sommario - Autoemotostoriche.it
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Registrazione Tribunale di Palermo n. 6 del 20.02.2006 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) n. 14355 Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodioca Italiana Editore Euroblu Service srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo P.IVA: 05431650828 Tel. 091. 6110517 - fax 091. 6116039 [email protected] Direttore Responsabile Franco Trifirò [email protected] fiat dino Editoriale 3 Quattro ruote storiche: Fiat Dino 4 Ruote storiche al lavoro: Lancia Esatau B 20 Più uniche che rare: Lancia “Flavia 1500 Convertibile” 24 Eventi: Mille Miglia 2008 34 Cronache e notizie dai Clubs 42 Quotazioni 46 Annunci e Fotoannunci 86 4 Grafica ed impaginazione Maurilia Moscarelli Hanno collaborato Giancarlo Catarsi, Roberto Gianusso, Alessandro Sannia Redazione Euroblu Service Srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 - fax 091 6116039 [email protected] lancia esatau b 20 Foto Archivio Storico FIAS, Giancarlo Catarsi N.B.: in questo numero sono state utilizzate alcune immagini di provenienza ignota. Gli eventuali autori possono contattare la Direzione per gli eventuali diritti di riproduzione. Stampa Officine Grafiche Riunite Spa Via Prospero Favier, 10 - 90124 Palermo Calendario Raduni e Manifestazioni 100 Indirizzario Ricambisti e Specialisti 103 Indirizzario Musei italiani 109 Mostre Mercato in Italia 110 Indirizzario Associazioni, Clubs e Scuderie 111 Lancia Flavia 1500 Convertibile 24 Esclusivista Pubblicità Euroblu Service srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 [email protected] UFFICIO ABBONAMENTI Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 - Fax 091 6116039 [email protected] mille miglia 2008 34 Regolamento Annunci e Abbonamenti 128 sommario ANNO II - N. 14 Novembre 2007 di Franco Trifirò Nessun dorma!... Nessun dorma! … Chi è che non di legge in cantiere nulla. Anche nelle numerose e-mail conosce questa celeberrima aria tratta dalla Turandot che pervengono quotidianamente alla nostra redazione di Giacomo Puccini? I Lettori vorranno scusarmi se non ravvediamo traccia di interesse su quanto si sta esordisco in questo spazio di riflessione con codesta legiferando per noi. Leggendo le altre testate di stampa illustre citazione. Faccio ciò per due precisi motivi: il specializzata non è che l’andazzo sia poi granché dissimile. primo per rendere un dovuto omaggio al grande Tenore Una coltre di indifferenza assolutamente assordante. E’ recentemente scomparso; il secondo per rivolgere questa quasi come se anche i singoli appassionati o possessori di acuta esortazione al nostro, ahimé, alquanto sonnolento veicoli storici del nostro Paese, sull’onda di quella oramai mondo del motorismo storico. Capita infatti che, a generalizzata e diffusa percezione della politica, avessero fronte dei ben sei (dicasi sei) disegni di legge volti alla maturato un profondo distacco dal potere legislativo, regolamentazione del motorismo storico in Italia, scaturito dall’assunto in base al quale si ritiene (a torto?) presentati nei mesi scorsi da diversi parlamentari alla che quelli che siedono in Parlamento fanno le leggi che Camera ed al Senato e di cui Auto & Moto Storiche ha fanno comodo a loro o ai loro amici. Ma proprio qui pubblicato integralmente i testi nei numeri 6 ed 8, non sta l’errore poiché, come ben dicevano gli antichi latini, si è assolutamente avuto modo di registrare, a parer mio, quisque faber fortunae suae: ognuno di noi, cioè, è e deve una significativa ed appropriata presa di coscienza da essere artefice del proprio destino. LeggeteVi dunque parte degli appassionati del settore, fossero essi singoli o attentamente, qualora non l’aveste già fatto, tutti i riuniti in club. Mi spiego meglio: nei svariati blog e forum suddetti disegni di legge e non abbiate remore a scrivere dei nostrani siti internet dedicati ai veicoli storici si direttamente ai parlamentari proponenti, a mezzo di continua a disquisire sulle solite trite e ritrite tematiche, posta tradizionale o e-mail, manifestando loro i Vostri quali il costo o l’organizzazione scadente di questo o suggerimenti, le Vostre critiche o i Vostri apprezzamenti. quel raduno, l’inefficienza di questo o quel servizio di Incominciamo così, anche in questo aspetto, a cronometraggio, il costo più o meno conveniente di riappropriarci di quello che dovrebbe essere un ruolo questa o quella polizza RCA, i disservizi di questa o centrale del Cittadino nel nostro Paese: la partecipazione quell’altra grande o piccola associazione. Delle proposte alle decisioni che interessano tutti. Svegliamoci. editoriale n essun dorma! 4 ruote storiche Fiat Dino: l’altra faccia della medaglia di Alessandro Sannia Fiat Dino 2400 Coupè Bertone (1969) 4 ruote storiche d ino è innanzi tutto un nome. E’ il diminutivo di un giovane e sfortunato tecnico che all’anagrafe si chiamava Alfredo e di cognome faceva Ferrari. Dino, era nato nel 1932; morì il 30 giugno 1956 a causa di una grave malattia congenita, ad appena 24 anni di età. Figlio d’arte del grandissimo Enzo Ferrari, sembrava aver ereditato dal padre la medesima passione e la medesima sensibilità per i motori. Prima della sua prematura scomparsa, aveva già lavorato nel reparto progettazione della Casa del Cavallino e aveva avuto modo di partecipare all’avvio del progetto di un nuovo motore da competizione a sei cilindri a V. Sul suo tavolo, insieme con la tristezza e la disperazione erano rimasti disegni e spiegazioni utili per proseguire il suo lavoro e così, superato il momento di sconforto che lo aveva persino indotto ad annunciare il suo ritiro dalle competizioni, Enzo Ferrari decise che il modo migliore per rendere omaggio alla memoria del figlio era di costruire quel motore, farlo correre e vincere. Perchè tutti si ricordassero da dove arrivava, volle che sulla pressofuzione del coperchio delle punterie fosse riportata la sua firma stilizzata. In questo modo il logo “Dino” è entrato a far parte della storia dell’automobile. Quando Ferrari decideva di fare qualcosa, sì sa che era inarrestabile. Il motore Dino si doveva fare e fare subito. In appena cinque mesi dalla scomparsa del figlio, il primo prototipo girava già al banco di prova. Ci aveva lavorato un ingegnere del calibro di Vittorio Jano, aiutato dal giovane ingegner Fraschetti. Il risultato era un V sei a 65 gradi, con una cilindrata di un litro e mezzo, pensato per le competizioni di Formula 2. I progettisti, però, sapevano che se ne sarebbe facilmente potuta derivare una versione di maggiore cilindrata e che, rinunciando a certi tratti estremi e rendendolo un po’ più “docile”, sarebbe stato adattissimo anche per una granturismo. Il primo sviluppo successivo al sei cilindri 1.500 65º fu una configurazione 1.800 ad otto cilindri a V di 90 gradi, che riscosse in breve tempo grandi successi nelle competizioni. Come sempre, però, Ferrari si trovava a dover fare i conti con i bilanci piuttosto limitati che poteva destinare allo sviluppo delle vetture da corsa e che, in tempi in cui le sponsorizzazioni ancora quasi non esistevano, dovevano per forza sostenersi completamente sui proventi della produzione delle 4 ruote storiche granturismo di serie. In più ci si metteva l’incontenibile orgoglio romagnolo del drake, secondo cui “una Ferrari deve avere almeno dodici cilindri”. Molto affascinante, ma purtroppo sempre meno compatibile con le dure leggi di mercato che, anche a quei livelli, non mettevano al riparo da una dura concorrenza. Ferrari, del resto, era ben consapevole della cruda realtà dei fatti e già nei primi anni Sessanta aveva provato a realizzare una granturismo di un solo litro di cilindrata, la cui licenza di costruzione era stata venduta ad una società milanese appositamente costituita: la A.S.A.; l’avventura della piccola 1000 GT risultò effimera, perchè la “Ferrarina” da Maranello aveva avuto solo il progetto, ma veniva costruita da un’azienda del tutto slegata dalla Casa del Cavallino e, per di più, messa in piedi da un industriale meneghino che aveva ampie disponibilità economiche, grande passione ma nessuna esperienza in campo automobilistico. Ferrari, nonostante ciò, per trovare i fondi necessari a sovvenzionare l’attività sportiva insistette sulla medesima, proponendo alla Innocenti la realizzazione di una vettura sportiva con motore Dino a sei oppure otto cilindri. Del resto, la realizzazione di un simile progetto si rendeva necessaria per consentire alla Ferrari di correre nuovamente in Formula 2, dove i regolamenti richiedevano un motore di 1,6 litri di cilindrata derivato da uno di produzione, costruito in almeno cinquecento esemplari nel giro di un anno: una quantità che, da solo, non sarebbe mai riuscito a raggiungere. Inizialmente l’azienda lombarda si mostrò abbastanza interessata e furono allestiti due prototipi della 186 