Trattamento endoscopico delle lesioni iatrogene e stenosi benigne

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Trattamento endoscopico delle lesioni iatrogene e stenosi benigne
TRATTAMENTO ENDOSCOPICO
DELLE LESIONI IATROGENE E STENOSI
BENIGNE DELLE VIE BILIARI
Massimiliano Mutignani1
con la collaborazione di Raffaele Salerno2
U.O.C. di Endoscopia Digestiva Chirurgica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico A. Gemelli di Roma
2
U.O.C. Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico
STENOSI CICATRIZIALI POSTOPERATORIE
DELLE VIE BILIARI
Il trattamento endoscopico delle stenosi
postoperatorie delle vie biliari può essere
considerato di prima scelta?
Il trattamento delle stenosi postoperatorie delle
vie biliari mediante dilatazione con protesi può
essere considerato una valida alternativa alla riparazione chirurgica della lesione biliare.
Esistono delle evidenze che suggeriscono
l’uso di protesi di plastica multiple
da preferire all’uso della singola/doppia
protesi in plastica per ottenere
la dilatazione persistente delle stenosi
delle vie biliari postoperatorie?
L’uso graduale nel tempo di un numero crescente di protesi in plastica garantisce maggiori
percentuali di successo nella risoluzione della
stenosi riducendo la percentuale di recidiva della stenosi stessa nel corso del follow-up dopo
rimozione delle protesi.
Non vi è attualmente consenso sul timing in cui debba
La terapia chirurgica delle stenosi cicatriziali postoperatorie delle vie biliari è da sempre stata considerata il
trattamento gold standard. Le alternative terapeutiche
comparse successivamente rappresentate dal trattamento dilatativo percutaneo e dal posizionamento endoscopico di protesi hanno per lunghi anni rappresentato una seconda scelta terapeutica da considerare in
pazienti non candidabili per la riparazione chirurgica. La
posizione di “seconda scelta” riservata alla radiologia interventistica ed all’endoscopia terapeutica era motivata
dalle basse percentuali di successo che queste due metodiche avevano nel garantire la dilatazione persistente
della stenosi e dalle elevate percentuali di recidiva a breve termine. In effetti, per quanto riguarda il trattamento
endoscopico, la letteratura pubblicata fino agli inizi del
2000, riportava percentuali di successo per la risoluzione della stenosi dopo posizionamento di una o, al massimo, due protesi da 10 Fr lasciate in sede per un anno,
con sostituzione programmata ogni tre mesi per scongiurarne l’ostruzione, che variavano dal 73 all’83% con
percentuali di recidiva che variavano dal 9 al 20% (1,2).
Un altro limite a sfavore del trattamento endoscopico
rispetto alla chirurgia, è quello della lunga durata del periodo di trattamento con la necessità di dover eseguire
più procedure. A sfavore del trattamento chirurgico vi
sono i dati relativi alla mortalità specifica che in letteratu-
ra è in media del 2% con una elevata morbidità (intorno
al 40%) ed una percentuale di stenosi dell’anastomosi
bilio-digestiva che varia dal 10 al 15% con follow-up che
variano dai 4 ai 10 anni (3). Solo negli ultimi 10 anni, con
la messa a punto di metodiche di protesizzazione più
aggressive, mediante l’uso di protesi in plastica multiple, si è arrivati a percentuali di risoluzione della stenosi
superiori al 96% (4,5) con relativamente basse percentuali di recidiva della stenosi stessa (11.4%) anche dopo
lunghi periodi di follow-up (f.u. medio 13.7 anni, range:
11.7-19.8) (6). Tali risultati consentono di promuovere il
trattamento endoscopico come alternativa terapeutica
al trattamento chirurgico a prescindere dalla presenza
o meno di controindicazioni tecniche o cliniche all’intervento chirurgico.
Il fallimento del trattamento endoscopico
preclude o limita il ricorso in seconda
battuta al trattamento chirurgico?
Il fallimento del trattamento dilatativo delle stenosi postoperatorie con protesi di plastica non
preclude tecnicamente il confezionamento di
una derivazione chirurgica delle vie biliari.
