burro di arachidi

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burro di arachidi
Silvia Monego
BURRO DI ARACHIDI
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Bottiglie vuote, bicchieri sporchi, cicche buttate ovunque: quello era
proprio il suo appartamento. L'orizzonte inclinato visto dal divano steso di
traverso gli dava il mal di mare.
L'alito pesante gli fece ricordare vagamente la sera prima, quelle costolette
all'agrodolce di Susan si erano rivelate indigeste, specie dopo aver accettato
la sfida di Henry all'«Aspira Fagioli e Cipolle»: aveva vinto lui, ma ora quei
tremiladuecentoventisette diavoletti rossi annegati nelle cipolle
rimbalzavano ancora indomiti tra le pareti del suo stomaco.
Il giradischi continuava ad andare a vuoto nell'inutile attesa che qualcuno
facesse ritornare la puntina sul microsolco.
Quel bilocale aveva bisogno di nuovo ossigeno, il fumo denso stratificava
nell'aria disegnando una specie di alone grigiastro intorno alle cose,
spalancò la finestra e il camion dell'immondizia gli diede il buongiorno,
richiuse preferendo il suo tanfo personale.
Caffè, Alcaselzer e due uova crude con dietro la prima sigaretta della
giornata: salve Moss, siamo ancora vivi? Pareva di sì nonostante le
apparenze potessero ingannare.
Un grande avvocato: ecco cosa doveva diventare. Dopo tre anni però il
sistema universitario tendeva ancora a sfuggirgli di mano, allora si disse:
Moss, quando finirai tu, probabilmente ognuno si farà giustizia da sè e senza
neppure bisogno dell'avvocato, perciò si sentì in dovere di agire subito e
possibilmente entro il secondo millennio.
Con un corso per corrispondenza prese la licenza di detective privato e
anche se la polizia lo considerava l'ultima piattola sul prepuzio del mondo,
lui con la sua pancia tenuta su da un paio di bretelle a righe marroni, la
calvizie incipiente e il colesterolo alto, lui il suo mestiere lo conosceva bene
e non era la prima volta che faceva calare le brache agli uomini in divisa blu.
Stava cercando di smettere di fumare, di bere, di mangiare cibi troppo
conditi e avrebbe voluto anche smettere con quel lavoro che ormai sapeva
troppo di rancido, di panna acida, di maionese impazzita: questo gli veniva
in mente ogni volta che visitava l'obitorio con quei cadaveri spappolati in
salsa rosa, ricoperti da gragnole di pallottole come fossero fette di pane
spalmate con burro di arachidi: lui aveva sempre odiato il burro di arachidi,
fin da bambino. Si sentiva stanco di questa vita, stanco di assassini, di
sparatorie, di sangue versato a litri. Dopo quindici anni di questo copione,
avrebbe voluto ritirarsi e iniziare una nuova attività, magari un allevamento
di cani da difesa, oppure un ristorantino vegetariano o un vivaio di trote
salmonate, c'era da farci un sacco di soldi intivando il momento giusto.
- Moooss? Dove sei Moss?
Cercò d'istinto la pistola sotto l'ascella sinistra ma non c'era, allora rimase
con l'indice puntato verso la porta senza capire di chi fosse quella voce.
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Quella voce era la mia. No, io non sono il protagonista di questa storia, io
sono solo un ragazzino di quindici anni, il protagonista è lui: il signor
Morton, il nostro pensionante, o meglio una specie di pensionante.
Il detective Moss Morton ha l'ufficio-abitazione nel nostro stesso stabile, un
giorno mia madre l'ha incontrato dal droghiere che si comperava due etti di
pallida mortadella tagliata fina fina e un vasetto di cipolline sott'olio; lei
s'intenerì e lo invitò a pranzo da noi e poi il giorno dopo e il giorno dopo
ancora finché Moss, un po' imbarazzato ma più in carne di quando
l'avevamo conosciuto, le propose di assumerla come cuoca personale a
tutela del suo colesterolo alto.
