lapidi marmorie esistono in cotesta madre chiesa, quattro
delle medesime già illeggibbili affatto, perché rosi dal tempo i
caratteri. La seguente dell’antiche porta il senso infrascritto:
D(eo) O(ptimo) M(aximo)
Vincentius Mussumeci, annorum LXII diligens sator bono
rum operum, praesertim erga pauperes in terris, nunc felix
mestor (sic) aeternarum voluptatum in coelis eius anima, corporis reliquiae hic humari jussit anno MDCXXIV, mense februarii
die X 88
Moderna l’appresso:
Sacrae theologiae doctor dominus Petrus Perrone, protonotarius
apostolicus, pastorali vigilantia sacris misteriis regis sumptibus
Partinici ecclesiam XXXV annos archipresbiter rexit, aluit, au88
Vincenzo Musumeci, di anni 62, diligente seminatore di opere buone, adesso
felice mietitore di eterne delizie, la sua anima in cielo dispose che fossero sepolti i resti del suo corpo. 10 febbraio 1624
195
xit, communi incolarum luctu ac funere platus (sic) , aetatis
LXXVII annis, nonis decembris MDCCLXXXVIII 89
Nella chiesa di san Leonardo:
Rev. admodum sacrae theologiae doctor dominus Melchior Longo Vicarius foraneus coadiutor ac matricis ecclesiae oeconomus,
dilectus Deo et hominibus, cum pietate annos LX vixisset e vita
decessit die XIV maii MDCCLXXXVI 90
Esiste detta lapide nel cappellone:
Hic jacet Maria Longo, quae annum agens LVI obiit die XXVIII
julii MDCCLVII. Hodie mihi, cras tibi 91.
Esiste detta lapide a man sinistra
Hic jacet Petrus Longo qui annum agens LXXIII obiit die XXVIII
julii MDCCLXXI 92
Esiste lapide a man destra. Li suddetti Pietro e Maria Longo furono i genitori del suddetto reverendo vicario dottor don Melchiorre.
188
Nella chiesa dell’Opera Santa, oggi parrocchia. Nel cappellone,
n. 1:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Hic tumulatus jacet rev. sac. dominus
Vitus Addotta, juvenis hilaritate vultus ingenii, docilitate et praesertim virtutum praestantia omnibus charus, annum agens trigesimum supra primum ex hac vita ad aliam, civium moerore a
Deo vocatus, octavo idus junias anno salutis MDCCLXXXVI 93
89
Il dottore in teologia Pietro Perrone, protonotaro apostolico, arciprete per 35
anni resse la chiesa di Partinico, avalendosi del sussidio regio, con pastorale
vigilanza, l’alimentò, l’accrebbe, sottratto con lutto e dolore universale all’età
di 72 anni il 5 settembre 1787
90
Il reverendo dottore in teologia Melchiorre Longo, vicario foraneo, coadiutore
ed economo della chiesa, gradito a Dio ed agli uomini, essendo vissuto 60 annicessò di vivere il 14 maggio 1786
91
Qui giace Maria Longo, che morì all’età di 56 anni il 28 luglio 1757. Oggi a me, domani a
te
92
Qui giace Pietro Longo, che morì all’età di 73 anni, il 28 luglio 1771
93
Qui sepolto giace il rev. sacerdote don Vito Addotta, caro a tutti per l’ilarità
del suo volto, la docilità, l’eccellenza delle virtù, all’età di 31 anni, chiamato
da Dio, passò da questa vita all’altra, con dolore dei cittadini il 6 giugno 1786
196
Nel mezzo - n. 2:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Suas hic exuvias d. Dominicus Messana sacerdos, sacrae theologiae doctor voluit inumari. Sic qui vivens ecclesiam hanc, omni cura vigilans instauravit animarumque fructu zelans coluit, moriens ditavit, vitae gessit annos LV,
diem obiit suum IV kalendas novembris MDCCLXXXVI 94
A sinistra - n. 3:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Futuram hic immutationem exspectat
rev. sac. d. Franciscus Guttadauro, qui zelo ac virtutum exemplo
hanc rexit ecclesiam et pro Dei gloria animarum cultu laborans,
annum agens LXXI quievit in pace, die XX martii anno
MDCCXCIX 95
In mezzo della chiesa – epitafio:
Ferma il piè, gira gli occhi e sciogli il pianto
in questa tomba ecco trofeo del fato
di Giuseppe fratel qui giace a canto
Nicodemo Salvino al ciel rinato.
Fu l’asilo a mendichi e s’ode il canto
di un tratto si gentil, d’un uom si grato
che di sorte e virtù pria visse al vanto
che nobil poi morì fama ha parlato.
Questo marmo che miri, o gran stupore!
non con l’arte di Fidia è formato
né con l’aureo stral del cieco amore.
Ma pietosa allo sposo l’ha intagliato
e lo scrisse con lagrime di cuore
un’Angela che piange il duro fato.
Obiit die 17 martii aetatis 51, 1705
189
Nell’ingresso e sotto detta tomba:
Salvato(a) giace in quest’oscura tomba
94
Il sacerdote Domenico Messana, dottore in sacra teologia volle essere sepolto qui. Così colui che vivendo ha mantenuto questa chiesa con cura e vigilanza, con zelo per le anime, morendo l’ha arricchita. Visse 55 anni e morì il
29 ottobre 1786
95
Attende qui la futura trasformazione il reverendo sacerdote Francesco Guttadauro, che resse questa chiesa con zelo e con esempio di virtù e adoperandosi per la gloria di dio ed il bene delle anime, all’età di 71 anni,riposò in pace
il 20 marzo 1799
197
finché il destin del ciel suoni la tromba.
Anno Domini MDLXXXXV (b)
XXII aprile aetatis suae
XXXVI
Nella chiesa del convento del Carmine – prima del cappellone in
una lapide marmorea altro non si vede che lo stemma del convento e sotto l’orlo di essa si legge il 1724.
In mezzo delle due porte laterali:
Antonino Montarbano eiusque uxori hanc parca
dicavit anno redempto MDCCVII 96
Sotto fiamma vital cenere ascondo
chiude una tomba in poca terra un mondo.
Nell’ingresso, posta traversalmene:
Antonina, Vincentii de Clara olim uxor quondam
Pauli, et Francisca Rappa, filia, solitudinis
amans et in cinerem se quoque cogitans
reversuram, sola hic post ex hac luce expres
sum, terrae terram reddere firmavit.
Anno salutis MDCCXXIIII 97
Nella chiesa dello spedale – dinanzi il cappellone:
D. Hjeronimo Lo Presti et Timpanello sacerdote, huius valetudinariiiam diu poenitus per inopiam deserti instauratore ac vindice praestantissimo post absolutissimum rectoris munus exercitatum per annos … (sic) admiranda charitate et pietate anno aetatis suae … (sic) ad immortales ajeunte Hieronimus ex fratre nepos et haeres, ne patrui beneficentissimi difflueret memoria illius mortales exuvias huic lapidi commendavit
(a) deve dire Salvino Giuseppe, fratello di Nicodemo
(b) deve aggiungersi la lettera C dopo la D per fare 1695, perché al 1591 la chiesa non era edificata
190
anno salutis MDC .. (sic)
96
.
Ad Antonino Montarbano ed alla sua moglie la parca ha dedicato questa.
1707
Antonina, figlia del fu Paolo, già moglie di Vincenzo di Chiara, e la figlia
Francesca Rappa, amante della solitudine e pensando di ritornare in polvere,
sola, dopo questa vita, volle restituire la terra alla terra. Anno 1724
97
198
Non jacet hic, vivit superos haud credere dignum
ob benefacta solo pellere posse polo 98
D’innanzi la cappella della Immacolta Concezione:
Rev. sac. d. Vincentius Scicli virtutibus peculiaribus exornatus
erga Immaculatam Virginem quoad potuit devotionem promovere
studuit, xenodochii ecclesiae praefectus a laboribus nunquam
destitit. Annos agens LVII, civium moerore XIV kalendas aprilis
MDCCLXXXI diem obiit supremum 99.
6 – Chiesa di S. Antonio ossia Collegio di Maria:
Dormit in hac fossa primus fundator ac beneficialis d. Antoninus
Lo Re, huius terrae oriundus, qui ex sua suorumque devotione,
ad Dei honorem divo Antonio hanc ecclesiam dedicavit. Obiit
die 27 septembris 1659 100
Dinanzi la porta maggiore:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Sac. d. Marcus Montalbano mons virtutum albus a fato immature raptus dum spiritu aetera scandit
Martinus hic moestus pater corpus tumulat. Die 25 maii 1680 101
Sopra di quella del fondatore e beneficiale:
Hunc sibi sororique amantissimae d. Vincentiae vivo Leopoldo
Saliceti ac haeredibus d. Ioannes et Crisalvi urnam posuit anno
1698 ut quos vita conjunxerat mors non dissociaret vel in tumulo
junctissimos ostenderet 102
98
Il sacerdote Girolamo Lo Presti e Timpanella, restauratore di questo ospedale, reso deserto per la totale mancanza di mezzi e suo validissimo difensore,
dopo aver esercitato la funzione di rettore per anni (sic) con ammirevole carità e pietà, si è incamminato verso l’immortalità. Il nipote Girolamo, figlio del
fratello, affinché la memoria dello zio non si disperdesse, affidò le sue spoglie
a questa lapide nell’anno 16
(sic). Non giace qui, vive, non si può credere
che i Superni possano mandare solo in cielo chi ha ben operato
99
Il rev. Sacerdote don Vincenzo Scicli, ornato di distinte virtù si adoperò per
quanto potè per promuovere la devozione verso l’Immacolata Vergine, prefetto
della chiesa di questo ospizio, non desistette mai dalle fatiche. All’età di 57
anni, con dolore dei cittadini, morì il 19 marzo 1781
100
Dorme in questa fossa il primo fondatore e beneficiale don Antonino Lo Re,
oriundo di questa terra, che per devozione sua e dei suoi dedicò questa chiesa
a S. Antonio, per l’onore di Dio. Morì il 27 settembre 1659
101
Il sacerdote Marco Montalbano, monte splendido di virtù, mentre sale al cielo, Martino, suo padre, addolorato, ne seppellisce il corpo. 25 maggio 1680
102
Giovanni Crisalvi
pose questa tomba nel 1698 affinché la morte non dissociasse
coloro che la vita aveva congiunto e li mostrasse ancora più uniti nella sepoltura
199
Dinnanzi l’altare maggiore:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Jam diu ante mortem hanc sibi paravit
urnam admodum rev. sacerdos d. Paulus Grassellino, SS. mae
Inquisitionis commissarius ac tertius huius ecclesiae beneficialis
qui vitam sexaginta novem annorum
191
pene totam virtutibus inclitam vixit, sacram istam aedem quinquaginta trium annorum regimine, situ, cultu ornatuque auxit.
Demum fatalis parcarum lex nobilem eius animam e corporis ergastulo traxit, tertio kalendas octobris 1733 103
A destra dell’altare maggiore:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Petrus Franciscus Tarallo et Oliveri
ex adae luto sane angelus, ne primae lucis crepuscula conceptis
conspersa maculis in auras erumperent, tertium vix annum attingens in immortalem angelicorum coetum quasi immortalis angelus evolavit. Die 28 augusti 1748 104
Nel coro a destra dell’altare maggiore:
Hic jacet rev. admodum sac. utriusque juris doctor dominus
Agathinus Greco, qui zelando zelum Dei occisus fuit. Anno aetatis suae 42, die nona martii 1742 105
D’innanzi l’altare dell’Assonta:
Hic tumulatus jacet sacrae theologiae doctor dominus Joannes
Bambina, patriae decor, parentum gloria, cleri totius ornamentum, doctrina non minus quam morum sanctimonia eximius ita ut
prius firmaret exemplo quos sacro erudiebat eloquio. Annos a-
103
Già molto tempo prima della morte si era preparata questa tomba il molto
reverendo sacerdote don Paolo Grassellino, commissario della SS. Inquisizione e terzo beneficiale di questa chiesa, che visse 69 anni, famoso per le sue
virtù, e per 53 anni resse questa chiesa, incrementandola nel culto e nel decoro. Infine, la fatale legge delle parche trasse la sua nobile anima dalla prigione
del corpo, il 29 settembre 1733.
104
Pietro Francesco Tarallo e Oliveri, angelo immune dal fango dell’Ade, affinché le ombre non contaminassero le prime luci, all’età di appena tre anni,
come angelo immortale volò verso le schiere immortali degli angeli. 28 agosto
1748
105
Qui giace il molto reverendo sacerdote Agatino Greco, dottore in diritto canonico e civile, che, operando per l’onore di dio, fu ucciso, all’età di anni 42, il
9 marzo 1742
200
gens LII lethali morbo correptus e vita decessit quinto idus julii
anno Domini 1787 106
Nell’urna suddetta fuvvi sepolto ancora, a 1 maggio del 1799, il
degnissimo, insigne ed esemplare sacerdote don Giambattista
Bambina, di lui fratel maggiore, il quale, con ammirabile esemplarità e zelo, resse la carica di rev. cappellano sacramentale ed
ordinario della suddetta chiesa del Collegio di Maria pel corso
d’anni 37 continui sino all’ultimo dei suoi giorni.
Sotto detto altare dell’Assonta:
Hic pius in vita sancto sic fine quievit
pauperis hoc ardens testificatur amor
192
nam moriens miseris laetus bona cuncta paravit
ossaque sola jubens huc tumulanda sua.
Onuphrius Caradonna sacerdos. Obiit die 28 januarii 1796 107
Chiesa di san Giuseppe – rimpetto la sepoltura:
D(eo) O(ptimo) M(aximo) Hic jacent Vitus Legio et Rosalia Catalano, piissimi conjuges, et pretiosa Margherita, eorum filia,
quae cum virginis flore poenitentiam aliasque virtutes copulavit,
annum vigesimum quartum attingens ad ecclesiae sponsum transivit die secundo januarii 1781 108
In mezzo al cappellone:
Rev. sacerdoti d. Salvatori et d. Raimundo Morreale et Catalano, fratribus, anno 1787, hanc urnam paravit Maria Anna eorum
mater, quae in vita amore conjuncta in morte ab eis non est separata 109
106
Qui sepolto giace Giovanni Bambina, dottore in sacra teologia, decoro della
patria, gloria dei genitori, ornamento di tutto il clero, eccellente per la dottrina
non meno che per la santità di vita, tanto che sosteneva prima con l’esempio
coloro a cui dava insegnamento con la parola. All’età di 52 anni, colpito da letale malattia, cessò di vivere il 3 luglio dell’anno del Signore 1787
107
Qui riposa un uomo pio nella vita, di santa morte. L’ardente amore verso il
povero è prova di ciò. Infatti, morendo ha lasciato gioiosamente tutto ai poveri,
disponendo solo che le sue ossa fossero sepolte qui. Onofrio Caradonna sacerdote. Morì il 28 gennaio 1796
108
Qui giacciono Vito Legio e Rosalia Catalano, piissimi coniugi, e la preziosa
Margherita, loro figlia, che unì la penitenza e le altre virtù col fiore della verginità. All’età di 24 anni passò allo sposo della Chiesa, il 2 gennaio 1781
109
Al reverendo sacerdote don Salvatore e don Raimondo Morreale e Catalano, nel 1787, ha preparato questa tomba Maria Anna, loro madre, che unita
durante la vita non si è separata da loro nella morte
201
A man destra:
Sacerdotis d. Petri Vuso, die 17 septembirs anni 1799 aetatis
suae 78 mortui cineres 110
A sinistra:
D. Magdalena Zangara et naturae et gratiae favore distincta,
terrenas nuptias contra suorum voluntatem semper renuens andem immatura morte sed meritis plena aetatis suae XXXIV annorum coelesti sponso Jesu Christo jungere se meruit undecimo
kal. Octobris anno Domini MDCCXCIX 111
Nella sagristia sotto i veri ritratti del rev. sac. dr. don Niccola
Zito ed Antonino Lo Medico esistono l’appresso epigrafi che a
loro gloria ci pare di non trascurare
193
In quello del rev. dr. Di Zito:
Rev. sac. sacrae theologiae doctor dominus Nicolaus Zito vivissimum ecclesiasticorum exemplar in scolastica et mistica theologia illustris sublimioris (sic) ditatus charismatibus, puritatis
ignis passivae purgationis et contemplationis donum (sic)
enituit, charitate Dei et zelo animarum exhestuans mirum quot filios Jesu Christi pepererit verbis et consiliis. Patientiae victima
morbos ad extremum usque tulit morte amariores, huius ecclesiae s. Josepho a fundamentis erector ac rector amantissimus.
Denique novissimum diem quem diu exoptaverat, annos agens
72, menses quinque, dies … (sic) explevit. Januarii 22, 1767 112
Nell’altro di Antonino Lo Medico:
110
Le ceneri del sacerdote morto don Pietro Vuso, morto il 17 settembre 1799,
all’età di 78 anni
111
Donna Maddalena Zangara, distinta per il favore della natura e della grazia,
rifiutando sempre le nozze terrene contro la volontà dei suoi, infine, per immatura morte, piena di meriti, all’età di 34 anni meritò di raggiungere il suo celeste sposo Gesù Cristo. 11 ottobre dell’anno del signore 1799
112
Il reverendo sacerdote don Nicola Zito, vivissimo esemplare degli ecclesiastici, illustre nella teologia mistica e scolastica, ricco di sublime carismi, brillò
per il dono del fuoco della purezza, della purificazione e della contemplazione.Acceso dell’amore di Dio e dello zelo per le anime, è da stupire per quanti
figli abbia generato a Gesù con le parole e col consiglio. Vittima di sofferenza,
sopportò sino alla fine malattie più amare della morte. Eresse dalle fondamenta questa chiesa di san Giuseppe e la resse con grandissimo amore. Infine,
all’ultimo giorno che aveva da tempo atteso, all’età di 72 anni, cinque mesi,
giorni (sic) spirò il 22 gennaio 1767
202
Antonino Lo Medico, huius ecclesiae sancti Josephi fervido benefactori grati confratres hanc eiusdem imaginem posterorum
tradiderunt 113
(sic)
8 – Chiesa di Gesù e Maria – 1790 –
Hic sepulti jacent Joseph Messina et uxor eius Maria, quorm
primus passionis Christi memoriam quotidie recolens annos 76
in pace complevit, altera moriens ne sepulcro quidem dissociari
voluit qui vivens fuerit copulata 114
9 – Chiesa di San Francesco – nell’ingresso a sinistra:
Dominus Franciscus Minaci juvenis haud minus vultus quam morum decore patriae grati ossa hic sita sunt, qui dum vix vitae
suae triginta supra quintum anni effluxerant supremum explevit
diem VII kal. Junias MDCCXCII 115
Sopra della suddetta:
Sub marmore tumulata patet Leonarda Savoca et Petrosino, quae
taedia deposuit vitae odiosae anni Domini 1705 d. 26 116
In un’altra lapide vicina altro non si rileva che il principio: Parce ulterius parca e un’altra parola: Franciscus
194
10 – Nella chiesa del convento dei Cappuccini – prossima alla
porta del sepoltura: sotto questa lapide marmorea bianca vi sta il
cadavere del barone Andrea Lelli, padre del sac. dr. don Francesco Lelli, morto verso il mezzo secolo trascorso. Dessa è rosa interamente, né altro vi si legge che il principio che dice: Hoc
Più sopra e sotto l’altaretto del beato Bernardo la seguente:
113
Ad Antonino Lo Medico, fervido benefattore di questa chiesa, i confrati hanno dedicato questa lapide, per la memoria ai posteri
114
Qui sepolti giacciono Giuseppe Messina e sua moglie Maria. Il primo raggiunse 76 anni ricordando ogni giorno la passione di Cristo, l’altra morendo
non volle separarsi neppure nel sepolcro da colui col quale vivendo si era
congiunta
115
Qui sono le ossa di Francesco Minaci, giovane di bell’aspetto, onore della
patria. Aveva appena raggiunto i 35 anni quando venne a mancare, il 26 maggio 1792
116
Sotto il marmo giace sepolta Leonarda Savoca e Petrosino, che lasciò il tedio di questa vita nell’anno 1705
203
Hic futuram resurrectionem expectat rev. pater Michael Angelus
a Partinico, difinitor capuccinus a die obitus sui 27 octobris
1789, aetatis 67, religionis 50 117
Qui devon seguire a trascriversi tanti altri epitafii sopra le lapidi
dove arrivarono quei stessi perché defunti posteriori e sino al
1823 in cui si chiuderà il presente libro che si ricaveranno dalle
lapidi nelle chiese di questa Partinico.
