Nella misura breve dell`istante haiku

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Nella misura breve dell`istante haiku
Poesia in Progress
Kore Multimedia
Arshile Edizioni
Giovedì 22 novembre 2007
Nella misura breve dell’istante haiku
“Nella misura breve dell’istante haiku” . Incontro presso il Circolo dei Lettori del 22.11.2007
1
RIFLESSIONI SUL HAIKU
di Grazia Valente
Un’esperienza personale.
Nel pormi le domande: che cosa so io del haiku? Perché
sono stata attratta da questo genere di poesia? Quali
difficoltà ho incontrato nel comporla? ho dovuto, come
succede nei film o nei romanzi, fare un passo indietro e
riandare con la memoria alla scoperta iniziale di questo
modo di comporre versi.
L’esistenza del haiku (1 1 ) mi è stata rivelata dall’antologia
Cento haiku (edita da Longanesi), le cui pagine sono
ormai color paglierino. Leggevo e rileggevo le brevi
composizioni, corredate di commento esplicativo, con la
bella prefazione di Irene Iarocci, che ne ha curato anche la
traduzione. Dubito di aver ben compreso a quel tempo
(l’edizione di cui parlo è del 1982) che cosa fosse
veramente il haiku. Solo molti anni dopo, nel venire a
contatto con l’Associazione Amici del haiku di Roma e
dopo aver preso conoscenza dell’esistenza di un concorso
internazionale dedicato al haiku, ho provato a comporne.
Va detto che, all’incirca dal 1987, scrivevo regolarmente
poesie, caratterizzate dalla brevità. E certamente una delle
ragioni dell’attrazione verso il haiku è stata il suo
minimalismo, quel suo esserci quasi schermendosi, senza
enfasi e senza retorica. Era un po’ lo spirito che animava
anche i miei versi, che a volte lasciavano spazi di
sospensione che disorientavano il lettore, i quali spesso mi
rivolgevano la domanda: - ma è finita così? (la poesia).
Questo senso di sospensione lo ritrovavo anche nel haiku.
Ciò che invece mi ha reso subito difficoltoso lo scriverne è
stata la concretezza che lo caratterizza La mia poesia infatti
era sì breve, ma poco concreta, affidata spesso a
simbologie e venata di filosofia. Un’altra difficoltà era
costituita dalla pressoché totale scomparsa dell’Ego nel
haiku giapponese (caratteristica questa che appartiene alla
stessa lingua giapponese), mentre nei miei versi la
soggettività era spesso una componente essenziale.
Un elemento in comune era costituito invece dall’essere il
haiku prettamente autobiografico.
Scrive Carla Vasio, nella prefazione all’antologia Se fossi il
re di un’isola deserta, Ediz. Empirìa, a proposito
dell’importanza del kigo (il riferimento alla stagione), :
“ …la scelta deve tener conto di molti elementi
apparentemente secondari, oltre che dello stato d’animo
del poeta, anche della sua età, del suo grado, del carattere,
dell’umore, del tempo, del luogo e così via … Un haiku
non è mai una divagazione lirica separata dalla realtà del
momento esistenziale in cui si trova lo haijin (il poeta di
haiku) quando lo scrive: se si leggessero in successione
cronologica tutte le poesie di un autore, si scoprirebbe non
solo il suo sviluppo spirituale e il suo curriculum
letterario, ma anche la sua biografia registrata
minuziosamente
nei
momenti
più
significativi,
particolareggiata e insieme fatale per quanto contiene di
occasione e di destino congiunti …”.
Nel haiku si pratica il “qui e ora”, il famoso “afferra
l’attimo” vi trova la sua piena realizzazione. Nei miei versi
invece l’elemento autobiografico era posteriore all’evento
che li aveva suscitati, apparteneva al mondo della
memoria, veniva storicizzato per essere raccontato di
nuovo, quasi rivissuto, anche se con i tratti autocritici e di
riflessione derivanti dal tempo trascorso . Quindi,
autobiografia sì, ma diametralmente opposta al sentimento
del haiku, rivolto al presente e solo a questo.
Tutto il mio modo di comporre andava quindi ridisegnato.
Soprattutto andava affinato lo sguardo verso la
concretezza della vita quotidiana, per riuscire a focalizzare
gli eventi minimi di cui sono costellate la nostre giornate,
scoprendone l’unicità e il contenuto emotivo di cui quasi
mai ci rendiamo conto.