Non esistono in letteratura lavori che analizzino in maniera specifica questo problema ma è opinione comune degli esperti che, il pregresso tentativo di trattare
endoscopicamente con protesi, le stenosi postoperatorie, non infici la possibilità di confezionare successivamente un’anastomosi bilio-digestiva (6). In un vecchio lavoro retrospettivo che comparava il trattamento
endoscopico con protesi alla chirurgia derivativa delle
stenosi cicatriziali delle vie biliari nei pazienti non responders alla terapia endoscopica, non si riportavano
particolari difficoltà tecniche nel successivo trattamento chirurgico (1).
La durata del periodo di latenza tra
l’intervento chirurgico e l’esordio clinico
della stenosi biliare postoperatoria modifica
la prognosi del trattamento endoscopico?
Il periodo di latenza tra l’intervento chirurgico e
la diagnosi della stenosi biliare, non modifica in
maniera significativa la prognosi del trattamento endoscopico.
Non vi è in letteratura alcun dato che correli la prognosi del trattamento endoscopico al periodo di latenza tra
l’intervento chirurgico e l’esordio clinico della stenosi. L’unico dato tecnico relativo al periodo intercorso tra l’intervento ed il posizionamento delle protesi riguarda i pazienti
che hanno subito una riparazione mediante anastomosi
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TRATTAMENTO ENDOSCOPICO
DELLE LESIONI IATROGENE E STENOSI BENIGNE DELLE VIE BILIARI
termino-terminale dopo transezione accidentale delle vie
biliari o che comunque hanno subito una sutura di una
breccia biliare. In questi pazienti, secondo l’opinione degli
esperti, se si pratica il drenaggio endoscopico nei primi tre
mesi dall’intervento, il rischio che la dilatazione meccanica
o pneumatica possa creare una deiscenza della sutura è
altissimo. Per ridurre tale rischio il consiglio è quello di limitare il posizionamento del numero di protesi ad un massimo di due protesi (a seconda del diametro della via biliare
al di sotto della lesione). Nel corso della seconda procedura endoscopica, da programmare dopo 12-16 settimane
quando oramai la sutura biliare sarà consolidata, si potrà
ragionevolmente incrementare il numero delle protesi limitando i rischi di possibili danni iatrogeni.
M. Mutignani > Trattamento endoscopico delle lesioni iatrogene e stenosi benigne delle vie biliari
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Esistono dei criteri morfologici
per identificare i pazienti affetti da stenosi
cicatriziale delle vie biliari da destinare
direttamente al trattamento chirurgico?
Sulla base sia della elevata complessità di attuare il trattamento endoscopico che della povertà dei risultati clinici, sono da considerare
non elegibili per il trattamento endoscopico le
legature complete delle vie biliari e le lesioni
con perdita di sostanza delle vie biliari.
Storicamente, prima dell’avvento della chirurgia laparoscopica, la legatura chirurgica delle vie biliari rappresentava una indicazione assoluta all’adozione del trattamento
chirurgico poiché le possibilità di poter superare la stenosi, sia per via endoscopica che per via percutanea, erano
pari a zero.
L’approccio laparoscopico ha modificato la tipologia
dell’ostruzione poiché le clip posizionate sulle vie biliari
possono essere teoricamente riaperte endoscopicamente (7). Per far sì che una ostruzione completa da clip possa essere trattata endoscopicamente sono due i fattori
prognostici positivi: il primo è relativo al numero delle clip:
se la clip non è singola, la possibilità di non riuscire ad
aprire le loro branche è molto elevata; il secondo fattore
prognostico è correlato all’angolo di incidenza tra l’asse
della clip e l’asse della via biliare: se tale angolo è retto o
comunque prossimo ai 90° è più facile applicare una forza
efficace con un filo guida nel lume virtuale del coledoco
ostruito, che vada a divaricare le branche della clip; se tale
angolo è acuto, la guida non sarà in grado di applicare la
sua forza tra le branche della clip ma, bensì, avrà una via
di scorrimento oblique di fuga, in direzione dell’estremità
più alta della clip, che porterà alla perforazione della parete del coledoco con il filo guida. Per quanto riguarda
le sezioni complete delle vie biliari non riparate intraoperatoriamente dal chirurgo, bisogna distinguere due casi:
il primo è rappresentato dai pazienti con i margini della
sezione vicini senza una grossolana perdita di sostanza
delle vie biliari; il secondo caso è invece rappresentato
dalle sezioni complete delle vie biliari con perdita di sostanza. Nella prima situazione, se endoscopicamente o
per via combinata, radiologico-endoscopica, si riesce ad
incannulare il moncone della via biliare a monte della lesione, il trattamento protesico può avere le stesse probabilità
di successo delle stenosi cicatriziali semplici. Nel secondo caso invece, il problema è rappresentato dal tratto di
lesione dove vi è la perdita di sostanza. In questo segmento di vie biliari le possibilità che il tessuto cicatriziale
si organizzi intorno alle protesi lasciando un lume tubulare
che, alla loro rimozione, possa garantire lunghi periodi di
pervietà e molto bassa. In letteratura sono descritti casi
sporadici trattati con successo per via combinata endoscopico-radiologica.
