SULL`ORDINE PROFESSIONALE ENTE DI DIRITTO PUBBLICO A

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SULL`ORDINE PROFESSIONALE ENTE DI DIRITTO PUBBLICO A
LABORATORIO APPLICATIVO
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DIRITTO ED ECONOMIA
NUOVI SCENARI PER LE PROFESSIONI INTELLETTUALI
>>> SULL’ORDINE PROFESSIONALE
ENTE DI DIRITTO PUBBLICO A BASE ASSOCIATIVA
COMPITI ISTITUZIONALI: garantire il corretto esercizio
professione a tutela dell’affidamento degli utenti e della collettività.
della
Le funzioni tipiche degli Ordini/Collegi professionali:
(a) tenuta degli albi e gestione del relativo procedimento di iscrizione e
cancellazione;
(b) poteri disciplinari;
(c) potestà regolamentare, con riferimento ad esempio alla definizione di
norme deontologiche interne;
(d) potestà tariffaria (di tipo propositivo);
(e) funzioni consultive, rappresentative, di designazione, conciliative e
culturali.
RUOLO DEGLI ORDINI PROFESSIONALI: il rischio è di confondere
l’ordine professionale con il sindacato dei professionisti.
Nel corso del 2009 ingegneri, architetti, avvocati, periti, nonché altre
categorie professionali, hanno elaborato proposte di riforma dei
rispettivi ordinamenti professionali dalle quali emerge l’assenza di
una visione unitaria con riferimento. Non si comprende come mai:
>>> da una parte si professi che l’Ordine ha prevalente finalità di tutela
dell’utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della
professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale
(avvocati)1
>>> dall’altra parte si dice che l’Ordine è organo diretto alla
rappresentanza e tutela unitaria degli interessi della categoria
professionale (ingegneri)2.
v. articolo di MATTARELLA >>> su home page laboratorio
1 V. art. 22, co. 3, della bozza di riforma dell’ordinamento forense elaborata dalla
Commissione legislativa del CNF (versione del febbraio 2009).
2 V. art. 16, co. 1, della bozza di riforma dell’ordinamento della professione di ingegnere
elaborata a cura del CNI (luglio 2009). Siffatta visione dell’Ordine è solo parzialmente
attenuata nel recente comunicato stampa (ottobre 2009) del CNI, nel quale si afferma la
necessità di una sempre maggiore responsabilizzazione degli Ordini Professionali “sulla
verifica di qualità delle prestazioni e quali garanti del livello di adeguatezza e
preparazione degli iscritti; istituzioni, quindi, sempre più orientate a conciliare la tutela dei
cittadini con la tutela della professione”.
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LEZIONE 2. - MARTEDÌ 27 APRILE 2010
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NUOVI SCENARI PER LE PROFESSIONI INTELLETTUALI
SUL
PROCESSO
DI
LIBERALIZZAZIONE
PROFESSIONI INTELLETTUALI
DELLE
Perchè si parla di PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE ?
abbiamo una serie di attività professionali
1) il cui accesso è protetto dal legislatore nazionale
2) il cui esercizio è disciplinato dal legislatore nazionale
3) i cui membri - professionisti - sono soggetti al controllo dei rispettivi
ORDINI professionali nazionali
4) non esiste un quadro comune a livello europeo – ogni ordinamento
nazionale ha discipline differenti
conseguenze:
-
irrigidimento a livello nazionale sulle modalità di accesso e di esercizio
della professione
difficoltà nella circolazione dei servizi professionali INTRA UE
difficoltà nel riconoscimento dei titoli/qualifiche nazionali in altri STATI
UE / dunque difficoltà ad accedere al mercato di altri Stati UE
>>> L’INSIEME DI QUESTE CARATTERISTICHE DEL CONTESTO
NORMATIVO DELINEA UNA SITUAZIONE DI STATICITÀ DEL
MERCATO DELLE PROFESSIONI … MA NEGLI ULTIMI 20 ANNI
STIAMO ASSISTENDO AD UNA RAPIDA EVOLUZIONE DEI SERVIZI
PROFESSIONALI
Emerge il ruolo dei servizi professionali nel rafforzamento dei sistemi
produttivi … oggi possiamo affermare che i servizi professionali
costituiscono una componente fondamentale per la crescita e la
competitività del sistema.
