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Giovedì 2 febbraio 2012
Inchiesta sanitopoli
Rimborsate prestazioni inesistenti
fisioterapisti senza titoli di studio
Le cliniche truffano la Regione
Indagine della Procura di Paola, sedici persone denunciate alle autorità
| L’INTERVENTO |
«Una vicenda frutto anche
di una sanità negata
nei nostri ospedali»
di MATTEO CAVA
PAOLA - Il polo delle cliniche private dell'alto Tirreno cosentino
sotto la lente di ingrandimento
dei Nas, lo speciale nucleo dei carabinieri. Le verifiche effettuate
nel corso di un lungo periodo di
indagine hanno consentito di accertare la commissione di una
presunta serie di truffe ai danni
dello Stato da parte
di quattro case di
IL SISTEMA
cura ubicate in tre
comuni della costa
Praia a
Non esistono tirrenica,
Mare, con la San
Luca;
Belvedere
i controlli
Marittimo con le
NON È la prima vol- cliniche Tricarico e
ta che inchieste del- Cascini, e Sanginela magistratura met- to con la casa di cura Arena.
tono in luce truffe ai
In totale, sono
danni al sistema sastate denunciate
nitario. Gli espealla Procura della
dienti utilizzati sono
Repubblica di Paoquasi sempre gli
la sedici persone. Si
stessi: prescrizioni
tratta dei legali
e relative fatturazioni di prestazioni ine- rappresentanti e
dei Direttori sanisistenti o gonfiate.
tari delle quattro
Questo tipo di truffe
case di cura, di sei
si consumano nel
medici
operanti
settore privato dove
presso il pronto
in Calabria mancano i controlli seri e la soccorso di una delRegione, nonostan- le strutture sanitarie, quella di Belvete leggi e regorladere Marittimo, rementi, non ha mai
putati responsabili
attivati controlli serdi truffa ai danni
rati. Le nuove tecdel Servizio sanitanologie potrebbero
rio nazionale. Altri
essere un valido
due paramedici, instrumento, se per
vece, risultano inesempio, si rendesdagati per aver
se obbligatoria la
esercitato abusivatessera sanitaria
per accedere ai ser- mente la professione sanitaria di fivizi. In modo ogni
Le
cittadino in qualsiasi sioterapista.
quattro strutture
momento (come
sanitarie nell'alto
accade con la carte
Tirreno cosentino
di credito) può sarappresentano un
pere se qualche
malfattore prescrive vero e proprio punto di riferimento
farmaci e accertaper i cittadini che
menti diagnostici a
trovano spesso sersua insaputa.
vizi difficili da reperire in zona nel settore pubblico. In effetti, i controlli coordinati dal Procuratore capo di Paola,
Bruno Giordano, e affidati al Nucleo antisofisticazioni di Cosenza erano mirati ad accertamenti
presso le strutture sanitarie private accreditate che forniscono
prestazioni in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. I militari hanno spulciato fra migliaia di cartelle su pre-
La clinica Tricarico
stazioni diagnostiche rimborsate.
In questo caso viene contestato
il fatto che tali servizi non fossero
previsti nella convezione stipulata tra il Servizio sanitario nazionale e la struttura. Ampliando il raggio dei controlli sono state inoltre individuate anche due
persone che, secondo i carabinieri, svolgevano attività medica di
“fisioterapia”, nonostante fossero prive di idoneo titolo professionale. Nel caso delle clinica di
Praia a Mare vengono contestati
interventi odontoiatrici eseguiti
in regime di day-hospital, registrati e rimborsati come ricoveri
ordinari della durata di più giorni. I carabinieri del Nas ha poi posto l'attenzione su terapie per il
trattamento di patologie urinarie, litotrissia, e per la cura
dell’infertilità nella coppia, erogate, sebbene la struttura non
riunisse i requisiti strutturali ed
organizzativi previsti dalla normativa. Per quanto riguarda la
clinica di Belvedere Marittimo i
carabinieri contestano la registrazione di numerosi ricoveri
effettuati “in urgenza”che, dagli
accertamenti eseguiti dai Carabinieri del Nucleo cosentino, sono risultati ordinarie e programmate prestazioni ambulatoriali.
Dall'indagine è poi venuto fuori
che tali ricoveri hanno spesso interessato interi nuclei familiari
di origine lucana e siciliana.