GT, carrozzati da Bertone, ma alla fine del 1964 si tirò indietro, annullando l’accordo. A Ferrari, che aveva già bussato alla Fiat in precedenza senza successo, non restò altro da fare che tentare un rischiosissimo bluff. Contattò in gran segreto la Ford, Fiat Dino 2000 Coupè Bertone (1967) e marchi diversi: la Fiat Dino come granturismo d’altro livello e la Ferrari Dino da corsa. Inizialmente, il punto centrale dell’operazione era infatti il costruire congiuntamente i cinquecento esemplari di motore necessari per far ottenere alla Ferrari l’omologazione in Formula 2. Per questa ragione il progetto fu portato avanti senza preoccupazioni di carattere finanziario, dedicandosi unicamente a trovare le migliori soluzioni dal punto di vista tecnico. Alla Fiat fu Aurelio Lampredi che si occupò, insieme ai progettisti della Ferrari e sotto la supervisione di Dante Giacosa, di trasformare il V6 Dino da competizione in un motore adatto a una vettura da turismo. Per quanto riguarda la carrozzeria, si doveva trattare necessariamente di poco più che una fuoriserie e, per andare a colpo sicuro verso la soluzione più attraente possibile fu deciso di rivolgersi a chi di Ferrari se ne intendeva, seppure questa avrebbe dovuto avere un altro marchio. Fu, infatti, la Pininfarina a sviluppare un’adeguata carrozzeria spider, a partire dal prototipo Dino 206 Berlinetta Speciale che era stato disegnato da Aldo Brovarone ed esposto al Salone dell’Automobile di Parigi del 1965. I tempi del progetto dovevano essere molto brevi e non interferire con la nascita di un’altra importante spider Fiat come la 124. Del resto, pur con dimensioni piuttosto simili, prezzo, prestazioni e caratteristiche le rendevano due prodotti distantissimi. La nuova vettura fu pronta in meno di un anno. Il suo debutto ufficiale fu programmato per il novembre del 1966, in occasione del Salone dell’Automobile di Torino. Si trattò, anche in rapporto ai tempi di allora, di un vero exploit da parte di tutti gli enti coinvolti. La Fiat Dino aveva una carrozzeria portante realizzata saldando gli elementi esterni ad un robusto pianale in lamiera d’acciaio; solo i due cofani erano realizzati, per leggerezza, in alluminio. Le dimensioni erano abbastanza generose, con un passo di 2280 mm, uguale a quello della 124 Sport Spider, ma con una lunghezza della carrozzeria maggiore di quasi quindici centimetri, necessaria anche per ospitare il motore piuttosto ingombrante, montato ovviamente in posizione anteriore longitudinale. Questo era il tipo 135 B, direttamente derivato dal Ferrari tipo 186 da competizione. La cilindrata era di 1.987 cc, dati da alesaggio e corsa di 86x57. La distribuzione avveniva mediante quattro assi a camme, due per ogni testata, comandati da catene. Il collettore di aspirazione era montato al centro, su supporti semielastici, in modo da smorzare le vibrazioni trasferite ai tre carburatori doppio corpo Weber 40. Il basamento era realizzato in alluminio, con canne in acciaio riportate; anche la coppa dell’olio e le teste erano in alluminio, mentre i coperchi delle punterie erano fusi addirittura in lega di magnesio. La potenza sviluppata era di 160 cavalli a 7.500 giri al minuto, abbastanza per spingere una macchina di oltre undici quintali a 210 chilometri orari. Il cambio era a cinque marce, ovviamente tutte sincronizzate; la frizione monodisco a secco; l’albero di trasmissione in due tronchi derivava da quello della Ferrari 275 GTB mentre il differenziale era un autobloccante costruito dalla Borg-Warner. Il ponte posteriore comprendeva un assale rigido in lamiera stampata e ghisa, sospeso su balestre semiellittiche monofoglia, con puntoni longitudinali e doppi ammortizzatori idraulici; la sospensione anteriore, invece riprendeva lo schema studiato per le 4 ruote storiche proponendo di cedere una parte della sua azienda; contemporaneamente, fece in modo che la notizia “riservatissima” giungesse alle orecchie di Agnelli e contò sul fatto che un certo orgoglio nazionale potesse venire in suo aiuto. Funzionò. Gaudenzio Bono, Direttore Generale della Casa torinese, lo incontrò subito per definire la disponibilità del Gruppo Fiat a portare avanti il programma appena abbandonato dalla Innocenti. Così, nel marzo del 1965, venne siglato l’accordo che avrebbe portato alla costruzione in parallelo di due vetture con il medesimo nome e il medesimo motore, ma con spiriti 4 ruote storiche 4 ruote storiche Fiat Dino 2000 Spider Pininfarina (1966) 4 ruote storiche 10 berline 124 e 125 e aveva dunque ruote indipendenti, con bracci trasversali sovrapposti, molloni elicoidali, ammortizzatori idraulici e barra stabilizzatrice trasversale. I freni erano a dischi autoventilanti sulle quattro ruote, prodotti dalla Girling. Un discorso particolare meritano le splendide ruote in lega leggera, realizzate dalla Cromodora, che si fissavano per mezzo di un solo gallettone centrale; univano un’eleganza e una modernità ineguagliabili, tanto che per il loro stile vinsero nel 1967 il “Compasso d’Oro”, il più importante premio italiano per il design industriale. Per come era stata concepita, la Dino era una vettura dal carattere nervoso e deciso, adatta esclusivamente a una clientela alla ricerca di un’auto davvero sportiva, senza troppi compromessi. Anche in quest’ottica, gli interni furono realizzati in modo piuttosto essenziale, riprendendo per comodità molto della contemporanea 124 Sport, destinata da subito a una produzione assai più consistente. Il prezzo a cui fu posta in vendita era tutt’altro che contenuto: costava ben 3.485.000 lire e dunque appena più di un’Alfa-Romeo 2600 Sprint, ma pur sempre parecchio meno di molte altre concorrenti più blasonate come Maserati, Lamborghini, Porsche o Jaguar. Del resto, l’intenzione non era quella di creare un grande successo commerciale che portasse alti guadagni attraverso le vendite, ma solo di sostenere l’attività della Ferrari ottenendone in cambio vantaggi di immagine, possibilmente senza perderci troppo. Capita, però, a volte, che le cose vadano meglio di quanto ci si aspetta e già nel breve giro dei giorni del Salone dell’Automobile di Torino per far capire alla Fiat che i presupposti prudenti con cui era stata impostata l’iniziativa della Dino erano sbagliati. In pochissimo tempo, infatti, gli ordini arrivarono alla quota di cinquecento vetture che erano state programmate e le richieste continuavano a salire. Fu dunque necessario commissionare alla Pininfarina un secondo lotto di altre seicentocinquanta vetture. A questo punto, lo scenario stava cambiando radicalmente e la Dino meritava di essere riconsiderata in un’ottica di sviluppo e non come un fatto isolato ed eccezionale nella produzione Fiat. Magari prevedendone una versione chiusa che si affiancasse alla 2300 S Coupè Ghia, ormai anziana, e che magari ne prendesse il posto. La soluzione più rapida fu proposta dalla stessa Pininfarina, che realizzò un hard-top in vetroresina verniciata in nero, ingentilito da una fascia di alluminio anodizzato che, esclusivamente a livello estetico, simulava una sorta di roll-bar; questo accessorio non ovviava però al fatto che la Dino avesse solo due posti (più uno di traverso) e dunque fosse una sportiva pura e non una granturismo come la 2300. La Fiat decise dunque di cercare un’altra collaborazione esterna con un altro carrozziere per realizzare una vera e propria coupè a quattro posti sebbene, con la consueta cautela, si decise che l’impostazione doveva rimanere quella di una vettura dalle alte prestazioni, con un carattere forte e molto più marcato di quello della 2300. In questo modo si sarebbe realizzato un prodotto complementare, rivolto piuttosto a una clientela attratta dalla meccanica d’eccezione piuttosto che dalle finiture e dall’eleganza della granturismo. Per la costruzione della Dino Coupè fu dunque individuata la Carrozzeria Bertone, lasciando quindi da parte la Ghia che sembrava già allora troppo sbilanciata verso l’universo Ford, che più tardi l’avrebbe inglobata. Con la consulenza dell’ingegner Rudolf Hruska -già collaboratore di Porsche, Cisitalia e Abarth-, Bertone modificò profondamente il pianale, allungandone il passo di 270 mm e soprattutto irrobustendolo abbastanza da sopportare un impiego abituale con quattro passeggeri a bordo, eventualità invece molto remota per la Spider. Per lo stesso motivo furono anche rinforzate le balestre, portando a due le foglie che le componevano. Il resto della meccanica rimase il medesimo, ad eccezione delle ruote, fissate con cinque bulloni anziché col gallettone, e delle carreggiate: l’anteriore fu stretta di dieci millimetri e la posteriore allargata di dodici, così da conferire alla vettura una stabilità leggermente maggiore, a fronte di una prontezza di risposta leggermente minore. La carrozzeria, invece, fu completamente ridisegnata. Inizialmente si occupò del suo stile il giovane Giorgetto