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CANADIANA/AMERICANA
L'AMERICA DI ANNIE VIVANTI
In Zingaresca, Annie Vivanti propone, con tono semiserio, un'allegoria
sull'arte dello scrivere:
[C'era] un Poeta, il quale, d'inverno, teneva in perpetua ebollizione
sul suo fornello una pentola di brodo composto di molteplici sostanze.
I suoi amici solevano portare delle contribuzioni svariate al suo Potau-feu. Chi gli portava dei vermicelli ο ditalini, chi del formaggio
grattugiato, chi qualche fegatino di pollo, chi un p o ' di "giunta": tutto
si gettava a bollire nella pentola del Poeta. Gli avversari politicoletterari, ο i faceti portavano pelli di cotechino, gusci d'uova, fondi
di caffé, torsi di cavolo, foglie di carciofo [...]. Ma tutto contribuiva
alle qualità saporose e sostanziose di quella minestra.
Dicesi che, un giorno, un amico mecenate portandogli in dono
un paio di scarpe usate, lasciasse, un po' per abitudine, un po' per
distrazione, cadere anche quelle nella pentola della minestra.
Dicesi anche che il poeta non trovò necessario di ripescarle.
(Zingaresca, p. 179)
Una "minestra" simile, sembra quella che la Vivami stessa serve ai
lettori (anzi, dice lei, alle lettrici), quando ricorda le sue esperienze nel
Nuovo Mondo. Nel nostro studio analizzeremo quest'America, una terra
del tutto sconosciuta alle ammiratrici della Vivami, le quali non si
sarebbero mai sognate un'America fin di secolo, diversa da quella che
veniva loro descritta.
All'infuori di quello che ci rivela la Vivami stessa, pochi sono i
dati e ancor meno le date che abbiamo delle sue esperienze americane.
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Ruth Shepard Phelps, in Italian Silhouettes (1924), ci informa che dopo
la morte della madre, la Vivami, bambina di nove anni, fu mandata a
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scuola all'estero ed anche a New York, dove, secondo la Phelps,
dovrebbe essere rimasta fino al suo ritorno in Italia nel 1888 ο nell'anno
successivo. Pietro Pancrazi, nel suo citatissimo libro sulla
corrispondenza fra la Vivanti e il Carducci, Un amoroso incontro della
fine Ottocento [...] (1951), nota che la scrittrice si trasferì nuovamente
in America nell'agosto del '93 poco dopo il suo matrimonio con John
Chartres. Lì nacque la figlia Vivien. "In quegli anni," scrive Pancrazi,
"qualche volta gli Chartres vennero d'estate in Italia." La
corrispondenza di questo periodo però è scarsa e per due ragioni
fondamentali. La prima è che molte lettere sono andate disperse dopo
la morte della Vivanti nel 1942: in quel momento erano ancora vigenti
le leggi antisemitiche, il che spiega in parte l'immeritato silenzio intorno
alla sua opera. (La mamma era ebrea. Annie era protestante, ma poi si
converti al cattolicesimo). La seconda ragione ce la fornisce la sua
amica, Barbara Allason, che in un articolo assai rivelatore ci racconta
quanto fosse disattenta e disordinata la Vivanti con la sua
corrispondenza. Le poche lettere raccolte dal Pancrazi furono scritte fra
il '94 e il '98, e recano l'indirizzo di New York. L'ultima lettera del
Calducci, porta la data del 16 maggio 1900, però, osserva Pancrazi, se
Annie sia tornata "poi in Italia quell'anno non sappiamo." L'epistolario
riprende due anni dopo, nel 1902: si tratta di una lettera di lei mandata
al grande Poeta da Airolo, un paesetto della finitima Svizzera. Dalle
ricerche svolte per questo studio non risulta che dopo il 1899 Annie sia
tornata negli Stati Uniti.