Ci sarebbero delle audizioni di
alcuni componenti di tali nuclei
familiari che, di fronte alle domande poste dai militari operanti, porterebbero alla presunta
ammissione di “degenze”, che
non rivestivano un carattere di
urgenza sanitaria. Secondo gli
investigatori erano in realtà state pianificate solo al fine di fornireassistenzaad uncongiuntoricoverato. Nel corso delle indagini i Carabinieri hanno acquisito
numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli aspetti
legatiagli esamieseguiti inregime di ricovero che quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate. Sono in corso ulteriori accertamenti tesi a quantificare il danno provocato
all’erario.
OGNI notizia riguardante la
malasanità suscita sempre
nell’opinione pubblica grande
eco. Per tanti motivi, non ultimo, per il fatto che quando si
parla della salute dei cittadini
ci si sente direttamente coinvolti, quasi vivessimo in prima
persona il dramma di chi soffre. E’ successo anche stavolta
per le indagini che vedono
coinvolte alcune cliniche private molto note del tirreno cosentino.
Nulla da dire sulla legittimità degli
accertamenti, come sempre sono
convinto che la giustizia farà il suo
corso e che i responsabili pagheranno
mentre gli innocenti potranno provare la loro estraneità.
Tuttavia,
una
considerazione devo farla relativamente ad una clinica, la “San Luca” di
Praia a Mare, molto
nota in ambiente
odontoiatrico,
e Sergio Nucci
nella quale vengono eseguiti interventi notoriamente tabù nei nostri nosocomi.
E’ un fatto che per prestazioni un tantino complicate di chirurgia odontoiatrica, nostri
concittadini aventi diritto, ovvero che sono assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, si
siano rivolti in passato (ed auguro anche in futuro) a questo
centro dal quale sono arrivate
risposte a legittime richieste di
assistenza.
Ripeto, non conosco le carte e
non so se ci siano e quali siano
le responsabilità, ma la notizia
in se, per la sua cruda drammaticità, impone a chi ne ha facoltà di interrogarsi e capire perchè alcune degenerazioni sia-
no frutto, molte volte, di una sanità negata nei nostri ospedali.
Se esistono centri che erogano prestazioni in regime di
convenzionamento è perchè
l’offerta pubblica o è assente, o è
insufficiente, o è (dispiace dirlo) di qualità minore. Solo ed
esclusivamente per questo.
Fanno bene le autoritá a vigilare che tutto avvenga secondo
i crismi della legalità, ma chi ci
governa farebbe bene a garantire un’assistenza
sanitaria piena ed
efficiente in ogni
dove. Soprattutto,
ad esempio, nel nostro ospedale regionale, dove branche
come la cardiochirurgia o la chirurgia maxillo-facciale
latitano.
Con il movimento
“Buongiorno Cosenza” ho chiesto al
sindaco Occhiuto di
diventare parte diligente nella realizzazione di cardiochirurgia a Cosenza. Bene! A questo
punto lo invito a farsi portavoce di un’altra esigenza molto avvertita dalla popolazione, ovvero dell’istituzione
all’Annunziata di un reparto di
chirurgia maxillo-facciale dove curare con scienza e coscienza quegli sfortunati che per
chirurgie odontoiatriche, anche banali, devono rivolgersi al
privato di turno o al centro convenzionato sia esso la clinica
“San Luca” o l’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti a
Bari (sic!).
Ci sono tante malasanitá nella nostra regione, non c’è che
dire. Una è sicuramente quella
che riguarda la sanitá negata
dei nostri ospedali.
Sergio Nucci
“Buongiorno Cosenza”
Parlano il rappresentante legale e l’avvocato di fiducia delle strutture
La difesa: «Condotte chiare e lineari»
«Ipotesi prive di qualsiasi riscontro. La giustizia
farà il suo corso e dimostrerà la nostra innocenza»
SULLA VICENDA è intervenuto il rappresentante legale della clinica San Luca: «Dopo aver verificato le accuse a noi
mosse - si legge in una nota - possiamo
ritenerci assolutamente sereni e convinti che la condotta assunta negli anni
dalla Casa di cura sia chiara e lineare.
Tra l’altro le nostre prestazioni sono
sempre state oggetto, negli anni, di
controlli capillari degli organismi deputati e mai nessun rimborso economico - sottolinea il rappresentante legale è stato effettuato senza la preventiva
validazione. Dispiace essere oggetto di
inevitabile clamore mediatico ma - conclude il comunicato - la giustizia farà il
suo corso e verrà dimostrata la buona
condotta della Casa di cura, sempre
molto apprezzata dai propri pazienti».
