sommario - Autoemotostoriche.it

Transcript

sommario - Autoemotostoriche.it
Registrazione Tribunale di Palermo n. 6 del 20.02.2006
Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione
(R.O.C.) n. 14355
Questo periodico è associato
all’Unione Stampa Periodioca
Italiana
Editore
Euroblu Service srl
Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo
P.IVA: 05431650828
Tel. 091. 6110517 - fax 091. 6116039
[email protected]
Direttore Responsabile
Franco Trifirò
[email protected]
fiat dino
Editoriale
3
Quattro ruote storiche:
Fiat Dino
4
Ruote storiche al lavoro:
Lancia Esatau B
20
Più uniche che rare:
Lancia “Flavia 1500 Convertibile”
24
Eventi:
Mille Miglia 2008
34
Cronache e notizie dai Clubs
42
Quotazioni
46
Annunci e Fotoannunci
86
4
Grafica ed impaginazione
Maurilia Moscarelli
Hanno collaborato
Giancarlo Catarsi, Roberto Gianusso,
Alessandro Sannia
Redazione
Euroblu Service Srl
Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo
Tel. 091 6110517 - fax 091 6116039
[email protected]
lancia esatau b
20
Foto
Archivio Storico FIAS, Giancarlo Catarsi
N.B.: in questo numero sono state utilizzate
alcune immagini di provenienza ignota. Gli
eventuali autori possono contattare la Direzione
per gli eventuali diritti di riproduzione.
Stampa
Officine Grafiche Riunite Spa
Via Prospero Favier, 10 - 90124 Palermo
Calendario Raduni e
Manifestazioni
100
Indirizzario Ricambisti e
Specialisti
103
Indirizzario Musei italiani
109
Mostre Mercato in Italia
110
Indirizzario Associazioni,
Clubs e Scuderie
111
Lancia Flavia 1500 Convertibile 24
Esclusivista Pubblicità
Euroblu Service srl
Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo
Tel. 091 6110517
[email protected]
UFFICIO ABBONAMENTI
Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo
Tel. 091 6110517 - Fax 091 6116039
[email protected]
mille miglia 2008
34
Regolamento Annunci e
Abbonamenti
128
sommario
ANNO II - N. 14 Novembre 2007
di Franco Trifirò
Nessun dorma!... Nessun dorma! … Chi è che non
di legge in cantiere nulla. Anche nelle numerose e-mail
conosce questa celeberrima aria tratta dalla Turandot
che pervengono quotidianamente alla nostra redazione
di Giacomo Puccini? I Lettori vorranno scusarmi se
non ravvediamo traccia di interesse su quanto si sta
esordisco in questo spazio di riflessione con codesta
legiferando per noi. Leggendo le altre testate di stampa
illustre citazione. Faccio ciò per due precisi motivi: il
specializzata non è che l’andazzo sia poi granché dissimile.
primo per rendere un dovuto omaggio al grande Tenore
Una coltre di indifferenza assolutamente assordante. E’
recentemente scomparso; il secondo per rivolgere questa
quasi come se anche i singoli appassionati o possessori di
acuta esortazione al nostro, ahimé, alquanto sonnolento
veicoli storici del nostro Paese, sull’onda di quella oramai
mondo del motorismo storico. Capita infatti che, a
generalizzata e diffusa percezione della politica, avessero
fronte dei ben sei (dicasi sei) disegni di legge volti alla
maturato un profondo distacco dal potere legislativo,
regolamentazione del motorismo storico in Italia,
scaturito dall’assunto in base al quale si ritiene (a torto?)
presentati nei mesi scorsi da diversi parlamentari alla
che quelli che siedono in Parlamento fanno le leggi che
Camera ed al Senato e di cui Auto & Moto Storiche ha
fanno comodo a loro o ai loro amici. Ma proprio qui
pubblicato integralmente i testi nei numeri 6 ed 8, non
sta l’errore poiché, come ben dicevano gli antichi latini,
si è assolutamente avuto modo di registrare, a parer mio,
quisque faber fortunae suae: ognuno di noi, cioè, è e deve
una significativa ed appropriata presa di coscienza da
essere artefice del proprio destino. LeggeteVi dunque
parte degli appassionati del settore, fossero essi singoli o
attentamente, qualora non l’aveste già fatto, tutti i
riuniti in club. Mi spiego meglio: nei svariati blog e forum
suddetti disegni di legge e non abbiate remore a scrivere
dei nostrani siti internet dedicati ai veicoli storici si
direttamente ai parlamentari proponenti, a mezzo di
continua a disquisire sulle solite trite e ritrite tematiche,
posta tradizionale o e-mail, manifestando loro i Vostri
quali il costo o l’organizzazione scadente di questo o
suggerimenti, le Vostre critiche o i Vostri apprezzamenti.
quel raduno, l’inefficienza di questo o quel servizio di
Incominciamo così, anche in questo aspetto, a
cronometraggio, il costo più o meno conveniente di
riappropriarci di quello che dovrebbe essere un ruolo
questa o quella polizza RCA, i disservizi di questa o
centrale del Cittadino nel nostro Paese: la partecipazione
quell’altra grande o piccola associazione. Delle proposte
alle decisioni che interessano tutti. Svegliamoci.
editoriale
n
essun dorma!
4 ruote storiche
Fiat Dino:
l’altra faccia della medaglia
di Alessandro Sannia
Fiat Dino 2400 Coupè Bertone (1969)
4 ruote storiche
d
ino è innanzi tutto un nome. E’ il diminutivo di un giovane
e sfortunato tecnico che all’anagrafe si chiamava Alfredo
e di cognome faceva Ferrari. Dino, era nato nel 1932;
morì il 30 giugno 1956 a causa di una grave malattia congenita, ad
appena 24 anni di età. Figlio d’arte del grandissimo Enzo Ferrari,
sembrava aver ereditato dal padre la medesima passione e la medesima
sensibilità per i motori. Prima della sua prematura scomparsa, aveva
già lavorato nel reparto progettazione della Casa del Cavallino e
aveva avuto modo di partecipare all’avvio del progetto di un nuovo
motore da competizione a sei cilindri a V. Sul suo tavolo, insieme con
la tristezza e la disperazione erano rimasti disegni e spiegazioni utili
per proseguire il suo lavoro e così, superato il momento di sconforto
che lo aveva persino indotto ad annunciare il suo ritiro dalle
competizioni, Enzo Ferrari decise che il modo migliore per rendere
omaggio alla memoria del figlio era di costruire quel motore, farlo
correre e vincere. Perchè tutti si ricordassero da dove arrivava, volle
che sulla pressofuzione del coperchio delle punterie fosse riportata
la sua firma stilizzata. In questo modo il logo “Dino” è entrato a far
parte della storia dell’automobile.
Quando Ferrari decideva di fare qualcosa, sì sa che era inarrestabile. Il
motore Dino si doveva fare e fare subito. In appena cinque mesi dalla
scomparsa del figlio, il primo prototipo girava già al banco di prova.
Ci aveva lavorato un ingegnere del calibro di Vittorio Jano, aiutato
dal giovane ingegner Fraschetti. Il risultato era un V sei a 65 gradi,
con una cilindrata di un litro e mezzo, pensato per le competizioni di
Formula 2. I progettisti, però, sapevano che se ne sarebbe facilmente
potuta derivare una versione di maggiore cilindrata e che, rinunciando
a certi tratti estremi e rendendolo un po’ più “docile”, sarebbe stato
adattissimo anche per una granturismo.
Il primo sviluppo successivo al sei cilindri 1.500 65º fu una
configurazione 1.800 ad otto cilindri a V di 90 gradi, che riscosse in
breve tempo grandi successi nelle competizioni. Come sempre, però,
Ferrari si trovava a dover fare i conti con i bilanci piuttosto limitati
che poteva destinare allo sviluppo delle vetture da corsa e che, in tempi
in cui le sponsorizzazioni ancora quasi non esistevano, dovevano per
forza sostenersi completamente sui proventi della produzione delle
4 ruote storiche
granturismo di serie. In più ci si metteva l’incontenibile
orgoglio romagnolo del drake, secondo cui “una Ferrari
deve avere almeno dodici cilindri”. Molto affascinante,
ma purtroppo sempre meno compatibile con le dure leggi
di mercato che, anche a quei livelli, non mettevano al
riparo da una dura concorrenza. Ferrari, del resto, era
ben consapevole della cruda realtà dei fatti e già nei primi
anni Sessanta aveva provato a realizzare una granturismo
di un solo litro di cilindrata, la cui licenza di costruzione
era stata venduta ad una società milanese appositamente
costituita: la A.S.A.; l’avventura della piccola 1000 GT
risultò effimera, perchè la “Ferrarina” da Maranello aveva
avuto solo il progetto, ma veniva costruita da un’azienda
del tutto slegata dalla Casa del Cavallino e, per di più, messa
in piedi da un industriale meneghino che aveva ampie
disponibilità economiche, grande passione ma nessuna
esperienza in campo automobilistico. Ferrari, nonostante
ciò, per trovare i fondi necessari a sovvenzionare
l’attività sportiva insistette sulla medesima, proponendo
alla Innocenti la realizzazione di una vettura sportiva
con motore Dino a sei oppure otto cilindri. Del resto, la
realizzazione di un simile progetto si rendeva necessaria
per consentire alla Ferrari di correre nuovamente in
Formula 2, dove i regolamenti richiedevano un motore
di 1,6 litri di cilindrata derivato da uno di produzione,
costruito in almeno cinquecento esemplari nel giro di
un anno: una quantità che, da solo, non sarebbe mai
riuscito a raggiungere. Inizialmente l’azienda lombarda
si mostrò abbastanza interessata e furono allestiti due
prototipi della 186 GT, carrozzati da Bertone, ma alla
fine del 1964 si tirò indietro, annullando l’accordo. A
Ferrari, che aveva già bussato alla Fiat in precedenza
senza successo, non restò altro da fare che tentare un
rischiosissimo bluff. Contattò in gran segreto la Ford,
Fiat Dino 2000 Coupè Bertone (1967)
e marchi diversi: la Fiat Dino come
granturismo d’altro livello e la Ferrari
Dino da corsa.