Giugiaro, che però lasciò l’azienda per passare alla Ghia; il progetto fu dunque ultimato da Marcello Gandini. Sostanzialmente diversa dalla Spider, la Dino Coupè aveva degli interni molto più curati e di livello superiore; non mancavano né gli alzacristalli elettrici né un adeguato impianto di riscaldamento e ventilazione. Inoltre, fu introdotto un piccolo accorgimento, insolito su una sportiva, per rendere più comodo il trasporto dei bagagli: gli schienali dei sedili posteriori potevano essere ribaltati singolarmente per aumentare le dimensioni del bagagliaio. Il prezzo di vendita, anche a causa delle finiture e delle dotazioni migliori, risultò alla fine più alto di quello dell’altra versione: 3.650.000 lire. Ciononostante, anche la Dino Coupè riscosse un certo successo e, alla fine, fu costruita in un numero maggiore di esemplari: nella prima serie 3670 contro 1183. Avendo trasformato l’iniziativa da un’attività limitata a una vera e propria produzione in 4 ruote storiche 11 Motore Fiat tipo 135B (Dino 2000) serie, che i carrozzieri non erano in grado di supportare completamente, fu necessario allestire un’apposita linea di montaggio presso lo stabilimento Fiat, appena inaugurato, di Rivalta. Le scocche, finite e complete di interni, vi giungevano da Pininfarina e Bertone per essere unite alla parte meccanica. Nel corso del 1968 la Dino con motore due litri ebbe la sua unica novità meccanica, consistente nella possibilità di montare, a richiesta, un’accensione elettronica a scarica capacitiva prodotta dalla Magneti Marelli e chiamata Dinoplex, in quanto già impiegata sulle Ferrari Dino di Formula 2. Innovativa quanto non ancora particolarmente a punto, si dimostrò fonte più di problemi che non di soddisfazioni per i pochissimi acquirenti che decisero di richiederla. Da un lato, il successo riscosso dalle Dino era un argomento già di per sé piuttosto convincente; dall’altro c’erano le pressioni di Enzo Ferrari, che aveva costruito centocinquanta berlinette granturismo Dino 206 equipaggiate con il motore Fiat ed era ben intenzionato a proseguire. I presupposti con cui l’avventura della Dino era iniziate si trovavano però così completamente stravolti e, a conti fatti, valeva la pena ripensare tutto da capo e ottimizzare molti aspetti che, inizialmente, erano parsi trascurabili; primo fra tutti il costo di produzione. Inoltre, la cilindrata di due litri, che era stata pensata 12 per poter ricavare agevolmente dal medesimo basamento anche il 1.600 da Formula 2, sembrava ormai troppo contenuta; d’altra parte, il motore Dino era un’unità essenzialmente da competizione, con dimensioni ridotte al minimo, e dunque parve subito impossibile aumentarne la cilindrata agendo sulle lavorazioni meccaniche, senza rifare da capo le fusioni. Dovendo dunque rivedere tutto, nell’ottica questa volta di un motore per una granturismo, l’ingegner Lampredi ottenne di poter impiegare un basamento in ghisa, che eliminava alcune pericolose deformazioni occasionalmente comparse in quello composito. Il nuovo motore, contraddistinto dalla sigla 135 C, aveva cilindrata di 2418 cc, data da un alesaggio di 92,5 mm per una corsa di 60. Le modifiche, oltre al basamento, erano state numerose, a partire dalle valvole più grandi, un diverso schema di lubrificazione e nuovi carburatori. La potenza, alla fine, risultò di 180 cavalli a 6.600 giri al minuto. Profondi interventi di miglioramento coinvolsero anche il resto della meccanica. Per sopportare la potenza maggiore furono irrobustiti la frizione e l’albero di trasmissione; il cambio Fiat fu sostituito da uno, sempre a cinque marce, realizzato dallo specialista tedesco ZF; il differenziale autobloccante fu modificato e reso più efficiente; i freni, soprattutto i posteriori, furono irrobustiti e fu migliorato il funzionamento del servofreno; la sospensione posteriore sui brancardi, che venivano verniciati in nero. Anche i cerchi furono completamente ridisegnati ed erano parzialmente verniciati in nero opaco. L’interno fu profondamente rivisto e ancora migliorato sia dal punto di vista del comfort sia da quello della praticità d’uso e dell’accessibilità dei comandi. La presentazione delle due nuove versioni avvenne in occasione del Salone dell’Automobile di Torino del novembre 1969, insieme alle rinnovate 124 Sport. Per la produzione delle Dino 2400 fu allestito un apposito impianto a Maranello, sotto la gestione diretta della Ferrari, che riceveva le meccaniche dalla Fiat e le carrozzerie da Pininfarina e Bertone; lungo la stessa linea veniva assemblata anche la berlinetta Ferrari Dino 246, che impiegava i medesimi motori. La produzione delle Dino 2400 Spider fu ancor più limitata di quella delle precedenti 2000: appena 420 esemplari fino al gennaio 1972. La Dino 2400 Coupè fu invece costruita in una quantità maggiore e leggermente più a lungo: gli esemplari furono 2398 e la produzione proseguì fino a giungo del 1972. Il motore, invece, fu ancora impiegato con successo per qualche tempo sulla Lancia Stratos, che essendo una vettura da competizione non fu travolta dai continui rincari del carburante dovuti alla crisi petrolifera che indussero, invece, la Fiat a rinunciare a proseguire la sua breve quanto affascinante avventura nel campo delle vetture sportive di alte prestazioni. 4 ruote storiche a ponte rigido fu sostituita con quella della berlina 130, che aveva ruote indipendenti, con bracci longitudinali e i semiassi che fungono da puntoni di reazione trasversali, molloni elicoidali, ammortizzatori idraulici e barra antirollio. Esteticamente le modifiche alla Dino Spider furono minime: la 2400 aveva una mascherina anteriore con solo due profili cromati orizzontali su una griglia in plastica nera e strisce di gomma sui paraurti. Le ruote divennero simili a quelle della Dino 2000 Coupè, con gli attacchi a cinque bulloni, ma più larghe; inoltre si potevano avere in alternativa cerchi ancora più larghi, da 7 pollici e mezzo, prodotti dalla Campagnolo. Pochi dettagli cambiavano anche all’interno: soprattutto la disposizione di alcuni strumenti. Anche alla versione aperta fu però estesa la disponibilità degli alzacristalli elettrici, insieme con il rivestimento dei sedili in pelle naturale. La Dino 2400 Coupè fu invece modificata maggiormente, secondo quanto il Centro Stile Fiat aveva suggerito alla Bertone. La linea del frontale e del posteriore fu leggermente rialzata, aggiungendo anche un profilo cromato che correva tutto intorno alla coda tronca e alla mascherina in plastica nera. Gli indicatori di direzione laterali furono spostati dietro le ruote, accanto alle prese d’aria; gli sfoghi della ventilazione interna furono spostati dalla base dei finestrini posteriori ai lati del lunotto, così da ridurre le turbolenze; il profilo cromato alla base delle porte fu spostato più in basso, Motore Fiat tipo 135C (Dino 2400) 13 4 ruote storiche Dino 2000 Spider Pininfarina (1966/1969) motore: Tipo 135 B.000 Posizione anteriore longitudinale Ciclo 4 tempi a benzina Cilindri 6 a V di 65º Valvole per cilindro 2 Alesaggio e corsa 86 x 57 mm Cilindrata totale 1987 cc Rapporto di compressione 9:1 Potenza massima 160 Cv a 7500 giri/min Coppia massima 17,5 kgm a 6000 giri/min Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro assi a camme in testa Alimentazione pompa elettrica Carburatore tre Weber 40 DCN 14 a doppio corpo con dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi Accensione spinterogeno, con correzione automatica dell’anticipo; (a richiesta dal 1968 accensione elettronica Marelli Dinoplex) Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6 Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga TRASMISSIONE: sulle ruote posteriori Frizione monodisco a secco a comando idraulico Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I: 1:3,095; II: 1:1,825; III: 1:1,351; IV: 1:1; V: 1:0,871; RM: 1:2,889) Differenziale autobloccante a coppia ipoidale contenuta nel ponte posteriore Rapporto di riduzione finale 8/39 Freni: Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito, azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote posteriori, comandato da leva a mano Sospensioni: Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di 14 reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Posteriore a ponte rigido, con molle a balestra monofoglia, doppi ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Sterzo: a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota, collegati ad un tirante centrale Diametro minimo di sterzata 10,7 m Ruote: In lega leggera 6½ x 14” Pneumatici radiali 185 x 14 Impianto elettrico: Tensione 12 V Batteria 60 Ah Alternatore 810 W Motorino d’avviamento 1,5 Kw Carrozzeria: spider a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio; cofani in alluminio. Due posti anteriori più uno supplementare posteriore. Copertura pieghevole in tela impermeabile Dimensioni e