Com'è, dunque, l'America di Annie Vivanti nella sua
corrispondenza col Carducci? Stranamente, nelle lettere al Carducci,
sebbene scritte in America, il paese non esiste in se per sé; vale a dire
che nell'epistolario, appaiono solo due città: la New York dell'indirizzo
e un brevissimo accenno a Washington (il riferimento si trova in un
telegramma mandato però da New York). Al contrario, nelle opere
letterarie, l'America della Vivanti acquista uno spessore che invano si
cerca nelle lettere al Carducci. In verità due sono i momenti in cui
Annie si sofferma per descriverci il paese come l'aveva scoperto lei: il
primo quando parla dell'America cosmopolita, e precisamente di New
York; il secondo quando tratta dell'America mitica del Far West,
particolarmente del Dakota.
Nel suo primo romanzo, The Devourers, che la Vivanti pubblicò
prima in inglese nel 1910 e poi in italiano, l'anno successivo, con il
titolo I divoratori, l'autrice ci presenta l'America delle grandi città. In
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quest'opera, la protagonista Nancy, scrittrice, si vede costretta a fuggire
a causa dei debiti contratti dal marito Aldo ai tavoli di gioco dei casinò
locali. Insieme con la figlia Anne Marie, la coppia deve lasciare il
mondo di lusso a cui è abituata, per andare a New York. Da qui Nancy
scrive alla mamma che ora lei si trova in una brutta città dalle
strade dritte e terribili chiamate 'Avenue' [...] Terza Avenue [...]
Quarta Avenue [...] (poi in fretta traverso la Quinta Avenue dove non
sta che la gente ricca) [...] e giù per la Sesta Avenue [...] e dovunque
vi [sono] gli stessi negozi sporchi, e bambini strillanti, e ragazze
impudenti, e uomini villani, e il rombo di treni sopra il capo, e il
clamore e lo stridio di tram e di trolley. Poi finalmente, la Settima
Avenue — una via tranquilla, squallida, senza treni — traversata da
altre strade tranquille e squallide, dove vi [sono] meno bambini
strillanti e meno negozi sporchi, ma delle file di case scialbe e
repellenti, dei 'boarding-houses' dove alloggiano gli infelici, gli
stranieri, la gente senza casa, i naufraghi della vita.
(I divoratori, p. 190)
Questa città, deprimente ed inospitale, rende i suoi abitanti freddi e
sfiduciati:
tutti ci guardavano male; stupiti e diffidenti di vederci nella loro
povera contrada [...]. Gli americani non vogliono avere nulla a che
fare con un italiano; e gli italiani vogliono ancor meno aver a che far
con un italiano [sic].
(I divoratori, pp. 191, 193)
A sottolineare il carattere mutevole della metropoli, la Vivanti si
serve di un personaggio minore, la signora Doyle di New York:
"Voi altri due," — disse [la signora Doyle a Nancy e Aldo] [...]
"potreste far una sensazione qui! Potreste diventare 'the rage'! la gran
moda a New York. Ci vuol poco a diventare la gran moda a New
York. È una città fatta così."
(I divoratori, p. 199)
È ovvio che nella prospettiva del romanzo, la New York "bene"
appartiene decisamente ed esclusivamente agli americani. Gli altri, gli
immigrati ed i negri, sono gli unici a conoscere le amarezze della
"terribile città, torrida e rumorosa sotto il violento sole di luglio" (I
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divoratori, p. 276). A loro tocca la povertà che a New York si
manifesta senza la minima possiblità di nasconderla, come osserva un
altro dei personaggi del romanzo, rinfacciando alla protagonista le sue
pretese signorili:
Come avete potuto pensare che io, che conosco New York, crederei
alle tende di broccato rosa nei numeri alti, trecento e tanti, della East
82.ma Strada? Da questo ho capito che non eravate un'americana,
perché avreste saputo che i numeri delle strade di New York narrano
da sé la loro storia. Una forastiera, dunque, e povera [...].
(I divoratori, p. 309)
La città si rivelò loro sordida e deludente. Quando in seguito Nancy
la abbandonò, lo fece senza rimpianti. Infatti quando tornò in Europa,
e le venne chiesto se sarebbe tornata volentieri in America e se il paese
le era piaciuto, "Nancy fece cenno di no" (I divoratori, p. 310).
