Università e della Ricerca

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Ministero dell’Istruzione dell’’Università e della Ricerca
ESAME DI STATO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
Indirizzo: ITCM – CHIMICA, MATERIALI E BIOTECNOLOGIE
ARTICOLAZIONE CHIMICA E MATERIALI
Tema di: TECNOLOGIE CHIMICHE INDUSTRIALI
ESEMPIO PROVA
Il candidato svolga la prima parte della prova e risponda a due tra i quesiti proposti nella seconda
parte.
PRIMA PARTE
In uno stabilimento industriale si produce olio di semi di soia per estrazione con un solvente
selettivo.
La materia prima, preventivamente macinata e condizionata, si alimenta ad un estrattore continuo
che utilizza un solvente proveniente dalla sezione di riciclo dell’impianto che deve essere
reintegrato con solvente fresco per compensare le perdite. Dopo l’estrazione, estratto e residuo
procedono verso ulteriori lavorazioni.
Il candidato disegni lo schema dell’impianto idoneo a realizzare l’operazione di estrazione proposta,
completo delle apparecchiature accessorie (pompe, valvole, serbatoi, ecc.) e delle regolazioni
automatiche principali rispettando, per quanto possibile, la normativa UNICHIM.
SECONDA PARTE
1)
Si supponga che, il prodotto vegetale trattato nello stabilimento industriale sopra citato, abbia una
portata di 950 kg/h e venga sottoposto ad estrazione in unico stadio di equilibrio con solvente
organico puro.
La concentrazione iniziale di olio di soia è del 30% m/m, il resto è inerte.
Per tale operazione di estrazione si utilizza tre volte la quantità minima di solvente.
Si può ritenere che l’equazione y = 0,4 – 0,5x, dove è x frazione in massa di soluto e y quella del
solvente, rappresenti la composizione di equilibrio del corpo di fondo con la soluzione.
Calcolare la composizione di estratto e residuo e la portata del solvente. Utilizzare, a libera scelta, il
metodo grafico o quello algebrico.
Tralasciando, per economia di spazio, la soluzione grafica del problema (soluzione ampiamente sviluppata nel 3°
volume del libro di testo, a pag. 344 della 1a ediz. e a pag. 301 della 2a ediz.), utilizzeremo per la soluzione del quesito
il metodo algebrico. Esso si basa sulla soluzione dei bilanci di materia applicati allo stadio di estrazione. Poiché sono
presenti tre sostanze, soluto (olio), solvente e solido inerte (parte insolubile dei semi), sarà possibile scrivere tre
equazioni indipendenti che esprimono i tre bilanci di materia parziali oppure un bilancio globale e due bilanci parziali.
Avremo cioè, indicando con le lettere R0 ed S rispettivamente le portate di solido (semi macinati) e solvente entranti e
con le lettere R ed E le portate di solido e di estratto uscenti dall’estrattore, nonché con i simboli x ed y le
concentrazioni di soluto e di solvente (espresse come frazione in massa) relative a ciascuna corrente:
1. Bilancio globale
R0 + S = E + R
(1)
2. Bilancio sul soluto (olio)
1
(2)
R0 ⋅ x R0 = E ⋅ x E + R ⋅ x R
3.