Siccome altre memorie di uomini dotti della città nostra che
stampato dei quali il rev. Grasso, oggi canonico della Madrice di
Palermo e le sue produzioni letterarie stampate in Palermo. Devesi in menzione della chiesetta di Bellaroto del 1822 in cui si
parla del legato di Antonino Falco per lo spedale, messa cotidiana e cappellano sac. don Antonino Proto Minore.
Infine poi devon scriversi l’indici necessari del presente libro di
storia
195
Capitolo XXII
Uomini segnalati nel servigio di Dio ed in santità
Commendabile è stato mai sempre l’ufficio di storici il far onorata ricordanza di quegli uomini insigni, che, per le loro virtuose
gesta, sonosi, a proprio onore nonché a gloria di Dio e della patria, a perenne memoria segnalati. Anche la nostra città vanta in
sì illustre schiea de’ suoi e puote degnamente andarne superba.
Di costoro, in quest’unico capitolo, brevemente darem ragguaglio, onde, a di loro esempio, infiammati da lodevole invidia,
c’invogliassimo anche noi stessi ad imitarli, ad emularli, tramandando a nostri nipoti e a’ secoli avvenire la contezza di loro
vita.
Ammirabile si fu quella nel servigio di Dio del rev. padre Francesco Scuderi. Nacque egli l’anno 1618 da Bartolomeo e Vincenza Scuderi, jugali, e fu battezzato nella nostra Madrice li 15
marzo, portando al sagro fonte il nome di Giuseppe. Di questo
sant’uomo, fatto religioso francescano del terzo ordine, non ci è
d’uopo affaticarci a tesserne degli elogi, mercé le sante virtù e
dottrina, di cui fu adorna la di lui vita in grado eminente, giacché abbastanza ce la da a dividere la lodevole iscrizione, che va
a leggersi nel ritratto in tela ed indi incisa in rame, rapportataci
117
Qui attende la futura risurrezione il reverendo padre Michelangelo da Partinico, definitore cappuccino, dal giorno della sua morte il 27 ottobre 1789,
all’età di 67 anni e di religione 50
204
il Mongitore nella sua Biblioeca Sicola, tomo I, foglio 240, nonché l’abbate Amico nel suo Lexicon topografico di Sicilia, voce
Parthenicum, il di cui tenore è il seguente:
Vera effigies servi Dei patris Francisci Scuderi, siculi a Sala
(cioè Sala Partinici) tertii ordinis sancti Francisci S. I. M. olim
diffinitoris generalis et siculae provinciae bis ministri, qui regularis disciplinae cultu assiduo crucis et verum coelestium meditatione, carnis maceratione, morum innocentia, mundi ac sui
contemptu, caeterisque religiosi hominis virtutibus ad supremum
usque spiritum exhibitis, eximiae sanctimoniae famam consequtus, Romae obiit in collegio siculo sancti Pauli de Arenula, anno
MDCCI, post mediam noctem, kalendis aprilis, aetatis suae
LXXXIV, religionis LXV, eius corpus post tresdecim dies incorruptum ac tractabile, non sine magna confluentium admiratione
seppellitur 118
Venne il suo corpo dopo di giorni 13 riposto in tre casse, tre toniche in detti giorni in reliquie a pezzi furono presi dai popoli.
La vedova regina di Giovanni III, re di Polonia, donna Casimira
Sobieschi, li famosi principi di Parma, tutti quasi gli eminentissimi cardinali di Chiesa santa,
196
i principi e primi capi della romana nobiltà e i forastieri ancora
furono i primi a venerare il difonto servo di Dio personalmente,
chi voglia poi a pieno restar inteso – delle gesta ammirabili del
nostro invidiabile concittadino, ricorra alla ben lunga storica pistola intorno alla di lui vita, venuta allora da Roma, che originalmente conservasi nella biblioteca del convento della Zisa,
fuori le porte della Capitale. Ebbi io la sorte di leggerla da capo
a fondo con mio stupore e aggradimento, pentendomi non avermela esemplata. Fummi prestata da don Pasquale Patti, cui era
stata favorita da quei Padri e ai quali poi fu tenuto restituire.
Frat’Antonio Tonica, nato e battezzato in questa nostra madre
chiesa li 3 novembre 1654, 7 ind., fu figlio di Francesco e Laurea Tonica, jugali, portando nel battesimo il solo nome di Antonio. Come figlio di povera e bassa gente, fé il mestiere di bifol118
Vera effigie del servo di Dio padre Francesco Scuderi, siciliano di Partinico,
già definitore generale dell’Ordine di San Francesco e due volte ministro della
provincia sicula, costante cultore della Croce, dedito sino all’ultimo alla meditazione delle cose celesti, alla macerazione di sé stesso, dai costumi innocenti, dispregiatore di sé e del mondo, ricco di tutte le altre virtù di uomo religioso, avendo raggiunto una grande fama di santità, morì a Roma nel collegio siculo di San Paolo di Venula, l’anno 1701, dopo mezzanotte del primo aprile,
all’età di 84 anni, 65 di religione. Il suo corpo, rimasto intatto e incorrotto per
tredici giorni venne seppellito non senza grande stupore degli intervenuti
205
co, ossia bestiamaro, in età giovanile, e fu garzone di don Santo
Migliore del Borgetto, avolo del sac. don Stefano Migliore. Fu
chiamato da Dio e dal serafico padre san Francesco a vestir
l’abito del medesimo nel convento de’ Minori osservanti o sia
sant’Antonino della capitale, in cui con fama di santità, finì di
vivere li 2 aprile 1749 e venne il suo corpo sepolto in quel convento. Dopo sei dì che fu esposto in una bara, nella chiesa di
quello, in cui concorse tutta la città, nonché la nostra, ottenendo
i fedeli, a di lui intercessione delle grazie da Dio benedetto, glorificando così egli i suoi santi, fu sotterrato, loco depositi, in
presenza di monsignor arcivescovo di Palermo, fra Giuseppe Melendez, dopo avergli il popolo tagliata a pezzi, per reliquie, più
di una tonica. Nel suo ritratto (che venne egli respinto in rame)
si legge l’infrascritta epigrafe, ossia iscrizione:
Dei servum fratrem Antoninum Tonica a Partinico, Ordinis Minorum Observantium serafici patris Francisci haec reddit effigies, qui omnium virtutum exemplum in religione effloruit, miram in beatis Virginis Mariam, quam veluti matrem suam habuit,
pietate excelluit, charitate fuit insignis et amoris in Deum potius
raptus, ex hac vita decessit, die II aprilis anni 1749, sepultus vero fuit die 15 eiusdem 119
Fra Rosario Catrini fu figlio di mastro Francesco e Giuseppa Catrini, jugali. Venne egli battezzato in questa nostra Madrice il dì
13 ottobre 1721. Fu laico de’ Minimi di san Francesco di Paola,
di famiglia nel convento
197
della capitale, fuori le mura della medesima, in cui visse con fama di santità per ben 48 anni. Macerossi con austera penitenza
per lo spazio di anni 45. Si rese ammirabile al popolo per la sviscerata altissima divozione verso Gesù Bambino, che venerava in
sua camera, colle di lui figure e nocciole, che dispenzava ai fedeli, riportavan cotesti delle grazie e talora de’ portenti nelle loro urgentissime necessità spirituali e temporali. Menò vita esemplare, piuttosto santa per lo giro di anni 66 e da tale finì per
quella in detto convento di Palermo, il dì sedicesimo di ottobre
1789, avendo avuto ancor io la fortuna di conoscerlo, di parlarlo,
di baciarli il sagro abito del santo Padre e di raccomandarmi alle
119
Questa immagine ritrae il volto del servo di Diofra Antonio tonica, di Partinico, dell’Ordine dei Minori Osservanti del serafico padre Francesco, che fiorì
come esempio di tutte le virtù, eccelse nella pietà verso la beata Vergine Maria, che ebbe come madre, insigne nella carità, si partì da questa vita come
rapito dall’amore verso Dio il 2 aprile 1749, ma fu sepolto il 15 dello stesso
mese
206
sue efficacissime orazioni. Non ebbe mai negativa a qualunque
richiesta di limosina, anzi questa veniva spontaneamente apprestatagli con generosità dai fedeli. Fu il decoro di nostra città, il
lustro del prelodato convento, l’esempio della divozione, l’onor
del suo povero casato. Tutto impiegava nel celebrar fastosi e
giulivi i venerdì del suo santo Padre, attirando in quel santo
chiostro infiniti divoti.
Il molto reverendo padre Michele Traina, del Terz’Ordine del serafico padre san Francesco nacque nei primi anni del secolo 18,
da gente oscura, ma onesta. I suoi genitori appellavansi … (sic)
Costoro, malgrado le loro ristrettezze, avvedutisi de’ singolari
talenti del ragazzo, massime della di lui potentosa memoria, si
sforzarono di applicarlo agli studi. Bastavagli leggere e udir una
sol volta qualche canzone, sonetto, sermone o predica per non
più dimenticarsela e ritenerla così rigidamente a memoria, come
correva. Ragazzo di età troppo fresca, in occasione di aver inteso
una panegirica orazione del celebre rev. padre maestro … (sic)
Ajello del Terz’ordine, predicator quaresimalista in questa Madrice, la ritenne sì esattamente che con franchezza la recitava
con energia e comica da far istupir i circostanti. Inteso di ciò, il
rev. arciprete, dr. don Giovanni Paolo Raccuglia, volle sentirlo e
raccapricciò. Dar volendo la burla al predicator, suo stretto amico, tacciandolo di plagiario, gli espose il fatto e lo riconvenne
con serietà che non gli era lecito nella Madrice di Partinico recitar le altrui produzioni, tanto vecchie quanto sapute ancor da ragazzi. Se ne lagnò l’Ajello, gli si portò il Trajna, ne udì la recita
198
stranizzò ed era capace di scoppiare in presenza dell’arciprete.
Ma scovertasi, prese tanto amore e concetto del ragazzo che seco
se lo condusse in Palermo, nel suo convento della Zisa, in cui lo
vestì da religioso e facendogli far il corso degli studi. Indi lo destinò in quel convento di Roma, in cui nelle gravi scienze, dié
saggio di strepitosa dottrina, nonché di santità. Venne ivi onorato dai Papi, cardinali e gente insigne. Arrivò alla carica di reggente di sua religione e sarebbe asceso a quella di generale se la
sua modestia, umiltà e scrupolosa coscienza non si fossero impegnate a farnelo dispensare. Portò in una mano sei dita. Ricordandosi della povera madre lontana, che, da vedova era passata a
seconde nozze con ... (sic) Jovino, suo padrigno, ne procurò sin
da Roma l’agevolazione, impegnandone un suo stretto amico
cardinale di santa Chiesa. Questi, con lettera, lo raccomandò vivamente a monsignor principe di san Giuseppe, nostro abate
commendatario. Desso, chiamato a sé il Jovino e trovatolo pove207
ro nonché inetto a sostener degli impieghi nell’Abbazia, richiestolo cosa bramava per migliorar la sua Jovanna, egli discretamente non altro implorogli se non se n. 4 buoi con dell’aratro,
tumeni 8 terre con migliara 4 di vigne in quel territorio e luogo
di Galeazzo. A tutto condiscese la generosità dell’ill.mo abbate e
fé consegnarli e assegnarli e li buoi con l’aratro e la picciola
possessione, aggiungendoi una sommetta per trafficarla. Con siffatto agevolo, si sostenne indi con la moglie, madre del nostro
reggente, in qualche comodità. Visse il Traina da circa anni 92.
Morì nella riferita Roma, veso l’anno 1780, con insigne fama di
grand’uomo di Dio e d’illustre letterato. Venne sepolto nel ridetto suo convento e pianto dagli amici e dalla letteraria repubblica.
Resterà perenne in quell’alma città e nella nostra ancora la memoria ai posteri del celebre partinicoto siciliano, il rev. padre
reggente Trajna.
Il molto rev. padre maestro Agostino Grassellino, carmelitano,
fu l’ornamento della di lui religione, l’onor di questo nostro
convento, il decoro della patria. Fu insigne in dottrina nonostante ché le sue produzioni letterarie non avesser goduto la luce co’
torchi. La maggior
199
fé chiarissimo e in cui si distinse in sua vita fu la prudenza e
l’arte di governare. Dié leggi alla religione, dalla quale fu amato
estremamente nonché dalla popolazione. Ascese degnamente alla
carica di provinciale e pe’ suoi meriti l’ebbe il Governo in tanta
considerazione che nominollo in vescovo di Mazara. Avrebbe a
ragione goduta di una tal dignità se non gliel’avesser conteso i
maneggi del suo competitore Scavo, carmelitano, che risultò in
monsignore. Morì in Licata, nel suo convento del Carmine, in
cui fu sepolto, dietro solenni esequie, il dì … (sic)
.
Il rev. sacerdote, dottore in teologia, don Paolo Grassellino, non
fu meno insigne ed illustre del fratello, il prelodato provinciale
padre maestro Agostino, carmelitano.Godé per i suoi talenti, letteatura e singolar prudenza sempre in sua vita delle cariche le
più cospicue della città. Fu Inquisitore del sant’Offizio, Delegato della regia Monarchia, del tribunale della santissima Crociata
e vicario foraneo e beneficiale della ven. chiesa di sant’Antonio
di nostra Partinico. Fu l’idolo ella medesima pe’ suoi ammirevoli tratti di prudenza. Finì i suoi giorni il dì … (sic)
1733 e fu
sepolto nella sua chiesa del beneficio di s. Antonio, sotto lapide
marmorea con suo epitaffio, come si disse nel capitolo 21 a fo208
glio 190 e similmente al capitolo 8, foglio 148, di questa parte
seconda.
Il rev.mo arciprete dr. don Giovan Paolo Raccuglia è notissimo
per la sua energica letteratura. I suoi elogii meritamente sono
stati da noi rapportati nel capitolo I di questa seconda parte, nella fondazione della regia Madrice chiesa, a foglio 118.
Il rev.mo sac. dottor in teologia e in amendue le leggi don Agatino Greco, fu degli uomini virtuosissimi e zelanti del paese.
Godé delle cariche più luminose chiesiastiche della patria. Pel di
lui zelo fu ucciso da due fucilate ed il suo cadavere fu sotterrato
nella chiesa di sant’Antonio o sia oggi Collegio di Maria, di cui
era cappellano ordinario, con epitafio, come in essa chiesa, al
capitolo 21 foglio delle iscrizioni lapidarie 191.
Il rev padre maestro Ignazio Rossi, carmelitano Ne magistrali
comizi di sua unione, celebrati nella città di Marsala, l’anno
1754, fu creato provinciale di suo ordine. Illustrò con detta carica la religione carmelitana, decorando i suoi e la patria. Superò
in dottrina
200
e nel servizio di Dio il suo collega provinciale Grassellino. Dié
alla pubblica luce, colle stampe di Aicardo, di Palermo, al 1767,
due sue opere, cioè: Il priore istruito e Il novizio carmelitano istruito. In materia di governo e prudenza non avanzò però il
Grassellino. Quegli gli fu superiore di molto. A sue spese, costrusse la mezzana campana di questo nostro convento. Morì in
esso, in cui fu sepolto il dì 24 marzo del 1770, d’anni 67.
L’epigrafe che porta il suo ritratto è l’infrascritta:
Admirabilis reverendus pater Ignatius Eliseus Maria Rossi, Partenici natus, conventus partinicensis Ordinis carmelitani provinciae sancti Angeli alumnus, sacrae theologiae magister ac doctor doctrinam quam cathedram rexit, theologorum praesertim
scolasticorum atque asceticorum abdita penetravit, plura scripto
et praelo reliquit, praeclarus observantiae regularis in tyronum
magisterio exercendo, in coenobiis restaurandis, in moderando
tota praefata provincia, in munera capituli eiusdem provinciae
gerendo tenacissimus, zelo animarum quam maxime addictus,
cum conciones quadragesimales habendo, tum confessiones excipiendo, sive quaeque monita salutis etiam pueris quotidie rudimentis fidei largiendo, in sacra meditatione assiduus, fide plenus, charitate fervidus, omni demum virtutum genere in mor209
bum incidens datis suae integerrimae vitae signis fato cessit in
suo conventu Partinici, die sabati 24 martii, anno reparatae salutisi 1760, aetatis suae 67 120
Il rev. padre Giuseppe Raccuglia, di santa Maria di Gesù di Alcamo, ammirabile in santità e penitenza. Fu desso fratel cugino
del celebre arciprete dr. don Giovanni Paolo Raccuglia. Morì
qual visse con fama di santità e in età troppo avanzata nel suddetto convento, in cui fu sepolto sotto il dì … (sic) .
Il rev. diffinitore padre Francesco Raccuglia, fratel maggiore del
riferito padre Giuseppe, dell’istess’Ordine e convento di santa
Maria di Gesù d’Alcamo, fu celebre in letteratura e sorpassò in
santitade il fratello. Austero, visse in penitenza e per una ben
lunga serie d’anni si condannò volontariamente ad un sequestro
in convento, da cui non mosse mai piede né per la città, né pella
campagna vicina. In ginocchio spese i suoi dì sempre orando e
meditando. Venne più fiate per la di lui esimia prudenza e governo, destinato in esteri conventi del suo ordine a sedarne le
turbolenze e sconcerti fra i religiosi in cui riusciva ammirabile.
Morì in età quasi decrepita, verso l’anno 1785, con gran fama di
santità.
Suora Benedetta Campo e Lo Jacono. Fu dessa la promotrice e
fondatrice del Reclusorio ossia Conservadorio dell’orfane vergini, oggi Collegio di Maria. Di questa zelante serva di Dio ci rimettiamo a quanto si è detto nel capitolo 8 di questa seconda
parte e soltanto qui rapportiamo, sebbene interrottamente e tal
quale tuttora può leggersi l’epigrafe, che porta il di lei ritratto,
conservato in detto collegio:
Soror Benedicta Campo a Partenico, virtutibus omnibus
201
120
Il mirabile reverendo padre Ignazio Eliseo Maria Rossi, nativo di Partinico,
alunno del convento partinicese della provincia di S. angelo, maestro e dottore
in sacra teologia, resse la cattedra, si addentrò profondamente nella scolastica e nell’ascetica, lasciò molti scritti e stampe, eccellente nell’osservanza regolare e nell’insegnamento dei novizi, nel restaurare i cenobi, nel guidare tutta
la provincia, nella fermissima gestione dei compiti del capitolo della stessa
provincia, dedito intensamente allo zelo delle anime, sia tenendo le prediche
quaresimali, sia nell’ascolto delle confessioni, sia impartendo i rudimenti della
fede e gli ammonimenti della salvezza anche ai fanciulli, assiduo nella sacra
meditazione, pieno di fede, fervido nella carità, famoso per ogni genere di virtù, caduto ammalato, avendo dato prove della sua vita integerrima, venne a
mancare nel suo convento di Partinico il sabato 24 marzo dell’anno della salvezza 1760 all’età di 67 anni
210
clara, praesertim zelo animarum et charitate erga proximum, divinae providentiae innixa, quae sibi in maxima paupertate numquam defuit. Fundavit conservatorium virginum orphanarum sub
strictiori regula sancti Francisci, quod tres supra triginta annos, summa cum laude, gubernans, jejuniis et orationibus infirma …(sic) demum senio confecta, non sine pietate odore obiit
anno 1729, aetatis 64 121
Antonino di Bartolomeo, mio zio paterno, abbastanza di questo
pio uomo e fondatore del Conservadorio suddetto, oggi Collegio
di Maria, si disse al capitolo 8 di questa seconda parte.
