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“… se un’esigua minoranza è in grado di mettere in scacco il sistema mondiale della pesca, allora vuol dire che quella minoranza dispone di “armi di
devastazione di massa” che i sistemi attuali non riescono a governare.”
Dal Rapporto “Un Mare di Guai” di Greenpeace Italia – Maggio 2007
PREMESSA
Nel rapporto “Un Mare di Guai”, maggio 2007, Greenpeace Italia ha presento una panoramica
generale sulla desolante incapacità degli Organismi Regionali per la Gestione della Pesca (Regional Fisheries Management Organisations – RFMOs) e della conseguente crisi delle risorse e
dell’ecosistema.
Un esempio concreto delle “armi di devastazione di massa” sono gli atti di pirateria purtroppo
frequenti nelle attività di pesca gestite dall’Iccat (International Commission for the Conservation of the Atlantic Tunas) cioè la Commissione Internazionale per la Conservazione dei tunnidi
in Atlantico (compreso il Mediterraneo) che è responsabile della pesca del tonno rosso, ma anche di altre specie di tonni e del pesce spada.
La prossima riunione dell’Iccat è convocata dal 9 al 18 novembre ad Antalya (Turchia). Il rapporto di Greenpeace International “Pirate Booty: how Iccat is failing to curb IUU fishing” (Il bottino dei pirati: come l’Iccat sta perdendo la lotta contro la pesca pirata) presenta
una casistica impressionante di atti di pirateria di pesca ed elenca una serie di richieste alle
Parti della Commissione, per rendere l’Iccat uno strumento di gestione efficace e affidabile.
Oltre ad affrontare in termini generali la questione del fallimento della gestione dell’Iccat, il
rapporto valuta in maniera approfondita questioni fondamentali come l’eccesso della capacità
di pesca nell’area (incompatibile con la continua diminuzione delle risorse), il problema del
passaggio dei pescherecci a bandiere ombra, la presenza di imbarcazioni che non sono iscritte
nei registri Iccat (e che quindi non potrebbero pescare o comunque operare nell’area) e i troppi
errori nelle statistiche delle catture che mascherano il saccheggio in grande scala delle risorse.
I grandi predatori (squali, marlin, pesce spada, tonni…) negli ultimi decenni hanno subito in
media un declino degli stock del 90 per cento, mentre la diversità delle varie specie di tonni e
pesci spada (marlin inclusi) si è ridotta in tutti gli oceani di un valore tra il 10 e il 50 per cento.
Per salvare queste specie, abbiamo bisogno di organismi internazionali che funzionino.
L’Iccat al momento è purtroppo inefficace. E’ necessaria un’azione decisa contro la pesca pirata
e non si può più rinviare un processo di riduzione della capacità di pesca. Finché ci saranno tutti questi pescherecci, il teatrino della scorsa riunione di Dubrovnik si ripeterà: il comitato tecnico (SCRS – Standing Committee on Research and Statistics) ha suggerito di non pescare oltre
15.000 tonnellate di tonno rosso, gli Stati Membri si sono accordati per circa 30.000 tonnellate… e la pesca “reale” probabilmente ha superato le 50.000 tonnellate! Finché questi due nodi
(tra loro ovviamente collegati) non verranno sciolti, continueremo a trovare dati come quelli riferiti da questa sintesi e dal rapporto di Greenpeace International. Almeno fino a quando gli
stock in questione non saranno del tutto collassati.
Bandiere Ombra
La Federazione Internazionale dei Trasporti identifica 32 Paesi come fornitori di “bandiere ombra” o “di comodo”, tra cui Belize, Cambogia, Panama e Vanuatu. Il passaggio di una nave dal
registro di un Paese che effettua seri controlli sulle attività della sua flotta al registro di uno più
permissivo e possibilmente con allegati vantaggi fiscali (“cambio di bandiera” o “reflagging”.) è
purtroppo ancora comune e affligge anche il sistema Iccat.
Il cambio di bandiera è spesso un mezzo per violare le norme che l’Iccat si è data per regolare
la pesca, a cominciare dalla redazione di un elenco (registro) delle navi autorizzate a pescare
tonni e grandi pelagici nel Mediterraneo e nell’Atlantico.