Inizialmente, il punto centrale
dell’operazione era infatti il costruire
congiuntamente
i
cinquecento
esemplari di motore necessari per far
ottenere alla Ferrari l’omologazione
in Formula 2. Per questa ragione
il progetto fu portato avanti
senza preoccupazioni di carattere
finanziario, dedicandosi unicamente
a trovare le migliori soluzioni dal
punto di vista tecnico. Alla Fiat fu
Aurelio Lampredi che si occupò,
insieme ai progettisti della Ferrari
e sotto la supervisione di Dante
Giacosa, di trasformare il V6 Dino
da competizione in un motore adatto
a una vettura da turismo. Per quanto
riguarda la carrozzeria, si doveva
trattare necessariamente di poco più
che una fuoriserie e, per andare a colpo
sicuro verso la soluzione più attraente
possibile fu deciso di rivolgersi a chi
di Ferrari se ne intendeva, seppure
questa avrebbe dovuto avere un altro
marchio. Fu, infatti, la Pininfarina
a sviluppare un’adeguata carrozzeria
spider, a partire dal prototipo Dino
206 Berlinetta Speciale che era stato
disegnato da Aldo Brovarone ed
esposto al Salone dell’Automobile di
Parigi del 1965.
I tempi del progetto dovevano essere
molto brevi e non interferire con la
nascita di un’altra importante spider
Fiat come la 124. Del resto, pur
con dimensioni piuttosto simili,
prezzo, prestazioni e caratteristiche le
rendevano due prodotti distantissimi.
La nuova vettura fu pronta in meno
di un anno. Il suo debutto ufficiale
fu programmato per il novembre
del 1966, in occasione del Salone
dell’Automobile di Torino. Si trattò,
anche in rapporto ai tempi di allora,
di un vero exploit da parte di tutti gli
enti coinvolti.
La Fiat Dino aveva una carrozzeria
portante realizzata saldando gli
elementi esterni ad un robusto pianale
in lamiera d’acciaio; solo i due cofani
erano realizzati, per leggerezza, in
alluminio. Le dimensioni erano
abbastanza generose, con un passo di
2280 mm, uguale a quello della 124
Sport Spider, ma con una lunghezza
della carrozzeria maggiore di quasi
quindici centimetri, necessaria anche
per ospitare il motore piuttosto
ingombrante, montato ovviamente
in posizione anteriore longitudinale.
Questo era il tipo 135 B, direttamente
derivato dal Ferrari tipo 186 da
competizione. La cilindrata era di
1.987 cc, dati da alesaggio e corsa
di 86x57. La distribuzione avveniva
mediante quattro assi a camme,
due per ogni testata, comandati da
catene. Il collettore di aspirazione
era montato al centro, su supporti
semielastici, in modo da smorzare le
vibrazioni trasferite ai tre carburatori
doppio corpo Weber 40. Il basamento
era realizzato in alluminio, con canne
in acciaio riportate; anche la coppa
dell’olio e le teste erano in alluminio,
mentre i coperchi delle punterie erano
fusi addirittura in lega di magnesio. La
potenza sviluppata era di 160 cavalli
a 7.500 giri al minuto, abbastanza
per spingere una macchina di oltre
undici quintali a 210 chilometri
orari. Il cambio era a cinque marce,
ovviamente tutte sincronizzate; la
frizione monodisco a secco; l’albero di
trasmissione in due tronchi derivava da
quello della Ferrari 275 GTB mentre
il differenziale era un autobloccante
costruito dalla Borg-Warner. Il ponte
posteriore comprendeva un assale
rigido in lamiera stampata e ghisa,
sospeso su balestre semiellittiche
monofoglia, con puntoni longitudinali
e doppi ammortizzatori idraulici;
la sospensione anteriore, invece
riprendeva lo schema studiato per le
4 ruote storiche
proponendo di cedere una parte della
sua azienda; contemporaneamente,
fece in modo che la notizia
“riservatissima”
giungesse
alle
orecchie di Agnelli e contò sul fatto
che un certo orgoglio nazionale
potesse venire in suo aiuto. Funzionò.
Gaudenzio Bono, Direttore Generale
della Casa torinese, lo incontrò
subito per definire la disponibilità
del Gruppo Fiat a portare avanti il
programma appena abbandonato dalla
Innocenti. Così, nel marzo del 1965,
venne siglato l’accordo che avrebbe
portato alla costruzione in parallelo
di due vetture con il medesimo nome
e il medesimo motore, ma con spiriti
4 ruote storiche
4 ruote storiche
Fiat Dino 2000 Spider Pininfarina (1966)
4 ruote storiche
10
berline 124 e 125 e aveva dunque ruote indipendenti,
con bracci trasversali sovrapposti, molloni elicoidali,
ammortizzatori idraulici e barra stabilizzatrice
trasversale. I freni erano a dischi autoventilanti sulle
quattro ruote, prodotti dalla Girling. Un discorso
particolare meritano le splendide ruote in lega leggera,
realizzate dalla Cromodora, che si fissavano per mezzo
di un solo gallettone centrale; univano un’eleganza e
una modernità ineguagliabili, tanto che per il loro stile
vinsero nel 1967 il “Compasso d’Oro”, il più importante
premio italiano per il design industriale.
Per come era stata concepita, la Dino era una vettura
dal carattere nervoso e deciso, adatta esclusivamente a
una clientela alla ricerca di un’auto davvero sportiva,
senza troppi compromessi. Anche in quest’ottica, gli
interni furono realizzati in modo piuttosto essenziale,
riprendendo per comodità molto della contemporanea
124 Sport, destinata da subito a una produzione assai
più consistente.
Il prezzo a cui fu posta in vendita era tutt’altro che
contenuto: costava ben 3.485.000 lire e dunque
appena più di un’Alfa-Romeo 2600 Sprint, ma pur
sempre parecchio meno di molte altre concorrenti più
blasonate come Maserati, Lamborghini, Porsche o
Jaguar. Del resto, l’intenzione non era quella di creare un
grande successo commerciale che portasse alti guadagni
attraverso le vendite, ma solo di sostenere l’attività della
Ferrari ottenendone in cambio vantaggi di immagine,
possibilmente senza perderci troppo. Capita, però, a
volte, che le cose vadano meglio di quanto ci si aspetta e
già nel breve giro dei giorni del Salone dell’Automobile di
Torino per far capire alla Fiat che i presupposti prudenti
con cui era stata impostata l’iniziativa della Dino
erano sbagliati. In pochissimo tempo, infatti, gli ordini
arrivarono alla quota di cinquecento vetture che erano
state programmate e le richieste continuavano a salire.
Fu dunque necessario commissionare alla Pininfarina
un secondo lotto di altre seicentocinquanta vetture.
A questo punto, lo scenario stava cambiando
radicalmente e la Dino meritava di essere riconsiderata
in un’ottica di sviluppo e non come un fatto isolato ed
eccezionale nella produzione Fiat. Magari prevedendone
una versione chiusa che si affiancasse alla 2300 S
Coupè Ghia, ormai anziana, e che magari ne prendesse
il posto. La soluzione più rapida fu proposta dalla stessa
Pininfarina, che realizzò un hard-top in vetroresina
verniciata in nero, ingentilito da una fascia di alluminio
anodizzato che, esclusivamente a livello estetico,
simulava una sorta di roll-bar; questo accessorio non
ovviava però al fatto che la Dino avesse solo due posti
(più uno di traverso) e dunque fosse una sportiva pura
e non una granturismo come la 2300. La Fiat decise
dunque di cercare un’altra collaborazione esterna con
un altro carrozziere per realizzare una vera e propria
coupè a quattro posti sebbene, con la consueta cautela,
si decise che l’impostazione doveva rimanere quella di
una vettura dalle alte prestazioni, con un carattere forte
e molto più marcato di quello della 2300. In questo
modo si sarebbe realizzato un prodotto complementare,
rivolto piuttosto a una clientela attratta dalla meccanica
d’eccezione piuttosto che dalle finiture e dall’eleganza
della granturismo. Per la costruzione della Dino Coupè
fu dunque individuata la Carrozzeria Bertone, lasciando
quindi da parte la Ghia che sembrava già allora troppo
sbilanciata verso l’universo Ford, che più tardi l’avrebbe
inglobata. Con la consulenza dell’ingegner Rudolf Hruska
-già collaboratore di Porsche, Cisitalia e Abarth-, Bertone
modificò profondamente il pianale, allungandone il passo
di 270 mm e soprattutto irrobustendolo abbastanza da
sopportare un impiego abituale con quattro passeggeri
a bordo, eventualità invece molto remota per la Spider.
