è il modo di come si gioca che cambia

Transcript

è il modo di come si gioca che cambia
Relazione del progetto:
‘è il modo di come si gioca che cambia’
Nei progetti che Reggio Scuola ha condotto in collaborazione con la scuola abbiamo
sempre cercato di costruire e sperimentare insieme durante il percorso un’idea di scuola
come spazio di confronto che valorizza e cerca di rendere visibile le soggettività di chi
apprende e restituisce valore alla pluralità dei diversi punti di vista.
Visibilità e pluralità che emergono dall’incontro dei bambini e degli adulti che mettono a
confronto le loro culture differenti dovute non soltanto a provenienze geografiche diverse,
ma anche e soprattutto alle diverse storie personali.
Abbiamo quindi sempre cercato modalità e approcci che partissero da un’idea di
bambino che costruisce i propri apprendimenti nella relazione con gli altri.
Scuola e territorio si confrontano, ricercano e costruiscono valori, nuove regole, in
relazione ai cambiamenti, cercano insieme strategie ponendosi degli interrogativi.
Nel corso delle esperienze ci siamo sempre posti interrogativi, ad esempio:
come organizzare un laboratorio linguistico?
Come organizzare un laboratorio in dialogo o in continuità con la classe?
Come superare l’idea di un laboratorio inteso solo come luogo degli approfondimenti
grammaticali?
Rispetto alle teorie possiamo tutti essere d’accordo, ma rispetto al come realizzare questi
intenti non sempre le riflessioni sono condivise.
Occorre che gli adulti si prendano il tempo, considerandolo importante, per condividere,
rileggere le parole dei bambini, i gesti, le scritture, i disegni, per fare insieme delle scelte
per ipotizzare cosa rilanciare per proseguire.
Abbiamo scelto di lanciare queste provocazioni alla scuola Collodi, con la quale avevamo
condiviso altri progetti, legati all’apprendimento della lingua seconda.
Abbiamo proposto, questa volta, di lavorare con l’intero plesso che insieme si è
confrontato e ha deciso una nuova organizzazione del lavoro tra classe e laboratorio.
Importante è stata la decisione di scegliere un tema comune alle classi per una
progettazione condivisa.
In questi anni di grande cambiamento nella modalità di essere scuola è risultato sempre
più evidente che l'aspetto relazionale, come sfondo dell'esperienza scolastica, il sentirsi
accolti, conosciuti e riconosciuti, crea contesti favorevoli all’apprendimento.
La promozione del benessere a scuola è una scelta metodologica: si impara meglio
quando si sta bene con i propri compagni e con i propri insegnanti.
Avevamo constatato che i tempi più distesi che il nostro nuovo modello scolastico
prevedeva, i momenti dell'interscuola, soprattutto nelle prime classi che erano a tempo
pieno, favorivano le relazioni, facilitavano la costruzione del gruppo classe, dello stare
insieme come piccola comunità.
E la modalità più semplice, spontanea, immediata e nello stesso tempo più pervadente
(attraversante, fluida...) era quella giocosa che era stata utilizzata fin dall'inizio, non solo
1
per l'accoglienza, ma perché rappresentava un efficace modo di comunicare e di entrare
in relazione con tutti e fra tutti.
II giocare quindi in varie forme, con oggetti, spazi e tempi strutturati o scelti liberamente
dai bambini, con attività disciplinari condotte in forma giocosa, attraverso canzoni,
filastrocche, piccole drammatizzazioni.
Ai bambini piace il gioco, quindi il gioco come mezzo, modalità per giocare gli
apprendimenti e non in contrapposizione ad essi.
Giocare non perché pensiamo che sia più facile o meno faticoso, meno impegnativo, ma
perché crediamo che sia una dimensione molto profonda nel bambino, perché, se ti piace,
lo fai volentieri.
Ecco dunque trovato il tema: il GIOCARE ci sembrava adatto, perché, come dice Bruno
Munari, “giocare è un'attività cognitiva al pari di altre strategie volte alla scoperta del
mondo da parte del bambino”
Come sostengono molte teorie psicopedagogiche, il giocare rappresenta l'attività primaria
attraverso la quale il bambino sviluppa la propria personalità, attraverso il gioco si
confronta con la realtà, con le cose, allarga e costruisce le esperienze cognitive, creative,
affettive, relazionali e noi sappiamo, sempre di più, che l'apprendimento viaggia attraverso
questi canali.
Noi sappiamo che il giocare facilita lo sviluppo dell'autostima, della fiducia in sé, favorisce
la collaborazione e dunque la costruzione delle relazioni, sviluppa il senso di appartenenza
al gruppo e l'intelligenza sociale.