Greenpeace ha trovato evidenze che collegano, ad esempio, l’ex Shinei Maru n.8 (bandiera
giapponese) al peschereccio libico Al-Entisar. Quest’ultimo è un peschereccio attrezzato con
palamiti galleggianti (sistema di ami per la pesca in superficie di tonni o pesci spada) e
quest’estate ha visitato più volte il porto di La Valletta (Malta) dove ha comunicato
l’identificativo IMO (International Marittime Organisation: è un codice che permette di identificare le imbarcazioni) che corrisponde al peschereccio con bandiera panamense Oasis 7. Il registro marittimo dei Lloyd’s informa che l’Oasis 7 non è altro che lo Shinei Maru n.8 che, appunto
col nome di Oasis 7, è passato prima alla bandiera di Panama (agosto 2006) e poi a quella di
St.Kitts&Nevis (dicembre 2006). Dall’aprile 2007, la bandiera dell’imbarcazione in questione è
“sconosciuta” e Greenpeace sospetta che questo peschereccio sia proprio Al-Entisar. Lo Shinei
Maru n.8 (che non esiste più dall’agosto 2006!) è ancora nel registro dei pescherecci Iccat,
mentre Al-Entisar non c’è mai stato.
Un altro caso è quello dello Yara, un peschereccio con palamito galleggiante con bandiera panamense. Lo Yara non è mai stato nei registri Iccat, ma si trovava nel porto di Vigo lo scorso
maggio. Evidenze fotografiche sembrano dimostrare che lo Yara non sia altro che lo Hoyo Maru
n.21, che è presente nel registro Iccat. Lo Yara è ricomparso nel porto di La Valletta (Malta) il
4 ottobre 2007 (quattro mesi dopo la chiusura della pesca al tonno per pescherecci oltre 24 m)
e, nel frattempo, aveva cambiato bandiera: adesso è libico.
In generale, il Giappone ha dichiarato di controllare strettamente la vendita all’estero dei propri pescherecci per prevenire il passaggio a bandiere ombra, ma Greenpeace ha verificato che
almeno 14 pescherecci presenti nel registro Iccat hanno cambiato bandiera (e, in alcuni casi
anche proprietà): 6 sono passati alla Cambogia, 3 alla Russia, 2 alla Libia, 2 a Panama e 1 alla
Corea. Queste sono le bandiere attuali, ma questi pescherecci nel tempo hanno preso anche
bandiere di Paesi come Belize, Dominica, Tuvalu, e St.Kytts&Nevis.
Una situazione analoga è stata riscontrata per 9 pescherecci che nei registri Iccat hanno bandiera coreana, ma che ai Lloyd’s risultano con bandiera di Cambogia (3), Panama (4), Sierra
Leone (1) e Guinea Equatoriale (1). Non sembrano Paesi affidabili dal punto di vista del controllo marittimo…
E’ da notare che questi dati sono probabilmente incompleti, poiché il registro dei Lloyd’s non è
affatto esaustivo, per i pescherecci.
Pescherecci fantasma
Greenpeace è riuscita ad accertare la presenza di almeno 32 pescherecci tonnieri fantasma
nelle zone di pesca dell’Iccat dal 2004 a oggi. Si tratta di pescherecci che non sono presenti nel
registro Iccat dei pescherecci autorizzati, ma che hanno frequentato, indisturbati, i porti
dell’area.
La tabella 3.1 del rapporto presenta un’ampia casistica di imbarcazioni con bandiera di Giappone (20), Cina (5), Taiwan (3), Libia (2), Corea (1) e Giamaica (1).
Alcuni di questi pescherecci, come i giapponesi Tokuhu Maru 38 e Zuhio Maru 88, o il taiwanese Shin Shun Fa 111, sono visitatori regolari dell’Oceano Atlantico. Ad esempio, lo Zuhio Maru
88 è stato avvistato 13 volte dal 2004. Lo scopo di queste visite (dichiarato al registro movimenti delle autorità portuali di Las Palmas) è stata la pesca o lo sbarco di pesce.
Il rapporto rileva che in molti Paesi i controlli sui propri pescherecci sono scarsi: ad esempio,
solo dal 2006 la Cina ha applicato la disposizione sull’obbligo del segnalatore satellitare a bordo. Ma anche nei Paesi Iccat non si fanno controlli sufficienti per fermare questi pescherecci
che spesso hanno assistenza nei porti dove, indisturbati, si riforniscono e, a volte sbarcano,
pesce di dubbia provenienza.