Bilancio sul solvente
S = E ⋅ yE + R ⋅ yR
(3)
A queste tre equazioni è possibile aggiungere altre tre relazioni che esprimono rispettivamente:
4. Condizione assenza solido inerte nell’estratto E
xE + yE = 1
(4)
5. Condizione relativa alla composizione del solido uscente (retta dei residui)
y R = 0. 4 − 0. 5 ⋅ x R
(5)
6. Condizione relativa all’uguaglianza delle composizioni della fase liquida, trattenuta dal solido uscente R, e
dell’estratto E
R ⋅ xR
= xE
(6)
R − R0 ⋅ 1 − x R0
(
)
Prima di procedere con la soluzione, ricaviamo da (1), (2) e (3) la portata di solvente minima. Riscriviamo gli stessi
bilanci imponendo la condizione che, in presenza di portata minima di solvente Smin, la quantità estratto E uscente
dall’estrattore sia nulla (ossia tutto il solvente è assorbito dal solido). Avremo:
R0 + S min = Rmin
(7)
R0 ⋅ x R0 = Rmin ⋅ x Rmin
(8)
S min = Rmin ⋅ y Rmin
(9)
Sostituendo la (7) nella (8) e nella (9) otteniamo, utilizzando la (5):
R0 ⋅ x R0 = (R0 + S min ) ⋅ x Rmin
(10)
(
S min = (R0 + S min ) ⋅ 0.4 − 0.5 ⋅ x Rmin
)
Ricavando da (10) xRmin e sostituendo in (11):
R0 ⋅ x R0

S min = (R0 + S min ) ⋅  0.4 − 0.5 ⋅

R0 + S min

E quindi:
S min ⋅ (1 − 0.4 ) = 0.4 ⋅ R0 − 0.5 ⋅ R0 ⋅ x R0
(11)




Ossia, sostituendo ai simboli R0 ed xR0 i valori forniti dalla traccia, 950 kg/h e 0.3:
kg
kg
0.4 ⋅ 950
− 0.5 ⋅ 950 ⋅ 0.3
kg
h
h
S min =
= 395.8
(1 − 0.4)
h
La portata di solvente effettivamente alimentata all’impianto sarà pertanto:
kg
kg
= 1187.4
S = 3 ⋅ S min = 3 ⋅ 395.8
h
h
Il problema, a questo punto, è solo quello di risolvere il sistema delle equazioni (1)…(6) con il classico metodo di
sostituzione. Armandosi di un po’ di pazienza arriveremo alla fine ad ottenere i seguenti valori per le sei incognite:
kg
kg
R = 1161.1
E = 976.3
h
h
x E = 0.193
y E = 0.806
x R = 0.0827
y R = 0.359
2)
In relazione al processo d’estrazione proposto, illustrare brevemente le tipologie delle
apparecchiature per l’estrazione solido/liquido e individuare quelle più adatte. Discutere anche delle
possibili condizioni operative (T, P di esercizio, ...) e individuare qualitativamente quelle più adatte
allo scopo.
I processi di estrazione solido/liquido (detti anche lisciviazione) sono strettamente legati (in termini di resa, ossia della
percentuale di soluto recuperato rispetto a quella originariamente presente nel solido) ad un certo numero di parametri.
Precisamente:
1. Tipo di apparecchio
2. Tipo di solvente
2
3. Quantità di solvente
4. Temperatura del solvente
5. Tempo di estrazione
La pressione di esercizio non è di norma un fattore determinante a meno che si utilizzino come solventi fluidi in
condizioni supercritiche ossia sostanze a pressione e temperatura superiori ai corrispondenti valori critici. In tali
condizioni la pressione influisce notevolmente sia sulla capacità solvente che sulla densità e viscosità del fluido nonché
sul coefficiente di diffusione del soluto.