La nostra scuola aveva già fatto esperienze di progettazione condivisa, con esiti positivi.
Questa proposta però si differenziava perché il tema che ogni gruppo classe avrebbe
condiviso, ma sviluppato con modalità e contenuti diversi, questa volta, avrebbe coinvolto
molto anche il laboratorio linguistico come una sorta di cerniera-ponte tra le classi, con il
gruppo dei bambini che avrebbero partecipato al laboratorio, le loro classi di
appartenenza, insomma la scuola tutta.
Ecco dunque la ricerca di un tema adatto, che fosse soprattutto trasversale, e che potesse
diventare "un filo" che, attraversando le varie esperienze di apprendimento, contribuisse a
tenere insieme, in una visione di unitarietà, il sapere, contro la parcellizzazione delle
singole discipline (punto critico della scuola a modulo).
Nelle esperienze precedenti, fin dalla classe prima, si lavorava intorno ad un tema; ne
avevamo constatato l'efficacia perché quando c'è un argomento trasversale che segna il
percorso, si dà al bambino la consapevolezza di quello che sta facendo e la
consapevolezza di costruire il suo percorso intorno a qualcosa di ben definito.
Ritrovandolo, sia pure con linguaggi specifici ed attività diverse, nelle varie discipline, il
bambino ne coglie il senso, ne capisce l'importanza diventando il protagonista della sua
esperienza scolastica.
Giocare permette di sperimentare strategie di approccio e di soluzione di problemi-conflitti
all'interno del gruppo.
Nel giocare si stimola l'attenzione, si impara a rispettare le regole, a stare insieme.
Giocare è un bisogno primario e compare come trasversale alle culture e alle età.
Così abbiamo deciso e siamo entrati in gioco anche noi.
2
Noi insegnanti ci siamo messi in gioco.
Abbiamo messo in gioco la nostra professionalità, le diverse formazioni, le differenti
esperienze didattiche e gli stili professionali.
Abbiamo messo in gioco la nostra soggettività: come ci poniamo di fronte alle situazioni
nuove, mai sperimentate? Quali le paure o le insicurezze? Quali i punti fermi?
Il mettersi in gioco si è tradotto in flessibilità.
Flessibilità dell'orario del laboratorio.
C'è un orario che stabilisce giorni e momenti in cui i ragazzi escono dalla classe per
partecipare alle attività del laboratorio di L2, ma se l'attività della classe in quel momento
permette al ragazzo una maggiore sperimentazione, lui può rimanere in quel contesto,
perché è nella classe che lui utilizza ciò che ha appreso e perciò cresce.
Flessibilità delle attività del laboratorio: le attività vengono programmate in base alle
necessità del gruppo, l'insegnante di L2 deve sapere cosa in quel momento deve
insegnare ai ragazzi, ma ciò che accade nel gruppo, il confrontarsi dei bambini, perché
provenienti da classi diverse, da paesi diversi, o le osservazioni dell'insegnante di L2 e
degli insegnanti di classe, possono modificare il contenuto, la metodologia, il contesto
dell'apprendimento.
Flessibilità del laboratorio: il laboratorio è uno dei luoghi dove il bambino straniero
apprende la lingua italiana, che è la sua seconda lingua, a volte anche la terza. Allora il
ragazzo può chiedere di rimanere in classe se si sente pronto, sicuro, motivato. Gli
insegnanti della classe e quello di L2 pensano alla possibile realizzazione della sua
richiesta e viene comunque sempre lasciata aperta la porta del Laboratorio.
II mettersi in gioco si è tradotto in confronto:
La flessibilità è possibile solo se c'è il confronto, lo scambio quotidiano degli insegnanti di
classe e quello del laboratorio di L2 che permette di operare scelte, valutare progressi
fuori e dentro la classe, possibili interventi.
Questo confronto permette di ‘tenere insieme’ il bambino, un solo bambino che frequenta
il gruppo classe e che frequenta anche il laboratorio di L2, per avere un'immagine più
completa, meno spezzettata, delle sue potenzialità, delle sue necessità, del suo modo di
apprendere.
Molto spesso in questo confronto entrano in gioco i compagni di classe che riportano
stupori, perplessità, dubbi, possibili strade, nel momento in cui l'insegnante di L2 presenta
i bambini neoarrivati o li accompagna in classe mostrando il percorso intrapreso.
Anche l'ascolto del personale ausiliario si è rivelato un altro importante momento di
confronto, grazie alla sua attenzione verso i bambini nei momenti e contesti di scuola
lontani dalla classe e dal laboratorio: i corridoi, il bagno, la mensa, il saluto del mattino ai
genitori.