Ad esempio, solo nel 2007, nei porti spagnoli di Vigo, Marìn, Ribeira e Algeciras, Greenpeace
ha potuto documentare la presenza di 16 pescherecci con bandiera ombra, spesso ignoti al registro Iccat. La lista di Greenpeace ovviamente è tutt’altro che un elenco completo: Greenpeace ha contattato le Autorità spagnole, che hanno dichiarato di essere informati della presenza
di solo tre di questi pescherecci: uno è stato multato. Due dei pescherecci identificati da Greenpeace, Perseverance e Amor Inn (rispettivamente avvistati a Vigo e Las Palmas) sono inclusi
nella “lista nera” del CCMLAR (la Commissione che regola la pesca in Antartide) e quindi esiste
una base legale per negar loro l’ingresso nei porti spagnoli.
E’ da notare che spesso questi pescherecci arrivano in porto ma non scaricano il pesce. In molti casi il pescato, di possibile origine illegale, è passato a una nave frigorifero (cargo frezer o
reefer) direttamente in alto mare.
E’ vero quindi che occorre rinforzare i controlli nei porti e approntare nuove regole per rintracciare in modo efficace l’origine del pesce sbarcato da questi pescherecci. Tuttavia, fino a quando sarà possibile trasferire il pescato da un peschereccio all’altro (transhipment) senza osservatori indipendenti che vigilano su quel che succede a bordo, sarà difficile contrastare la pesca
illegale.
I conti non tornano
Il confronto tra le catture registrate (e riferite) da un certo Paese Membro dell’Iccat e le registrazioni delle esportazioni da quel Paese a un altro è un sistema interessante per quantificare
le catture reali e scoprire esempi di pesca pirata. Il commercio è più tracciabile della pesca…
Un esempio è quanto è successo, e continua a succedere, con i pescherecci taiwanesi. Taiwan
è un problema per l’Iccat da anni: accusati di pescare troppo tonno obeso, i pescherecci taiwanesi sono stati limitati in numero, stazza e catture. Nel 2004 e nel 2005 l’Iccat ha emesso una
Raccomandazione in cui si afferma che Taiwan ha preso “misure insufficienti per rettificare la
situazione”: la quota taiwanese di tonno obeso è stata ridotta da quasi 15.000 t a 4.600 t e
Taiwan è stata minacciata con sanzioni commerciali. In risposta a ciò, Taiwan ha speso 220 milioni di dollari per distruggere 160 pescherecci e gli ultimi resoconti all’Iccat sulle catture di
tonno obeso affermano che Taiwan, nel 2006, ne avrebbe catturato solo 3.800 t.
Tuttavia, il Giappone ha comunicato all’Iccat di aver importato da Taiwan, nel 2006, circa
4.837 t di tonno obeso catturato nell’Atlantico. Siccome si tratta di prodotto sviscerato, applicando il fattore di conversione standard (1,16) si ottiene un valore di 5.610 tonnellate di pescato, quasi il 50 per cento oltre la quota Iccat assegnata a Taiwan.
Non solo l’Iccat ha ignorato questi dati, ma addirittura, nel 2006, ha deciso di ripristinare la
quota taiwanese in riconoscimento degli sforzi fatti da quel Paese per contrastare la pesca illegale!
Un altro Paese “problematico” per l’Iccat è la Libia, la cui flotta peschereccia ha conosciuto un
vero boom negli ultimi anni. Tra l’altro, preoccupa che la Libia si sia opposta all’uso del sistema
di posizionamento satellitare (VMS, vessel monitoring system o “Blue box”: fornisce posizione,
rotta e velocità) e che abbia dichiarato che la presenza di osservatori a bordo sia di ostacolo
per le attività dei pescherecci e dei cargo frigo. Eppure, anche per la Libia i conti non tornano…
Nel 2005 la Libia ha dichiarato all’Iccat di aver catturato 318 t di tonno rosso nel Mediterraneo
e 73 t di tonno pinna gialla nell’Atlantico. Dai dati dell’import giapponese risulterebbe in effetti
che tutto il tonno rosso esportato dalla Libia in quel Paese viene dal Mediterraneo. Eppure,
nell’agosto 2005, due imbarcazioni libiche hanno sbarcato a Las Palmas (Canarie, Spagna) un
totale di 58 t di tonno, una quantità che non giustifica un viaggio da Tripoli, o comunque dal
Mediterraneo, alle Canarie. Tra l’altro, la stagione di pesca per queste imbarcazioni, nel 2005,
si chiudeva il 15 luglio: perché trasportare così pochi tonni, e vecchi di più di un mese, fino alle
Canarie?