Tre fenomeni hanno contributo a questo processo:
1. L’ESTERNALIZZAZIONE DI MOLTE FUNZIONI TERZIARIE
SPECIALISTICHE verso imprese autonome, che possono in tal
modo raggiungere più elevati livelli di specializzazione e fruire di
maggiori economie di scala
2. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE,
inizialmente
nell’ambito
del
mercato europeo ed ora proiettata su scala mondiale, delle attività
professionali
3. LO SVILUPPO E LA DIFFUSIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE
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COSA NE È DERIVATO
Questi FENOMENI hanno favorito il formarsi di una domanda orientata
verso standard di qualità dei servizi professionali sempre più elevati e
hanno evidenziato:
1) l’intensificarsi dei fenomeni concorrenziali su scala locale e
globale
2) l’obsolescenza dei sistemi di regolamentazione, espressione di
contesti storico - economici non più attuali
3) la
ridefinizione
del
rapporto
tra
professionista
e
cliente/consumatore in un’ottica di maggiore attenzione e tutela
nei confronti del cliente/consumatore
Gli studi svolti dalla COMMISSIONE EUROPEA hanno dimostrato che
numerosi profili nelle regolamentazioni nazionali
1 limitano la concorrenza
2 non incentivano il miglioramento della qualità
3 non incentivano l’offerta di servizi innovativi
4 non incentivano modalità di lavoro più efficienti e competitive
v. relazione dell’AGCM (1997) >>> su home page laboratorio
v. relazione della COMMISSIONE (2004) >>> su home page laboratorio
DI QUI LA NECESSITÀ DI ADATTARE LA DISCIPLINA DEI SERVIZI
PROFESSIONALI
v. grafici >>> su home page laboratorio
Le Istituzioni EUROPEE non sono rimaste indifferenti alla necessità di
modernizzare l’offerta dei servizi professionali.
RISALGONO AGLI ANNI’70 RIPETUTI RICHIAMI ALL’APERTURA DEL
MERCATO da parte del Parlamento europeo, del Consiglio, della
Commissione e della Corte di giustizia con l’obiettivo di favorire:
>> la MOBILITÀ DEI PROFESSIONISTI
>> smantellare PRASSI DI PROTEZIONE DEI MERCATI
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Ciò non significa che la politica europea in materia di servizi professionali
sia orientata incondizionatamente alla tutela del libero mercato e della
concorrenza
RAGIONI A SOSTEGNO DI UNA CERTA REGOLAMENTAZIONE DI
QUESTO SETTORE SONO STATE SOSTENUTE
DALLA COMMISSIONE EUROPEA, la quale ha indicato tre ragioni che
giustificano una regolamentazione accuratamente mirata dei servizi
professionali, segnatamente:
- per compensare l’asimmetria informativa fra committente,
esecutore e prestatore del servizio professionale
- per equilibrare le esternalità, che i servizi professionali possono avere
anche su terzi oltre che sull’acquirente del servizio
- per garantire le finalità di interesse generale proprie di alcuni
servizi professionali
Secondo la Commissione, la possibilità di prevedere disposizioni restrittive
è giustificata nella misura in cui queste “garantiscono la qualità dei servizi
professionali e tutelano i consumatori da comportamenti scorretti”.
ESEMPIO
>> le restrizioni in materia di accesso alla professione possono
impedire che operatori incompetenti o scarsamente qualificati offrano
servizi
>> le procedure disciplinari possono sanzionare prestatori la cui qualità
non soddisfa i requisiti minimi
>> le restrizioni in materia di pubblicità possono essere utilizzate per
proteggere i consumatori da forme di pubblicità ingannevole.
DAL PARLAMENTO EUROPEO
Nella risoluzione sulle Regolamentazioni di mercato e le norme di
concorrenza per le libere professioni (2003), il Parlamento europeo è
giunto alla conclusione che nell’ambito di ciascuna professione una
certa attività di regolamentazione è necessaria soprattutto per gli
aspetti che riguardano “l’organizzazione, le qualifiche, l’etica
professionale, la vigilanza, la responsabilità, l’imparzialità e la competenza
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o norme destinate ad impedire conflitti di interesse e forme di pubblicità
ingannevole”.
DALLA CORTE DI GIUSTIZIA
La giurisprudenza della Corte di giustizia, sempre attenta a denunciare
norme e prassi incompatibili con il Trattato, ammette la possibilità di
introdurre deroghe ed eccezioni.
In effetti la Corte riconosce la NECESSITÀ DI REGOLAMENTI a
protezione dei valori fondamentali per l’esercizio corretto della professione
“NONOSTANTE GLI EFFETTI RESTRITTIVI SULLA CIRCOLAZIONE E
SULLA CONCORRENZA CHE NE POTREBBERO RISULTARE”.
v. sentenza Cipolla >>> su home page laboratorio
La posizione delle Istituzioni comunitarie non è dunque di totale
intransigenza a sostegno del libero mercato e della concorrenza.
