Un programma antropico per la sopravvivenza dell`umanità sul
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Un programma antropico per la sopravvivenza dell`umanità sul
L’ INCONTRO TRA CULTURA E SCIENZA Roberto Paura Un programma antropico per la sopravvivenza della civiltà umana sul lungo periodo Il dilemma antropico A partire dalla rivoluzione copernicana, l’antropocentrismo è stato oggetto di una continua destituzione di fondamento cominciata con la “periferizzazione” della Terra – non più al centro del sistema solare, posto alla periferia della galassia, a sua volta una tra le centinaia di miliardi che compongono l’universo – e proseguita con la “banalizzazione” della specie umana, sviluppatasi attraverso un processo evolutivo identico a quello delle altre specie animali presenti sulla Terra. Divenuto assioma con il cosiddetto “principio di mediocrità”, secondo cui, su scala cosmologica, la fetta di universo in cui viviamo non ha nulla di speciale, l’anti-antropocentrismo è condiviso dalla maggioranza della comunità scientifica e sintetizzato dal biologo e filosofo Jacques Monod, nel suo classico Il caso e la necessità, come la dimostrazione che l’universo è insensibile all’esistenza del genere umano, frutto del puro caso, come “un numero uscito alla roulette” . Questa convinzione è tuttavia scossa in tempi recenti da alcune scoperte nel campo della biologia, della fisica e della cosmologia. Sul primo versante – quello biologico – un numero crescente di studiosi dell’evoluzione e dell’origine della vita condivide la convinzione che l’esistenza di specie viventi sia tutt’altro che comune, e ancora meno comune sia da considerare l’emergere dell’intelligenza. Tali e tanti sarebbero gli ostacoli allo sviluppo della vita, che molto probabilmente il caso della Terra è destinato a restare unico nel suo genere. Sul secondo e terzo versante – quello fisico e cosmologico – le considerazioni a favore dell’unicità della vita sulla Terra sono riassunte sotto la definizione di “principio antropico”. I suoi assertori dimostrano che anche solo una piccola variazione dei valori posseduti dalle principali costanti di natura renderebbe impossibile l’esistenza della vita nel cosmo, per cui esisterebbe una sorta di sintonia fine (fine tuning) nella struttura dell’universo tale da favorire l’emergere della vita. Eppure, resta il fatto che la vita, nell’universo, sembra piuttosto rara. Quasi certamente non ci sono forme di vita sugli altri corpi del nostro sistema solare; e al momento non abbiamo nessuna prova dell’esistenza di civiltà extraterrestri, benché sia ormai assodato che pianeti simili al nostro non siano affatto rari nell’ 42 / FUTURI universo. Questo problema è noto come “paradosso di Fermi” e, per usare le parole del fisico Enrico Fermi, che lo pose per primo alla fine degli anni Quranta, si chiede, ammettendo che l’esistenza di vita intelligente sia comune nell’universo, dove siano tutti questi extraterrestri. Difatti, data l’età dell’universo, è estremamente probabile che una o più civiltà tecnologiche si siano sviluppate ben prima della nostra, finendo per espandersi in tutta la galassia, se non in tutto l’universo, in tempi relativamente brevi su scala cosmologica (pochi milioni di anni), anche senza superare la velocità della luce. Dovremmo dunque avere esperienza diretta dell’esistenza di civiltà extraterrestri, che invece non abbiamo ancora scoperto nonostante i progressi compiuti nell’ambito dei programmi SETI. La teoria della rarità della Terra, il principio antropico e il paradosso di Fermi concorrono a formare quello che qui definiamo “dilemma antropico”: se non c’è nulla di speciale nella nascita e nell’evoluzione della vita fino allo sviluppo di un’intelligenza autocosciente, perché l’universo sembra essere fatto apposta per consentire la nascita della vita e, ciò nonostante, la vita intelligente sembra limitarsi alla sola specie umana? La Terra: allo stato attuale delle conoscenze, l’unico posto dell’universo abitato da vita intelligente. L’ INCONTRO TRA CULTURA E SCIENZA L’imperativo antropico La specie umana esiste da circa 200mila anni, considerando solo l’Homo Sapiens, e la civiltà umana da circa 10mila, considerando come suo punto d’inizio la scoperta della scrittura. Cinque estinzioni di massa e altri cicli estintivi minori hanno continuamente mutato la biosfera terrestre e nell’ultimo caso – l’estinzione che ha spazzato via il regno dei dinosauri, oltre 60 milioni di anni fa – ha permesso l’ascesa dei mammiferi e quindi dell’Uomo. Ricostruzioni archeologiche e analisi genetiche hanno portato piuttosto recentemente alla scoperta che, circa 100mila anni fa, la specie umana fu sull’orlo dell’estinzione, e di essa non rimasero che poche migliaia di esemplari. Dobbiamo dunque convivere con la consapevolezza che l’umanità possa andare incontro a un rapido e drastico episodio estintivo che cancelli completamente la sua presenza sulla Terra. Si stima che, fino a oggi, siano vissuti sulla Terra circa cento miliardi di esseri umani. Non è possibile sapere quanti ne vivranno in futuro, ma la nostra generazione deve ritenersi responsabile sia per le generazioni che l’hanno preceduta che per