Il trattamento endoscopico delle stenosi
postoperatorie delle vie biliari è da preferire
a quello radiologico percutaneo?
Il trattamento endoscopico delle stenosi cicatriziali delle vie biliari è preferito a quello radiologico percutaneo poiché evita la puntura del fegato
con dotti spesso non dilatati e perché scongiura
la necessità per il paziente di avere drenaggi percutanei esterni per lungo tempo.
A riguardo di tale argomento, non esistono studi comparativi che abbiano analizzato i risultati delle due metodiche. Nella pratica clinica, il trattamento endoscopico viene
preferito essenzialmente per due motivi: il primo è relativo
alla necessità di dover pungere i dotti biliari intraepatici che
molto spesso, nelle stenosi cicatriziali non sono dilatati;
questo dato morfologico rende il tentativo di drenaggio percutaneo più difficile e traumatico nonostante l’utilizzo della
guida ecografica. Il secondo motivo è legato al disagio per
il paziente di dover portare per lungo tempo dei drenaggi
esterni che peggiorano in maniera significativa la qualità di
vita dei pazienti.
Pur non essendo metodologicamente corretto, se inoltre
andiamo ad analizzare i risultati degli studi di radiologia
interventista sul trattamento delle stenosi cicatriziali delle
vie biliari si può notare che le percentuali di successo della risoluzione della stenosi e di recidiva della stenosi sono
comparabili ai risultati del posizionamento endoscopico di
una o due protesi senza riuscire a riprodurre i risultati del
multistenting endoscopico (8).
L’uso delle protesi metalliche rimuovibili è
da preferire all’uso delle protesi di plastica?
Attualmente non vi sono dati sufficienti per preferire l’uso delle protesi metalliche rimuovibili a
quello delle protesi in plastica.
La risposta a tale quesito è motivata dalla pubblicazione di una revisione sistematica della letteratura nel 2009
sull’uso delle protesi metalliche confrontato con le protesi
in plastica nelle stenosi benigne delle vie biliari (9).
I dati di questo studio hanno però il limite storico di considerare solo l’uso delle protesi metalliche non ricoperte
che, come ben noto, hanno il problema di rimanere intrappolate dalla reazione iperplastica-infiammatoria della
mucosa biliare.
Per tale motivo la conclusione della revisione era che, allo
stato dell’arte al momento della sua pubblicazione, i risultati migliori erano quelli ottenuti con il multistenting con
protesi di plastica.
Attualmente, con la disponibilità sul mercato delle protesi metalliche rimuovibili, sembrano aprirsi nuovi spazi per
l’uso di queste protesi nelle stenosi postoperatorie delle
vie biliari. Non sono stati però ancora pubblicati ne studi
prospettici comparativi ne studi prospettici a singolo braccio che possano dimostrare vantaggi rispetto al multistenting con protesi di plastica (10).
Le stenosi biliari dopo trapianto di fegato sono
classificate in due gruppi principali:
1) stenosi anastomotiche
2) stenosi non anastomotiche.
Nonostante i progressi delle tecniche chirurgiche e delle procedure di espianto e conservazione degli organi,
le complicanze biliari dopo trapianto rimangono tra le
più frequenti e, tra queste, le stenosi biliari rappresentano il 40% di tutte le complicanze biliari.
L’incidenza della stenosi anastomotica varia a seconda
del tipo di donatore: è del 5-15% nei trapianti da cadavere e del 30% circa da donatore vivente (11). Per
quanto riguarda le stenosi anastomotiche nel meccanismo della loro formazione sono chiamate in causa
problematiche di tecnica chirurgica, il piccolo calibro
dei monconi anastomizzati o la diversità del calibro dei
due capi da anastomizzare.