Finalmente qualcuno la capiva, qualcuno le era riconoscente, così tutte le
mattine trovo mia madre in cucina alla ricerca di un foglietto nuovo, bello
bianco da infilare sul carrello della macchina per scrivere con gli occhiali
calati sul naso e le dita rigide sui tasti che incomincia a pestare:
PRIMI PIATTI:... SECONDI PIATTI:... CONTORNI:... DOLCI:...
Io prima di andare a scuola salgo le scale di corsa, suono da Moss per
avvisarlo del foglietto che butto sotto la porta e trenta secondi dopo lui mi
restituisce il menu del giorno con le crocette sopra le sue preferenze.
Quel giovedì io avevo compito di matematica perciò volevo arrivare a
scuola un po' prima per mettermi d'accordo coi miei compagni sul codice da
adottare per passarci i risultati, quindi salii da Moss con dieci minuti
d'anticipo rispetto al solito e quando lasciai scivolare il foglietto nella
fessura mi accorsi che la porta si muoveva e l'aprii quel tanto da infilarci la
testa.
- Moss sono Henry, Moss ci sei?
- Ragazzo, hai rischiato di prenderti una pallottola in testa, lo sai vero?
- Come.....come questo qui?
Disteso lungo l'entrata del suo ufficio-abitazione c'era un uomo col cranio
trapassato da un proiettile, la faccia riversa a terra stava diventando
leggermente verde come quella di Moss in quel preciso istante.
- Non l'avrai mica ucciso tu, vero Moss?
Il conato di vomito che Moss si sforzò di trattenere mi convinse della sua
estraneità al fatto. Era il primo cadavere che vedevo in vita mia se non
contiamo quello di mio nonno che però era un cadavere da morte naturale,
non da morte ammazzata come questo.
Gli allungai il foglietto di mia madre.
- Immagino che tu non abbia voglia di sentir parlare di pasta con le sarde,
lasagnette col pesto, crostata di riso e cavolfiore, lingua di vitello alle
verdure, petti di pollo alla Carmen, spiedini di agnello con porri e carciofi...
Ad ogni pietanza che elencavo il suo volto cambiava sfumatura di verde, dal
verde salvia al verde oliva fino al verde militare in corrispondenza della
torta di datteri e mascarpone.
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A quel punto Moss non seppe più trattenersi e corse in bagno a scaricare il
menu del giorno prima.
Quel morto non mi faceva paura, era un morto tranquillo, non il tipo di
morto che spaventa i ragazzini, lo scavalcai per guardarlo da un'altra
angolazione e mi accorsi che teneva una lettera nella mano sinistra mezza
nascosta dal resto del corpo.
- Ehi Moss, qui c'è un messaggio, ascolta: «ATTENTO A NON
CONFONDERE GLI INGREDIENTI». Ma tu lo conoscevi questo tipo?
Moss riapparve dalla porta del bagno sbiancato e mentolato.
- Sì, poteva essere un mio cliente, si chiamava Frank Pesci e lo ricattavano,
ma io non avevo ancora accettato l'incarico, mi sembrava la solita farsa tra
taglieggiatori, evidentemente avevo torto, quello che non capisco è come
mai non mi sono accorto di niente. Ieri sera dopo la cena da te, qui come
puoi vedere c'è stata una piccola riunione tra amici, ma io con la memoria
arrivo circa fino alle due, due e mezza quando ancora Nat King Cole cantava
"Unforgettable" con sua figlia, poi è come se fossi morto e risorto tre minuti
fa in questo mare di rifiuti, cadavere compreso. Oggi il mio stomaco mi dice
che avrò bisogno di un assistente, tu avresti qualcosa in contrario?
- Immagino che la scuola non possa giustificare un mio eventuale rifiuto,
vero Moss?
- Esatto Henry, ma scusa non dicevi sempre che ti sarebbe piaciuto fare
anche a te il detective privato? Beh, oggi ti si presenta l'occasione, dimmi
piuttosto, com'erano poi quei petti di pollo alla Carmen?