Altre informazioni, piuttosto, indicano che nel 2005 operavano 9 grossi pescherecci con palamito galleggiante con bandiera libica. Possibile che abbiano pescato, in media, solo 35,33 t di
tonno rosso e 8,11 t di pinna gialla?
I dati delle catture dei pescherecci libici nel 2006 sono anch’essi poco convincenti. La Libia ha
dichiarato di aver catturato, nel 2006, solo 193,72 t di tonno rosso (nemmeno un pesce spada,
tonno obeso o pinna gialla). Tuttavia, almeno tre pescherecci libici hanno frequentato, nel
2006, il porto di Las Palmas: non hanno sbarcato, ufficialmente, nemmeno un pesce! Possibile
che un’intera flottiglia di pescherecci libici, che nel frattempo risultano esser diventati 10, nel
2006 abbia pescato in Atlantico solo 47 t di tonno rosso? E che ogni peschereccio abbia catturato, in media, poco meno di 20 t di tonno? Questa flotta sta lavorando in perdita o, più verosimilmente, elude il meccanismo Iccat sulle dichiarazioni del pescato?
Pirateria in zona Iccat
Il rapporto “Pirate Booty: how Iccat is failing to curb IUU fishing” elenca un’intera serie di attività palesemente illegali, ben documentate negli ultimi anni, che riguardano la pesca nell’area
che dovrebbe essere gestita dall’Iccat.
Palamiti giapponesi illegali
Nel giugno 2006, la Rainbow Warrior di Greenpeace si imbatte in una flotta di 12 palamiti giapponesi che pescavano nel periodo in cui tale attività era vietata. Alcuni pescherecci
sono stati identificati e, sulla base delle informazioni comunicate da Greenpeace, il Governo del
Giappone ha dichiarato di aver sanzionato alcuni di questi pescherecci. Tra l’altro, il Giappone
ha comunicato di aver “aggiornato” il sistema di rilevamento satellitare (VMS) e che il nuovo
sistema non funziona!
Melilla 206: bandiere ombra a go go!
Sempre nel giugno 2006, un’altra nave di Greenpeace, l’Esperanza, incontrava nel Canale tra Cipro e la Turchia la Melilla 206, con bandiera della Guinea Conakry. Sullo scafo di
questa nave (che non risulta nei registri Lloyd’s e Iccat) era possibile leggere anche un altro
nome: Focus 101. E’ (era…) un peschereccio panamense. L’equipaggio ha affermato che la Melilla 206 acquistava tonni dai pescherecci che pescavano nella zona, sbarcando il prodotto in
Turchia da dove proseguiva per il Giappone. Queste informazioni sono state comunicate
all’Iccat in occasione della riunione di Dubrovnik, nel novembre 2006, ma non è stato fatto
niente.
Nel frattempo, la nave ha cambiato nome in Tuna Pro 1 e utilizza come base il porto di
La Valletta dove opera come supporto ad alcuni impianti di ingrasso tonni ubicati a Marsaxlokk
(Malta): per i Lloyd’s è proprietà della Malta Fishfarming. E’ stata vista passare tonni ai cargo
panamensi Remora I e Kurikoma: il primo non è presente in nessun registro Iccat.
Ancora spadare!
Le reti derivanti pelagiche sono l’unico sistema di pesca vietato dalle Nazioni Unite (Risoluzioni 44/225 e 45/197). Sono state vietate nell’Unione Europea (Reg. 1239/98) e il loro
uso in tutto il Mediterraneo è vietato da una Raccomandazione Iccat (N. 03-04). Il divieto è
dovuto all’assenza di selettività di queste reti: sono nastri lunghi decine di chilometri che, andando alla deriva, catturano di tutto: dal pesce spada ai tonni, dalle tartarughe a delfini e capodogli.
Nel giugno 2006, la Rainbow Warrior ha osservato cinque pescherecci italiani che utilizzavano illegalmente derivanti (comprese quelle a maglia larga: le spadare) per catturare il pesce spada: almeno due avevano ricevuto un contributo “di riconversione” per non utilizzare derivanti (c.a 9.800 e 28.600 euro).
La “riconversione”, contrariamente alle richieste di Greenpeace, non ha previsto il contestuale ritiro delle reti vietate: alcune sono ancora usate in Italia (come documentato da Greenpeace e da altri almeno dal 2004 al 2007 e come del resto confermato dalla Guardia Costiera
Italiana), mentre altre sono state vendute all’estero. E, infatti, la Rainbow Warrior, nel giugno
2007, individuava in acque internazionali una flottiglia di sei pescherecci con bandiera tunisina
che usavano reti derivanti, in violazione della Raccomandazione Iccat.