Possono incrementare l’incidenza delle stenosi anastomotiche; le infezioni, l’ischemia locale e le reazioni
fibrocicatriziali esuberanti (11). Alla stenosi anastomotica
può essere associata una deiscenza dell’anastomosi.
Le stenosi non anastomotiche rappresentano il 10-25%
di tutte le stenosi biliari post trapianto epatico e sono
spesso associate a trombosi dell’anastomosi dell’arteria
epatica. In circa il 50% dei casi non è questo l’unico
meccanismo di formazione.
Tra gli altri fattori associati alle stenosi non anastomotiche vi sono fenomeni di immunoincompatibilità legati
al gruppo AB0, reazioni autoimmunitarie contro l’epitelio
biliare e lesioni ischemiche secondarie a danno da dissezione delle vie biliari extraepatiche o da problemi di
conservazione dell’organo pre e post espianto.
Tipicamente le stenosi non anastomotiche possono interessare tutti i distretti anatomici intra ed extraepatici delle
vie biliari; di solito sono lunghe e multiple e sono caratterizzate dalla presenza di abbondante sludge e materiale necrofibrinoso che rende complesso il drenaggio con
protesi in plastica per la tendenza all’occlusione del lume
protesico (11,12).
Questi tappi di tessuto necrofibrinoso chiamati “cast”
sono inoltre difficili da estrarre poiché spesso tenacemente adesi alla mucosa biliare necrotica e la loro formazione
può durare anche alcuni mesi dopo il trapianto.
Esistono differenze nell’approccio
terapeutico endoscopico nei diversi tipi
di stenosi biliare post trapianto di fegato?
Le stenosi anastomotiche delle vie biliari post trapianto epatico rispondono generalmente al trattamento endoscopico e la loro terapia mediante
posizionamenti di protesi di plastica è considerata attualmente il gold standard; le stenosi non
anastomotiche sono difficili da trattare e rispondono poco al trattamento dilatativo ed agli altri
trattamenti conservativi in genere.
Nelle stenosi anastomotiche, l’uso della sola dilatazione
pneumatica senza posizionamento di protesi ha successo
in meno del 50% dei casi (13). L’uso delle protesi di plastica, soprattutto del multistenting, garantisce percentuali
di successo nella risoluzione della stenosi che variano dal
70 al 100% con percentuali di recidiva che vanno dallo 0
al 20% (3).
Alcuni autori hanno osservato che le stenosi anastomotiche precoci, diagnosticate e trattate entro i primi sei mesi
dal trapianto, hanno una prognosi migliore rispetto a quelle
diagnosticate più tardivamente (11). Per quanto riguarda le
stenosi non anastomotiche, l’armamentario endoscopico è
il medesimo utilizzato per le stenosi anastomotiche, con la
variante relativa alla complessità della stenosi che spesso
impone l’uso di protesi di piccolo calibro. Se la stenosi non
anastomotica è diagnosticata precocemente ed è associata alla trombosi dell’arteria epatica le uniche indicazioni
al trattamento sono quelle che mirano alla ricanalizzazione
dell’arteria epatica o al retrapianto. Se invece la stenosi non
è associata alla trombosi dell’arteria epatica o quest’ultima
si è manifestata tardivamente, è ragionevole tentare di trattare la stenosi endoscopicamente. Anche in questo caso
sembra che le stenosi diagnosticate entro tre mesi dal trapianto rispondano meglio di quelle con esordio clinico più
tardivo (14).
La letteratura comunque dimostra che circa il 25-30% dei
pazienti sottoposti a trattamento conservativo, muoiono o
vengono retrapiantati. Considerando che mediamente la
stenosi non anastomotica riduce il periodo di sopravvivenza dell’organo donato mentre le sopravvivenze dei pazienti che sviluppano una stenosi non anastomotica sono in
media paragonabili alla media di sopravvivenza dei pazienti
sottoposti a trapianto (15), possiamo considerare razionale
l’uso di protesi in plastica come “bridge to retransplantation” o come palliazione nei pazienti non ricandidabili ad un
retrapianto.
L’uso delle protesi metalliche
nelle stenosi anastomotiche
delle vie biliari è da preferire a quello
delle protesi in plastica?
Allo stato attuale non vi sono dati sufficienti per
supportare l’uso delle protesi metalliche nei confronti delle protesi di plastica nelle stenosi biliari
anastomotiche post trapianto epatico.