pesi: Passo 2.280 mm Lunghezza 4.109 mm Larghezza 1.710 mm Altezza 1.270 mm Carreggiata anteriore 1.385 mm Carreggiata posteriore 1.350 mm Altezza minima da terra 120 mm Peso 1.170 Kg Portata 2+1 persone + 30 Kg di bagaglio Prestazioni: Velocità massima oltre 210 Km/h Pendenza massima superabile 45% Consumo medio 15,8 l/100 Km motore: Tipo 135 B.000 Posizione anteriore longitudinale Ciclo 4 tempi a benzina Cilindri 6 a V di 65º Valvole per cilindro 2 Alesaggio e corsa 86 x 57 mm Cilindrata totale 1987 cc Rapporto di compressione 9:1 Potenza massima 160 Cv a 7500 giri/min Coppia massima 17,5 kgm a 6000 giri/min Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro assi a camme in testa Alimentazione pompa elettrica Carburatore tre Weber 40 DCN 14 a doppio corpo con dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi Accensione spinterogeno, con correzione automatica dell’anticipo; (a richiesta dal 1968 accensione elettronica Marelli Dinoplex) Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6 Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga TRASMISSIONE: sulle ruote posteriori Frizione monodisco a secco a comando idraulico Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I: 1:3,095; II: 1:1,825; III: 1:1,351; IV: 1:1; V: 1:0,871; RM: 1:2,889) Differenziale autobloccante a coppia ipoidale contenuta nel ponte posteriore Rapporto di riduzione finale 8/39 Freni: Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito, azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote posteriori, comandato da leva a mano Sospensioni: Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Posteriore a ponte rigido, con molle a balestra semiellittica, doppi ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale 4 ruote storiche Dino 2000 Coupè Bertone (1967/1969) Sterzo: a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota, collegati ad un tirante centrale Diametro minimo di sterzata 11,6 m Ruote: In lega leggera 6½ x 14” Pneumatici radiali 185 x 14 Impianto elettrico: Tensione 12 V Batteria 60 Ah Alternatore 810 W Motorino d’avviamento 1,5 Kw Carrozzeria: coupè a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio. Due posti anteriori e due posteriori Dimensioni e pesi: Passo 2.550 mm Lunghezza 4.507 mm Larghezza 1.696 mm Altezza 1.315 mm Carreggiata anteriore 1.378 mm Carreggiata posteriore 1.362 mm Altezza minima da terra 120 mm Peso 1.280 Kg Portata 4 persone + 40 Kg di bagaglio Prestazioni: Velocità massima oltre 200 Km/h Pendenza massima superabile 40% Consumo medio 14,7 l/100 Km 15 4 ruote storiche Dino 2400 Spider Pininfarina (1969/1972) motore: Tipo 135 C.000 Posizione anteriore longitudinale Ciclo 4 tempi a benzina Cilindri 6 a V di 65º Valvole per cilindro 2 Alesaggio e corsa 92,5 x 60 mm Cilindrata totale 2418 cc Rapporto di compressione 9:1 Potenza massima 180 Cv a 6600 giri/min Coppia massima 22 kgm a 4600 giri/min Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro assi a camme in testa Alimentazione pompa elettrica Carburatore tre Weber 40 DCNF 12 a doppio corpo con dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi Accensione elettronica Marelli AEC 103 A a scarica capacitiva Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6 Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga TRASMISSIONE: sulle ruote posteriori Frizione monodisco a secco a comando idraulico Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I: 1:2,991; II: 1:1,763; III: 1:1,301; IV: 1:1; V: 1:0,874; RM: 1:3,67) Differenziale autobloccante a coppia ipoidale Rapporto di riduzione finale 9/43 Freni: Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito, azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote posteriori, comandato da leva a mano Sospensioni: Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Posteriore a ruote indipendenti con bracci longitudinali e tiranti 16 trasversali, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Sterzo: a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota, collegati ad un tirante centrale Diametro minimo di sterzata 10,7 m Ruote: In lega leggera 6½ x 14” Pneumatici radiali 185 x 14 Impianto elettrico: Tensione 12 V Batteria 55 Ah Alternatore 810 W Motorino d’avviamento 1,5 Kw Carrozzeria: spider a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio; cofani in alluminio. Due posti anteriori più uno supplementare posteriore. Copertura pieghevole in tela impermeabile Dimensioni e pesi: Passo 2.280 mm Lunghezza 4.134 mm Larghezza 1.710 mm Altezza 1.270 mm Carreggiata anteriore 1.383 mm Carreggiata posteriore 1.381 mm Altezza minima da terra 120 mm Peso 1.240 Kg Portata 2+1 persone + 30 Kg di bagaglio Prestazioni: Velocità massima oltre 210 Km/h Pendenza massima superabile 55% Consumo medio 15,8 l/100 Km motore: Tipo 135 C.000 Posizione anteriore longitudinale Ciclo 4 tempi a benzina Cilindri 6 a V di 65º Valvole per cilindro 2 Alesaggio e corsa 92,5 x 60 mm Cilindrata totale 2418 cc Rapporto di compressione 9:1 Potenza massima 180 Cv a 6600 giri/min Coppia massima 22 kgm a 4600 giri/min Distribuzione a valvole in testa inclinate, comandate da quattro assi a camme in testa Alimentazione pompa elettrica Carburatore tre Weber 40 DCNF 12 a doppio corpo con dispositivo d’avviamento e pompetta di ripresa Lubrificazione forzata, con pompa ad ingranaggi Accensione elettronica Marelli AEC 103 A a scarica capacitiva Ordine di scoppio 1-4-2-5-3-6 Raffreddamento a circolazione d’acqua con pompa centrifuga TRASMISSIONE: sulle ruote posteriori Frizione monodisco a secco a comando idraulico Cambio a 5 marce + RM; marce avanti sincronizzate. (Rapporti: I: 1:2,991; II: 1:1,763; III: 1:1,301; IV: 1:1; V: 1:0,874; RM: 1:3,67) Differenziale autobloccante a coppia ipoidale Rapporto di riduzione finale 9/43 Freni: Di servizio idraulici a disco sulle quattro ruote con doppio circuito, azionati da pompa a stantuffi coassiali e cilindretti, comandata da pedale. Servofreno. Limitatore sul retrotreno Di soccorso e stazionamento meccanico sulle ruote posteriori, comandato da leva a mano Sospensioni: Anteriore a ruote indipendenti con bracci oscillanti e puntoni di reazione, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Posteriore a ruote indipendenti con bracci longitudinali e tiranti trasversali, con molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici a doppio effetto e barra stabilizzatrice trasversale Sterzo: 4 ruote storiche Dino 2400 Coupè Bertone (1969/1972) a vite e rullo. Tiranti di comando indipendenti per ciascuna ruota, collegati ad un tirante centrale Diametro minimo di sterzata 11,6 m Ruote: In lega leggera 6½ x 14” Pneumatici radiali 185 x 14 Impianto elettrico: Tensione 12 V Batteria 77 Ah Alternatore 810 W Motorino d’avviamento 1,5 Kw Carrozzeria: coupè a due porte, a scocca portante in lamiera d’acciaio. Due posti anteriori e due posteriori Dimensioni e pesi: Passo 2.550 mm Lunghezza 4.507 mm Larghezza 1.696 mm Altezza 1.315 mm Carreggiata anteriore 1.390 mm Carreggiata posteriore 1.381 mm Altezza minima da terra 120 mm Peso 1.400 Kg Portata 4 persone + 40 Kg di bagaglio Prestazioni: Velocità massima oltre 205 Km/h Pendenza massima superabile 50% Consumo medio 14,7 l/100 Km 17 ruote storiche al lavoro Lancia Esatau B di Roberto Gianusso 20 ruote storiche al lavoro a d Aprile del 1956, esattamente cinquantuno anni fa vennero presentati al Salone dell’Automobile di Torino, alcuni prototipi pre- serie dell’Esatau 503 “B”. A distanza di mezzo secolo siamo certi di poter affermare che per alcune soluzioni tecniche ed ergonomiche può essere considerato tutt’oggi un autocarro d’avanguardia. Abbiamo provato uno dei primi esemplari prodotti, uscito dello stabilimento Lancia di Bolzano nel Novembre del 1957, che dopo aver trascorso la sua carriera nelle campagne cuneesi, è appena stato restaurato restaurato dalla famiglia De Martini di Rapallo (Ge). 