Sac. dr. don Leonardo Inglese decorò il nostro rev. clero co’ suoi
ottimi costumi e dottrina, massime nelle facoltà filosofiche e teologiche. Fu prediletto al rev. arciprete Raccuglia, che ne conosceva il merito singolare e lo volle sempre ai fianchi, in qualità
di primo cappellano sacramentale di sua madre chiesa. Visse
vecchio abbastanza e morì …(sic).
Il rev. dr. don Nicola Zito, oltre alla profonda scienza della filosofia e teologia, in grado eminente possedé la virtù dell’umiltà,
carità e povertà. Si distinse eroicamente nell’uniformità al divino volere. Fu direttore e cappellano del Conservatorio, allora
delle Vergini, oggi Collegio di Maria, nei primi tempi della di
lui fondazione. Colla di lui assistenza finì di vivere suor Benedetta Campo, fondatrice di quello. Fu venerato ed amato dal popolo, divotissimo del patriarca san Giuseppe e ne promosse la
fabbrica della di lui chiesa, che resse e coltivò poi santamente
sino alla morte ed in cui volle seppellirsi. Dovendosi viaticare,
verso le due della notte, pelle tenebre sovrastavano, sparsasi la
voce, concorse un inaspettato numeroso popolo (fra quale
anch’io), per associar il Divinissimo, tutti con fiaccole accese,
gridando giulivamente: si viatica il santo, e si vide che Dio manifestamente volle sino alla fine onorato il suo servo. I suoi elogii in parte posson rilevarsi dall’epigrafe nel suo ritratto, di cui
se ne fé menzione in questa seconda parte, al capit. 16 e nel capitolo 21, foglio 193.
Rev. padre Antonino (Patti) da Partinico
121
Suor Benedetta Campo, da Partinico, illustre per tutte le virtù, specialmente
nello zelo per le anime e la carità verso il prossimo, fiduciosa nella divina
provvidenza, che non le venne mai meno nella più grande povertà. Fondò il
conservatorio delle orfane vergini sotto la rigorosa regola di San Francesco,
che diresse con somma lode per trentatré anni, indebolita per i digiuni e le orazioni, divenuta senescente, morì non senza odore di pietà nel 1729, all’età
di anni 64
211
Rev. padre Michelangelo (Patti), Cappuccino. Vedi le loro vite
un po’ distinte nelle in202
gionte n. 7 pagine che devono inserirsi in questo luogo.
203
Merita in questo luogo farsi memoria di due fratelli germani,
poiché figli de’ medesimi genitori, nella religione cappuccina e
così divennero figli del patriarca san Francesco, di cui vita emulando, con lo splendore delle virtù e fatighe indifesse nella coltura delle anime, illustrarono la Chiesa, la religione e la patria.
Il primo a narrarne in epilogo le gesta di questi due degni fratelli
è il padre Michelangelo, come il primo frutto di due virtuosi coniugati, nominati il padre maestro Silvestro Patti e la madre Benedetta Ales ricevettero tal figlio come dono dal cielo, a dì 19
giugno 1722 ed alli 21 detto venne rigenerato coll’acque del santo battesimo dal reverendissimo don Giovanni Paolo Raccuglia,
indi arciprete della stessa popolazione, imponendogli il nome di
Gaspare. Nella bell’indole del fanciullo concorse molto la pia diligenza dell’ottimi genitori, impegnati a fargli succhiare il latte
del divino timore e l’odio necessario ad ogni ombra di peccato,
accrebbe la sorte del fanciullo nel ricevere educazione tutta cristiana la premessa di due suoi zii materni, uno sacerdote, chiamato don Sebastiano Ales e l’altro don Nicolò Ales, celibe, e di
virtù esimie, adorno di cui ne vive onorevole ricordanza in Partinico alle istruzioni di queste cautele e preghiere del Signore,
per custodirlo nemico d’ogni vizio, corrispose il da noi lodato a
segno tale che, compiti l’anni 17 di sua età, passata immune da
vizi dell’incauta gioventù, pensò ed ottenne vestirsi chierico e
novizio cappuccino nel convento del Monte, sotto la direzione
del padre Angelo della Pantelleria, a 4 luglio, gover204
nando la provincia di Palermo il molto reverendo Bernardo da…
E’ costume di tutti l’ordini regolari ed ubbidienza a decreti pontificii il stabilire per luoghi di probazione dalla gioventù osservanti conventi dalli pii esemplari religiosi, dove la gioventù ha
da provare la religione in tutte le parti e la religione ha da esaminare in tutti punti, se li neofiti si stimano atti a portare il peso ed a vantagiare la religione. Però si pratica di delicatezza in
questo articolo di noviziato dalli padri Cappuccini, per indottrinare li novelli soldati di Gesù Cristo nel dare morte all’uomo
212
vecchio e crocifiggere la carne con tutti li vizii e concupiscenza,
per poi così vestirsi con lo spirito di Gesù Cristo non è facile a
capirsi.
Vestito alli 8 luglio 1739, commutando il nome di Gaspare in
quello di fra Michelangiolo, si pretese dare morte totale all’ uomo vecchio, per far risorgere il nuovo, nell’imitazione di Gesù
Cristo e del santo patriarca Francesco e fu tale la compita vittoria ottenuta sopra 3 nemici dell’uomo che in breve tempo superò
provetti suoi compagni e si rese l’ammirazione degli anziani padri edificante famiglia, ma quello è più ammirabile da notarsi in
quest’uomo tutto regolato dalla legge dello spirito ed è la sua
special divisa in 50 anni che visse in religione, niente variò in
sé le regole massime d’un novizio cappuccino e con questo sol di
vario che in quel primiero anno di religione erano d’adulto le
virtù.ma nel decorso di 20 lustri si videro virtù mature e consumate lodare in lui il silenzio, la temperanza, l’osservanza regolare, l’orazione, la delicatezza nel rendere a Dio custoditi li 3
voti la pazienza, la carità e tutto quello che compone l’uomo
205
to, la modestia poi esteriore, la bassezza sempre delle sue pupille, dentro e fuori del chiostro, lo faceano rispettare da ogn’uno,
come religioso di gran perfezione.
Non ammette questo breve dettaglio dar contezza di sua prolungata orazione e replicate visite innanzi il Santissimo Sacramento,
di giorno e di notte, la divozione nel celebrare il s. sacrificio
della Messa, l’amor tenero e forte a Gesù Crocefisso, le lagrime
spargea parlando di lui spesso nelle prediche e catechismi, la devozione alla gran Madre di Dio, al patriarca san Giuseppe, al
principe san Michele, al padre Francesco, all’Angelo custode ed
innumerabili santi del cielo era di cuore ed edificante.
Fu de’ migliori predicatori di sua provincia, per 38 anni non intermise l’esercizio della predicazione, fatigando, con prediche
quaresimali, missioni, esercizi, novene, catechismi, discorsi familiari, convertendo l’anime col suo zelo, esempi di santità, preghiere fervorose che facea e pregava
del Signore di pregare
pella conversione de’ peccatori.
Fu sempre alieno d’ambizione e d’ogni aura di prelature, più
volte con preghiere si pensò accettarle e per un triennio indossarsi la guardiania del convento di Partinico, vi fu di bisogno
dell’autorità del superiore maggiore, per obbligarlo in quel tempo passò in visita da Partinico il generale padre Erardo da Radkepargh a 12 dicembre 1771 e ne rimase edificatissimo e contento della virtù del padre Michelangelo guardiano pello stesso
spirito di bassa
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206
cognizione di sé stesso invitato dal rev.mo padre Girolamo da
Caltanissetta, procuratore generale dell’Ordine per andare in
Roma per uno dei suoi segretari, l’espose la sua inabilità e pregò
di scusarlo. Similmente monsignore Ugone Papé, vescovo di
Mazara lo chiamò per volerlo presso di sé, da teologo, ma tante
l’espose di ragioni per disbrigarsi dall’onore compartir volergli
il zelante prelato, che per non affliggerlo cedette alle preci del
padre Michelangiolo.
La Provincia tutta, congregata in Palermo per il capitolo provinciale, l’anno 1789, deliberò voler diffinitore. Il padre Michelangiolo pregò, pianse amaramente innanzi il padre provinciale per
lasciarlo nella sua semplicità, ma non furono ascoltate le sue
suppliche onde, a pieni voti, venne eletto primo diffinitore e forse sarebbe stato eletto provinciale nell’istesso capitolo, se non
rifiutato avesse la voce passiva al provincialato.
Da uomo adorno di doni celesti, di discrezione di spiriti, di spirito di profezia, come s’attesta da diversi penitenti e, sopra tutti, il
canonico di Mazara don Vincenzo Messina, nel fare il motivo fiscale dopo la morte del padre Michelangelo, se conveniva prendersi informi sulle grazie e miracoli appalesavano ottenuti da
Dio, pelli meriti del padre Michelangelo, si espresse col suo voto: discretione spirituum, dono prophetiae imbutum ego ipsa testor.
Finalmente il Signore lo tolse da questa valle di lagrime e per
rimunerarlo co’ premi eterni, come piamente si crede, finì dunque di vivere in questa mortale vita per vestire l’immortalità nel
cielo, il 21 ottobre 1789, di anni 67 e mesi e di religione anni 50
e mesi. Li suoi funerali furono celebrati con concorso
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di popolo, lagrime ed encomj alla santità del defonto, a quali
concorse la voce del cielo, compartendo grazie e prodigij segnalati a diversi, che invocarono la protezione del servo di Dio, in
casi di gravissime urgenze, dal racconto de’ quali mosso il zelo
di monsignor Papé, vescovo di Mazara, commorante allora in
Partinico, volle che giuridicamente si ricevessero l’attestati di
quelle persone favorite da Dio, per l’intercessione del padre Michelangiolo. Effettuate le deposizioni di 30 in circa persone delle grazie ottenute, ordinò il divisato prelato, col voto di sua corte
vescovile, di collocarsi il cadavere del padre Michelangelo in
luogo distinto dagli altri cadaveri e che venisse custodito in una
cassa con tre serrature, dividendo le chiavi al vicario foraneo,
214
giudice del luogo e guardiano del convento e tutto si eseguì li 2
luglio 1790, coll’assistenza del reverendissimo vicario don Melchiorre Longo, suo mastro notaro, con altri quattro reverendi
preti venne tolto il cadavere dallo scolatoio, riconosciuto per tale dalli divisati sacerdoti e vestito dell’abito religioso, si ripose
nella chiesa sotto un altarino del beato Bernardo, dirimpetto il
pulpito e corrisponde alla parte destra o sia corno dell’evangelo,
coprendone la superficie una lapide marmorea con questa iscrizione: Hic futuram resurrectionem exspectat rev. p. Michel Angelus a Partenico, diffinitor capuccinus a die obitus sui 27 octobris 1789, aetatis 67, religionis 50.
208
Notizia del padre Antonio Maria da Partinico.
Non meno degna d’eterna lode è la vita e morte del padre lettore
Antonino Maria da Partinico, fratello minore del padre Michelangelo e quarto del numero de’ figli delli sopra lodati genitori,
mastro Silvestro Patti e Benedetta Ales.
Nato costui a 20 ottobre 1733 e nel ricevere la grazia del santo
battesimo le fu imposto il nome d’Angelo, che, per quanto fondatamente si pensa e conservò sempre inlesa la prima grazia e
corrispose con la buona vita a far onore all’eccellenza del nome.
Non compìto il primo lustro di sua età, ritrovandosi sotto
l’educazione de’ zii materni, cadde gravemente ammalato e ridotto in pericolo di morte, li suoi parenti al sommo mesti supplicarono il padre san Francesco d’Assisi per mediare li suoi meriti
appresso il Signore ed implorare la salute del fanciulletto infermo, se così ridondasse a gloria dell’Altissimo, cosa invero ammirabile non passò molto che il fanciullo infermo, chiamati a sé
li suoi parenti, l’esprime che san Francesco l’avea ottenuta la
sanità, a condizione però di volerlo, da quell’età stessa, vestito
cappuccino. Ben volentieri venne accettata la condizione e pregato il padre guardiano de’ padri Cappuccini a compiacerlo e
questi, formato un abitino d’albagio, al costune de’ Cappuccini,
lo presentò
209
all’infermo, che, in vederlo, si rallegrò a segno, onde, cessata la
febre, svanì pure ogni timor di morte e occorrendo dopo giorni la
festa dell’Immacolata Concezione della Madre santissima, con
sollenità nella chiesa de’ Cappuccini, fu vestito dell’abito santo
benedetto da quel guardiano d’allora e da quel tempo in poi venne chiamato col nome di frat’Angelo.
215
Era edificante la veduta di questo fanciullo, che vestiva la ruvida
lana sopra l’ignuda carne, scalzo ne’ piedi e cinto di fune davasi
a vedere ne’ costumi d’età provetta, cioè modesto, devoto, ubidiente, mortificato e con aborrimento tale alli danari che in anni
9 che portò addosso per devozione la serafica insegna, non volle
nemmen maneggiarli. Iddio O(ttimo) M(assimo) lo prevenne con
le sue dolci benedizioni, arricchendo di doni l’anima di questo
innocente fanciullo con la grazia di curare infermi e di predire il
futuro, in tale guisa che il rev. don Giovanni Paolo Raccuglia,
arciprete di Partinico, uomo dotto e di fino disciernimento, volle
esaminare diverse persone favorite dal cielo, poiché raccomandate a frat’Angelo e da lui benedette, rimanendone soddisfatto,
formava concetto di qualche cosa di grande dovea ammirarsi
nell’adulta etade e convenia con quel detto: quis putas puer
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iste est?
La presenza, la docilità, la grazia del dire, la prontezza della
memoria, doti che facean le convenisse il nome d’Angelo, concorsero a fargli rappresentare panegirici nella chiesa de’ Cappuccini del Monte di Trapani d’anni 7 e nella chiesa del Collegio
di Maria di Partinico il giorno di s. Antonio di Padova, ivi titolare, ritrovandosi presente mons. Giuseppe Sella, vescovo di Mazara, in premio di ciò lo convitò a sua tavola e le conferì due ordini minori e lo costituì esaminatore dei chierici ordinandi.
Un esemplare sacerdote commorante nella terra di Palma, per
nome don Rosario, zio della madre di fra Angelo, ritrovandosi in
Partinico in casa della sorella ed ammirata la condotta del pronipote cappuccinello, volle lui stesso assumersi l’educazione tanto
delle lettere e vie più de’ costumi. In Palma dunque dimorò anni
3, dopo li quali, per l’accaduta morte del zio sacerdote don Sebastiano Ales, venne premurato da’ propri parenti a far ritorno
alla patria e così in età d’anni 14, svestito dell’abito di cappuccino, comparve vestito da chierico secolare in Partinico, la di cui
presenza mitigò in parte la pena de’ suoi per la perdita sofferta
e, riflettendo al desiderio de’ consanguinei di
211
volerlo in casa prete secolare, vi condiscese e, supponendo fosse
la voce del sangue per disegno di Dio, ma un misterioso segno
del padre san Francesco che solo querelavasi del furto premeditato e che con l’abito di cappuccino a forza lo vestiva, lo rese
cosante nell’abbandono del secolo tuttoché forza se fosse superare li grandi ostacoli dalla parte de’ suoi più cari e molto più le
216
tenere insinuazioni della vedova genitrice desolata per la perdita
del fratello sacerdote in vece di cui sperava succedere tal figlio,
conosciuto però poi dalla ferma risoluzione del lodato giovinetto
il divino volere offersero al Signore ogni senso di dolorosa separazione ed al convento dei Cappuccini del Monte di Trapani
permisero avviarsi con li debiti requisiti.
Compisce il noviziato sotto la disciplina del padre Francesco da
Caltabellotta, con reciproco compiacimento della religiosa famiglia e sua, fece la professione alli 8 dicembre 1750 e, dietro li
soliti interstizi dell’ordine, venne assegnato studente del molto
reverendo Francesco da Canicattì, rinomato missionario, con
vantaggio della Chiesa, dello Stato e di tutta la società che li
belli talenti per le lettere fossero adorni di virtù e principalmente
della purissima fede, vivendo con la sua massime uno di tali sog212
getti era il nostro frate Antonino (in tal nome commutò quello di
frat’Angelo) alla buona volontà uniti la memoria felice
nell’imparare tutto facilmente e con fermezza e l’intelletto pronto e vivace nell’apprendre le scienze ed equilibrarne sino in fondo le ragioni, onde, dopo compìto il settennio nello studio passivo di filosofia e teologia, passati pochi anni in segreteria del padre provinciale da giovinetto, eletto fu lettore di teologia nel
convento di Palermo, elasso il tempo della lettura, passò in Caccamo a governare da guardiano quella religiosa comunità e alla
Congregazione seguente fu destinato guardiano in Partinico.
Quasi di volo si è accennato il passaggio del nostro lodato concittadino dal secolo alla religione e li progressi da religioso cappuccino sin all’anni 20 di religione nei quali non mancò di predicare in cinque anni il suo formato quaresimale, tuttoché impiegato sempre in laboriose cariche da’ suoi superiori.
Più della natura l’abellì con doni suoi la grazia, alla quale egli,
qual servo fedele, corrispose moltiplicando li talenti, chi avido
d’apprender da lui le virtù necessarie per un religioso, che, a
gran passi, s’inoltra all’eminente perfezione evangelica legga li
manoscritti di sua provincia e
213
ne resterà pienamente convinto, ma passare non si deve sotto silenzio l’eroica sua pazienza che, a detta dell’apostolo san Giacomo, forma, abbellisce, dà l’ultima mano alla perfezione, patientia opus perfectum habet: il Signore lo purificò come oro nel
crogiolo nello spazio di 4 lustri, maggiormente nel giro d’anni
15 e mesi, rendendolo capace di tutti li dolori e privo
217
d’occorrere a sé con tenue sollievo, diverse infermità sofferte in
anni 4 lo colpirono finalmente sin a farlo divenire in tutto attratto in tutto il genere nervino, eccettuati il cerebro e la lingua,
chiamato da’ medici tal morbo tetano.
Situato nell’infermeria de’ Cappuccini di Palermo, impossibilitato a far moto da sé con qualunque senso, ma li sensi tutti visitati
da dolori reumatici, auricolari, postemazioni, d’acre scorbuto per
tutta la bocca, senza dargli altra tregua che di più o di meno acerbi, ma quello sembra sorprendente era vederlo roso dal salsedine copiosa ed estesa per tutto il corpo, senza che con la sua
mani potesse mitigare l’ardori, accrescevano l’atrocità del patire
le mosche che le passeggiavano sopra il volto, insetti che le
camminavano sopra
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per tutto il corpo, cimici, pulci e zanzare che le rodeano le carni
giorno e notte, malgrado ogni diligenza e carità le veniva usata
per esentarlo da tali inesplicabili molestie, or in un vivente, che
rappresentar potea l’immagine d’un’anima purgante e pativa la
pena pur dell’immobilità, Iddio Signor nostro l’arricchì di pazienza tale che fu lo stupore di quanti l’ebbero a trattate, ecclesiastici, nobili, professori e persone d’ogni ceto, convenendo tutti d’aver veduto un nuovo Giobbe, un eroe di pazienza.
Ma quello è più ammirabile che pativa tanto non solo formato al
divino volere, ma sempre ilare, a segno che confortava li tribolati che l’andavano a visitare e solea dire che il Signore aveva toccati tutti li tasti del suo corpo, ma vi avea lasciati per sua pietà
la mente serena ed allegro il cuore, anzi di più pregava il Signore di arricchirlo di pene maggiori ed estenderle (se fosse di lui
piacere) sin al giorno del giudizio universale, credendole ed apprezzandole per misericordia del Signore.