Un cadavere ci divideva e lui pensava al mangiare.
- Sono solo dei petti di pollo ripieni di mortadella, salvia, alloro, formaggio
grana, fritti poi nel burro spumeggiante ma per te sarebbero semplicemente
sbattuti su una padella antiaderente e lasciati morire di solitudine a fuoco
lento. Cosa faccio, ci metto una croce sopra?
Moss fece segno di no, probabilmente quel giorno non avrebbe nemmeno
avuto il tempo di pranzare.
Mi spiegò che quell'uomo steso per terra gestiva una catena di alberghi e
sembrava facesse soldi a palate finchè uno dopo l'altro vennero distrutti da
incendi di natura dolosa mandandolo praticamente in rovina. Si salvò solo
un ristorante al quale il Pesci era molto legato perché ad avviarlo era stata la
madre ormai defunta. Sembrava che la fama di questo posto fosse legata a
una personale ricetta della vecchia Rosa Colasante vedova Pesci, per la
spalla di maiale.
Ma per costruire la sua fortuna aveva pestato diversi piedi della zona e
questo non era piaciuto ai boss della malavita, perciò vennero i primi ricatti,
solo che Pesci era un orgoglioso, uno coi suoi principi e non voleva pagare,
così vide andare in fumo il lavoro di una vita. Uno alla volta i suoi dodici
apostoli, così chiamava i suoi alberghi, svanirono in cenere, ma al ristorante
non seppe rinunciare, quello no, sarebbe stato come vedere morire ancora
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sua madre. Infondo era un sentimentale e così trovato il suo punto debole i
suoi aguzzini gli si aggrapparono come sanguisughe. Lui aveva dovuto
pagare ma ora volevano di più, volevano il segreto di mamma Rosa sulla
spalla di maiale per la quale impazziva Joe Trevis, capomafia locale e
cliente fisso di mamma Rosa.
Ed ecco che entra in scena Moss: Pesci va da lui, disperato gli racconta
questa storia patetica perché vorrebbe che trovasse i cattivi da consegnare
alla giustizia, lui però perde troppo tempo per rifletterci su e così ha perduto
anche il cliente.
Mentre Moss mi raccontava questa specie di fumetto a fosche tinte,
avevamo lasciato la scientifica al loro lavoro attorno al cadavere di Pesci e
mi stava trascinando verso la sua auto d'epoca, una Oldsmobile del '55
bianca e rossa battuta a un'asta di auto sequestrate dalla polizia.
- A parte il fatto che dovrei essere nel mio banco già da ore e che nessuno
mi crederà quando giustificherò la mia assenza con un omicidio beccandomi
così un bel "ENNECI" che farà crollare la mia media, a parte questo, si può
sapere dove diavolo mi stai portando?
- Henry, lo sai che non ti credevo così noioso? Tu stai per scrivere un pezzo
di storia, altro che la tua stupida matematica. Un giorno potrai dire di aver
contribuito all'arresto del capo mafia Joe Trevis, ti rendi conto?
- No, assolutamente, poi cosa c'entra Trevis, non era mica Trevis che
minacciava Pesci, fammi capire.
Accendendosi la terza sigaretta consecutiva, cercò di spiegarmi che i
ricattatori di Pesci non erano altro che dei pesci piccoli (ah-ah-ah rise Moss)
e se si andava a guardare bene nel curriculum vitae di un Jack Cassetti o
dell'altro compare Frank Santapaula, scoprivamo che non erano dei liberi
professionisti, bensì dei lavoratori dipendenti. E alle dipendenze di chi?
- Ma di Joe Trevis ovviamente, il pesce più grosso di tutti, solo che in
questo fritto misto non ho ancora uno straccio di prova che lo possa
incriminare almeno per l'omicidio di Pesci. Ecco cosa stiamo cercando:
prove, indizi che possano incastrarlo, perché Trevis rispettava sì mamma
Rosa, ma per lui il figlio Frank era 'nu fetente, con i suoi affari gli dava
troppo fastidio e se era ancora in vita lo doveva proprio a quello stinco della
santa mamma sua.
