FACE ADDICT

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FACE ADDICT
58. Festival Internazionale del film di Locarno.
SELEZIONE UFFICIALE, FUORI CONCORSO
Downtown Pictures
Amka Films Productions
in associazione con
SSR/RTSI – Televisione Svizzera
Mako Productions
presentano
FACE ADDICT
di Edo Bertoglio
una produzione italo-svizzera
Con il sostegno di:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Dipartimento dello Spettacolo, Italia
Ufficio Federale della Cultura (DHA), Svizzera
Repubblica e Cantone Ticino, Svizzera
il film/la mostra
www.downtownpictures.it /
www.amka.ch
Una distribuzione
ISTITUTO LUCE
Cast tecnico
regia
sceneggiatura
consulenza alla sceneggiatura
fotografia
scenografia
organizzazione generale Italia
operatori macchina
suono
montaggio
musiche
segreteria di produzione Italia
coordinamento di produzione, Svizzera
una produzione
in associazione con
Con il supporto di
Produttori
Distribuzione
Comunicazione e Marketing
ISTITUTO LUCE
Ufficio Stampa
EDO BERTOGLIO
EDO BERTOGLIO, GAIA GUASTI
LORENZO BUCCELLA, LINDA YABLONSKY
EDO BERTOGLIO
ANDREA CRISANTI
ALFONSO CUCCI
GIANFRANCO ROSI, VITO ROBBIANI
ADRIANO SCHRADE
GILLES DINNEMATIN, JACOPO QUADRI
JOHN LURIE, FRANCO PIERSANTI
ELENA VAI, FRANCESCA ZERBETTO
TINA BOILLAT
DOWNTOWN PICTURES (Italia)
AMKA FILMS (Svizzera)
SSR/RTSI-Televisione Svizzera
Mako Productions, USA
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Dipartimento
dello Spettacolo, Italia
Ufficio federale della cultura (DHA), Svizzera
Repubblica e Cantone Ticino, Svizzera
Marco Müller - Downtown Pictures (Italia)
Tiziana Soudani - Amka Films (Svizzera)
ISTITUTO LUCE
Maria Carolina Terzi
Tel. +39.06.72992242 [email protected]
Studio PUNTOeVIRGOLA
Olivia Alighiero e Flavia Schiavi
Tel.+39.06.39388909
[email protected]
www.studiopuntoevirgola.com
Nazionalità
Durata e informazioni tecniche
Italia e Svizzera
102 min, col. + b/n, 35mm, 1:85, 2976 m
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Interpreti principali
Walter Steding
Glenn O’Brien
John Lurie
Maripol
Deborah Harry
Wendy Whitelaw
James Nares
Victor Bockris
Interpreti Secondari
Stewart Meyers
George Steding
Gloria Steding
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FACE ADDICT - Il FILM / LA MOSTRA
a partire dal 29 gennaio a BOLOGNA
il film / la mostra
Face Addict
L'evento FACE ADDICT si compone del film e di una mostra.
FACE ADDICT è in tour in Italia.
Dopo essere stato accolto con entusiasmo al Festival di
Locarno, e dopo la prima tappa di Milano e di Bologna (dal 29 gen
all’11 febbraio), prosegue il suo cammino, con la formula
itinerante a Roma (a febbraio/marzo) e successivamente in altre
città.
Il film:
Il film di Edo Bertoglio, prodotto da Marco Müller per la Downtown Pictures e da
Amka Fims Productions, distribuito dall'Istituto Luce, presentato con successo
fuori concorso al 58° Festival Internazionale del film di Locarno, alla Viennale, ai
festival di Salonicco, Belfort e Soletta è il primo film italiano che affronta in modo
originalissimo e spietato l'esperienza della droga, vissuta sulla propria pelle dal
regista e dai protagonisti di quella magnifica avventura artistica. Alcuni sono
riusciti a uscire dalla droga, altri ci stanno provando. Altri ancora non ce l'hanno
fatta.