Per lo stesso motivo furono anche rinforzate le balestre,
portando a due le foglie che le componevano. Il resto
della meccanica rimase il medesimo, ad eccezione delle
ruote, fissate con cinque bulloni anziché col gallettone, e
delle carreggiate: l’anteriore fu stretta di dieci millimetri
e la posteriore allargata di dodici, così da conferire alla
vettura una stabilità leggermente maggiore, a fronte di una
prontezza di risposta leggermente minore. La carrozzeria,
invece, fu completamente ridisegnata. Inizialmente si
occupò del suo stile il giovane Giorgetto Giugiaro, che
però lasciò l’azienda per passare alla Ghia; il progetto fu
dunque ultimato da Marcello Gandini. Sostanzialmente
diversa dalla Spider, la Dino Coupè aveva degli interni
molto più curati e di livello superiore; non mancavano
né gli alzacristalli elettrici né un adeguato impianto di
riscaldamento e ventilazione. Inoltre, fu introdotto un
piccolo accorgimento, insolito su una sportiva, per rendere
più comodo il trasporto dei bagagli: gli schienali dei
sedili posteriori potevano essere ribaltati singolarmente
per aumentare le dimensioni del bagagliaio. Il prezzo di
vendita, anche a causa delle finiture e delle dotazioni
migliori, risultò alla fine più alto di quello dell’altra
versione: 3.650.000 lire. Ciononostante, anche la Dino
Coupè riscosse un certo successo e, alla fine, fu costruita
in un numero maggiore di esemplari: nella prima serie
3670 contro 1183. Avendo trasformato l’iniziativa da
un’attività limitata a una vera e propria produzione in
4 ruote storiche
11
Motore Fiat tipo 135B (Dino 2000)
serie, che i carrozzieri non erano in grado di supportare
completamente, fu necessario allestire un’apposita
linea di montaggio presso lo stabilimento Fiat, appena
inaugurato, di Rivalta. Le scocche, finite e complete
di interni, vi giungevano da Pininfarina e Bertone per
essere unite alla parte meccanica.
Nel corso del 1968 la Dino con motore due litri
ebbe la sua unica novità meccanica, consistente nella
possibilità di montare, a richiesta, un’accensione
elettronica a scarica capacitiva prodotta dalla Magneti
Marelli e chiamata Dinoplex, in quanto già impiegata
sulle Ferrari Dino di Formula 2. Innovativa quanto non
ancora particolarmente a punto, si dimostrò fonte più
di problemi che non di soddisfazioni per i pochissimi
acquirenti che decisero di richiederla.
Da un lato, il successo riscosso dalle Dino era un
argomento già di per sé piuttosto convincente; dall’altro
c’erano le pressioni di Enzo Ferrari, che aveva costruito
centocinquanta berlinette granturismo Dino 206
equipaggiate con il motore Fiat ed era ben intenzionato
a proseguire. I presupposti con cui l’avventura della
Dino era iniziate si trovavano però così completamente
stravolti e, a conti fatti, valeva la pena ripensare tutto da
capo e ottimizzare molti aspetti che, inizialmente, erano
parsi trascurabili; primo fra tutti il costo di produzione.
Inoltre, la cilindrata di due litri, che era stata pensata
12
per poter ricavare agevolmente dal medesimo basamento
anche il 1.600 da Formula 2, sembrava ormai troppo
contenuta; d’altra parte, il motore Dino era un’unità
essenzialmente da competizione, con dimensioni ridotte
al minimo, e dunque parve subito impossibile aumentarne
la cilindrata agendo sulle lavorazioni meccaniche, senza
rifare da capo le fusioni. Dovendo dunque rivedere
tutto, nell’ottica questa volta di un motore per una
granturismo, l’ingegner Lampredi ottenne di poter
impiegare un basamento in ghisa, che eliminava alcune
pericolose deformazioni occasionalmente comparse
in quello composito. Il nuovo motore, contraddistinto
dalla sigla 135 C, aveva cilindrata di 2418 cc, data
da un alesaggio di 92,5 mm per una corsa di 60. Le
modifiche, oltre al basamento, erano state numerose, a
partire dalle valvole più grandi, un diverso schema di
lubrificazione e nuovi carburatori. La potenza, alla fine,
risultò di 180 cavalli a 6.600 giri al minuto. Profondi
interventi di miglioramento coinvolsero anche il resto
della meccanica. Per sopportare la potenza maggiore
furono irrobustiti la frizione e l’albero di trasmissione; il
cambio Fiat fu sostituito da uno, sempre a cinque marce,
realizzato dallo specialista tedesco ZF; il differenziale
autobloccante fu modificato e reso più efficiente; i freni,
soprattutto i posteriori, furono irrobustiti e fu migliorato
il funzionamento del servofreno; la sospensione posteriore
sui brancardi, che venivano verniciati in nero. Anche
i cerchi furono completamente ridisegnati ed erano
parzialmente verniciati in nero opaco. L’interno fu
profondamente rivisto e ancora migliorato sia dal punto
di vista del comfort sia da quello della praticità d’uso e
dell’accessibilità dei comandi.
La presentazione delle due nuove versioni avvenne in
occasione del Salone dell’Automobile di Torino del
novembre 1969, insieme alle rinnovate 124 Sport.
Per la produzione delle Dino 2400 fu allestito un
apposito impianto a Maranello, sotto la gestione diretta
della Ferrari, che riceveva le meccaniche dalla Fiat e le
carrozzerie da Pininfarina e Bertone; lungo la stessa
linea veniva assemblata anche la berlinetta Ferrari Dino
246, che impiegava i medesimi motori. La produzione
delle Dino 2400 Spider fu ancor più limitata di quella
delle precedenti 2000: appena 420 esemplari fino al
gennaio 1972. La Dino 2400 Coupè fu invece costruita
in una quantità maggiore e leggermente più a lungo: gli
esemplari furono 2398 e la produzione proseguì fino a
giungo del 1972. Il motore, invece, fu ancora impiegato
con successo per qualche tempo sulla Lancia Stratos, che
essendo una vettura da competizione non fu travolta dai
continui rincari del carburante dovuti alla crisi petrolifera
che indussero, invece, la Fiat a rinunciare a proseguire la
sua breve quanto affascinante avventura nel campo delle
vetture sportive di alte prestazioni.
4 ruote storiche
a ponte rigido fu sostituita con quella della berlina 130,
che aveva ruote indipendenti, con bracci longitudinali e i
semiassi che fungono da puntoni di reazione trasversali,
molloni elicoidali, ammortizzatori idraulici e barra
antirollio. Esteticamente le modifiche alla Dino Spider
furono minime: la 2400 aveva una mascherina anteriore
con solo due profili cromati orizzontali su una griglia in
plastica nera e strisce di gomma sui paraurti. Le ruote
divennero simili a quelle della Dino 2000 Coupè, con
gli attacchi a cinque bulloni, ma più larghe; inoltre si
potevano avere in alternativa cerchi ancora più larghi,
da 7 pollici e mezzo, prodotti dalla Campagnolo. Pochi
dettagli cambiavano anche all’interno: soprattutto la
disposizione di alcuni strumenti. Anche alla versione
aperta fu però estesa la disponibilità degli alzacristalli
elettrici, insieme con il rivestimento dei sedili in pelle
naturale. La Dino 2400 Coupè fu invece modificata
maggiormente, secondo quanto il Centro Stile Fiat
aveva suggerito alla Bertone. La linea del frontale e del
posteriore fu leggermente rialzata, aggiungendo anche
un profilo cromato che correva tutto intorno alla coda
tronca e alla mascherina in plastica nera. Gli indicatori
di direzione laterali furono spostati dietro le ruote,
accanto alle prese d’aria; gli sfoghi della ventilazione
interna furono spostati dalla base dei finestrini posteriori
ai lati del lunotto, così da ridurre le turbolenze; il profilo
cromato alla base delle porte fu spostato più in basso,
Motore Fiat tipo 135C (Dino 2400)
13
4 ruote storiche
Dino 2000 Spider Pininfarina (1966/1969)
motore:
Tipo 135 B.000
Posizione anteriore longitudinale
Ciclo 4 tempi a benzina
Cilindri 6 a V di 65º
Valvole per cilindro 2
Alesaggio e corsa 86 x 57 mm
Cilindrata totale 1987 cc
Rapporto di compressione 9:1
Potenza massima 160 Cv a 7500 giri/min
Coppia massima 17,5 kgm a 6000 giri/min
Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro
assi a camme in testa
Alimentazione pompa elettrica
Carburatore tre Weber 40 DCN 14 a doppio corpo con dispositivo
d’avviamento e pompetta di ripresa
Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi
Accensione spinterogeno, con correzione automatica
dell’anticipo; (a richiesta dal 1968 accensione elettronica Marelli
Dinoplex)
Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6
Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga
TRASMISSIONE:
sulle ruote posteriori
Frizione monodisco a secco a comando idraulico
Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I:
1:3,095; II: 1:1,825; III: 1:1,351; IV: 1:1; V: 1:0,871; RM: 1:2,889)
Differenziale autobloccante a coppia ipoidale contenuta nel
ponte posteriore
Rapporto di riduzione finale 8/39
Freni:
Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito,
azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da
pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno
Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote
posteriori, comandato da leva a mano
Sospensioni:
Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di
14
reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a
doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Posteriore a ponte rigido, con molle a balestra monofoglia,
doppi ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra
stabilizzatrice trasversale
Sterzo:
a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota,
collegati ad un tirante centrale
Diametro minimo di sterzata 10,7 m
Ruote:
In lega leggera 6½ x 14”
Pneumatici radiali 185 x 14
Impianto elettrico:
Tensione 12 V
Batteria 60 Ah
Alternatore 810 W
Motorino d’avviamento 1,5 Kw
Carrozzeria:
spider a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio; cofani
in alluminio. Due posti anteriori più uno supplementare posteriore.
