Italianiguerrieriperl`Islam gliadepticresconoinRete

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W
LA STAMPA
MARTEDÌ 15 APRILE 2014
il caso
MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME
G
iuliano del Liguristan, Mohammed
della Valcamonica e Anas del Bresciano: sono i loro
casi ad alzare il velo sul jihadismo autoctono italiano, pericoloso quanto fenomeni analoghi in Europa seppur ancora
più contenuto nei numeri. A
descrivere quanto accade sul
fronte del terrorismo islamico
in Italia è il rapporto “Jihadismo autoctono in Italia” firmato da Lorenzo Vidino,
esperto internazionale sul
jihadismo, per la “European
Foundation for Democracy” e
dell’Ispi che lo presentano oggi in Parlamento.
Il primo jihadista “formatosi in Italia” che tenta di farsi
saltare in Italia è il libico
Mohammed Game, a Milano il
12 ottobre 2009: è un immigrato giunto nel nostro Paese
in età adulta ed è «il primo indicatore dell’arrivo del jihadismo autoctono nel nostro Paese», scrive l’ex magistrato delle inchieste sull’antiterrorismo Stefano Dambruoso nella
prefazione allo studio. Ma sono gli arresti - dal 2012 - a descrivere come anche l’Italia è
in grado di «produrre jihadisti». Nel marzo 2012 la Digos
arresta Mohammed Jamoune, marocchino ventenne cresciuto in Italia impegnato a
pianificare un attacco contro
la comunità ebraica di Milano,
e l’inchiesta che innesca svela
l’esistenza di un network di
simpatizzanti jihadisti, molti
dei quali convertiti, sparsi in
Italia, che traducono e diffon-
Italiani guerrieri per l’Islam
gli adepti crescono in Rete
Oggi in Parlamento il rapporto “Jihadismo autoctono”
L’allarme: i volontari in Siria sono solo la punta di un iceberg
In prima
linea
Secondo
stime
ufficiose,
gli europei
andati a
combattere
in Siria sono
circa 500
Molti stanno
rientrando
in patria
Retroscena
GUIDO RUOTOLO
ROMA
P
reoccupati, gli 007 europei
guardano alla Siria, a un conflitto che sembra senza sbocco.
E il pericolo per noi sono i «foreign
fighters», i combattenti stranieri. Sono le seconde, terze generazioni di figli di immigrati che hanno abbracciato lo jihadismo militante, sono andati
a combattere in Siria e ora stanno
rientrando in Europa.
Preoccupa l’evoluzione del conflitto prolungato in Siria, complicato da
una doppia guerra che si combatte
nei due fronti contrapposti. Da una
Game
Delnevo
Libico, nel 2009 cerca di
farsi esplodere a Milano
davanti a una caserma
Genovese, si converte
all’Islam e parte per la
Siria, dove muore
dono testi fondamentalisti su
blog, forum e social network
consentendo di dedurre che
«Internet conta più della moschea», come osserva Vidino
per descrivere il metodo di propagazione dell’islamismo radicale, individuando l’inizio di
questa tendenza nei blog gestiti
dalla convertita milanese Barbara Aisha Farina nei primi anni Duemila. Nel giugno 2013, a
finire in manette è Anas el-Abboubi, anch’egli marocchino,
cresciuto nelle montagne del
Bresciano, con l’accusa di aver
creato il gruppo “Sharia4” ma
“Rientrano i reduci
c’è il rischio escalation”
Gli 007: ora sono professionisti della guerra
parte i lealisti di Assad e l’esercito variegato di oppositori. Dall’altra, una
guerra civile interna al fronte dell’Insorgenza e tra jihadisti. L’incertezza
dell’esito del conflitto può provocare
anche uno sbandamento nelle brigate jihadiste accorse dall’Europa. Tra
i 500 - stima ufficiosa - combattenti
europei accorsi in Siria, c’è chi rientra a casa. Una decina sarebbero gli
jihadisti «italiani», figli di immigrati
che potrebbero tornare in Italia.
I nostri 007 sottolineano la dimensione internazionale di queste brigate che hanno combattuto e combattono in Siria. E sottolineano un dato
che preoccupa: una delle vittime è
uno jihadista italiano, figlio di italiani, Giuliano Delnevo, approdato al
terrorismo islamico dopo la conversione religiosa.
Era già successo agli inizi degli anni
viene assolto e poco dopo la
sentenza si trasferisce in Siria,
dove entra nei ranghi dello
“Stato Islamico dell’Iraq e del
Levante” (Isis), una delle organizzazione jihadiste più sanguinose e meglio organizzate.
