Teoria linguistiche e dati di parlato

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Teoria linguistiche e dati di parlato
Teorie linguistiche e dati di parlato
Miriam Voghera (Università di Salerno)
In corso di stampa negli Atti del Congresso internazionale delle SLI “Teorie e dati linguistici”
Napoli ottobre 1999
1. INTRODUZIONE
Anna Laura e Giulio Lepschy (1992) hanno indicato il parlato come interesse emergente degli
anni '80. Oggi il parlato è forse meno di moda, ma è senz'altro entrato più stabilmente nell'ambito
degli interessi dei linguisti. Ci sono molti segni di questo interesse, tra i quali uno dei più vistosi
è la creazione di corpora di parlato, anche dell'italiano 1 . Il più grande corpus di parlato italiano è
a tutt'oggi quello pubblicato in appendice al Lessico di frequenza dell'italiano parlato, raccolto
su scala nazionale e rappresentativo di un'ampia tipologia di testi per un totale di 60 ore di
parlato, (De Mauro et al. 1993). Esistono altri vari progetti di raccolta di corpora di parlato in
stadi di avanzamento diversi; tra i principali si possono citare:
- il corpus dell'Archivio delle varietà dell'italiano parlato (AVIP) 2 , nato in prima istanza per
l'analisi fonetica e fonologia di parlato naturale spontaneo, che comprende testi dialogici prodotti
da parlanti pisani, napoletani e baresi, e che verrà presto ampliato con testi registrati in altre
località con il progetto in corso di svolgimento dell'Archivio dell'italiano parlato (API) 3 ;
- il grande corpus CLIPS che comprenderà testi raccolti a Torino, Pisa, Roma, Napoli e Bari, per
un totale di100 ore di parlato 4 ;
- il corpus del Lessico di frequenza dell'italiano radiofonico (LIR), che prevede la raccolta di
circa 50 ore di parlato radiofonico trasmesso da otto emittenti a diffusione nazionale (Maraschio
et al. 1997).
Si tratta di corpora raccolti con finalità diverse che rispecchiano la pluralità dei punti di
vista adottati dalle ricerche sul parlato degli ultimi anni. I risultati di queste ricerche sono
molteplici e riguardano settori anche molto distanti tra loro. Sebbene non sia possibile in questa
sede darne conto, è tuttavia possibile indicare i punti che emergono con più chiarezza, tentando
un bilancio dei risultati finora ottenuti e delle basi poste per la ricerca futura.
2. LE COSTANTI DEL PARLATO
1
La stragrande maggioranza delle descrizioni e delle analisi mostra che il parlato si discosta
sistematicamente e regolarmente dallo scritto in tutte le lingue finora studiate da questo punto di
vista. Ciò avviene anche in situazioni culturali molto distanti e in lingue con tradizioni di
alfabetismo diverse, e risalenti a epoche diverse. Esistono ormai diversi studi comparativi dai
quali si sa che, pur nella diversità dei contesti culturali, sociali e linguistici, i testi parlati e i testi
scritti manifestano differenze regolari e non estemporanee 5 . Ciò non vuol dire che il parlato si
presenti come blocco omogeno in tutte le culture, al contrario esistono molti generi di parlato
diversi a seconda delle varie lingue e delle varie culture. E' ovvio che le variazioni diamesiche si
intersechino con le variazioni diafasiche e diastratiche e in alcuni casi, come quello italiano,
diatopiche. Ciò nonostante la lingua usata quando si parla è costantemente diversa da quella che
si usa quando si scrive. Esistono cioè delle costanti del parlato che fanno sì che due testi parlati
in contesto naturale e spontaneo, anche se appartenenti a livelli diastratici o diafasici diversi,
tendano ad assomigliarsi più di quanto non si assomiglino un testo parlato e un testo scritto
appartenenti allo stesso livello diafasico e diastratico.
Le costanti del parlato consistono in un serie di caratteristiche molto generali,
ampiamente condivise interlinguisticamente, che ordino qui di seguito secondo una scala di
pertinenza dalla più alla meno caratterizzante. E' utile ribadire che si tratta di caratteristiche del
parlato spontaneo, e che quindi possono avere un ridotto potere caratterizzante se si ha in mente
l'omelia di un sacerdote o l'arringa di un avvocato, cioè parlati monologici prepianificati e
altamente formali.
2.1 Organizzazione dialogica.
Il sistema di modellizzazione primaria del parlato è la conversazione faccia a faccia: la
condizione più naturale ed immediata del discorso parlato è il dialogo, cioè lo scambio
comunicativo libero e reciproco. L'elemento che più di ogni altro caratterizza il parlato è proprio
l'avvicendamento dei ruoli dei partecipanti alla comunicazione, poiché esso determina una
programmabilità e realizzazione del testo completamente diverse da ciò che è consentito, per
esempio, in un testo scritto (Givon, a cura di 1997). Nel parlato la turnazione permette la perfetta
condizione d'uso della lingua perchè consente il miglior equilibrio possibile tra programmazione
e produzione, da una parte, e ricezione e elaborazione, dall'altra. L'avvicendamento dei turni
costringe a frasi di norma brevi che sono anche quelle più maneggevoli in una modalità che
prevede la quasi contemporaneità tra programmazione/produzione e ricezione/elaborazione. Al
contrario, le forme monologiche o prevalentemente monologiche non sono funzionali in modo
2
ottimale all'uso del sistema fonico-uditivo poiché eliminano uno dei controlli basici sulla
produzione/programmazione del parlato: il turno. In questi casi si determina una tensione tra
condizione discorsiva primaria dialogica, verso la quale tende qualsiasi discorso parlato, e
strutture testuali, che devono, in un certo senso, adattarsi a sostenere situazioni comunicative
meno naturali. In queste cicostanze il parlante tende a produrre strutture liguistiche che, in
assenza della turnazione, appaiono non sempre ben connesse tra loro, slabbrate e altamente
ripetitive. I caratteri primari dell'organizzazione discorsiva del parlato informano, dunque, la
struttura dei testi anche anche nei casi in cui l'avvicendamento dei turni è ridotto o addirittura
nullo (interviste, dibattiti, conferenze). Si è infatti constatato che anche i testi parlati non
costituiti in turni di presa di parola presentano caratteristiche che sono attribuibili al sostrato
dialogico della comunicazione orale.