Bruxelles mira a ridefinire il rapporto tra un livello minimo di
regolamentazione delle professioni e le regole imposte dal Trattato.
È evidente che la portata ‘riformatrice’ dell’azione comunitaria risulta
tanto più invadente quanto maggiore è il grado di chiusura degli
ordinamenti nazionali e l’atteggiamento degli Ordini professionali e
delle associazioni di categoria.
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LE FASI DEL PROCESSO COMUNITARIO DI LIBERALIZZAZIONE
DELEL PROFESSIONI
L’intervento di Bruxelles in materia di servizi professionali è storicamente
ancorato all’attuazione delle libertà fondamentali
[diritto primario]
>>> alle norme sulla libertà di stabilimento (artt. 49-55)
>>> alle norme sulla libera prestazione dei servizi (artt. 56-62)
>>> alle norme sulla concorrenza (artt. 101-109)
contenute nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE)
[diritto derivato]
>>> alle direttive / regolamenti / decisioni
[nell’ambito del diritto primario – principi generali CGCE]
È POSSIBILE scindere gli interventi della Comunità in DUE FASI
COMPLEMENTARI, emerse in tempi diversi, che hanno innescato negli
ordinamenti degli Stati membri DUE SUCCESSIVE ‘ONDATE DI
LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PROFESSIONALI’ tuttora in atto ed i
cui effetti non sono ancora esauriti.
>>> LA PRIMA
PROFESSIONISTI
FASE:
LA
LIBERA
CIRCOLAZIONE
DEI
Nella prima fase, più risalente nel tempo, il legislatore comunitario ha
puntato ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di circolazione
dei servizi.
L’obiettivo perseguito è stato quello di consentire ai professionisti di
ogni Stato membro di muoversi all’interno del mercato europeo e
svolgere la propria attività senza subire discriminazioni rispetto ai
professionisti degli Stati membri nei quali si trovano ad operare.
Ciò avrebbe dovuto permettere ad ogni professionista valutato idoneo
all’esercizio dell’attività sulla base della legislazione di uno Stato membro,
di poterla svolgere in tutti gli altri Stati della Comunità senza necessità di
dimostrare la propria competenza tramite ulteriori richieste o verifiche.
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Gli interventi adottati hanno mirato:
1. all’abolizione di misure discriminatorie e restrittive, ritenute
incompatibili con le norme del trattato
2. al riconoscimento reciproco dei titoli, certificati o attestati
professionali conseguiti in qualunque stato membro.
DETERMINANTE È STATA L’AZIONE DEI GIUDICI COMUNITARI. A
partire dagli anni ’70 la Corte di giustizia ha pronunciato una serie di
sentenze che, stabilendo la diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali
delle norme del Trattato, hanno costituito un punto di riferimento
imprescindibile per giudici e legislatori nazionali
Nel rinviare alle segnalazioni più puntuali svolte nella seconda parte dello
studio riportiamo di seguito i principali leading cases della Corte:
- Reyners (C-2/74, del 21 giugno 1974)
- Commissione contro Grecia (C-38/87, del 14 luglio 1988)
- Van Binsbergen (C-33/74, del 3 dicembre 1974)
- Patrick (C-11/77, del 28 giugno 1977)
- Thieffry (C-71/76, del 28 aprile 1977)
- Klopp (C-107/83, del 12 luglio 1984);
- Gebhard (C-55/94, del 30 novembre 1995)
- Vassopoulou (C-340/89, del 7 maggio 2001)
- Morgenbesser (C-313/01, del 13 novembre 2003)
- Servizi ausiliari Dottori commercialisti (C- 451/03, del 30 marzo 2006)
v. sentenze >>> su home page laboratorio
QUANTO AL RICONOSCIMENTO DEI TITOLI PROFESSIONALI
la scelta iniziale del legislatore comunitario è stata quella di definire
mediante DIRETTIVE SETTORIALI:
(a) i percorsi di formazione,
(b) i requisiti per il riconoscimento dei diplomi,
(c) eventuali condizioni per l’esercizio delle professioni.
LE DIRETTIVE QUADRO E LE PROSPETTIVE.
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I provvedimenti indicati non esauriscono il panorama degli interventi
comunitari, anzi l’intero sistema comunitario è stato da poco
completamente ridefinito con l’approvazione di due direttive.