Face Addict racconta la storia di un'esperienza unica e irripetibile, quella della
comunità artistica della New York di fine anni 70 - inizio anni 80, conosciuta con
il nome di "Downtown Scene". Da questa scena emersero personalità del calibro
di Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Jim Jarmusch, Debbie Harry di Blondie,
John Lurie, e molti altri. Edo Bertoglio con molti di loro condivise passioni ed
esperienze e non ultima quella della droga, vissuta come estensione della
percezione e non come pura evasione.
Face Addict, un walk-movie sul filo della memoria, racconta la loro e la sua vita
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passata e presente, fra ricordi personali, filmati e fotografie originali, di chi non
c'è più e di chi è sopravvissuto.
In questo percorso alla riscoperta di New York 20 anni dopo - attraverso John
Lurie, Debbie Harry e tanti altri dei protagonisti della scena musicale e delle arti
visive, sulle tracce di un'epoca e di una comunità dispersa - Edo, è
accompagnato dall'amico Walter Steding, ex assistente di Andy Warhol, pittore e
musicista della scena d'avant-garde. La musica del film è di John Lurie e di
Franco Piersanti.
La mostra:
LE FOTOGRAFIE di EDO BERTOGLIO , i volti della Downtown scene.
Edo, per anni fotografo della rivista Interview di Andy Warhol oltre che di Vogue
e di tante altre ancora, autore di videoclip e copertine di dischi dei gruppi
emergenti, ha vissuto a New York per 14 anni, dal 76 al 90.
I DIPINTI di JOHN LURIE, i Lounge Lizards, il suo lungo e articolato
percorso artistico, musicale e cinematografico.
Vero e proprio dandy in versione pop e fotogenica, ma oggi colpito da una
malattia rara che attacca i centri nervosi, colto anche in questa sua nuova
fragilità.
I QUADRI di WALTER STEDING, ex assistente di Andy Warhol, pittore
e musicista della scena d'avant-garde, anche lui un "sopravvissuto" della droga.
LE POLAROID di MARIPOL, stilista. Il legame artistico con Madonna di
prima maniera, le croci, gli oggetti di gomma.
Note di Regia
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il titolo
Face Addict, come a dire “ossessionato dai volti”. E come potrebbe non dirsi
“ossessionato” chi fa della fotografia il suo strumento di conoscenza, chi fissa per
sempre sui volti l’espressione più intensa, chi ha potuto fotografare le personalità più
interessanti degli anni della Downtown Scene?
Perché Face Addict
FACE ADDICT nasce dal desiderio di fare i conti con il mio passato, dall’esigenza di
chiudere un capitolo intenso, e a volte anche difficile, della mia vita.
Ed è proprio questa necessità che mi ha spinto a realizzare un film che racconti le
esperienze collettive di alcuni tra i protagonisti della «Downtown Scene». Fra questi
ci sono anch’io, perché ho partecipato in prima persona a quel periodo newyorchese.
Alla fine degli anni ’70 a New York si andava creando una vera comunità di artisti,
anni di passione intensa, di sperimentazione di nuovi linguaggi. Da quel gruppo sono
emerse personalità come Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Jim Jarmusch e
fenomeni come la New Wave musicale che hanno avuto una diffusione mondiale.
Quando, nell’ottobre del ‘90, lascio New York, considero finita una stagione che mi ha
radicalmente segnato. New York non è più quella di dieci anni prima. La comunità
della «Downtown Scene» che avevo visto nascere e in cui mi ero formato, ormai non
esiste più. Si è sfaldata nel tempo.
La mia è una fuga. Ho un biglietto di sola andata per l’Europa, e il mio unico bagaglio
è un baule riempito di foto: il mio archivio, le mie immagini, i miei scarti, le emulsioni
e le emozioni di anni che hanno lasciato in me tracce profonde.
Così, quando nel 1994 sento il bisogno di tornare a riflettere sull’esperienza della
«Downtown Scene», è proprio dal mio archivio che comincio. E dal quel vecchio
baule esce fuori il materiale fotografico che diventerà una mostra e un libro.
Ma è nel 2000 che il progetto di un film si rafforza, si fa più urgente e necessario.
