Cattedrale

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LA CATTEDRALE DI PALERMO
I tesori
Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, uno tra i più importanti patrimoni ecclesiastici della Sicilia, è ubicato
all’interno del Duomo della città.
L’istituzione museale nasce in seguito al ritrovamento di manufatti preziosi, ritrovati nei sarcofagi delle
tombe reali. Infatti nel 1781 vengono perlustrate e i reperti trovati vanno a formare la parte più antica della
collezione. La variegata raccolta di capolavori, da secoli custodita prima nella “sacrestia nuova”, poi nella
“sacrestia dei beneficiali”, dal 2006 trova spazio negli ambienti dell’”ex sacrestia dei Canonici” e in altri locali
attigui.
Il nuovo percorso espositivo è allestito negli spazi appartenuto al tesoro prima del suo trasferimento negli
anni ‘50, voluto dal Cardinale Ruffini, nei locali dei “Padri Beneficiali”. L’allestimento odierno, ad opera degli
architetti Lina Bellanca e Guido Meli, comprende una raccolta di opere d’arte databili tra l’età dei Normanni
e l’800, tra cui paramenti sacri riccamente decorati e suppellettili liturgiche in argento, riutilizzate talvolta
per le funzioni più importanti. Il Tesoro occupa le due grandi sale attigue della Canonica e della Sagrestia,
accessibili nel lato meridionale della Cattedrale dal vestibolo con ingresso diretto dal sagrato.
La corona di Costanza D’Aragona. Nella Prima sala (“Sacrestia dei canonici antica”), sono esposti i manufatti
della fase normanna insieme ad altre opere realizzate tra i secoli XIII e XVI. Il pezzo più importante attorno
alla quale ruota l’intera esposizione è stato ritrovato nel sarcofago di Costanza d’Aragona (seconda moglie
di Federico II di Svevia, proclamata nel 1220 Imperatrice da Papa Onorio III), la cui prima apertura risale al
1491 per volontà del Vicerè Ferdinando de Acuna. Si tratta di una corona (fig.1), splendido capolavoro di
gioielleria medievale con smalti, ricami, gemme e perle scenograficamente esposta. Infatti primeggia entro
una teca posta centralmente nella sala, permettendo ai visitatori di fruire di un percorso anulare, offrendo
diversi punti di vista.
La pioniera delle arti decorative siciliana Maria Accascina, sostiene che sia stata realizzata presso l’opificio
del Palazzo Reale di Palermo Tiraz (ergasterion), su commissione di Enrico VI. L’opera presenta modelli in
uso anche nell’oriente cristiano, come il motivo del giglio visibile nel mosaico delle pareti del Duomo di
Monreale. Ciò che caratterizza la corona, è lo stile, definito di “Palazzo Reale”, ma l’opera ha anche richiami
all’oreficeria tedesca. Altra ipotesi è quella che appartenesse in origine a Tancredi. La corona viene restaurata
due volte, la prima nel 1492 e la seconda nel 1848, dall’orafo Matteo Serretta. Varie sono le supposizioni di
appartenenza della stessa, soprattutto per la forma a calotta si pensa che originariamente fosse appartenuta a un uomo. Infatti lo studioso tedesco Deer avanza l’ipotesi che si tratti di una corona maschile Kaumelaukion che rispecchia la tipologia di copricapo chiuso, tipico dei sovrani per le feste religiose di Bisanzio.
Lipinsky sostiene sia invece la Corona del Regno di Sicilia e che sia appartenuta a Ruggero II. A suffragio
di tale tesi è possibile visionare il mosaico nella chiesa della Martorana a Palermo, dove Ruggero II è raffigurato indossando la tipica corona aperta. La Coronae Regni soleva infatti terminare con una croce e non
con una gemma; affine risulta la “Corona di Santo Stefano”, detta anche Sacra, Angelica, et Apostolica Regni
Hungariae Corona o “Sacra Corona d’Ungheria”, che fu usata per incoronare i Re d’Ungheria dal XIII secolo
in avanti. Inoltre risulta simile anche a quella donata nel 1236 da Federico II come reliquiario di Santa Elisabetta e oggi custodita al museo di Stoccolma. Fra le gemme della corona vi sono due granati: uno almandino con un’iscrizione incisa a rovescio in caratteri arabo-orientali o neskhi: “In Dio Isà ibn Gibair s’affida”, l’altro a forma di cammeo, con un grifone inciso. La lavorazione delle placche filigranate dei pendilia, uno dei
quali è stato rifatto nel 1848, si riscontra anche nel manto “dell’Incoronazione” di Ruggero e nella spada da
cerimonia di Federico II, realizzati nello stesso opificio regio, oggi custoditi a Monaco. Tra gli arredi funebri,
insieme alla tiara d’oro di Costanza d’Aragona, sono stati ritrovati anche una placca identificativa e cinque
anelli (fig.2), dei quali ne giungono oggi solo tre, probabilmente perché gli altri furono venduti per sostenere le spese della ristrutturazione della Cattedrale del 1781. Un anello presenta un castone trapezoidale e
orlo ribattuto con pietra di smeraldo rettangolare; un altro con zaffiro è caratterizzato da un’incastonatura
rettangolare a forma di piramide e il terzo presenta un rubino incastonato a troncoconico ad orlo ribattuto.
prettamente duecentesco. I manufatti risaltano le qualità delle gemme, non sfaccettate come quelle della
corona, e la purezza geometrica delle forme di gusto prettamente duecentesco.
Fig 1. Corona di Costanza d’Aragona.
Fig 2. Arredi funebri di Costanza d’Aragona.
(Foto di Norma Jean Candela)
(Foto di Norma Jean Candela)
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