La PRIMA p la direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche
professionali, che consolida in un unico testo a carattere generale sia le
precedenti direttive settoriali (15). La direttiva 2005/36/CE si applica ai
cittadini comunitari che intendono esercitare una professione in uno Stato
membro diverso da quello in cui hanno acquisito le qualifiche professionali
e individua le autorità competenti a svolgere le procedure di
riconoscimento delle qualifiche, confermando il ruolo di ordini e collegi
professionali (nonché delle associazioni riconosciute).
Sono stabiliti termini di durata massima della procedura di riconoscimento
delle qualifiche professionali che deve concludersi “il più presto possibile”
e “comunque entro tre mesi a partire dalla presentazione della
documentazione completa”. Entro un mese dall’inoltro della richiesta,
l’autorità competente deve comunicare al richiedente l’avvio del
procedimento e richiedere eventuali documenti (art. 51, co. 2, dir.
2005/36/CE).
Ai fini del riconoscimento spetta allo Stato ospitante ‘certificare’ il
professionista sulla base di un attestato di competenza o di un titolo di
formazione corrispondente a quello richiesto nello Stato.
>> IMPORTANTE
Lo Stato ospitante può, inoltre, richiedere provvedimenti di
compensazione, come tirocini o prove, nel caso in cui non ci sia
perfetta corrispondenza tra la qualifica conseguita e quella richiesta
per la professione.
La direttiva è stata recepita in Italia con decreto legislativo 9 novembre
2007 n. 206 e la sua attuazione non è priva di criticità, a causa soprattutto
della mancata previsione di misure compensative (necessarie in tutti i casi
in cui i percorsi formativi presentino differenze sostanziali).
LA SECONDA è la direttiva 2006/123/CE (cd. ex direttiva Bolkestein)
recante una disciplina generale per i servizi nel mercato interno (dovrà
essere recepita dagli Stati membri entro il 28 dicembre 2009) - >>> vd.
http://www.osservatorioappalti.unitn.it/content.jsp?id=21 .
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La direttiva impone una generale revisione dei sistemi di
regolamentazione nazionali delle professioni, finalizzata a individuare e
rimuovere gli ostacoli normativi non giustificati da interessi meritevoli di
tutela o comunque non proporzionati.
Il legislatore europeo abbandona il principio del Paese di origine
(sostenuto dalla Commissione europea) a favore di quello della libera
circolazione dei servizi (sostenuto dal Parlamento europeo). Con il
principio del Paese di origine si prevede la possibilità per il prestatore di
fornire i servizi in uno Stato diverso da quello di appartenenza unicamente
in base alla legislazione dello Stato membro di provenienza. Secondo la
Commissione, l’applicazione del principio realizza la libera circolazione dei
servizi e consente la coesistenza delle regolamentazioni degli Stati
membri con le rispettive specificità e particolarità, le quali non possono
essere utilizzate per imporre restrizioni al prestatore stabilito in un altro
Stato membro
Diversamente, il principio della libera circolazione dei servizi, accolto
nella versione definitiva della direttiva, fa sì che per la prestazione dei
servizi si applichino le regole del Paese in cui i servizi sono effettivamente
prestati.
Il principio, per altro, trova limitata applicazione nel caso delle professioni
regolamentate, per le quali gli Stati possono prevedere misure di
protezione (come, ad esempio, riserve, esclusive, tariffe etc.) purché
rispondenti alla tutela dell’interesse pubblico e proporzionate agli obiettivi
perseguiti.
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>>> LA SECONDA FASE (del
liberalizzazione): L’APPLICAZIONE
CONCORRENZA
processo comunitario di
DELLE REGOLE DELLA
La seconda fase dell’intervento comunitario, alla quale corrisponde l’avvio
di quella che abbiamo definito LA ‘SECONDA ONDATA DI
LIBERALIZZAZIONE’, si caratterizza per l’applicazione delle regole
comunitarie della concorrenza alle attività intellettuali (e ai professionisti).
Topos giuridico di questa seconda fase è, come detto,
l’equiparazione delle attività professionali all’attività di impresa e,
conseguentemente, l’assoggettamento dei professionisti alle norme
a tutela della concorrenza (ad esempio l’art. 81 del Trattato).
Tale equiparazione, a lungo ricusata da letteratura e giurisprudenza
italiana, è stata sancita in primis dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia e dalle decisioni della Commissione europea susseguitesi a
partire dagli anni ’90 ed oggi costituisce un principio consolidato del diritto
comunitario della concorrenza, i cui effetti negli ordinamenti nazionali non
sono ancora del tutto dispiegati.