Avevamo imboccato un vicolo che pareva il deposito della nettezza urbana,
Moss accostò e quando scesi dall'auto l'odore di piscio di gatto mi fece
venire la nausea.
- Coraggio! Mi disse Moss fermo davanti al 4037 di st.Joseph Street con
l'indice ficcato in un campanello la cui targhetta diceva: "Madame Valenska:
medium, cartomante".
Presi Moss per un braccio cercando di impedirgli di suonare ancora, ma la
porta era già scattata e Moss con un sorriso divertito mi tirò dentro.
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- Non fare quella faccia, non mi dirai che hai paura delle maghe, vero? E'
una specie di collaboratrice che consulto per i casi più difficili, vorrei fare
due chiacchiere con mamma Rosa e suo figlio se possibile, ma per lui non so
se le comunicazioni siano già aperte, sai hanno dei tempi da rispettare anche
loro prima di poter entrare in contatto con i vivi.
Moss dovette richiudermi la mandibola pendula che era rimasta spalancata
mentre lo ascoltavo: morti, lui voleva parlare con i morti, capite? Mai in vita
mia rimpiansi tanto di aver saltato la scuola! Finchè si trattava di un morto
ammazzato, passi, ma questo mi sembrava ridicolo, o meglio, mi metteva
una fifa boia!
Già mi vedevo Madame Valenska con la sfera di cristallo, le mani sul
tavolino semovente che va in trance e parla con la voce cavernosa tipo
l'esorcista, no, io là dentro non ci volevo andare neanche dopo morto,
figuriamoci da vivo!
Tutto questo doveva leggersi molto chiaramente sulla mia faccia imberbe
visto che Moss mi alzò da terra come fossi una pianta d'appartamento e mi
depositò sullo zerbino di Madame Valenska dove già aspettava il suo "Mozz
garrrizzimo" come lo chiamò lei, prima di stampargli quattro paia di labbra
rosa antico sulle guance rilassate di Moss.
Ci fece entrare, cioè, Moss mi fece entrare, e invece di trovarmi nel classico
antro da maga Magò con tanto di tende frangiate, tavolini trigambici,
candele accese da atmosfera occulta, mi sembrò di entrare nelle pagine di
una rivista d'arredamento: tutto molto hi-tech, bianchissimo, con giochi di
luci e trasparenze, mobili in plexiglas e marmo rosa, geometrie essenziali e
purezza di linee. Non era molto grande ma sembrava che ogni ambiente ne
generasse un altro con un effetto labirintico.
Anche la maga non aveva per niente l'aspetto della classica maga, le
mancava il turbante e la chincaglieria che di solito si mettono addosso,
portava un semplice completo di seta bianca e i capelli li teneva raccolti
sulla nuca con un fermaglio a forma di farfalla; quando però una manica di
quel kimono le scivolò lungo il braccio sinistro, scoprì un inquietante
tatuaggio con un teschio dai bulbii oculari invasi da serpenti che mi fece
ricordare i morti, le voci, l'esorcista e m'impietrì in mezzo alla stanza. Moss
invece le volteggiava intorno come un ballerino russo senza sospensorio e
questo mi diceva che la madame doveva essere qualcosa di più che una
semplice collabolatrice.
Ci fece sedere per terra attorno a un cubo di plastica con una luce verdina
dentro, la Valenska si sciolse i capelli ramati e li rovesciò sul cubo lasciando
che le coprissero il volto, poi prese le nostre mani, le strinse intorno ai
capelli e cominciò a sussurrare: mammarosamammarosamammarosa... Io mi
vedevo riflesso nel cubo verde come fossi un ectoplasma e mi aspettavo che
mamma Rosa uscisse da lì ululando, ma dopo cinque minuti di sussurri la
luce verdina si spense e tornò quella diffusa.
