MELATONINA E RITMICITA` COMPORTAMENTALE NELL`UOMO

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MELATONINA E RITMICITA` COMPORTAMENTALE NELL`UOMO
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
Maurizio Nordio
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Introduzione
La ghiandola pineale
Il ruolo della luce
Modalita’ di trasferimento del segnale “melatonina”
Azioni periferiche della melatonina
Fattori che influenzano i livelli plasmatici di melatonina
Cenni sull’uso della melatonina in terapia
Farmacocinetica e biodisponibilita’
Tossicità, effetti indesiderati e controindicazioni
Conclusioni ed indicazioni future
Riferimenti bibliografici
INTRODUZIONE
La chiave che ha permesso lo sviluppo e la costante evoluzione della vita sulla Terra,
è stata la rotazione terrestre e la conseguente esposizione ritmica alla luce del sole. Ciò ha
permesso l’alternarsi di notte e giorno e delle stagioni. Pertanto non stupisce il fatto che gli
organismi viventi abbiano sviluppato sistemi assai efficaci in grado di percepire la ciclicità
dell’ambiente esterno e quindi la presenza (o assenza) della luce e la sua durata nelle 24 ore
e adattare di conseguenza le proprie attività giornaliere e stagionali alle variazioni ritmiche
dell’ambiente circostante. Tale capacità di adattamento è, in ultima analisi, la chiave di volta
per una migliore probabilità di sopravvivenza e quindi per la massima diffusione della
specie. Quindi, in termini di efficacia del processo evolutivo, l’organismo in grado di
adattarsi meglio ha maggiori probabilità di resistere con successo alle mutevoli condizioni
ambientali. La corretta espressione di tale capacità necessita innanzitutto della presenza di
un sistema endogeno che, come detto, possa riconoscere le variazioni cicliche dell’ambiente
circostante e comunicarle alle strutture incaricate della risposta. In questo senso, sia
nell’animale che nell’uomo, il cammino dell’evoluzione ha determinato lo sviluppo di un
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meccanismo molto fine in grado di registrare appunto le modificazioni ritmiche
dell’ambiente, soprattutto in termini di alternanza luce/buio, farle giungere facilmente ai
centri deputati alla decodifica e stimolare una risposta tale per cui il messaggio possa
arrivare in periferia alla singola cellula e determinare una risposta in senso adattativo che sia
in sincronia con le caratteristiche dell’ambiente esterno.
In tal senso, è ben noto che la luce viene considerata il più potente sincronizzatore dei
ritmi circadiani dell’uomo (Middleton et al. 2002). Essa trasporta 2 tipi di informazioni
differenti, entrambe importanti per la sopravvivenza dell’organismo considerato: la prima
riguarda informazioni relative alla forma tridimensionale degli oggetti, al colore e alla
percezione del movimento; la seconda è costituita da un segnale temporale riguardante la
durata del giorno e della notte. A causa di ciò, durante il processo evolutivo si sono
sviluppati 2 diversi sistemi di visione in tutti i vertebrati, in grado di distinguere i 2 tipi di
informazioni trasportate attraverso la radiazione luminosa: il cosiddetto “occhio laterale”
(che viene usato per la formazione delle immagini degli oggetti) ed il cosiddetto “terzo
occhio”, in grado di rilevare lo stimolo luminoso in termini di alternanza luce/buio. Negli
animali più evoluti e nell’uomo tale ultima struttura viene identificata con la ghiandola
pineale. Inoltre, studi molto recenti hanno potuto documentare la presenza, sulla superficie
della retina, di una popolazione di cellule non adatte alla visione, diverse dai “coni” e
“bastoncelli”, ma in grado di reagire allo stimolo luminoso e le cui fibre, attraverso il tratto
retinoipotalamico, raggiungono il Nucleo Sopra-Chiasmatico (NSC) (Gehering, 2005) il
quale viene ormai considerato il componente principale del cosiddetto “orologio biologico”
dell’organismo, con il compito di generare i ritmi circadiani tramite le istruzioni presenti nel
genoma (Buijs et al., 2003) in grado di attivare ritmicamente una serie assai complessa di
geni con il compito di codificare le proteine utili per la trasmissione del segnale che
determina l’attivazione dei meccanismi intracellulari.
Tuttavia, possedere una propria ritmicità circadiana intrinseca (che nell’uomo è di
circa 24.2 ore) non è sufficiente per il corretto funzionamento dell’organismo; infatti è
importante che tale ciclicità sia in sincronia con i ritmi dell’ambiente circostante. A questo
scopo, il messaggio ritmico generato dal nucleo soprachiasmatico viene successivamente
trasmesso ad una struttura endocrina in grado di riceverlo e reagire allo stimolo nervoso
mediante la produzione ormonale che viene diffusa a livello sistemico. Si tratta della
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ghiandola pineale (o epifisi) e del suo principale prodotto di secrezione, la melatonina che
chimicamente è un indolo (N-acetil-5-metossitriptamina) e deve il proprio nome agli effetti
sulla pigmentazione cutanea degli anfibi. L’interconnessione di strutture quali la retina, il
nucleo soprachiasmatico e la pineale costituisce ciò che viene comunemente definito come
“sistema fotoneuroendocrino” (Korf et al., 1998).
LA GHIANDOLA PINEALE
Unico organo endocrino in contatto con l’ambiente esterno tramite una complessa via
nervosa precedentemente ricordata (e per questo appunto denominato anche trasduttore
fotoneuroendocrino), l’epifisi svolge un’attività apparentemente assai semplice e cioè quella
di produrre sostanze, fra le quali la più importante è la melatonina, in risposta a stimoli
provenienti dal nucleo soprachiasmatico. In realtà esiste una sorta di discrepanza fra tale
“semplice” attività della pineale e la moltitudine di geni espressi ritmicamente e di segnali
intracellulari coinvolti in tale meccanismo. Dati non recentissimi della letteratura scientifica
suggeriscono che questa apparente discrepanza non sia altro se non, da un lato la conferma
dell’importanza che riveste la capacità di mantenere una adeguata ritmicità e sincronia delle
funzioni endogene per il buon funzionamento dell’organismo, dall’altro il preludio alla
identificazione di attività della pineale finora ignote (Maronde e Stehle, 2007).
La produzione di melatonina nel circolo periferico avviene seguendo un ben noto
ritmo circadiano che prevede valori plasmatici massimi (dell’ordine di circa 50-200 pg/ml)
durante le ore notturne e minimi durante quelle diurne (circa 2-10 pg/ml). Le fibre postgangliari del sistema simpatico provenienti dal ganglio cervicale superiore (che è collegato
con la retina) terminano a livello della membrana del pinealocita e regolano la sintesi di
melatonina mediante la liberazione di noradrenalina (o norepinefrina: NE) dal bottone
sinaptico. La liberazione di NE avviene durante le ore notturne. Successivamente al legame
della NE con il recettore -adrenergico sulla membrana del pinealocita si ha l’attivazione
dell’enzima adenilato-ciclasi e conseguente produzione di AMP-ciclico. Tale aumento
promuove la sintesi di proteine, fra le quali anche gli enzimi necessari per la sintesi di
melatonina ed in particolare l’enzima limitante N-acetiltransferasi (AA-NAT)(Klein, 2004).
Durante la fase di luce, l’attività elettrica del nucleo soprachiasmatico è elevata e in tali
condizioni la liberazione di NE risulta bassa. Al contrario, durante la fase di buio l’attività
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del NSC viene inibita, mentre la sintesi della melatonina è stimolata dall’aumento della NE.
All’interno del pinealocita, in seguito a stimolazione dei recettori adrenergici sulla
membrana cellulare, a partire dal triptofano, si ha la formazione di composti intermedi, fra i
quali anche la serotonina, in presenza di una serie di enzimi, di cui il principale è l’AA-NAT
che converte la serotonina in N-acetilserotonina, la cui attivazione ciclica è direttamente
dipendente dall’attività del nucleo soprachiasmatico, dalla informazione luminosa, oltre che
dalla ritmica trascrizione dei geni codificanti (Klein, 2007). Ne consegue che anche i
soggetti non vedenti, pur non percependo lo stimolo luminoso attraverso la retina, e quindi
mancando del segnale più efficace in grado di inibire la secrezione di melatonina,
dimostrano ugualmente un ritmo circadiano (e non una secrezione di melatonina sempre
elevata come erroneamente si potrebbe pensare), anche se spesso tale ritmo non è del tutto
sincronizzato con l’ambiente esterno (Bellastella et al., 1998). Una volta formata, la
melatonina non viene immagazzinata all’interno della ghiandola pineale, ma diffonde nei
capillari e nel fluido cerebrospinale.
E’ interessante notare come ciascun individuo adulto abbia livelli massimi di
melatonina caratteristici della propria persona e molto stabili nel tempo in termini di
concentrazione plasmatica, e come essi possano essere anche molto diversi da quelli degli
altri soggetti (Arendt, 1988). Conseguentemente, sarà irrilevante sapere se un determinato
individuo presenti un picco notturno di melatonina di 100 pg/ml piuttosto che di 200 pg/ml.
Al contrario, acquisiscono grande valore sia la presenza (o l’assenza) di un ritmo circadiano
ben evidente, sia la durata del periodo in cui la melatonina si mantiene più elevata rispetto ai
valori diurni, sia le caratteristiche di anticipo o di ritardo della secrezione di melatonina
rispetto alle fasi della giornata (Reiter, 1989). La melatonina raggiunge facilmente tutti i
tessuti dell’organismo in tempi assai brevi. La curva di dimezzamento nel sangue ha un
aspetto bi-modale, con un primo picco di distribuzione dopo 2 minuti ed un secondo dopo
circa 20 minuti (Claustrat et al., 2005). La melatonina circolante viene metabolizzata
prevalentemente dal fegato, dove viene dapprima idrossilata dagli enzimi della famiglia del
citocromo P-450 (CYPIA2 e CYPIA1) e successivamente coniugata con solfato per essere
poi escreta con le urine sottoforma di 6-sulfossimelatonina. Altrettanto importante è però il
metabolismo extra epatico della melatonina. In particolare, tale indolo può essere
metabolizzato anche in maniera non-enzimatica in tutte le cellule ed anche nel
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compartimento extracellulare. Esempi di ciò sono il tessuto cerebrale, dove la melatonina
viene convertita in derivati chinuraminici (il più importante è l’N 1-acetil-N2-formil-5metossichinuramina: AFMK) che conservano alcune proprietà della molecola di partenza,
quali l’attività antinfiammatoria e antiossidante, e i radicali liberi, in grado di convertire la
melatonina in 3-idrossimelatonina.