Iddio però O(ttimo) M(assimo), che mette fine alle fatighe de’
servi suoi, dopo d’aver raffinata l’anima bella del padre lettoreAntonino, in mezzo l’ardori di tanto patire
215
nel corso d’anni 15 e mesi di sì doloroso martirio, lo chiamò a sé
il giorno 9 giugno 1789, d’età d’anni 55 e mesi, di religione 38 e
mesi. Appena divulgata la morte nella città di Palermo, vi concorse nella chiesa dei Cappuccini molta gente d’ogni ceto, rimase insepolto il cadavere giorni 3, vedendosi flessibile e come incorrotto, se le fece nelle vene de’ piedi, dopo l’ore 15, due salassi chirurgici e mandò per più ore del sangue vermiglio ed il Signore onorò li funerali del suo servo con segni e prodigi, delli
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quali informato don Francesco Ferdinando Sanseverino, arcivescovo di Palermo e Monreale, motu proprio, volle che il cadavere si riponesse in luogo distinto e discreto che fosse, venisse collocato in cassa legata con rame filato e tre sigilli in cera di Spagna, soggiungendo al suo ordine le parole notate nel libro di Ester Hoc onore condignus est quemcumque Rex volueri onorare,
e tutto fedelmente si eseguì, avendosi fatta la revisione del cadavere formalmente dal canonico Archina, maestro notaro e Corte
arcivescovile, nel mese di febbraio 1790, si ripose dentro una
cassa come sopra in chiesa, nella cappella del Crocefisso e beato
Bernardo al
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lato sinistro dell’altare, in quel luogo stesso che giacette per un
secolo conservato il corpo del beato Bernardo da Corleone, martire di penitenza, postavi sopra quella lapide stessa adoprata per
il corpo del sopradetto Bernardo ed or adattato su di questo martire di pazienza, con la seguente iscrizione: Hic jacet p. f. Antoninus a Partinico, concionator capuccinus, qui obiit die 9 junii
1789.
202
Il chierico don Emanuele La Perna, fratel cugino di mia moglie,
donna Anna Gerardi e Terruso, figlio di mastro Baldassare e
donna Maria La Perna e Terruso, oriundo della città di Alcamo,
fu giovane d’illibata coscienza di amabili costumi, di volto acquistante e il di lui portamento annunziava un’anima sensibile
all’amor di Dio, malgrado il foco naturale d’una più florida gioventù. Passò i suoi pochi dì (perché di strettissime finanze e scevro di umano appoggio) in servir la Madrice, da sagristano, sotto
il governo dell’arciprete Pirrone, che l’amò sempre teneramente,
spendendo l’ore del giorno, le vere oziose, orando in un cantone
o istruendo i ragazzi nella dottrina di Cristo. Alloggiò nella
stanze della stessa chiesa, in cui finì di vivere a 14 giugno 1779,
in età d’anni 19 e ciò santamente qual visse, uniformatissimo al
divino volere, salmeggiando e intenerendo gli amici astanti e parenti ivi concorsi a vedere spirare così bell’anima di paradiso.
Venne sepolto nella stessa madre chiesa e appunto innanzi
l’altare attuale della Signora Assonta, in un fosso fatto apposta e
in una cassa con un cartoccio in un piombo, in cui scritto il di lui
elogio tessutogli meritamente l’eruditissimo sacerdote dr. don
Vito Bonura, allor cappellano sacramentale e suo direttore, oggi
arciprete della Gibellina. I ragazzi dell’uno e l’altro sesso della
città, attesa la di lui santa fama, assistirono al di lui funerale,
219
portanti fiori e pampane in letizia, togliendogli dei capelli in reliquie.
Don Nicolò Ales, figlio di don Stefano e donna Caterina Ales,
jugali, nato in questa e battezzato a 18 luglio 1706. Visse sin da
ragazzo di timorata coscienza, di ottimi esemplarissimi costumi,
di fina religione e di incorrotta giustizia nelle sue amministrazioni di procure di don Giuseppe Merendino e del duca Brolo
(che servì sempre fedelissimamente sino alla morte). Fu amante
trasportatissimo del santissimo Sacramento dell’altare sino a
promuoverne ed istituirne ogni giovedì la esposizione solenne
del medesimo nella Madrice (che tuttora sossiste), occorrendo
egli alle spese, che traeva in parte dalla propria sacca e tutto il
di più dalla questua praticava per la città, con bertola in collo e
vaso a mano per l’olio delle lampane. Fu altresì fervorosissimo
in divozione pella Vergine Addolorata e promotore ed istitutore
della Congregazione della medesima, nonché di detto santissimo
Sacramento (sebbene quest’ultima poi fosse dalla Madrice passata al Crocifissello e appricatasi al sacro Cuore di Gesù, dietro la
morte di suddetto di Ales). Resse più anni con integerrimo
217
zelo e vigilanza lo rendale di questo ven. rev. Collegio di Maria,
tanto riguardo alle onze 169.12 assegnategli la regia munificenza, quanto le rendite di Bartolomeo e altri pii testatori e ciò in
unione di altri due soggetti, cioè il rev. arciprete Perrone e sac.
don Giovanni Greco, che amendue deferivano interamente in lui
qual personaggio notissimo in abilità, integrità e giustizia, avendone riportata la elezione di deputati dall’illustre Conservatore
don Diodato Targiani, amministratore allora per la incamerazione di questa Abbazia e città di Partinico, in forza di lettera data
in Palermo li 8 dicembre 1769 e vi perdurò finché visse con applauso e somma utilità di detta casa del Signore. Sotto la di lui
saggia e cristiana disciplina, si educarono gli sopra esposti servi
di Dio padri Antonino e Michelangelo (Patti) da Partinico, Cappuccini, suoi nipoti, siccome il molto rev. p. Luigi (Patti), altro
terzo cappuccino esemplarissimo ed erudito. Tutti e tre ornamento di loro religione e di lui gloria. Morì li 3 luglio del 1779, con
fama di gran servo di Dio e celibe e fu sepolto nel convento di
detti padri Cappuccini.
Chierico don Andrea Zangara, figlio di don Antonino e donna
Giuseppa, jugali, nato e battezzato li 31 luglio 1767, giovane
quanto avvenente e amabile altrettanto carico d’ogni sorta di vizio e dissoluto. Non altro avea di virtuoso che una somma carità
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verso i poveri, cui arrivò a donar la propria camicia e rubare i
genitori o prestarsi del denaro onde soccorrerli. Unica vantò e di
tutto cuore, in mezzo alle sue dissolutezze e delitti, vera devozione verso la Beatissima Vergine, immagini della quale ne baciava quanto vedevane. Soprattutto era trasportatissimo per quella Signora Immacolata che si venera in la cappelletta dietro
l’Opera Santa, rimpetto la casa di don Francesco Lo Grasso, alla
quale rispondeva grani due al giorno ad una divota vicina per tenerle la notte accesa la lampana e quasi ogni dì visitavala, recitandole una sola Ave Maria. L’azione eroica, magnanima, che in
tutto il corso di sua vita praticò fu quella appunto di aver ricusata una donzella, da lui precedentemente amata e sollecitata invano, in tempo ch’ella poi vennegli a prostituirsi per una urgente
necessità e che egli soccorse, ma per tal motivo non accettò e
privossene per Gesù Cristo. Di ciò egli ne andava superbo e si
prometteva la divina clemenza. Ma fedele Iddio nei suoi servi!..
Ricompensò, come piamente dobbiamo credere, l’atto grande e
generoso, né andò guari e diè ad esempio de’ simili a divederlo
in trionfo di sua misericordia. In occasione della mission qui
portata il padre don Simone Manfré l’anno
218
1796, donna Rosa Zangara, di lui cognata, ch’egli amava cordialmente e l’astrinse e pregò a ritirarsi nella santa casa ed ivi
far gli esercizi cogli altri gentiluomini (nella cui schiera era allora). Piuttosto per lusingarla non negossele, ma dessa l’astrinse
a parola d’uomo a cui giurò poi da dovvero su l’onor suo di non
mancarle e di fatti, suo malgrado, eseguillo. Tre dì erano scorsi e
don Andrea era il giovane il più inquieto, il più indurito, il più
perverso che mai, deridendo ogni cosa e commettendo ogni ragazzata con disturbo degli altri. La meditazion della morte lo
scosse, lo persuase, l’oppresse e da lì in poi si vide in lui trionfare la divina pietà. Gli sparve l’allegria, cambiossi d’aspetto,
privossi degli alimenti (che a forza poi di ubbidienza usò parcamente), trasse quei restanti giorni penetrato da una santa melancolia, vigile e lacrimosi le notti, abbandonossi con tutta
l’effusione di un cor contrito a’ piedi del confessore, glieli asperse di calde lacrime di penitenza, implorogli in grazia recidergli l’aurea chioma innocente, ma maligno movente delle sue
dissolutezze, predicò pubblicamente ai ritirati i suoi falli, compungendo quei padri e tutti che lo sentirono. Tutto diverso da
quello che vi entrò, uscì dal santo luogo cogli altri, egli si rese il
pubblico banditore della grazia di Dio, accusando le sue scelleratezze e intercedendo perdono dell’apprestato scandalo. Camminava curvo quasi trascinandosi e macerandosi le spalle con
221
grossa maglia di ferro sino alla Madrice, basso gli occhi, fermo
la voce, non piagnolante la voce, ma sicura nell’ottenuta divina
miserazione, perdé l’alterezza naturale e vestì tutt’altro uomo da
quello era stato. Andò a casa paterna, si abbracciò intrepidamente i genitori, la cognata, la sorella e i fratelli, pregolli a scordarsi
delle sue colpe e donarle all’antica sua follia e giovinezza, non
ché a pregar Dio per la di lui perseveranza. Ringraziò con tutto
cuore la donna Rosa, autrice di sì bell’opera. L’indomani partì
per la capitale a indossare una sacra lana in qualche chiostro.
Aspirò a quello di Baida, ma ne fu rifiutato, cui egli, rassegnatissimo, rispose: ben mi sta, non ne son degno. Si volse per quello di padre Caccamo e vi fu accetto. Come in esso portossi, lo
dica Partinico che ne ambiva delle continue notizie. Avanzò in
prima i più provetti, si rese l’ammirazione d’ogni uno. Ma non
reggendo quella delicata umanità
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a quell’austero istituto, quale egli assunse rigorosamene, infermossi da morbo minacciante etisia. Fu mal suo grado costretto
da’ medici a ripigliare e respirare l’aere nativo. Ritornossene in
questa dispiaciutissimo e vestito da chierico menò vita esemplarissima e sempre uguale, spendeva i giorni in chiesa in orazioni
e divozioni, le notti in contemplazioni. Agli amici, compagni
delle sue laidezze solea ripetere: salviamoci l’anima. Nella piazza catechizzava il popolo minuto, la domenica convocava i ragazzi alla dottrina, li ammoniva dolcemente se a caso in passando sentivali bestemmiare o proferire delle parole scandalose e
scorrette. E finalmente, avvanzatosi il letal morbo e strascinatolo
al suo letto di morte, ma più che mai contento, rassegnato ed anzante, se l’aspettava, l’implorava caldamente ad un Cristo che
sempre strinse e abbracciato col quale salmeggiando rese
l’anima a Dio, come ci lasciò piamente a sperare, il dì 30 di luglio 1798, trent’uno anno meno un dì di sua vita e venne sepolto
nel convento de’ Cappuccini, in cui con allegrezza l’indomani, a
buon ora, concorse il popolo e sovra tutto una turba di ragazzi
portanti de’ fiori, con cui aspersero il di lui cadavero e feretro,
onorando in esso un servo di Dio, un portento della divina misericordia e riportandone in reliquia gli di lui pochi e corti capelli
d’oro.
Il rev. dr. don Michele Marocco, uomo veramente di Dio, religioso, esemplare, operario, profondo quasi in ogni sorta di letteratura, massime teologica e giurisperita, di finissimo criterio, di
studio indefesso, per cui ne incanutì a buon ora, felicissimo a
sciorre qualunque intricata quistione, resse sempre con decoro il
222
Vicariato foraneo di questa, resse da deputato l’interessi e da direttore le coscienze delle vergini di nostro Collegio, prima Conservadorio. Fu esaminator sinodale di Mazara, dai di cui Vescovi
altamente per suoi meriti onorato e distinto, concorse all’ arcipretura di questa città, ma per la sua decrepitezza ne venne preferito il suo unico competitore Bordonaro. Visse anni 84, ma
senza sorte e indebitamente attrassato. Morì li 8 ottobre del 1796
in fondo di una estrema miseria, ma sempre umile, paziente, uniformato. Ciò malgrado vive e vivrà eternamente nella nostra
memoria, a decoro di nostra città. Il suo cadavere giace sepolto
nella Congregazione di Gesù Maria, di cui fu padre, cappellano e
direttore.
Il rev. padre Gio. Francesco Cannizzo, de’ Minori Osservanti nel
convento di Baida, fuori Palermo, religioso di buone lettere, di
vita pia, cristiana ed esemplare, si distinse però nella contemplativa e austera negli ultimi venti anni circa di sua decrepitezza e
la chiuse santamente con fama di santità. Va sepolto contradistinto in detto suo convento sin dal 1800 circa.
Il dr. don Pietro Rosso, chiesiastico dotto, zelante, penitente. Si
distinse in carità, massime cogli malati, perché infermiee e cappellano di questo spedale. Divotissimo de
dell’altare e della
Vergine Signora Immacolata, ai di cui nomi piangeva con tenerezza ed ossequio. Morì molto vecchio e in età d’anni 84 l’anno
1782 e fu sepolto nel venerabile convento del Carmine.
220
Capitolo XXIII
Uomini illustri in letteratura, professioni ed arti
D. Tommaso Giacona trasse i natali nella nostra città, battezzato
il dì primo luglio del 1717, figlio dell’illustri don Giuseppe e
donna Rosa Giacona, ossia Cachon y Narvez. I nomi sortiti al
sagro fonte del neonato bambino furono appunto, da quel che ritenne, di Tommaso e di Giuseppe, Giovanni e Illuminato. Carico
di onori, si stabilì indi cresciuto nella capitale, sostenendo delle
cariche illustri e luminose, come quel di Vicario Generale, di
Deputato del Regno, di Senatore tre volte di detta capitale Palermo. Godè de’ titoli di Marchese Salinas, di Duca di Sorrentino e fu appunto colui, in qualità di Giurato, che introdusse i fanali nel Cassare, che in di poi si disposero per la città. Finì di
vivere a 21 marzo dell’anno 1784. Le di lui ceneri vengono de223
corate da un’urna nobile marmorea nel convento di Santa Maria
di Gesù di detta città, loco del suo sepolcro, animato dal seguente epitafio:
Thomae Cachon y Nervaez, duci sorrentini, marchioni Salinas,
de familia, de patria, de Sicilia, senatoria atque aedilitia potestate, Regnique procuratione, sancte e feliciter gestis optime
merito, iniuriarum immemori, inimicorum patrono. Rosa Castelli, conjux, aeternum memoriae argumentum illacrimans posuit
anno Domini MDCCLXXXIX, ab obitu VI 122
Not. D. Geronimo di Gregorio. Questo nostro patriotta fu celebre
nell’arte notaria. Ammogliossi in Palermo e con ciò acquistò il
dritto di concorrere alla sobintranza in quella capitale. Pel di lui
talento vi felicemente e tenne la banca del Cassare, rimpetto la
piazza Bologni. Dié pubblico studio alla gioventù da graduarsi
notajo ne meno concorso l’anno di 30 apprendisti, dai quali era
stipendiato complimentato. Fra gli alri allievi, godei ancor’io la
sorte di terminare i miei studi di pratica e teoria, dietro quelli
appresi da mio padre, e questo all’oggetto di graduarmi notajo
del 1773. Fu di stile laconico, succoso, legale nella tessitura degli atti e il collegio dei notaj onoravalo degnamente. Morì d’anni
65 e verso il 1684 in detta capitale, subentrandogli il figlio notar
don Filippo Di Gregorio
221
Il dr. Don Vincenzo di Benedetto. Fu figlio di mastro Antonino e
Caterina Di Benedetto, non patriotti. Per un imputatogli atroce
delitto, gli fu di mestieri abbandonar Partinico, sua patria. Pervenne nella Francia e, fermatosi in Mompelier, ivi apprese profondamente la chirurgia alta e bassa ed acquistò ancora la laurea.
Il suo sublime talento ed i studi frappostivi il portarono ad grado
eminente e singolare in tal genere di professione, che si rese
l’unico in Regno ed un genio. Assettati dai suoi gli affari colla
Corte, dopo più anni si restituì in questa, in cui però non volle
più soggiornare, accanto alla moglie donna Giovanna Minore, da
lui creduta complice o autrice denunziante dell’impostogli delitto. Visse a sé stesso, dietro il divorzio ottenuto, fermossi in
Termine, da dove frequentemente richiesto nel Regno, portavasi
a cure interessanti e, per ordinario, disperate, che venivano favo122
A Tommaso Cachon y Nervaez, duca di Sorrentino, marchese di Salinas,
santamente e felicemente benemerito verso la famiglia, la patria, la Sicilia,
verso il potere senatoriale e lo Stato, pronto a dimenticare le offese, protettore
dei nemici, rosa Castelli, coniuge in lagrime, pose questo monumento a testimonianza eterna nell’anno del signore 1789, sei anni dopo la morte
224
rite dall’arte e la fortuna. Si distinse soprattutto in operazioni lithotomiche, mercé le quali acquistò della fama, nonché delle
somme del danaro, che generosamente dilapidava.
Morì in detta città di Termine, quasi sessagenario, l’anno …
(sic)
Don Antonino Napoli, figlio di mastro Giuseppe Napoli, calzolaio e suonator ottimo di faotto. Protetta questa famiglia le lepidezze paterne da mons. Abate, il principe di san Giuseppe, pei
talenti che scoverse in detto don Antonino, condusselo in Palermo e lo situò agli studi della musica e comeché inclinò alla
tromba, vi riescì così eccellente che superò a buonora i suoi predecessori e si poneva ad aver la Sicilia il compagno. Le più distinte cappelle, monasteri, Madrice e palazzo ferono a gara per
acquistarlo con soldi eccedenti. Il regio teatro di santa Cecilia
vantossi di sì stupendo virtuoso. Si rese nella capitale l’unico in
genere di tromba e corno, fu apprezzato e distinto dai primi virtuosi musici teatrali d’ Italia, coll’occasion dei drammi musicali.
Si provò col celebre cantante Mazzanti intorno a fiato, questi col
canto non potè in un trillo reggere a quello della tromba di Napoli, motivo del plauso e batter di mani d’un intera platea piena
a zeppo. Fé lo stesso altra volta alla famosissima cantatrice Gabriella, ma costei se ne rese corriva, sebbene meravigliata
222
dell’arte profonda e virtù del professore. Insomma il Napoli poté, senza taccia di alterezza, vantarsi un genio del suo mestiere.
Il sacerdote dr. don Francesco Napoli, fratel minore di detto don
Antonino, con cui soggiornava in la capitale Palermo, pe’ suoi
vari meriti, dottrina e zelo, fu protetto ne’ suoi verdi anni dal
nostro illustre abbate, mons. Principe di san Giuseppe, che se lo
portò in Palermo e lì applicollo agli studi e vi riescì degno sacerdote. Fu operaio insigne nelle Congregazioni e chiese della
capitale. Dietro la morte del rev. sac. Maglietta, padre e cappellano ordinario della Vicaria di quella, occupò il di lui incarico e
si distinse sommamente, dando saggio del suo zelo e letteratura
massima nel confortar gli afflitti condennati al patibolo.
Il dr. don Antonino Greco, figlio di don Benedetto Greco. Costui
fé i suoi legali studi nella capitale, dietro cui portossi a laurear
in legge in Catania. In qualità di giudice e regio capitano, l’anno
1784, (nel governo del Senato di Palermo), governò la nostra città con lode ed ammirazione, malgrado la sua verde età. Si domiciliò indi in Palermo, coll’occasione d’essergli ammogliato con
una signora, cittadina di quella. Venne dal Governo considerato,
l’anno, 9 ind., 1802, in giudice della corte pretoriana e capita225
niale, che disimpegnò con onore. Tuttodì patrocina le cause di
questa Università, in qualità di avvocato, col soldo di onze 15
all’anno.