Un altro elemento essenziale alla composizione di haiku è
costituito dalla presenza pressoché costante della natura e
dei suoi mutamenti stagionali, suggeriti dalla presenza del
kigo (e dirò più avanti dell’importanza, a mio giudizio, di
tale elemento nella composizione del haiku). Mi rendevo
conto di quanto poco la conoscessi
e di quanta
superficialità era intrisa la mia presunta capacità di
osservazione. Era necessario che imparassi a “vedere” le
cose che mi circondavano, e poi a rappresentarle in quella
forma breve. Ciò che potevo salvare, del vecchio modo di
fare poesia, era quella zona di mistero, quel “non detto”
che era anche il fascino del haiku. Ciò che dovevo invece
dimenticare era l’uso della metafora, l’esasperato
soggettivismo,
oltre,
ovviamente,
alla
struttura
compositiva. Per quanto riguarda la scansione sillabica di
5-7-5 sillabe, non ho avvertito particolari difficoltà. Dopo
un breve periodo di “allenamento”, era come imparare un
nuovo passo di danza. Abbastanza presto mi è diventato
naturale già “pensare” il haiku in quella forma metrica.
“Chiunque può comporre haiku, purché sia dotato di
sensibilità e conosca l’uso della scrittura” , dice sornione
il Maestro giapponese di haiku Tadao Araki. A volte
avvertivo di essere dotata della fine sensibilità di un
lampione.
Il cammino è stato lungo e faticoso. A volte scrivo versi di
5-7-5 sillabe che non sono veri haiku (questo almeno sono
riuscita a capirlo!). Dicono i Maestri che se, nell’arco di
una vita, riesci a comporre 5 buoni haiku, sei un haijin. Se
riesci a comporne 10, sei un Maestro.
E veniamo all’importanza del kigo. Ma, innanzitutto, che
cos’è esattamente?
La definizione più comune lo identifica come la parolachiave che indica la stagione. La stagione aveva e ha
tuttora la funzione di stabilire nel verso un legame preciso
con la realtà quotidiana, con la vita del singolo o della
1
Secondo l’Istituto Italiano di Cultura Giapponese (Roma) non si
collettività, con la natura. Il kigo è quindi la paroladovrebbe scrivere, come saremmo portati a fare, “l’haiku”, bensì “il
simbolo riguardante la flora, la fauna, avvenimenti
haiku”, in quanto la lettera h è una consonante a tutti gli effetti, anche se
la pronuncia è aspirata, e ne segue quindi le regole grammaticali. Il modo
religiosi o popolari giapponesi, cibi, che sta appunto a
corretto di scrivere è quindi “del haiku”, “il haiku”, ecc. , che
indicare una precisa stagione.
foneticamente risulta per noi abbastanza fastidioso e a volte fa venir
Quando
un haijin si accinge a comporre un haiku deve
voglia di trasgredire.
scegliere tra i 25.000 (sì, avete letto bene!) kigo codificati
“Nella misura breve dell’istante haiku” . Incontro presso il Circolo dei Lettori del 22.11.2007
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quello che meglio esprime l’essenza dell’immagine che
egli vuole rappresentare.
L’errore più comune, per noi occidentali che non
conosciamo il repertorio dei kigo (anche se alcuni di essi
sono stati tradotti, ma soltanto in minima parte) è quindi
quello di introdurre, in uno stesso haiku, kigo che
rappresentano stagioni diverse.
Ad esempio, ecco due haiku tratti da “Haiku in Italia”
(Ediz. Empirìa), commentati da Tadao Araki:
Sera d’estate
quando la trota salta
vede la luna
G. Vit
“Estate. La luna splende sul torrente dove una trota salta
sull’acqua. E’ un’immagine che suggerisce freschezza e
bellezza come una pittura giapponese, e dà una sensazione
piacevole. Tuttavia, nell’haiku giapponese “trota” è un kigo
della primavera, “luna” dell’autunno, perciò in questo
haiku si confondono le tre stagioni primavera, estate,
autunno. Converrebbe quindi toglierne una”.