2.2 Massimo uso di coesione della prosodia.
I fatti prosodici sono stati giustamente considerati i "major channel-specific phenomena"
(Coulthard 1985: 96). Direi che dalle ricerche di questi ultimi anni sono emersi con chiarezza due
fatti importanti. In primo luogo, è ormai generalmente accettato che tutti i parametri prosodici
svolgono una funzione linguistica. Le ricerche più tradizionali di prosodia avevano assegnato un
ruolo preminente, se non esclusivo, all’andamento melodico degli enunciati. Oggi si può dire con
certezza che per la costruzione del significato non è pertinente solo il livello tonale degli
enunciati, ma anche la segmentazione in unità prosodiche e i fenomeni legati al tempo
dell’enunciato (Selkirk 1995; Ladd 1996). Contrariamente a quanto si riteneva in passato, la
velocità imposta al nostro eloquio non è funzione solo di stati d’animo o di atteggiamenti del
parlante. E’ stato infatti notato che la velocità di eloquio varia anche in funzione della scansione
testuale. Di fatto imprimiamo una velocità diversa a parti diverse del testo a seconda che
vogliamo metterle in primo o secondo piano, o che vogliamo aumentare o diminuire l’attenzione
dell’ascoltatore su quella porzione di testo (Lepschy, Lepschy, Voghera 1997; Cutugno e Savy
1999; Fon 1999).
In secondo luogo, oggi nessuno mette più in dubbio che la prosodia faccia parte della
grammatica della lingua e che essa rappresenti un livello autonomo di codificazione, che
interagisce in modo complesso sia con il livello fonico segmentale sia con livelli superiori come
quello sintattico e semantico. Le unità prosodiche (gruppi tonali o unità tonali che dir si voglia) o
3
le sequenze di unità prosodiche (Voghera 1989) rappresentano il dominio di un'ampia serie di
fenomeni che non potrebbe essere spiegata facendo riferimento alle unità sintattiche (Selkirk
1984; Selkirk 1995; Nespor e Vogel 1986; Helsloot 1995; Couper-Kuhlen e Selting (a cura di)
1996). Ciò vale in particolar modo per i fenomeni cosiddetti di focus e più in generale per il
rapporto tra contenuto proposizionale, distribuzione dell'informazione e ordine dei costituenti
(Selkirk 1995; Ladd 1996).
Gli esempi che si possono fare sono molteplici, vorrei però riproporre un esempio che ho già
proposto in un'altra sede (Voghera in corso di stampa a), poiché mi pare che renda in modo
esemplare il ruolo svolto dall'intonazione. All'inizio degli anni novanta il Partito Comunista
Italiano si stava trasformando in un nuovo partito. Naturalmente vi erano molti oppositori a
questa trasformazione, e una delle accuse che venivano rivolte al segretario del PCI di allora,
Occhetto, era di trasformare il PCI in un partito ibrido e confuso: un partito che in fondo non era
né carne né pesce. Il quotidiano italiano La Repubblica. pubblicò la risposta di Occhetto in un
titolo che riporto in (1):
(1)
Non siamo né carne né pesce
Naturalmente una prima lettura di questa frase dà un risultato paradossale: il segretario del PCI
sembra dare ragione ai suoi oppositori, sostenendo che il nuovo partito è effettivamente mal
definito e ambiguo. In realtà esiste una seconda lettura di questa frase che potrebbe essere
parafrasata con la frase non è vero che (non) siamo né carne né pesce. L'enunciato in (1) ha
dunque due letture cui corrispondono due intonazioni diverse:
(1a)
(1ai)
non [siamo [né carne né pesce]SN]SV
H*
L* L%
(1b)
(1bi)
non [siamo [né carne né pesce]SN]SV
H+L* L%
L* L%
In (1ai) abbiamo un accento nucleare ascendente sul V; sul SN abbiamo un accento nucleare
discendente (L*) seguito da un tono di confine discendente (L%). In (1bi) abbiamo un accento
nucleare ascendente-discendente (H+L*) seguito da un tono di confine discendente (L%) che si
può accompagnare ad una pausa; sul SN abbiamo un accento nucleare discendente (L*) seguito
da un tono di confine discendente (L%). Qui il significato voluto si può veicolare solo con una
4
particolare intonazione o aggiungendo altro materiale sintagmatico, per esempio non è vero che
non siamo né carne né pesce. In esempi del genere è difficile immaginare che, dato quel
materiale sintagmatico, la frase sia 'pensabile' senza quella intonazione: è cioè questo un caso in
cui è l'intonazione a trasmettere il significato della frase.
Si può naturalmente obiettare che questi sono casi limite, ma, com’è noto, sono spesso
proprio questi casi a svelare parti importanti della grammatica delle lingue.
2. 3. Massima ridondanza.
Le condizioni di costruzione e ricezione dei testi fanno sì che il parlato abbia bisogno di molta
ridondanza poiché è più esposto dello scritto al rumore. Il rumore può dipendere, com'è noto, da
vari fattori non necessariamente connessi a difficoltà di utilizzo del canale di trasmissione.
La prima potenziale fonte di rumore deriva dalla quasi contemporaneità tra la produzione
e la ricezione del testo, cui abbiamo già accennato. Tanto i testi parlati quanto quelli scritti
prevedono una distribuzione, per dir così, della fatica tra produttore e ricevente: il ricevente,
ormai lo sappiamo bene, non è mai passivo, ma se nello scritto agisce dopo il produttore, nel
parlato, in condizioni di normale trasmissione e ricezione, agisce insieme al produttore.
Generalmente nello scritto ci si può permettere di ridurre la ridondanza, scaricando, per così dire,
un maggiore lavoro sul ricevente perché il lettore del testo ha tempo per ricostruire la rete di
relazioni semantico-sintattiche intese dal produttore. Chi parla deve invece guidare il ricevente
nella ricostruzione dell'insieme delle relazioni semantico-sintattiche in tempo reale (Brown
1995).