Don Carlo Agate (a), figlio di don Vito e donna Giovanna Agate.
Fé i suoi studi scolastici nel convitto di Mazara, adulto applicò a
quelli rituali, nella capitale Palermo, che, pe’ suoi talenti, riescì
insigne. Formò domicilio nella medesima, in cui prese moglie.
Vanta oggidì dell’onore de’ migliori ragguardevoli causidici di
quella, per le sue virtù e pell’incorrotta sua onestà, fiancheggiato
dai suoi cospicui clientoli e bastantemente assoldato. Patrocina
ancora questa Università, da cui è stipendiato in congrua. E’ amato e contradistinto dai ministri supremi, per la sua mansuetudine, dottrina e verità, dote rara in gente forense.
(a) nato a battezzato a 6 gennaio, 9 ind., 1761
223
Notar don Domenico di Bartolomeo. Padre di me notaro don
Giuseppe. Fu figlio di Niccolò di Bartolomeo e di Beatrice Maniarati, napolitana, coniugi. Il di lui padre, suddetto mio nonno,
fu cittadino di Corleone. Aspirando alle nozze d’una nipote del
vicario foraneo di essa città, che se gli negava, ardì baciarla nella Madrice dinanzi il fonte dell’acqua benedetta, mentre ella stava segnandosi la fronte (abuso sacrilego in quei tempi, per cui
poi ordinariamente dai consanguinei si diveniva al matrimonio).
Punti i fratelli della donzella, aspiravano vendicarsi dell’onta,
tentando la vita di don Niccolò. Dopo di essersi occultato, bisognò involarsi dalla città e dal Regno e trasferirsi in Napoli, ove
dimorò parecchi anni. Ivi contrasse sponsali con detta Beatrice,
da cui ebbe tre figli: l’uno di nome Niccolò, come lui, l’altro
Domenico (mio padre), e la terza Chiara. Domenico nacque in
Regalmuto, paese di nostro Regno, mentre era di passaggio, che
restituivasi mio nonno con la moglie e primogenito alla patria.
Venne battezzato in quella Madrice, li 30 dicembre, 4 ind., 1695,
e riportò i nomi di Stefano, Michelangiolo, Domenico, che poi
ritenne. I padrini furono Michelangelo Zulumello e Anna, moglie
di Santo Macaluso, alias Spezzapani. Fu di talenti vivaci, applicò agli studi di grammatica latina, italiana e retorica, in cui riescì felicemente e fu ammirato in Corleone. Da ivi, in età di anni
13, fu richiamato da Antonino di Bartolomeo, zio paterno, in
questa Partinico, che lo mantenne in casa e applicollo alla contadoria (che bisognava alla casa di mercatura di don Antonino) e
indi poi alla profession di notaio, sotto la disciplina di notar
Giuseppe Di Lorenzo, cognato di don Antonino, celebre notaio
226
in questa, a cui superò di gran lunga, perfezionato poi in Palermo, sotto notar Mottola, insigne collegiale, e graduossi notaio
l’anno 3 ind., 1724, sobintrando in questa l’anno 1726. Ammogliossi tre volte: la prima in donna Antonina Ales, da cui ebbe
cinque figlie femine, dalla seconda, donna Rosaria Vajola, palermitana, bellissima vedovetta, che, per la di lei rara avvenenza
e portamento, ambita da un armajo non corrisposto, venne per
mano di un sicario, in età di anni 29 uccisa da un pugnale, un
dopopranzo de’ 20 agosto, mentre la infelice godeva a veder giocare il marito e compagni ai tarocchi. Da costei non ebbe figli e
nella terza (mia madre) Crescenza Oddo, donna punto volgare,
altrettanto adorna di ottimi costumi e prudenza, ch’egli sposò
perché amava e in ammenda di averle con un pugno cavato un
occhio, attesa la di lui natural intolleanza. Da essa n’ebbe 4 figli
e cioè: Antonina, primogenita, io, Giuseppe Maria, nato li 19
marzo 1753, epperò per festivo del glorioso Patriarca, sortimmi
lo stesso nome, Leone e Beatrice. Fu mio padre (e dico la verità
e parlo co’ miei patriotti che lo conobbero, non esagero), di umani costumi, di ottimi talenti, religioso, caritatevole, disinteressato, anzi generoso, poté chiamarsi l’antesignano la sua perizia e onestà e per grazioso carattere più lepida amata dai cittadini
224
quant’era di caloroso temperamento, altrettanto lento, pigro in
scrivendo, a segno che quasi tutto dettava ai giovani (tutto di me
diverso, perch’io tutto vorrei scriver da me). Visse né ricco, né
bisognoso, ma sempre onorato e morì in età di anni 75, con unica
malattia di scabbia, che l’afflisse per ben due anni, e ciò li 20
febbraio del 1770, con tutti i sentimenti, assistito dal rev.
sac.don Giovanni Battista Bambina, recitando il miserere, a 21
ora di venerdì. Venne sepolto in una cassa di legno, nella fossa
dell’oratorio del Carmine, di cui era confrate e notaro ordinario,
ma vivono gli atti suoi eternamente. E qui mi fo’ lecito trascrivere quanto del di lui mestiere ne intese il chiarissimo Marchese
di Villabianca, Francesco Maria Emmanuele, che conobbelo purtroppo e che più fiate vantommi la di lui abilità, favorendomi la
seguente cartolina, che estrasse dai suoi opuscoli, tomo 33 e dal
foglio 341: Notar don Domenico di Bartolomeo, pel latino eloquio, per la buona disposizione ed esattezza legale, che contengono li libri di questo notajo, si può dire di essere li migliori di
tutti quanti che ne corrono de’ difonti noaj di Partinico, si hanno questi attitati per libri maestri, esenti di ogni emenda. Così il
Villabianca.
227
Della mia famiglia poi, tra i volumi di casa, trovo il seguente notando, se sia vero, se apocrifo e come siasi non lo so. Per intelligenza de’ miei lo trascrivo cadavericamente e non mai perché mi
vanto de’ miei natali. Io son figlio di mio padre e con Metastasio
ho il coraggio di dire: rammentalo e basti, a questo ho procurato
di aggiungere: Son figlio delle mie azioni. Ecco il notando.
La famiglia di Bartolomeo fiorì nobilissima nella città di Palermo. Il primo che di lei leggiamo è Lembo di Bartolomeo, giurista, che fu giudice della Gran Corte del re Pietro II, nel 1340,
sotto il quale prosperamente visse e acquistò onze duodici di
rendita, sopra l’Università di Palermo, la qual somma in quei
tempi passava per onze cinquanta d’oggidì. Siccome altre onze
24 di rendita nel 1347, su l’istessa Università.
Ne nacque da costui Simone di Bartolomeo, che visse con molto
splendore. Ebbe per moglie la figlia di Rogier di Barleone, barone di Zulina, feudo nel territorio di Piazza. Questo feudo fu un
tempo di Giovanni Damiata che, per la di lui ribellione o disobbedienza al re Martino, egli se lo incorporò ed indi lo dié al riferito Rogiero di Barleone, nel 1390, allora giudice della regia
Gran Corte e barone
225
Bonfullura, il quale lo vendé a Guglielmo di Ajdone, che l’ebbe
confermato in detto anno dal medesimo Re, nel qual feudo vi
successe poscia Ximenio nel 1453, ed a costui Giovanni di lui
figlio, nel 1475, e poi, nel 1516, Paolo, di lui figliuolo.
Il predetto Simone di Bartolomeo ebbe dal re Martino onze 18 di
rendita annuale, sovra i beni di Guglielmo Raimondo Moncada,
al 1397. E dal re Ferdinando il Giusto l’ufficio nobile di Pretore
della città di Palermo, nel 1414, perciocché egli era cavaliere e
dottor di leggi. Procreò costui a Leonardo di Bartolomeo, che fu
non men del padre dotto nelle facoltà legali e laureato in leggi
ed ebbe l’illustre ufficio di Protonotajo del Regno e fu benanco
signore della Tarba o sia Trabbia.
Il feudo suddetto Trabbia l’ebbe concesso dal re Ferdinando III
Lombardo del campo, cavaliere nel 1375, da cui lo ricomprò
l’Università della città di Termine ed essa lo concesse per gli atti
di notar Giuliano Buonafede ad Antonio Salomone, gentiluomo
di quella città, da cui pervenne al predetto dr. Leone di Bartolomeo nel 1444, al quale dr. Leone vi successe Narduzzo o Leonardo di Bartolomeo, di lui figlio.
Da costui ne nacque solamente una figlia, che andò a marito nel
dr. Blasco Lanza di Catania, il quale fu giudice della Gran Corte
228
civile sotto l’impero di Carlo V, oggi fondo del principe di Trabia.
Questa famiglia leva per stemma gentilizio una torre merlata con
due rose, cadauna per ogni lato (stemma che tanto mio signor
padre che io nei volumi di banca apponiamo in segno a roborare
gli atti nostri)
Vanta altresì questa famiglia ad Andrea di Bartolomeo, detto il
Barbuzza, celebre giureconsulto e lettore pubblico nella Università di Bologna. Nacque nell’anno MCCCC, morì nel
MCCCCLXXVI. Ciò si rileva dalla sua effigie in stampa, rilevata da una medaglia del museo Mazzuchelliano: Garofalo panormita delineavit et incise in Roma nell’anno 1766.
Notar don Geronimo e notar don Sebastiano Cannizzo, padre e
figlio, l’uno difonto nel 176… (sic)
, l’altro vivente, amendue
veramente chiarissimi nell’arte notaria, ch’eternarono i loro nomi e gli loro istromenti son, senza iperbole, degni da torchi.
L’ultimo poi, pe’ di lui talenti, meritò il grado di regio Segreto,
che esercita degnamente
Dr. Don Sebastiano Catalano, uomo meccanico segreto medicinale, che con un empiastro da lui composto guarisce delle piaghe
e
226
aposteme, ammirabile per le spine ventose, ch’egli dispensa per
carità e favore. Da merciere arrivò, pel suo talento, sotto la disciplina di mio signor padre, notar don Domenico, ad apprendere
felicemente l’arte notaria, in cui riescì eccellente. Per la fama
che acquistò attirossi la somma clientela della città a segno di
aversi fatto in pochi anni un archivio. Lega ogni anno a trimestre
i suoi atti e superò tutti i notaj nostri colleghi e per negozio è il
primiero. Si diletta della poesia siciliana, compose e dié alla luce delle stampe del Bentivenga in Palermo un poemetto siciliano
in verso ottonario, rimato, col titolo La forficia o sia la malalingua a somiglianza del vivu mortu e ciò l’anno 1774. Fé una canzone in mia lode, in occasion d’aver io dato alle stampe, in detto
Bentivenga, la commedia di carattere titolata Gli gelosi scherniti, l’anno 1779, che si legge ivi stampata, con altri sonetti, anche
in mia lode, fattimi altri poeti. Il tenor della quale canzone o sia
ottava siciliana è l’infrascritto:
Opra un gilusu di cupidu e marti
l’arti e la forza d’aquiluni e borìa
vola Dedalu accortu in anti parti
ma attu scavu poi perdi la gloria.
E tu scrivennu in chisti pochi carti
229
di li gilusi la mischina storia
imiti a chiddu chi l’Illiadi ad arti
sculpiu a na nuci pri eterna memoria.
Don Giuseppe Patti, figlio di don Pasquale e donna Maddalena
Patti, fé i suoi studi di grammatica e retorica in Palermo e cominciò quei che perfezionò in Roma. Va tra i primi ingegneri
tuttora della capitale, in cui fissò il suo domicilio e si ammogliò.
Serve vari signori e vanta l’onore di servire ancora Sua Maestà e
il di lei secondogenito nostro padrone don Leopoldo, real commendatore della Magione, di cui è annualmente stipendiato.
Mastro Niccolò Maria Patti, insigne fabbricatore, apprese da maestro Brù, spagnuolo e qui abitatore, l’arte di costrurre i dammusi, ovvero volte di camere di mattoni e gesso, in cui uguagliò il
maestro e introdusse tanto in questa che nella capitale, in cui
fermò domicilio, e i primi che pose in assetto furono nella casina
del dr. don Stefano Ajroldi, allor presidente del Tribunale della
regia Gran Corte, e con ciò acquistossi della fama e s’ introdussero in detta capitale.
227
Francesco Maria Emmanuele, marchese di Villabianca, se non
ebbe i natali in questa nostra città, merita degna lode e annoverarsi a nostra gloria in quesa schiera, per averci somministrato
dei lumi e carte, come io praticai seco per quanto mi dei miei
per cui mi regalò dei libri, dolci e carta da scrivere e perché quasi passò i più dei suoi giorni nel nostro territorio e luogo
dell’Albragiara e Cutò, possessioni di sua pertinenza. Fu desso
insigne letterato e regio storiografo instancabile. Riguardo alla
lode del medesimo, erudizione e storia, mi apporto alla dedica e
più alle dotte note a pié di essa fatta alla nuova raccolta delli
opuscoli degli autori siciliani, tomo 6, per le stampe del Solli,
impressione di Palermo del 1793. Siccome ancora all’elogio storico (a), scrittogli e recitato in Accademia da Giovanni
D’angelo, regio abbate commendatario e signore nel temporale
di Mandanici, censore e istoriografo dell’Accademia del Buon
Gusto di Palermo, ed uno dei 40 soci ordinarj dell’Accademia
italiana, pubblicato nella capitale suddetta dalla stamperia reale,
l’anno 1802, in cui morì sotto li 6 febbraio, d’anni 82, perché
nato in suddetta città li 22 marzo 1720, sepolto nella chiesa del
convento di san Domenico, nella cappella di santa Rosalia, in un
sepolcro di marmo, colla seguente iscrizione: D(eo) O(ptimo)
M(aximo) Perpetuae securitati
230
Il canonico della Madrice di Palermo, rev. Lo Grasso Giovanni
figlio di don Francesco Ragona, nato e battezzato in questa regia
Madrice li … (sic)
Giovanni Coniglio, per la sua soprafina arte di sparar cogli archibugi e perizia nella caccia grossa e minuta, venne, nel 1799
prescelto ed onorato da Sua Maestà Ferdinando col grado di capocaccia reale, a fianco del Sovrano, nelle cacce d’inici, come
ancora chiamato in Napoli per quelle reali, in cui si fé
dell’onore, assoldato di tarì … (sic)
al giorno, oltre la divisa,
giumenta ed orzo, per cui da oscuro sovrastante oggi si trova in
ottima fortuna.
Francesco Modica, famiglia oriunda della terra di Capaci, senza
lettere, fu un prodigio della poesia estemporanea siciliana, tanto
in ottava che in terza rima, quanto in canzoni anacreontiche. Felicissimo improvvisator simile se ne può dar di rado. Le rime e
non sforzato una natural prodigiosa filosofia, un
(a) foglio 50
228
estro sempre vivo e brillante, una fantasia sorprendente, una
chiusa sempre mai inaspettata e bizzarra gli eternarono debitamente il nome, massime in canzoni di risposta, obbligate alla
stessa rima e parole religiosamene. Io l’amava assaissimo ed egli, sendo in città, ricreava la mia officina, in cui cantava da un
Pindaro, da un Anacreonte siciliano. Morì d’anni .. (sic)
,
l’anno (sic)
, avendo disposta la sua ultima testamentaria volontà agli atti miei li …(sic), di detto anno. Il suo mestiere fu di
sovrastante onorato de’ poderi dell’illustre marchese don Giuseppe Costantino, della capitale. Delle tante sue improvvisate,
mi sovvengo delle infrascritte ottave, fate in mia presenza nella
banca, dalle quali possi argomentar il di lui dono naturale poetico. Egli che amava il vino (gusto peculiare ed ordinario de’ poeti), a stuzzicargli la sete usava sovente delle ulivi e in di loro lode fecele la seguente;
Pri mia l’ulivi sunnu burgisotti
olivi asciati a la tavula mia
e vi li canciu pri picciuna cotti
e pri lu megghiu prattu chi ci sia.
S’avissi ganghi comu li picciotti
macari l’ossa m’arrusichiria
e si non fussi pri dormiri la notti
231
olivi notti e jornu manciria.
Scherzando altro giorno con un mio studente, Olivio Caronda,
nella banca, dilettante come lui di poesia estemporanea, gli richiese in canzone la figlia in moglie (altro capo d’opera in poesia, compagno al padre), a cui di botto rispose colla appresso
giocosa:
Cumpari, si vui fussivu nutro
certu vi la darìa, vi l’assicuru.
Appujria la robba a lu dinaru
e chistu chi vi dicu vi lu juru.
Ma si vui siti un surci di sularu
e non aviti na santa a lu muru
ch’aju a fari cun’ piscia calamaru
s’un aju autru ogghiu, mi curcu a lu scuru.
Don Gaetano Inga
232
Appendice
(dal volume di Giuseppe Casarrubea - Uomini e terra a Partinico, Vittorietti Editore Palermo)
Memoria per la manipolazione dei vini
Vuole il Re, che si dia alla stampa in questa Reale Stamperia una Memoria composta dal cav. D. Felice Lioy con delle osservazioni intorno a' difetti, che in generale si sono introdotti nella preparazione de' Vini nelle
due Sicilie, cogli sperimenti de' Vini da lui preparati in Marineo, e Partinico; ed io nel Real Nome prevengo V S. di questa Sovrana risoluzione,
perchè ne disponga la esecuzione.
Palazzo. 1800. Il Principe de' Luzzi Sig. Cav. Speciale Direttore della Reale Stamperia.
***
Trovai al mio arrivo in Sicilia nel 1789 il Vino di Prizzi, e quello di Palazzo
Adriano impotabile, da Maggio in poi aceto guasto, o per meglio dire una
composizione meravigliosa di cattivi odori, e sapori; m'impegnai da principio dare a quella buona gente qualche istruzione intorno al metodo da
farsi buono, e sano, ma non fui ascoltato : mia Moglie il fece anni sono a
Prizzi, gli riuscì ottimo: per tale lo presero tutti coloro, che lo assaggiarono; eppure non vi fu alcuno tra essi, che avesse provato a farne una botte con regola per proprio uso123 124.
Non mi sono mai stancato d'insistere, e di mostrare, che tutto ciò, che si
pratica colà nella manipolazione del Vino è contro il buon senso, e contro
la ragione: ne cennerò talune delle di loro insensate pratiche. Si vuol fare
del buon Vino con uve raccolte immature, e alla rinfusa; mischiando la
nera colla bianca, quella di specie precoce a maturarsi, e l'ultima a venire
a maturazione125 . Si pretende avere buon Vino senza pigiare bene l'uva,
mettendo a fermentare insieme talvolta la vendemmiata di parecchi giorni, senza comprendere, che così non può riuscire se non cattivo; conciosiacchè scorgesi chiaramente, che in tal modo, mentre una parte del liquore ribolle, l'altra non ha cominciato a darsi alcun moto pella decomposizione dell'acino dell'uva, onde incamminarsi alla formazione, e composizione del vino. Conseguentemente non essendo simultanea, dee accadere necessariamente, che dieci grappoli di uva posti in differenti tempi, e
123
L'ho detto più di una volta a miei amici; tentai di cacciare il fumo dalle abitazioni di Prizzi,
e di Palazzo Adriano, dove per introdurre le ciminiere proposi di farne costruire per modello
a spese del Re in quelle dei poveri, ma non fu possibile persuadere coloro, i quali se la presero contro di me, come se così avessi voluto togliere il beneficio del calore, che loro dava il
fumo in tempo d'inverno.