Nuvola a nuvola
cuce e scuce la luna
marzo riluce
C. Serricchio
“Contenendo di proposito la parola “marzo”, non può che
essere un haiku primaverile, ma il soggetto è la luna, kigo
che nella tradizione giapponese indica l’autunno: esiste il
kigo “luna primaverile”, il cui uso però rende inutile quello
di “marzo”. Se si legge questo haiku seguendo la tradizione
giapponese, si ha davvero la spiacevole sensazione di
confusione tra primavera e autunno. Questo è un fenomeno
imputabile alla mancanza di kigo codificati nell’haiku
italiano …”.
Forse, viste le difficoltà, a noi occidentali converrebbe
tralasciare l’uso del kigo, consapevoli però del rischio,
molto probabile, di introdurre nel nostro haiku parole che
per noi sono neutre, ma che in realtà sono dai giapponesi
usate come kigo. Infatti, per eliminare il kigo, bisogna
conoscere il repertorio dei 25.000 kigo! Si direbbe una
strada senza uscite.
E’ noto che nelle avanguardie poetiche giapponesi spesso il
kigo viene eliminato, così come non viene rispettata la
classica scansione sillabica di 5-7-5 e viene altresì
introdotto “l’uso di parole “nuove”, prima non ammesse
nella composizione di un testo poetico”, come scrive
Carla Vasio nella prefazione a “Haiku antichi e moderni” –
Ediz. Valiardi.
Scrive ancora Carla Vasio: “Il kigo è importante, perché
senza di esso viene meno la possibilità di individuare nella
composizione un preciso punto del tempo sottratto a quel
continuo oscillare fra passato e futuro in cui il mondo si
dissolve, sentimento della fuga del tempo che è sempre
malinconicamente insito nella sensibilità giapponese. Da
parte sua il lettore è ricondotto dal kigo al momento in cui
si è condensata la sensazione descritta, affinché possa
richiamarla e riviverla”.
Conclude Carla Vasio: “La brevità delle 17 sillabe a
disposizione del poeta di haiku costringe a uno sforzo di
sintesi e a una precisione di linguaggio che è esercizio di
alta scuola, ma non riservato a pochi eletti. Infatti lo haiku
richiede una sensibilità particolare nella scelta
dell’immagine, nell’uso delle parole, nella composizione
dei versi, che non sempre il tecnicismo dei professionisti
favorisce…”.
E a proposito di ques’ultimo aspetto, sottolineato dalla
Vasio, il rischio, a mio giudizio, è quello di comporre
haiku artificiosi, avvalendosi di un “repertorio” collaudato,
preoccupati soltanto della sonorità, appagati dal risultato
esteticamente apprezzabile.
Una caratteristica del haiku è invece quella della
semplicità, della naturalezza. Semplicità che spesso
sembra portare con sé la domanda: - Tutto qui?, e viene
quindi trattata con sufficienza, ignorando che la semplicità
nella struttura del haiku riproduce le componenti tipiche
della mentalità nipponica, e dimenticando che dietro
l’apparente semplicità l’atmosfera che lo pervade è
caratterizzata da intime profondità, inaccessibili a una
lettura distratta. Bisognerebbe quindi rispondere a quella
domanda: - è tutto qui? con: - qui è tutto!
Viene in mente la favola di Andersen “L’usignolo
dell’Imperatore”, con i due usignoli, quello naturale e
quello meccanico, che gareggiano tra loro: “ … l’usignolo
vero cantava come gli dettava il cuore, quello meccanico
ripeteva le stesse note senza mai cambiare …. le canzoni
dell’uccellino dei boschi nascevano dai sentimenti, quelle
dell’altro da una molla …”
Sulla base di queste mie brevi e molto incomplete
riflessioni sul haiku, penso sia opportuno accostarci a
questo affascinante mondo poetico con umiltà,
muovendoci con circospezione e rispetto nei confronti di
quella lontana cultura; cercando, per quanto possibile, di
comprenderla e sperando, nell’accingerci a comporre
haiku, di fare – come si dice – il minor danno possibile.
Dal momento che questa non è, né voleva esserlo, una
“lezione sul haiku”, mi considero assolta per le omissioni,
le inesattezze e le approssimazioni che in essa siano
riscontrabili.