IL RUOLO DELLA LUCE
La presenza di un sistema di sincronizzazione così sofisticato e potente suggerisce
l’importanza che riveste, per l’organismo umano e non, il mantenere una serie di funzioni
ritmiche in sincronia con l’ambiente che ci circonda (Liu et al., 2000). Ad ulteriore
conferma di ciò, del tutto recentemente è stata documentata, nell’animale da esperimento, la
presenza di un sistema in grado di fornire all’organismo informazioni specifiche riguardanti
la cosiddetta ritmicità circannuale (in pratica la possibilità di riconoscere l’alternanza delle
stagioni). Il corretto funzionamento di tale sistema sembra dipendere dall’interazione fra le
cellule del pace-maker endogeno, sincronizzate dalla melatonina e le cellule ipofisarie
prolattino-secernenti (Lincoln et al., 2006). Inoltre, è necessario sottolineare che anche in
assenza dello stimolo luminoso la ritmicità endogena, generata a livello del nucleo
soprachiasmatico e comunicata alla pineale, viene conservata ancorché non perfettamente
sincronizzata con l’esterno (Bellastella et al., 1998).
A supporto della stretta correlazione fra il ritmo luce/buio e la secrezione ciclica della
melatonina, esiste tutta una serie di evidenze sperimentali indicanti che l'esposizione ad una
fonte luminosa di intensità e lunghezza d'onda adeguate, durante il periodo notturno,
determina una drastica e reversibile riduzione dei livelli di melatonina fino ai valori diurni.
In tal senso, i dati della letteratura indicano come più efficace una lunghezza d’onda di
460nm (luce blu), mentre meno efficace risulta essere la lunghezza d’onda nell’ambito del
giallo e del rosso. Inoltre, la maggior parte degli Autori sono concordi nel ritenere che si
debba superare un valore-soglia che si è progressivamente ridotto negli anni, tanto che studi
molto recenti indicano che una intensità di pochi lux (circa 10 fotoni per cm 2 di retina) possa
modificare il sistema circadiano dell’uomo (Reiter, 1989; Skene e Arendt, 2006, Vartanian
et al., 2015). Tuttavia altri autori hanno dimostrato che la riduzione della secrezione di
melatonina è dipendente, non soltanto dal livello di intensità della radiazione luminosa, ma
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anche dal tempo di esposizione. In particolare è stato possibile documentare come
l’esposizione ad una intensità luminosa di soli 200 lux fosse in grado di ridurre
progressivamente le concentrazioni plasmatiche di melatonina, con l’aumentare del tempo
di esposizione alla luce. Malgrado ciò, l’inibizione della secrezione di melatonina indotta
dalla esposizione alla luce è comunque dose-dipendente, con le intensità maggiori in grado
di determinare soppressione maggiore (Lack e Wright, 2007).
Infine, recentemente è stato dimostrato come, ai fini della capacità melatoninosoppressiva della luce, abbia importanza anche la cosiddetta “storia luminosa” del soggetto
e quindi che tale sistema sia in grado di adattarsi. Ciò ha grande importanza nella società
odierna che è caratterizzata da quello che viene comunemente definito come “inquinamento
luminoso” e cioè la costante esposizione degli individui a radiazione luminosa durante le ore
notturne. Dati della letteratura sempre più numerosi indicano infatti un collegamento fra
esposizione alla luce durante le ore notturne, riduzione dei livelli di melatonina e rischio di
malattia, come riportato più avanti (ad esempio l’aumento dei casi di tumore mammario
nelle donne “turniste”)(Schernhammer et al., 2006, a). Tale proprietà soppressiva della luce
viene comunemente sfruttata a scopo terapeutico (luminoterapia) in alcune situazioni di
desincronizzazione, quali la sindrome da spostamento del fuso orario (jet-lag)(Waterhouse
et al., 1997) o nei soggetti sottoposti a turni di lavoro durante le ore notturne (turnisti)
(Arendt et al., 1997, a) ed infine in alcune patologie di pertinenza psichiatrica come la
depressione stagionale e la bulimia nervosa (Partonen e Lönnqvist, 1998). Inoltre, dal
momento che la luce è una radiazione elettromagnetica, è stato ipotizzato che anche
l’esposizione a campi elettromagnetici (ELF) potesse modificare la secrezione di
melatonina. Studi sperimentali nell’animale e nell’uomo hanno dimostrato la validità di tale
postulato (Ronco e Halberg, 1996; Burch et al., 1998). Più in particolare, nostri dati recenti,
ottenuti tramite l’impiego di un protocollo di lavoro standardizzato per lo studio degli effetti
biologici dei campi elettromagnetici (Benedetti et al., 2005) in due gruppi di soggetti adulti
(esposti e non esposti a ELF presso la loro residenza), hanno dimostrato la correlazione
inversa fra presenza di sintomatologia soggettiva in caso di esposizione a ELF e
concentrazioni urinarie di 6-sulfossimelatonina (dati non pubblicati).
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MODALITA’ DI TRASFERIMENTO DEL SEGNALE “MELATONINA”
L’azione della melatonina a livello periferico può essere svolta tramite una serie di
recettori in grado di venire attivati dall’indolo pinealico e localizzati sulla membrana (MT1
e MT2) e sul nucleo delle cellule epifisarie (Steinhilber et al., 1995; Vanecek, 1998). I primi
due appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati alle proteine “G” e sono responsabili
degli effetti a livello del nucleo soprachiasmatico. In particolare, l’MT1 agisce sopprimendo
l’attività elettrica di tale nucleo ipotalamico, mentre l’MT2 agisce inducendo variazioni
della fase del ritmo circadiano. Entrambi i recettori sono espressi anche a livello periferico,
dove svolgono molteplici azioni, quali ad esempio quelle immunologiche o di controllo
vasomotorio (MT1: vasocostrizione; MT2: vasodilatazione) (Dubocovich e Markowska,
2005). La melatonina si lega anche ai recettori nucleari appartenenti alla famiglia dei
recettori ad acido retinoico (RORα1, RORα2 e RZRβ) i quali sono coinvolti nel
meccanismo di immunomodulazione (RORα1 e RORα2) e vengono espressi anche a livello
del tessuto cerebrale (RZRβ)(Pandi-Perumal et al., 2006). Allo scopo di chiarire meglio il
meccanismo d’azione della melatonina, è importante sottolineare che anche la sensibilità dei
recettori per l’indolo dimostra una chiara variazione circadiana, identificando nel tardo
pomeriggio, cioè subito prima dell’inizio del fisiologico incremento notturno della
melatonina, il momento di maggiore sensibilità in tal senso. Al contrario, durante il periodo
diurno si assiste ad una marcata riduzione di detta sensibilità, determinata dalla massiccia
presenza dell’indolo durante la notte precedente (fenomeno comune a tutti i recettori per gli
ormoni e noto come down-regulation). Pertanto, un’eventuale assunzione di melatonina
nelle prime ore del giorno potrebbe risultare meno efficace a causa della impossibilità, per
tale sostanza, di legarsi in quantità sufficiente ai recettori e quindi di svolgere i propri effetti
biologici (Hazlerigg et al., 1993; Gerdin et al., 2004).
Tuttavia, le azioni dell’indolo pinealico a livello cellulare non dipendono soltanto
dalla presenza dei recettori periferici per la melatonina, ma anche dalla capacità che tale
sostanza ha di diffondere rapidamente all’interno dei tessuti e raggiungere virtualmente ogni
singola cellula dell’organismo, senza la necessità di un legame recettoriale, grazie alla
semplicità della molecola di melatonina, associata alle sue piccole dimensioni (basso peso
molecolare) ed alla sua liposolubilità. Ad ulteriore sostegno dell’importanza della
melatonina prodotta da strutture diverse dalla pineale, certamente maggiore di quanto
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sostenuto fino ad oggi, da un lato la non completa scomparsa della melatonina dal sangue in
seguito ad ablazione chirurgica della pineale, dall’altro il rilievo abbastanza recente della
identificazione di siti di produzione della melatonina diversi dall’epifisi e del tutto
autonomi, quali ad esempio la retina, la ghiandola di Harder (presente solo in alcune specie
animali, non nell’uomo), i megacariociti, le piastrine (Huether, 1992), l’epitelio
gastrointestinale. In quest’ultimo caso, è ormai ben noto che la melatonina non solo è
presente in tutte le cellule del tratto gastrointestinale, ma viene attivamente prodotta dalle
cellule enterocromaffini, raggiungendo concentrazioni maggiori di quelle della pineale
stessa e del sangue periferico. Inoltre può essere liberata nel circolo periferico e la sua
produzione risulta aumentata in special modo in risposta alla introduzione di cibo (Bubenik,
2002). A livello intestinale è in grado di incrementare la secrezione di bicarbonati dalla
mucosa duodenale, attraverso un’azione mediata dai recettori MT2, allo scopo di proteggere
la mucosa duodenale dalla secrezione acida gastrica. A conferma di tale meccanismo, dati
recenti hanno dimostrato una correlazione inversa fra concentrazioni urinarie di 6sulfossimelatonina e incidenza di recidive di ulcere duodenali nell’uomo (Malinovskaya et
al., 2001). Inoltre la melatonina è stata identificata anche nella bile, a concentrazione anche
di circa 1000 volte maggiori rispetto a quelle plasmatiche diurne. E’ stato ipotizzato che tali
azioni della melatonina a livello del tratto gastrointestinale siano necessarie per fornire una
protezione antiossidante all’epitelio gastrointestinale e contribuire a rafforzare il
meccanismo di protezione delle cellule epiteliali dall’aggressione dell’acido cloridrico e
degli acidi biliari.