Voli pericolosi
L’uso di aerei per la ricognizione dei banchi di tonni è da tempo soggetto ad alcune restrizioni e dal 13 giugno 2007 è completamente vietato. Tuttavia, la Rainbow Warrior il 14 giugno 2007 identificava e fotografava una flottiglia di tre pescherecci italiani chiaramente assistita da aerei. Tra l’altro, uno dei pescherecci (Luca Maria) non è presente in nessun registro Iccat.
Nel complesso, durante l’estate 2007, Greenpeace ha identificato cinque aerei ricognitori. Inoltre, Greenpeace ha ottenuto le prove che almeno 11 aerei hanno utilizzato l’aeroporto di
Lampedusa come base per i loro voli, anche dopo la data del divieto totale di utilizzo di questi
aerei. In particolare, in almeno tre casi risulta che gli aerei che volavano nel periodo vietato
erano di proprietà (o erano noleggiati da) un’ “Associazione Produttori Tonnieri del Tirreno”.
Com’è possibile che questi aerei abbiano potuto volare dopo il 13 giugno?
Trasbordi in alto mare
Il trasbordo di tonni da un peschereccio a un cargo è vietato (a parte alcuni casi particolari) dal 13 giugno 2007. Nel Canale di Sicilia, la Rainbow Warrior ha potuto osservare trasbordi l’11 giugno (dal peschereccio italiano Vergine del Rosario al cargo panamense Daniela) e
il 12 giugno (dal peschereccio francese Jean Marie Christian VI al cargo panamense Astrea
102). In teoria, questi trasbordi dovrebbero essere stati comunicati all’Iccat.
Inoltre, dal 18 al 20 giugno, quindi dopo che il divieto di trasbordo era entrato in vigore,
Greenpeace ha potuto documentare che la Daniela (di proprietà del gruppo spagnolo Fuentes)
era ancora nel Canale di Sicilia. Sulle fiancate della nave (su cui non c’era alcun osservatore) si
notavano i parabordi utilizzati per l’accosto dei pescherecci per il trasbordo del pescato.
Rimorchiatori incontrollati
Come tutte le imbarcazioni adibite alle operazioni di supporto alla pesca, anche i rimorchiatori che trasportano le gabbie con i tonni verso gli impianti di ingrasso dovrebbero essere
registrati nel database dell’Iccat. Greenpeace ha osservato, nell’estate 2007, una vera e propria armata di imbarcazioni adibite al traino. Non si trattava solo di rimorchiatori ma anche, ad
esempio, di pescherecci a strascico (maltesi, spagnoli e tunisini).
Nel pomeriggio del 17 giugno, la Rainbow Warrior incrociava la Slebech, un ex palamito
irlandese con bandiera della Sierra Leone e attualmente di proprietà di una compagnia cipriota.
La Slebech stava trainando due gabbie di tonni, circa 60 miglia a sud di Malta. Ma la Sierra Leone è in grado di controllare le attività di questo “rimorchiatore” come previsto dalle risoluzioni
Iccat?
Cargo o peschereccio?
Il 4 settembre 2007 attraccava a La Valletta la Al Dafnia, un palamito con bandiera libica che sbarcava 96 t di tonno di cui 60 pescate e le altre provenienti da un altro palamito libico, Lebdah. La pesca dei palamiti oltre i 24 metri (questi due pescherecci sono molto più grossi…) è stata chiusa dal 1 giugno. I due pescherecci sono stati registrati nel database Iccat solo
ai primi di luglio: quest’anno non avrebbero potuto pescare! La Al Dafnia poi non è autorizzata
a operare come cargo (non è nell’apposito registro Iccat): come fa a trasportare il pesce catturato dalla Lebdah?
Nonostante questa incredibile mole di evidenti infrazioni, le Autorità maltesi non hanno
avuto altro da dichiarare a Greenpeace che i tonni trasportati/pescati dalla Al Dafnia presentavano un regolare (!) certificato Iccat emesso dalle Autorità libiche prima della chiusura della
pesca (quando questi pescherecci non potevano pescare) e che quindi tutto era regolare!
Dove vanno i pesci dell’Alfajr Almunir?