La ridondanza si registra quindi prima ancora che a livello di strutture linguistiche, a
livello tematico. Vi è innanzi tutto una ridondanza tematica: nei testi parlati spontanei raramente
infatti abbiamo una progressione lineare dell'andamento tematico. Più frequentemente il tema
viene sviluppato attraverso un parziale ritorno sul già detto. Ciò avviene in generale in tutti i testi
parlati, ma naturalmente è più accentuato nei testi argomentativi rispetto a quelli narrativi
(Sornicola 1981), come si può vedere dall'intervento di un ascoltatore ad una radio locale,
riportato qui di seguito 6 .
(2)
non voglio far polemica con voi ragazzi perché siete delle e ce ce della gente magnifica
però Giovanni non va trattato con sufficienza perché quest'uomo legge tre quotidiani in inglese
e in francese e anche ha parlato di der Spiegel
che credo anche sappia il tedesco un uomo
5
che s'informa su tre quotidiani a
livello mondiale che vi porta notizie semifresce non va
trattato con sufficienza ma gli va dato quello spazio necessario in cui i radioascoltatori di radio
Firenze possano informarsi e se Giovanni è all'ascolto mi congratulo proprio che lui sa tre lingue
e che possa sempre informare questa radio così simpatica prima di tutto questo volevo dire
Come si vede anche da questo esempio, la ridondanza tematica può produrre strutture testuali
varie, non necessariamente ripetitive. E’ utile ricordare, infatti, che la ridondanza non si associa
automaticamente alla ripetizione o reduplicazione delle strutture linguistiche, ma può essere
prodotta da strategie testuali diverse (cfr. i paragrafi 2.4 e 2.7). Tra queste la più comune è
senz’altro la parafrasi (Sornicola 1981), cioè il progressivo ampiamento del tema attraverso un
processo di riformulazione, di cui il testo (2) fa un ampio uso. Sono queste strategie discorsive
che contribuiscono a determinare ciò che Cardona (1983) chiamava andamento epicicloidale o a
spirale dei testi orali.
Un'altra fonte frequentissima di rumore è l'avvicendamento dei turni, che può determinare
sovrapposizioni dei partecipanti alla comunicazione e, quindi, la parziale o totale perdita di
informazione. Per evitare che ciò accada, i parlanti tendono ad essere ridondanti e a mettere in
atto varie strategie riparatrici (Schegloff 1979; Sacks et al 1972; Orletti 1994 (a cura di), Brazil
1995).
2. 4. Massimo uso della ripetizione.
Si è da più parti notato (Simone 1990, Bazzanella 1992; Tannen 1989; Voghera 1992b) che nel
parlato spontaneo vi è un’alta percentuale di ripetizioni. I motivi sono vari e in gran parte
dipendenti dalle argomentazioni svolte nel paragrafo 2. 3. E’ tuttavia necessario distinguere
concettualmente la ridondanza dalla ripetizione del materiale o delle strutture linguistiche: ciò
non solo perché, come abbiamo visto, la ridondanza non produce necessariamente ripetizione, ma
anche perché non tutte le ripetizioni sono il prodotto della ridondanza. Esistono infatti vari tipi di
ripetizione con funzioni diverse, che possiamo ricondurre a due macrocategorie (Voghera
1992b):
- ripetizione di enunciati altrui per dare coerenza e coesione al discorso;
- autoripetizione di tipo automatico come meccanismo di controllo della programmazione del
discorso.
6
Tanto il primo quanto il secondo tipo di ripetizione sono funzionali al controllo della
progettazione testuale in fieri del parlato. Il rapporto tra l'autoripetizione e la ripetizione di
enunciati altrui è strettamente connesso al tipo di testo: maggiore è la frequenza di scambio
comunicativo minore sarà l'autoripetizione. La quantità di autoripetizione sembra infatti
proporzionale alla durata dell'enunciazione poiché una della sue funzioni principali è senz'altro
quella di guadagnare tempo per la progettazione e, implicitamente, per l’elaborazione. Un
esempio della diversità dei due tipi di ripetizione si ha nei testi (3) e (4): nel primo, in cui
abbiamo uno scambio serrato, abbonda la ripetizione di enunciati altrui; nel secondo, in cui lo
scambio ha ritmi più lenti chepermettono ai parlanti turni più lunghi, abbiamo invece
autoripetizione.
(3)
(4)
1D- ci siamo conosciuti una sera cosi' e allora lui mi ha detto che faceva un po' di
teatro cosi' a livello amatoriale e allora abbiamo
1Csi'
ah
2D- cominciato a formare un piccolo gruppo cosi' ci divertiamo un po'
2Cahah ahah un piccolo gruppo e
3D- ci divertiamo un po' al nostro paese
3Cvi divertite
ecco vi divertite a fare che cosa?
4D- a presentare una scenetta cantata stralci di canzone ed esce una
4Cscenetta
1A: sì no comunque il pressappochismo il dare le notizie così è grave ora c’è
stato Onofrio –sp- Onofrio come si chiama Pirrotta
1B:
Pirrotta
2A: che ha scritto un libro proprio Pressappoco io l’ho comprato è interessante lui a parte
mette le mani avanti che anche noi della televisione perché lui opera nella televisione lui
mette le mani avanti lui dice anche noi della televisione facciamo il pressappochismo però
io ve le riporto tutti quelle falsità o volute o non volute non lo so o per –pressapressappochismo
(…)
2. 5. Massimo uso dei segnali discorsivi.
7
Com’è ovvio quando si parla si devono non solo fornire informazioni sufficienti perché il
contenuto che vogliamo trasmettere arrivi al destinatario, ma anche fornire una griglia per
l’elaborazione del testo. E' utile ricordare che l’assenza di memoria esterna richiede tanto al
produttore quanto al ricevente un continuo lavoro di ricostruzione e elaborazione del già detto
(Givón 1997). Si deve, quindi, aiutare il destinatario a riconoscere le varie porzioni del testo e le
connessioni tra di esse. Ciò avviene essenzialmente in due modi: attraverso l’uso di indici
prosodici, di cui abbiamo già detto al paragrafo 2.2, e attraverso l’uso di segnali discorsivi.
I segnali discorsivi sono di vari tipi e possono avere una funzione pragmatica e/o testuale
(Voghera 1993; Bazzanella 1995). Nel primo caso il loro uso è legato alla necessità di tenere
sotto controllo lo svolgersi del discorso in rapporto all'interlocutore e alla situazione enunciativa.