Sebbene l’uso di protesi metalliche di ampio calibro e rimuovibili dia l’idea che possa sostituire immediatamente le
protesi di plastica, i dati pubblicati in letteratura, anche se
limitati dall’assenza di studi prospettici randomizzati, non
confermano tale supposizione. In realtà i pochi studi riportati
in letteratura individuano nella migrazione della protesi il problema maggiore.
Sono al vaglio nuove protesi con modifiche nel loro design per
ridurre il rischio di migrazione, ma al momento, le percentuali
di risoluzione delle stenosi anastomotica non superano il 50%
circa dei pazienti trattati (16,17). Se l’indicazione al posizionamento della protesi metallica rimuovibile è rappresentato da una
fistola biliare esterna secondaria a deiscenza dell’anastomosi
biliare, il tempo di permanenza della protesi per la chiusura della
fistola non dovrà essere troppo breve perché in questi casi vi
è una elevata incidenza di stenosi post rimozione della protesi
secondaria alla retrazione cicatriziale anastomotica non tutorata
più dallo stent (18).
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LUNEDì
- I SESSIONE
STENOSI BILIARI
POST TRAPIANTO DI FEGATO
Esistono diverse tipologie di stenosi biliare
dopo trapianto di fegato?
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TRATTAMENTO ENDOSCOPICO
DELLE LESIONI IATROGENE E STENOSI BENIGNE DELLE VIE BILIARI
Esiste un ruolo delle protesi metalliche
nelle stenosi biliari non anastomotiche
post trapianto epatico?
Non esistono dati circa l’uso delle protesi metalliche nelle stenosi biliari non anastomotiche post
trapianto epatico.
La complessità della morfologia delle stenosi non anastomotiche, la ridotta autonomia di sopravvivenza del
fegato ed il ruolo spesso “bridge to retrasplantation”
del drenaggio endoscopico, spiegano perché attualmente non vi siano dati sull’uso delle protesi metalliche
in questo tipo di stenosi.
M. Mutignani > Trattamento endoscopico delle lesioni iatrogene e stenosi benigne delle vie biliari
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1
STENOSI DELLE VIE BILIARI SECONDARIE
A PANCREATITE CRONICA
Nei pazienti affetti da stenosi asintomatica
della via biliare intrapancreatica
secondaria a pancreatite cronica, con indici
di colestasi nella norma, è indicato
il drenaggio endoscopico delle vie biliari?
Il drenaggio endoscopico non è indicato in presenza di una stenosi del tratto intrapancreatico
del coledoco, secondaria a pancreatite cronica,
con dilatazione a monte delle vie biliari ma con
valori normali degli indici di citolisi e di colestasi
epatica (19).
Nei pazienti affetti da pancreatite cronica sottoposti a
TC o RM, può essere dimostrata la presenza di una
stenosi asintomatica del tratto intrapancreatico del coledoco, con dilatazione delle vie biliari a monte e senza alterazioni degli indici di citolisi e di colestasi epatica. Non esistono fattori predittivi che ci consentano
di identificare i pazienti ad elevato rischio di sviluppare
una colestasi e quindi non è possibile identificare quale di questi pazienti potrebbe giovarsi di un drenaggio
profilattico delle vie biliari. Per questo motivo è fortemente consigliata la gestione conservativa di questi
pazienti (20).
Nei pazienti portatori di una stenosi
sintomatica (colestasi, ittero, colangite)
della via biliare intrapancreatica secondaria
a pancreatite cronica è indicato il drenaggio
endoscopico delle vie biliari?
Nei pazienti portatori di una stenosi sintomatica
(colestasi, ittero, colangite) della via biliare intrapancreatica secondaria a pancreatite cronica Il
drenaggio endoscopico biliare con protesi è indicato come trattamento temporaneo dell’ostruzione biliare (19).
Il drenaggio biliare con protesi di plastica è efficace a
breve termine nel risolvere i sintomi secondari all’ostruzione del coledoco secondario alla pancreatite cronica.