quelle a venire. Questo concetto è stato espresso lucidamente decenni fa dal filosofo Hans Jonas attraverso il concetto di responsabilità nei confronti delle generazioni future. Tale principio sembra non aver ancora attecchito nella società contemporanea, considerando il modo disinvolto con cui la civiltà sta sfruttando le risorse esauribili e modificando consapevolmente il clima del pianeta senza alcuna considerazione delle conseguenze di lungo termine di tali atteggiamenti. Il dilemma antropico impone invece che il principio di responsabilità di Hans Jonas venga esteso all’intera umanità presente e futura. La possibile unicità, o comunque estrema rarità, dell’esperienza umana, impone che essa venga preservata da qualsiasi minaccia possa comprometterne l’esistenza. Data l’estrema vulnerabilità del nostro pianeta e, l’orizzonte temporale di tale responsabilità dovrebbe essere esteso fino al momento in cui la specie umana sia in grado di diffondersi al di fuori del sistema solare. Può perciò essere enunciato il seguente “imperativo antropico”: è necessario intraprendere tutte le azioni necessarie per garantire alla specie umana la sua sopravvivenza indefinita nel futuro. Il programma antropico Per raggiungere l’obiettivo enunciato dall’imperativo antropico, è necessario elaborare un programma di lunghissimo termine che possa prevedere e neutralizzare le minacce che la civiltà umana si troverà ad affrontare nel corso del suo sviluppo futuro. In un’ottica che può essere considerata di breve periodo (con un orizzonte di due secoli al massimo), i punti che il programma antropico deve affrontare sono i seguenti: • Vulnerabilità del pianeta Terra. L’attuale concentrazione dell’umanità su un singolo pianeta la espone a numerosi rischi, tra cui soprattutto potenziali impatti di asteroidi e comete, nonché gli effetti catastrofici di un inarrestabile mutamento climatico. • Mortalità. La specie umana resta vulnerabile a potenziali pandemie virali, superbatteri resistenti agli antibiotici, funghi e altri agenti patogeni la cui diffusione è favorita dall’interazione globale. L’attuale speranza di vita, inoltre, è ancora troppo bassa per sviluppare progetti di lungo periodo. • Squilibrio demografico. La crescita della popolazione, specialmente nel Sud del mondo, impedisce alla civiltà umana il pieno godimento dei beni del pianeta, mentre al contempo il calo della fertilità in Occidente mette a repentaglio la sopravvivenza sul lungo termine. • Esaurimento delle risorse. L’attuale struttura economica è destinata al collasso a causa dell’esauribilità a breve termine di beni come le fonti energetiche non rinnovabili, le riserve marine, minerali rari, terre coltivabili e foreste. • Aumento della complessità. La globalizzazione e l’accelerazione tecnologica costringono a un inevitabilmente aumento delle conoscenze da acquisire e delle competenze da possedere per la gestione dei sistemi complessi che costituiscono la civiltà contemporanea. • Fragilità sistemica. L’aumento della complessità favorisce la vulnerabilità sistematica della civiltà umana: la fragilità dell’infrastruttura tecnologica, informatica, finanziaria, di trasporto e di approvvigionamento mette a serio rischio la sopravvivenza sul medio periodo. • Perdita dell’informazione. La digitalizzazione della civiltà pone un serio problema di conservazione delle informazioni prodotte, la cui volatilità può comportare sul lungo termine un vero e proprio “buco nero” di conoscenze relative all’epoca attuale. • Rischi tecnologici. L’avvento di nuove tecnologie e le nuove scoperte scientifiche impongono un controllo costante dei potenziali nuovi rischi connessi, sulla base del principio di precauzione per le future generazioni. Sulla base di queste considerazioni, le principali aree d’intervento che dovrebbero essere oggetto della prima fase del programma antropico, 43 / FUTURI L’ INCONTRO TRA CULTURA E SCIENZA con un orizzonte temporale di 200 anni, sono le seguenti: 1. Espansione umana nello spazio. La diffusione della civiltà umana al di fuori dei confini della Terra richiede in primo luogo un più facile ed economico accesso allo spazio; segue l’inizio dello sfruttamento degli asteroidi, per la produzione in situ dei materiali necessari alla colonizzazione; l’insediamento di colonie permanenti sulla Luna funge da test bed per la colonizzazione di Marte per la sua abitabilità su larga scala anche attraverso terraformazione. L’obiettivo finale è lo sviluppo di sistemi di propulsione interstellare che rendano possibile raggiungere i sistemi stellari più vicini nel giro di una generazione. 