Un'altra America, l'America "selvaggia" ci viene descritta in
Zingaresca, libro pubblicato per la prima volta nel 1917. Si tratta di una
antologia di racconti brevi in cui la figura della scrittrice non di rado
assurge ad una posizione di primo piano. Le descrizioni del Far West
americano spesso citate dai critici per la loro incisività e vivacità
abbondano in due dei racconti tra i più lunghi dell'antologia. Nel primo
intitolato "Lo scoop. Il trionfo giornalistico di Gladys," la Vivanti crea
un suo alter ego: Annie, il personaggio-io narrante, che alla stazione
ferroviaria di El Paso nel Texas, per caso, incontra l'amica Gladys
Methuen, una giovane giornalista di New York. Annie sta tornando da
una vacanza, la cui descrizione ci offre la chiave per leggere tutto il
racconto. La vacanza, narra Annie, era stata "un mero capriccio, se si
vuole, una specie di licenza poetica nel misurato e rigido metro della
mia esistenza" (Zingaresca, p. 210). Così, è un mero capriccio anche il
racconto che procede gradatamente dal verosimile all'improbabile,
specie per chi lo legge sotto una prospettiva americana. È da notare che
le lettrici contemporanee (e anche alcuni critici) si dimostrarono invece
meno diffidenti sulla realtà del Dakota rappresentataci dalla Vivanti.
L'amica Gladys rivela a Annie che il Dakota è un "putrido paese
[...] tutto erba e vento" (I divoratori, p. 244), è lo stato dove si va solo
"per divorziare" (Zingaresca, p. 211). La stessa Gladys, appena
tornatane, si trova, senza volerlo, divorziata legalmente, il tutto
all'insaputa del marito, al quale vuole narrare le tristi vicissitudini della
sua carriera giornalistica. Essa racconta ad Annie di esser stata inviata
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nel Dakota dal suo capo, il direttore del Daily Herald. Questi l'aveva
incaricata di scrivere una serie di servizi sullo scandalo dei divorzi nel
Dakota; divorzi ottenuti facilmente con l'aiuto di documenti falsificati
oppure con quello di testimoni sospetti. Gladys si reca nel Dakota spinta
dall'illusione dei futuri onori che le avrebbe potuto procurare un
eventuale successo del suo scoop. Però arrivata nel Dakota, appena
scesa dal treno a Georgetown, si accorge di trovarsi in
una delle solite cittaduzze che sorgono in una notte, come i funghi,
lungo le linee ferroviarie del Far West; città senza passato, senza
tradizioni, senza ragion d'essere, che sembrano nate unicamente per
far comodo al commesso viaggiatore che due volte all'anno si lancia
nella sua magnificenza traverso gli Stati Uniti.
(Zingaresca, p. 218)
Pochi sono gli abitanti di Georgetown, dove c'è solo "una piazza
deserta circondata di case tutte nuove e di alberelli appena piantati"
(Zingaresca, p. 219). Quei pochi cittadini, per furbi che siano, come
apprendiamo più avanti, in fondo, rimangono sempre, gente rozza, senza
raffinatezze: gente "grassa e sorridente" che si nutre di "chops e chips"
e che dimostra interessi limitatissimi: "vendite di cavalli e pecore,
qualche annuncio d'Albergo e dei motti comici ristampati da T i d Bits'
e dal 'Sunday World'"(Zingaresca, p. 224). Le conclusioni di Gladys
sul paese e sugli americani vengono poi confermate da un avvocato
locale il quale sostiene che "noi qui, se siamo gente semplice e
primitiva [...] siamo anche gente positiva e pratica [...]. Tutti sappiamo
che qui nel Dakota nessuno viene per ammirare il paesaggio. Si viene
per divorziare" (Zingaresca, p. 234).