Esce finalmente il mio primo film, Downtown 81, girato nel 1981, terminato dopo
varie vicissitudini soltanto nel 1999, e infine selezionato a Cannes per la Quinzaine
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des réalisateurs. La visione pubblica di Downtown 81, le reazioni che provoca,
suscitano in me sorpresa e curiosità. Sono passati vent’anni, e sento che il tempo
trascorso mi consente una diversa e più precisa messa a fuoco. Downtown 81
fotografava la vitalità artistica della «Downtown Scene», l’esuberanza di una
comunità affiatata, all’apogeo della propria creatività. Cosa resta oggi della nostra
esperienza di allora? Solo dopo vent’anni sento di aver riconquistato la serenità per
poter rivivere quel periodo senza rimpianti o turbamenti, in un distacco leggero e
intenso al tempo stesso. E così nasce l’idea di FACE ADDICT: tornare a quei luoghi,
ritrovare chi, con me, li ha vissuti, chi a quegli anni è sopravvissuto, chi li ha
attraversati per divenire qualcosa o qualcuno, per dimenticarli o esserne dimenticato.
FACE ADDICT vuole essere tutto questo. Ricordi personali, filmati originali,
fotografie e musiche dell’epoca per arrivare a un racconto corale fatto di
testimonianze significative.
Durante la preparazione del film, ho selezionato una rosa di nomi, scelti tra i
protagonisti della «Downtown Scene» per i legami artistici che ci univano allora e
perché con essi sono comunque rimasto in contatto, malgrado la distanza e gli anni
trascorsi. E’ però nel corso delle riprese che sette tra loro si sono letteralmente
«imposti», per la generosità del loro intervento e per la forza della loro presenza
sullo schermo, in quanto personaggi fondamentali di FACE ADDICT, amici, attori e
trama del mio film. E’ nelle loro storie che la mia storia può riflettersi continuamente,
perché un percorso esistenziale analogo ci unisce.
In Downtown 81, Walter Steding aveva la parte più importante dopo Jean-Michel
Basquiat, ragazzino biondo ed esile che sfoggiava con ironia i suoi assurdi occhiali
elettronici. Oggi, Basquiat, il pittore di successo, non c’è più. C’è Walter. Ed è Walter
che stavolta mi accompagna nella mia riscoperta di New York, 20 anni dopo, sulle
tracce di un’epoca e di una comunità dispersa. Una lunga camminata guidata dal
nostro comune filo della memoria, un walk-movie, proprio come Downtown 81, ma in
una città diversa, che quasi non riconosco più ma ancora piena di ricordi, ad ogni
angolo di strada.
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Note sui protagonisti
Glenn O’Brien, poeta, entertainer, baciato oggi dalla sorte e dal successo. Glenn è il
disincanto che si fa merce, il libro con Madonna, la pubblicità per Calvin Klein, ma
anche le riviste e le serate di poesia. Glenn incarna la letteratura che si fa industria, il
segno che si fa successo, la scrittura che fabbrica consenso e ricchezza. Che genera
anche amarezza.
Debbie Harry, cantante, attrice, i Blondie, Cronenberg, le molte vite vissute da lei,
trascorse in lei, rise and fall, anni affaticati di emozioni, start up sensoriali ed
artistiche.
Le
sostanze,
le
droghe.
Addicted
dal
desiderio
di
esperienza,
dall’esaltazione dell’esperienza.
John Lurie, i Lounge Lizards, il suo lungo e articolato percorso artistico, musicale e
cinematografico. Vero e proprio dandy in versione pop e fotogenica, ma oggi colpito
da una malattia rara che attacca i centri nervosi, colto anche in questa sua nuova
fragilità.
Maripol, stilista, per sei anni mia compagna, musa e principale collaboratrice. Il
legame artistico con Madonna, le croci, gli oggetti di gomma. Maripol, la memoria in
comune: il diverso punto di vista della persona con cui ho scoperto New York.