21 ruote storiche al lavoro 22 L’elegante Esatau sarà il cavallo di battaglia per i primi anni cinquanta, e quando gli ingegneri della Lancia si misero all’opera per progettarne il successore andarono alla ricerca oltre che di innovative soluzioni tecniche anche di pregiate soluzioni stilistiche. Negli anni quaranta, questo va detto con grande orgoglio le aziende nazionali del settore degli autoveicoli facevano scuola a tutto il mondo, basti pensare che la Fiat produceva un modello di autovettura diversi tipi di trattori ed il Fiat 626 in Francia con il marchio Simca/Someca, produceva il medesimo modello di autocarro in Germania con il marchio NSU, ed in Polonia anche in versione autobus con il marchio Polski-Fiat. L’Alfa Romeo sempre negli anni quaranta avviava in Brasile la produzione del Modello 430 con il marchio FNM mentre già negli anni trenta la Lancia nello stabilimento di Ardennes in Francia produceva due modelli di autovetture e l’autocarro Tre RO. Il trend stilistico di quegli anni impose alle aziende del settore di avviare la produzione di autocarri con cabina avanzata. Tutte le case nazionali presto si adeguano, tranne la Lancia che nel 1948 presenta l’Esatau che nel listino della casa torinese prende il posto del Tre RO. L’elegante Esatau sarà il cavallo di battaglia per i primi anni cinquanta, e quando gli ingegneri della Lancia si misero all’opera per progettarne il successore andarono alla ricerca oltre che di innovative soluzioni tecniche anche di pregiate soluzioni stilistiche. Nel 1955 viene presentata una cabina avanzata progettata in collaborazione con le officine Casaro e realizzata nello stabilimento Casaro di Carmagnola a pochi chilometri da Torino, disponibile sull’Esatau in alternativa “ Fuori serie “ alla maestosa cabina arretrata. Nel Luglio del 1956, non paghi del successo raccolto dall’Esatau “Casaro”, al Salone dell’automobile di Torino nello stand della Lancia fa bella mostra di se il prototipo preserie di quello che sarà l’Esatau 503 denominato “B”. La progettazione del motore è affidata all’ing. Giovanbattista Falchetto, il cambio all’ing. De Virgilio inventore di tante soluzione tecniche di casa Lancia motore a canne parallele, coordinati dall’ing. Fessia capo ufficio tecnico della Lancia, che per il tocco stilistico della cabina chiama a Torino l’architetto Loewe, la persona che disegnò qualche hanno prima la famosa bottiglia della Coca-Cola. E’ più facile farvi vedere quello che è l’Esatau B, piuttosto che raccontarvelo, ma alcune soluzioni meritano tuttavia menzioni. La nostra driver, preso posto al volante ha la sensazione di stare su un automobile invece che su un camion, il posto di guida è molto in basso ed il volante per quanto possibile è disposto in posizione abbastanza inclinata. Il cruscotto è completo di tutti gli strumenti e le spie contenuti in due elementi circolari al centro dei quali si trova il tachimetro, di dimensioni normalizzate Din, tali da ospitare un cronotachigrafo senza alcuna modifica al cruscotto. Sia il sedile di guida che il sedile del passeggero sono confortevoli, avvolgenti, ed il panchetto è molleggiato con l’ausilio di piccole molle. La brandina può ospitare comodamente un autista durante il turno di riposo, è grande e molleggiata. Eventualmente in cabina può essere montata anche una seconda brandina. I primi modelli non avevano l’idroguida di serie che poteva essere montata su richiesta, ma avendo questo autocarro il rapporto della scatola guida demoltiplicato che rendeva agevoli le manovre anche senza servoassistenza, pochi clienti Lancia acquistavano questo accessorio reso poi di serie dal 1960, per imposizione del nuovo codice della strada. La frizione, anch’essa servoassistita, non funziona se il circuito pneumatico non è a regime, ma una volta caricatosi l’impianto pneumatico si rivela leggera e precisa come anche il cambio. Il cambio ha la prima molto lunga che gioca sulla generosissima coppia del motore, gli altri rapporti entrano con grande precisione, e inserita la quarta, si solleva la levetta che comanda le mezze marce posta sul piantone dello sterzo appena sotto il volante ed in quarta lunga siamo alla velocità di 65 Km/h, oltre meglio non andare le strade del levante ligure non lo consentono. Usciti dal porto di Rapallo ci dirigiamo verso sud lungo l’Aurelia, percorso quanto mai azzeccato provare un camion di cinquant’anni su una strada che da diversi decenni, dopo la costruzione dell’autostrada dei fiori, non è più percorsa dai camion che trasportavano le merci provenienti delle fabbriche del nord, verso il meridione. Chissà quanti Esatau B tutti i giorni passavano per la statale 225 della “Scoffera”, così arrivati a Chiavari svoltiamo a sinistra per arrampicarsi lungo la Val Fontana buona fino al passo della Scoffera. Abbiamo caricato il camion con una zavorra di settanta quintali, per poterlo provare pieno carico ed incappando nelle prime salite di San Colombano appena fuori Carasco quando la strada inizia a salire il piccolo motore da nove litri che non consente molto, mette in evidenza i soli 150hp che eroga a 1900 giri. Anche al massimo dei giri, non fa troppo rumore, ed il confort in cabina si mantiene abbastanza gradevole anche ad andature sostenute. La cabina ben ruote storiche al lavoro coibentata, e l’apparato di riscaldamento molto potente rendono gradevole il viaggio anche in una fredda giornata di fine inverno come quella in cui abbiamo effettuato la nostra prova. Arrivati a Gattona, svoltiamo a sinistra verso Uscio e lungo la ripida discesa che ci conduce a Recco abbiamo modo di testare i freni che rispondono perfettamente e non accusano il benché minimo cenno di affaticamento. La nostra driver, abituata a guidare autocarri dotati di idroguida, sostiene di non avere alcun problema ad affrontare i tornanti di salto. A Recco ritorniamo sull’Aurelia verso Rapallo, e nel traffico del Sabato pomeriggio ligure, come sempre in alto mare dal punto di vista viario, l’Esatau si comporta bene, è molto leggero da condurre anche a pieno carico e la bassa coppia del motore rende molto elastica la marcia nel traffico urbano. Ritornati a Rapallo riconsegniamo l’Esatau ai De Martini, ci resta comunque la soddisfazione di aver potuto provare un camion che a distanza di tanti anni dalla sua prima immatricolazione è ritornato ad essere nuovo grazie ad anni di cure dedicate a restaurarlo anche nel benché minimo particolare. 23 più uniche che rare 24 Lancia “Flavia 1500 Convertibile” La sua guida è ancora piacevole e divertente di Giancarlo Catarsi certamente affermare che la Lancia Flavia berlina prima serie rappresenti una rarità. Eppure si tratta di un auto che ha veramente fatto la storia non solo della Lancia, ma dell’automobile. Prima vettura italiana a trazione anteriore, motore boxer e freni a disco sulle quattro ruote. Non pochi record che, nonostante una linea “particolare”, portarono ad un buon numero di esemplari prodotti tra il 1960 ed il 1966. Nonostante questo, sono rarissime ai raduni ed assenti più uniche che rare n el mondo del collezionismo d’epoca si può dalle gare di auto storiche. Auto molto longeve e generose, al punto da passare di mano più volte perché 25 più uniche che rare molto ricercate sul mercato dell’usato, finirono infatti sfruttate all’osso con chilometraggi altissimi. Per trovare un esemplare di quel periodo nelle migliori condizioni di efficienza e presentabilità, ci siamo quindi indirizzati verso una Flavia “Convertibile” tipo 815.134. Telaio numero 1477, è del 1962 e si colloca quindi a metà del ciclo produttivo di questa versione. “La “Flavia Convertibile 2+2” fa parte dei miei ricordi di ragazzo, in qualche rarissima apparizione e sempre con distinti signori al volante. Allora un’auto così potevo soltanto sognarla. Due anni fa, invece, quando trovai questa “1500” che mi piacque proprio per l’insolito colore rosso acceso, decisi che era arrivato il momento di realizzare la mia antica aspirazione”. Roberto Gallinari è un livornese di 61 anni, con il sogno nel cassetto di mettere insieme le tre Lancia che ama di più, la Flaminia, la Flavia e la Fulvia. Questa fedeltà alla marca è totalmente condivisa anche dalla moglie Franca e dalla cognata Alessandra, che infatti apprezzano molto questa convertibile. Assemblata in piccolissima serie dalla carrozzeria di Alfredo Vigna le, la scoperta torinese non raggiunge certo l’originalità estetica propria di altre precedenti creazioni dello stesso atelier: il frontale è praticamente identico a quello della coupé di Pininfarina e nella coda si evidenzia troppo l’ispirazione alla berlina. A bordo l’abitabilità ai due posti anteriori ci sembra ottima, mentre il divanetto posteriore per essere accogliente richiede l’avanzamento almeno parziale delle due poltrone. Non bisogna comunque dimenticare che si tratta di una 2+2... L’allestimento si pone al consueto elevato livello della marca: d’altra parte, il prezzo d’acquisto di 2.225.000 lire, maggiorato di 80.000 lire rispetto alla già cara Coupé, non ammetteva manchevolezze. Anche la capo te è di pregevole esecuzione e molto leggera da manovrare. L’unico difetto che le si può imputare è il sistema di accoppiamento ai cristalli laterali, fonte di qualche “spiffero” di troppo pur se esente da infiltrazioni 26 esisteva anche un tetto rigido, oggi reperibile in rari casi soltanto se abbinato ad un esemplare in vendita. Dai ricambisti più qualificati si trova comunque in catalogo, anche se quelli interpellati dal proprietario della nostra Flavia - interessato all’acquisto - non ne avevano la disponibilità. Il motore a cilindri contrapposti, intrinsecamente equilibrato, è esemplare per assenza di vibrazioni e rotondità di funzionamento anche al minimo. Con l’alimentazione a doppio carburatore della Coupé il guadagno di potenza rispetto alla berlina è pari al 15%: sfruttando gli 86 cavalli l’accelerazione è da giudicare ancora soddisfacente anche se, con la complicità del peso più uniche che rare d’acqua in caso di pioggia. Per la stagione invernale elevato, le migliori prestazioni si ottengono soltanto al di sopra dei 3000 giri. La progressione è ben assistita dalla scalatura dei quattro rapporti, di facile selezione nonostante l’eccessiva lunghezza ed inclinazione della leva sul pavimento. Soltanto la frizione denota, pur se solo in partenza, un leggero pattinamento. La Flavia è la prima auto a trazione anteriore dalla Lancia, ma la tenuta di strada non desta sorprese. Ed anche l’agilità di questa convertibile è soddisfacente, con il passo accorciato di 17 centimetri rispetto alla 4 porte che contribuisce a renderne piacevole e divertente la guida, specialmente a cielo aperto. Anche per la signora Franca, che volentieri ha accettato di prendere il volante per il servizio fotografico. Lei ne apprezza molto anche la frenata, peraltro a livelli di assoluta eccellenza per l’epoca ed ancora oggi adeguata al traffico cittadino. L’impianto elettrico denuncia invece i primi segni dell’età e mostra qualche dispersione: una revisione completa è già programmata al più presto. “Il prossimo acquisto - progetta Gallinari - potrebbe essere una Flaminia di Touring, che piace molto anche a mia moglie...” 