Le tipologie di apparecchi utilizzati per l’estrazione sono numerose, ma sostanzialmente possiamo classificarle in tre
gruppi: a percolazione, a dispersione (o immersione) e miste; per tutti i gruppi gli impianti possono essere sia continui
che discontinui. Il procedimento a percolazione si realizza facendo piovere sulla massa del solido il solvente di lavaggio
in maniera tale che questo venga a contatto con tutto il solido senza riempire però completamente gli spazi esistenti tra
le particelle che rimangono sostanzialmente ferme le une rispetto alle altre. Nel sistema a dispersione le particelle solide
si muovono sia rispetto al solvente che tra di loro. In genere il processo si realizza immergendo completamente il solido
nel solvente. È evidente che per realizzare il procedimento a percolazione le particelle solide devono possedere una
certa grandezza per permettere il drenaggio del solvente. La differenza sostanziale tra le due tipologie di apparecchi
risiede nella velocità con cui il solvente viene a contatto con la massa solida. Il procedimento a percolazione opera, di
norma, con forti velocità di passaggio del solvente (brevi tempi di contatto) mentre in quello a dispersione si realizzano
velocità più basse e quindi tempi di contatto più lunghi. È chiaro che il procedimento a percolazione si presta bene per
estrarre l’olio presente in forma libera in un seme oleoso, ossia quello che è fuoriuscito dalle cellule oleifere a causa
della preventiva macinazione e/o laminazione cui i semi sono stati sottoposti. Il procedimento a dispersione si presta
meglio per estrarre, per diffusione, l’olio dalle cellule ancora integre. La percolazione si applica bene ai semi oleosi ben
preparati e che contengono basse percentuali di inerti mentre il procedimento ad immersione si utilizza in tutti quei casi
dove i semi oleosi sono in piccolissima pezzatura e contengono alte percentuali di inerti.
Il tipo di solvente adoperato è un altro parametro che influisce sulla resa di estrazione. Ad ogni solvente è associato un
certo potere solvente rispetto al soluto, al cui aumentare aumenta la velocità e, contemporaneamente, la resa di
estrazione. I solventi più usati per l’estrazione dell’olio dai semi oleosi sono l’esano, la benzina solvente, la trielina
(tricloroetilene) e il solfuro di carbonio. La trielina è la sostanza col miglior potere solvente seguita dal solfuro di
carbonio, dalla benzina solvente e dall’esano. Tuttavia una capacità solvente elevata si accompagna sempre a una scarsa
selettività. In altri termini, negli oli estratti con trielina sono sempre presenti altre sostanze (resinoidi, fosfatidi,
amminoacidi, acidi organici) che non hanno nulla a che vedere con i gliceridi. Nella scelta del solvente più adatto a
ottenere la migliore qualità di olio, la scelta non può che cadere sull’esano e le benzine solventi. Ciò anche per tener
conto di altri parametri quali: tossicità e pericolosità (da questo punto di vista il solfuro di carbonio è assolutamente da
scartare), corrosività (trielina), basso punto di ebollizione e basso calore latente di evaporazione (esano e benzina
solvente). Queste ultime variabili, in particolare, influenzano l’economicità della successiva operazione di separazione
dell’olio dal solvente adoperato, operazione che di norma avviene per evaporazione o distillazione in corrente di vapore.
Questi sono i motivi che spiegano perché in tutto il mondo l’estrazione degli oli di semi venga eseguita con l’esano o le
benzine solventi. Il tricloroetilene potrà trovare impiego soltanto nei casi in cui è assolutamente necessario impiegare
prodotti non infiammabili e quando la qualità dell’olio non interessa.
A parità di altri fattori (tipo di apparecchio, solvente, tempo e temperatura) il quantitativo di solvente ha una grande
influenza sul procedimento di estrazione dell’olio da un seme fino a quando il rapporto (peso-volume) seme:solvente è
inferiore a 1:18. Aumentando questo rapporto oltre tale valore la resa di estrazione aumenta molo poco. Tale
quantitativo, inoltre, non è lo stesso per tutti i tipi di seme per ottenere la stessa resa di estrazione. In generale i semi a
fibra legnosa (uva e sanse di olive) richiedono un maggior quantitativo di solvente di lavaggio per raggiungere gli stessi
rendimenti di olio.
Come è prevedibile, l’aumento della temperatura del solvente di lavaggio favorisce l’estrazione dell’olio da un seme
oleoso. Questo perché migliora il potere solvente, diminuisce la viscosità del liquido e aumenta il coefficiente di
diffusione dell’olio. Si è tuttavia osservato che, per alcuni tipi di semi, oltrepassando la temperatura di 50 °C, si ha un
regresso del potere solvente.