Si tratta di un'esigenza di tutti i testi parlati sia dialogici sia monologici, che non sembra aver un
preciso corrispettivo negli usi scritti, anche informali. Alla stessa funzione possono essere
ricondotti gli usi dei segnali discorsivi come riempitivi di pausa che consentono al parlante di
prendere tempo senza perdere il turno di parola: è bene ricordare che l'assenza di un supporto
esterno per seguire l’andamento del discorso condiziona non solo l’elaborazione dei testi parlati,
ma anche la loro progettazione. Un caso di uso pragmatico dei segnali discorsivi si ha
nell'esempio seguente:
(5)
A: cioè non vorrei scartare questa possibilità a priori insomma cioè magari io lo faccio
volentieri
Accanto a questi usi pragmatici, troviamo usi più propriamente testuali. Un testo parlato è
per definizione un testo aperto con frequenti cambi di progetto, interruzioni, esitazioni e
ripensamenti. In poche parole chi parla raramente produce un testo coerente dall’inizio alla fine,
molto più spesso il parlante deve rimotivare e dare coerenza a ciò che ha detto, per dir così, in
corso d’opera. I segnali discorsivi possono svolgere questo compito. Si potrebbe forse dire che in
alcuni casi essi assolvano alla stessa funzione che ha la punteggiatura nello scritto: ritagliare
porzioni testuali e tematiche riconoscibili da parte del destinatario, senza per questo creare delle
rotture discorsive. Un esempio può il testo (6):
(6)
volevo chiedere eh qualche chiarimento sul sul concetto di
8
multiculturalismo cioè dalle sue parole mi è sembrato di capire che eh diciamo
l'esperienza del multiculturalismo multiculturalismo in Olanda non sia stata molto
positivi e così mi è sembrato di capire che eh in sostanza eh questo approccio molto
sofisticato ai problemi del confronto etnico e in realtà eh non abbia fatto altro che
accentuare questi problemi secondo appunto il suo punto di vista ecco io volevo eh
qualche delucidazione (...) cioè tutto sommato da quello che conosco io il
multiculturalismo mi sembra che non sia poi un approccio tanto più negativo dei di
quella rispetto a quelli che lo hanno preceduto (....).
2. 6. Massimo uso della deissi.
Qualsiasi testo parlato fa appello alla situazione comunicativa più di un qualsiasi testo scritto.
Ciò avviene per varie ragioni, la più ovvia delle quali è il fatto che la condivisione della
situazione rende più funzionale rifersi al contesto piuttosto che verbalizzare esplicitamente il
riferimento agli elementi della situazione 7 . L'organizzazione temporale dei segni premia, a parità
di condizioni, la brevità.
Gli elementi che per definizione rinviano al contesto sono i deittici (Vanelli 1995):
pronomi personali, possessivi, marche flessive di prima e seconda persona; dimostrativi,
indicazioni temporali...
I testi spontanei dialogici presentano un uso frequente e in qualche misura 'obbligatorio' di
elementi deittici (Givon 1995). Se provassimo infatti a sostituire gli elementi deittici, per esempio
in una conversazione, avremmo un effetto quasi inaccettabile per il parlato. Si legga a questo
proposito la conversazione seguente che avviene allo sportello di un ufficio tra impiegato e
utente:
(7)
1A: chiedo scusa
1B:
prego
2A: ma sotto c'era così tanta gente per riaprire per per cancellazione di iscrizione mi
han detto che bisogna fare certe cose
2B:
sì
3A: ma la domanda va fatta su carta libera normale dichiaro di non avere # ah non ho non
ho messo (??) dunque marca da bollo quattromilalire ah questa qui sarebbe
9
3B:
sì però la domanda questa qua deve farla vistare di là all'ufficio prestiti sì però
4A: si però mio figlio non ha mai neanche un esame perché è un laureato alla Bocconi
credeva di riuscire a fare qui invece si è messo a lavorare allora ha
detto primo
passo sicome il lavoro offerto è a Mosca io non ho tanto tempo allora sono venuta io e
allora
4B: dichiaro (??)
5A: dichiaro e gli faccio compilare questo
5B: poi deve intanto si faccia firmare questo che è qua
6A: già che son qui mi faccio firmare questo e poi dopo quando è tutto
6B: consegna giù in segreteria
7A: non devo più tornare qui
7B: no
8A: grazie infinite
8B: niente
9A: però devo in corso Porta Romana dopo
9B: dopo
10A: grazie
10B: prego
Si possono ricondurre a fenomeni di tipo deittico o indessicale anche alcune forme di
ellissi (Berretta 1994) 8 . Parliamo in questo caso di enunciati in cui l'ellissi va ricondotta non
necessariamente al già detto, ma al già noto o presente ai partecipanti alla comunicazione. Sono
casi di ellissi deittica gli enunciati del testo (7) allora sono venuta io e allora alla fine del turno
4A e l'enunciato però devo in corso Porta Romana dopo del turno 9A e l'enunciato c'ha le le
bustine quelle de le cose degli animali lì del testo (8).
Alla stessa esigenza di indessicalità si possono ricondurre anche i casi di riduzione e troncamento.
Un caso emblematico è, per esempio, il troncamento nei numeri dei suffissi -cento e -mila , come si vede
dall'esempio seguente 9 :
(8)
1C: c'ha le le bustine quelle de le cose degli animali lì
1G: sì quante?
2C: tre me dia tre tre e tre e de quell'altre che è uscito insieme lì sempre a'
Sirenetta quanto fa?
2G: due due e cinquanta
10
E' evidente che la situazione comunicativa fornisce elementi più che sufficienti per
l'interpretazione di enunciati come quelli nel turno 2G del testo (8), e che benché il troncamento
produca di fatto numeri diversi non vi è alcuna possibile ambiguità 10 .