124
Dopo aver ottenuto da Sua Maestà la beneficienza (nè ho chiesta beneficienza al nostro
amabilissimo Sovrano per il bene di quelle popolazioni, che non me l'abbia sempre accordate al doppio) di prestarsi dalla Real Commenda della Magione, la somma necessaria per
le strade da Vicari a Palazzo Adriano, dopo di essersi molto travagliato a formarne la traccia, e dopo aver tutto preparato per mettervi mano all'opera, si tenne il Consiglio in Prizzi, e
fattasene la proposizione per principiarsi, i Consulenti furono tutti di voto negativo, gridando
taluni fra essi: noi vogliamo romperci il collo ai cattivi passi, e annegarci ai torrenti, se fa
bisogno, per timore di contribuire alla rata della spesa, la quale si riduceva a nulla in confronto del vantaggio, ce ne avrebbe ritratto.
125
Tra i due difetti della vendemmia dell'uva immatura, non già agresta, e la troppo matura,
è sempre meno pregiudizievole il primo, poiché si può in qualche modo riparar con l'arte,
che l'altro, ch'è irreparabile; mentre Dio solo risuscita i morti.
233
succedaneamente a fermentare insieme, mentre il liquore del primo comincia a fermentare, quello dei secondi, terzo, e così via discorrendo degli altri, va dappresso tanto disordinatamente, quanto alla fine una parte
del liquore serve di veicolo all'altra per corrompersi, e guastarsi126. Eglino
non vogliono capire che nel palmento di pietra è impossibile, che la fermentazione riesca perfetta, perciocché nel mezzo ribolle ordinariamente
la vinaccia, e negli estremi vi è appena tepore.
La forma dei palmenti è quadrilunga, di piccola profondità a cielo scoperto con evaporazione, e perdita strabocchevole dello spirito di vino, senza
avvedersi, che così la fermentazione vinosa dee esaurirsi di spirito, dee
riuscire imperfetta, ed ineguale. In verità pare, ch'essi presumano, che la
natura debba rallentare il suo corso nel processo della fermentazione vinosa a quella dell'aceto, e della putrefazione, per riguardo della di loro
ignoranza, e negligenza127.
Che dirò del loro torchio del Vino?. Forse appena è poco meglio disposto
del primo inventato dall'uomo a tal uso; e il trappeto da Vino? si paragoni
pure ad un porcile, che non si sbaglierà.
Raccomandai mille volte a quelle popolazioni l'uso del vaglio, che costa
pochi tarì, ed è quasi simile a quello, che adoprasi per la paglia, onde si
separano i grappoli dagli acini dell'uva; dimostrai loro, che mediante tal
macchinetta, appena che si fruga sopra il craticcio l'uva vendemmiata,
facilmente si esacina da' grappoli. Egli è dimostrato, che il Vino non solo
riesce delicato, ma ancora vi si risparmia a calcolo fatto il dieci per cento
nella quantità del mosto, che viene altrimenti assorbito dalla vinaccia; all'incontro col fatto vedesi chiaramente, che non solo non vi è fatica e spesa maggiore nell'adoperarsi il vaglio, ma piuttosto risparmio. Come se
avessi predicato al deserto128.
126
Spero che i miei amici di Prizzi, e di Palazzo Adriano non debbano offendersi di queste
mie ingenue osservazioni sulle di loro erronee usanze nella preparazione del Vino; giacchè
io loro presto quest'ufficio con animo di scuoterli a riconoscerli; acciocchè siano solleciti a
ripararli una volta a loro vantaggio, perché mi sono cari, e perché mi sono stati dalla Real
Clemenza del nostro amabilissimo Sovrano raccomandati. Per altro io confesso, che quelle
non sono le sole popolazioni, le quali peccano d'ignoranza, e di oscitanza su questo interessante oggetto di economia. Se si visita di parte in parte questo Regno, e quello di Napoli,
eccettuatine pochi paesi, dove ho trovato de' Gentiluomini, Sacerdoti, e Frati, i quali si sono
da qualche tempo applicati a correggere cotali abusi, che urtano col buon senso, e colla
ragione, ed hanno preso qualche sorte di gusto per le cose economiche, tutto il resto si somiglia. Infatti io, che d'ordine di Sua Maestà nel 1788 visitai la provincia di Bari, dove nacqui, e quella di Lecce, non ostante che si distinguano alquanto nella coltura fra le altre, le
trovai su questo proposito non esenti da usanze contro senso, ed ineconomiche.
127
Ottenni da Sua Maestà la grazia con Dispaccio de' 22 Settembre 1791 di stabilirsi in
Prizzi, ed in Palazzo Adriano, cona promessa anche de' premi, una Società economica per
lo miglioramento dell'agricoltura, e per lo studio della storia naturale del paese, affin di occupare utilmente i talenti di quei Sacerdoti, e Gentiluomini (e per la verità ve n'ha de' distinti); ma non ostante le mie sollecitazioni, e sin anche amichevoli rimproveri non ho potuto
ancora aver la consolazione di vedere spuntare alla luce un qualche loro pensiero per il bene pubblico.
128
Il guadagno della separazione dei grappoli dagli acini d'uva lo certificai con replicati sperimenti fatti nella Villa tra Padova, e Vicenza dalla felice memoria del mio dilettissimo, e non
abbastanza compianto, amico, e suocero D. Francesco Modena uno de' miei Maestri, virtuosissimo cristiano, e benefico economista. Or chi volesse tener conto de' due Regni dell'importo di questa pratica economica, forse resterebbe meravigliato nel trovarla quasi di un
milione di once all'anno.
234
Ma che dirò delle tine da essi adoperate per la formazione della vinaccia,
e delle botti, ove conservano il Vino? Alle corte queste formano una quintessenza stomachevole, e nauseosa; sicché, se mi fosse permesso dar
parere, ei converrebbe farne un sacrificio quasi di tutte in una baldoria, e
abbruciarle ad onore dei Santi protettori del paese. Si procede innanzi
colla stessa balordaggine nella costruzion delle cantine quasi tutte a pian
terreno in un clima così caldo come questo, dove un'ora di scirocco in tutta la sua gala è più che bastevole a guastarlo, e a corromperlo.
Si lasciano per lo più dimezzate le botti, e lungi di aver cura di riempirle,
almeno nel tempo del ribollimento ne' giorni seguenti al travaso nelle botti
del mosto fermentato, costoro sono nella falsa credenza, che anzi questo
giova a render loro il vino perfetto. infatti ho trovato mille volte le di loro
botti senza conchiume, ed allo scoverto: in somma tutto si fa a caso, e
quasi a dispetto per ridurre a meno del nulla, a danno della salute pubblica, cotanto prezioso liquore; il quale quando è ben preparato, e sobriamente bevuto, conforta, e prolunga la nostra vita, e la rallegra in mezzo ai
guai, che ci circondano; all'opposto è cagione di molte malattie sino a
rendersi micidiale.
Non basta: trattosi il Vino dalle botti, queste lasciansi vuote, trascurandosi di farle percolare sossopra, acciocchè si purgassero de' residui, e della
feccia, ed allora in poi sino alla nuova vendemmia si abbandonano aperte
alla ventura; onde avviene, che sanno per lo più di muffa, e di seccume
con gravissimo discapito della qualità del Vino, che vi si ripone nell'anno
seguente. Finalmente con sommo danno pure per la conservazione delle
botti, senza interloquire degli altri utensili, de' quali si servono per l'intera
preparazione dei Vini, i quali fanno vergogna, ed insieme compassione.
Piacesse al Cielo almeno, che i Deputati della salute pubblica vegliassero
a proibire i vasi di rame, che in diversi luoghi si adoperano, da me più di
una volta trovati vestiti di verde rame, che compone uno de' più tremendi
veleni.
E chi non vede, che in si fatta guisa senza la presunzione di far miracoli
non si potrà giammai ottener buon vino in eterno? che così nel riporsi il
nuovo nelle botti, oltreché si espone a guastarsi immediatamente, lo sfrido, e la perdita nella quantità dee essere almeno il quindici a venti per
cento; ne vi vuol meno per saturare i pori delle doghe disseccate dall'aria,
che vi penetra da per tutto, principalmente in tempo d'estate: che così restando le botti a discrezione di tutte le lordure, e del ricamo delle fuligini,
che adorna le loro cantine, che di tratto in tratto si precipitano, e vi cascan dentro, senza contare gl'insetti, sorci, ed altro, che vi vanno a fare i
loro nidi, il nuovo mosto patisce, e guastasi, gittandosi in un perpetuo lievito di putrefazione. Finalmente, che la durata delle botti debba esser cortissima, e la spesa annuale del di loro risarcimento il decuplo almeno
dippiù di quello, che altrimente avverrebbe, se vi si spendesse una
dramma di giudizio.
Si prendono essi forse cura della durata, che si conviene alla prima interessantissima fermentazione del mosto nelle tine? niente affatto. Si pesta, e s'imbotta, o pure lasciasi fermentare appena un giorno il mosto per
imbottarsi; onde il Vino riesce torbido, difficile a scaricarsi delle parti terree, grossolane, e fecciose, riesce fumoso, indigesto. Quindi si ricorre in
molti luoghi della Sicilia a purgarlo mediante vari nocivi medicamenti. È
235
qualche anno che, visitai una magnifica cantina di un ricco Gentiluomo,
ove in verità consumasi a tal uopo tanto gesso all'anno, quanto potrebbe
forse bastare a fabbricarne una casa.
A proposito mi trovava nel mese di Ottobre quì in Marineo, donde scrivo
questa Memoria, quando preparava il Vino col Valente Soprastante di
questi Regali Boschi D. Giovan Battista Sevanse. Questa buona gente si
rideva, e si burlava di me allorché venne a sapere di aver lasciato fermentare il mosto nel tino oltre a otto giorni prima d'imbottarlo: mi fecero
già il cattivo augurio, che a quest'ora l'avrei dovuto abbandonare al valente distillatore d'acquavite D. Giovanni d'Antoni, il quale per altro qui si diverte tutto l'anno alla distillazione del loro Vino guasto.
Egli è però avvenuto tutto il contrario, giacché la maggior parte del Vino
del paese, siccome essi stessi mi han confessato, si è già a questa ora
tutto perduto, ovvero corre di galoppo alla corruzione: all'incontro quello
da me preparato beesi con qualche gradimento alla mensa del Re.
Spinto dal desiderio, e da certo entusiasmo, che la provvidenza mi ha regalato pel bene della mia patria, che così anche riguardo la Sicilia, anni
sono feci un viaggio in compagnia del difonto mio Suocero, e del professore di Agricoltura Abbate Balsamo. Ci fermammo in un bello e vasto vigneto ben coltivato, appartenente ad un benemerito, ed onestissimo
Gentiluomo nostro amico, ricco negoziante di Vini. Ivi tutti tre c'impegnammo di preparare a nostro modo diverse specie di vini colle buone
regole; ma siccome i nostri affari ci obbligarono a partire senza compire
l'opera, così in buona fede ne raccomandammo la cura a quel curatolo, o
sia Gastaldo. Quale ne fu il risultato? Colui fece tutto il contrario delle istruzioni, che noi gli lasciammo: il nostro Vino riuscì pessimo; noi fummo
posti in berlina e quasi trattati da Ciarlatani129.
D'allora in poi mi contentai di farne ogn'anno alla Magione per uso della
mia famiglia, e de' miei amici, sino ch'ebbi il premio preziosissimo, ch'essendosi dato il pranzo alla Magione dal Commendatore Sua Altezza Reale il Principe Leopoldo mio Signore agli Augusti Genitori, e a tutta la Real
Famiglia, co' principali Cavalieri della Corte, e Ministri Esteri, non isdegnarono di beverlo, e di gradirlo.
Questo mi ha incoraggiato, e mi ha animato a preparare del Vino in Marineo, ed in Partenico nel passato Ottobre per servizio di Sua Maestà, e
della Sua Real Famiglia. Or come potrei esprimere il mio contento in Marineo, ed in Partenico nel vedere, che il nostro amabilissimo Sovrano ne
ha bevuto, e lo ha anche gustato. Egli, donatoci da Dio per essere la nostra felicità, giunge colla sua magnanimità, e clemenza ad approvare, e
lodare anche questa mia tenuissima opera, sino a farmi la grazia di ordinarmi di pubblicare nella sua Reale Stamperia lo sperimento.
Quindi mi fo un dovere, e gloria insieme di spiegarlo ora colla maggiore
precisione, e chiarezza possibile, ne' due sperimenti fatti in quest'anno
quì in Marineo, ed in Partenico.
Sperimento del Vino preparato in Marineo ed in Partenico, sua riuscita, e
costo.
129
Nell'affare de' Vini qualsivoglia piccola diligenza trascurata decide della riuscita non solo
nel prepararlo, ma ancora nel conservarlo, principalmente nel preservarlo dall'aria, e nella
proprietà, e convenienza de' vasi, in cui si ripone.
236
I. Premesso l'apparecchio di tutte le cose necessarie per la preparazione
del Vino, e principalmente de' tini, e delle botti abbonate, si è procurata
dell'uva nera nella contrada detta di Casachella, e Carrioli nel territorio di
Marineo, ed Ogliastro, le quali per altro non sono le migliori, e di là alla
distanza di tre a quattro miglia in circa di questo Reale Ospizio, si è trasportata a schiene di mule ne' barili: l'uva vendemmiata la giornata si è
separata da' grappoli per mezzo di un vaglio sovrapposto al tino la stessa
sera130 . Lo stesso si è praticato per fare il Vino in Partenico nella contrada di Giancaldaja, la quale non è neppure delle migliori.
II. Indi si è pigiata la uva diligentemente, sino che si è veduto, che la
massa della vinaccia non avesse acini interi, o non interamente spremuti.
III. La vinaccia col mosto si è lasciata fermentare, per mancanza di un
tinaccio regolare, in una botte coperta per sollecitare la fermentazione, e
perchè la polvere non 1'imbrattasse, questa si è riempita un palmo sotto
al coverchio, perchè colmandosi la vinaccia per mezzo della fermentazione, non traboccasse.
IV. Allora quando si è osservato, che avvicinandosi, anzi mettendosi nel
mezzo sopra la vinaccia in fermento una lucerna, questa non si è spenta131, subito si è passato nella botte il vino, avvertendo di mettere da parte lo strato superiore della vinaccia all'altezza di quattro dita, la quale galleggiando col contatto dell'aria, comincia a sentire di acido soverchio, e
se vi si lasciasse, potrebbe servire di lievito a inacidire col tempo il Vino132. Indi spremuta al torchio alla meglio leggermente la vinaccia, il Vino
130
Questo vaglio è ordito, e tramato di spago, che passa per dritto, e a traverso in un telaro
di legname pertugiato ai lati, in modo che collo spago attraversato forma dello stesso piccole figure in quadretto larghe quanto vi passi comodamente il pollice di una mano, sicché
l'acino d'uva nel rimenarsi i grappoli casca nel tino, e quelli vi restano sopra per gittarsi da
parte. I telari debbono essere dell'altezza di mezzo palmo nelle sponde, acciocchè non si
spanda versandosi su questa macchinetta economica l'uva vendemmiata co' cofani, o barili.
Non vi è bisogno di lungo discorso per comprendere questa man d'opera: due uomini si
mettono in piedi di dirimpetto vicino al tino, dove è soprapposto il vaglio, ed a misura che vi
versano i confini d'uva la rimenano, e ne frugano i grappoli, ed all'istante gli acini vanno giù
nel tino, e le graspe vi restan sopra, le quali ammucchiandosi, e sbattendosi sullo stesso
vaglio, si buttano a terra in un lato per gli altri usi economici.
131
Di tutt'i metodi di saggiare il mosto di aver compita la fermentazione, quello di approssimarvi la lucerna a' tini, e di travasarlo nelle botti subito, che quella non si spegne, è il più
semplice, il più sicuro, o almeno più adatto alla capacità delle persone ideote, che sogliono
sopraintendere alle cantine.
Potrei accennare molte altre diligenze, le quali sono avvertite dagli economisti per la manipolazione del Vino; ma ho creduto meglio di prescinderne per non uscir fuori de' limiti di una
breve memoria, ed anche a riflesso, che moltiplicandosi il ricettario all'infinito, come suol
farsi dagli scrupolosi, non si ottien niente di buono. Non vi è peggiore nimico del buono, che
l'ottimo, e guai quando i metafisici Poeti si mischiano nelle faccende della nostra vita economiche, ed anche politiche
132
Di questa utile precauzione economica mi riconosco umilmente debitore all'istruzione,
che mi ha fatto grazia darmi Sua Altezza Reale l'ornatissimo, e virtuoso Principe Ereditario.
Ma io queste stesse vinacce le ho poste anche a profitto per farne dell'aceto, che mostra di
riuscire squisito.
Sul proposito delle vinacce non sarà inutile di rapportare l'uso profittevole, che fassene in
Lombardia, e che pel Regno di Napoli, e per questo della Sicilia non dovrebbe trascurarsi.
Cavasi una fossa, come si costuma da noi per riporvi la neve, questa si riempie dopo la
vendemmia di vinaccia alternatamente uno strato di questa, ed un altro di rape pestandovisi
bene, e cuoprendosi dalla parte superiore di paglia, e fascine. Or nell'inverno questa trovasi
buona pastura per le pecore, specialmente in tempo di neve. Fra noi, ove non è ancora introdotto l'uso delle rape, in taluni luoghi invece potremo servirci delle pastinache, ed anche
237
della prima torchiatura si è unito all'altro nella botte, per accrescergli colore, e sostanza, comechè si sà, che la parte colorata del Vino si contiene
nella mucilaggine vicino alla scorza133.
V. Si è tenuta da parte una sufficiente quantità dello stesso mosto per
riempire la botte lasciata senza cocchiume ne' primi giorni del forte bollimento, sino a tre, quattro volte, e in seguito la sera, e la mattina, sino a
che a capo di 15 o 20 giorni nel cessare la sensibile fermentazione la botte si è chiusa col cocchiume esattamente, e questo si è fabbricato di gesso.
Alla fortunata occasione poi, che Sua Maestà si è conferito qui in Marineo
di passaggio nella fìne di Novembre, la M. S. si è degnata farne il primo
saggio di quello sopravvanzato in una mezza botte, anche prima di farsene la tramuta, e Io ha gradito co' Cavalieri del suo seguito Marchese
Tanucci, e Principe di ]aci. In Partenico poi nel felice incontro, che la Maestà Sua è venuta nella fìne di dicembre a consolare, e felicitare quella
popolazione colla Regina, col Principe Ereditario, e col Commendatore
della Magione Principe Leopoldo, di quel vino si è servito alla Augusta
mensa non senza applauso.
Ora che si avvicina la tramuta dell'uno, e dell'altro, e che sono più maturi,
io spero, che si troveranno di molto migliorati, e già ora si trova buono
assai. Non v'ha dubbio, che quello di Marineo fatto di uva di monte non
può avere quel pregio, che avrà quello di Partinico fatto di uve di piccoli
colli alla vicinanza del mare; e per verità, dopo che quello giungerà a perfetta maturità, avrà meglio composti i due sapori dell'acido, e del dolce, i
quali abbracciati dallo spirito a dose proporzionata compongono il Vino
perfetto.
Non mi resta ora, che a rapportarne la spesa, e '1 costo, per compire
questa Memoria, eccolo:
Per prezzo di uva carrozzate 19
once 58. 1. 17.
Spese di manifattura, ed affitto di botti
8. 15. 18.
Sommano once
66. 17. 13
Quale somma divisa a botti 15, vino risultato, viene a costare ad once
4.13.3 la botte, o sia a tarì 11.5 barile posto quì in Marineo.
Il Vino poi fattosi a Partinico dell'uva della contrada di Giancaldaja è risultato in tutto a tarì diciotto il barile.
Mi sia infìne lecito far da Profeta: subito che si spargerà la voce,che a
Sua Maestà è piaciuto il Vino fatto in regola, siccome è già noto a tutti la
protezione, e le grazie, che accorda la Maestà Sua a chiunque si occupa,
e travaglia per il ben pubblico, e il desiderio di tutt'i suoi sudditi di dargli
piacere (e qual altro piacere più delizioso pel nostro Re, e Padre, che
quello di vederci felici per ogni riguardo), così in un momento nascerà la
senza di queste così potremo salvare nei rigidi inverni, e nevosi molte migliaia di pecore
dalla fame, e dalla morte. Posso intanto assicurare, che così ingrassano, ed abbondano di
squisito latte.