Il tempo di estrazione ha anch’esso una importanza fondamentale sul quantitativo di olio estratto. In particolare la
maggiore quantità di olio viene estratta nei primi 30 minuti. Per raggiungere residui in olio inferiori all’1% in un seme
oleoso occorrono tempi molto lunghi anche se ogni seme si comporta in modo diverso dagli altri durante il
procedimento di estrazione. Durante il contatto tra seme e solvente avvengono simultaneamente due processi di
estrazione con diversa velocità. La maggior parte dell’olio facilmente estraibile (quello proveniente dalle cellule oleifere
rotte nei preventivi procedimenti di macinazione, riscaldamento, spremitura o laminazione) si solubilizza rapidamente
nel solvente (estrazione per soluzione). La frazione di olio più difficile da estrarre proviene dalle cellule ancora integre e
passa nella fase liquida attraverso un processo di diffusione (estrazione per diffusione). Sperimentalmente si è
constatato che, fino a valori di contenuto di olio del 5% nel seme, la relazione tra tempo di estrazione e percentuale di
3
olio residuo è di tipo lineare. Oltre tale valore, la funzione assume un andamento curvilineo di tipo esponenziale (ossia
il residuo di olio tende asintoticamente a zero al crescere del tempo).
3)
L’alcol etilico da fermentazione, il “bioetanolo”, costituisce un combustibile ottenuto da fonti
rinnovabili. Dal processo di fermentazione si ottiene però una soluzione acquosa diluita. Per poterlo
addizionare alle benzine carburanti deve essere anidro. Discutere sinteticamente gli aspetti, sia
teorici sia applicativi, per ottenere etanolo ad alto titolo e, addirittura, anidro.
Dalla fermentazione delle materie prime contenenti carboidrati (melasso, frutta, cereali, patate, ecc.), eventualmente
preceduta dalla operazione di saccarificazione se gli zuccheri sono presenti in forma complessa (amido o cellulosa), si
ottiene una soluzione idroalcolica diluita, chiamata vino, ad una gradazione di 8-10° alcolici. Tale soluzione deve
normalmente essere concentrata per gli impieghi successivi sia in campo industriale che alimentare. La concentrazione
è inoltre necessaria anche per ridurre il volume di liquido che deve essere stoccato e viene di norma eseguita distillando
uno o più volte il vino fino ad ottenere un prodotto che rispetti le specifiche commerciali richieste.
Nel caso in cui si desideri produrre alcol per uso alimentare (il cosiddetto alcol buongusto) vengono in genere effettuate
4 distillazioni successive per concentrare e purificare l’alcol fino a che la composizione di quest’ultimo rientri nei limiti
di legge. La prima distillazione viene attuata in una colonna a piatti priva del tronco di arricchimento (chiamata colonna
distillatrice) che ha il compito di allontanare dal fondo buona parte dell’acqua (le cosi dette borlande) restituendo dalla
testa un alcol di media concentrazione ancora altamente impuro chiamato flemma. Le impurità sono costituite dai
prodotti secondari del metabolismo dei lieviti e derivano in parte dalla materia prima e in parte dal ceppo di lieviti
utilizzato. Esse si dividono in due gruppi: impurità di testa, che distillano ad una temperatura inferiore a quella
dell’alcol puro (78.3 °C) e impurità di coda che bollono a temperatura superiore. Delle prime la più comune è l’aldeide
acetica (teb 21 °C) mentre tra le seconde vi è il furfurolo (aldeide furfurica, teb 162 °C ). Le impurità di testa vengono
eliminate nella seconda colonna di distillazione dell’impianto, la colonna epuratrice. Il prodotto che si ottiene dal fondo
della epuratrice viene distillato una terza volta, in una colonna chiamata rettificatrice che provvede a separare le
impurità di coda. Dalla testa della rettificatrice si ottiene alcol ad elevata gradazione che contiene però ancora (in
percentuali variabili che dipendono principalmente dal tipo di materia prima utilizzata) un inquinante molto pericoloso
per la salute, l’alcol metilico. Quest’ultimo pur possedendo un punto di ebollizione inferiore a quello dell’alcol etilico
(teb 66 °C) , non può essere eliminato completamente nella colonna epuratrice perché costituisce una cosiddetta impurità
ibrida. La sua volatilità, cioè, cambia al variare della gradazione alcolica della soluzione in cui è contenuto. In soluzioni
alcoliche diluite esso si comporta come impurità di coda, mentre diventa impurità di testa quando la gradazione alcolica
aumenta. L’alcol metilico viene completamente separato eseguendo una ulteriore distillazione del prodotto in uscita
dalla testa della rettificatrice in una colonna chiamata, appunto, demetilante. L’alcol buongusto così ottenuto possiede
una gradazione di 95 °alcolici circa, prossima a quella dell’azeotropo acqua-alcol (97 °alcolici) e viene di norma diluito
ed utilizzato nella preparazione di liquori, infusi ecc.