Fortunatamente queste riflessioni negative non le ritroviamo nella
definizione dello stato del Texas, che serve da background per il
racconto più conosciuto e più citato dell'antologia: "Il fascino delle
solitudini." È questo il racconto che riscosse più successo anche tra i
critici contemporanei quali Pietro Pancrazi, Giuseppe Ravegnani e Ruth
Phelps, perché, essi, di Annie apprezzarono "i suoi ricordi di viaggio nel
Far West, la vita nomade tra le immense greggi, le sue esperienze,
spesso assai pungenti, di società inglesi e americane [...]." Ne "Il
fascino delle solitudini" la Vivanti ci narra l'eroica decisione presa
insieme con il marito di fuggire dal mondo cosmopolita londinese che
li soffocava con il suo perbenismo artificioso e di comprarsi un ranch
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negli Stati Uniti, precisamente nel Texas. La Vivanti precede il marito,
perché, da scrittrice, vuole captare, lei, la prima impressione
sull'immenso territorio dello stato. Il suo incontro con le solitudini del
Texas non fu, però, come se lo era immaginata. Quando scese alla
stazione ferroviaria di New City, ci racconta che
pioveva. Intorno a me si stendeva il silenzio e la solitudine della
prateria sterminata. Mi pareva d'essere sola nel mondo, d'essere il
primo mortale — ο l'ultimo — lasciato sulla deserta Terra in mezzo
alle terminate e sterminate cose [...].
(Zingaresca, p. 24)
Annie aveva portato con sé una lettera di presentazione per il ricco
allevatore di pecore del luogo, il rancher Cristopher [sic] Ruddy, la cui
proprietà si trovava appunto nelle vicinanze di New City. Però essa ben
presto si rende conto che i texani concepiscono le distanze in un loro
modo del tutto particolare; il ranch del Ruddy si trova infatti a
parecchie ore di calesse da New City. Scoraggiata dalla notizia ma allo
stesso tempo sostenuta da ferma fede per i suoi fini, essa continua da
sola il viaggio verso il ranch:
davanti a me vedevo stendersi il sentiero, una traccia appena segnata
sull'erba pallida. Nessun albero in giro. Appena qualche basso
cespuglio di spini qua e là, accovacciato sull'ondeggiante pianura.
Davanti a me il cerchio immenso dell'orizzonte, sopra la mia fronte
il sole.
(Zingaresca, p. 31)
Arrivata al ranch, scopre di non essere né aspettata né benvenuta.
Anzi, apprende che il propietario era via, e si trovava nel ranch vicino,
nel Messico. Stanca e confusa, chiede ai cowboys che le permettano di
riposarsi nella ranch house, che essa poi descriverà con la maliziosa
ironia di una signora dell'alta borghesia londinese, frequentatrice di
circoli e salotti letterari, e ospite delle famiglie più ricche d'Inghilterra:
quando finalmente mi si fece entrare nel ranch house — un fabbricato
basso e lungo, a un solo piano — e che mi trovai nella rude stanza
vuota, seduta su una panca di legno, e con le spalle appoggiate alla
parete di legno, mi sentii meno afflitta [...]. Ero nel salotto di
ricevimento del signor Cristopher Ruddy, ricco di parecchie centinaia
di migliaia di dollari.
(Zingaresca, p. 37)
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Sconvolta dalla situazione che trova al ranch, telefona al marito,
John Chartres, di raggiungerla con la figlia e la sua governante. Una
volta riuniti, proseguono tutti e tre insieme per Uvalde, una cittadina del
Texas che ad Annie sembra come il fantastico e leggendario villaggio
americano di "Brigadoon." Ma Uvalde in realtà esiste ancora e si trova
a circa 80 miglia a sudovest di San Antonio. Nessuno dei critici ha mai
messo in dubbio la descrizione della vita americana come la vide e
come la visse la Vivanti, tanto meno nessuno si è soffermato ad
apprezzare nel suo giusto valore il paragone fra "Brigadoon" e Uvalde,
paragone che apre la descrizione del ranch:
Uvalde, Texas!
Per quanta gente io abbia mai incontrato in vita mia [...] non ho
mai trovato nessuno che sia stato a Uvalde.
Che non vi sia stata neppur io? [...]. Forse Uvalde non esiste.