Il limite delle protesi di plastica è legato al loro tempo
di pervietà che in media non supera i 3,4 mesi. Nei pazienti sintomatici, il ricorso al drenaggio endoscopico
in prima istanza può essere utile per identificare quei
casi con stenosi biliare da edema secondario a riacutizzazione della pancreatite cronica che tipicamente possono regredire spontaneamente dopo due o tre mesi
dall’esordio clinico dell’ostruzione biliare. In questi casi
la protesizzazione consente di evitare interventi chirurgici di derivazione biliare inappropriati. In letteratura circa il 10% dei pazienti con stenosi biliare sintomatica
presenta una regressione morfologica completa della
stenosi (21-23).
L’uso delle protesi metalliche
nelle stenosi biliari secondarie
a pancreatite cronica,
è indicato in prima istanza?
L’utilizzazione delle protesi metalliche per la dilatazione delle stenosi biliari secondarie a pancreatite cronica non è ancora supportato da dati della
letteratura sufficienti.
I dati di revisione delle letteratura pubblicati nel 2009 (9)
riguardano prevalentemente le protesi metalliche non
ricoperte utilizzate per palliare l’ostruzione del coledoco
secondaria a pancreatite cronica. In questa revisione
le percentuali di complicanze legate all’ostruzione della protesi variavano dal 10 al 62% (in media 39,5%)
con follow-up medi compresi tra i 22 ed i 50 mesi. È
evidente che in pazienti con lunghe aspettative di vita,
tali dati non sono sufficienti per poter supportare l’uso
delle protesi non ricoperte a meno che non si tratti di
pazienti ad elevato rischio operatorio (9,10). Più recentemente sono comparsi dei lavori sull’uso delle protesi
metalliche rimuovibili che però, al momento, evidenziano soprattutto la presenza di problemi legati alla capacità di rimanere in sede delle protesi, con percentuali di
migrazione superiori al 10-15% (10). I dati disponibili al
momento testimoniano inoltre percentuali di risoluzione
della stenosi non entusiasmanti: 50% con un follow-up
medio di 2 anni (24).
COLANGITE SCLEROSANTE
PRIMITIVA (CSP)
Vi è indicazione al trattamento protesico
nella colangite sclerosante primitiva?
L’endoscopia trova applicazione nelle forme di
CSP che si manifestano con segni clinici di colestasi dovuta a stenosi dei dotti biliari dominanti
(dotto epatico comune, dotti intraepatici principali
di destra e di sinistra).
Le attuali conoscenze si basano su evidenze derivanti
da studi retrospettivi e spesso con piccoli numeri. Oggi
la terapia endoscopica si basa sul livello di expertise
dei singoli centri e sulla confidenza con un determinato
trattamento piuttosto che su evidenze strutturate. Le
opzioni terapeutiche sono rappresentate oltre che dal
posizionamento di protesi in plastica, dalla dilatazione
con pallone. Quale che sia la terapia scelta, essa va
riservata solo quando strettamente indicato, data l’e-
levata percentuale di complicanze infettive secondarie
all’atto endoscopico, legate alla contaminazione dei
dotti a monte delle stenosi.
Il trattamento endoscopico modifica
l’outcome dei pazienti trattati?
Il trattamento endoscopico nella CSP modifica
positivamente la sopravvivenza e consente di ritardare l’indicazione al trapianto di fegato.
I contenuti dello statement derivano da studi di outcome con basso grado di evidenza. Un recente studio retrospettivo riporta l’esperienza ventennale, di un centro
terziario, nella terapia endoscopica di stenosi dominanti
sintomatiche secondarie a CSP.
Durante tale periodo sono state eseguite 291 ERCP
(Retrograde CholangioPancreatography) in 84 pazienti
per colangite acuta non responsiva alla terapia medica,
ittero, prurito e dolore. Il 70 % dei pazienti è stato sottoposto a dilatazione con pallone, mentre nel 51 % sono
stati posizionate protesi per il drenaggio della bile infetta
o per garantire una più duratura pervietà dei dotti.
Gli Autori riportano un tasso di complicanze del 7.2 %,
che includono la pancreatite (3.4%), la sepsi (1%), il peggioramento della colangite (1%) ed in percentuali minori,
l’emorragia, la perforazione e l’ascesso epatico. Sono
stati inoltre valutati gli effetti della terapia endoscopica
sulla sopravvivenza osservata rispetto a quella attesa in
base al modello elaborato dalla Mayo Clinic sulla storia
naturale della malattia, con risultati sovrapponibili per i
primi due anni successivi al trattamento ma superiori,
al terzo anno di osservazione, nei pazienti trattati con
posizionamento di stent (87% vs 76%) (25).