AZIONI PERIFERICHE DELLA MELATONINA
Come già ricordato, la melatonina è una molecola in grado di svolgere molteplici
azioni fisiologiche, segnalando non soltanto il momento del giorno o la stagione dell’anno,
ma anche dimostrando evidenti proprietà di immunomodulazione, di citoprotezione e altro.
L’importanza di questa molecola è tale de essere considerata come uno dei primi segnali
biologici che siano apparsi sulla Terra (Claustrat et al., 2005). Segnale biologico che svolge,
in particolare, un ruolo di primaria importanza nel meccanismo che: regola i ritmi
dell’organismo e li mantiene in sincronia con quelli dell’ambiente esterno; svolge potente
attività di protezione cellulare contro gli eventi ossidativi; dimostra attività di stimolazione
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del sistema immunitario; ha effetti riequilibranti sulla funzione cardiovascolare, quella di
rimaneggiamento dell’osso, sulla regolazione della massa corporea, sul sistema riproduttivo
e sulla gestione del metabolismo.
Melatonina e ritmo sonno/veglia
Dal momento che la melatonina viene prodotta di notte, la sua azione è stata spesso
associata al sonno. Tuttavia, è ormai ben chiaro che tale indolo non può essere considerato
un induttore universale del sonno. Infatti esistono animali cosiddetti notturni e che svolgono
quindi la loro attività essenzialmente di notte, i quali dimostrano livelli plasmatici di
melatonina elevati durante quel periodo. Più correttamente, la melatonina è un composto
ubiquitario correlato alle ore notturne, in grado di segnalare la durata del periodo di buio. E’
pertanto logico ritenere che fenomeni comportamentali in senso lato quali il sonno, la
riduzione della temperatura corporea, del grado di attenzione, della performance e la
modificazione delle funzioni metaboliche durante le ore notturne siano connessi e
influenzati dalla presenza della melatonina. A conferma di ciò, è ormai ben noto che le
curve della temperatura, del grado di attenzione e di performance sono inversamente
correlate a quella della melatonina.
L'ipotesi che la melatonina sia coinvolta nel meccanismo di regolazione della
temperatura deriva dal presupposto che nell'uomo esiste un ritmo circadiano della
temperatura corporea (e ciò è noto da più di 100 anni) e che, in esperimenti ormai classici di
circa 40 anni or sono, la sua somministrazione induce una riduzione della temperatura nel
topo. Da allora, la conoscenza di una correlazione inversa fra melatonina e temperatura
corporea è stata confermata innumerevoli volte, dimostrando che i livelli di melatonina
cominciano ad aumentare verso sera, proprio quando la temperatura corporea inizia a
diminuire; inoltre la melatonina raggiunge il picco di secrezione nel momento in cui la
temperatura giunge al punto più basso (verso le 2 di notte). Infine, nelle prime ore del
mattino, subito prima del sorgere del sole, la temperatura corporea comincia a risalire e la
melatonina a discendere nuovamente. Altri studi hanno dimostrato la fisiologica elevazione
della temperatura corporea, caratteristica del momento dell'ovulazione, si assiste ad una
contemporanea caduta dei livelli ematici di melatonina. Ad ulteriore conferma di tale
collegamento, la ablazione chirurgica della pineale determina in alcuni animali la scomparsa
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del ritmo circadiano della temperatura endogena, mentre la somministrazione dell'ormone
pinealico induce la ripresa di tale ritmicità. Inoltre, l'esistenza di una chiara interazione fra
melatonina e ormoni tiroidei e surrenalici i quali, come è ben noto, sono coinvolti
indirettamente nel meccanismo della termoregolazione, rafforza la certezza di un ruolo della
melatonina nel meccanismo di regolazione della temperatura corporea.
Ad ulteriore conferma è il fatto che la somministrazione dell'indolo pinealico a
volontari sani nelle ore diurne, ha permesso di documentare una riduzione della temperatura
corporea dopo circa 2 ore dalla somministrazione (Stone et al., 2000). Per quanto riguarda i
soggetti anziani, dati recenti indicano che la somministrazione di melatonina è in grado di
migliorare la qualità del ritmo della temperatura corporea, rendendolo simile a quello dei
soggetti giovani (Gubin et al., 2006). La relazione temporale fra l’aumento notturno dei
livelli di melatonina endogena e l’ingresso nelle prime fasi del sonno consente di ipotizzare
che tale indolo faciliti il sonno inibendo il cosiddetto meccanismo circadiano della veglia
tramite un effetto mediato dai recettori MT1 presenti nel nucleo soprachiasmatico (Lavie,
1997).
Per quanto riguarda il ritmo sonno/veglia, sono ormai innumerevoli i dati della
letteratura scientifica indicanti la capacità della melatonina di modificare temporalmente le
fasi del sonno, avanzandole o ritardandole in dipendenza del momento di somministrazione
esogena. Tale capacità, attribuita all’azione dei recettori MT2 nell’SCN, viene normalmente
utilizzata in terapia in tutte quelle condizioni in cui il ritmo sonno/veglia non risulti più
sincronizzato con il ritmo luce/buio dell’ambiente in cui ci si trova (Bergstrom e Hakanson,
1998; Cassone, 1998). Evidenze sperimentali indicano, ad esempio, che in particolari
condizioni (variazione rapida del fuso orario, turni di lavoro notturni, invecchiamento,
sindrome da ritardo, o avanzamento, della fase del sonno, depressione stagionale, ecc.) si
possa assistere, appunto, ad una desincronizzazione del sonno e delle altre funzioni ritmiche
rispetto all'ambiente esterno, con perdita dello stato di benessere (Lewy e Sack, 1997). In
pratica, il tentativo di addormentarsi in un momento del ciclo circadiano che non sia
ottimale per l’attivazione di un episodio di sonno, può indurre addormentamento o risveglio
precoce. In ultima analisi ciò determina una riduzione del tempo totale di sonno, causando
di fatto una perdita di benessere generale. Nel momento in cui ciò si verifica troppo
velocemente nella persona sana (come nel caso di uno spostamento del fuso orario in
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occasione di voli intercontinentali), si può manifestare la cosiddetta “sindrome da jet-lag”
che, in ultima analisi, rende evidente la difficoltà del nostro organismo a “comprendere” le
caratteristiche di ritmicità del nuovo ambiente, determinando la comparsa di una serie di
sintomi più o meno gravi, variabili dal semplice malessere, fino all’insonnia in un elevato
numero di soggetti (fino al 94% di essi)(Harma et al., 1994; Lack e Wright, 2007). Gli
effetti negativi maggiori si verificano durante i voli verso est perché ciò richiede un
avanzamento della fase dell’orologio biologico, anziché un ritardo. Il ruolo della melatonina
nella "sindrome da jet-lag" è ormai universalmente accettato, anche perché la
somministrazione di tale indolo, secondo precisi protocolli, è in grado di annullare i disturbi
(compresi quelli del sonno) dipendenti dalle variazioni del fuso orario (Arendt et al., 1997).
In particolare, induce l’avanzamento della fase di circa 1.1-1.4 ore ogni giorno di
somministrazione; pertanto, la completa risincronizzazione (spostamento della fase di circa
7-8 ore) avviene in media dopo 5 giorni di assunzione, riducendo nel contempo, anche i
sintomi correlati (Arendt, 2005). Infine, dati recenti indicano che anche l’esposizione alla
luce, somministrata nel momento opposto rispetto alla melatonina, è in grado di contribuire
alla risincronizzazione delle fasi del sonno (Cardinali et al., 2006).
Accanto a tali informazioni, i dati della letteratura indicano un ruolo per l'indolo
pinealico anche nei disturbi del ritmo sonno/veglia dipendenti da altre cause. Più in
particolare, è stato possibile documentare come la riduzione delle concentrazioni massime
notturne di melatonina possa determinare un'alterazione del ritmo del sonno nell'uomo
(Haimov et al., 1994). A tale proposito è necessario ricordare che le concentrazioni massime
notturne di melatonina nel sangue periferico dei soggetti normali non sono costanti per tutta
la vita. Esse si riducono progressivamente con l’età ed infatti il bambino, fino al momento
della pubertà, dimostra i livelli notturni più elevati. Successivamente, durante il periodo
puberale la melatonina si riduce per raggiungere i valori dell’adulto i quali si mantengono
tali fino all’età di circa 50-55 anni, quando iniziano a ridursi ulteriormente e
progressivamente, per giungere anche alla scomparsa della ritmicità circadiana in età molto
avanzata (Touitou, 1995; Zhou et al., 2003). In tale ultimo gruppo è possibile documentare
frequentemente un’alterazione dell’architettura, della qualità e della durata del sonno che
viene annullata dalla somministrazione di melatonina (Hughes et al., 1998). In accordo con
tali considerazioni, è stato dimostrato come la riduzione delle concentrazioni plasmatiche
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notturne di melatonina sembri significativamente più pronunciata nelle donne durante il
periodo menopausale (Vakkuri et al., 1996). Ulteriori dati recenti indicano che in un gruppo
di soggetti in menopausa, il ritmo circadiano della melatonina risulta avanzato di circa 30
minuti rispetto ai soggetti di età inferiore. In tal senso, i soggetti osservati nello studio
riferivano la necessità di riposo, seguito da addormentamento, nelle prime ore serali e
risveglio precoce (segni di sfasamento del ritmo circadiano)(Yoon et al., 2004). Inoltre, la
valutazione della distribuzione oraria delle vampate nei soggetti in menopausa, ha permesso
di documentare come tale frequenza sia mediamente più elevata durante le ore pomeridiane,
periodo della giornata durante il quale classicamente i livelli plasmatici di melatonina
raggiungono il minimo (Freedman et al., 1995). Concettualmente simile il discorso
riguardante le donne con sindrome premestruale (PMS= Pre-Menstrual Syndrome), in
quanto dati della letteratura hanno potuto documentare come in tali soggetti esista una
associazione fra sintomi riferiti (alterazioni dell’umore, modificazioni del ritmo del sonno,
ecc.) e alterazioni del ritmo di melatonina, sia in termini di sfasamento di esso, sia in termini
di riduzione della secrezione globale giornaliera, significativamente più evidente durante la
fase luteale, rispetto a quella follicolare (Parry et al., 1997; Barron 2007).