Proprio in Siria, nello stesso
mese di giugno 2013, viene ucciso Ibrahim Giuliano Delnevo,
un genovese convertito all’Islam, che parla della sua terra natale come il “Liguristan” e
muore armi in mano, fra i ribelli
islamici che si battono contro il
regime di Bashar Assad. Sebbene questi casi di jihadisti autoctoni italiani siano meno delle
centinaia registrati in Francia,
Germania, Paesi Bassi e Gran
Bretagna - dove l’immigrazione
musulmana è iniziata oltre venti anni prima rispetto a noi - le
pagine di Vidino li descrivono
con una dovizia di dettagli tesi a
lanciare l’allarme sulla possibilità che il fenomeno si sviluppi
in maniera simile.
Se i volontari italiani in Siria
sono stati 10-15, rispetto agli almeno 400 francesi, ciò significa
che da noi si affaccia lo stesso
pericolo. A suggerirlo è l’indagine “Niriya” che porta all’arresto di Jarmoune, in Italia dall’età di 6 anni e residente a Niardo in Valcamonica, svelando
l’estensione delle attività online
ispirandosi al trattato di Anwar
Al-Awlaki, ex leader di Al Qae-
Novanta, con la fine della guerra in Bosnia e poi con il conflitto in Cecenia.
Anche allora si formarono in Europa
brigate jihadiste. E il proselitismo, la
militanza, gli “imam” diventati “cattivi
maestri” fecero nascere gruppi di «homegrown», soggetti in grado di radicalizzarsi e di addestrarsi via Internet.
Con il 2001, Osama bin Laden e l’attacco alle due Torri, l’Afghanistan prima e l’Iraq dopo, il meccanismo si è riproposto. E gli attentati di Londra
(azioni di immigrati pachistani della
seconda e terza generazione) e Madrid
lo confermano.
Una grande capacità di prevenzione
della nostra intelligence e dei nostri
apparati di sicurezza, una proficua collaborazione con le intelligence alleate e
un coordinamento con la magistratura, in particolare la Procura di Milano,
hanno prodotto in Italia positivi risultati di contrasto: dal 2000 al 2010 sono
Cronache .15
.
da in Yemen, sui “44 modi per
sostenere la Jihad”, e adoperando in gran parte le chat.
Anas el-Abboubi, in Italia dall’età di 7 anni, ha in comune con
Jarmoune i natali in Marocco,
la passione per Internet e i manuali di Al-Awlaki.
Ma in più non fa mistero della volontà di andare ove possibile per battersi con le armi - dal
Mali alla Siria - si fa fotografare
con la tunica, il Tricolore e la
“Shahada” - professione di fede
islamica - e si addestra in montagna, puntando a moltiplicare
la “Street Dawa”, il proselitismo islamico in strada. E’ l’approccio che lo porta ad Aleppo,
Siria, dove - come scrive su Facebook - afferma di sentirsi «libero di correre come una rondine in cielo». Riesce ad arrivare
in trincea contro Bashar Assad
grazie ad un network slavo-albanese che opera fra Italia, Balcani e Medio Oriente. Finisce
nei ranghi dell’Isis, un gruppo
jihadista ribelle simile a quello
nel quale milita e cade Giuliano
Ibrahim Delnevo, nato a Genova nel 1989 e cresciuto in uno
dei quartieri più multietnici della Penisola, dove è un compagno
di classe marocchino a fargli conoscere l’Islam. Delnevo, assieme a un altro convertito, creano
un piccolo nucleo di attivisti che
si sentono protagonisti del “Liguristan”. Fino alla scelta di
partire per la Siria. «Casi come
quelli di Jarmoune, el-Abboubi
e Delnevo indicano che un jihadismo autoctono è arrivato in
Italia con caratteristiche simili
a quelle di altri Paesi europei conclude Vidino - perché non
sono episodi isolati ma la punta
di un iceberg» sullo sfondo di
uno jihadismo di «network tradizionali basati in gran parte in
Lombardia ma anche in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Campania» con i
tunisini di “Ansar al-Sharia” fra
i meglio organizzati.
state arrestate 200 persone accusate
di terrorismo internazionale, di queste
47 sono state condannate e 62 espulse
(tra cui dieci imam).
Adesso lo scenario non è meno impegnativo e inquietante. Oltre alla Siria, preoccupa l’evoluzione della «Primavera araba». L’Egitto ha riportato i
militari al potere, la Libia ha il primato
della instabilità, la Tunisia fatica a indirizzarsi verso una democrazia. E così rischiano di prendere piede le diverse formazioni jihadiste che dalla fascia
subsahariana ora possono contare su
pezzi di territori rivieraschi, come la
Cirenaica.
Sotto traccia potrebbero crescere
da noi nuove generazioni di jihadisti
«homegrown», fai-da-te con capacità offensiva di bassa intensità. Ma i
«reduci» siriani potrebbero importare la la “professionalità” acquisita
sul campo.