Ha inteso intervenire, per conto della
stessa Casa di cura San Luca e per le cliniche Arena e Cascini, anche l’avvocato
Giuseppe Farina, del foro di Cosenza:
«Merita replica - esordisce nella sua nota stampa - la notizia relativa alla denuncia di sedici persone, tra le quali
rappresentanti legali di case di cura del
Tirreno, per truffa al Servizio Sanitario
Nazionale, per prestazioni diagnostiche registrate e rimborsate in modo
non appropriato». Secondo l’avvocato
Farina si tratta «di ipotesi accusatorie,
allo stato costruite senza contraddittorio e perciò prive di qualsiasi riscontro
fino alla verifica dibattimentale. Nella
certezza - aggiunge - che in quella che è
la naturale sede ogni cosa sarà chiarita, e che nessuno contesta il diritto/do-
vere della magistratura di perseguire
gli eventuali abusi fin d’ora, però va evidenziato il sistema delle erogazioni di
prestazioni sanitarie in regime di accreditamento è fin troppo complesso e
rigoroso, a garanzia dell’evidenza pubblica, da consentire verifiche e controlli
cui non è possibile sfuggire».
«Il clamore mediatico - continua l’avvocato delle tre cliniche - scatenatosi
oggi non è funzionale né al diritto di
cronaca (gli avvisi di garanzia risalgono ad oltre due mesi addietro) né alla
corretta dinamica processuale e neanche al contributo all’accertamento della verità atteso che naturalmente ciò
avverrà nelle sedi competenti».
Per Farina «la fuga di notizie è finalizzata dunque a creare un clima fondato solo su una accusa ancora non verificata, non riscontrata, non acclarata
ma funzionale all’obiettivo di ingenerare già la convinzione di colpevolezza
in un momento in cui da più parti si ten-
de a colpire la sanità privata».
«Le case di cura Arena, Cascini e S.
Luca, aziende di eccellenza, apprezzate
dalle popolazioni assistite da molti lustri sono estranee ad ogni possibile
abuso ma riponendo fiducia totale nella magistratura, censurano - conclude
l’avvocato - questo modo di fare i processi in piazza».
r. c.
Il procuratore
Bruno
Giordano
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6 Primo piano
24 ore
Giovedì 2 febbraio 2012
L’allarme lanciato dal palco dell’Auditorium al convegno promosso dal Museo della ’ndrangheta
La forza dell’area grigia
Il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone: «Nessun settore sfugge»
di DOMENICO GRILLONE
REGGIO CALABRIA - Una giornata densa
di interventi ma piena di spunti di riflessione su uno dei temi più delicati e scottanti di
questo ultimo periodo per l'intera regione.
Perché le ultime indagini delle diverse procure, in particolar modo quella di Reggio
Calabria, hanno messo in luce quanto sia di
stretta attualità il tema sull' “area grigia della ndrangheta”, promosso dal Museo della
ndrangheta per una tre giorni di 'full immersion' con la presenzadi studiosi, professori universitari, giudici, rappresentanti
delle forze dell'Ordine, sindacalisti, rappresentanti del mondo della Chiesa ed in corso
di svolgimento all'auditorium Nicola Calipari del Consiglio regionale.
E ieri a calamitare l'attenzione del folto
pubblico presente in auditorium è stato l'intervento del procuratore della repubblica
Giuseppe Pignatone, pronto ad evidenziare
le devastanti conseguenze di quello «spazio
opaco fra legale ed illegale in cui si realizzanorelazioni dicollusione ecomplicità con la
mafia». E' la cosiddetta areagrigia che per il
procuratore non risparmia ormai nessuno.
«Non c'è una fetta della società rimasta
vergine», sottolinea Pignatone riferendosi
alle varie categorie sociali come quelle degli
architetti, medici, professori, commercialisti, magistrati, funzionari pubblici, e perfino alcuni sindacalisti. «Il rischio di contagio
è presente in ogni categoria. La stragrande
maggioranza è fatta da persone perbene ma
bisogna distinguere il grano dall'olio».
Pignatone va indietro
nel tempo e dimostra,
grazie ad alcune importanti citazioni di studiosi, ricercatori ma anche
testimonianze di mafiosi, che l'area grigia risale addirittura a quasi
due secoli addietro.
