Eva Cantarella - IIS Piazza Resistenza
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Eva Cantarella - IIS Piazza Resistenza
Odissea : figure femminili e crisi della società. Commento al saggio di Eva Cantarella “Itaca” Pubblicato sulla rivista “Albatros” Dopo un’analisi attenta dell’epos omerico e del sistema di valori che lo sostiene, Eva Cantarella nel saggio “Itaca” esamina le figure femminili dell’Odissea, connotandole come mogli, rappresentate in modo esemplare da Penelope o come seduttrici: Circe, Calipso, le Sirene. Le donne seduttrici vivono al di fuori di un contesto familiare, non beneficiano della protezione di un uomo ed esercitano il loro potere in piena autonomia. A metà strada fra le due tipologie viene collocata Elena, che assolve alla funzione di moglie alla corte di Lacedemone, ma al contempo se ne distacca. Il ruolo della moglie prevede silenzio, fedeltà e ubbidienza. Elena, infedele per volontà degli dei, contravviene anche ad un’altra regola, il silenzio. Al pari delle altre seduttrici fa uso della voce, infatti racconta a Telemaco il suo ultimo incontro con Ulisse, quando lacero e ferito era penetrato a Troia per spiare le strategie nemiche. La regina narra di averlo riconosciuto, ascoltato e curato e di avergli indicato la via per sfuggire il pericolo della cattura. La Cantarella a buon diritto ritiene inconcepibile che un eroe, famoso per la sua astuzia, avesse riposto tanta fiducia nella donna che era stata causa di guerra e di tante sofferenze. Altrettanto inspiegabilmente egli si fida di altre maliarde pericolose, come Circe che pure gli aveva trasformato i compagni in porci. Ulisse però non riserva la stessa stima alla moglie, alla quale rifiuta di rivelare la propria identità. All’arrivo ad Itaca, l’eroe si aggira circospetto nella campagna, ospite del porcaro Eumeo, nella cui modesta dimora può incontrare il figlio di ritorno da Lacedemone e renderlo complice della vendetta contro i Proci. Soltanto dopo essersi accertato della situazione e del sostegno di Telemaco, si reca alla reggia, presentandosi sotto false spoglie. Quando però la vecchia nutrice Eurìclea lo riconosce, Ulisse le intima minacciosamente di tacere. Penelope, che proponendo la gara con l’arco, si sarebbe dimostrata una valida collaboratrice nella realizzazione dell’attacco ai pretendenti, viene invece lasciata all’oscuro di ogni piano, come se la sua affidabilità fosse tutta da dimostrare. Proprio Ulisse sembra alla Cantarella il vero mistero del poema; il suo comportamento verso le donne non appare riconducibile a uno schema razionale: la figura sottomessa, silenziosamente dedita alla tessitura, presentata come sposa fedele dallo stesso Telemaco, non può essere una complice. Elena, la fedifraga, è invece degna di essere informata su una missione segreta e rischiosa. Nel saggio “Itaca” il mistero rimane irrisolto. Per tentare una spiegazione è necessario un confronto tra i due poemi omerici. L’Iliade è l’espressione di un sistema di valori ancora integro. Tra donne e uomini c’è una netta e chiara divisione dei compiti, come emerge dal colloquio tra Ettore e Andromaca. L’eroe troiano non accoglie i prudenti consigli militari della moglie, li classifica vili, da donnicciola appunto; invita la donna a non interferire nella decisioni di guerra, ma ad occuparsi solamente delle faccende domestiche. “Misera, non t’affliggere troppo nel cuore! Nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade; ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla, sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato. Su, torna a casa, e pensa all’opere tue, telaio, e fuso; e alle ancelle comanda 1 di badare al lavoro; alla guerra penseran gli uomini tutti e io sopra tutti, quanti nacquero ad Ilio”.1 Telaio, fuso e amministrazione della casa, queste soltanto devono essere le occupazioni muliebri, la donna non è considerata un’interlocutrice di pari livello. Anche Elena, la straniera, che intratterrà Telemaco con sciolto e circostanziato eloquio, nell’Iliade è relegata nel silenzio della domus. L’Odissea invece, come da più parti si è constatato, nasce dalle rovine del mondo miceneo. I nobili che prendono parte alla guerra di Troia muoiono sul campo oppure durante il ritorno, come Aiace, superbo verso gli dei e travolto da un potente flutto per vendetta di Poseidone; o come Agamennone ucciso a tradimento in patria dal cugino Egisto. Quando un sistema di valori è in crisi anche i ruoli tradizionali perdono significato. Ulisse dunque non può avere la garanzia che Penelope gli sia stata fedele, nonostante le rassicurazioni della madre Antìclea, incontrata durante la visita agli Inferi “Dimmi della mia donna il pensiero e la mente: se resta col figlio e tutto mi serba fedele, o l’ha già sposata