Copertura pieghevole in tela impermeabile
Dimensioni e pesi:
Passo 2.280 mm
Lunghezza 4.109 mm
Larghezza 1.710 mm
Altezza 1.270 mm
Carreggiata anteriore 1.385 mm
Carreggiata posteriore 1.350 mm
Altezza minima da terra 120 mm
Peso 1.170 Kg
Portata 2+1 persone + 30 Kg di bagaglio
Prestazioni:
Velocità massima oltre 210 Km/h
Pendenza massima superabile 45%
Consumo medio 15,8 l/100 Km
motore:
Tipo 135 B.000
Posizione anteriore longitudinale
Ciclo 4 tempi a benzina
Cilindri 6 a V di 65º
Valvole per cilindro 2
Alesaggio e corsa 86 x 57 mm
Cilindrata totale 1987 cc
Rapporto di compressione 9:1
Potenza massima 160 Cv a 7500 giri/min
Coppia massima 17,5 kgm a 6000 giri/min
Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro
assi a camme in testa
Alimentazione pompa elettrica
Carburatore tre Weber 40 DCN 14 a doppio corpo con dispositivo
d’avviamento e pompetta di ripresa
Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi
Accensione spinterogeno, con correzione automatica
dell’anticipo; (a richiesta dal 1968 accensione elettronica Marelli
Dinoplex)
Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6
Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga
TRASMISSIONE:
sulle ruote posteriori
Frizione monodisco a secco a comando idraulico
Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I:
1:3,095; II: 1:1,825; III: 1:1,351; IV: 1:1; V: 1:0,871; RM: 1:2,889)
Differenziale autobloccante a coppia ipoidale contenuta nel
ponte posteriore
Rapporto di riduzione finale 8/39
Freni:
Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito,
azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da
pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno
Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote
posteriori, comandato da leva a mano
Sospensioni:
Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di
reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a
doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Posteriore a ponte rigido, con molle a balestra semiellittica,
doppi ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra
stabilizzatrice trasversale
4 ruote storiche
Dino 2000 Coupè Bertone (1967/1969)
Sterzo:
a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota,
collegati ad un tirante centrale
Diametro minimo di sterzata 11,6 m
Ruote:
In lega leggera 6½ x 14”
Pneumatici radiali 185 x 14
Impianto elettrico:
Tensione 12 V
Batteria 60 Ah
Alternatore 810 W
Motorino d’avviamento 1,5 Kw
Carrozzeria:
coupè a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio. Due
posti anteriori e due posteriori
Dimensioni e pesi:
Passo 2.550 mm
Lunghezza 4.507 mm
Larghezza 1.696 mm
Altezza 1.315 mm
Carreggiata anteriore 1.378 mm
Carreggiata posteriore 1.362 mm
Altezza minima da terra 120 mm
Peso 1.280 Kg
Portata 4 persone + 40 Kg di bagaglio
Prestazioni:
Velocità massima oltre 200 Km/h
Pendenza massima superabile 40%
Consumo medio 14,7 l/100 Km
15
4 ruote storiche
Dino 2400 Spider Pininfarina (1969/1972)
motore:
Tipo 135 C.000
Posizione anteriore longitudinale
Ciclo 4 tempi a benzina
Cilindri 6 a V di 65º
Valvole per cilindro 2
Alesaggio e corsa 92,5 x 60 mm
Cilindrata totale 2418 cc
Rapporto di compressione 9:1
Potenza massima 180 Cv a 6600 giri/min
Coppia massima 22 kgm a 4600 giri/min
Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro
assi a camme in testa
Alimentazione pompa elettrica
Carburatore tre Weber 40 DCNF 12 a doppio corpo con
dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa
Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi
Accensione elettronica Marelli AEC 103 A a scarica capacitiva
Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6
Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga
TRASMISSIONE:
sulle ruote posteriori
Frizione monodisco a secco a comando idraulico
Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti:
I: 1:2,991; II: 1:1,763; III: 1:1,301; IV: 1:1; V: 1:0,874; RM: 1:3,67)
Differenziale autobloccante a coppia ipoidale
Rapporto di riduzione finale 9/43
Freni:
Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito,
azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da
pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno
Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote
posteriori, comandato da leva a mano
Sospensioni:
Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di
reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a
doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Posteriore a ruote indipendenti con bracci longitudinali e tiranti
16
trasversali, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici
a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Sterzo:
a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota,
collegati ad un tirante centrale
Diametro minimo di sterzata 10,7 m
Ruote:
In lega leggera 6½ x 14”
Pneumatici radiali 185 x 14
Impianto elettrico:
Tensione 12 V
Batteria 55 Ah
Alternatore 810 W
Motorino d’avviamento 1,5 Kw
Carrozzeria:
spider a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio; cofani
in alluminio. Due posti anteriori più uno supplementare posteriore.
Copertura pieghevole in tela impermeabile
Dimensioni e pesi:
Passo 2.280 mm
Lunghezza 4.134 mm
Larghezza 1.710 mm
Altezza 1.270 mm
Carreggiata anteriore 1.383 mm
Carreggiata posteriore 1.381 mm
Altezza minima da terra 120 mm
Peso 1.240 Kg
Portata 2+1 persone + 30 Kg di bagaglio
Prestazioni:
Velocità massima oltre 210 Km/h
Pendenza massima superabile 55%
Consumo medio 15,8 l/100 Km
motore:
Tipo 135 C.000
Posizione anteriore longitudinale
Ciclo 4 tempi a benzina
Cilindri 6 a V di 65º
Valvole per cilindro 2
Alesaggio e corsa 92,5 x 60 mm
Cilindrata totale 2418 cc
Rapporto di compressione 9:1
Potenza massima 180 Cv a 6600 giri/min
Coppia massima 22 kgm a 4600 giri/min
Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro
assi a camme in testa
Alimentazione pompa elettrica
Carburatore tre Weber 40 DCNF 12 a doppio corpo con
dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa
Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi
Accensione elettronica Marelli AEC 103 A a scarica capacitiva
Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6
Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga
TRASMISSIONE:
sulle ruote posteriori
Frizione monodisco a secco a comando idraulico
Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti:
I: 1:2,991; II: 1:1,763; III: 1:1,301; IV: 1:1; V: 1:0,874; RM: 1:3,67)
Differenziale autobloccante a coppia ipoidale
Rapporto di riduzione finale 9/43
Freni:
Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito,
azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da
pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno
Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote
posteriori, comandato da leva a mano
Sospensioni:
Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di
reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a
doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Posteriore a ruote indipendenti con bracci longitudinali e tiranti
trasversali, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici
a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale
Sterzo:
4 ruote storiche
Dino 2400 Coupè Bertone (1969/1972)
a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota,
collegati ad un tirante centrale
Diametro minimo di sterzata 11,6 m
Ruote:
In lega leggera 6½ x 14”
Pneumatici radiali 185 x 14
Impianto elettrico:
Tensione 12 V
Batteria 77 Ah
Alternatore 810 W
Motorino d’avviamento 1,5 Kw
Carrozzeria:
coupè a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio. Due
posti anteriori e due posteriori
Dimensioni e pesi:
Passo 2.550 mm
Lunghezza 4.507 mm
Larghezza 1.696 mm
Altezza 1.315 mm
Carreggiata anteriore 1.390 mm
Carreggiata posteriore 1.381 mm
Altezza minima da terra 120 mm
Peso 1.400 Kg
Portata 4 persone + 40 Kg di bagaglio
Prestazioni:
Velocità massima oltre 205 Km/h
Pendenza massima superabile 50%
Consumo medio 14,7 l/100 Km
17
ruote storiche al lavoro
Lancia Esatau B
di Roberto Gianusso
20
ruote storiche al lavoro
a
d Aprile del 1956, esattamente cinquantuno
anni
fa
vennero
presentati
al
Salone
dell’Automobile di Torino, alcuni prototipi pre-
serie dell’Esatau 503 “B”. A distanza di mezzo secolo
siamo certi di poter affermare che per alcune soluzioni
tecniche ed ergonomiche può essere considerato tutt’oggi
un autocarro d’avanguardia.
Abbiamo provato uno dei primi esemplari prodotti, uscito
dello stabilimento Lancia di Bolzano nel Novembre
del 1957, che dopo aver trascorso la sua carriera nelle
campagne cuneesi, è appena stato restaurato restaurato
dalla famiglia De Martini di Rapallo (Ge).
21
ruote storiche al lavoro
22
L’elegante Esatau sarà il
cavallo di battaglia per
i primi anni cinquanta,
e quando gli ingegneri
della Lancia si misero
all’opera per progettarne
il successore andarono
alla ricerca oltre che di
innovative soluzioni
tecniche anche di pregiate
soluzioni stilistiche.
Negli anni quaranta, questo va detto con
grande orgoglio le aziende nazionali
del settore degli autoveicoli facevano
scuola a tutto il mondo, basti pensare
che la Fiat produceva un modello di
autovettura diversi tipi di trattori ed
il Fiat 626 in Francia con il marchio
Simca/Someca, produceva il medesimo
modello di autocarro in Germania con
il marchio NSU, ed in Polonia anche in versione autobus
con il marchio Polski-Fiat.
L’Alfa Romeo sempre negli anni quaranta avviava in
Brasile la produzione del Modello 430 con il marchio
FNM mentre già negli anni trenta la Lancia nello
stabilimento di Ardennes in Francia produceva due
modelli di autovetture e l’autocarro Tre RO.
Il trend stilistico di quegli anni impose alle aziende del
settore di avviare la produzione di autocarri con cabina
avanzata. Tutte le case nazionali presto si adeguano,
tranne la Lancia che nel 1948 presenta l’Esatau che nel
listino della casa torinese prende il posto del Tre RO.
L’elegante Esatau sarà il cavallo di battaglia per i primi
anni cinquanta, e quando gli ingegneri della Lancia si
misero all’opera per progettarne il successore andarono
alla ricerca oltre che di innovative soluzioni tecniche
anche di pregiate soluzioni stilistiche.