James Nares, artista, per raccontare il mondo dell’arte, la macchina da spettacolo
dell’arte negli States. James Nares che filmava negli anni ’80 e oggi dipinge enormi
tele, la sua storia, l’underground, il successo, il mercato.
Wendy Whitelaw, il make-up come arte, affascinante “diva” dalla bellezza
appariscente. Il suo fenomenale successo nel mondo delle star, repentino e fugace,
buttato via a causa di una tossicodipendenza impossibile da gestire. La fuga lontano
da New York, una vita da ricostruire, una personalità forte, persa nella banalità della
provincia statunitense.
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Victor Bockris scrittore e biografo di Andy Warhol, di Lou Reed, dei Ramones e di
tanti altri personaggi del periodo newyorchese degli anni 70 e 80, legato da grande
amicizia a William Borroughs.
E soprattutto, Walter Steding, ex assistente di Andy Warhol, pittore e musicista
della scena d’avant-garde, di una musica che non si è fatta mercato, non ha fatto
breccia, non è stata e non è successo.
Più di tutti, Walter mi ha colpito, fin dal primo giorno delle riprese, per l’emozione
che scaturisce da ogni suo gesto, per la sua estrema fragilità unita a una malizia
quasi infantile e ad una commovente determinazione nel continuare senza
compromessi il suo percorso artistico. Un vecchio amico, un artista tenace, uno
straordinario personaggio.
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Periodo storico, la Downtown Scene
Nel 1976, nel corso di una crisi energetica che tenne l’America quasi al buio e al
freddo e le automobili quasi ferme, fu dichiarato ufficialmente il fallimento della città
di New York. Ciò nonostante, l’underground culturale della città visse un periodo
fertile e molto vitale.
Giovani artisti, compositori, filmmaker, fotografi e scrittori cominciarono a trasferirsi
negli edifici industriali abbandonati della zona Sud di Manhattan chiamata SoHo e
negli immobili pericolanti dell'East Village. Isolati dall’establishment a causa del
difficile momento economico (allora nessuno di quelli che arrivavano in città aveva
soldi in tasca), i membri di questa comunità creativa puntavano solo sulla loro
immaginazione. Le idee e lo stile erano fondamentali e la sperimentazione in tutti i
campi, dall’arte al sesso, alle droghe, al rock era all’ordine del giorno.
Poiché il denaro contava poco e nessuno aveva qualcosa da perdere, gli artisti
aprirono gallerie no–profit, night club e ristoranti, che presto divennero il centro della
vita sociale sulla scena newyorchese e fondarono riviste allo scopo di documentarla.
Le gallerie d’arte univano l’esposizione d'oggetti artistici, generalmente concettuali o
minimalisti, con performance live da parte d'artisti quali Joan Jonas e Laurie
Anderson accompagnati dai video di Vito Acconci e Bruce Naumann e da concerti di
nuovi compositori come Philip Glass. Sulla Bowery – che era stata fino allora solo un
boulevard di catapecchie e rifugi per vagabondi – un bar chiamato CBGB's
presentava giovani bands quali i Ramones, i Blondie, Television, Patti Smith e i
Talking Heads. Queste band reinventarono la rock music come new wave, furono
all`origine della rivoluzione nel campo della moda e definirono quel look e quegli
atteggiamenti che divennero poi semplicemente noti come "downtown".
Mentre uptown lo Studio 54 – sovrano incontrastato delle discoteche mondiali –
cominciava a perdere colpi, la nuova comunità downtown (la "Downtown Scene")
iniziava ad influenzare in maniera significativa il mondo circostante. Alcuni affermati
art dealer aprirono gallerie nei grandi loft di SoHo, che sarebbero diventati il centro
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vibrante del mondo artistico contemporaneo. Club come Tier 3 in TriBeCa e Club 57
in St. Marks Place lanciavano una new wave di gruppi musicali quali i Contortions, i
Lounge Lizards, i Bush Tetras, e Teenage Jesus and the Jerks, e d'interpreti quali
Klaus Nomi e Ann Magnuson.