il primo fra i nobili Achei”. Così chiedevo e subito mi rispondeva la madre sovrana: “Oh no! Lei rimane con cuore costante nella tua casa; e tristissimi sempre le notti e i giorni le si consumano a piangere”.2 e nonostante Penelope stessa, credendolo uno straniero giunto per ventura alla reggia, gli confidi la sua fedeltà. “ Invece m’accoro: tante sono le pene di cui mi carica un dio. Perché quanti sono i più nobili che hanno potere nell’isole, Dulìchio e Same e Zacinto selvosa, e quanti qui in Itaca ben visibile vivono, tutti contro mia voglia mi fan la corte e distruggon la casa. Per questo io non mi curo di stranieri o di supplici, non d’araldi che sono a servizio del popolo; ma rimpiangendo Odisseo mi struggo nel cuore”.3 Se Penelope non è degna di fiducia, per quale motivo le donne seduttrici lo sono? Semplicemente perché sono persone al di là dei ruoli. Elena con la fuga ha rinnegato il ruolo di moglie. La ninfa Calipso e la maga Circe governano un piccolo territorio sul quale hanno potere assoluto senza alcuna necessità di una legittimazione maschile. Entrambe non sono legate a Ulisse da vincoli parentali quindi economici, semplicemente prendono piacere della sua compagnia, un piacere sessuale, come viene esplicitamente detto, che supera ogni contingenza. “O Circe, come m’inviti a esserti amico, tu che porci m’hai fatto nel tuo palazzo i compagni, e me ora qui avendo, con inganno m’adeschi 1 Omero, Iliade, libro VI, vv. 486-493, versione di Rosa Calzecchi Onesti Omero, Odissea, libro XI, vv. 177-183, versione di Rosa Calzecchi Onesti 3 Omero, Odissea, libro XIX, vv. 129-133 2 2 a entrare nel talamo, a salire il tuo letto, per farmi poi, così nudo, vile e impotente? Non vorrò certo salire il tuo letto, se non hai cuore, o dea, di giurarmi il gran giuramento, che nessun sortilegio trami ancora a mio danno”. Così dicevo, e lei subito giurò come volli, e quando ebbe giurato, compiuta la formula, allora solo di Circe salii il letto bellissimo”.4 Anche la dea Calipso, dopo la decisione di lasciar partire l’amato, che avrebbe voluto accanto come sposo immortale, non rinuncia all’ultimo incontro d’amore nel suo letto. Entrando allora sotto la grotta profonda l’amore godettero, stesi l’uno vicino all’altra.5 Le due seduttrici pur affascinate dall’uomo, non perdono mai la loro autonomia, quando non possono più evitare il distacco, si trasformano in madri generose che congedano benevolmente l’amato con doni o indicazioni preziose sul cammino che gli resta da compiere; entrambe lo guidano, quasi fosse un bambino indifeso, sulla strada del ritorno a casa, verso un’altra donna che non desta in loro alcuna gelosia. Penelope non rappresenta una rivale in quanto appartiene ad un altro universo, quello appunto dei ruoli e delle tradizioni. La sessualità tuttavia non è connessa unicamente al piacere e all’istinto materno, nell’Odissea ha un forte legame anche con la conoscenza, come promettono le parole delle Sirene: “Qui, presto, vieni, o glorioso Ulisse, grande vanto degli Achei, ferma la nave, la nostra voce a sentire, nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera, se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce; poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose. Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia Argivi e Teucri patirono per volere dei numi; tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice”.6 Chi si accosta alla seduzione del canto e dell’amore, riparte conoscendo più cose, cose irripetibili, forse non destinate ai mortali e Ulisse, perdute le proprie certezze nell’incendio che consumava Troia sconfitta, ha intrapreso un percorso gnoseologico che in parte trascende il cammino degli umani. In questo caso la donna seduttrice, quando non incarna funesti presagi, assume una connotazione rivoluzionaria rispetto alla concezione micenea; diventa un punto di riferimento, una guida fidata per interpretare le dinamiche di un’organizzazione nuova ancora tutta in fieri, in cui i vecchi princìpi non sono più rispettati o sono resi obsoleti dall’incalzare degli eventi. In conclusione sono la saggezza, l’esperienza di vita e l’autonomia delle seduttrici a conquistare la fiducia e la stima di Ulisse, perché se il complesso di valori e tradizioni è in frantumi, solo chi è esterno a quel sistema e possiede conoscenze superiori, assume credibilità. E nessuno resta più al di fuori della mischia incongruente se non quel genere di donna che pur conservando intatte le potenzialità femminili/materne, resta impermeabile a qualunque condizionamento sociale o politico. Elena Sanguini 4 Omero, Odissea, libro X, vv. 337-347 Omero, Odissea, libro v, vv. 226-227 6 Omero, Odissea, libro XII, vv. 184-191 5 3
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