2.7 Minima specificazione segmentale del segnale.
Questa caratteristica è probabilmente meno nota delle altre menzionate, ma è certamente
pervasiva. Le analisi fonetiche di materiale spontaneo hanno messo chiaramente in luce l'estrema
variabilità delle realizzazioni foniche (Albano Leoni e Maturi 1992, 1998; Savy 1999). La
variabilità colpisce in primo luogo, a parità di altre condizioni, il grado di specificazione
segmentale del segnale: di fatto è possibile registrare gradi di accuratezza molto diversi nella
realizzazione fonica del materiale segmentale. Per avere un'idea della variabilità riporto qui di
seguito quattro diverse realizzazioni della sequenza quando è uscito, registrate nell'ambito di una
ricersa sul parlato letto (Cutugno e Voghera 1996):
(9)
a.
b.
c.
d.
quando è uscito
quandè uscito
quanduscito
quandoscito
['qwand' u ' ito]
['qwand' u ' ito]
['qwandu ' ito]
['qwando ' ito]
Come si può vedere anche una breve sequenza come quella riportata nell'esempio (9) può
presentare gradi diversi di specificazione. Il fenomeno si amplifica, naturalmente, se viene
valutato su sequenze più ampie, infatti
in normal informal speech when the speaker is concentrating on what he is saying, and not
on how he is saying it, he will tend to articulate in the most efficient manner-he will make
articulatory gesture that are sufficient to allow this units of his message to be identified but
he will reduce any articulatory gesture whose explicit movement is not necessary to the
comprehension of his message (Brown 1977: 57, c.vo mio).
La minima o scarsa specificazione segmentale può dar luogo a fenomeni diversi (Brown 1977):
a) sandhi derivante da coarticolazione; b) elisione di foni o di sillabe; c) mutamenti di timbro
delle vocali; d) indebolimento (weakening) delle articolazioni consonantiche. E' bene sottolineare
11
che non si tratta di fatti sporadici e confinati a tipi di parlato particolarmente trascurato e
diafasicamente basso né a particolari varietà diatopiche. La maggior parte del parlato presenta i
fenomeni descritti in proporzioni tali da poterli definire la norma nel parlato colloquiale. Ciò è
stato ampiamente mostrato anche per l'italiano da vari lavori di Albano Leoni e collaboratori
(Albano Leoni e Maturi 1992). In particolare è utile segnalare che questi fenomeni di bassa
specificazione del segnale possono colpire anche segmenti significativi dal punto di vista
morfologico: Savy (1999a; 1999b), utilizzando testi del corpus LIP di Napoli, Milano e Firenze,
ha trovato che nel parlato colloquiale sono bassamente specificati o addirittura cancellati il 45%
circa dei suffissi morfologici all'interno del sintagma nominale, il 50% circa dei suffissi flessivi
delle forme finite del verbo e quasi il 100% di quelli dei participi passati dei tempi composti e
degli infiniti. Riporto qui di seguito alcuni esempi tratti da Savy (1999a; 1999b):
( 10)
dalle pellicole (corpus di Milano)
il francese
(corpus di Napoli)
[d a l e p e l 'i k
[ ffra n
dell'ultima serie (corpus di Firenze)
[d e l l 'u l t i m
]
]
]
2. 9. Massimo uso di lessico e strutture polisemiche.
Indeterminacy is taken to be an all-pervasive feature of human language. When
speakers make those existentially pertinent sense selections on which all spoken
communication depends, they rely upon the hearer's predisposition to orientate to
the particular meaning opposition that is intended: that is, the one which makes
sense in present circumstances. (Brazil 1995: 225)
La grammatica del parlato è caratterizzata da una forte preferenza per strutture polisemiche. Se ci
sono due strutture concorrenti in un contesto dato una delle quali può occorrere solo in quel
contesto e l'altra che può occorrere in più contesti, il parlato userà, in linea di massima, quella
che ha una distribuzione più ampia. Questo dipende dal fatto che si deve parlare e progettare
contemporaneamente e che non si ha sempre tempo sufficiente per "cercare" le parole o le
strutture più elaborate: si fa quindi largo uso di parole e costruzioni polifunzionali e pluriseme.
La preferenza per strutture dall'ampia distribuzione si manifesta a tutti i livelli. A livello
lessicale si preferiscono i sinomini di maggiore copertura semantica: macchina al posto di
12
automobile, andare al posto di recarsi (Vedovelli 1993). Lo stesso principio vale anche per il
vocabolario grammaticale: si preferisce infatti usare ma invece di tuttavia o senonché, cioè
invece di ossia, anche se al posto di quantunque, benché o sebbene, e così via (Voghera 1993).
Generalmente tutti i testi parlati prediligono l'uso di connettivi caratterizzati dalla possibilità di
svolgere funzioni diverse. Se guardiamo in particolare alle subordinate, si scopre che i tipi di
subordinate esplicite più frequenti hanno in comune due proprietà: capacità di modificare
costituenti di frase morfologicamente e funzionalmente diversi e ampiezza (o vaghezza) dei
valori semantici. Queste due proprietà sono rappresentate in modo esemplare sia dai pronomi
relativi sia dalla congiunzione che, i quali occupano i primi posti in ordine di frequenza tra i
subordinatori dei testi parlati (Voghera 1992a). Le proposizioni relative hanno infatti la
possibilità di "relativizzare" qualsiasi costituente di frase rappresentato da un elemento nominale
- soggetto, oggetto, sintagmi preposizionali- e permettono l'uso di indicativo, congiuntivo,
condizionale e infinito 11 . A queste due caratteristiche si aggiunge la possibilità della
proposizione relativa di spezzare un'altra proposizione, di inserirsi cioè tra i costituenti di una
proposizione. La congiunzione che mostra una flessibilità sintattica ancora maggiore del
pronome relativo; essa infatti può modificare non solo un sintagma nominale, ma anche un
sintagma verbale, un avverbio, un'intera proposizione e perfino un'interiezione. A ciò corrisponde
un valore lessicale azzerato che permette a questo subordinatore di coprire un ampio spettro di
significati. A queste proprietà si deve il fatto che Lehmann (1988) definisca questo subordinatore
il subordinatore universale non marcato (universal unmarked subordinator ).
Infine anche nella scelta dei tempi verbali si tende ad usare quanto è più possibile
tempi e modi polivalenti: si pensi che nei primi dieci verbi del LIP in ordine di frequenza
l'indicativo copre il 59% delle occorrenze, il congiuntivo il 2% e il condizionale lo 0,7%.
2. 10. Minima densità lessicale.