L’applicazione delle regole concorrenziali ai professionisti deriva dalla loro assimilazione
alle imprese, risultato a cui si è approdati a seguito di un ragionamento elaborato in sede
comunitaria, i cui snodi fondamentali si possono così sintetizzare:
- la nozione di impresa, in ambito comunitario, attrae “qualsiasi entità che esercita
un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e delle sue
modalità di finanziamento”;
- è attività economica “qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un
determinato mercato”;
- ogni prestazione di servizio (incluse quella del professionista intellettuale) offerta
dietro retribuzione, allo scopo di conseguire un profitto, costituisce attività economica
svolta da un’entità qualificabile come impresa e ad essa si applicano le norme
comunitarie sulla concorrenza.
Nel rinviare alle segnalazioni più puntuali svolte nella seconda parte dello
studio riportiamo di seguito i principali leading cases comunitari:
- decisione della Commissione Consiglio nazionale degli spedizionieri
doganali (93/438/CEE, del 30 giugno 1993)
- decisione della Commissione Colegio Oficial de Agentes de la
Propriedad Industrial (95/118/CEE, del 30 gennaio 1995)
- Commissione vs. Italia (CNSD) (C-35/96, del 18 giugno 1998)
- Arduino (C-35/99, del 19 febbraio 2002)
- Conte (C-221/99, del 29 novembre 2001)
- Wouters (C-309/99, del 19 febbraio 2002)
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Mauri (C-250/03, del 17 febbraio 2005)
Cipolla e altri (C-94/04 e C-202/04, del 5 dicembre 2006)
L’equiparazione dell’attività professionale all’attività di impresa ha
trovato autorevole ratifica in Italia da parte dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato.
Nell’ambito della corposa indagine conoscitiva svolta nel settore degli
ordini e collegi professionali (1994-1997) l’Autorità afferma che “la natura
di impresa dei liberi professionisti è già pacificamente acquista non solo in
sede comunitaria, ma anche all’interno degli Stati membri”.
In tal senso, prosegue l’Autorità, l’applicabilità delle norme della
concorrenza alle libere professioni “costituisce in ambito nazionale un
imprescindibile punto di riferimento”.
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>>> IL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE ITALIANO
Gli interventi del legislatore.
Se cambiamo prospettiva, passando dall’ordinamento comunitario a quello
nazionale, si percepisce chiaramente che gli obbiettivi della politica
comunitaria di liberalizzazione delle professioni si possono
considerare a tutt’oggi solo parzialmente conseguiti.
>> l’obiettivo della libera circolazione dei professionisti è un risultato
pressoché consolidato, rispetto al quale le innovazioni da ultimo
introdotte con le direttive 2005/6/CE e 2006/123/CE tracciano un
comune quadro giuridico europeo al quale fare riferimento (anche se
nella fase di attuazione non mancano profili di criticità).
>> l’applicazione delle regole concorrenziali (nella loro declinazione
pratica: tariffe, comunicazione pubblicitaria, la costituzione di
società) mostra, invece, risultati piuttosto deludenti.
Fra i provvedimenti degni di notazione v’è la recente legge 4 agosto
2006 n. 248 (legge di conversione del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, cd.
decreto Bersani) che, ispirandosi alle indicazioni della Commissione
europea e dell’AGCM, ha introdotto nell’ordinamento nazionale alcuni
significativi elementi di novità. In particolare il legislatore ha previsto:
-
-
-
l’abrogazione delle disposizioni (legislative e regolamentari) che
prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, nonché il
divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli
obiettivi perseguiti;
l’abrogazione del divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi
complessivi delle prestazioni (tuttavia la pubblicità di attività
professionali deve essere informata a criteri di trasparenza e
veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dagli Ordini);
l’abrogazione del divieto di fornire all’utenza servizi professionali
di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o
associazioni tra professionisti, stabilendo che “l’oggetto sociale
relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo”,
che “il medesimo professionista non può partecipare a più di una
società” e che “la specifica prestazione deve essere resa da uno
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o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria
personale responsabilità”.
Rimangono, oggi, da verificare gli effetti di questo provvedimento che
fissava al primo gennaio 2007 il termine per l’adeguamento delle norme
deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina (per la parte relativa
alle prescrizioni in materia di tariffe, pubblicità ed esercizio della
professione in forma associata).
A decorrere da questa data, in caso di mancato adeguamento, “le
norme in contrasto con le nuove prescrizioni sono in ogni caso
nulle”.
Le indagini concluse dall’Autorità nel 2009 dimostrano che alcuni ordini
professionali guardano con diffidenza all’applicazione dei principi di
concorrenza ai servizi professionali è ancora vista con diffidenza.
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