Nel 1955 viene presentata una cabina avanzata progettata
in collaborazione con le officine Casaro e realizzata nello
stabilimento Casaro di Carmagnola a pochi chilometri
da Torino, disponibile sull’Esatau in alternativa “ Fuori
serie “ alla maestosa cabina arretrata.
Nel Luglio del 1956, non paghi del successo raccolto
dall’Esatau “Casaro”, al Salone dell’automobile di Torino
nello stand della Lancia fa bella mostra di se il prototipo
preserie di quello che sarà l’Esatau 503 denominato “B”.
La progettazione del motore è affidata all’ing.
Giovanbattista Falchetto, il cambio all’ing. De Virgilio
inventore di tante soluzione tecniche di casa Lancia
motore a canne parallele, coordinati dall’ing. Fessia capo
ufficio tecnico della Lancia, che per il tocco stilistico della
cabina chiama a Torino l’architetto Loewe, la persona che
disegnò qualche hanno prima la famosa bottiglia della
Coca-Cola. E’ più facile farvi vedere quello che è l’Esatau
B, piuttosto che raccontarvelo, ma alcune soluzioni
meritano tuttavia menzioni. La nostra driver, preso posto
al volante ha la sensazione di stare su un automobile
invece che su un camion, il posto di guida è molto in basso
ed il volante per quanto possibile è disposto in posizione
abbastanza inclinata. Il cruscotto è
completo di tutti gli strumenti e le spie
contenuti in due elementi circolari al
centro dei quali si trova il tachimetro,
di dimensioni normalizzate Din, tali
da ospitare un cronotachigrafo senza
alcuna modifica al cruscotto. Sia il sedile
di guida che il sedile del passeggero
sono confortevoli, avvolgenti, ed il
panchetto è molleggiato con l’ausilio di piccole molle. La
brandina può ospitare comodamente un autista durante il
turno di riposo, è grande e molleggiata. Eventualmente in
cabina può essere montata anche una seconda brandina. I
primi modelli non avevano l’idroguida di serie che poteva
essere montata su richiesta, ma avendo questo autocarro
il rapporto della scatola guida demoltiplicato che rendeva
agevoli le manovre anche senza servoassistenza, pochi
clienti Lancia acquistavano questo accessorio reso poi
di serie dal 1960, per imposizione del nuovo codice
della strada. La frizione, anch’essa servoassistita, non
funziona se il circuito pneumatico non è a regime, ma una
volta caricatosi l’impianto pneumatico si rivela leggera
e precisa come anche il cambio. Il cambio ha la prima
molto lunga che gioca sulla generosissima coppia del
motore, gli altri rapporti entrano con grande precisione,
e inserita la quarta, si solleva la levetta che comanda
le mezze marce posta sul piantone dello sterzo appena
sotto il volante ed in quarta lunga siamo alla velocità di
65 Km/h, oltre meglio non andare le strade del levante
ligure non lo consentono. Usciti dal porto di Rapallo
ci dirigiamo verso sud lungo l’Aurelia, percorso quanto
mai azzeccato provare un camion di cinquant’anni su
una strada che da diversi decenni, dopo la costruzione
dell’autostrada dei fiori, non è più percorsa dai camion
che trasportavano le merci provenienti delle fabbriche
del nord, verso il meridione.
Chissà quanti Esatau B tutti i giorni passavano per la
statale 225 della “Scoffera”, così arrivati a Chiavari
svoltiamo a sinistra per arrampicarsi lungo la Val Fontana
buona fino al passo della Scoffera. Abbiamo caricato il
camion con una zavorra di settanta quintali, per poterlo
provare pieno carico ed incappando nelle prime salite di
San Colombano appena fuori Carasco quando la strada
inizia a salire il piccolo motore da nove litri che non
consente molto, mette in evidenza i soli 150hp che eroga
a 1900 giri. Anche al massimo dei giri, non fa troppo
rumore, ed il confort in cabina si mantiene abbastanza
gradevole anche ad andature sostenute. La cabina ben
ruote storiche al lavoro
coibentata, e l’apparato di riscaldamento molto potente
rendono gradevole il viaggio anche in una fredda giornata
di fine inverno come quella in cui abbiamo effettuato la
nostra prova.
Arrivati a Gattona, svoltiamo a sinistra verso Uscio e
lungo la ripida discesa che ci conduce a Recco abbiamo
modo di testare i freni che rispondono perfettamente e
non accusano il benché minimo cenno di affaticamento.
La nostra driver, abituata a guidare autocarri dotati di
idroguida, sostiene di non avere alcun problema ad
affrontare i tornanti di salto.
A Recco ritorniamo sull’Aurelia verso Rapallo, e nel
traffico del Sabato pomeriggio ligure, come sempre in
alto mare dal punto di vista viario, l’Esatau si comporta
bene, è molto leggero da condurre anche a pieno carico e
la bassa coppia del motore rende molto elastica la marcia
nel traffico urbano.
Ritornati a Rapallo riconsegniamo l’Esatau ai De Martini,
ci resta comunque la soddisfazione di aver potuto provare
un camion che a distanza di tanti anni dalla sua prima
immatricolazione è ritornato ad essere nuovo grazie ad
anni di cure dedicate a restaurarlo anche nel benché
minimo particolare.
23
più uniche che rare
24
Lancia “Flavia 1500
Convertibile”
La sua guida è ancora piacevole e divertente
di Giancarlo Catarsi
certamente affermare che la Lancia Flavia
berlina prima serie rappresenti una rarità.
Eppure si tratta di un auto che ha veramente fatto la
storia non solo della Lancia, ma dell’automobile.
Prima vettura italiana a trazione anteriore, motore boxer
e freni a disco sulle quattro ruote. Non pochi record
che, nonostante una linea “particolare”, portarono ad
un buon numero di esemplari prodotti tra il 1960 ed
il 1966.
Nonostante questo, sono rarissime ai raduni ed assenti
più uniche che rare
n
el mondo del collezionismo d’epoca si può
dalle gare di auto storiche. Auto molto longeve e
generose, al punto da passare di mano più volte perché
25
più uniche che rare
molto ricercate sul mercato dell’usato, finirono infatti
sfruttate all’osso con chilometraggi altissimi. Per trovare
un esemplare di quel periodo nelle migliori condizioni
di efficienza e presentabilità, ci siamo quindi indirizzati
verso una Flavia “Convertibile” tipo 815.134. Telaio
numero 1477, è del 1962 e si colloca quindi a metà del
ciclo produttivo di questa versione.
“La “Flavia Convertibile 2+2” fa parte dei miei ricordi
di ragazzo, in qualche rarissima apparizione e sempre
con distinti signori al volante. Allora un’auto così potevo
soltanto sognarla. Due anni fa, invece, quando trovai
questa “1500” che mi piacque proprio per l’insolito
colore rosso acceso, decisi che era arrivato il momento
di realizzare la mia antica aspirazione”. Roberto
Gallinari è un livornese di 61 anni, con il sogno nel
cassetto di mettere insieme le tre Lancia che ama di più,
la Flaminia, la Flavia e la Fulvia. Questa fedeltà alla
marca è totalmente condivisa anche dalla moglie Franca
e dalla cognata Alessandra, che infatti apprezzano molto
questa convertibile.
Assemblata in piccolissima serie dalla carrozzeria di
Alfredo Vigna le, la scoperta torinese non raggiunge
certo l’originalità estetica propria di altre precedenti
creazioni dello stesso atelier: il frontale è praticamente
identico a quello della coupé di Pininfarina e nella coda
si evidenzia troppo l’ispirazione alla berlina.
A bordo l’abitabilità ai due posti anteriori ci sembra
ottima, mentre il divanetto posteriore per essere
accogliente richiede l’avanzamento almeno parziale
delle due poltrone. Non bisogna comunque dimenticare
che si tratta di una 2+2...
L’allestimento si pone al consueto elevato livello della
marca: d’altra parte, il prezzo d’acquisto di 2.225.000
lire, maggiorato di 80.000 lire rispetto alla già cara
Coupé, non ammetteva manchevolezze. Anche la
capo te è di pregevole esecuzione e molto leggera da
manovrare. L’unico difetto che le si può imputare è il
sistema di accoppiamento ai cristalli laterali, fonte di
qualche “spiffero” di troppo pur se esente da infiltrazioni
26
esisteva anche un tetto rigido, oggi reperibile in rari casi
soltanto se abbinato ad un esemplare in vendita. Dai
ricambisti più qualificati si trova comunque in catalogo,
anche se quelli interpellati dal proprietario della nostra
Flavia - interessato all’acquisto - non ne avevano la
disponibilità.
Il motore a cilindri contrapposti, intrinsecamente
equilibrato, è esemplare per assenza di vibrazioni e
rotondità di funzionamento anche al minimo. Con
l’alimentazione a doppio carburatore della Coupé il
guadagno di potenza rispetto alla berlina è pari al 15%:
sfruttando gli 86 cavalli l’accelerazione è da giudicare
ancora soddisfacente anche se, con la complicità del peso
più uniche che rare
d’acqua in caso di pioggia. Per la stagione invernale
elevato, le migliori prestazioni si ottengono soltanto al
di sopra dei 3000 giri.
La progressione è ben assistita dalla scalatura dei
quattro rapporti, di facile selezione nonostante
l’eccessiva lunghezza ed inclinazione della leva sul
pavimento. Soltanto la frizione denota, pur se solo in
partenza, un leggero pattinamento. La Flavia è la prima
auto a trazione anteriore dalla Lancia, ma la tenuta di
strada non desta sorprese. Ed anche l’agilità di questa
convertibile è soddisfacente, con il passo accorciato di
17 centimetri rispetto alla 4 porte che contribuisce a
renderne piacevole e divertente la guida, specialmente a
cielo aperto. Anche per la signora Franca, che volentieri
ha accettato di prendere il volante per il servizio
fotografico.