Nella primavera del 1979 Steve Maas aprì un piccolo club a sud di Canal Street
chiamato the Mudd Club. Era lì che la "Downtown Scene", la nuova generazione
d'artisti, musicisti, designer, filmmaker e scrittori si riuniva, incontrandosi ai party a
tema che diedero l’avvio a performance, fashion show e proiezioni di cortometraggi e
film Super-8 che crearono il proprio universo di star. Marianne Faithful fece il suo
gran ritorno, i B-52 il loro debutto a New York. Nan Goldin fotografava gran parte dei
frequentatori del club e mostrava il risultato in slide show con colonna sonora. I
fotografi David Armstrong, William Coupon e Edo Bertoglio invitavano gli amici e i
clienti del Mudd Club nei loro studi; poeti e scrittori come Gary Indiana, Max Blagg,
Glenn O'Brien, Cookie Mueller and David Wojnarowicz leggevano le loro opere in
pubblico.
Nello stesso periodo, un nuovo genere musicale chiamato hip-hop iniziava a farsi
conoscere, emergendo dai ghetti di Harlem e del Bronx, insieme a una nuova forma
d’arte “pubblica” chiamata graffiti. Anche loro arrivarono downtown. Nell'East Village,
il Pyramid Club aprì su Avenue A e attirò nuovi talenti quali Madonna. Artisti come
Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, George Condo e Kenny Scharf emergevano in
una nuova galleria dell’East Village chiamata the Fun.
Nel 1980 Diego Cortez e Arto Lindsay organizzarono La mostra "New York, New
Wave" alla P.S.1 (una scuola pubblica nel Queens allora in disuso) che riunì e
consacrò, non senza scandalo dei critici d’arte di regime, tutti gli artisti di quella
scena.
Parte dell’energia – e certamente parte dello spirito di avventura – veniva dal facile
accesso alle droghe pesanti, cocaina ed eroina. Queste droghe divennero un
elemento di coesione sociale, cementarono molte relazioni e ne distrussero molte
altre. Dal 1982, con l’avvento dell’AIDS, il Mudd Club chiuse i battenti e un altro club
più grande, chiamato Area lo sostituì, e così fecero nuovi bar come l'Odeon. Nel
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frattempo, le luci di New York si erano nuovamente accese e il mercato dell’arte
semplicemente esplose, portando soldi, i grandi media, collezionisti di uptown, grandi
gallerie
e
designer
noti
a
livello
internazionale,
modificando
sempre
più
profondamente la Downtown Scene.
Nella metà degli anni 80, l'underground aveva perso le sue energie cedendo il passo
all’AIDS e alle droghe, ma anche al successo commerciale e da allora non c’è più
stato nulla di simile a New York.
La maggior parte di questi anni febbrili sono ora soltanto un ricordo, ma il lavoro che
fu fatto in quel periodo certamente rimane e continua a influenzare la nostra cultura
a livello mondiale. Lo vediamo nei libri, nei musei, nei film. Non bisogna dimenticare
che fu il tessuto sociale della Downtown Scene a generare tale cultura, a darle un
volto e un significato. Erano le relazioni formatesi allora che la supportarono, la
promossero e la sostennero. Molti di quelli che diedero un contributo significativo alla
sua crescita sono oggi sconosciuti, anche se continuano a fare un grande lavoro. E`
la loro storia che deve essere scritta e FACE ADDICT è un contributo proprio in
questa direzione.
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Edo Bertoglio
Dopo il diploma in regia e montaggio a Parigi nel 1975, si trasferisce prima a Londra
e poi a New York, dove rimane per quattordici anni. Lavora come fotografo per
diverse riviste americane, giapponesi, francesi e italiane di moda, arte e costume.
Dal 1978 al 1982 collabora regolarmente alla rivista “Interview” di Andy Warhol.
Realizza copertine di dischi per case discografiche americane quali Warner Brothers,
Arista, Atlantic Records e videoclip per società di produzione video e film.
Nel 1981 dirige Downtown 81. Il film racconta una giornata nella vita del giovane ed
allora sconosciuto artista Jean-Michel Basquiat, e rappresenta uno spaccato della
vivace comunità artistica newyorchese dei primi anni ottanta. Portato a termine nel
1999 dopo varie vicissitudini, è selezionato al Festival internazionale del cinema di
Cannes nel 2000 nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs” .