È evidente che, se l’alcol deve essere utilizzato in campo industriale come reattivo, solvente o combustibile (o additivo
per combustibili) nei motori a ciclo Otto, le suddette operazioni di purificazione sono in parte inutili. Sarà comunque
necessaria una prima distillazione che avrà la funzione di concentrare al massimo il vino di partenza, portando la
gradazione alcolica prossima al valore azeotropico acqua-alcol. A questo punto, se si desidera ottenere alcol assoluto,
occorrerà sottoporre il prodotto ad una seconda distillazione, detta azeotropica, che, in presenza di un terzo componente
(normalmente benzene) introdotto qualche piatto al di sotto della sommità della colonna, consente di ottenere dal fondo
alcol etilico assoluto (a 100 °alcolici). Dalla testa della colonna si ottiene un azeotropo ternario (etanolo-acqua-benzene,
teb 65 °C) i cui vapori, dopo condensazione, danno origine a due fasi liquide sovrapposte. Quella superiore, costituita
prevalentemente da benzene (89% in peso), viene riutilizzata nella colonna azeotropica come benzene di riciclo Quella
inferiore, più povera di benzene, viene sottoposta ad una terza distillazione per separare completamente il benzene dalla
testa (sempre sotto forma di azeotropo ternario) dal residuo di fondo costituito da una miscela 50/50 di acqua-alcol
etilico. Una quarta, ed ultima, distillazione compiuta su tale residuo consente di separare l’azeotropo binario acqua-alcol
in testa (addizionato all’alimentazione della colonna azeotropica) dall’acqua sul fondo, inviata allo scarico.
4)
L’idrogeno è il componente comune di alcune miscele gassose denominate “gas di sintesi”. Il
candidato descriva le possibili materie prime e i possibili processi, soffermandosi in particolar modo
sugli aspetti termodinamici ed cinetici. Di uno a sua scelta, descriva le varie fasi di lavorazione
raccogliendole anche in uno schema a blocchi.
L’idrogeno può essere prodotto industrialmente in diversi modi:
4
•
Per elettrolisi dell’acqua
•
Per frazionamento dei gas di cokeria
•
Per gasificazione del carbone con vapor d’acqua
•
Per reforming di idrocarburi
Il processo di elettrolisi viene condotto sciogliendo nell’acqua (che ha una conducibilità bassissima) un opportuno
elettrolita. Le soluzioni di acido solforico sono quelle che presentano una conduttività elettrica specifica superiore a
quelle di altri elettroliti ma la corrosione derivante dall’esercizio in bagno acido fa preferire l’impiego di soluzioni
alcaline. In pratica si utilizzano soluzioni di KOH al 28%, concentrazione cui compete la massima conduttività elettrica
specifica, ovvero la massima velocità di migrazione degli ioni. Al catodo avviene la scarica dello ione idrogeno che ha
un potenziale di riduzione più elevato rispetto a quello dello ione potassio:
E(H+/H2) = -0.83V
(pH = 14)
All’anodo l’unica reazione possibile è la scarica dello ione ossidrile:
4OH − → 2 H 2 O + O2 + 4e −
E(O2/OH-) = +0.4V
(pH = 14)
Per cui la tensione necessaria per far avvenire la reazione è di 1.23V. In pratica questa tensione è più elevata, fino a
2.2V, a causa delle perdite energetiche dovute alla sovratensione agli elettrodi, polarizzazione di concentrazione, ecc.