Melatonina e protezione contro gli eventi ossidativi
Rappresentanti di una categoria di sostanze, forse le più dannose per le cellule, sono i
cosiddetti "radicali liberi". Anche se il termine è errato per definire tutta la categoria, perchè
appartiene soltanto ad una ristretta e ben specifica serie di elementi, viene ormai
generalmente individuato come caratteristico di composti nocivi in generale, derivati dal
metabolismo dell’ossigeno che si formano sia come conseguenza delle normali funzioni
metaboliche dell’organismo, sia derivanti dall’influenza di fattori esterni sull’organismo
(raggi ultravioletti, raggi X, inquinamento ambientale, additivi alimentari, fumo di sigaretta,
ecc.). La loro pericolosità deriva essenzialmente dal fatto che sono molto instabili
chimicamente e quindi reagiscono rapidamente con qualunque molecola si trovi nelle
vicinanze. Tale fatto, che tecnicamente consiste nel "furto" di un elettrone da parte del
radicale libero nei confronti di una qualsiasi altro composto, determina il danneggiamento di
grado variabile, da lieve fino alla completa distruzione, di molecole di ogni tipo (lipidi,
proteine, acidi nucleici, ecc.). Il danno risulta tanto più grave quanto più importante è la
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
molecola danneggiata. In particolare, la produzione di radicali liberi attiva una serie di
meccanismi che agiscono per determinare un insulto cellulare più o meno esteso e che
comprende: a) la reazione con gli acidi nucleici, i nucleotidi, i polisaccaridi e le proteine; b)
il legame covalente con i componenti la membrana cellulare (lipidi, proteine, enzimi,
recettori e sistemi di trasporto); c) l'inizio della perossidazione lipidica; d) l'alterazione del
citoscheletro; e) la morte cellulare.
Tuttavia un danno irreversibile non si manifesta generalmente a causa di una
esagerata produzione di composti tossici; al contrario, i fattori che ne determinano la
produzione sono più o meno sempre gli stessi durante tutto l'arco dell'esistenza. Ciò che
certamente si modifica in maniera sorprendente è, da un lato la incapacità di utilizzare i
mezzi fisiologici per contrastare efficacemente la formazione dei radicali liberi, dall'altro la
riduzione dell'attività dei sistemi deputati alla riparazione dell'organismo (situazione
conosciuta come "stress ossidativo"). Più in particolare, durante il processo evolutivo sono
andati sviluppandosi meccanismi intrinseci che, in condizioni normali, si oppongono con
grande successo al costante danneggiamento cui siamo sottoposti a causa della formazione
dei radicali liberi e che, nel loro complesso, vengono denominati sistemi e/o sostanze
antiossidanti. Di questi fa parte anche la melatonina e, anzi, essa viene attualmente
considerata la sostanza endogena dotata di maggiora attività protettiva nei confronti dello
stress ossidativo. Questo perché la sua azione si svolge non è soltanto diretta contro i
prodotti nocivi della ossidazione, ma anche indiretta, volta a stimolare l’attività degli altri
componenti dei sistemi di difesa (ad esempio il glutatione) e ad inibire gli enzimi proossidanti (come le lipossigenasi e l’ossido nitrico sintetasi)(Harderland, 1997). La capacità
che la melatonina ha di interagire con i radicali liberi (fatto, questo, che le ha valso
l'appellativo di "spazzino dei radicali liberi"), deriva sia dal fatto che tale ormone possiede
una grande affinità chimica per questi composti, sia dalla capacità di reazione diretta anche
nei confronti di altre sostanze nocive, quali gli anioni superossidi. In tal senso la melatonina
agisce, contrariamente ad altri comuni anti ossidanti come il glutatione e l'acido ascorbico,
in maniera definitiva sui radicali liberi, bloccando cioè la catena di eventi che conduce alla
produzione e all'automantenimento delle sostanze ossidanti (Alvarez-Diduk et al., 2015). In
particolare, a livello cerebrale, è anche in grado di determinare la stimolazione dell'attività
del più importante sistema antiossidante in quella sede e cioè l'enzima glutatione
Maurizio Nordio
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
perossidasi. La protezione fornita dalla melatonina sembra essere diretta a livello della
struttura maggiormente vulnerabile agli attacchi delle sostanze tossiche e cioè il DNA,
legandosi ad esso, all'interno del nucleo delle cellule. A conferma di tale attività, nostri dati
del tutto recenti indicano che la melatonina si localizza sia a livello del citoplasma che del
nucleo delle cellule che costituiscono gli organi dell'apparato riproduttivo dell'animale
maschio. D'altronde è stato anche documentato che la melatonina è in grado di proteggere i
linfociti umani dai danni diretti al codice genetico determinati da insulti diversi, quali
radiazioni, sostanze tossiche, radicali liberi, campi elettromagnetici, ecc.
Qualora la protezione fornita dalla melatonina si riduca, sia gradualmente a causa di
una fisiologica diminuzione dei livelli di melatonina che si manifesta ad esempio con il
progredire dell'età, sia rapidamente, in corso di stress cronici e di malattie debilitanti che
determinano un impoverimento generale del potenziale antiossidativo dell'organismo, i
soggetti risulteranno maggiormente esposti all'azione dei radicali liberi, particolarmente
dannosi a livello cerebrale. In tale ottica, tutta una serie di lavori indicanti il ruolo protettivo
svolto dalla melatonina nel corso di patologie degenerative cerebrali quali l’Alzheimer e il
Parkinson. Nel primo caso, malgrado l’origine del processo neurodegenerativo sia ancora
ignota, il danno determinato dall’aumento dei radicali liberi è stato identificato come uno
dei processi patogenetici più potenti che conducono a morte le cellule neuronali. Tale
particolare vulnerabilità del tessuto cerebrale dipende, almeno in parte, dal fatto che esso è
ricco in fosfolipidi e proteine che sono molto sensibili al danno ossidativo e hanno un
sistema antiossidativo di difesa scarsamente potente (Srinivasan, 2002). Come conseguenza
di ciò, la somministrazione di melatonina è in grado di prevenire i danni del sistema nervoso
centrale e del fegato dipendenti dall’avanzare dell’età (Tresguerres et al., 2008). Inoltre, la
terapia con melatonina in pazienti con morbo di Alzheimer si è rivelata in grado di
migliorare la qualità del sonno in questi pazienti, oltre a ridurre le anormalità degli altri
ritmi circadiani e, in generale, di rallentare la progressione della malattia (Asayama et al.,
2003), come verrà meglio specificato in un capitolo successivo. Tale miglioramento sembra
essere tanto più evidente quanto più precocemente viene iniziata la terapia. Infatti, dati della
letteratura indicano che, nei pazienti con Alzheimer di stadio molto avanzato, i recettori per
la
melatonina
MT1
risultano
estremamente
ridotti.
Pertanto,
gli
effetti
della
somministrazione di melatonina potrebbero essere del tutto inadeguati (Wu e Swaab, 2007).
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
Per quanti riguarda il morbo di Parkinson, i dati della letteratura indicano ugualmente nel
danno da ossidazione la causa della distruzione delle cellule cerebrali dopaminergiche.
Anche i questo caso, la somministrazione di melatonina si è rivelata utile per i pazienti con
Parkinson, aumentando la loro capacità di movimento e la durata del sonno (Dowling et al.,
2005). Inoltre, dati recenti indicano che la somministrazione di melatonina in questi pazienti
è in grado di migliorare la qualità del sonno (Mendes-Medeiros et al., 2007).
Melatonina e attività oncostatica
Ormai da diversi anni esiste evidenza che l’inizio e/o la progressione di alcuni tumori
possano essere bloccati o quantomeno rallentati dall’incremento fisiologico notturno dei
livelli di melatonina nel sangue e nel compartimento extracellulare (Blask et al., 2005, a).