Ricordiamo, per concludere, queste parole di Tadao Araki,
tratte dalla prefazione all’antologia “Se fossi il re di
un’isola deserta” – Ediz. Empirìa:
“Praticare il haiku per un haijin non è solo comporre
poesie, secondo specifiche regole metriche e retoriche,
significa anche adeguarsi a un’etica di comportamento
che rispecchia un modo diverso di porsi nel mondo e un
diverso rapporto con la natura di cui ci si ferma un attimo
a contemplare la bellezza e l’instabilità. Inoltre, la brevità
di 17 sillabe a disposizione costringe a uno sforzo di
sintesi e a una precisione di linguaggio che è esercizio di
alta scuola, ma non è riservato a pochi eletti…Si può dire
che comporre haiku è alla portata di chiunque abbia
sensibilità e conosca l’uso della scrittura. In Giappone si
crede che chiunque, consapevole o no, è poeta di haiku,
dovunque si trovi e qualunque sia la sua lingua.”
In appendice vengono riportati alcuni kigo facenti parti di
quel ricco repertorio cui è stato accennato, tradotti
dall’inglese. Così, tanto per fare intravedere la complessità
e la ricchezza sottesa al genere poetico denominato haiku.
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Elenco di alcuni kigo (indicatori stagionali) tratti dal “Repertorio dei kigo”
Primavera (Haru)
Estate (Natsu)
mezzogiorno di primavera
fine di primavera
estate vicina
luna nebbiosa
notte velata di nebbia
vento chiaro
vento dell’est
neve rimasta
acque di primavera
montagne fiorite
festival delle bambole
arare
baco da seta
bassa marea
molluschi
gattini
usignolo
allodola
rondine
rane
farfalla
salice
camelia
fioritura ciliegi
ciliegi piangenti o cadenti
fiori dei ciliegi
caduta dei fiori dei ciliegi
fiori caduti
fioritura dei peri
tulipani
violetta
felci
mattino d’estate
notte d’estate
notte breve
fresco estivo
caldo
piogge di giugno
sole bruciante
brezza del mattino
colline verdi
sabbia bruciante
cambio di abiti
piantatura del riso
prugne verdi
nuvola di zanzare
cerbiatto
puledro
trota
tonno
mosca
zanzara
formiche
cicala
ragno
lumaca
bruco
peonia
iris
rosa
mimosa
crisantemo
erba verde
Autunno (Aki)
Inverno (Fuyu)
freddo del mattino
giorno d’autunno
autunno sereno
fine autunno
notte d’autunno
freddo notturno
luna
luna crescente
notte di luna
luna di sera
nebbia di fiume
rugiada
vento d’autunno
campi di fiori
festa di tutte le anime
visita alle tombe
taglio del riso
solitudine d’autunno
cervo
salmone
libellula d’acqua
locusta
grillo
scarafaggio di terra
crisantemi bianchi
crisantemi gialli
garofani
granoturco
mele
pere
castagne
noci
funghi
caduta delle foglie di salice
foglie cadute
uva
cachi
principio d’inverno
notte fredda
freddo
freddo intenso
anno che termina
fine dell’anno
vigilia di fine anno
luna gelida
nuvole d’inverno
prima pioggia invernale
acquerugiola invernale
gelo
gelo rappreso
prima neve
neve alta
grandine
ghiaccio
sorgere del sole a Capodanno
fuoco di legna
braciere
carbone
sandali da neve
vestiti di cotone imbottiti
orso
aquila
gabbiano
balena
lumaca di mare
crisantemi d’inverno
rape rosse
cipolle
canne appassite
narcisi
crisantemi appassiti
erba appassita
lanugine di erba appassita
pini
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9
HAIKAI
di Loris Maria Marchetti
I
Poco da dire:
la luce precoce si
smorza nei quadri.
Brividi dona
anche se impalliditi
l'ottovolante.
10
Senza colore
questo guscio d’autunno
dimenticato.
11
2
Rapidamente
cercherai di carpire
la vita vana.
3
Amica, addio:
esaurisce settembre
la libertà.
4
Senza capire
ritoccava le rose
a perdifiato.
5
Cielo di piombo
sopra luglio imputato
d’aspettazione.
Scommessa amara
navigare nel bosco
ad occhi chiusi.
12
Noi piangeremo
su panchine impregnate
di nostalgia.
13
Amate nubi,
di mosaici stremati
docili involucri.
14
Strenui ed invitti
sogni di primavera
densi di fiaba.
6
15
“Bimba precoce,
con l’anima si fotte
non con la fica”.
Sogni d’estate
rubano la dolcezza
senza ritegno.
“Stolto poeta,
stai diventando vecchio
e moralista”.