Forse Iddio lo ha fatto fiorire per un giorno solo in mezzo alla deserta
prateria dell'Ovest, allorché noi vi passavamo, onde lasciarcene in
cuore eterna la divina nostalgia [...] poi soffiandovi sopra uno dei
consueti cicloni, lo avrà fatto riturbinar via nel nulla, e nessuno avrà
veduto mai più il piccolo villaggio dalle dodici casette bianche [...] né
la piccola piazza coi quattro alberelli in cui il vento del deserto
veniva correndo e ansando a togliere e rimettere la polvere mille volte
al giorno [...].
(Zingaresca, p. 47)
Allo Schwartz's Hotel di Uvalde aspettavano due cowboys
messicani, venuti per accompagnare la famiglia Chartres al ranch che
si trovava a 40 miglia dalla cittadina di New Braunfels, al quale poi
Annie diede il nome di Mariposa (siccome il ranch lo gestiva Annie, i
texani lo chiamavano sarcasticamente "The Lady's Ranch"). Con
dettagli ricchissimi, la Vivanti descrive la vita dura nel ranch con i
Tenderfeet e i Greenhorns. Essa nota che il loro marchio, "scelto
poeticamente" e rappresentante "una stella (l'emblema dello Stato del
Texas) e sotto un cuore con una freccia" sembrava ridicolo a tutti i
texani che consideravano i Chartres "degli ignoranti che non
s'intendevano dell'allevamento di bestiame" (Zingaresca, p. 59). Poi
parla dell'immensa solitudine, accresciuta dal fatto che la posta si
poteva ritirare, insieme con i quotidiani del lontano San Francisco, solo
due volte la settimana; dei cowboys che spendevano tutta la loro paga
per ubriacarsi; degli stampedes e dei round-ups cui partecipavano anche
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i tre Chartres. Più avanti si sofferma a parlare dettagliatamente della
morte nelle mandrie e del grande caldo estivo del Texas che portava
con sé i coyotes e il prairie-fire. Infine racconta dei feroci temporali che
mettevano fine al caldo insopportabile. Dopo due estati, la Vivanti si
rende conto di non essere più affascinata dalla solitudine e di preferire
il bel mondo di Londra.
Il capitolo che si conclude con la vendita del ranch e il ritorno di
tutta la famiglia in Europa è così ricco di dettagli personali intimi, sulle
peripezie e le vicissitudini della vita della Vivanti nel Texas, che è
difficilissimo credere al paragone tra un mitico "Brigadoon," e un reale
Uvalde, visto che anche l'autrice si domanda: ma è sicuro che "non vi
sia stata neppur io?" Proprio difficile crederci, tanto che ogni nostra
ricerca fatta in proposito porta all'unica e soprendente conclusione: che
Annie Vivanti non ha mai visto il Far West americano. I suoi ricordi
personali non sono che la "minestra" del Poeta che lei serve alle sue
lettrici (nonché ai critici), piena di gusci d'uova e fondi di caffé altrui.
Non c'è, e non c'è mai stata la New City dove Annie era scesa dal
treno per intraprendere il viaggio verso il ranch di Cristopher Ruddy.
Non è mai esistito un famoso e ricco rancher texano di pecore, con
questo nome come gli stessi archivi anagrafici di tutto il Texas vengono
a confermare. Inoltre, per quanto riguarda le pecore, questi animali, in
quell'epoca, non solo erano considerati quasi un flagello, ma i texani
trovavano anche troppo costosi i recinti per riunire le greggi e
proteggerle dai coyotes. Ed allora i texani preferivano il bestiame che
poteva errare liberamente. Intanto ricordiamo che la Uvalde degli anni
in cui ci sarebbe stata Annie (fra il 1893 e il 1899), non era costituita
solo di poche casette, ma era una cittadina di oltre 1200 abitanti, con
ben 4 grandi piazze, una banca, un tribunale, due alberghi e persino un
teatro per l'opera. Lo Schwartz's Hotel, accuratamente descritto dalla
Vivanti, è veramente esistito, ma venne distrutto in un incendio del '94.