Inoltre, altri autori hanno potuto documentare che la somministrazione di melatonina è in
grado di svolgere attività oncostatica in un’ampia serie di cellule tumorali, quali le cellule
del carcinoma ovario, del carcinoma endometriale, del melanoma umano, del tumore
prostatico e di quello intestinale (Pandi-Perumal et al., 2006). Per queste ragioni esiste
consenso quasi generale nel ritenere che la melatonina abbia effettivamente attività
oncostatica che viene svolta a più livelli (Codenotti et al., 2015). In particolare nel tumore
mammario, la melatonina riduce la sintesi locale degli estrogeni, essenzialmente attraverso
due meccanismi. Il primo che si esplica mediante una inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisigonadi, con conseguente riduzione del livello degli estrogeni circolanti. Il secondo
attraverso un’azione diretta sulle cellule tumorali, modulando sia l’attività trascrizionale dei
recettori per gli estrogeni, sia le vie di comunicazione post-recettoriali, inibendo anche gli
enzimi armatasi (controllano la conversione da androgeni ad estrogeni)(Kiefer et al., 2002;
Dopfel et al., 2007). Tale ipotesi trova conferma, almeno per quanto riguarda il tumore della
mammella, anche nell'uomo, infatti, in pazienti con neoplasia mammaria, sembra esistere
una correlazione inversa fra contenuto di recettori per gli estrogeni delle cellule tumorali e
picco notturno della melatonina. Più in particolare, un nostro studio di qualche anno fa
riguardante pazienti di sesso femminile con patologia benigna e maligna della mammella, ha
dimostrato che l'attività funzionale della ghiandola pineale risultava ridotta soltanto in
presenza di cancro della mammella in stadio avanzato, indicando ancora una volta che la
riduzione delle concentrazioni di melatonina in pazienti con tumore può interferire con la
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
prognosi dei soggetti stessi (dati non pubblicati). Ulteriori dati indicano che l’attività
oncostatica della melatonina si svolge anche tramite un effetto inibitorio sulla captazione
degli acidi grassi (dell’acido linoleico in particolare) della cellula tumorale, allo scopo di
prevenire la formazione di un composto di derivazione altamente mitogeno (l’acido 13idrossioctadecadienoico), con la mediazione dei recettori MT1 ed MT2 (Blask et al., 2005,
a). Le azioni anti tumorali della melatonina si svolgono anche tramite la sfruttamento del
suo potenziale antiossidante in quanto essa è in grado di ridurre il numero delle mutazioni
cellulari, stimolate dallo stress ossidativo (Karbownik et al., 2001). Inoltre, la melatonina,
tramite la sua azione sul sistema immunitario attivando le citochine, inibisce la crescita
tumorale. Infine, essa si è rivelata in grado di indurre apoptosi e di svolgere probabilmente
un’azione anti-angiogenetica (Vijayalaxmi et al., 2002). Per quanto riguarda l’impiego della
melatonina in associazione con terapie antiblastiche, essa è risultata in grado di aumentare la
sopravvivenza e la qualità della vita in pazienti con carcinoma del polmone metastatizzato
(Lissoni et al., 2003), riducendo maggiormente la progressione del tumore, rispetto all’uso
della sola chemioterapia (Lissoni, 2007). Inoltre, l’associazione con altre terapie
antitumorali si è dimostrata efficace, non soltanto nei confronti della progressione del
tumore, ma anche nei confronti di un miglioramento della qualità della vita dei pazienti,
migliorando la mielotossicità e linfocitopenia caratteristiche dei protocolli chemioterapici
(Vijayalaxmi et al., 2002; Ma et al., 2015).
Altro aspetto importante nella valutazione del collegamento fra melatonina e tumori
risiede nel fatto che i pazienti con vari tipi di carcinomi presentano un alterato ritmo di
secrezione della melatonina (Grin e Grunberger, 1998). A conferma di ciò, un ampio studio
molto recente che ha valutato il rischio dei lavoratori turnisti (infermiere) di sviluppare
carcinoma della mammella, ha dimostrato che il lavoro notturno (attraverso l’esposizione
alla luce durante la notte, associata ad una riduzione dei livelli di melatonina) aumenta il
rischio di sviluppare carcinoma della mammella e del colon-retto (Schernhammer et al.,
2006, a). Nello stesso studio, ai soggetti con livelli di melatonina più elevati era associato un
rischio inferiore di sviluppare carcinoma della mammella. Questi dati così importanti
vengono rafforzati da risultati ottenuti precedentemente nell’animale, indicanti che sangue
di donne sane in premenopausa, prelevato durante le ore notturne e quindi contenente
elevate quantità di melatonina, ha determinato l’inibizione della crescita di tumori indotti
Maurizio Nordio
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
sperimentalmente. Allo stesso modo, il prelievo del sangue durante le ore diurne e la
successiva somministrazione all’animale da esperimento determinava un incremento della
velocità di crescita del tumore mammario (Blask et al., 2005, b).
Melatonina e sistema immunitario
La convinzione che la melatonina fosse in grado di interferire con il sistema
immunitario risale a diversi anni or sono, quando uno studio ormai “storico” dimostrò che la
inibizione della secrezione della melatonina determinava un’attenuazione della risposta
immunitaria nell’animale da esperimento (Maestroni et al., 1986). Da allora ha preso il via
tutta una serie di esperimenti per capire meglio in che modo la melatonina potesse essere
collegata al funzionamento del sistema immunitario e attualmente è possibile affermare che
le attività di immunostimolazione svolte dalla melatonina, a più livelli, sono state
confermate in una grande varietà di organismi viventi, compreso l’uomo. In particolare, la
inibizione della secrezione di melatonina, ottenuta mediante esposizione alla luce durante le
ore notturne, oppure la eliminazione chirurgica della ghiandola pineale, determina una
immunodepressione che coinvolge essenzialmente la capacità di produrre anticorpi in
risposta ad antigeni cosiddetti T-dipendenti. Al contrario, la successiva somministrazione di
melatonina all'inizio del periodo notturno si è rivelata in grado di ripristinare la qualità della
risposta anticorpale, la resistenza all'attacco dei virus, dei parassiti e delle cellule tumorali,
ed il peso del timo (Carrillo-Vico et al., 2005). In tal senso, la presenza di siti di legame
specifici per la melatonina sulla superficie delle cellule linfocitarie indica un effetto diretto
di tale composto sulla regolazione del sistema immunitario. Infatti, i cosiddetti linfociti-T,
con la loro produzione di citochine, sembrano costituire, comunque, il principale mediatore
degli effetti immunostimolanti della melatonina. Più in particolare, essa è in grado di
attivare la produzione di interleuchine-2 e -4 da parte dei linfociti-T, la cui azione si
svolgerebbe sulle cellule capaci di produrre gli elementi del sangue, fornendo loro la
capacità di contrastare i danni provocati da una precedente esposizione a sostanze tossiche.
Inoltre, la melatonina ha dimostrato di avere proprietà stimolanti la produzione di
interleuchine anche da parte dei macrofagi (IL-2 e IL-12), oltre alla ben nota azione di
stimolo dei linfociti-T. Inoltre, la correlazione dimostrata fra concentrazioni di melatonina e
interleuchine-12 in pazienti HIV-positivi ha permesso di dimostrare che la riduzione della
Maurizio Nordio
06/08/2015
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
melatonina nel sangue di tali pazienti può contribuire all’alterazione della risposta
immunitaria, soprattutto per quanto riguarda i linfociti T-helper1, il cui ritmo notturno è
correlato con quello della melatonina (Nunnari et al., 2003; Carrillo-Vico et al., 2004).
Tuttavia, gli effetti immuno-stimolanti della melatonina non dipendono soltanto dalla sua
capacità di indurre la produzione di citochine, ma anche dalla capacità di stimolare la
risposta immunitaria aspecifica (aumento del numero delle cellule “Natural-killer”: NK e
dei monociti nel midollo osseo) svolgere azioni antiossidanti, antiapoptotiche e
chemiotattiche (nei confronti delle cellule “T” e “B”)(Peña et al., 2007). Altro dato
importante riguarda il fatto che le cellule del sistema immunitario sono una fonte non
indifferente di melatonina, essendo state documentate elevate concentrazioni e la presenza
degli enzimi per la sintesi di melatonina nel midollo osseo e nelle cellule
immunocompetenti, anche dell’uomo (Carrillo-Vico et al., 2006).
Sulla base di tali considerazioni, alcuni autori suggeriscono che la melatonina possa
svolgere un ruolo nella patogenesi di alcune malattie autoimmunitarie ed in particolare
nell’artrite reumatoide i cui pazienti dimostrano livelli plasmatici di melatonina più elevati
rispetto ai controlli. Gli stessi autori suggeriscono che l’incremento delle malattie
autoimmunitarie che si verifica nei Paesi a latitudine elevata, durante il periodo invernale,
potrebbe essere dipendente dall’aumento del quantitativo giornaliero di melatonina e dal
conseguente stimolo dell’attività immunitaria (Maestroni et al., 2004).
FATTORI CHE INFLUENZANO I LIVELLI PLASMATICI DI MELATONINA
Esistono molteplici fattori in grado di modificare i livelli plasmatici di melatonina.
Fra essi, la luce sembra essere il più efficace, ma anche temperatura, età, jet-lag, turnazioni,
indice di massa corporea (maggiore la massa corporea, minore la secrezione urinaria di
melatonina)(Schernhammer et al., 2006, b), abitudini alimentari, assunzione di farmaci
possono modificare sia le caratteristiche del ritmo (avanzare o ritardare la fase del sonno),
sia i livelli notturni di melatonina. Qui di seguito saranno riportate informazioni riguardanti
tali fattori, esclusi quelli di cui si è già parlato in precedenza quali: la luce, il jet-lag e le
turnazioni.