27 l’antefatto: la C.E.M.S.A. Caproni La C.E.M.S.A. (Costruzioni Elettromeccaniche di Saronno) fu fondata nel 1925 dall’ingegner Nicola Romeo con il supporto del Credito Italiano. L’azienda si dedicò alle lavorazioni elettromeccaniche, talvolta anche su licenza internazionale. Nel 1935 l’intero pacchetto azionario passò all’ I.R.I. e, l’anno successivo all’ingegner Gianni Caproni, che nella propria holding aeronautica controllava anche l’Isotta Fraschini. Sino alla fine del secondo conflitto mondiale la C.E.M.S.A. si dedicò alla costruzione di armi leggere e componenti aeronautici. Al momento della riconversione postbellica fu determinante l’apporto dell’ingegner Antonio Fessia, appena fuoriuscito dalla Fiat. Nella seconda metà degli anni quaranta, l’ingegner Fessia si dedicò, per la Caproni Elettromeccanica di Saronno, alla realizzazione di un prototipo denominato CEMSA F-11 (Fessia 1100). Tale vettura, per le sue caratteristiche tecniche, può essere considerata l’antesignana delle successive Lancia Flavia e Fulvia. Trazione anteriore, motore anteriore a quattro cilindri contrapposti, posizionato a sbalzo, sospensione anteriore a bracci oscillanti e balestra trasversale, scocca portante con telaio ausiliario parzialmente in lega leggera, fanno di questa auto un autentico concentrato di soluzioni innovative. Presentata al Salone di Parigi del 1947, riscosse subito un grande successo. Centinaia furono le prenotazioni raccolte, ma l’auto non riuscì ad avere seguito produttivo per la fine delle risorse economiche dell’azienda, prosciugate dagli enormi costi sostenuti per prove e prototipi. Se ne contarono così solo sei esemplari ed il sogno dell’ingegner Fessia fu costretto ad attendere ancora molti anni. 30 più uniche che rare motore: 4 cilindri contrapposti Alesaggio 82 mm Corsa 71 mm Cilindrata 1500 cm³ Potenza 86 CV DIN a 5800 giri/min. Valvole in testa Un albero a camme centrale Due carburatori invertiti, filtro aria a secco, pompa carburante meccanica Lubrificazione forzata, filtro olio sul circuito principale Raffreddamento ad acqua a circolazione forzata Alesaggio 82 più uniche che rare Lancia “Flavia 1500 Convertibile” 1962 TRASMISSIONE: Motore anteriore longitudinale Frizione anteriore Comando idraulico a pedale Cambio 4 velocità tutte sincronizzate con comando a cloche Ruote a disco in acciaio e pneumatici 165 - 14 Corpo vettura: Convertibile 2 porte, 2+2 posti Carrozzeria Vignale Sospensioni anteriori a ruote indipendenti Sospensione posteriore a ponte rigido, molle elicoidali Ammortizzatori idraulici telescopici Freni a disco sulle quattro ruote con servofreno Comando idraulico Freno a mano sulle ruote posteriori DIMENSIONI e pesi: Passo 2480 mm Lunghezza 4330 mm Larghezza 1640 mm Altezza 1340 mm Peso 1210 kg. prestazioni: Velocita’ Velocità massima 166 km/h Consumo carburante 9,9 Iitri/100 km 31 eventi Mille Miglia 2008: i sogni più belli non finiscono mai Ufficio Stampa Mille Miglia 34 eventi p adova, 27 Ottobre 2007 - «La Mille Miglia è un patrimonio storico Italiano così come lo sono il Colosseo o la Pietà di Michelangelo. Il nostro obiettivo è valorizzare al massimo questa storica corsa, non solo da un punto di vista agonistico-sportivo, ma dando ampio risalto alle città di Brescia e Roma e a tutte le altre realtà locali che verranno coinvolte lungo il percorso. Sarà dunque una grandissima vetrina delle eccellenze del Made in Italy». Lo ha dichiarato Alessandro Casali, Presidente del Comitato Organizzatore della Mille Miglia nel corso della presentazione dell’edizione 2008 della storica Freccia Rossa che si è svolta oggi a Padova nel corso della Fiera Auto e Moto d’Epoca. Nata nel 1927, la Mille Miglia ha tagliato nel 2007 un importante traguardo, 80 anni di storia, una lunga vita scandita dai nomi dei grandi piloti, dai cambiamenti della società italiana che nel corso del tempo le hanno fatto da sfondo. Alla Mille Miglia si associa da sempre l’idea di rinascita e rinnovamento; la corsa è nata infatti in un periodo di grande trasformazione del nostro Paese che 35 eventi 36 passava da una realtà rurale ad una industriale e, subito dopo la II Guerra Mondiale, la Freccia Rossa ha voluto rappresentare un momento di rilancio della società italiana. Nel corso dei decenni la Mille Miglia ha sempre tenuto fede alla tradizione che la lega al suo territorio di origine e ha mantenuto vivo il legame con Brescia che ne è stata e rimane ancora oggi punto di partenza e di arrivo. L’edizione 2008 non intende essere però semplicemente un momento celebrativo ed una rievocazione storica delle imprese del passato: il nuovo comitato per l’organizzazione della Mille Miglia, (formato da MAC Events, Meet Comunicazione e SanremoRally che si sono aggiudicate l’organizzazione della Mille Miglia fino al 2012) intende accentuare il suo carattere di grande appuntamento internazionale, anche attraverso numerose presentazioni all’estero. Senza dimenticare tuttavia lo spirito e gli “ideali” che hanno animato da sempre la “corsa più bella del mondo”. «Tra gli obiettivi strategici del Comitato Organizzatore - ha spiegato Sandro Binelli, Segretario Generale del Comitato Organizzatore della Mille Miglia c’è anzitutto quello di diffondere ulteriormente la storia e i valori di Mille Miglia, conosciuti in tutto il mondo, attraverso la conferma dell’evento in Giappone, il rilancio delle manifestazioni in USA e Argentina, e la creazione di nuovi tributi in altri Paesi. Per rafforzare lo spirito sportivo della gara nel corso di tutto l’anno, è stata creata una community ad hoc, attraverso cui “censire” le vetture che hanno partecipato sia alle edizioni storiche di velocità che alle rievocazioni». Tutte le informazioni sull’edizione 2008 sono disponibili sul nuovo sito in cui è presente anche il programma ed il relativo form di iscrizione. La grande novità logistica di questa edizione sarà costituita dal Mille Miglia Paddock, collocato all’interno della Fiera di Brescia (Brixia Expo). Il Mille Miglia Paddock accoglierà i partecipanti e le auto storiche e risolverà in questo modo molti problemi pratici legati alla viabilità e ai parcheggi nel centro cittadino. «Nelle piazze di Brescia - ha aggiunto poi Binelli - verrà celebrato come da tradizione l’incontro fra la città, le auto storiche e gli equipaggi. Un grande spettacolo tornerà quindi ad animare il cuore di Brescia». La Mille Miglia 2008 prenderà il via giovedì 15 Maggio: dalle 8.30 alle 12 in Piazza della Loggia Simon Kidston e Savina Confaloni presenteranno la Freccia Rossa al pubblico e sarà possibile ammirare le vetture partecipanti alla corsa. La partenza della prima vettura è prevista alle ore 19 da Viale Venezia per la tappa Brescia Ferrara, dove la carovana è attesa a partire dalle 23.30 nel centro cittadino. Venerdì la tappa Ferrara - Roma culminerà con l’arrivo in Piazza del Popolo e la sfilata lungo i Fori Imperiali. Sabato 17 maggio, la partenza della tappa Roma - Brescia, è prevista all’alba da Piazza del Popolo. Domenica 18, in mattinata, le premiazioni, ambientate nella splendida cornice del Teatro Grande di Brescia, utilizzato sin dal 1928 come sede di Gala della Mille Miglia. I driver saranno impegnati in 49 prove di regolarità. Le vetture ammesse alla corsa saranno, come sempre, 375. Alla Mille Miglia possono partecipare le vetture costruite dal 1927 al 1957, i cui modelli abbiano preso parte ad almeno una delle edizioni storiche. Possono essere accettati alcuni esemplari costruiti anteriormente al 1927, i cui modelli siano stati iscritti alla Mille Miglia fino al 1930. Le vetture dovranno essere originali, con esclusione di ogni tipo