Nel 2010 è stato pubblicato uno studio prospettico che
valuta a lungo termine (7.1 anni) l’outcome della terapia endoscopica mediante dilatazione pneumatica in 96
pazienti con stenosi dominante. Gli autori riportano una
sopravvivenza libera da trapianto epatico dell’81% a 5
anni e del 51% a 10 anni (26).
Figura 1: gestione delle stenosi biliari benigne
STENOSI BILIARI BENIGNE
sintomatica
asintomatica
Osservazione
clinica
Dilatazione +/- stent
Secondarie a
Pancreatine cronica
asintomatica
Osservazione
clinica
Risoluzione
colestasi
sintomatica
Stent plastica
Mancata
risoluzione
Dopo 3 mesi
Rimozione stent
Follow-up
Pz alto rischio
operatorio
Multistenting
SEMS*
Pz basso rischio
operatorio
Chirurgia
Giorn
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LUNEDì
- I SESSIONE
Secondarie a
Colangite sclerosante primitiva
*SEMS: Self-Expandable Metallic Stent
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TRATTAMENTO ENDOSCOPICO
DELLE LESIONI IATROGENE E STENOSI BENIGNE DELLE VIE BILIARI
Figura 2: gestione delle stenosi biliari benigne cicatriziali e post trapianto
STENOSI BILIARI BENIGNE
Cicatriziali
M. Mutignani > Trattamento endoscopico delle lesioni iatrogene e stenosi benigne delle vie biliari
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1
Stenting
endoscopico
+/- PTC
Lesioni con perdita
di sostanza
Legatura o sezione
complessa
Solo in casi selezionati
Endoscopia
PTC
Chirurgia
Successo
Insuccesso
Follow-up
STENOSI BILIARI BENIGNE
Post trapianto
Epaticodigiuno
anastomosi
Coledococoledoco
anastomosi
Stenosi
non
anastomotiche
Stenosi
anastomotiche
Stent
Stent
Successo
Con esordio precoce (entro 3 mesi)
associata a trombosi della
a.epatica
Insuccesso
Deficit d’organo
insuccesso dilatazione
Follow-up
PTC
chirurgia
Chirurgia
Retrapianto
resezione
Retrapianto
Massimiliano Mutignani
U.O.C. di Endoscopia Digestiva Chirurgica
Università Cattolica del Sacro Cuore
Policlinico A. Gemelli di Roma
L.go A. Gemelli, 1 - 00168 Roma
Tel. + 39 0630156580
Fax + 39 0630156581
e-mail: [email protected]
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Cavestro GM, De Angelis C, Ghezzo L, Manfredi R, Malesci A, Mariani
A, Mutignani M, Ventrucci M, Zamboni G, Amodio A, Vantini I; Italian
Association for the Study of the Pancreas (AISP), Bassi C, Delle Fave
G, Frulloni L, Vantini I, Falconi M, Frulloni L, Gabbrielli A, Graziani R,
Pezzilli R, Capurso IV, Cavestro GM, De Angelis C, Falconi M, Gaia E,
Ghezzo L, Gabbrielli A, Graziani R, Manfredi R, Malesci A, Mariani A,
Mutignani M, Pezzilli R, Uomo G, Ventrucci M, Zamboni G, Vantini I,
Magarini F, Albarello L, Alfieri S, Amodio A, Andriulli A, Anti M, Arcidiacono
P, Baiocchi L, Balzano G, Benini L, Berretti D, Boraschi P, Buscarini E,
Calculli L, Carroccio A, Campra D, Celebrano MR, Capurso G, Casadei
R, Cavestro GM, Chilovi F, Conigliaro R, Dall’Oglio L, De Angelis C, De
Boni M, De Pretis G, Di Priolo S, Di Sebastiano PL, Doglietto GB, Falconi
M, Filauro M, Frieri G, Frulloni L, Fuini A, Gaia E, Ghezzo L, Gabbrielli A,
Graziani R, Loriga P, Macarri G, Manes G, Manfredi R, Malesci A, Mariani
A, Massucco P, Milani S, Mutignani M, Pasquali C, Pederzoli P, Pezzilli
R, Pietrangeli M, Rocca R, Russello D, Siquini W, Traina M, Uomo G,
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Ital2 OTTOBRE
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