esteri | brexit, il parlamento deve notificare l`uscita

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esteri | brexit, il parlamento deve notificare l`uscita
STEFANO MICOSSI - 07/11/2016 ore 16:00
ESTERI | BREXIT, IL PARLAMENTO DEVE NOTIFICARE L'USCITA
L'Alta Corte lo impone al governo
Il re non ha altra prerogativa – leggi, potere diretto di agire nei confronti dei sudditi – se non quella
concessa dalla legge, concludeva nel 1610 il grande giurista inglese, Edward Coke. Il principio fu
confermato dalla Dichiarazione dei diritti votata dal parlamento inglese nel 1689, che dichiarò illegale
ogni “legge, prelievo fiscale o arruolamento di militari” non votato dal parlamento. È questo il
fondamento della decisione dell’Alta Corte di Londra che impone al governo inglese di ottenere dal
parlamento il mandato per attivare la procedura di uscita dall’Unione prevista dall’articolo 50 del
trattato istitutivo dell’Unione europea. Va ricordato che il Regno Unito era entrato nella Comunità
europea con una legge votata in parlamento, l’European Communities Act (ECA) del 1972, che aveva
stabilito il principio della supremazia delle legge comunitaria su quella nazionale nelle materie di
competenza comunitaria.
Secondo l’Alta Corte di Londra, la notifica secondo l’articolo 50 – che avrebbe appunto l’effetto di
abrogare l’ECA, ristabilendo la piena sovranità del parlamento inglese anche nelle materie oggi regolate
da leggi comunitarie – produrrebbe profondi cambiamenti nelle leggi domestiche in tutte le aree
coinvolte, e dunque nei diritti individuali coinvolti nell’applicazione di quelle leggi. Poiché questi effetti
sarebbero l’irreversibile conseguenza della notifica della decisione di recedere dall’Unione, e si
produrrebbero inevitabilmente entro due anni dalla notifica, la decisione di notificare non può che
competere al parlamento. La prerogativa reale in materia di trattati internazionali, che la signora May
vorrebbe invocare, non può coprire tale decisione, in quanto è stata concessa deliberatamente per
materie che non coinvolgono la competenza legislativa primaria del parlamento, come invece
accadrebbe con l’abolizione del ECA. In effetti, sarebbe piuttosto strano che un atto deciso per ristabilire
la sovranità del parlamento – l’abolizione dell’ECA – fosse adottato senza sentire il parlamento che lo
aveva votato.
Resta da vedere che cosa deciderà al riguardo la Corte Suprema; ma è evidente che l’argomento dell’Alta
Corte di Londra non è facilmente superabile. Non credo che ciò fermerà l’uscita del Regno Unito
dall’Unione, salvo scenari poco probabili di completa dissoluzione della maggioranza Tory nel
parlamento inglese. Ma non credo neanche che la discussione in parlamento apra la strada a un uscita
‘soffice’ del Regno Unito dall’Unione: perché cancellando l’ECA, il Regno Unito diventa a tutti gli effetti
un paese ‘terzo’ rispetto all’Unione. Questo è un fatto che non può avere interpretazioni più o meno
‘soffici’, perché quando si è fuori da un ordinamento giuridico, se ne è fuori con tutte le conseguenze che
ne derivano. L’idea che vi sia lo spazio per accordi che consentano al Regno Unito di uscire
salvaguardando certe prerogative dell’appartenenza all’Unione non ha fondamento. Non esistono al
riguardo precedenti; non sono tali l’EEA, gli accordi speciali tra l’Unione e la Svizzera e il trattato di
associazione con l’Ucraina (se sarà ratificato), che in realtà tutti si basano sulla piena accettazione da
parte dei contraenti delle leggi comunitarie e della competenza della Corte di Giustizia nel valutarne
l’applicazione (vengono chiamati non a caso “accordi di integrazione”).
Va anche notato che chi evoca contro la decisione dei giudici la volontà espressa dal popolo con il voto
nel referendum il 23 giugno scorso, straparla. La democrazia rappresentativa funziona così; prima di
immaginare di sostituirla con una democrazia diretta referendaria, magari basata su consultazioni di
incerte platee mobilitate in rete, bisogna pensarci molto bene. Quella è la porta della dittatura, già
ampiamente sperimentata in Europa nella prima metà del secolo scorso.
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