L'uso di strutture non marcate o polifunzionali e di deittici fa sì che l'informazione sia spesso
diluita o veicolata attraverso l'intonazione e i segnali non verbali. Ciò determina la bassa densità
lessicale del parlato. Con densità lessicale Halliday (1989) indica il rapporto tra unità lessicali o
parole piene e parole grammaticali o parole vuote. La densità lessicale viene misurata calcolando
la percentuale di parole piene sul totale delle parole di ciascuna clausola; la densità lessicale di
un testo è data quindi dalla media dei valori di densità registrati per ogni singola clausola.
Secondo i calcoli di Halliday la densità lessicale dell'inglese scritto è il doppio di quella
13
dell'inglese parlato: ciò vuol dire che lo scritto ha una percentuale di parole piene di due volte
superiore a quella del parlato. Non esistono studi dettagliati sull'italiano a proposito, ma vari
sondaggi sembrano confermare la stessa tendenza registrata per l'inglese (Voghera in corso di
stampa b). Del resto un'idea della scarsa densità lessicale si può avere analizzando da questo
punto di vista i testi 7 e 8 riportati nel paragrafo 2. 6.
2. 11. Sintassi concatenativa e non gerarchizzata.
La concatenzazione proposizionale è la forma sintattica più congeniale alla struttura informativa
del parlato per vari motivi. La pianificazione in fieri del parlato favorisce una progressione
sintattica additiva più che la creazione di rapporti gerarchici tra clausole. In tal modo la
sequenza delle clausole tende a riprodurre la sequenza degli eventi, tende cioè a presentarsi come
maggiormente iconica rispetto alla realtà riferita (Voghera 1992a; in corso di stampa b). Questo
permette di procedere, per dir così, con ordine consentendo una programmazione e produzione
parallele. Ciò facilita anche i processi elaborativi e consente un minor carico di memoria per il
destinatario (Givón 1995). Al contrario una sintassi fortemente gerarchizzata richiede una
prepianificazione maggiore e la necessità da parte sia del produttore sia del ricevente di tenere
sotto controllo ampie porzioni di testo.
Alla sintassi di tipo concatenativo si deve il minor numero di subordinate del parlato, ma
soprattutto un tipo di subordinazione che conserva, quanto più è possibile, la corrispondenza tra
progressione dell'informazione e successione delle clausole. E' ormai chiaro anche da studi
tipologici che non tutta la subordinazione è uguale (Haiman e Thompson 1988); ciò che
costituisce un elemento fortemente caratterizzante del parlato non è tanto la scarsa
subordinazione, ma un'altra serie di parametri quali l'ordine relativo di principale e subordinata; il
grado di dipendenza della subordinata dalla principale; il rapporto tra concatenazione degli eventi
e sequenza delle clausole; il grado di specializzazione semantica del connettore; la frequenza
d'occorrenza della struttura.
3. COSTANTI DEL PARLATO E TEORIA DELL'ESECUZIONE
Ciascuna delle caratteristiche indicate nei paragrafi precedenti potrebbe essere ulteriormente
specificata e può avere manifestazioni diverse in lingue diverse. Ciò che è importante sottolineare
14
è che il parlato, pur differenziandosi sistematicamente dallo scritto, presenta delle caratteristiche
non attribuibili ad un'altra grammatica, almeno nel senso in cui l'italiano e il francese hanno due
grammatiche diverse. Non è nel materiale lessicale né nelle strutture sintattiche che si trovano le
peculiarità dei testi parlati: se usassimo solo lessico ad altissima frequenza e molti pronomi
personali, togliessimo tutti i congiuntivi e eliminassimo la maggior parte delle subordinate, non
avremmo ancora un testo parlato. I testi parlati si presentano invece globalmente caratterizzati 1)
da piccole porzioni di testo la cui connessione è garantita 2) essenzialmente dal loro susseguirsi,
3) dalle strutture soprasegmentali, e 4) da un complesso gioco di rimandi deittici, 5) rafforzati da
una forte ridondanza tematica che si manifesta con 6) continue ripetizioni di schemi sintattici e di
unità lessicali.
Benché le costanti del parlato non possano definirsi di natura grammaticale in senso
stretto, esse sono in qualche misura obbligatorie: quando si parla spontaneamente 'non si può
fare a meno' infatti di imprimere queste caratteristiche ai nostri enunciati. Naturalmente un
oratore competente e addestrato può governare questi fattori in modo sofisticato e altamente
codificato, ma questo non ha molto a che fare con il parlato spontaneo quotidiano al quale mi sto
riferendo.
Questo carattere compulsivo delle costanti del parlato fa sì che la modalità di trasmissione
non possa essere trattata come un altro qualsiasi elemento di variazione del contesto. Si è infatti
da più parti notata (tra gli altri Berruto 1993) la problematicità della nozione di diamesia e la
difficoltà di considerare la distinzione tra parlato e scritto come una dimensione di variazione
della lingua accanto alle più tradizionali variazioni diastratiche, diafasiche e diatopiche. Ciò non
solo perché la distinzione tra parlato e scritto può tagliare trasversalmente, almeno in teoria,
qualsiasi altra varietà, ma perché l'uso di un sistema di trasmissione piuttosto che un altro
comporta scelte preliminari alla produzione del singolo testo specifico (Voghera 1992a; Berruto
1993). Pare chiaro infatti che le costanti del parlato dipendano grandemente, se non
esclusivamente, dal processo di progettazione/produzione e ricezione/elaborazione, e che questo
è il livello a cui dobbiamo guardare per capire il parlato e per valutare correttamente le sue
proprietà.
Sebbene tanto il parlare quanto l'ascoltare siano processi continui e in linea, i prodotti di
questi processi si presentano come fortemente e intrinsecamente discontinui: si pensi ad una
conversazione. Mi pare che sia possibile individuare due diversi livelli di discontinuità: una
discontinuità semiotica e una discontinuità verbale. La prima deriva essenzialmente dalla forma
dialogo. Se accettiamo che il dialogo sia la proprietà più caratterizzante del parlare, ancor prima
che del parlato, allora risulta chiaro che la gittata, per dir così, progettuale del processo verbale è
15
delimitata dall'avvicendarsi dei turni di dialogo. Ho definito semiotico questo livello di
discontinuità perché esso condiziona profondamente la costruzione del senso di un testo parlato.