Il Governo del Giappone ha proposto di inserire nella lista nera dei pescherecci pirata il
palamito libico Alfajr Almunir. Un’imbarcazione di controllo giapponese ha. Infatti, documentato la pesca di quest’imbarcazione, priva di permessi, il 22 gennaio 2007. Il Governo libico ha
replicato che (a dispetto delle evidenze fotografiche!) l’Alfajr Almunir non stava pescando. Dalla data dell’avvistamento, per quanto noto a Greenpeace, questo peschereccio sarebbe rientrato in porto solo l’11 marzo 2007, a Las Palmas. E senza sbarcare un solo pesce! La stessa imbarcazione tornava a Las Palmas il 12 aprile: ancora una volta, senza pesci.
Difficile pensare che l’Alfajr Almunir fosse in viaggio di piacere. E’ più probabile che abbia pescato (tonni?) e trasferito le catture a un cargo, rientrando in porto per approvvigionarsi.
Il Segretariato Iccat dovrebbe poter chiarire a chi questo peschereccio ha passato i suoi pesci.
Forse…
CONCLUSIONI
Il bottino dei pirati della pesca nel Mediterraneo e nell’Atlantico è ricco. Lo stato delle risorse,
invece, si sta impoverendo. La responsabilità degli Stati che sono riuniti sotto l’egida dell’Iccat
è evidente. Tutti sono corresponsabili di quel che sta succedendo.
In primo luogo c’è il problema dello scarso rispetto delle regole che pure l’Iccat ha emanato. La
pesca illegale, dalle spadare agli sforamenti delle quote di tonno, è la norma e questa sintesi
riferisce solo di alcuni dei dati presenti nel rapporto originale. Se Greenpeace ha potuto documentare tanti atti illegali, è presumibile che gli Stati potrebbero fare molto meglio. Se lo volessero. Di recente i proprietari di un impianto di ingrasso del tonno, contestato da Greenpeace in
Costiera Amalfitana, hanno dichiarato in tribunale di aver già avviato l’attività. Ma
quest’impianto non è né nell’elenco Iccat né in quello nazionale degli impianti autorizzati (Decreto 20/09/2007)! Chi ha mai controllato questi pesci? Sono stati considerati nello “sforamento” italiano delle quote di pesca? Ci sono altri impianti “abusivi” di ingrasso per tonni in Italia?
E’ vero che le regole che ci sono devono essere rispettate, ma soprattutto non ci devono essere né deroghe (come quella che permette alla Croazia, nel Mediterraneo, e alla Spagna, in Atlantico, di pescare tonni di 8 chilogrammi invece che di 30 chilogrammi) né eccezioni o condoni.
Un test particolarmente rilevante, alla prossima riunione Iccat ad Antalya, sarà quello della redistribuzione delle quote, dopo che alcuni Paesi hanno evidentemente superato i quantitativi di
pesca assegnati, per il tonno rosso e per il tonno obeso. Questi Paesi devono essere penalizzati, se si vuole che il sistema mantenga un minimo di credibilità. Ma il problema è che tutto il sistema non funziona. In particolare, per la pesca al tonno rosso, è urgente fermare la pesca e
mettere in campo un sistema di regole efficaci per prevenire il collasso dello stock.
Per questo, Greenpeace chiede alle Parti dell’Iccat di concordare con urgenza misure per:
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ridurre la capacità di pesca a livelli compatibili con le risorse presenti;
creare un database efficace per tutte le imbarcazioni impegnate nelle operazioni di pesca (incluse quelle di supporto), con un identificatore unico che permette di accedere a
informazioni sulla storia (bandiere, proprietà…) della singola imbarcazione;
impedire il passaggio dei pescherecci a bandiera ombra;
rafforzare i controlli portuali e non dare assistenza a pescherecci pirata;
invertire l’onere della prova e far si che i pescherecci possano sbarcare il pesce solo se
possono dimostrare di averlo regolarmente pescato;
assicurarsi che tutti i pescherecci usino il sistema di rilevazione satellitare;
vietare, senza eccezione, il trasbordo di pesci in mare;
mettere a punto un sistema di osservatori realmente indipendenti, a cominciare da una
copertura totale sui cargo che sono uno snodo decisivo del traffico di pesce illegale.
I dati completi cui fa riferimento questa sintesi sono reperibili nel rapporto di Greenpeace International “Pirate Booty: how Iccat is failing to curb IUU fishing” scaricabile al link
http://www.greenpeace.org/pirate-booty