Il mettersi in gioco si è tradotto in ascolto.
Non ci può essere confronto se non c'è ascolto:
3
ascoltare i genitori quando per la prima volta accompagnano il figlio nella nuova scuola,
nel nuovo paese. Si ascolta seguendo una traccia, ma si ascolta per sentire dubbi,
perplessità, paure, diversità, uguaglianze.
Ascoltare il ragazzo neoarrivato, i suoi silenzi, cogliere i suoi sorrisi e le sue espressioni di
ansia e paura. Ascoltare come usa le prime parole della nuova lingua, in quali contesti.
Ascoltare il suo desiderio di rimanere nella classe e valutare come aiutarlo in questo
progetto.
Ascoltare il gruppo classe che conosce all'inizio dell'anno l'insegnante di L2, si confronta
con altre lingue, nuovi compagni, situazioni fino ad allora neppure immaginate, ma è
pronto a portare riflessioni, ipotesi, idee.
In questo contesto la provocazione che ci veniva posta era:
"Come organizzare il laboratorio linguistico fuori e dentro la classe?"
Non deve perciò sembrare strano il fatto che siamo partiti dalla classe per "organizzare il
laboratorio fuori e dentro la classe".
Ogni classe ha scelto le modalità per meglio attuare questo progetto.
Illustriamo l’esperienza svolta in una classe in particolare per chiarire soprattutto la
metodologia seguita.
Per una classe in particolare abbiamo scelto di partire dalla conversazione sul gioco.
Conversazione a piccolo gruppo con la presenza di un adulto facilitatore.
La registrazione degli interventi dei bambini, la sbobinatura degli incontri ha permesso di
approfondire insieme le idee e le teorie dei bambini sul gioco.
La conversazione è il luogo e la strategia attraverso cui i bambini discutono, si
confrontano, cercano idee e conferme dagli altri, offrono il loro contributo al gruppo.
È una situazione progettuale che consente la costruzione condivisa di saperi nuovi e
l’individuazione di tematiche rilevanti per i bambini. É un luogo d’apprendimento dove
l’adulto ha un reale interesse a incontrare le loro idee.
L’insegnante pone domande, stimola e sostiene gli interventi dei bambini, aiutandoli a
chiarire un pensiero espresso, tiene i fili della discussione e, soprattutto, sospende il
giudizio su quanto viene detto.
I bambini, legittimati ad argomentare le proprie idee nella dimensione dello scambio,
possono rimettere in gioco le loro ipotesi e conoscenze sviluppando nuove teorie e saperi.
“Giocare per me vuole dire stare insieme e fare qualcosa finché abbiamo tempo”
“si gioca per conoscere tutto il mondo”
“se uno gioca in arabo impara l’arabo… si può giocare per imparare le lingue: io ho
imparato l’italiano”
“gioco a fare gli esperimenti”
“quando si gioca si può fare finta di essere in qualsiasi posto”
“ci sono le regole per imparare il gioco”
“nel gioco è importante l’intelligenza e la fantasia”
Le insegnanti hanno lasciato che i bambini trovassero modi e tempi per spiegare,
comunicare, farsi capire; questo vale ancora di più per i bambini in difficoltà con la lingua
italiana
Il confronto tra adulti sui materiali raccolti durante l’indagine condotta a gruppi con i
bambini (parole trascritte, disegni, testi liberi) ha moltiplicato i punti di vista...
4
Ci ha permesso di rilanciare le idee e le teorie dei bambini nel gruppo classe per aprire
nuove problematiche, usando anche strumenti di restituzione come la lavagna luminosa.
Nel grande gruppo è stato possibile ritrovare e valorizzare i singoli apporti perché, oltre al
facilitatore, erano presenti altri adulti che potevano leggere la situazione ed intervenire per
sottolineare aspetti ed interventi altrimenti difficili da cogliere e rilanciare.
Questo ha permesso di scoprire i modi di giocare dei bambini, i tempi, i luoghi, i vissuti e
naturalmente anche i tipi di giochi.
Giochi diversi, ma in molti casi uguali nei diversi paesi.
Il laboratorio ha preso a prestito alcuni giochi che sono emersi nelle conversazioni, li ha
utilizzati per arricchire le competenze dei bambini rispetto alla lingua italiana. Abbiamo
cambiato il modo di giocare quegli stessi giochi che i bimbi ci avevano descritto,
raccontato, cantato.
Ad esempio, una bambina appena arrivata dal Marocco nella conversazione in classe a
piccolo gruppo è riuscita a capire che si stava parlando di gioco e, insieme ad altre due
bimbe di lingua araba, ha cantato e mimato una filastrocca del suo paese. Durante il
momento dell'intervallo i compagni le hanno chiesto di ripetere quella canzone e tutta la
classe l'ha imparata molto bene con una pronuncia corretta.