Tanto lo sviluppo tematico quanto il senso complessivo di un dialogo sono per definizione il
prodotto congiunto di tutti i partecipanti all'atto comunicativo e per ciò stesso manifestano
un'indeterminatezza strutturale.
Il secondo livello di discontinuità è quello più propriamente verbale, che si manifesta cioè
nelle caratteristiche delle strutture linguistiche. La discontinuità verbale è il frutto più diretto del
fatto che l'alternarsi dei turni si concilia prevalentemente con con piccole porzioni di testo e con
enunciati brevi che possano essere facilmente gestiti in un processo continuo senza supporto di
memoria esterna (Dickinson e Givón 1997). E' a questo tipo di discontinuità che dobbiamo le
strutture considerate tipiche del parlato.
Il parlato si presenta dunque come prodotto fortemente e intrinsecamente discontinuo.
L'apparente linearità dei processi di progettazione/produzione e ricezione/elaborazione si
manifesta dal punto di vista testuale in modo discontinuo, non composizionale, fortemente
amorfo. Un testo parlato è cioè il risultato di un processo di formazione di coerenza, cui
partecipano tanto il produttore quanto il ricevente, che avviene per approsimazioni successive. La
coerenza non è infatti una proprietà intrinseca del testo, ma piuttosto il frutto di una
negoziazione cui partecipano tutti gli attori della comunicazione (Anderson 1995).
Sebbene possa apparire semplicistico attribuire ad un'unica proprietà un insieme vario e
diversificato di caratteristiche, vorrei qui sostenere l'ipotesi che le costanti del parlato discendano
da questo paradosso della continuità che produce discontinuità. E' bene sottolineare che il
paradosso è solo apparente poiché è proprio la continuità del processo verbale fonico-uditivo che
necessariamente conduce ad un prodotto discontinuo.
Le caratteristiche del parlato anziché essere il frutto di fattori estemporanei sembrano
dunque mettere in luce alcuni punti interessanti del contatto, se così si può dire, tra il sistema
lingua e le condizioni imposte dall'esterno, ciò che nel modello generativo si chiamano bare
output conditions. Si badi che qui con esterno non si indica il contesto materiale in cui avviene la
comunicazione, ma si indica l'insieme dei processi neuropsicologici e percettivi esterni al sistema
lingua, cioè non prettamente ed esclusivamente linguistici, che dettano, se così si può dire, delle
condizioni. Si legga a questo proposito il passo seguente:
Another source of possible specificity of language lies in the conditions imposed
"from the outside" at the interface, what we may call bare output conditions.
These conditions are imposed by the systems that make use of the information
16
provided by CHL (Computational system for human language), but we have no
idea in advance how specific to language their properties might be - quite
specific, so current understanding suggests. There is one very obvious example,
which has many effects: the information provided by L has to accomodated to the
human sensory and motor apparatus. Hence, UG must provide for a phonological
component, at least for the purposes of communication (...).These requirements
might turn to be critical factors in determining the inner nature of CHL in some
deep sense, or they might turn out to be "extraneous" to it, inducing departures
from "perfection" that are satisfied in an optimal way. (Chomsky 1995: 21, c.vo
mio)
Come si vede, anche in un modello formale e programmaticamente amodale, come quello della
grammatica generativa si prende in considerazione il fatto che le condizioni che derivano dalla
sostanza e dal processo di trasmissione e ricezione possano condizionare profondamente la
facoltà del linguaggio e quindi le lingue e le loro grammatiche. Le due questioni centrali sono
dunque: quali sono le condizioni di uscita, e quanto profondamente condizionano il sistema
lingua. Si tratta di grandi questioni a cui non tenterò neppure di rispondere in questa sede. Vorrei
tuttavia segnalare alcuni punti ineludibili connessi ad esse.
Le costanti del parlato nel loro insieme coinvolgono molti livelli oltre quello fonologico,
al punto che si dovrebbero postulare più interfacce tra il sistema lingua e le condizioni di uscita.
Non credo però che per spiegare queste caratteristiche basti aggiungere livelli di connessione o
prevedere componenti integrativi, come forse si era tentati di fare qualche anno fa moltiplicando i
tipi di competenza: testuale, pragmatica... Quel che serve a chi si occupa di parlato, e perciò
stesso del sistema di modellizzazione primario della lingua, è un sistema integrato delle
condizioni poste dai 'sistemi di uscita' o, altrimenti detto, una teoria dell'esecuzione, una
performance grammar. E' questo un compito arduo e serio finora scarsamente intrapreso dai
linguisti, almeno per tre motivi.
In primo luogo, una teoria dell'esecuzione deve fare i conti con oggetti e nozioni
sostanzialmente estranee alla tradizione teorica della linguistica del novecento. Si è certamente
fatta molta strada per cercare di superarare i limiti imposti all'oggetto della linguistica dalla
vulgata saussuriana: "la linguistica ha per unico e vero oggetto la lingua considerata in se stessa e
per se stessa" (CLG: 317). 12 Siamo tuttavia lontani dall'avere approcci alla conoscenza dei fatti
linguistici che integrino ciò che sappiamo sulla facoltà del linguaggio con ciò che sappiamo dei
processi esecutivi.
17
In secondo luogo, anche quando si è riconosciuta l'importanza di occuparsi di esecuzione,
si è ritenuto che ciò riguardasse la linguistica applicata o la sociolinguistica più che la linguistica
teorica. Si è creata cioè una frattura tra ciò che Berruto (1995: n.43) chiama "'oggetti linguistici
di primo tipo', (classi di) strutture astratte generate dalla grammatica, opposti a 'oggetti linguistici
di secondo tipo', (classi di) realizzazioni effettive delle strutture (...)".
In terzo luogo, vi sono difficoltà teoriche e metodologiche connesse alla discretizzazione
degli "oggetti linguistici di secondo tipo" poiché sono apparentemente più intricatamente legati
alla realtà extralinguistica. E' questo, evidentemente, un problema fortemente connesso ai
precedenti: gli oggetti linguistici di secondo tipo appariranno tanto più inafferrabili quanto meno
si rifletterà su di essi. Finché le griglie di analisi dei fatti linguistici non contempleranno punti di
osservazione sistematici dei processi esecutivi, questi ultimi rimarranno inevitabilmente fuori da
qualsiasi categorizzazione 13 .