Maurizio Nordio
06/08/2015
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
Melatonina ed invecchiamento
E' ormai generalmente accettato che il processo di invecchiamento sia associato alla
degenerazione e alla desincronizzazione delle funzioni dell'organismo. Infatti, con
l'avanzare dell'età, viene a ridursi drasticamente il potenziale di adattabilità alle variazioni
dell'ambiente che ci circonda. In ultima analisi, e da un punto di vista puramente
conservativo della specie, avendo superato la fase riproduttiva, l'organismo che invecchia
viene messo nelle condizioni di diminuire fisiologicamente le proprie capacità di
sopravvivenza e quindi dare spazio ad individui più giovani, in grado di riprodursi a loro
volta, in modo da perpetuare la specie. E’ necessario sottolineare che, quando si parla di
invecchiamento, non è possibile sottovalutare la grande differenza individuale fra i soggetti
anziani in relazione, ad esempio, con il potenziale genetico dell'invecchiamento (cioè la
predisposizione ad invecchiare più o meno velocemente, ereditata dai genitori), con la
risposta ai fattori ambientali, con i livelli di melatonina, la cui maggiore o minore presenza
può contribuire a spiegare il marcato divario che a volte si nota fra età cronologica ed età
biologica del soggetto. Tale divario può essere evidenziato determinando quella che si
definisce come la qualità dell'invecchiamento, per mezzo di una serie di accertamenti
strumentali quali la valutazione del sistema cardio-vascolare, del fondo dell'occhio, della
funzione respiratoria, le concentrazioni plasmatiche o urinarie di melatonina che ci daranno
indicazioni precise sullo stato reale della capacità funzionale dei vari organi, indipendente
dall'età anagrafica. In pratica, gli organi e di conseguenza le funzioni interne possono
deteriorarsi meno rispetto a quanto non accada alla media delle persone della stessa età,
consentendo all'individuo di apparire più giovane, sia di aspetto, sia come funzionalità
endogena. Pertanto, dal momento che non invecchiamo tutti allo stesso modo, è verosimile
pensare che la definizione di un solo fattore, sia esso genetico o umorale o altro, come causa
essenziale del processo dell'invecchiamento non soltanto sia una spiegazione insufficiente,
ma anche troppo semplicistica. In realtà, l'invecchiamento fisico e mentale sta diventando
uno dei maggiori problemi di salute del nostro secolo. Ciò è dovuto al fatto che quasi
sempre esso è accompagnato da una o più malattie concomitanti, definite croniche e/o
degenerative le quali aggravano il normale cammino dell'invecchiamento. La loro comparsa
è in genere grandemente favorita da abitudini di vita del tutto errate e protratte per un
numero di anni sufficiente. A titolo di esempio, basti pensare alla cosiddetta “Sindrome
Maurizio Nordio
06/08/2015
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
metabolica”, all'arteriosclerosi, all'infarto, alla trombosi cerebrale, al cancro, ecc.: tutte
patologie il cui momento iniziale può essere ricercato in una non più perfetta adattabilità
dell'organismo (in termini di autodifesa) all'insulto provocato da alcuni stimoli nocivi e di
solito perfettamente controllabili. Più in particolare, per quanto riguarda la sindrome
metabolica, dati recentissimi ottenuti in una coorte di 40 pazienti, hanno dimostrato una
correlazione fra alterazione dei livelli plasmatici di melatonina e genesi della malattia
(Robeva et al., 2008; Brum et al., 2015). Da tali concetti ha preso vita un'ipotesi, definita
teoria dell'invecchiamento, che tenta di spiegare che, almeno nelle prime fasi, invecchiamo
essenzialmente perchè non siamo più in grado di eliminare con successo le sostanze tossiche
derivanti, come già ricordato, dal processo di ossidazione e che momento per momento si
formano nel nostro organismo o giungono dall'esterno e che si vanno, pertanto,
accumulando progressivamente, innescando un lento ma inesorabile processo di
degradazione.
In tutto ciò si inserisce la melatonina i cui livelli plasmatici notturni vanno via via
diminuendo con il progredire dell’età, fino a più del 50% di riduzione rispetto ai livelli del
giovane adulto. Un primo tentativo per spiegare come mai una struttura così potente riduca
così drasticamente la propria capacità produttiva si basa sul rilievo, noto fin da tempi
antichissimi, della comparsa di una progressiva calcificazione dell'epifisi, dovuta
all'accumulo di sali di calcio all'interno dei pinealociti, denominata all’epoca "sabbia nel
cervello". Attualmente, tale teoria non viene più ritenuta del tutto valida. Primo perchè un
gran numero di soggetti anziani non presenta alcuna calcificazione della pineale; secondo,
perché studi recenti ottenuti anche nel nostro laboratorio, hanno dimostrato che in pazienti
psichiatrici di giovane età sono evidenziabili depositi di calcio all'interno della pineale;
terzo, è stato dimostrato che la presenza di calcificazioni dei pinealociti non significa
automaticamente riduzione della capacità di produrre melatonina (Bersani et al., 2002).
Pertanto sembra verosimile ipotizzare che la ridotta secrezione di melatonina propria
dell'età avanzata dipenda, almeno in parte da una duplice serie di fattori: da un lato la
riduzione intrinseca della capacità metabolica dei pinealociti a causa del progressivo
logoramento di essi (fattori genetici, ambientali e di stile di vita); dall'altro, la concomitante
alterazione di tutte le altre strutture cerebrali renderebbe queste non più in grado di fornire il
numero sufficiente di segnali di cui l'epifisi ha bisogno per un corretto funzionamento.
Maurizio Nordio
06/08/2015
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
Melatonina e farmaci
Dati internazionali dimostrano come, accanto a patologie da dipendenza quali
l’etilismo ed il tabagismo, anche situazioni di inquinamento ambientale come l’esposizione
a campi elettromagnetici (EMF) possano ridurre in maniera efficace il picco notturno di
melatonina (Reiter, 1994; Burch et al., 1998). Inoltre, la considerazione che la
somministrazione di farmaci comunemente usati in terapia possa determinare una riduzione
(fino alla scomparsa) del picco notturno della melatonina, con tutte le conseguenze che
conosciamo, apre un capitolo importante a conferma della frequente necessità di integrare i
livelli plasmatici di melatonina. Una lunga serie di sostanze farmacologiche, infatti, è in
grado di determinare una diminuzione delle concentrazioni plasmatiche notturne dell’indolo
epifisario. In primo luogo i farmaci -bloccanti ed i FANS, ma anche i calcio-antagonisti, le
benzodiazepine ed i corticosteroidi. L’assenza, o almeno la riduzione, del picco notturno di
melatonina che essi determinano può causare la comparsa di disturbi del sonno. Il motivo di
tale effetto è specifico per ciascun gruppo di sostanze: a) -bloccanti: blocco dei recettori
-adrenergici sulla superficie del pinealocita e conseguente mancato stimolo alla produzione
di melatonina (Brismar et al., 1988); b) FANS: blocco della produzione di prostaglandine,
necessarie per il trasferimento del segnale extracellulare recettoriale verso l’interno del
pinealocita (Murphy et al., 1994); c) calcio-antagonisti: blocco delle attività di
trasferimento del segnale e di stimolo intracellulare operate dal corretto funzionamento dei
canali del calcio (Meyer et al., 1986); d) benzodiazepine: anche una singola dose è in grado
di sopprimere la secrezione notturna di melatonina (McIntyre et al., 1988); e)
corticosteroidi: alcuni studi hanno dimostrato una correlazione inversa fra livelli plasmatici
di tali sostanze e la melatonina, anche se non esiste universalità di vedute. Più in particolare,
per quanto riguarda i corticosteroidi è necessario un ulteriore approfondimento in quanto il
collegamento di essi con la melatonina si attua anche a livello del sistema immunitario
(Vassiljev, 1994). E’ noto infatti che la melatonina svolga una potente azione
immunostimolante, in grado di annullare l’effetto immunosoppressivo determinato dai
corticosteroidi. Si intuisce quindi come una terapia con corticosteroidi possa avere un
duplice ordine di effetti negativi in quanto, la riduzione della melatonina che ne deriva può
Maurizio Nordio
06/08/2015
Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
determinare, da un lato la comparsa di alterazioni della qualità del sonno, dall’altro
un’amplificazione dell’effetto immunosoppressivo dei corticosteroidi.
CENNI SULL’USO DELLA MELATONINA IN TERAPIA
Alla luce di quanto esposto in precedenza, è intuitivo il considerare la possibilità di
integrare (o sostituire) la produzione di melatonina mediante la somministrazione esogena di
tale molecola. Infatti, da più di un quarto di secolo la melatonina viene somministrata con
successo a soggetti con disturbi del sonno e l’ambito di impiego terapeutico della
melatonina si amplia progressivamente, man mano che vengono identificate nuove aree di
attività dell’indolo pinealico. I primi risultati risalgono alla metà degli anni ’70 e da allora,
un’enorme serie di dati ha permesso di concludere che la melatonina è certamente efficace,
non tanto per l’induzione del sonno (la melatonina non ha proprietà ipnotiche vere e
proprie), quanto per una più fisiologica preparazione ed ottimizzazione delle fasi che
precedono l’addormentamento e per il mantenimento di un sonno fisiologico, come ad
esempio la vasodilatazione periferica in grado di aumentare la perdita di calore e ridurre la
temperatura corporea (Arendt, 2003; Krauchi et al., 2006). I risultati degli studi più recenti
hanno dimostrato che la melatonina assunta la sera è in grado di determinare: a) un
miglioramento della qualità generale del sonno senza interferire con la fase REM; b) una
riduzione della latenza di comparsa del sonno; c) una riduzione della latenza di comparsa
della fase 2; d) un aumento della durata globale; e) un incremento del numero dei sogni
(Jean-Louis et al., 1998). Quindi, grazie alla melatonina il sonno non viene indotto o
forzato, ma viene favorito creando le migliori condizioni perché ciò avvenga. Infatti, i
soggetti che assumono melatonina riferiscono, rispetto ai farmaci ipnotici, una migliore
qualità generale del sonno ed un’assenza di problemi di hang-over la mattina successiva.
Studi controllati più recenti hanno permesso di valutare anche quali siano i vari tipi di
disturbi del sonno che traggono giovamento dall’assunzione di melatonina. Innanzitutto, la
somministrazione di melatonina viene considerata la terapia di scelta nei disturbi del ritmo
del sonno nelle persone non vedenti (Lewy et al., 2001). Per quanto riguarda la già citata
sindrome da jet-lag, ad esempio, senza voler elencare tutte le evidenze indicanti l’efficacia
della melatonina nell’uomo, l’impiego di essa viene considerato come il miglior approccio
fino ad ora esistente per ottenere una più rapida risincronizzazione e quindi la scomparsa dei
Maurizio Nordio
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
disturbi del sonno (Arendt et al., 1997). Ulteriori dati provengono da numerosi studi
controllati, in doppio-cieco con placebo, riguardanti l’efficacia della melatonina nella
cosiddetta sindrome da ritardo di fase del sonno, sia in donne in menopausa, sia in pazienti
di sesso maschile (Touitou e Bogdan, 2006; Wyatt et al., 2006). Il deciso miglioramento
ottenuto in tali soggetti, in seguito a somministrazione di melatonina sia a breve che a lungo
termine, è stato documentato, non soltanto in maniera soggettiva mediante l’uso di
questionari, ma anche obiettivamente per mezzo della valutazione di parametri quali la
temperatura corporea, la poligrafia del sonno, la actigrafia (Dagan et al., 1998; Fahey e Zee,
2006). Inoltre, ulteriori studi hanno potuto documentare come il risveglio forzato di soggetti
sani, a cui era stata preventivamente somministrata melatonina, risultava causare un minor
numero di disturbi ed un miglior livello di performance, rispetto ad un gruppo equivalente
trattato con benzodiazepine (Zolpidem) (Storm et al., 2007). Infine, dati recentissimi
indicano la possibilità di impiegare la melatonina nei soggetti che assumono
benzodiazepine, allo scopo di ridurne la posologia, fino alla possibile sospensione
(Golombek et al., 2015).