2. Estensione della speranza di vita. L’individuazione di nuovi principi attivi per gli antibiotici, la velocizzazione delle analisi dei nuovi virus per la produzione di vaccini e, in generale, la prevenzione contro la diffusione globale degli agenti patogeni, riduce il rischio di minacce pandemiche; la vera rivoluzione consisterà nel sostituire all’attuale regime medico generalista ed ex post un regime terapeutico personalizzato e preventivo grazie alla genetica; il più ampio contrasto all’invecchiamento, attraverso l’inversione dei processi di deterioramento di organi e tessuti mediante utilizzo di cellule staminali, potrà consentire di allungare la speranza di vita fino a oltre duecento anni. 3. Resilienza della civiltà tecnologica. Per mitigare i rischi legati alla dipendenza tecnologica, occorre innanzitutto proteggere i sistemi elettronici, ponendoli al riparo da danni provocati da tempeste magnetiche e black-out di massa; analogamente è indispensabile difendere Internet da attacchi di vasta portata in grado di disconnettere dalla Rete strutture vitali come le centrali elettriche, sviluppando sistemi di difesa contro il cyberwerfare; occorrerà rendere le metropoli e le megalopoli più sostenibili e autonome sul piano della produzione energetica e alimentare e su quello dell’adattamento ai cambiamenti climatici. L’obiettivo finale consiste nella riduzione della complessità sociale, attraverso la semplificazione burocratica, la de-finanziarizzazione e altre politiche volte a rendere più resiliente la civiltà tecnologica. 4. Superamento dei limiti dello sviluppo. Data la veloce esauribilità dei combustibili fossili, è necessario accelerare la loro sostituzione con altre fonti energetiche rinnovabili, potenziando l’efficienza del solare anche attraverso sistemi di raccolta in orbita, utilizzo di nuovi materiali e simulazione della fotosintesi, nonché sviluppando la fusione nucleare pulita. Sul versante dell’esaurimento delle risorse alimentari e delle riserve di acqua dolce, alla coda lunga della rivoluzione verde e all’utilizzo dell’ingegneria genetica va affiancato un nuovo regime alimentare prevalentemente vegetariano per mitigare l’impatto ambientale insostenibile del consumo di carne, mentre le riserve idriche mondiali possono essere incrementate producendo acqua dolce dall’elettrolisi delle acque dei mari mediante fusione nucleare. 5. Conservazione della conoscenza. Nel corso del suo tumultuoso sviluppo e della sua espansione, la civiltà umana andrà verosimilmente incontro a perdite di memoria storica. Per mitigare questo rischio è necessario affiancare agli attuali supporti digitali eccessivamente volatili e dipendenti dalla tecnologia dei supporti in grado di archiviare la memoria per millenni e accessibili anche a un livello tecnologico di base; bisognerà avere cura di conservare lingue, usi e memorie di culture minoritarie in estinzione; il passo successivo consiste nella realizzazione di 44 / FUTURI vere e proprie “enciclopedie della civiltà” che conservino le nozioni fondamentali per la ripartenza in caso di collasso tecnologico, con obiettivo finale quello della creazione di sistemi di backup della civiltà, aree mantenute appositamente a un basso livello tecnologico e di complessità da cui ripartire nel caso in cui lo sviluppo umano incappi in errori irreversibili. 6. Mitigazione dei rischi estintivi. Un vasto insieme di minacce riunite nell’ampia casistica dei rischi estintivi necessita di strategie per la loro mitigazione. La principale di esse deriva proprio dallo sviluppo tecnologico impetuoso che, se non può né deve essere arrestato, va regolamentato con maggiore attenzione nel rispetto del principio di precauzione; nell’ambito delle minacce di natura artificiale, va favorita la riduzione degli arsenali nucleari mondiali fino alla loro completa distruzione e un rigido controllo della produzione di nuovi armamenti, mentre un’analoga regolamentazione va applicata a priori sulle ricerche sull’intelligenza artificiale per impedire una loro degenerazione. Nell’ambito delle minacce naturali, lo sviluppo di sistemi di prevenzione e difesa da asteroidi e altri corpi in rotta di collisione con la Terra è improrogabile. La realizzazione di un programma antropico di così ampio respiro dovrebbe essere di primario interesse per una civiltà pienamente matura, in grado di preoccuparsi del destino delle generazioni future e della sopravvivenza di lungo termine non solo della specie, ma della cultura, della memoria e della tecnologia prodotta fino a oggi. Anche qualora il postulato antropico si rivelasse infondato, grazie alla scoperta di specie viventi complesse e/o di civiltà intelligenti extraterrestri, la conservazione della specie umana dovrebbe restare un imperativo nei confronti di potenziali minacce estintive provenienti dall’incontro con specie e civiltà aliene. È evidente che quanto più tardi si inizierà a implementare il programma antropico, tanto più crescerà il rischio di un evento di carattere estintivo in grado di annientare l’esperienza umana. Diventa pertanto urgente sollecitare la comunità dei decisori politici a livello mondiale affinché si prenda carico di questo programma. Approfondimenti • Barrow J.D., Tipler F., Il principio antropico, Adelphi, Milano, 2002. • Brand S., Il lungo presente. Tempo e responsabilità, Mattioli 1885, Fidenza, 2009. • Casti J.L., Eventi X, il Saggiatore, Milano, 2012. • Jonas H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 2002. • Monod J., Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970. • Rees M., Il secolo finale, Mondadori, Milano, 2004. • Sagan C., Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space, Random House, New York, 1994. • Tainter J., The Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press, 1998.