Mi pare in conclusione che la maggior parte delle difficoltà teoriche nasca dal fatto che la
linguistica non si è data solidi strumenti per analizzare i processi esecutivi che producono una
discontinuità strutturale del messaggio verbale. La linguistica è stata del resto prevalentemente
una linguistica del testo continuo, della prosa scritta 14 .
Se ciò è vero, ben si capisce la difficoltà di una grammatica dell'esecuzione che non può
affidare ad un componente fonologico l'ordine di problemi esposti. In primo luogo per l'ovvia
considerazione che non si tratta di proprietà fonologiche, in senso stretto. Si tratta di
caratteristiche connesse maggiormente alla fase di progettazione/elaborazione dei messaggi, più
che di produzione/ricezione. In secondo luogo, perché il componente fonologico è modellato,
nella realtà dei fatti, su una lingua che esibisce la massima esplicitezza fonica e sintattica. Basta
un'occhiata agli esempi dei manuali di fonologia italiani, e non, per rendersi conto del fatto che si
analizzano frasi isolate che corrispondono a strutture sintattiche canoniche (Selting e CouperKuhlen 1996). Questo riduce non solo l'adeguatezza descrittiva, ma anche l'adeguatezza
esplicativa, della teoria se il componente fonologico deve essere l'interfaccia tra il computational
system for human language e le condizioni di uscita.
In conclusione mi pare di poter dire che il compito degli studi sul parlato non è più solo
quello di far conoscere, per dir così, le peculiarità dei testi parlati, ma è soprattutto quello di
contribuire a delineare una grammatica dell'esecuzione che tenga in considerazione il complicato
intreccio tra la facoltà del linguaggio e la pluralità e multifattorialità delle condizioni di uscita. Se
ciò non avviene si perpetuerà la situazione odierna in cui il parlato è sì più noto e conosciuto di
prima, senza che abbia però acquisito lo statuto di dato su cui verificare la teoria. E' noto che
18
l'allargamento dei dati empirici non obbliga ad accettare le osservazioni che ne derivano e che
questo può avvenire solo con un cambio di prospettiva teorica.
1
La bibliografia dedicata ai corpora e alla linguistica del corpus è ormai amplissima. Tra i titoli più recenti
si possono consultare almeno McEnery e Wilson (1996); Svartik (a cura di, 1991); Biber et al. (1998);
Gibbon et al. (1998).
2
AVIP: Archivio delle Varietà di Italiano Parlato, progetto MURST Cofin97, coordinatore P.M. Bertinetto,
dati e relazioni di progetto disponibili via anonymous ftp all'indirizzo ftp.cirass.unina.it.
3
API: Archivio dell'italiano parlato, progetto MURST Cofin 99, coordinatore F. Albano Leoni.
4
CLIPS: Corpora e lessici di italiano parlato e scritto, progetto MURST, coordinatore F. Albano Leoni; si
vedano Albano Leoni et al. 1998 e Albano Leoni in corso di stampa.
5
Cito qui solo due esempi recenti: Biber 1995 compara inglese, coreano, somalo e nukulaelae tuvaluan
(atollo del pacifico centrale); Miller e Weinert 1998 che comparano inglese, russo, tedesco.
6
Tutte le trascrizioni di testi riportate nei paragrafi seguenti sono tratte dal corpus LIP, salvo diversa
specificazione. La trascrizione cerca di riprodurre iconicamente l'avvicendamento dei turni iniziando a
trascrivere i turni in corrispondenza con la parola a cui eventualmente si sovrappongono. Ho invece
eliminato alcune convenzioni usate dal LIP (per esempio l'allungamento di vocale in finale di parola), che
nel nostro caso potevano appesantire la lettura del testo senza aggiungere informazione.
7
Non è cosa ovvia o banale la definizione degli elementi che debbono essere inclusi nella situazione
comunicativa. Berruto (1995: 85-95) discute ampiamente la questione ricordando che si arrivati a
includere nella situazione comunicativa, come tratti definitori, fino a cinquanta elementi.
8
Ringrazio Monica Berretta per i suoi commenti su questo punto.
9
Allo stesso fenomeno appartiene il troncamento di penny o pence in inglese britannico: 45 p sta infatti
per 45 pence.
10
Vi sono altri contesti in cui si ha il troncamento dei suffissi -cento e -mila: per esempio quando si indica
la cilindrata di una macchina o di una moto, o quando si indica l'altezza di una montagna. In tutti questi
casi il contesto è sempre sufficiente a disambiguare la sequenza.
11
Ciò non vuol dire naturalmente che non vi sia alcuna restrizione all'uso dei diversi pronomi e dei diversi
modi verbali; per una trattazione delle regole associate all'uso di proposizioni relative si veda Cinque
(1988).
12
Le pagine del Cours del liguistique générale sono quelle del manoscritto originale, riportate in De Mauro
(1978). A proposito della frase citata , si legga De Mauro (1978: n.305): "Come ha rivelato dapprima
R.Godel (...) l'ultimo cpv del CLG è "conclusion des éditeurs": altrimenti detto, non risulta dagli appunti ms
che S. abbia pronunziato questa celebre frase e tanto meno risulta ovviamente, che in essa egli
scorgesse "l'idea fondamentale" del suo insegnamento. (...) buona parte della linguistica di ispirazione
strutturalista ha creduto che rispettare S. significasse ignorare gli squilibri del sistema, la dinamica
sincronica, i condizionamenti sociali, i fenomeni evolutivi, il nesso tra questi e le varie contingenze
storiche, tutto il fluttuare di fenomeni linguistici di cui e p er c u i la lingua è forma".
19
13
Problemi analoghi di discretizzazione e idealizzazione del dato si hanno nello studio del ruolo delle
diverse variabili extralinguistiche nel delimitare i confini delle varietà linguistiche. Non è raro che si scambi
per tipico di una detrminata varietà ciò che in realtà è attribuibile a caratteristiche linguistiche e semiotiche
più generali (Voghera 1992).
14
E' ovvio che la continuità di un testo scritto è l'artefatto di una pratica scrittoria e culturale consolidata e
non l'inevitabile risultato della scrittura. Si pensi solo al laborioso e entusiasmante studio delle varianti.
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