Dati personali e della letteratura recente, ottenuti in una coorte di soggetti anziani con
disturbi del sonno, somministrando due diverse preparazioni contenenti melatonina, hanno
confermato l'efficacia di tale approccio terapeutico e la superiorità delle preparazioni a più
lunga durata d'azione in quei soggetti che assumevano melatonina da un periodo di tempo
maggiore (dati personali non pubblicati e Wade et al., 2007). Il miglioramento ha riguardato
sia la qualità globale soggettiva del sonno, sia la durata media del periodo di sonno, sia il
numero dei risvegli notturni i quali sono risultati essere di numero inferiore rispetto al
periodo precedente l’impiego della melatonina. Nel breve periodo entrambe le preparazioni
(a rilascio immediato e a rilascio controllato) si sono dimostrate similmente efficaci.
Per quanto riguarda più specificamente i disturbi caratteristici di un gran numero di
donne in menopausa, quali vampate ed insonnia, bisogna ricordare come la fisiologica
riduzione del ritmo circadiano della melatonina coincida con il periodo menopausale e come
tale riduzione esponga la donna ad un disequilibrio delle funzioni dell’organismo,
suggerendo quindi la possibilità di un utile impiego terapeutico (Parandavar et al., 2014;
Gursoy et al., 2015). In tal senso, del tutto recentemente sono state rese disponibili sul
mercato delle preparazioni contenenti melatonina, associata ad isoflavoni di soia, allo scopo
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
di sfruttare l’effetto sinergico delle due sostanze sulla riduzione della sintomatologia
menopausale. Più in particolare, la melatonina dimostrerebbe un effetto riduttivo sui livelli
di LH, il cui aumento sembra avere un ruolo nella genesi delle vampate (Kripke et al.,
2006). Anche l’osteoporosi post-menopausale sembra trarre giovamento dalla terapia con
melatonina, in quanto diversi studi indipendenti hanno dimostrato che l’indolo si è rivelato
efficace, nell’animale da esperimento e nell’uomo, nel ridurre la perdita di calcio dalle ossa
e soprattutto nell’aumentare la densità dell’osso (Ostrowska et al., 2003; Amstrup et al.,
2015).
L'indicazione all'impiego dell'indolo pinealico nei disturbi del sonno è stata
recentemente ampliata anche ai pazienti con patologie psichiatriche quali la depressione
stagionale (SAD) e involutive cerebrali, quali il morbo di Alzheimer e di Parkinson
(Leppamaki et al., 2003; Lewy, 2015). In tali cerebropatie infatti, come detto in precedenza,
è stato possibile documentare una riduzione della capacità melatonino-sintetica della
pineale, con aumento del numero delle calcificazioni tissutali, e la riduzione del numero dei
recettori MT1 e MT2 in vaste aree del tessuto cerebrale (Mahlberg et al., 2007; Brunner et
al., 2006). L’utilità della melatonina in tali pazienti deriva dal fatto che essa, oltre ai noti
effetti favorevoli sul sonno, possa svolgere anche un'azione di protezione del sistema
nervoso centrale, riducendo significativamente il danno ossidativo e contribuendo a
rallentare il processo di degenerazione neuronale (Reiter et al., 1999). Tale efficacia dipende
dalla capacità dell'indolo pinealico di contrastare la formazione dei radicali liberi e di
svolgere un'attività antiossidante diretta (Lahiri e Ghosh, 1999) e indiretta, mediante la
stimolazione dell’attività del sistema antiossidante. Più in particolare, l’azione della
melatonina si svolge mediante una reazione “a cascata” e nel meccanismo, oltre alla
melatonina, sono coinvolti anche i prodotti del successivo metabolismo dell’indolo. Per tale
motivo l’azione antiradicalica della melatonina risulta molto efficace anche a basse
concentrazioni. In accordo con questa considerazione, è stata documentata la presenza di
melatonina in tessuti caratterizzati da un elevato consumo di ossigeno durante il normale
metabolismo (es. il tessuto cerebrale) o particolarmente sensibili all’insulto ossidativo (es.
tessuto testicolare) (Tan et al., 2007). Più recentemente, è stato dimostrato come la
melatonina abbia anche un’azione mirata anche sulla protezione specifica dei mitocondri
(Ramis et al., 2015).
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
Oltre a quanto detto finora, la ricerca riguardante l’utilizzo della melatonina in terapia
si arricchisce assai spesso di nuove indicazioni. Fra le tante che sono state proposte, la
patologia cardiovascolare sembra essere una delle più promettenti. In tal senso, infatti, sono
sempre più numerosi gli studi scientifici indicanti il coinvolgimento della melatonina nella
regolazione del sistema cardiovascolare e nella prevenzione del danno cardiaco, accanto alla
documentazione di alterazioni dei livelli di melatonina in pazienti con patologie
cardiovascolari. Ad esempio, dati clinici indicano che la deprivazione del sonno,
estremamente comune in pazienti sottoposti a terapia intensiva cardiopolmonare, è associata
ad una riduzione significativa dei livelli plasmatici di melatonina. Tale riduzione è presente
anche in pazienti coronaropatici (Yaprak et al., 2003). Il trattamento con l'indolo si è
dimostrato in grado di aumentare il tono vagale cardiaco, diminuire i livelli circolanti di
norepinefrina e migliorare sia la durata che la qualità del sonno (Arangino et al., 1999; Shilo
et al., 2000). Inoltre, la melatonina (2.5mg al giorno) si è dimostrata efficace nel ridurre la
pressione arteriosa in pazienti ipertesi, sia in termini di pressione sistolica, che diastolica
(Sheer et al., 2004). Infine, del tutto recentemente è iniziato un ampio studio che coinvolge
pazienti con pregresso infarto del miocardio, sottoposti ad angioplastica, ai quali verrà
somministrata melatonina (studio M.A.R.I.A.) allo scopo di verificare le potenzialità
antiossidanti e di riduzione del danno tissutale, caratteristiche di tale molecola (DominguezRodriguez et al., 2007). Per tali ragioni, la somministrazione di melatonina viene proposta
come nuova strategia per il trattamento dell’ipertensione essenziale (Scheer, 2005).
FARMACOCINETICA E BIODISPONIBILITA’
Una volta introdotta nell’organismo, la melatonina viene assorbita dal tratto
gastroenterico e la sua concentrazione ematica raggiunge valori elevati, dose-dipendenti, ma
molto diversi fra i vari soggetti, a causa della variabilità individuale in termini di capacità di
metabolizzare la molecola dell’indolo (circa 400 - 9000 pg/ml con 0.5 mg di melatonina per
os, secondo alcuni autori)(Di et al., 1998). Più in particolare, studi nell’animale, ma
soprattutto nell’uomo, hanno dimostrato come una singola somministrazione determini un
incremento dei livelli plasmatici più contenuto rispetto alle attese. Tale fatto potrebbe
dipendere essenzialmente da due ordini di fattori: in primo luogo da un ridotto assorbimento
a livello enterico, oppure da un’efficace azione epatica di clearance nei confronti della
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melatonina. Dal momento che i dati della letteratura indicano che la melatonina viene
assorbita rapidamente a livello intestinale, è verosimile dedurre che la grande variabilità
delle concentrazioni ematiche ottenute dopo ingestione di melatonina nei vari soggetti possa
dipendere da una differente attività degli epatociti. In tal senso, studi in vitro utilizzando
porzioni di tessuto epatico umano, hanno documentato come la melatonina venga assorbita e
metabolizzata assai rapidamente dagli epatociti (Yeleswaram et al., 1997). Inoltre, ulteriori
evidenze ottenute nell’uomo indicano che in vivo tale attività metabolica è così efficace da
rendere biodisponibile mediamente soltanto il 15 % circa della melatonina effettivamente
introdotta nell’organismo (Harpsoe et al., 2015). Successivamente alla fase del picco
ematico (dopo circa 20 - 120 minuti dall’assunzione)(Aldhous et al., 1985; Shirakawa et al.,
1998), le concentrazioni plasmatiche di melatonina si mantengono elevate per circa 1 - 2
ore, con un tempo di dimezzamento nella fase di eliminazione di circa 50 minuti (Aldhous
et al., 1985; Di et al., 1998). Nel fegato la melatonina viene metabolizzata a 6-idrossimelatonina e coniugata con acido glucuronico ed un gruppo solfato, raggiungendo infine
l’emuntorio renale per la escrezione urinaria, come già ricordato.