133
Non conviene volendo Vini delicati, e non già da taverna, comprimere per cavarne il mosto sino all'ultima goccia della vinaccia, perché così s'investe della materia oleosa, ed aspra
del seme dell'uva, sopra tutto in questi paesi, dove le uve si tengono basse, e s'atterrano, e
sono imbrattate di fango, oltreche si sa, che del liquore, che spremesi dalla torchiatura sforzata, se ne fa uso pel piccolo Vino, che fra noi chiamasi acquata, e che serve ne' primi mesi
pe' lavoratori delle terre, e talvolta, quando è fatto regolarmente, si gradisce nelle tavole
nobili verso Natale.
238
virtuosa gara per la necessaria riforma nella manipolazione de' Vini134 ed
in questo stesso anno 1800 mille e mille de' miei concittadini faranno miglior Vino del mio, ed io ne goderò.
134
Sono innumerevoli gli scogli dove si urta dall'umano ingegno, e che ritardano gli progressi delle nostre cognizioni, e i tentativi per la nostra felicità; ma si possono contare tra i
principali quello del folle attaccamento a' vecchi errori, e pregiudizi, la maledetta gelosia,
che altri, che noi, pensi, o tenti qualche cosa di nuovo pel ben pubblico; lo studio inumano di
taluni Magistrati nell'ampliare solo il codice penale, e la di loro avara ambizione di estollersi
alle prime dignità dello Stato con de' nocivi, e malintesi risparmi, senza aver avuto mai il
talento, o il coraggio di proporre un nuovo codice di premi, degno di un Sovrano filosofo, e
cristiano come il nostro; codice magico, che in questi Regni produrrebbe rapidi, e portentosi
cangiamenti. Finalmente quello, che le utili scoperte, ed osservazioni cadono per lo più sotto la censura degl'ignoranti talvolta posti in dignità, buoni soltanto, a metterli capricciosamente in discredito, ed in oblio assieme co' loro Satelliti, di loro ancora più ignoranti, e
spesso forse maliziosi, a' quali se ne affida l'esame. Costoro, accrescendo, o sottraendo
colla rovinosa, e sciocca idea del poco più, poco meno al processo dello sperimento, ne
tolgono per lo meno la maggior parte del merito, e vantaggio.
239
Indice dei nomi e dei luoghi
Abbate del fu Francesco .................... 19
Abdelalì, casale ............................. 31
Abdellalì, feudo ............................. 92
Accademia ..................................... 112
Acquaviva Francesco Maria, abate
...................................................... 45
Addotta Vito ................................ 196
Agate Carlo .................................. 226
Aghilera ........................................ 107
Agliata Elisabetta ......................... 62
Agliata La Farina Vincenzo ..... 123
Agonizzanti, chiesa ...................... 55
Agonizzanti, quartiere ............... 103
Agostino da Palermo .................. 147
Airoldi Stefano ................................ 130
Ajello Bernardo ........... 157; 159; 190
Ajello e Bidera Epifania ............ 190
Ajello Giovanni ........................... 188
Ajena Niccolò ............................... 186
Albamonte Francesco ................. 124
Albamonte, arciprete .............. 73; 75
al-Bart’niq......................................... 18
Albragiara ..................... 47; 87; 88; 93
Albragiara, borgo .......................... 52
Ales Nicolò ........................... 212; 220
Ales Sebastiano ................... 212; 216
Alvini, contrada ............................. 98
Ambleri, sorgente ......................... 68
Anastasio Martino ........................ 81
Anello Paolo ................................. 144
Anselmo Onofrio ......................... 187
Antiochia ......................................... 96
Antonino (Patti) da Partinico .. 211
Antonino di Palermo .................. 147
Antonio Maria da Partinico ..... 215
Api, masseria dell’ ....................... 70
Aquae partinicenses .......................... 19
Aquas Parthinicenses ........................ 21
Arcieri Vincenzo .......................... 159
Artesi Giulia .................................. 95
Asch Bernardo ............................. 117
Auricchiuta, monte ....................... 69
Avalos e Scammacca Carlo ....... 162
Avellone, case di ........................... 56
Avenello Giovanni, milite ........... 22
Avenello Roberto, principe
normanno .................................... 22
Badia di san Castro ...................... 94
Badiotta ........................................... 94
Bagolino Sebastiano, poeta ........ 63
240
Baiardi Ciro, capitano ............... 79
Balestrate ...................... 23; 82; 94; 95
Ballo .................... 91; 94; 98; 172; 185
Ballo, contrada .............................. 54
Ballo, eco di ................................. 111
Ballo, luogo ................................... 22
Ballo, real villa di ...................... 107
Ballo, torre ..................................... 54
Balves Giovan Goffredo, abate . 38
Bambina Giambattista ............... 201
Bambina Giovan Battista .......... 194
Bambina Giovanni .............. 176; 201
Barlotta e Ferro Giuseppe ....... 129
Barlotta e Ferro Giuseppe, abate 46
Barlotta, principe di San Giuseppe
...................................................... 51
Barochal Severino ........................ 76
Barone Benedetto ......................... 95
Barone Parisi Domenico ........... 102
Baronessa ................................. 92; 93
Baronessa, montagna della ........ 92
Baronessa, monte 21; 23; 53; 54; 107;
110
Barstanin ........................................ 18
Batiella, ritiro per orfane ......... 160
Bellacera ........................................ 95
Bellaroto Pietro .............. 90; 94; 104
Bellaroto, marchese ..................... 54
Bellinvia Vincenzo, notaio ....... 137
Bellomo Gaspare ........................ 174
Bellomo Gaspare, notaio .......... 142
Bellomo Giuseppe, notaio . 124; 170
Bergamo Francesco ................... 171
Bisaccia .................................. 94; 149
Bisaccia, torre ......................... 54; 90
Biscazza, quartiere ..................... 104
Bisignano ........................................ 94
Bizzolo ............................................. 97
Blanco, Margarita de ................... 71
Bonarrigo Diego, notaio ........... 183
Bonarrigo Francesco Saverio .. 158
Bonarrigo Saverio ...................... 165
Bonarrigo Vincenzo ................... 148
Bonfardeci Giuseppe ................ 79
Bonì Domenico .............................. 54
Bonura Gaetano ............................. 60
Bonura Giuseppe ........................... 60
Bonura Vito .................................. 170
Bordonaro Giuseppe .................. 131
Bordonaro Vito ........ 58; 83; 131; 177
Borgetto 21; 22; 53; 55; 59; 70; 71; 72;
74; 75; 79; 82; 86; 99; 120; 124; 147
Borghese Scipione, abate ............ 43
Bosco di Partinico . 29; 33; 50; 71; 95
Bracco ....................................... 93; 96
Bragiara ........................................... 96
Braschi Giovanangelo ................ 149
Brù Francesco ............................. 105
Bruno Francesco ......................... 170
Bruno Simone, notaio ................. 157
Buonora Vito ................................ 187
Burgett, feudum ............................. 22
Burgio Giuseppe ............................ 85
Caiola Salvatore, fabbrimastro .. 76
calatacubi, vallone di Calatubo..... 31
calataiub, vallone di Calatubo....... 30
Caldarera Anselmo ....................... 78
Camarda Bartolomeo ................. 171
Camerana, Giovanni Oberto da .. 71
Camillo, torre ................................. 54
Campo Benedetta ........................ 211
Campo e Lo Jacono Benedetta . 210
Campolieto, feudo ...................... 90
Campsora, Perrono de .................. 71
Cancemi Agostino ....................... 181
Cangemi Agostino ......................... 83
Cannavera ...................................... 96
Cannella Giuseppe ........................ 89
Cannella Ottavio, notaio ........... 140
Cannizzaro ...................................... 95
Cannizzaro, sorgente .................... 68
Cannizzo Gerolamo, notaio ..... 157;
170
Cannizzo Gio. Francesco .......... 223
Cannizzo Girolamo, notaio ....... 124
Cannizzo Michele e Margherita
.................................................... 168
Cannizzo Sebastiana, notaio .... 184
Cannizzo Sebastiano, notaio ..... 60;
132
Cannizzo Sebastiano, regio
secreto ....................................... 134
Capo d’acqua ................................. 93
Cappello, luogo ........................... 103
Cappuccini, convento ........... 55; 110
Cappuccini, convento dei ............ 98
Caprile Giuseppe ........................ 174
Caputo Alessandro .............. 120; 183
Capuzzo Michele ......................... 113
Caradonna Onofrio .................. 201
Caravotta Angelo ........................ 155
Carmelitani, convento ................. 55
Carmine, convento ........................ 54
Carnevale Gaspare ..................... 123
Carolina d’Austria ..................... 107
Carrara Bernardo ....................... 157
Carrozza ......................................... 96
Carrozza dell’Abbazia ................. 95
Carrozza della Zisa ...................... 94
Carrozza di Parisi ........................ 95
Carrozza di Pollastra .................. 95
Carrozza, luogo ............................ 98
Carrubella ...................................... 99
Caruesicca Vincenzo .................. 141
Casafuri Onofrio, notaio .......... 123
Casibili, casale .............................. 31
Castel de' Sicoli ................ 18; 19; 20
Castel dei Sicoli ............................ 49
Castellaccio .................. 22; 24; 33; 96
Castellano, piano del ................... 76
Castelli Alessandro ...................... 73
Castelli Bartolomeo ........... 138; 142
Castelli Gregorio ........................ 154
Castello de' Sicoli ........................ 21
Castello d'Ercole ........................... 22
Castello, torre ................................ 54
Castelluzzi, feudo ...................... 90
Castronuovo Francesco ............ 175
Catalano A. Sebastiano ............. 168
Catalano Rosalia ...................... 201
Catalano Sebastiano ....................... 192
Catalano Sebastiano, notaio ... 163;
174; 194
Catania Giuseppe ....................... 174
Catrini Rosario ........................... 206
Cavarretta Alfonso, notaio ....... 140
Cavarretta Gioacchino Cristofaro
.................................................... 166
Cavarretta Giuseppe Maria,
notaio ........................................ 186
Cerasella, mulino di .................... 98
Cerasella, paratore ......................... 98
Cesena Paolo da ......................... 144
Chisa ................................................ 97
Ciambre .................................... 80; 85
Ciambre, montagna delle ...... 79; 99
Ciaramita, contrada ..................... 98
Cicala .............................................. 96
Cicale .............................................. 95
Cirafici Francesco Salvadore,
notaio ........................................ 181
Cirasella ......................................... 98
241
Cirasella, fiume ............................. 98
Cirasella, mulino di ................... 102
Civvillera Antonino .................... 170
Claudia d’Austria, arciduchessa
.................................................... 147
Cocuzza Paolo ............................. 124
Coda della Volpe, contrada ........ 99
Colantonio Carlo ........................ 161
Colleggio di Maria ........................ 54
Collegio di Maria .......................... 55
Colonna Ascanio, abate ............... 42
Coniglio Filippo .......................... 172
Coniglio Giovanni ...................... 231
Conti ................................................ 93
Conti Vincenzo ............................ 122
Corona Giuseppe ........................ 192
Corso Andrea ............................... 138
Credenziero .................................... 95
Crisalvi Giovanni........................... 199
Crocefisso ....................................... 96
Cubba ................................. 29; 67; 102
Cubba, fiume della ...................... 101
Cubba, lago della ........................ 105
Cubba, peschiera ........................ 109
Cubba, piano della ....................... 98
Cuculla Giovanni Stefano ......... 151
curresim, Grisì................................. 31
Custos Francesco Maria ........... 181
Cuti, luogo ...................................... 97
Cuti, mulino di ............................. 102
Cutò, beveratoio ............................ 88
d’Ippolito Giuseppe Maria ....... 155
d’Orlando Giuseppe e Giulia ... 140
De Blasi Salvatore ........................ 79
De Ciocchis Giovanni Angelo,
visitatore regio ........................ 127
de Cordova Ugone, abate ............ 37
De Federico Giuseppe e Isabella
.................................................... 140
de finocharis, vallone ..................... 31
de finochio ....................................... 31
De Franchi Francesco, notaio . 147
De Francisci Salvatore .............. 176
De Francisco Giovanni Michele
.................................................... 102
De Marino Marco ........................ 123
de Pazos Antonio Marino, abate 40
de pulicariis, pianura ...................... 31
de Puteo Franciscus .................... 127
de Scorza Leonardo ...................... 41
de' Tedeschi Giacomo, abate ...... 37
de Torres Ludovico ....................... 41
242
de Vascerus Francesco .............. 144
Del Castello Francesca ............. 185
Del Castello Vincenzo ............... 185
Del Castillo e Ferro Giuseppe
Fedele ....................................... 188
del Castillo Vincenzo ................. 150
Del Castillo Vincenzo, marchese
di Grammontagna ..................... 22
Del Pozzo Francesco, regio
visitatore .................................. 117
Di Amico Pietro .......................... 170
Di Bartolomeo ............................. 211
di Bartolomeo Antonino ...... 47; 161
Di Bartolomeo Antonino ........... 164
di Bartolomeo Domenico, notaio
.................................................... 163
Di Bartolomeo Domenico, notaio
............................................ 139; 183
Di Bartolomeo ed Ales Antonina
.................................................... 175
Di Bartolomeo Giuseppe Maria
.................................................... 158
di Bartolomeo Giuseppe Maria,
notaio .......................................... 49
Di Bella Castrenze ..................... 178
Di Benedetto Vincenzo ............. 224
Di Blasi Salvatore ........................ 79
Di Fina Giuseppe ........................ 171
di Francisco Giovanni Michele 116
Di Franco Francesco, notaio ... 157
Di Franco Franco ....................... 138
Di Franco Pietro ........................ 152
Di Franco Vincenzo ................... 144
di Franco Vincenzo, notaio ...... 170
Di Franco Vincenzo, notaio ..... 137
di Gregorio Camillo ..................... 96
Di Gregorio Geronimo, notaio . 224
Di Leo e Milioti Girolamo .......... 94
Di Leo, Domenico, notaio ........... 24
Di Leone Giovanni ..................... 139
di Lione Giovanni, notaio ......... 120
Di Lione Giovanni, notaio ........ 171
Di Lorenzo Giuseppe ................. 158
Di Lorenzo Giuseppe, notaio .. 147;
161
Di Miceli Pietro ............................ 94
Di Palermo Giuseppe ................. 170
di Simone, vallone ......................... 97
di Trapani Fabrizio ............ 140; 146
Di Vita Francesco Saverio ....... 132
discisam, casale di Disisa ............. 31
disise, casale di Disisa .................. 31
Domina Giuseppe ........................ 112
Domo Spinola Giovanni ............. 141
donna dominica, vallone................ 31
Drago Casimiro ............................. 78
Drago Filippo .............................. 161
Elima ...................... 20; 24; 53; 96; 104
Elima, città ..................................... 21
Elimo ............................................... 20
Esculo, Margarita de .................... 71
Esculo, Simone de ........................ 71
Falco Antonino ............................ 204
falcunariam, luogo .......................... 31
Fazio Lorenzo .............................. 172
Fazio Saverio ................................. 93
Fede Antonino, notaio ............... 164
Federico .............................. 24; 95; 96
Federico di Antiochia .................. 71
Ferdinando III ................................ 25
Ferdinando III di Borbone................. 17
Ferdinando, re .......................... 20; 22
Ferigo Lionardo .......................... 117
Fernandez Girolamo Garzia ....... 94
Ferrandina Domenico ................ 195
Ficarra, torre dietro lo Spedale 54
Ficarro Gaspare, duca di Castel
Mirto .......................................... 102
Finazzo Geronimo ....................... 102
Flores Giovanni................................. 75
Florio Biagio ............................... 174
Florio Gaspare ............................ 162
flumen jati, fiume jato ..................... 31
Fontana Rossa, acqua di .............. 70
Formica Franco, notaio ............ 162
Foscuni Giuseppe ........................ 144
Framisteri ....................................... 94
Francesco da Caltabellotta ...... 217
Francesco da Canicattì ............. 217
fratris jordani, proprietario ............. 31
Frazzetta Michele ......................... 89
Frelles Benedetto, marchese di
Toralba ........................................ 62
Furia Anna ................................... 147
Fuxa Giuseppe ............................... 49
Gaetani e Basile Cristina .......... 105
Galeazzo .......................................... 93
Galifi ................................................ 93
Galletti Pietro Aloisio........................ 80
Gallo ................................................ 99
Gallo Andrea .................................. 95
Gallo Concetta ............................ 194
Gambacorta .................................... 86
Gambacorta Mario ..................... 144
Gambacurta ........................... 99; 101
Gambacurta Raccuglia ................. 41
Garofano Franco, notaio .......... 171
Gastone conte della Torre di Rezzonico
...................................................... 18
Gencoria ......................................... 95
Gerardi e Terroso Anna ............ 219
Gesugrande Paolino ............... 82; 84
gesuiti .............................................. 94
Gesuiti ............................................. 89
Gesuiti ossia Parrini ................... 96
Gesuiti ossia Parrini, borgo ....... 52
Giacinto da Palermo .......... 110; 149
Giacona Tommaso ...................... 223
Giambruno ............................... 95; 96
Giambruno, borgo ......................... 52
Giannella .................................. 94; 95
Giardina Maria ............................. 93
Giardinelli ...................................... 97
Gigante Antonina ................ 177; 178
Gigante Giuseppe ................. 60; 184
Gigante Pietro ............................. 194
Gigante Vito Giuseppe, notaio .. 60
Giganti Maria Teresa ................ 182
Ginestra .......................................... 97
Giorgentana ....................... 93; 96; 98
Giorgentana, famosissima eco . 111
Giovan di Oberto di Camerana,
signore di Misilicurto .............. 30
Giovan d'Oberto di Camerana .... 28
Giovanni da Camerana .............. 111
Giovanni di Stefano, abate ......... 36
Giovanni Pontecorona, abate ..... 36
Giovanni, abate ............................. 35
Girolamo da Caltanissetta ....... 214
Giudeo, borgo ................................ 52
Giuseppe ......................................... 96
Giuseppe da Termine ................. 148
Graffeo Francesco Maria ......... 170
Grammontagna, marchese di ...... 22
Grammontagna, marchesi di ....... 33
Granmontagna, marchese di ... 112;
150
Grano, feudo ................................ 90
Grassellino Agostino ................. 208
Grassellino Paolo 157; 174; 200; 208
Greco Agatino ............. 176; 200; 209
Greco Antonino ........................... 225
Greco Antonino Rosario, notaio
.................................................... 145
Greco Antonino, notaio ............. 158
243
Greco Benedetto .................. 158; 164
Greco Domenico, notaio ... 160; 174
Greco Giovanni ........................... 220
Greco Rosario Antonio .............. 183
Greco Rosario, notaio ............... 164
gualdicassar, vallone o fiume........ 31
Gualtiero di Manna, abate ........... 28
Guastella Domenico ................... 187
Gued Elcassaro, vallone o fiume.. 31
Guerraci Antonio ........................ 117
Guglielmo II ..................................... 18
Guidara Domenico ...................... 183
Guitto Giuseppe .......................... 151
Gurgur, luogo ................................. 68
Guttadauro Francesco ............ 197
Guzio Pietro, abate ....................... 34
Habaxara .......................................... 87
Hanassiera .................................... 111
Hbaxara ........................................... 87
Impastato Epifanio ..................... 147
indulcini, casale di al-andalusin .... 31
indulcinum, casale di al-andalusin31
Inga Francesco ............................ 135
Inga Gaetano, agrimensore ......... 52
Inga Giovanni, agrimensore .............. 50
Inga Salvatore ............................... 92
Inglese Leonardo ........................ 211
Iugnino Giuseppe, parroco .......... 39
Jati, fiume ........................................ 31
Jato, fiume .............................. 96; 105
La Brama Eulalia ........................ 118
La Cava Marco ............................ 138
La Franca Francesco ................. 192
La Franca Giuseppe ................... 161
La Perna e Terroso Baldassare e
Maria ......................................... 219
La Perna Emanuele .................... 219
La Rocca Bonaventura ............... 151
La Torre Orazio .................. 136; 176
lago di Partinico ......................... 109
Lagone, cala del .......................... 105
Lanuza Luigi ............................ 89; 90
Laudi Ferdinando ....................... 144
Lavadore ......................................... 178
Lavadore, feudo del .................... 110
Lavaggi Giacomo, notaio ............ 41
Lazàno Giovanni ......................... 138
Legio Vito .................................... 201
Lenzotti ............................................ 95