Lei ne apprezza molto anche la frenata, peraltro a
livelli di assoluta eccellenza per l’epoca ed ancora oggi
adeguata al traffico cittadino. L’impianto elettrico
denuncia invece i primi segni dell’età e mostra qualche
dispersione: una revisione completa è già programmata
al più presto.
“Il prossimo acquisto - progetta Gallinari - potrebbe
essere una Flaminia di Touring, che piace molto anche
a mia moglie...”
27
l’antefatto: la C.E.M.S.A. Caproni
La C.E.M.S.A. (Costruzioni Elettromeccaniche
di Saronno) fu fondata nel 1925 dall’ingegner
Nicola Romeo con il supporto del Credito
Italiano. L’azienda si dedicò alle lavorazioni
elettromeccaniche, talvolta anche su licenza
internazionale. Nel 1935 l’intero pacchetto
azionario passò all’ I.R.I. e, l’anno successivo
all’ingegner Gianni Caproni, che nella propria
holding aeronautica controllava anche l’Isotta
Fraschini. Sino alla fine del secondo conflitto
mondiale la C.E.M.S.A. si dedicò alla costruzione
di armi leggere e componenti aeronautici.
Al momento della riconversione postbellica fu
determinante l’apporto dell’ingegner Antonio
Fessia, appena fuoriuscito dalla Fiat.
Nella seconda metà degli anni quaranta,
l’ingegner Fessia si dedicò, per la Caproni
Elettromeccanica di Saronno, alla realizzazione
di un prototipo denominato CEMSA F-11
(Fessia 1100).
Tale vettura, per le sue caratteristiche tecniche,
può essere considerata l’antesignana delle
successive Lancia Flavia e Fulvia. Trazione
anteriore, motore anteriore a quattro cilindri
contrapposti, posizionato a sbalzo, sospensione
anteriore a bracci oscillanti e balestra
trasversale, scocca portante con telaio ausiliario
parzialmente in lega leggera, fanno di questa
auto un autentico concentrato di soluzioni
innovative.
Presentata al Salone di Parigi del 1947, riscosse
subito un grande successo. Centinaia furono le
prenotazioni raccolte, ma l’auto non riuscì ad
avere seguito produttivo per la fine delle risorse
economiche dell’azienda, prosciugate dagli
enormi costi sostenuti per prove e prototipi. Se
ne contarono così solo sei esemplari ed il sogno
dell’ingegner Fessia fu costretto ad attendere
ancora molti anni.
30
più uniche che rare
motore:
4 cilindri contrapposti
Alesaggio 82 mm
Corsa 71 mm
Cilindrata 1500 cm³
Potenza 86 CV DIN a 5800 giri/min.
Valvole in testa
Un albero a camme centrale
Due carburatori invertiti, filtro aria a secco, pompa carburante
meccanica
Lubrificazione forzata, filtro olio sul circuito principale
Raffreddamento ad acqua a circolazione forzata
Alesaggio 82
più uniche che rare
Lancia “Flavia 1500 Convertibile” 1962
TRASMISSIONE:
Motore anteriore longitudinale
Frizione anteriore
Comando idraulico a pedale
Cambio 4 velocità tutte sincronizzate con comando a cloche
Ruote a disco in acciaio e pneumatici 165 - 14
Corpo vettura:
Convertibile 2 porte, 2+2 posti
Carrozzeria Vignale
Sospensioni anteriori a ruote indipendenti
Sospensione posteriore a ponte rigido, molle elicoidali
Ammortizzatori idraulici telescopici
Freni a disco sulle quattro ruote con servofreno
Comando idraulico
Freno a mano sulle ruote posteriori
DIMENSIONI e pesi:
Passo 2480 mm
Lunghezza 4330 mm
Larghezza 1640 mm
Altezza 1340 mm
Peso 1210 kg.
prestazioni:
Velocita’ Velocità massima 166 km/h
Consumo carburante 9,9 Iitri/100 km
31
eventi
Mille Miglia 2008:
i sogni più belli non finiscono mai
Ufficio Stampa Mille Miglia
34
eventi
p
adova, 27 Ottobre 2007 - «La Mille Miglia
è un patrimonio storico Italiano così come lo
sono il Colosseo o la Pietà di Michelangelo. Il
nostro obiettivo è valorizzare al massimo questa storica
corsa, non solo da un punto di vista agonistico-sportivo,
ma dando ampio risalto alle città di Brescia e Roma e a
tutte le altre realtà locali che verranno coinvolte lungo
il percorso. Sarà dunque una grandissima vetrina delle
eccellenze del Made in Italy». Lo ha dichiarato Alessandro
Casali, Presidente del Comitato Organizzatore della
Mille Miglia nel corso della presentazione dell’edizione
2008 della storica Freccia Rossa che si è svolta oggi a
Padova nel corso della Fiera Auto e Moto d’Epoca.
Nata nel 1927, la Mille Miglia ha tagliato nel 2007 un
importante traguardo, 80 anni di storia, una lunga vita
scandita dai nomi dei grandi piloti, dai cambiamenti della
società italiana che nel corso del tempo le hanno fatto da
sfondo. Alla Mille Miglia si associa da sempre l’idea di
rinascita e rinnovamento; la corsa è nata infatti in un
periodo di grande trasformazione del nostro Paese che
35
eventi
36
passava da una realtà rurale ad una industriale e, subito
dopo la II Guerra Mondiale, la Freccia Rossa ha voluto
rappresentare un momento di rilancio della società
italiana. Nel corso dei decenni la Mille Miglia ha sempre
tenuto fede alla tradizione che la lega al suo territorio di
origine e ha mantenuto vivo il legame con Brescia che
ne è stata e rimane ancora oggi punto di partenza e di
arrivo.
L’edizione 2008 non intende essere però semplicemente
un momento celebrativo ed una rievocazione storica
delle imprese del passato: il nuovo comitato per
l’organizzazione della Mille Miglia, (formato da MAC
Events, Meet Comunicazione e SanremoRally che si
sono aggiudicate l’organizzazione della Mille Miglia fino
al 2012) intende accentuare il suo carattere di grande
appuntamento internazionale, anche attraverso numerose
presentazioni all’estero.
Senza dimenticare tuttavia lo spirito e gli “ideali” che
hanno animato da sempre la “corsa più bella del mondo”.
«Tra gli obiettivi strategici del Comitato Organizzatore
- ha spiegato Sandro Binelli, Segretario Generale del
Comitato Organizzatore della Mille Miglia c’è anzitutto
quello di diffondere ulteriormente la storia e i valori di
Mille Miglia, conosciuti in tutto il mondo, attraverso
la conferma dell’evento in Giappone, il rilancio delle
manifestazioni in USA e Argentina, e la creazione
di nuovi tributi in altri Paesi. Per rafforzare lo spirito
sportivo della gara nel corso di tutto l’anno, è stata
creata una community ad hoc, attraverso cui “censire” le
vetture che hanno partecipato sia alle edizioni storiche di
velocità che alle rievocazioni».
Tutte le informazioni sull’edizione 2008 sono disponibili
sul nuovo sito in cui è presente anche il programma ed il
relativo form di iscrizione.
La grande novità logistica di questa edizione sarà
costituita dal Mille Miglia Paddock, collocato all’interno
della Fiera di Brescia (Brixia Expo). Il Mille Miglia
Paddock accoglierà i partecipanti e le auto storiche e
risolverà in questo modo molti problemi pratici legati alla
viabilità e ai parcheggi nel centro cittadino. «Nelle piazze
di Brescia - ha aggiunto poi Binelli - verrà celebrato
come da tradizione l’incontro fra la città, le auto storiche
e gli equipaggi. Un grande spettacolo tornerà quindi ad
animare il cuore di Brescia».
La Mille Miglia 2008 prenderà il via giovedì 15 Maggio:
dalle 8.30 alle 12 in Piazza della Loggia Simon Kidston
e Savina Confaloni presenteranno la Freccia Rossa al
pubblico e sarà possibile ammirare le vetture partecipanti
alla corsa. La partenza della prima vettura è prevista
alle ore 19 da Viale Venezia per la tappa Brescia Ferrara, dove la carovana è attesa a partire dalle 23.30
nel centro cittadino. Venerdì la tappa Ferrara - Roma
culminerà con l’arrivo in Piazza del Popolo e la sfilata
lungo i Fori Imperiali. Sabato 17 maggio, la partenza
della tappa Roma - Brescia, è prevista all’alba da Piazza
del Popolo. Domenica 18, in mattinata, le premiazioni,
ambientate nella splendida cornice del Teatro Grande di
Brescia, utilizzato sin dal 1928 come sede di Gala della
Mille Miglia. I driver saranno impegnati in 49 prove di
regolarità. Le vetture ammesse alla corsa saranno, come
sempre, 375.
Alla Mille Miglia possono partecipare le vetture costruite
dal 1927 al 1957, i cui modelli abbiano preso parte
ad almeno una delle edizioni storiche. Possono essere
accettati alcuni esemplari costruiti anteriormente al
1927, i cui modelli siano stati iscritti alla Mille Miglia
fino al 1930. Le vetture dovranno essere originali, con
esclusione di ogni tipo di replica, anche parziale. Tutte le
vetture dovranno seguire le norme F.I.V.A. e F.I.A. che
permettono l’ammissione alla partenza solo alle vetture
in possesso di regolare certificazione. Viene richiesto, in
base al regolamento internazionale, il “Passaporto FIVA”
(Fédération Internationale des Véhicules Anciens),
rilasciato dalla federazione del Paese d’appartenenza
(ANS).