La reazione complessiva è quindi:
H 2 Oliq → H 2, gas +
1
kcal
O2, gas − 68.4
2
mol
Il calore di reazione viene fornito dall’energia elettrica. Il catodo è costruito in ferro (acciaio dolce) mentre l’anodo è in
ferro nichelato per proteggerlo dall’attacco dell’ossigeno.
Il processo di elettrolisi è estremamente costoso, se confrontato con le altre metodologie di produzione, per cui si
utilizza solo per piccole quantità o quando si voglia ottenere idrogeno ad elevato grado di purezza (dal 99.9 al 99.98%).
Nella distillazione secca del carbon fossile, eseguita nelle cokerie, si producono il coke metallurgico, il catrame di
cerbon fossile, le acque ammoniacali e un gas, detto gas di cokeria. Il gas di cokeria ha la seguente composizione
media: H2 50-60%, CH4 25-30%, N2 5-10%, CO 7-9%, CO2 2-3%, H2S 0.5-0.8%, altri idrocarburi 0.5-1%. Il gas,
preventivamente desolforato, viene privato del benzene, dell’anidride carbonica e dell’umidità, prodotti questi che, nel
successivo forte raffreddamento, solidificherebbero ostruendo le tubazioni dell’impianto. Dopo un iniziale
raffreddamento a -40 °C, il gas subisce raffreddamenti successivi a temperature sempre più basse che faranno
condensare in sequenza etilene, metano ed ossido di carbonio. Le ultime tracce di CO vengono eliminate tramite
lavaggio con azoto liquido. Nel complesso il processo di separazione può essere considerato una condensazione
frazionata che lascia allo stato gassoso il componente che ha il punto di condensazione più basso, ossia l’idrogeno che a
1 atm condensa a -252.8 °C.
Gli ultimi due processi che permettono di produrre idrogeno consentono in realtà di ottenere una miscela costituita da
ossido di carbonio e idrogeno (contenente eventualmente anche azoto), detta syngas, utilizzabile per la sintesi
dell’ammoniaca o del metanolo.
Il processo di gasificazione sfrutta
C + 2 H 2 O ↔ CO2 + 2 H 2 − 21kcal
i
seguenti
due
equilibri
tra
carbon
fossile
e
vapor
d’acqua:
C + H 2 O ↔ CO + H 2 − 31kcal
Le reazioni vengono condotte ad alta temperatura su carbone rovente. Oltre agli equilibri su scritti nel gasogeno sono
presenti altri due equilibri. Quello del gas d’aria:
C + CO2 ↔ 2CO − 41kcal
E quello cosiddetto del gas d’acqua:
CO2 + H 2 ↔ CO + H 2 O − 9.8kcal
L’atmosfera del gasogeno contiene dunque CO2 + CO + H2 + H2O in percentuali variabili a seconda del valore assunto
dalle costanti dei quattro equilibri su scritti e che dipenderanno quindi dalla temperatura del forno. A 800 °C il gas
contiene CO 43.6%, CO2 2.32%, H2 48.24% H2O 5.84%.