Leofante Giovanni Bernardo,
abate ............................................ 37
Leofante Niccola, abate ............... 37
244
Leone da Poggioreale ................ 148
Leopoldo di Borbone ............. 25; 49
Leopoldo di Borbone, principe .. 37
Li Calzi Gaspare ......................... 185
Lingona, monte .............................. 85
Lingone, montagna ....................... 80
Lionti Filippo, notaio ................ 162
Lioy Felice ........................... 167; 172
Lioy Felice, commendatario . 37; 49
Lioy Felice, intendente 58; 130; 133
Lioy Felice, Intendente ............. 112
Lo Bianco G.B.Maria, notaio .. 186
Lo Cascio Girolamo, notaio ..... 115
Lo Grasso Francesco ................. 221
Lo Grasso Giuseppe ................... 174
Lo Jacono Antonino ..................... 93
Lo Jacono e Caruso Benedetta 160
Lo Jacono Francesco ................. 160
Lo Medico Antonino ........... 183; 202
Lo Monte Vincenzo ..................... 118
Lo Presti e Timpanella
Girolamo .................................. 199
Lo Presti Gerolamo .................... 141
Lo Re Antonino ......................... 199
Lo Re Antonino e Michele ........ 156
Lo Re Pietro ................................. 141
Lo Vecchio Francesco ............... 183
Lo Vecchio Vincenzo, notaio .... 115
Lombardo Luca ................... 115; 117
Lombardo, Giuseppe .................... 39
Longo Maria .................................. 196
Longo Melchiorre ............. 196; 215
Longo Pietro ........................ 137; 196
Lopes Filippo ............................... 180
Luca di Palermo .......................... 187
Luigi da Partinico .............. 146; 149
Lumia Giuseppe .......................... 141
Luna Ferdinando ........................ 183
Lunar e Coreano, Isidoro de .... 169
Lupo Matteo ................................. 176
Macaluso Simone.............................. 75
Macellaro ..................................... 131
Maddalena Domenico ................ 183
Madonna del Lume ....................... 90
Madonna del Ponte, mulino di . 102
Madonna del Romitello, chiesa . 86
Madrice ..................................... 55; 92
Magasenazzi ................................. 105
Magasenazzi, tonnara ................ 105
Maggione ............................ 26; 50; 65
Magione ................................ 167; 172
Majale Giuliano, abate ................ 80
Majale, beato ................................. 86
Malinaci Gaetano............................ 117
Mancuso Michele, notaio .......... 145
Mandalà Luca.................................... 75
Mandola Agostino Maria .......... 159
Manfré Simon .............................. 181
Manfré Simone ..................... 176; 221
Manganella Francesco ...... 140; 142
Mangiona, foce della ................... 97
Manierati Beatrice ...................... 226
marchese della Granmontagna 185
marchese di Villabianca 56; 87; 104;
230
Marchese Ignazio ........................ 156
Marcianò ......................................... 93
Margaritella o S.Catrini .............. 21
Margi sottani e soprani ............... 93
Maria SS.ma del Ponte .............. 119
Marocco Michele ......... 132; 143; 222
Marù Vincenzo ............................. 184
Marù, don Vincenzo ..................... 31
Massa Andrea .............................. 147
Massasanta Federico, gran
cancelliere .................................. 28
Mastrilli Andrea, abate ................ 42
Matteo d’Ajello, vice gran
cancelliere .................................. 26
Mattheus de Partinico .................. 19
Mattina Martino ............................ 96
Medici Francesco Maria, granduca
abate ............................................ 44
Melendez Giuseppe ..................... 206
Merelli, fontana ............................. 56
Merendino Giuseppe .................. 220
merito, mirto .................................... 31
Merlin Coccai ................................ 86
Messana Domenico ............. 187; 197
Messina Niccola .......................... 187
Messina Vincenzo ........................ 214
Metastasio ....................................... 12
Mezzavilla ....................................... 93
Miceli, barone ............................... 94
Michelangelo da Partinico 149; 204
Michele, abate ............................... 34
Migliore Emmanuele .................... 76
Migliore Santo ...................... 79; 206
Migliore Stefano .......................... 206
Mignano .......................................... 96
Mignano Natale, alias Manì ....... 92
Milioti .............................................. 94
Milioto ............................................. 96
Minaci Francesco ..................... 203
Minaci Francesco Maria, notaio
.................................... 147; 148; 158
Minaci Francesco, notaio ......... 139
Minore Maria .............................. 174
Minore Nicola e Luigi ............... 103
Minore Salvatore ........................ 174
Miopoli Vincentio ...................... 118
miritecto, casale di Mirtetto ........... 31
mirtetti, casale di Mirtetto .............. 31
Mirto .............................................. 102
Mirto, feudo ................................... 98
Mirto, mulino di ............................ 98
Misilicurto, casale ........................ 30
Moarta, monte ............................... 68
Modica Francesco ....................... 231
modica, vallone............................... 30
Molinello Vecchio, mulino ......... 22
Molinello, contrada ................... 101
Molinello, mulino ....................... 101
Mollica Vincenzo ........................ 110
Monacelli ........................................ 95
Montalbano Marco ............. 152; 199
Montalbano Martino .......... 153; 169
Montalbano Melchiorre, notaio
.................................................... 147
Montalto Carmelo ....................... 165
Montarbano Antonino ............. 198
Monte Giorgio ............................. 169
Monte Pietro ................................ 137
Monte Vincenzo ........................... 152
Montilepre ...................................... 86
Morfino e La Via Antonio ......... 102
Morici Marco, notaio ................... 31
Morreale Maria Anna ................ 183
Mottola ............................................ 95
Mottola Salvatore ......................... 95
Murghi, feudo .............................. 90
Musumeci Vincenzo ................ 195
Muto, pittore morrealese .......... 112
Napoli Antonino ......................... 225
nemoris partinici, bosco di partinico
...................................................... 31
Nicola da Partinico .................... 150
Nicolotti e Bordonaro Marianna
.................................................... 135
Nocilla ............................................. 93
Nolfo Domenico .......................... 184
Nostra Signora del Ponte ............ 55
Noto Vincenzo ............................. 194
Nucilla ............................................. 97
Nuvola Salvatore, notaio................... 76
245
Occhipinti Antonio, notaio ......... 40
Ogliastro ......................................... 94
Oliveri Rosario ............................ 188
Oneto Francesco, duca di
Sperlinga .................................... 95
Opera del Purgatorio, chiesa ...... 55
Pacino, luogo ............................... 188
Paglia, acqua della ....................... 70
Paladino Giovanni e Nunzia ..... 140
Palamita ............................ 20; 53; 104
Palazzolo Pietro .................. 121; 154
Pallotta Guglielmo ..................... 149
Panitteri Francesco, notaio ...... 142
Paolo, abate .................................... 35
Parco ....25; 27; 29; 32; 36; 64; 65; 66;
93; 130
Parco Reale .................................... 96
Parco Vecchio ................................ 96
Pardo Giuseppe ...................... 49; 110
Pareti Romeo ............................... 189
Parisi Domenico ............................ 93
Parrini ....................................... 89; 94
Partenicus ....................................... 18
Parthenic ........................................ 17
Parthenicum ................................... 18
Paruta Antonio .................................. 75
Passalacqua Gioacchino ........... 180
Passo di Conti ............................... 97
Pastori Nicola .............................. 103
Patti Giuseppe ......................... 108; 230
Patti Giuseppe ............................. 104
Patti Niccolò Maria .................... 230
Patti Pasquale ............................. 205
Peggino Antonio .......................... 123
Pellizza ............................................ 94
Peralta, Raimondo ......................... 71
Perez Alvaro ................................. 174
Perrone da Marineo ...................... 52
Perrone Franco ........................... 178
Perrone Onofrio .......................... 129
Perrone Pietro ............. 129; 145; 196
petra grossa edificium burgecti,
luogo ............................................ 31
Piana ................................................ 95
Piano d’ Inferno ............................ 95
Piano del Re ................................... 94
Piero Novelli, pittore ................. 112
Pietro Gaetano, abate ................... 35
Pignatelli Serafino ............................. 75
Pilo Geronimo ................................ 58
Piro Pietro .................................... 139
Pirrello Giovanni, abate .............. 43
246
Pizzuta, monte ......................... 29; 66
Placido da Monreale .................. 148
Platamone Fulgenzio .................... 76
Polizzi Giuseppe ........................ 79
Pollastra ......................................... 94
Ponte ................................................ 96
Ponte, contrada ............................. 90
Ponti ................................................ 95
Pontifici Pietro Paolo, notaio . 142
Porta di Termine ........................... 26
Pratti ....................................... 99; 101
Pratti, fiume di .............................. 99
Presti, quartiere ......................... 103
Principe di Caramanico................... 133
Principe di Cutò ............................ 87
Principe di Paceco ..................... 105
principe di Villadicane .............. 184
Procopio Vincenzo ..................... 132
Proto Antonino ............................ 174
Proto Minore Antonino ............. 204
Pucci e Raccuglia, baronessa
M.Ant. ......................................... 24
Pucci Maria Antonia .................... 86
Pucci Pietro ................................... 86
Puccio e Raccuglia Maria Assunta
.................................................... 148
Puccio Pietro e Antonia .............. 41
Puccio Pietro e Maria Antonia .. 94
Puma Domenico .................... 95; 103
Purpurgnano Giovanni, notaio 140
Rabbiba Scipione, commendatario
.................................................... 115
Raccugli .......................................... 95
Raccuglia .................... 86; 94; 96; 101
Raccuglia Emmanuello ................ 41
Raccuglia Francesco ................. 210
Raccuglia Giovan Paolo ... 126; 209
Raccuglia Giovanni Paolo . 75; 175;
210; 212; 216
Raccuglia Giuseppe ................... 210
Raccuglia, borgo ........................... 52
rachalis, fontana ............................. 31
Raffaello di Urbino .................... 112
Ragali ............................................ 187
Ragona Antonino ........................ 145
Ragona Antonino, ispettore ........ 58
Ragona Antonio ........................... 103
Ragona Domenico ....................... 145
Ragona Francesco ...................... 186
Ragona Giovanni ........................ 231
Ragona Pietro ............................. 145
Ragona Sebastiano ..................... 145
Ragona, torre .................................. 54
Rainaldo, abate .............................. 35
Ramo .......................... 53; 93; 101; 147
Ramo Francesco ............................ 85
Ramo, borgo ................................... 52
Ramo, capo ..................................... 53
Ramo, castello di .......................... 99
Ramotta ..................................... 87; 96
Ramotta, gebbia ............................ 89
Randazzo ......................................... 95
Randisi Domenico ....................... 103
Rapitalà ..................................... 31; 96
Rapitalà, feudo .............................. 92
Re Cucco ....................................... 111
Re Cucco, collina del ................. 104
Re Cucco, torre del .................... 111
Rebiba .............................................. 66
Rebiba Scipione .......................... 127
Rebiba Scipione, abate ................ 39
Renda, fiume .................................. 97
Renda, fiume di .............................. 99
Requisens Diego .......................... 157
Riccobono Vito, notaio.................... 178
Riso,torre vicino lo Spedale ....... 54
Rizzo Giuseppe e Leonardo ........ 49
Rizzo Rosario ............................... 183
Roana, luogo .................................. 70
Roberto, abate ................................ 25
Rogasi Marcello .......................... 124
Rognone ..................................... 95; 96
Romitello ................................... 79; 80
Rosella Giovanni e Candia ....... 140
Rossi Eliseo Maria ................... 210
Rossi Ignazio ................................ 209
Rosso Pietro ................................. 223
Rubino Pasquale ......................... 139
Ruggero, gran conte ..................... 22
Russo Ignazio ............................... 136
s. Cataldo, chiesa .......................... 23
s. Cataldo, marina di .............. 20; 24
s. Cataldo, scaro ........................... 23
S. Catrini, pianura ........................ 21
s. Giovanni Ermete, chiesa ......... 31
S. Margarita o S.Catrini .............. 21
S. Margarita, casale di ................. 21
Sala ....................................... 30; 31; 50
Sala di Partinico .................... 21; 30; 33
Salamone Domenico ..................... 49
Salamone Giovan Battista ........... 41
Salerno Onorato ............................ 75
Salomone Domenico ..................... 60
Salvina .......................................... 105
Salvina Nicodemo ....................... 171
Sambuca, marchese della ............ 97
San Carlo ........................................ 94
San Cataldo ............................ 94; 105
san Cataldo, chiesa ....................... 51
San Cataldo, mare di ................... 99
san Cataldo, marina di ................. 51
San Cataldo, marina di ... 21; 55; 98;
149
San Cataldo, mulino di .............. 102
San Cataldo, scaro di .................. 98
San Cataldo, scaro e chiesa ..... 103
san Cataldo, scaro o Scalo ............... 51
san Cataldo, spiagge di .............. 86
San Cataldo,scalo o scaro .......... 53
san Ferdinando di Palermo, teatro... 115
san Gioacchino, chiesa ................ 54
San Giuseppe ................................. 94
San Giuseppe li Mortilli ............. 97
San Giuseppe, borgo .................... 52
san Giuseppe, chiesa .................... 54
San Giuseppe, quartiere ........... 103
san Leonardo, real teatro................. 115
San Martino delle Scale,
monastero ................................... 53
Sanchez Francesco, abate ........... 38
Sanchez Giovanni, abate ............. 38
sanctam disam, luogo.................... 31
Sanseverino Francesco
Ferdinando .............................. 219
sant’Anna, chiesa di Balestrate 83
Santa Catrini ..................... 92; 95; 96
santa Croce .................................... 92
Santa Maria delle Grazie, chiesa 22
Santo Stefano, Gesualdo di ........ 86
Santoro Vincenzo ........................ 175
Sanzone Gaspare ........................ 157
Sapienza Domenico .................... 103
Sapienza Pietro ........................... 171
Saporito Antonino, notaio ........ 143
Saporito Antonino, notaro ........ 139
Sardo e Fontana Francesco,
notaio ......................................... 78
Sardo e Fontana Onofrio,
notaio ......................................... 78
Sardo Stefano, notaio .................. 75
Sasso di Conti ................................ 96
Savarino Antonino, fabbrimastro
...................................................... 76
Savarino Franco ......................... 170
Savasta Giuseppe, notaio ......... 154
247
Savoca e Petrosino Leonarda
.................................................... 203
Scala del Palazzo .......................... 96
Scala, marchese della .................. 90
Scalilla, strada della .................... 91
Scammacca Matteo ..................... 174
Scammacca, barone ...................... 54
Scichili Vincenzo ......................... 187
Scicli Vincenzo .......................... 199
Scinda Bernardo .......................... 172
Scoderi Luca, notaio .......... 151; 152
Sconfitta, contrada ....................... 98
Scuderi Francesco ...................... 204
Sella Giuseppe ............................. 216
Senisio Angelo ............................... 79
Seratti Francesco ......................... 133
Seregnano ................................. 94; 98
Seregnano e Crapanzano,
Gerolamo .................................... 94
Seregnano e Crapanzano,
Palmina ..................................... 104
Seregnano, belvedere di ............ 111
Seregnano, cartiera di ............... 104
Seregnano, paratore di .............. 104
Seregnano, torre ............................ 54
Servati Francesco ....................... 135
Settimo Giovanni Crisostomo ..... 78
Settimo Giuseppe .......................... 78
Sevagnano Geronimo ................. 111
Sgroi Pietro .................................. 170
Sicciara ......51; 82; 83; 84; 86; 97; 105
Sicciara, borgata ........................... 55
Sicciara, borgo ............................... 52
Sicciarotta, borgo .......................... 52
Sigismondo d'Austria, arciduca
abate ............................................ 43
Solitano ........................................... 96
Sottile Fabrizio, abate .................. 37
Sovaro .............................................. 94
Spadafora ........................................ 95
Spatafora ........................................ 96
Specchi, baroni di Naro ............ 105
Speciale Diego ............................... 95
Speciale Luigi, notaio .................. 52
Speciale, torre ................................ 54
Spinola Giovanni Domenico ..... 138
Stella Antonino, duca di Castel
Mirto ............................................ 98
Stella e Valguarnera Antonino 185
Stella e Valguarnera Antonino,
duca di Castel Mirto ................ 85
Stella Giuseppe .................... 174; 183
248
strada del Corso ............................... 55
Strada grande ................................. 55
Tafarella Angelo ......................... 175
Tagliavia Carlo, duca di
Terranova ................................... 42
Tagliavia Simone, abate .............. 41
Tantalio Vincenzo ....................... 148
Tarallo e Oliveti Pietro
Francesco ............................... 200
Tarallo Franco Simone ....... 95; 169
Tarallo Nunzio ............................ 175
Tarallo Simone Francesco ........ 112
Targiani Diodato ..... 49; 60; 154; 166
Tauro, mulino di ......................... 102
Tedeschi Nicolò Maria .............. 159
Teofilo Folengo ....................... 80; 86
Terrana Giuseppe ....................... 139
Terranova Antonino, notaio ..... 161
Testa Francesco, arcivescovo di
Monreale .................................... 36
testa, mulino.................................... 31
timpa rubea, luogo ......................... 31
Timpanelli ...................................... 95
Tituni Francesca ......................... 140
Toledo Giovan Pietro ................ 141
Tomasi Antonia ............................. 94
Tomasi, Antonia ............................ 95
Tonica Francesco e Laurea ...... 205
torre del Ballo ............................... 33
Torre del Re ................................... 96
Torre Giacomo.................................. 75
Torrisi ............................................. 96
Torrisi soprano ............................. 93
Torrisi sottano ............................... 94
Toscano Vincenzo ....................... 126
Tosco Francesco ......... 126; 132; 135
Tosco Franco ............................... 176
Traina Michele ............................ 207
Trappeto ... 51; 64; 86; 94; 96; 97; 104;
105
Trappeto, borgo ............................. 52
Tremmistieri, luogo .................... 116
Triolo e Galifi Giuseppe Maria 103
Tripodo Gaetano ......................... 184
Troysi Giacinto ........................... 167
Ugone Papé .......................... 129; 190
Ugone Papé, principe di Valdina
.................................................... 120
Urbano da Monreale .................. 148
Urso Giuseppe .................................. 75
Usai Mariano, notaio ........ 110; 113
Valenza Filippo ........................... 137
Valguarnera Ragali ................ 91; 97
Valle d’Olmo .......................... 98; 102
Vecchio Giovanni ........................ 170
Ventimiglia Rosalia ...................... 93
Ventosa Emanuele Maria ........ 78
Ventosa Emmanuello .................... 76
Vicari Leonardo, ......................... 79
Vicari Vincenzo ............................. 80
Villa reale ....................................... 56
Villabianca, torre di ..................... 54
Villafranca, principe di ............... 62
vineam presbiteri, vigna................. 31
Viola Pietro .................................. 144
Vittoria, fontana di ....................... 79
Vizzini Giuseppe .......................... 178
Vuso Pietro ................................. 202
Xhimeca Domenico e Vincenza 118
Zaccaria Giuseppe ..................... 103
Zangara Andrea .................. 189; 220
Zangara Maddalena ................ 202
Zangara Rosa .............................. 221
Zappulla Filippo .......................... 78
Zati Simeone .................................. 74
Zisa .................................. 29; 205; 207
Zito Antonio Nicolò .................... 183
Zito Niccola ................................. 202
Zito Nicola ................................... 211
Zito Nicolò ................................... 184
Zolferino Agostino ...................... 171
249