7
Se piange il pesco,
petali di farfalle
nell’universo.
8
16
Sogni d’autunno
tiepidi e ingannatori
senza rancore.
17
Sogni d’inverno
d’immacolate vette
tardivi fuochi.
Inverno pigro,
dormi senza rumore
volto ad oriente.
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5
12 Haiku metropolitani
Commento ai 12 haiku metropolitani, a cura dell’autore
di Alessandro Novellini
(con commento dell’autore)
1. Il passaggio dall’esterno all’interno del locale, pieno di luci e di
gente, un po’ confonde e dà la sensazione che tutti guardino noi.
Se portiamo gli occhiali, il passaggio dal freddo al caldo del bar li
appanna, e allora, con una vena ironica, poiché non si vuole
correre il rischio di perdersi qualche sguardo interessante, si dà una
pulitina alle lenti, con noncuranza. Haiku senza kigo.
2. I bus cittadini sono spesso impolverati, a causa
dell’inquinamento. La pioggia di primavera non è particolarmente
violenta, appena una spruzzata. Dall’interno dell’autobus, le
chiazze di pioggia miste allo smog sui vetri del finestrino
accentuano un senso di trasandatezza e di squallore urbano. Haiku
di primavera.
3. Un altro haiku primaverile. Casa di ringhiera (nella nostra città
ne esistono ancora molte). Il WC è sul ballatoio, in comune con
altri inquilini. Il vento di marzo è particolarmente freddo. Chi
occupa la toilette è in balìa degli spifferi. Il colpo di tosse, inoltre,
“avvisa” chi sta avvicinandosi che il WC è occupato. Haiku che
trasmette un senso di disagio per questa mancanza di privacy.
4. Il sole è tramontato, ma si vuole prolungare il piacere di remare,
anche se il fiume ormai è avvolto nel buio.
Non si vede il
rematore, si sente soltanto il tonfo dei remi. Questo haiku, senza
una stagione definita, ha in sé un alone di mistero.
5. Il ponte di ferro sulla Dora. L’uomo che dorme (un operaio nella
pausa di riposo, un vagabondo, uno straniero spaesato?) colpisce
per il luogo scelto per il riposo: le travate sghembe del ponte.
Evidentemente, si tratta di qualcuno abituato a stare in luoghi di
fortuna, purché gli consentano tranquillità e silenzio. Il solo
rumore qui è quello del fiume che scorre sotto di lui. Un haiku
senza stagione, che trasmette un senso di tristezza e di solitudine.
6. Un uomo si accorge, mentre sta lavorando al computer, di aver
saltato un rigo nel testo che sta scrivendo. Attribuisce la
distrazione alla sua età e alla vista che incomincia a tradirlo,
mentre si vede ancora intento al lavoro anche se – pensa – farebbe
meglio a lasciar perdere. Uno sguardo alla finestra e alla giornata
nebbiosa spinge il lettore all’accostamento tra la vista annebbiata
e la nebbia . “Nebbia” è kigo dell’autunno.
7. Una giornata d’autunno inoltrato avvisa che l’inverno non è
lontano, grazie al vento freddo che sembra portare con sé l’odore
della neve. Torino, del resto, è circondata dalle montagne, e la
sensazione non appare inverosimile.
8. Haiku intimista. Una finestra socchiusa e uno spicchio di luna
suggeriscono pensieri un po’ tristi, nel passaggio
tra
una
condizione di pienezza, come quella della giovinezza, a una di
rinuncia, sia pure ancora non definitiva, come quella che
preannuncia la vecchiaia.
9. La pioggia fredda dell’autunno spinge a tenere il cappotto ben
abbottonato. Il ricordo va a un’altra stagione della vita, quando
nulla sembrava toccarci e pioggia e vento erano soltanto dettagli
nella nostra giornata, occupata a vivere le gioie della giovinezza.
Probabilmente non indossavamo neppure il cappotto!
10. Atmosfera smorzata sui toni bianchi, che introducono
all’ambiente ospedaliero. Il malato è quasi inerte, in balìa della
propria malattia e delle cure. Il senso di gelo è accentuato dalla
caduta della neve, che spegne i suoni e isola la mente.
11. Haiku invernale. Mentre ci si accinge a salire in macchina, si
nota il sottile strato di ghiaccio che riveste il parabrezza. Scatta un
ricordo lontano, di quando si era ragazzi e ci si divertiva a
scarabocchiare su quella parete improvvisata. Il pensiero porta con
sé il ricordo della ragazza che occupava a quel tempo la nostra
mente.