Per quanto concerne infine l’attribuzione dei coefficienti
per la classifica, è stato adottato un sistema basato su
caratteristiche tecniche, sportive e storiche e sull’epoca di
progettazione che garantisce trasparenza ed oggettività.
Le richieste di partecipazione dovranno pervenire entro
il 31 dicembre 2007. L’iscrizione si compila on line, sul
sito www.1000miglia.eu
La corsa più bella del mondo
Dal 1927 al 1961
La leggenda della Mille Miglia ha origine alla fine del
1926, quando quattro giovani appassionati di auto e
gare (i “quattro moschettieri”), il Conte Aymo Maggi
di Gradella, il suo amico, e primo finanziatore, Conte
Franco Mazzotti, entrambi alla guida della neonata
AC Brescia, Renzo Castagneto, dotato di ottime
capacità organizzative e con un passato da pilota, e il
giornalista Giovanni Canestrini della “Gazzetta dello
Sport” idearono e progettarono la Corsa, in risposta alla
mancata assegnazione a Brescia, loro città natale, del
spagnolo Alfonso de Portago uscì di strada a quasi
300 km/h per lo scoppio del pneumatico anteriore
sinistro, causando la morte di nove spettatori, fra cui
cinque bambini, e perdendo la vita assieme al copilota,
il giornalista americano Edmund Gurner Nelson. Tre
giorni dopo il Governo italiano decretò la fine della
Mille Miglia e delle corse su strada aperta. A seguito
dell’incidente Enzo Ferrari, costruttore della vettura
coinvolta nell’incidente, subì un processo che durò
alcuni anni dal quale uscì assolto. L’Automobile Club
di Brescia effettuò un tentativo per dare continuità alla
corsa, ma di fronte all’ostracismo decretato da parte
della Commissione interministeriale e alla contrarietà
di parte dell’opinione pubblica choccata dopo l’incidente
di Guidizzolo e della stessa stampa - che fino al giorno
prima aveva esaltato la corsa -, gli organizzatori bresciani
dovettero rinunciare ad una Mille Miglia di velocità e
furono costretti a trasformarla in gara di regolarità con
tratti a velocità libera, sul tipo di quella che era stata in
passato in Italia la Stella Alpina, o in Francia il Tour de
France Automobile, che, nonostante l’immane tragedia
di Le Mans del 1955, riuscì a celebrare nel 1986 la sua
cinquantesima e ultima edizione, mantenendo inalterata
la formula originale.
Le tre Mille Miglia disputate nel 1958, 1959 e 1961,
pur conservando il nome e approssimativamente la
medesima distanza da percorrere, ma senza un numero
d’ordine e il tributo a Franco Mazzotti, si svolsero in
maniera completamente differente dalle edizioni che le
avevano precedute.
eventi
Gran Premio d’Italia. Fu scelto un percorso a forma di
“otto” da Brescia a Roma e ritorno, su una distanza di
circa 1.600 km (corrispondenti a circa mille miglia, da
cui il nome). Solo dopo la fine della prima Mille Miglia si
decise, considerato l’enorme successo, di ripetere la prova
negli anni successivi.
La prima storica edizione prese il via il 26 marzo 1927,
con la partecipazione di settantasette equipaggi, due soli
dei quali stranieri (al volante delle minuscole Peugeot
5 HP spider). S’iscrissero invece alla manifestazione i
migliori piloti italiani, oltre ad alcuni celebri personaggi
pubblici. Cinquantacinque vetture portarono a termine
la corsa, mentre ventidue furono costrette al ritiro. I
vincitori della prima Mille Miglia furono Ferdinando
Minoia e Giuseppe Morandi a bordo di una OM, che
completarono il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi
e 1/5 alla media di Kmh 77,238.
La Mille Miglia cresceva in popolarità e veniva
delineandosi come il grande appuntamento delle corse
su strada, nonostante le difficoltà economiche e le
controversie internazionali vissute dall’Italia in quegli
anni.
Dopo una prima sospensione della manifestazione nel
1939, conseguente ad un grave incidente occorso l’anno
precedente in gara, che costò la vita a dieci persone, la
corsa fu interrotta nel 1940, a causa della partecipazione
dell’Italia alla seconda Guerra Mondiale. Venne in
quell’anno comunque ancora disputata un’edizione
particolare dell’evento, su un tracciato che collegava
Brescia, Cremona e Mantova.
La Mille Miglia si ripresentò in strada alle 14.00 del 21
giugno 1947, nell’Italia Repubblicana, e vide la vittoria
di Biondetti in coppia con Romano sulla poderosa e
potentissima “Alfa Romeo 8C 2900B aspirato berlinetta
Touring”, con il tempo di 16 ore 16 minuti e 39 secondi.
Ma il record assoluto se lo aggiudicò il pilota inglese
Stirling Moss che nel 1955 percorse i 1600 km in 10 ore
e 8 minuti, al volante di una Mercedes-Benz 300 SLR
numero 722. Si narra che il suo navigatore, il barbuto
giornalista Denis Jenkinson, compì una ricognizione del
percorso, utilizzando per dirigere Moss durante la gara
un artigianale, dettagliatissimo “radar”, scritto su una
striscia di carta lunga oltre 5 metri che si svolgeva da
un rullo per avvolgersi su un altro, entrambi disposti
parallelamente in una scatola.
Nel 1957 la tragedia che segnò definitivamente la storia
della Mille Miglia: la vittoria finale premiò Taruffi e
la Ferrari, ma a Guidizzolo, in provincia di Mantova,
a meno di quaranta chilometri dal traguardo, il pilota
DAL 1977 AD OGGI
Nel 1977, per celebrare il cinquantenario della Coppa
delle 1000 Miglia, l’Automobile Club di Brescia
organizzò il Rally 1000 Miglia sulle strade della
provincia, riprendendo la formula della manifestazione
di regolarità con prove di classifica di velocità, idea
già adottata nelle ultime tre Mille Miglia disputate a
partire del 1958, ma codificata dalla FIA fin dagli anni
Cinquanta per le gare che costituivano il campionato
europeo Rally. In occasione di quel cinquantenario,
sull’onda del crescente fenomeno del collezionismo di
auto d’epoca, fu organizzata anche una rievocazione della
corsa da Brescia a Roma e ritorno, riservata alle vetture
storiche, stilando la classifica finale sulla base dei risultati
nelle prove di precisione disposte lungo il percorso.
La ripetizione della manifestazione, allungandone il
tracciato, richiedeva, tuttavia, un’organizzazione che
si occupasse a tempo pieno e con ingenti forze, anche
37
eventi
economiche, del suo allestimento.
La nuova organizzazione esordì nel 1982 in occasione
della seconda rievocazione storica, la prima a ripartire
dalla tradizionale pedana in viale Venezia, e nelle repliche
del 1984 e del 1986. Il successo di iscrizioni, passate
dalle 220 del 1982 alle 350 del 1984 costrinse nel
1987 ad abbandonare la periodicità biennale in favore
di quella annuale.
La rievocazione storica eredita dalla Mille Miglia di
velocità non solo i simboli e alcuni punti del tracciato, ma
soprattutto lo spirito, anche se la manifestazione odierna
ha l’obiettivo di esaltare l’agonismo sotto forme diverse,
non più legate alle prestazioni pure, ma sapientemente
coniugato con il divertimento e il turismo.
Nel rispetto di una manifestazione riservata a vetture
d’epoca, dal 1993 è obbligatorio l’uso di cronometri
manuali, anziché quello di sofisticati congegni elettronici
di misura, inoltre a partire dal 1996, viene incentivata,
attraverso opportuni coefficienti di classifica, la
partecipazione di vetture più anziane, meno competitive
e di più difficile condotta.
MILLE MIGLIA - DENTRO LA STORIA
1930
La lotta per il primato si rivelò un duello tra Achille Varzi
e Tazio Nuvolari, quest’ultimo avvantaggiato dal fatto di
essere partito dieci minuti dopo il pilota di Galliate che,
sembra, non fosse stato bene informato negli ultimi tratti
del ritmo di gara che stava mantenendo il rivale.
La leggenda, forse eccessivamente romanzata, racconta
che Nuvolari abbia sorpassato Varzi a Desenzano, poco
prima del traguardo, dopo averlo seguito a fari spenti per
coglierlo di sorpresa.
L’Alfa si aggiudicò anche la Coppa Brescia a squadre.
1931
La Mercedes di Caracciola sfruttò tutta la sua potenza
arrivando al controllo di Bologna alla media di 154,222
km/h, polverizzando il precedente record.
Sull’Appennino iniziò il recupero di Nuvolari, ma già
erano apparsi i primi sintomi dei guai alle gomme che
avrebbero fermato la rincorsa delle vetture milanesi. Fino
a Bologna fu un alternarsi alla testa dei protagonisti,
poi Caracciola prese il sopravvento, favorito anche dai
problemi alla frizione di Arcangeli, primo al controllo
felsineo.
38
1936
La difficile situazione internazionale, creata dalla guerra
etiopica e dalle sanzioni comminate all’Italia, impedì la
partecipazione dei piloti stranieri.
In pieno accordo con il regime di “autarchia” furono
create speciali classifiche riservate alle vetture alimentate
a combustibili succedanei di natura gassosa, liquida o
solida. Non era un’innovazione assoluta: già nel 1933
il generale della Milizia Forestale Augusto Agostini
aveva preso parte alla Mille Miglia con un’Alfa Romeo
1750 GS alimentata con il “gassogeno” inventato da
Marco Ferraguti, professore di agraria all’università di
Perugia. Agostini, in coppia con Sergio Ferraguti, figlio
dell’inventore, riuscì a concludere la manifestazione
fuori tempo massimo, mantenendo, tuttavia, la non
disprezzabile media di 51 km/h. La radio, che allora
seguiva quasi in diretta l’andamento della gara, riferì dei
tre tentativi occorsi all’equipaggio per superare la salita
del Piccione, tra Perugia e Gubbio.