di replica, anche parziale. Tutte le vetture dovranno seguire le norme F.I.V.A. e F.I.A. che permettono l’ammissione alla partenza solo alle vetture in possesso di regolare certificazione. Viene richiesto, in base al regolamento internazionale, il “Passaporto FIVA” (Fédération Internationale des Véhicules Anciens), rilasciato dalla federazione del Paese d’appartenenza (ANS). Per quanto concerne infine l’attribuzione dei coefficienti per la classifica, è stato adottato un sistema basato su caratteristiche tecniche, sportive e storiche e sull’epoca di progettazione che garantisce trasparenza ed oggettività. Le richieste di partecipazione dovranno pervenire entro il 31 dicembre 2007. L’iscrizione si compila on line, sul sito www.1000miglia.eu La corsa più bella del mondo Dal 1927 al 1961 La leggenda della Mille Miglia ha origine alla fine del 1926, quando quattro giovani appassionati di auto e gare (i “quattro moschettieri”), il Conte Aymo Maggi di Gradella, il suo amico, e primo finanziatore, Conte Franco Mazzotti, entrambi alla guida della neonata AC Brescia, Renzo Castagneto, dotato di ottime capacità organizzative e con un passato da pilota, e il giornalista Giovanni Canestrini della “Gazzetta dello Sport” idearono e progettarono la Corsa, in risposta alla mancata assegnazione a Brescia, loro città natale, del spagnolo Alfonso de Portago uscì di strada a quasi 300 km/h per lo scoppio del pneumatico anteriore sinistro, causando la morte di nove spettatori, fra cui cinque bambini, e perdendo la vita assieme al copilota, il giornalista americano Edmund Gurner Nelson. Tre giorni dopo il Governo italiano decretò la fine della Mille Miglia e delle corse su strada aperta. A seguito dell’incidente Enzo Ferrari, costruttore della vettura coinvolta nell’incidente, subì un processo che durò alcuni anni dal quale uscì assolto. L’Automobile Club di Brescia effettuò un tentativo per dare continuità alla corsa, ma di fronte all’ostracismo decretato da parte della Commissione interministeriale e alla contrarietà di parte dell’opinione pubblica choccata dopo l’incidente di Guidizzolo e della stessa stampa - che fino al giorno prima aveva esaltato la corsa -, gli organizzatori bresciani dovettero rinunciare ad una Mille Miglia di velocità e furono costretti a trasformarla in gara di regolarità con tratti a velocità libera, sul tipo di quella che era stata in passato in Italia la Stella Alpina, o in Francia il Tour de France Automobile, che, nonostante l’immane tragedia di Le Mans del 1955, riuscì a celebrare nel 1986 la sua cinquantesima e ultima edizione, mantenendo inalterata la formula originale. Le tre Mille Miglia disputate nel 1958, 1959 e 1961, pur conservando il nome e approssimativamente la medesima distanza da percorrere, ma senza un numero d’ordine e il tributo a Franco Mazzotti, si svolsero in maniera completamente differente dalle edizioni che le avevano precedute. eventi Gran Premio d’Italia. Fu scelto un percorso a forma di “otto” da Brescia a Roma e ritorno, su una distanza di circa 1.600 km (corrispondenti a circa mille miglia, da cui il nome). Solo dopo la fine della prima Mille Miglia si decise, considerato l’enorme successo, di ripetere la prova negli anni successivi. La prima storica edizione prese il via il 26 marzo 1927, con la partecipazione di settantasette equipaggi, due soli dei quali stranieri (al volante delle minuscole Peugeot 5 HP spider). S’iscrissero invece alla manifestazione i migliori piloti italiani, oltre ad alcuni celebri personaggi pubblici. Cinquantacinque vetture portarono a termine la corsa, mentre ventidue furono costrette al ritiro. I vincitori della prima Mille Miglia furono Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi a bordo di una OM, che completarono il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi e 1/5 alla media di Kmh 77,238. La Mille Miglia cresceva in popolarità e veniva delineandosi come il grande appuntamento delle corse su strada, nonostante le difficoltà economiche e le controversie internazionali vissute dall’Italia in quegli anni. Dopo una prima sospensione della manifestazione nel 1939, conseguente ad un grave incidente occorso l’anno precedente in gara, che costò la vita a dieci persone, la corsa fu interrotta nel 1940, a causa della partecipazione dell’Italia alla seconda Guerra Mondiale. Venne in quell’anno comunque ancora disputata un’edizione particolare dell’evento, su un tracciato che collegava Brescia, Cremona e Mantova. La Mille Miglia si ripresentò in strada alle 14.00 del 21 giugno 1947, nell’Italia Repubblicana, e vide la vittoria di Biondetti in coppia con Romano sulla poderosa e potentissima “Alfa Romeo 8C 2900B aspirato berlinetta Touring”, con il tempo di 16 ore 16 minuti e 39 secondi. Ma il record assoluto se lo aggiudicò il pilota inglese Stirling Moss che nel 1955 percorse i 1600 km in 10 ore e 8 minuti, al volante di una Mercedes-Benz 300 SLR numero 722. Si narra che il suo navigatore, il barbuto giornalista Denis Jenkinson, compì una ricognizione del percorso, utilizzando per dirigere Moss durante la gara un artigianale, dettagliatissimo “radar”, scritto su una striscia di carta lunga oltre 5 metri che si svolgeva da un rullo per avvolgersi su un altro, entrambi disposti parallelamente in una scatola. Nel 1957 la tragedia che segnò definitivamente la storia della Mille Miglia: la vittoria finale premiò Taruffi e la Ferrari, ma a Guidizzolo, in provincia di Mantova, a meno di quaranta chilometri dal traguardo, il pilota DAL 1977 AD OGGI Nel 1977, per celebrare il cinquantenario della Coppa delle 1000 Miglia, l’Automobile Club di Brescia organizzò il Rally 1000 Miglia sulle strade della provincia, riprendendo la formula della manifestazione di regolarità con prove di classifica di velocità, idea già adottata nelle ultime tre Mille Miglia disputate a partire del 1958, ma codificata dalla FIA fin dagli anni Cinquanta per le gare che costituivano il campionato europeo Rally. In occasione di quel cinquantenario, sull’onda del crescente fenomeno del collezionismo di auto d’epoca, fu organizzata anche una rievocazione della corsa da Brescia a Roma e ritorno, riservata alle vetture storiche, stilando la classifica finale sulla base dei risultati nelle prove di precisione disposte lungo il percorso. La ripetizione della manifestazione, allungandone il tracciato, richiedeva, tuttavia, un’organizzazione che si occupasse a tempo pieno e con ingenti forze, anche 37 eventi economiche, del suo allestimento. La nuova organizzazione esordì nel 1982 in occasione della seconda rievocazione storica, la prima a ripartire dalla tradizionale pedana in viale Venezia, e nelle repliche del 1984 e del 1986. Il successo di iscrizioni, passate dalle 220 del 1982 alle 350 del 1984 costrinse nel 1987 ad abbandonare la periodicità biennale in favore di quella annuale. La rievocazione storica eredita dalla Mille Miglia di velocità non solo i simboli e alcuni punti del tracciato, ma soprattutto lo spirito, anche se la manifestazione odierna ha l’obiettivo di esaltare l’agonismo sotto forme diverse, non più legate alle prestazioni pure, ma sapientemente coniugato con il divertimento e il turismo. Nel rispetto di una manifestazione riservata a vetture d’epoca, dal 1993 è obbligatorio l’uso di cronometri manuali, anziché quello di sofisticati congegni elettronici di misura, inoltre a partire dal 1996, viene incentivata, attraverso opportuni coefficienti di classifica, la partecipazione di vetture più anziane, meno competitive e di più difficile condotta. MILLE MIGLIA - DENTRO LA STORIA 1930 La lotta per il primato si rivelò un duello tra Achille Varzi e Tazio Nuvolari, quest’ultimo avvantaggiato dal fatto di essere partito dieci minuti dopo il pilota di Galliate che, sembra, non fosse stato bene informato negli ultimi tratti del ritmo di gara che stava mantenendo il rivale. La leggenda, forse eccessivamente romanzata, racconta che Nuvolari abbia sorpassato Varzi a Desenzano, poco prima del traguardo, dopo averlo seguito a fari spenti per coglierlo di sorpresa. L’Alfa si aggiudicò anche la Coppa Brescia a squadre. 1931 La Mercedes di Caracciola sfruttò tutta la sua potenza arrivando al controllo di Bologna alla media di 154,222 km/h, polverizzando il precedente record. Sull’Appennino iniziò il recupero di Nuvolari, ma già erano apparsi i primi sintomi dei guai alle gomme che avrebbero fermato la rincorsa delle vetture milanesi. Fino a Bologna fu un alternarsi alla testa dei protagonisti, poi Caracciola prese il sopravvento, favorito anche dai problemi alla frizione di Arcangeli, primo al controllo felsineo. 