12. Ultimo giorno dell’anno. Gli uffici sono deserti. Ma anche in
questa importante vigilia festiva, c’è qualcuno che non può fare a
meno di cercarci al telefono: qualcosa di urgente, o soltanto la
nevrosi di uno stakanovista?
La città: tra bar, autobus e interni di uffici. Sotto la pioggia
e la neve, mentre continua a scorrere il “fiume scuro”. Un
paesaggio urbano come fonte di ispirazione per questi 12
haiku, scritti tra il 2001 e il 2006.
1.
nel bar gremito
luccicare di sguardi –
netto le lenti
Vincitore Haiku Contest 1998
2.
marzo in città –
sul vetro sporco del bus
chiazze di pioggia
3.
vento di marzo –
dal WC sul balcone
colpo di tosse
4.
sul fiume scuro
s’accendono le luci –
tonfi di remi
5.
ponte di ferro –
sulle travate sghembe
un uomo dorme
classificato al 7° posto Haiku Contest 2006
6.
sul display verde
ho saltato un rigo –
dai vetri, nebbia
7.
tardo autunno –
ha odore di neve
il primo vento
8.
alla finestra
socchiusa m’attardo –
ultimo quarto
9.
loden serrato
nella pioggia d’autunno –
sto invecchiando
10.
vene trafitte
nella bianca corsìa –
cade la neve
11.
sul parabrezza
scrivo il suo nome –
ghiaccio sottile
12.
squilli a vuoto
in uffici deserti –
Felice Anno
“Nella misura breve dell’istante haiku” . Incontro presso il Circolo dei Lettori del 22.11.2007
6
Il canto dell’haicùculo
(ovvero alla maniera degli haiku)
Le carrube ciondolano nere –
non arrivano cavalli alati
con questa nebbia
di Domenico Diafèria
Esiste ancora una capacità di contemplazione, in particolare
della Natura, senza devastarla?
Forse, in un mondo di chiacchiere, è buon esercizio di stile
esprimere, in meno parole possibili, il dicibile e il non
dicibile. Proviamo…
da Se tu sei, ed. Trauben
Primavera
Azzurra brezza
e fremito di voli
tra aperte viole
Inverno
Spolverata di bianco sulla collina
e sulla mia barba,
che fredda armonia
Scia bianca e rosa di monti –
voglia di svoltare e libero
prendere per valli
Voglia di uragano
mai esploso
sulla città smaniosa e controllata
Sono io che canto o il canto canta me?
Fredde le gambe a camminare
nel parco brullo dei bambini assenti
Nel folto bosco
come richiamo antico
primo gracidare
Senza stagione
La mente si distende nel sole,
piacevole su cose, come reali –
assopita la tigre che è in loro
Estate
Disteso vociare di cicale,
morde il meriggio affocato –
starsene ad ombre di frescura
Fruscii di frasche
al lievitare di venti
e di pensieri
Il mare è una spianata di luce
sotto la luna e tutto tace
sopra i colli – un grillo
Autunno
Sotto pergolati d’uva
bocce di vino su tavoli in legno,
è lieve starsene per oasi
a sorseggiare il tempo
Autunno ha i suoi fulgori
tra ricordi appassiti di verde,
così i miei anni che amano vini
e capezzoli di uve
Come un mare le nubi
hanno invaso la città dolente:
albero di vascello svetta solo la guglia,
sotto, boato cupo e vitale
Occhi di ponte sul placido fiume,
i due cigni, regali
sul torbido specchio di spazzatura
Piole dimenticate lungo il fiume:
storia non passa di qui
se non per strilli di carte
Finito il diluvio di paura al fiume,
libertà guizzante dei pesci!
tornano i pescatori sulla riva
Gabbiani in fila sul tronco
come nave incagliata
e schiuma di cascata al sole
Amo questi parchi, di nessuno
e di tutti, sono di chi li abita,
per un giorno, come la terra
Un’isola deserta affiora
nel grande fiume in secca,
come cuori incagliati
Il corvo gracchia nel silenzio
e traccia volando
i segni del suo esserci
Ulteriori informazione, novità e
materiali sul sito web
http://www.kore.it/CAFFE/poesia fuoril.htm
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