1947
Il problema maggiore era posto dal razionamento ancora
in atto della benzina e dei pneumatici. Grazie ad accordi
particolari, i concorrenti ebbero la possibilità di acquistare
all’atto dell’iscrizione un treno di gomme nuove Pirelli a
prezzo super scontato e tagliandi per benzina sufficiente
da consumarsi, questi ultimi, presso i distributori disposti
lungo il percorso. Ciò gonfiò a dismisura l’elenco degli
iscritti, ben 245, mentre i partenti furono solo 155,
alimentando fortemente il mercato nero degli introvabili
pneumatici.
Altra novità fu costituita dal nuovo copricapo indossato
da Renzo Castagneto che per la prima volta si presentò
sulla pedana di viale Venezia con un cappello floscio
al posto della tradizionale bombetta con la quale aveva
dato le partenze in tutte le tredici edizioni precedenti.
Si giustificò rispondendo alla domanda “E la bombetta?”
postagli da Carlo Biscaretti di Ruffia: “Perduta, liquefatta,
subissata nei bombardamenti con tutto l’armadio. E quel
che è peggio, non se ne trovano più. E allora sono passato
alla lobbia”
1948
L’inclusione di Nuvolari nella squadra modenese ha
del romanzesco, come tutte le storie, più o meno vere,
tramandate sul “mantovano volante”.
Il pilota si trovava in convalescenza in un convento sul
Lago di Garda, nel tentativo di curare non tanto i suoi
problemi ai polmoni, quanto di superare lo shock dovuto
1950
Per la sua diciassettesima edizione la gara,
scaramanticamente, mutò denominazione, assumendo
quella di “La Mille Miglia del 1950 per la Coppa
Franco Mazzotti”. Purtroppo questo “escamotage” non fu
sufficiente a scongiurare i moltissimi incidenti, i guai e
le “polemiche, inevitabili viste le dimensioni raggiunte
dalla gara che annoverò ben 375 vetture alla partenza.
Oltre a Giannino Marzotto a questa edizione della gara
bresciana parteciparono anche i suoi tre fratelli, tutti
al volante di vetture Ferrari, ma solo Vittorio riuscì a
tagliere il traguardo in nona posizione assoluta.
Memorabile rimane l’arrivo del conte Marzotto che
scese dalla vettura dopo 13 ore di guida indossando un
doppiopetto di grisaglia “naturalmente Marzotto” con
cravatta intonata con il colore della vettura. A Giannino
Marzotto resta il record di più giovane vincitore della
Mille Miglia.
1952
La fortuna baciò la Ferrari che aveva dovuto rinunziare
prima della gara a Villoresi, Ascari e Farina. Si racconta
che la vettura di Villoresi sia stata affidata all’ultimo
momento e mal volentieri a Giovanni Bracco, forte
stradista, al pari di Biondetti, ma come quest’ultimo
dalla vita abbastanza sregolata e pessimo pagatore, per
cui non gli era stata garantita alcuna assistenza, che nella
sua condizione di pilota privato avrebbe dovuto pagare in
contanti alla Casa di Maranello.
Solo l’ottima posizione in classifica generale a Bologna,
primo con due minuti di vantaggio sulla Mercedes di
Kling, permise a Bracco di godere di un tardivo cambio
di pneumatici da parte dei meccanici della Ferrari e di
vincere la XIX Mille Miglia.
eventi
alla prematura morte di entrambi i figli. A lui aveva
pensato l’Alfa Romeo, che ancora stentava a riprendere
la produzione di serie, per affidargli una delle due
berlinette sperimentali che l’Alfa Corse aveva realizzato.
Enzo Ferrari, prontamente informato delle intenzioni
della rivale milanese, si precipitò a Brescia, precedendo
gli incaricati del Portello, e riuscì a convincere Nuvolari
a partecipare alla gara con la quarta vettura preparata del
“Cavallino”.
Era una vettura aperta e con parafanghi motociclistici,
non certo la più confortevole per il percorso che
l’attendeva. Dopo le schermaglie iniziali, Nuvolari passò
in testa nel tratto ForlìRoma, controllo che raggiunse mantenendo una media
di 125 km/h, nonostante un incidente gli avesse fatto
perdere il parafango anteriore sinistro e danneggiato
il cofano motore, che, non rimanendo più chiuso, fu
eliminato al controllo capitolino.
Un altro incidente, nei pressi di Livorno, gli danneggiò
la balestra posteriore sinistra, scardinando anche il
seggiolino del secondo pilota. Nonostante tutti questi
guai, a Bologna Nuvolari mantenne un vantaggio di 29
minuti su Biondetti, ma a Reggio Emilia un perno della
sospensione cedette definitivamente, costringendolo al
ritiro.
La leggenda racconta che già a Modena Enzo Ferrari lo
avesse supplicato di fermarsi, vista la pericolosità della
vettura, e che un prete, in abito talare, fosse stato persuaso
a porsi in mezzo alla strada per fermare la disperata corsa
del mantovano.
1955
Un merito speciale deve essere accordato a Stirling Moss
e a Denis Jenkinson che prepararono un dettagliatissimo
“radar”, scritto su una striscia di carta lunga oltre 5 metri
che si svolgeva da un rullo per avvolgersi su un altro,
entrambi disposti parallelamente in una scatola. “Jenks”
man mano che l’auto procedeva nel percorso, avvolgeva la
striscia leggendo le note corrispondenti e comunicandole
a Moss con segni convenzionali della mano.
È forse poco noto che questo metodo fu preferito
all’interfono tra pilota e co-pilota che la Mercedes aveva
realizzato; le comunicazioni infatti spesso non venivano
comprese dal pilota troppo concentrato nella guida.
Il risultato di questa metodica preparazione fu eccezionale:
Moss vinse la gara alla media record di 157,650 km/h,
segnando anche i nuovi record sui tratti Brescia-Pescara
(189,981 km/h) e Brescia- Roma (173,050 km/h),
oltre che sulla Cremona-Brescia (198,464 km/h) del
gran Premio Nuvolari.
Ufficio Stampa Mille Miglia
Capo Ufficio Stampa: Claudio Piacentini
Cell: 334.6764211
Addetto Stampa: Cristina Coppi
Cell: 393.0520975 • Tel: 06.32296971
E-mail: [email protected]
Stampa Specializzata: Lara Paoletti
Tel: 010.8692648 • Cell: 349.7040885
Email: [email protected]
39
eventi
programma
14/18 maggio 2008
Mercoledì 14 maggio
Giornata dedicata ai driver delle vetture che hanno partecipato alla Mille Miglia storica, ai team ufficiali delle Case automobilistiche ed ai grandi piloti.
Ore 09.00
Ore 18.00
Ritrovo delle vetture presso il Mille Miglia Paddock del Brixia Expo (Fiera di Brescia), con area dedicata ai principali marchi. Verifiche sportive
e briefing sul percorso di gara. Custodia notturna delle vetture nelle aree riservate del Mille Miglia Paddock e posteggio dei veicoli di supporto
negli spazi del Mille Miglia Paddock.
Ore 21.00
Cena di gala.
Giovedì 15 maggio
Ore 08.00
Ore 16.30
Ritrovo delle vetture presso il Mille Miglia Paddock del Brixia Expo.
Verifiche sportive per tutti i partecipanti. Shuttle service per raggiungere il centro di Brescia (Piazza della Loggia e Piazza della Vittoria) e
viceversa.
Ore 08.00
Ore 16.30
Trasferimento delle vetture partecipanti in Piazza della Loggia per le verifiche tecniche e la consegna dell’adesivo verificato, del road-book
e dei numeri di gara adesivi.
Ore 08.30
Ore 12.00
Presentazione, a cura di Simon Kidston e Savina Confaloni, delle vetture accreditate mercoledì 14 ed esposizione nelle piazze nelle aree
dedicate ai principali marchi automobilistici.
Ore 12.00
Santa Messa e benedizione di una rappresentanza delle vetture in Piazza del Duomo.
Ore 17.00
Ore 18.30
Cena presso il Museo della Mille Miglia.
Ore 19.00
Partenza della prima vettura da Viale Venezia per la tappa Brescia-Ferrara e presentazione al pubblico
delle vetture partecipanti.
Ore 23.30
Arrivo della prima vettura in centro a Ferrara.
Ore 01.00
Arrivo dell’ultima vettura
Venerdì 16 maggio
Ore 09.00
Ferrara. Partenza della prima vettura da Piazza Ariostea per la tappa Ferrara-Roma.
Ore 13.30
Ore 15.30
Lunch ad Urbino.
Ore 21.00
Arrivo della prima vettura in Piazza del Popolo a Roma. Sfilata attraverso la città fino a via dei Fori Imperiali dove avrà luogo lo spettacolo
per la presentazione al pubblico delle vetture sullo sfondo del Colosseo. La presentazione sarà trasmessa in uno spettacolo televisivo.
Sabato 17 maggio
Ore 06.30
Roma. Partenza della prima vettura da Piazza del Popolo per la tappa Roma-Brescia.
Ore 13.30
Lunch a Buonconvento (SI).
Ore 21.30
Ore 02.00
Presentazione al pubblico delle vetture partecipanti in Viale Venezia.
Domenica 18 maggio
40
Ore 11.00
Brescia. Cerimonia di premiazione al Teatro Grande.
Ore 13.30
Aperitivo e pranzo conclusivo.
eventi
41