D'altra parte colpisce il fatto che la famiglia Chartres, venendo da San
Antonio, abbia scelto Uvalde, che si trova a sud ovest di San Antonio,
come punto di partenza per il loro ranch vicino a New Braunfels, a 160
miglia a nord est; cioè proprio nella stessa direzione da cui erano venuti
per raggiungere Uvalde. Si tratta evidentemente di un grosso errore
geografico che va aggiunto all' inesattezza in cui la Vivanti cade quando
dice che le venivano portati giornali da San Francisco. È difficile
credere che lei aspettasse giornali da San Francisco, se San Antonio era
più vicino. Lo stesso tipo di errore geografico si avverte poi anche nelle
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descrizioni del Dakota, che già dal 1889 era diviso in due stati. Un
Dakota che, secondo la scrittrice, si troverebbe in una zona
indeterminata fra New York City e El Paso. Inoltre, dalla contea di New
Braunfels quella stessa in cui si sarebbe trovato il loro ranch, sono
arrivate conferme che nei registri dell'ufficio del catasto locale non
esisteva, fra il 1878-1912, nessun atto di compravendita sotto i nomi
Vivami ο Chartres. Oltre a ciò, fra il 1846 e il 1949, l'ufficio del
registro non aveva trascritto nessun marchio recante una stella e un
cuore con la freccia.
Anche in questa opera, dunque, sembra che la Vivami continui con
la tipica presa in giro dei suoi lettori, che si avverte anche in altre
pagine di Zingaresca. Nondimeno, possiamo apprezzare le sue
descrizioni del Far West cos' vive e verosimili, sebbene immaginarie.
E non dimentichiamo che, anni prima, a proposito delle descrizioni di
New York che si trovano ne I divoratori, la Vivami aveva accennato ad
un possibile inganno riguardo alla sua esperienza texana in una lettera
che la protagonista Nancy scrive alla mamma in Italia:
Poiché il ranch del Texas — ti ricordi quando Aldo ne parlava? — è
un mito. Mai in vita sua Aldo è stato in un rancio [sic]. Una volta ha
incontrato un francese malato di polmoni, che era stato nel Texas, e
questi gli aveva narrato tutti quei romantici dettagli che egli ha poi
riservito a noi. Ti ricordi mamma? Sul Lago Maggiore [...]. Ci
raccontava — un po' vagamente, è vero, e soltanto quando noi lo
pregavamo — quelle storie dei cavalli selvaggi del West, i bucking
bronchos [sic], su cui galoppava traverso le sterminate praterie [...].
Quando gli rimprovero le sue favole, egli mi risponde che era colpa
nostra. Insistevamo per sapere tutti i dettagli.
(I divoratori, p. 192)
Pertanto possiamo concludere che anche i lettori più avveduti si
debbano considerare complici nella creazione del mondo immaginario
della Vivami nel Far West. Così anche noi lettori, forse, insistevamo per
conoscere tutti i dettagli sulla vita della Vivami nel Far West. In fondo,
volevamo credere e, abbiamo creduto alle sue fantasie, perché la
"minestra" americana di questa scrittrice è troppo stuzzicante per non
assaggiarla.
ANNE URBANCIC
University of Toronto,
Toronto, Ontario
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1
a
A. Vivanti, Zingaresca (4 ed. Milano: Quintieri, 1918). Questo articolo è la
versione riveduta della relazione letta al Convegno dell'American Association
of Teachers of Italian, svoltosi a Boston, Mass., nel novembre del 1989.
Ringrazio molto la signora Scottie Molloy di Uvalde, un'esperta di storia locale,
che fornì e verificò i dati anagrafici.
R. Shepard Phelps, Italian Silhouettes (New York: Knopf, 1924), pp. 55-66.
P. Pancrazi, Un amoroso incontro della fine Ottocento. Lettere e ricordi di
Giosuè Carducci e Annie Vivanti (Firenze: Le Monnier, 1951), p. 48.
B. Allason, "Ricordi di Annie Vivanti," Nuova Antologia No. 954 (gennaioaprile 1952), 369-81.
Pancrazi, op. cit., p. 7 1 .
Vivanti, The Devourers (London: Putnam, 1910) e I divoratori (Milano:
Treves, 1911). Le citazioni riportate si riferiscono alla traduzione italiana.
Pancrazi, "Ricordo di Annie Vivanti," in italiani e stranieri (Milano:
Mondadori, 1957), p. 190.
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