38 1936 La difficile situazione internazionale, creata dalla guerra etiopica e dalle sanzioni comminate all’Italia, impedì la partecipazione dei piloti stranieri. In pieno accordo con il regime di “autarchia” furono create speciali classifiche riservate alle vetture alimentate a combustibili succedanei di natura gassosa, liquida o solida. Non era un’innovazione assoluta: già nel 1933 il generale della Milizia Forestale Augusto Agostini aveva preso parte alla Mille Miglia con un’Alfa Romeo 1750 GS alimentata con il “gassogeno” inventato da Marco Ferraguti, professore di agraria all’università di Perugia. Agostini, in coppia con Sergio Ferraguti, figlio dell’inventore, riuscì a concludere la manifestazione fuori tempo massimo, mantenendo, tuttavia, la non disprezzabile media di 51 km/h. La radio, che allora seguiva quasi in diretta l’andamento della gara, riferì dei tre tentativi occorsi all’equipaggio per superare la salita del Piccione, tra Perugia e Gubbio. 1947 Il problema maggiore era posto dal razionamento ancora in atto della benzina e dei pneumatici. Grazie ad accordi particolari, i concorrenti ebbero la possibilità di acquistare all’atto dell’iscrizione un treno di gomme nuove Pirelli a prezzo super scontato e tagliandi per benzina sufficiente da consumarsi, questi ultimi, presso i distributori disposti lungo il percorso. Ciò gonfiò a dismisura l’elenco degli iscritti, ben 245, mentre i partenti furono solo 155, alimentando fortemente il mercato nero degli introvabili pneumatici. Altra novità fu costituita dal nuovo copricapo indossato da Renzo Castagneto che per la prima volta si presentò sulla pedana di viale Venezia con un cappello floscio al posto della tradizionale bombetta con la quale aveva dato le partenze in tutte le tredici edizioni precedenti. Si giustificò rispondendo alla domanda “E la bombetta?” postagli da Carlo Biscaretti di Ruffia: “Perduta, liquefatta, subissata nei bombardamenti con tutto l’armadio. E quel che è peggio, non se ne trovano più. E allora sono passato alla lobbia” 1948 L’inclusione di Nuvolari nella squadra modenese ha del romanzesco, come tutte le storie, più o meno vere, tramandate sul “mantovano volante”. Il pilota si trovava in convalescenza in un convento sul Lago di Garda, nel tentativo di curare non tanto i suoi problemi ai polmoni, quanto di superare lo shock dovuto 1950 Per la sua diciassettesima edizione la gara, scaramanticamente, mutò denominazione, assumendo quella di “La Mille Miglia del 1950 per la Coppa Franco Mazzotti”. Purtroppo questo “escamotage” non fu sufficiente a scongiurare i moltissimi incidenti, i guai e le “polemiche, inevitabili viste le dimensioni raggiunte dalla gara che annoverò ben 375 vetture alla partenza. Oltre a Giannino Marzotto a questa edizione della gara bresciana parteciparono anche i suoi tre fratelli, tutti al volante di vetture Ferrari, ma solo Vittorio riuscì a tagliere il traguardo in nona posizione assoluta. Memorabile rimane l’arrivo del conte Marzotto che scese dalla vettura dopo 13 ore di guida indossando un doppiopetto di grisaglia “naturalmente Marzotto” con cravatta intonata con il colore della vettura. A Giannino Marzotto resta il record di più giovane vincitore della Mille Miglia. 1952 La fortuna baciò la Ferrari che aveva dovuto rinunziare prima della gara a Villoresi, Ascari e Farina. Si racconta che la vettura di Villoresi sia stata affidata all’ultimo momento e mal volentieri a Giovanni Bracco, forte stradista, al pari di Biondetti, ma come quest’ultimo dalla vita abbastanza sregolata e pessimo pagatore, per cui non gli era stata garantita alcuna assistenza, che nella sua condizione di pilota privato avrebbe dovuto pagare in contanti alla Casa di Maranello. Solo l’ottima posizione in classifica generale a Bologna, primo con due minuti di vantaggio sulla Mercedes di Kling, permise a Bracco di godere di un tardivo cambio di pneumatici da parte dei meccanici della Ferrari e di vincere la XIX Mille Miglia. eventi alla prematura morte di entrambi i figli. A lui aveva pensato l’Alfa Romeo, che ancora stentava a riprendere la produzione di serie, per affidargli una delle due berlinette sperimentali che l’Alfa Corse aveva realizzato. Enzo Ferrari, prontamente informato delle intenzioni della rivale milanese, si precipitò a Brescia, precedendo gli incaricati del Portello, e riuscì a convincere Nuvolari a partecipare alla gara con la quarta vettura preparata del “Cavallino”. Era una vettura aperta e con parafanghi motociclistici, non certo la più confortevole per il percorso che l’attendeva. Dopo le schermaglie iniziali, Nuvolari passò in testa nel tratto ForlìRoma, controllo che raggiunse mantenendo una media di 125 km/h, nonostante un incidente gli avesse fatto perdere il parafango anteriore sinistro e danneggiato il cofano motore, che, non rimanendo più chiuso, fu eliminato al controllo capitolino. Un altro incidente, nei pressi di Livorno, gli danneggiò la balestra posteriore sinistra, scardinando anche il seggiolino del secondo pilota. Nonostante tutti questi guai, a Bologna Nuvolari mantenne un vantaggio di 29 minuti su Biondetti, ma a Reggio Emilia un perno della sospensione cedette definitivamente, costringendolo al ritiro. La leggenda racconta che già a Modena Enzo Ferrari lo avesse supplicato di fermarsi, vista la pericolosità della vettura, e che un prete, in abito talare, fosse stato persuaso a porsi in mezzo alla strada per fermare la disperata corsa del mantovano. 1955 Un merito speciale deve essere accordato a Stirling Moss e a Denis Jenkinson che prepararono un dettagliatissimo “radar”, scritto su una striscia di carta lunga oltre 5 metri che si svolgeva da un rullo per avvolgersi su un altro, entrambi disposti parallelamente in una scatola. “Jenks” man mano che l’auto procedeva nel percorso, avvolgeva la striscia leggendo le note corrispondenti e comunicandole a Moss con segni convenzionali della mano. È forse poco noto che questo metodo fu preferito all’interfono tra pilota e co-pilota che la Mercedes aveva realizzato; le comunicazioni infatti spesso non venivano comprese dal pilota troppo concentrato nella guida. Il risultato di questa metodica preparazione fu eccezionale: Moss vinse la gara alla media record di 157,650 km/h, segnando anche i nuovi record sui tratti Brescia-Pescara (189,981 km/h) e Brescia- Roma (173,050 km/h), oltre che sulla Cremona-Brescia (198,464 km/h) del gran Premio Nuvolari. Ufficio Stampa Mille Miglia Capo Ufficio Stampa: Claudio Piacentini Cell: 334.6764211 Addetto Stampa: Cristina Coppi Cell: 393.0520975 • Tel: 06.32296971 E-mail: [email protected] Stampa Specializzata: Lara Paoletti Tel: 010.8692648 • Cell: 349.7040885 Email: [email protected] 39 eventi programma 14/18 maggio 2008 Mercoledì 14 maggio Giornata dedicata ai driver delle vetture che hanno partecipato alla Mille Miglia storica, ai team ufficiali delle Case automobilistiche ed ai grandi piloti. Ore 09.00 Ore 18.00 Ritrovo delle vetture presso il Mille Miglia Paddock del Brixia Expo (Fiera di Brescia), con area dedicata ai principali marchi. Verifiche sportive e briefing sul percorso di gara. Custodia notturna delle vetture nelle aree riservate del Mille Miglia Paddock e posteggio dei veicoli di supporto negli spazi del Mille Miglia Paddock. Ore 21.00 Cena di gala. Giovedì 15 maggio Ore 08.00 Ore 16.30 Ritrovo delle vetture presso il Mille Miglia Paddock del Brixia Expo. Verifiche sportive per tutti i partecipanti. Shuttle service per raggiungere il centro di Brescia (Piazza della Loggia e Piazza della Vittoria) e viceversa. Ore 08.00 Ore 16.30 Trasferimento delle vetture partecipanti in Piazza della Loggia per le verifiche tecniche e la consegna dell’adesivo verificato, del road-book e dei numeri di gara adesivi. Ore 08.30 Ore 12.00 Presentazione, a cura di Simon Kidston e Savina Confaloni, delle vetture accreditate mercoledì 14 ed esposizione nelle piazze nelle aree dedicate ai principali marchi automobilistici. Ore 12.00 Santa Messa e benedizione di una rappresentanza delle vetture in Piazza del Duomo. Ore 17.00 Ore 18.30 Cena presso il Museo della Mille Miglia. Ore 19.00 Partenza della prima vettura da Viale Venezia per la tappa Brescia-Ferrara e presentazione al pubblico delle vetture partecipanti. Ore 23.30 Arrivo della prima vettura in centro a Ferrara. Ore 01.00 Arrivo dell’ultima vettura Venerdì 16 maggio Ore 09.00 Ferrara. Partenza della prima vettura da Piazza Ariostea per la tappa Ferrara-Roma. Ore 13.30 Ore 15.30 Lunch ad Urbino. Ore 21.00 Arrivo della prima vettura in Piazza del Popolo a Roma. Sfilata attraverso la città fino a via dei Fori Imperiali dove avrà luogo lo spettacolo per la presentazione al pubblico delle vetture sullo sfondo del Colosseo. La presentazione sarà trasmessa in uno spettacolo televisivo. Sabato 17 maggio Ore 06.30 Roma. Partenza della prima vettura da Piazza del Popolo per la tappa Roma-Brescia. Ore 13.30 Lunch a Buonconvento (SI). Ore 21.30 Ore 02.00 Presentazione al pubblico delle vetture partecipanti in Viale Venezia. Domenica 18 maggio 40 Ore 11.00 Brescia. Cerimonia di premiazione al Teatro Grande. Ore 13.30 Aperitivo e pranzo conclusivo. eventi 41