TOSSICITÀ, EFFETTI INDESIDERATI E CONTROINDICAZIONI
Per ottenere il primo dato scientifico, e comunque sempre propedeutico ad un
eventuale utilizzo nell’uomo, riguardante la sicurezza dell’impiego della melatonina sugli
esseri viventi, è necessario risalire agli anni ’60 quando furono effettuati i primi studi sulla
tossicità dell’indolo epifisario nell’animale. I risultati di tale serie di esperimenti furono
sorprendenti dal momento che, malgrado le enormi quantità di melatonina somministrate
all’animale, non fu possibile individuare la cosiddetta “dose minima letale” (LD50). Il
quantitativo di melatonina più elevato somministrato finora al topo è stato di 800mg per kg
di peso, il che equivarrebbe ad una dose unitaria per l’uomo di circa 50g. Non sono state
valutate dosi maggiori a causa dell’impossibilità materiale di sciogliere una tale quantità di
melatonina nel volume di solvente necessario per la somministrazione. In seguito, studi
approfonditi nell’uomo hanno dimostrato, analogamente, che la melatonina non presenta
particolare tossicità e/o effetti indesiderati (Arendt et al., 1988), anche a dosi elevate. Ad
esempio, alcuni volontari sani hanno assunto un quantitativo di melatonina pari a 6.000mg
ogni sera (l’equivalente della melatonina di 200.000 persone) per 1 mese, senza riferire la
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comparsa di effetti secondari, oltre ad una attesa lieve sonnolenza durante le prime ore del
mattino successivo (Waldhauser, 1990). Inoltre, dati della letteratura riguardanti gli effetti
della melatonina sul sistema endocrino umano, dimostrano che i dosaggi più comunemente
utilizzati a scopo terapeutico non modificano i livelli plasmatici degli ormoni considerati
(Wright et al., 1986; Paccotti et al., 1987; Lissoni et al., 1986). La virtuale mancanza di
tossicità e di effetti indesiderati dipendenti dall’assunzione di melatonina, sia a breve che a
più lungo termine (qualche mese), viene confermata praticamente da tutti gli autori (Arendt,
1997, b; Guardiola-Lemaitre, 1997; Pandi-Perumal et al., 2006). Ad ulteriore conferma, e
considerata la ormai enorme diffusione della melatonina, in uno studio di qualche anno fa è
stata valutata l’ipotesi di un’interferenza della melatonina assunta per via orale con la
capacità di guida degli automezzi. Ciò sulla base del concetto che tale composto è in grado
di determinare le ben note modificazioni fisiologiche che precedono l’addormentamento. I
risultati ottenuti hanno consentito di escludere, ancora una volta, che l’assunzione di
melatonina possa dimostrare effetti indesiderati gravi in generale o che, in particolare, possa
interferire negativamente con la guida (Suhner et al., 1998).
Durante l’assunzione di melatonina, la grande maggioranza di soggetti riferisce una
migliore qualità del sonno, il quale viene registrato come “più profondo”, “ristoratore”,
“come quello dei bambini”, e la ricomparsa dei sogni. Alcuni soggetti, circa il 5%,
soprattutto all’inizio della terapia con melatonina, possono sperimentare una sensazione di
maggiore affaticamento e sonnolenza. Infine, non sono stati dimostrati evidenti effetti
residui mattutini dati dalla presenza della melatonina, se non in un numero assai limitato di
soggetti. In tal senso, ricerche approfondite hanno dimostrato che i livelli di tale sostanza,
dosati il mattino successivo all’assunzione, si trovano entro i limiti caratteristici del periodo
diurno. In ogni caso, l’entità degli effetti indesiderati è in genere molto scarsa ed essi
scompaiono con l’aggiustamento posologico (Nordio, 1996).
Per quanto riguarda le controindicazioni, dal momento che la melatonina è una
sostanza naturalmente prodotta dal nostro organismo e vista la sicurezza del suo impiego, è
intuitivo supporre che anche le controindicazioni, se presenti, possano essere limitate. In
effetti, non esistono vere e proprie controindicazioni all’uso della melatonina, ma
essenzialmente regole di prudenza da osservare nei confronti di determinate situazioni,
patologiche e non, in cui l’assunzione di tale sostanza viene sconsigliata. Appartengono a
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
questa categoria di soggetti: a) i bambini normali (è noto che essi hanno livelli massimi
notturni di melatonina molto più elevati degli adulti); b) le donne in gravidanza (la
melatonina attraversa tutte le barriere, anche quella emato-placentare, raggiungendo il feto il
quale registra la sua presenza, con conseguenze sulle funzioni ritmiche che non sono ancora
note); c) le donne che allattano (per lo stesso motivo accennato in precedenza); d) i pazienti
con malattie autoimmunitarie (cui è stato accennato in precedenza), o con gravi sindromi
allergiche (ricordiamo che la melatonina ha un’azione immunostimolante); e) i pazienti con
ipotiroidismo non compensato (alcuni studi sembrano dimostrare un’azione di freno
dell’attività tiroidea da parte della melatonina, a dosaggi elevati); f) i pazienti in terapia con
antidepressivi (a causa di una ipotetica interferenza fra le due sostanze impiegate che
potrebbe contribuire alla comparsa di crisi di panico).
CONCLUSIONI ED INDICAZIONI FUTURE
In conclusione, sulla base delle precedenti considerazioni, appare evidente come la
somministrazione della melatonina possa essere considerata, oggi sempre più, un
validissimo strumento terapeutico per un numero crescente di condizioni che vanno
dall’alterazione dei ritmi dell’organismo, fra i quali il ritmo sonno/veglia sembra essere
quello che ne tragga maggior beneficio, alla prevenzione del danno da ossidazione, come
nel caso delle patologie cerebrali degenerative e cardiovascolari. L’attività di ricerca è molto
elevata in tali campi e ciò garantisce quel costante e necessario aggiornamento delle
conoscenze che serve per individuare sempre nuove possibilità di impiego e ciò rende
possibile l’auspicio per una sempre maggiore diffusione nell’uso di tale molecola. In tal
senso, dati ottenuti nel nostro laboratorio studiando in doppio cieco 40 pazienti insonni
indicano che, l’uso di un dispositivo per acupressione posizionato su entrambi i polsi (punto
di acupressione H7) durante le ore notturne è risultato in grado di risolvere l’insonnia in una
elevata percentuale di soggetti. Tale buon risultato sembra dipendere dalla presenza di un
ritmo fisiologico di melatonina, in quanto la determinazione di tale indolo nelle urine dei
pazienti ha dimostrato che, in quelli trattati con il dispositivo “H7-insomnia control”, la
percentuale con ritmo di melatonina normale era maggiore, rispetto a quelli trattati con
placebo (Nordio e Romanelli, 2008).
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Accanto a ciò, grazie alle evidenze della letteratura scientifica internazionale ed ai
risultati di studi sperimentali svolti presso il nostro laboratorio, è possibile ipotizzare,
ancorché non ancora confermare, un ruolo svolto dalla melatonina come molecola in grado
di ritardare gli effetti dell’invecchiamento, sia negli animali che nell’uomo. In tal senso,
sono ormai storici gli studi che hanno documentato come la somministrazione di melatonina
ad animali di età avanzata, che presentavano i segni obiettivi dell’invecchiamento (riduzione
della qualità del mantello, rallentamento nelle attività quotidiane, riduzione della attività
sessuale, ecc.), sia stata in grado di rallentare tale processo e soprattutto di ripristinare le
caratteristiche somatiche dell’animale più giovane in termini, ad esempio, di qualità e
“lucidità” del mantello, oltre alla ripresa dell’attività sessuale. E’ però importante
sottolineare che, al contrario dell’animale, allo stato attuale, gli studi nell’uomo non
consentono di confermare che la somministrazione della melatonina sia in grado di
determinare un sicuro effetto sui meccanismi dell’invecchiamento, in termini di
rallentamento del processo. Ciò che può essere affermato è senz’altro l’utilità della
melatonina nel ripristinare l’efficienza della ritmicità endogena, con effetti certamente
benefici sulle funzioni ritmiche dell’organismo (ritmo sonno/veglia in primis), compresi i
ritmi di secrezione di tutti gli ormoni, come già ricordato. Da ciò, in ultima analisi, deriva
un miglior funzionamento di tutto l’organismo, con ricadute positive sulla sensazione di
benessere che risulta migliorata in un gran numero di soggetti che assumono melatonina.
A rafforzare l’ipotesi che la melatonina possa svolgere anche nell’uomo un’attività
anti invecchiamento è il rilievo, da un lato della potente attività anti radicali liberi che
l’indolo pinealico è in grado di svolgere a tutti i livelli, ma soprattutto a livello del tessuto
cerebrale, dall’altro dell’attività immunostimolante. Anche in questi ultimi due casi è chiaro
che, il ripristinare l’efficienza del sistema che ci protegge dai prodotti del meccanismo di
ossidazione, consente un più attento controllo della qualità delle cellule e della riparazione
dei danni, soprattutto a carico del nucleo cellulare, con conseguente più rapida eliminazione
di eventuali cloni cellulari anomali e quindi miglior protezione dell’organismo dalle
malattie, anche quelle tumorali (Ganie et al., 2015). Dello stesso tipo sono gli effetti sul
sistema immunitario, la cui attività è ridotta nell’anziano. Un sistema più efficiente permette
una migliore sorveglianza ed una maggiore capacità di reazione nei confronti di ospiti
indesiderati quali virus, batteri e, anche in questo caso, cloni cellulari mutati.
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Melatonina: azioni ed utilità nell’uomo
In conclusione, risulta quanto mai evidente che le proprietà anti-aging della
melatonina sono, alla luce dei fatti, oggigiorno innegabili anche se chi scrive ritiene che non
si debba commettere l’errore di considerare la melatonina come “la fonte della giovinezza”,
ma soltanto uno strumento, peraltro assai efficace, in grado di consentire all’organismo che
invecchia di funzionare nuovamente in maniera corretta. Il fatto che la melatonina sia
ubiquitaria in natura e nell’organismo stesso (grazie alle piccole dimensioni e alla lipofilia
della molecola) e che pertanto le sue azioni si svolgano a più livelli, suggerisce che tale
indolo possa essere considerato probabilmente il composto endogeno più importante in
termini di attività anti invecchiamento nell’uomo. Tuttavia sarà necessario attendere i
risultati di studi lunghi e complessi, riguardanti l’uso della melatonina nell’invecchiamento,
attualmente già in corso, che ci dovranno fornire le risposte definitive.
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