La canzone è entrata anche nel laboratorio e il gruppo ha deciso di conoscerne il
significato utilizzando ciò che avevamo a disposizione: vocabolari anche illustrati, bambini
di lingua araba che parlano l'italiano, disegni.
Tutto il gruppo ha partecipato alla traduzione, apprendendo insieme nuove parole italiane.
Quelle stesse parole si sono moltiplicate perché grazie a loro i bambini ne hanno imparate
altre.
La parola bandiera ad esempio ci ha portato ai nomi dei colori, ai nomi delle forme delle
bandiere, al disegno della bandiera del loro paese, alla formulazione di domande per
descriverle.
Insieme ai colleghi ci siamo posti il problema di come utilizzare il gioco nelle varie
discipline.
Il gioco/giocare ed apprendere.
Io mi sono chiesta: come inserire “il gioco” in una programmazione già definita?
Questo nuovo tema ci ha portato a riflettere sull’importanza di essere flessibili e aperti
all’ascolto, non soltanto nei confronti dei bambini ma anche delle colleghe e di Reggio
Scuola, in questa collaborazione.
Perciò, nella mia classe, si è programmato un percorso didattico per utilizzarlo in tutte le
aree, ma principalmente in storia e studi sociali per approfondire concetti come:
successione, contemporaneità, prima/dopo.
Per costruire confronti:
•differenze e similitudini dei giochi dei genitori nel tempo e nello spazio
•differenze e similitudini dei giochi dei nonni nel tempo e nello spazio.
5
Utilizzando come strumento d’indagine il metodo della ricerca, la raccolta dei dati, la
conversazione in classe, il riordino e la sintesi dei dati secondo le categorie di spazio e
tempo.
Le interviste sono state preparate assieme ai bambini, e hanno coinvolto i genitori e i
nonni con le loro testimonianze.
‘Giocavo a costruire le capanne… giocavo con gli amici della scuola lungo le rive del
Crostolo’
‘Da piccola giocavo tanto in Cina, giocavo in cerchio con un fazzoletto…’
Disegni fatti dalla mamma di Andrea per raccontare i giochi che faceva da bambina…
In questo modo l’intervista è stata uno strumento d’indagine che ha permesso di portare
dentro la scuola i saperi e le culture delle famiglie, per poi condividerli, nella relazione, e
metterli in gioco all’interno e per la “Comunità scuola”.
Abbiamo coinvolto le famiglie anche attraverso forme pratiche di partecipazione: ad
esempio alcuni papà hanno realizzato nuovi giochi nel cortile della scuola.
Il nonno Roberto ha costruito per i bambini alcuni giochi di quando lui aveva la loro età:
una macchinina in fil di ferro ed il cerchio.
Il gioco è stato ed è un argomento interdisciplinare molto valido; attraverso il gioco si è
sviluppato in classe un clima collaborativo e rispettoso dell’altro e dei tempi dell’altro, tra la
classe ed il laboratorio e tra insegnanti di classe e insegnante di laboratorio.
Un clima collaborativo soprattutto tra insegnanti, alunni, genitori e nonni.
Per questo mi sento di ringraziare un pedagogista scomparso prematuramente perché
condivido il suo modo di fare scuola.
Programmazione e creatività non sono termini antitetici, ma complementari, si potrebbe
parlare dell’adulto che parte dalla programmazione in direzione della creatività, all’incontro
con il bambino che si muove dalla creatività in direzione del programma. Silvano Federici
Documentazione come restituzione e riflessione
Abbiamo costruito la documentazione in diversi momenti, con diverse modalità:
inizialmente abbiamo ritenuto importante restituire alle famiglie e ai ragazzi il
percorso fatto, attraverso uno strumento che raccogliesse il materiale dei bambini, le loro
scritture e idee.
In un secondo momento abbiamo voluto affrontare un altro tipo di documentazione che
tenesse dentro sì il percorso, ma soprattutto le nostre riflessioni, le modalità e gli
spostamenti che abbiamo messo in atto nel lavorare insieme e con i bambini. Costruire la
documentazione ci ha dato il tempo per riflettere sulle conquiste e le fatiche che abbiamo
affrontato, è stato un tempo per valutare il percorso e aprire nuovi sguardi su noi stessi,
come insegnanti e come gruppo di lavoro.
6
Una documentazione infine che trovi visibilità all’interno della scuola come un pezzo della
nostra memoria.
In questa dimensione collegiale tra il gruppo di lavoro della scuola e la rete dei servizi del
territorio.
7