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Madame Valenska si raccolse i capelli e guardò Moss dicendogli che
mamma Rosa non poteva parlare per il troppo dolore, le aveva solo mostrato
una lettera e una chiave.
Tornammo all' ufficio-appartamento di Moss che frugò tra la posta e prese
una busta che gli aveva mandato lo stesso Pesci. Intanto il suo cadavere era
sparito lasciando solo una sagoma bianca tracciata col gesso, Moss mi
riprese per un braccio e mi fece salire ancora in macchina.
- Ti lascio alla Deutsche Bank, prendi questa e portami quello che trovi in
quella cassetta di sicurezza, svelto!
Mi consegnò una piccola chiave con un numero sopra, quando tornai avevo
un pacco di carta grezza da macellaio, chiuso con un paio di graffette. Moss
l'aprì e tirò fuori un'audiocassetta e un'altro pezzo della stessa carta ma un
po' macchiata con su scritto qualcosa in una calligrafia incerta.
« Spalla di maiale al Porto»
Ingredienti per 16 - 18 persone
spalla di maiale...kg.5
burro..............gr.100
funghi secchi......gr.25
Una bottiglia di Porto, una carota, una cipolla, sedano, basilico,
prezzemolo, alloro, farina, sale, pepe.
Mettere a bagno la carne la notte prima in acqua fredda, tritare gli odori,
scolare la spalla, metterla in casseruola con gli aromi, i funghi, il Porto e
l'acqua filtrata. Cuocere per circa quattro ore a fuoco lento. Sgrassare il
sugo, portarlo a ebollizione aggiungendovi il burro lavorato con la farina
finché sarà denso e versarlo in una salsiera.
Mentre Moss leggeva a voce alta aveva inserito la cassetta nel mangianastri,
schiacciò PLAY e dopo strani fruscii si sentì la voce di Frank Pesci.
«Se state ascoltando questo nastro probahbilmente io sarò già morto. Joe
Trevis voleva impossessarsi della ricetta segreta di mia madre e poi
eliminarmi, ma uno dei suoi uomini lo ha tradito rivelandomi la sua allergia
ai chiodi di garofano che assunti anche in minima quantità gli provocano
una gastrite perforante. Tutti i giovedì Trevis viene da noi per gustarsi la
spalla di maiale al Porto, confesso di aver alterato gli ingredienti
sostituendo al tocco segreto di mammà un etto di chiodi di garofano
causando, spero, la morte di Joe Trevis. Il caso è risolto detective Morton,
ho solo accelerato il corso della giustizia.
Il segreto che mia madre mi confessò sul letto di morte con il sorriso sulle
labbra nacque in realtà da un errore, mescolando infatti per sbaglio con un
cucchiaio sporco di burro di arachidi, diede al sugo quel gusto così
pastoso e trovandolo particolare ne corresse la dose fino ad aggiungere
quel sapore che nessuno si sapeva spiegare. Continuerò a domandarmi per
l'eternità se ne è valsa la pena morire per un cucchiaio di burro di
arachidi.»
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Era giovedì ed era l'una passata. Moss mise in moto e si precipitò al
ristorante Pesci, già da lontano si sentivano le sirene e quando arrivammo le
luci blu dell'ambulanza invadevano la strada. Trevis era scivolato sotto il
tavolo in preda agli spasmi, Moss si fece largo tra la folla e in cambio del
segreto di mamma Rosa strappò a Trevis la confessione dell'omicidio di
Frank Pesci. Joe Trevis prima di accartocciarsi su se stesso in un rantolo
finale disse con lo stesso sorriso che doveva aver avuto mamma Rosa: Burro di arachidi? ...Io ho sempre odiato il burro di arachidi.
- Anch'io. Disse Moss, ma ormai Trevis non poteva più sentirlo.
Un mese dopo questo duplice omicidio incrociato mi ritrovai con
un'insufficienza in matematica ma socio paritario del vivaio di trote
salmonate della ditta "Henry & Moss Fish and Service".
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