Si noterà che tutte le reazioni indicate (e in particolare le prime due che portano alla formazione di idrogeno) sono
endotermiche. Esse sono quindi favorite ad alta temperatura e richiedono che sia fornito calore al sistema. Ciò in pratica
5
si realizza con un sistema intermittente. Cioè dapprima si invia una corrente di aria che attiva la combustione del
carbone fino a raggiungere la temperatura desiderata. Si sospende quindi l’insufflazione di aria e si invia il vapor
d’acqua raccogliendo a parte i gas prodotti. In questa fase la temperatura scende, per cui, quando essa ha raggiunto 600700 °C, si sospende la gasificazione e si manda nuova aria, e così via.
Il reforming degli idrocarburi (in particolare CH4) può avvenire in due modi, ovvero attraverso i due equilibri:
CH 4 + H 2 O ↔ CO + 3H 2 − 49.3kcal
(1)
1
CH 4 + O2 ↔ CO + 2 H 2 + 8.6kcal
(2)
2
Il primo processo (reforming con vapore d’acqua) sfrutta un equilibrio endotermico che, per essere spostato
completamente a destra, deve essere condotto a temperature superiori ai 900 °C. Tuttavia la cinetica del processo a tale
temperatura richiede l’uso di un catalizzatore (nichel supportato su allumina) mentre se si sale con la temperatura a
1200 °C ed oltre l’uso del catalizzatore non è più necessario. Tuttavia 900 °C è la temperatura limite cui può essere
sottoposto un acciaio speciale per cui esistono due modi di condurre la reazione:
▫ Mettendo il catalizzatore in un tubo posto all’interno di un forno in cui viene bruciato olio combustibile
per riscaldare dall’esterno la miscela reagente;
▫ Introducendo nei gas di reazione, insieme al metano e al vapor d’acqua, anche ossigeno puro od aria per
bruciare parte del metano e generare così il calore necessario alla reazione (1).
Esiste poi una via di mezzo che consiste nell’utilizzare due reattori. Il primo (reformer primario) funziona con
catalizzatore posto in un tubo riscaldato dall’esterno tramite gas di combustione caldi a circa 950 °C. All’uscita dal
primario la miscela reagente, contenente ancora CH4 non convertito, viene addizionata con O2 puro od aria, per bruciare
nel reformer secondario (costituito da un serbatoio rivestito di materiale refrattario) parte del metano residuo, facendo
così salire la temperatura oltre i 1200 °C e convertendo completamente il CH4 ancora presente.
Il secondo processo (reforming con ossigeno od aria) sfrutta l’equilibrio esotermico (2) che in realtà può essere
considerato somma delle tre reazioni seguenti:
CH 4 + 2O2 → CO2 + 2 H 2 O + 210kcal
CH 4 + H 2 O ↔ CO + 3H 2 − 49.3kcal
(3)
CH 4 + CO2 ↔ 2CO + 2 H 2 − 59.1kcal
(4)
In questo caso non occorre fornire calore al sistema che è autosufficiente dal punto di vista energetico (reforming
autotermico) tuttavia esiste sempre il problema (esattamente opposto rispetto al caso precedente) di definire la
temperatura ottimale di reazione. Infatti per temperature superiori a 1200 °C la conversione del CH4 è troppo bassa
(data l’esotermicità della (2)) mentre per temperature inferiori a 900 °C la cinetica degli equilibri (3) e (4) (che sono
quelli che portano ai prodotti di reazione desiderati) non è accettabile. Per questo motivo sono stati sviluppati due tipi di
processi per il reforming con O2: processi catalitici (che sfruttano come catalizzatore nichel supportato su ossido di
magnesio) che lavorano a temperature tra 800 e 1000 °C, e processi non catalitici (a fiamma libera) che operano in
assenza di catalizzatore a temperature comprese tra 1200 e 1400 °C con conversioni inferiori a quelle dei processi
catalitici. Il vantaggio dei processi non catalitici sta nella loro flessibilità e nella loro economicità in quanto il