Lasciata New York nel 1990, si concentra sulla produzione audiovisiva, realizzando
documentari per la televisione e video istituzionali.
MOSTRE FOTOGRAFICHE
1976 Collettiva alla GALERIE MEDIA - Neuchatel
1979 Collettiva alla STEFANOTTI GALLERY- New York
1981 Collettiva "NEW YORK NEW WAVE" alla P.S.1- New York
1983 Personale al CENTURY CAFE' - New York
1984 Personale alla Galleria 303 PARK AVENUE- New York
1986 Collettiva "FORM & COLOR" allo SWISS INSTITUTE - New York
1988 Collettiva "ARTISTI A NEW YORK" Villa Malpensata Lugano
1992 Collettiva "ARTISTS IN THE CITY" al Whitney Downtown -New York
1990 Personale "DATED" agli ORTI- Lugano
2001 Collettiva Galleria Pack Milano
2003 Collettiva Museo cantonale d'arte di Lugano Fondo Cotti
2003 Personale Galleria Barbara Mahler Lugano “Basquiat”
2004 Galleria Benedicte Siroux Parigi “Paris-New York”
2004 The Andy Warhol Show Triennale di Milano
2005 Basquiat by Edo Bertoglio, mostra fotografica, Museo di Arte Moderna, Lugano.
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PREMI
1981 Premio speciale della giuria alla TRIENNALE INTERNAZIONALE DELLA
FOTOGRAFIA - Friburgo
1982 1° e 2° Premio per i migliori video clip musicali dell'anno al Festival di
Salsomaggiore
2000 Film "Downtown 81" selezionato per la "Quinzaine des Réalisateurs" al Festival
del Cinema di Cannes 2000
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Marco Müller
Dopo due specializzazioni post-laurea in Cina, Marco Müller prosegue le sue ricerche
di antropologia e cinema, insegnando, scrivendo e realizzando documentari televisivi
e pubblicando studi e libri di cinema. Marco Müller si può senz’altro definire come il
più atipico produttore e “fabbricante di festival” della sua generazione. E’ stato
direttore del Festival di Torino “Ombre Elettriche” (1981), Pesaro (1982-1989),
Rotterdam (1989-1991), del Festival Internazionale di Locarno (1991-2000) e ora del
Festival di Venezia (2004-2006). Prima di diventare produttore, Müller è stato inoltre
un supporto fondamentale per i più audaci progetti cinematografici internazionali:
dall’invenzione e direzione del Hubert Bals Fund di Rotterdam e della Fondazione
Montecinemaverità di Locarno-Lugano a quella di Fabrica Cinema. Per Fabrica
Cinema ha prodotto diversi lungometraggi tra cui si segnalano i pluripremiati e
apprezzati dalla critica italiana e mondiale Diciassette Anni di Zhang Yuan (1999),
Lavagne di Samira Makhmalbaf (2000), No Man’s Land di Danis Tanovic (2001), Il
voto è segreto (2001).
La bolognese
Downtown Pictures
Dal 2001 Marco Müller ha creato una sua casa di produzione cinematografica - la
Downtown Pictures - e ha scelto Bologna come sede.
Da questa sorprendente "officina bolognese" sono già usciti FANGO di Dervis Zaim
(Cipro/Turchia/Italia),
TROPICAL
MALADY/
MALATTIA
TROPICALE
di
Apitchapong Weresethakul (Tailandia/Italia), IL SOLE di Aleksandr Sokurov
(Russia/Italia), FACE ADDICT di Edo Bertoglio (Italia/Svizzera), GRIDO di Pippo
Delbono (Italia).
Di prossima uscita è LA GUERRA DEI FIORI ROSSI di Zhang Yuan, in concorso al
Sundance e al Panorama della Berlinale.
Tra i progetti futuri è in preparazione 16 LUNE, opera prima dell’attrice bolognese
Chiara Caselli.
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