catalizzatore tende facilmente ad avvelenarsi per la presenza di composti solforati (H2S, CS2, COS, RSH) e a
disattivarsi per la deposizione di coke dovuta alla decomposizione termica del CH4 termodinamicamente favorita a
temperature superiori a 890 °C (ad 1 atm):
CH 4 ↔ C + 2 H 2 − 19kcal
Per questo motivo, nei processi catalitici, si aggiunge vapor d’acqua al metano in ingresso al reattore. L’H2O ha lo
scopo di aumentare la conversione del CH4 spingendo verso destra l’equilibrio (3), contribuisce ad un migliore controllo
della temperatura nel reattore e contemporaneamente favorisce la scomparsa del nerofumo tramite l’equilibrio:
C + H 2 O ↔ CO + H 2 − 31kcal
La pressione di esercizio, in entrambi i processi di reforming, è in genere intorno alle 30 atm. Il motivo di questa scelta
(contraria alla termodinamica di tutti e due gli equilibri (1) e (2) che avvengono entrambi con raddoppio di volume) sta
nel fatto che il metano è di norma disponibile già sotto pressione e che utilizzando vapor d’acqua sotto pressione oppure
comprimendo una piccola quantità di O2 o di aria è possibile raddoppiare la pressione dei gas in uscita dal reattore senza
nessuna spesa ulteriore. Lavorare sotto pressione, infine, migliora la cinetica dei processi (perché aumenta la
concentrazione dei reagenti) nonché riduce il volume delle apparecchiature utilizzate. Inoltre le operazioni che vengono
condotte a valle del reforming (l’eliminazione della CO2 e la sintesi di NH3 e metanolo) devono essere condotte sotto
pressione per cui l’esercizio sotto pressione viene di norma preferito.
L’operazione successiva al reforming è in genere (tranne che nella sintesi del metanolo) la conversione del CO tramite
l’equilibrio:
CO + H 2 O ↔ CO 2 + H 2 + 9.8kcal
La conversione del monossido di carbonio si mantiene elevata (pari all’incirca al 100%) fino a che la temperatura nel
reattore è inferiore ai 450 °C. Per avere una cinetica apprezzabile a queste temperature occorre utilizzare un
catalizzatore che è Fe2O3 attivato da Cr2O3. Il catalizzatore è disposto su strati successivi intervallati da raffreddamenti
intermedi (come si verifica, ad esempio, nella conversione dell’SO2 o nella sintesi del metanolo). La pressione di
esercizio (ininfluente per la termodinamica del processo) è quella utilizzata nel reformer.
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L’ultima fase del processo è l’allontanamento dlla CO2 dai gas di reazione. Ciò viene realizzato tramite lavaggi del gas
con acqua fredda o con acqua contenente disciolte sostanze a carattere basico (carbonati, K2CO3 o Na2CO3,
etanolammine come MEA, DEA, TEA) capaci di reagire con la CO2 aumentandone la solubilità in fase liquida:
H 2 N (CH 2 CH 2 OH ) + CO2 + H 2 O ↔ H 3 N + (CH 2 CH 2 OH ) + HCO3−
Le ultime tracce di CO e CO2 contenute nel gas possono essere eliminate (o comunque ridotte a meno di 10 ppm)
tramite un trattamento detto di metanazione. Esso consiste nel realizzare i seguenti equilibri:
CO + 3H 2 ↔ CH 4 + H 2 O + 59.2kcal
CO2 + 4 H 2 ↔ CH 4 + 2 H 2 O + 39.4kcal
L’idrogenazione viene condotta su catalizzatore a nichel.
___________________________
Durata massima della prova: 6 ore.
Durante lo svolgimento della prova è consentito soltanto l’uso:
− di manuali relativi alle simbologie UNICHIM;
− di tabelle con dati numerici e diagrammi relativi a parametri chimico-fisici;
− di mascherine da disegno e di calcolatrici non programmabili;
Non è consentita la consultazione di libri di testo.
È consentito l’uso del dizionario di italiano.
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