«Una complessità di relazioni che si accompagna da almeno 150 anni
al fenomeno mafioso in
Italia». Nel dare l'idea
unitaria del fenomeno
mafioso, peraltro avvalorata dalle diverse indagini giudiziarie, il procuratore reggino esclude che dietro la ndrangheta possa nascondersi la figura del “grande
vecchio”, così come si diceva un tempoanche per
il terrorismo.
«La situazione è più
complicata, non bisogna crearsi quelli che
poi diventano alibi per la
propria
incapacità».
Propedeutiche a spiegaParte della platea
re le relazioni esterne alla ndrangheta sono stati i risultati delle indagini degli ultimi 4 anni di lavoro della procura reggina: tantissimi esempi di collusione con un obiettivo ben preciso, il calcolo di
convenienza che lega le varie categorie sociali alla ndrangheta. Dalla inchiesta Bellu
Lavuru a Crimine fino a quella della magistratura milanese, tutte inchieste che dimostrano in maniera ineccepibile l'intreccio
perverso tra colletti bianchi, rappresentanti delle istituzioni, politici ed amministratori locali con la criminalità organizzata calabrese. E per scoprire questi complicati intrecci per Pignatone occorre partire dal basso, «cioè dai mafiosi per avere innanzitutto
una chiara comprensione della struttura
interna e poi bisogna risalire alle contiguità
ed alle collusioni evitando giudizi morali
che non sono di competenza dei giudici».
Prima ancora è toccato al coordinatore del
Museo della ndrangheta, Claudio La Camera, aprire il convegno, seguito dall'intervento del professore Rocco Sciarrone dell'Università di Torino, autore del volume di 500
pagine dal titolo “Alleanze nell'ombra” che
tratta proprio dal punto di vista sociologico
e scientifico l'area grigia.
A seguire il professore Fulvio Librandi
dell'università della Calabria che ha spiegato le finalità del Museo e le strategie culturali di contrasto messe in atto”. Nel pomeriggio si è discusso sul tema “La dimensione
criminale dell'area grigia e i reati dei colletti
bianchi” con le relazioni del professore Giovanni Fiandaca dell'Università di Palermo
ed il professore Alberto Vannucci dell'Università di Pisa.
Subito dopo la tavola rotonda cui hanno
partecipato il professore Costantino Visconti dell'Università di Palermo, il sostituto presso la procura Generale di Reggio Calabria Fulvio Rizzo ed Alessandro Calì, ex
presidente dell'Ordine degli ingegneri di
Palermo ed autore del volume “DisOrdini”.
«Per scoprire
gli intrecci
bisogna
partire
dal basso»
LA SENTENZA
Lo Giudice credibile
Il gup: pena ridotta
REGGIO CALABRIA - Il boss della
’ndrangheta Luciano Lo Giudice, capo
dell’omonima cosca, ed il cugino Consolato Villani, entrambi collaboratori di
giustizia, sono credibili e le loro dichiarazioni hanno dato un contributo importante allo svolgimento delle indagini sulla consorteria di cui fanno parte.
A stabilirlo è stato il gup di Reggio Calabria Daniela Oliva che infliggendo comunque ai due condanne pesanti ha
concesso loro lo sconto della metà della
pena. Nino Lo Giudice è stato condannato a 10 anni di reclusione e Villani a 9
al termine del processo con rito abbreviato contro i presunti affiliati al clan.
Oltre a loro sono stati condannati altri
cinque imputati a pene variabili dai 10
ai 5 anni di reclusione, ed il gup ha ammesso cinque patteggiamenti a due anni di reclusione. Tra le persone condanne figura anche la moglie di Luciano Lo
Giudice, fratello di Nino ed anche lui al
vertice della cosca. Al momento della
lettura del dispositivo da parte del gup,
dalle gabbie degli imputati si sono levate grida ed urla di minacce. Nino Lo Giudice e Villani, collegati in videoconferenza, invece, hanno ascoltato la lettura
in silenzio senza fare commenti. Luciano Lo Giudice è attualmente imputato
in un processo con rito ordinario insieme al capitano dei carabinieri Saverio
Spadaro Tracuzzi ed altre 10 persone.
Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone (al centro)
Oppido Mamertina. Arrestati due rumeni armati di sega
Taglio selvaggio di ulivi
nella “Valle del Marro”
di DOMENICO GALATÀ
OPPIDO MAMERTINA - Ancora una
volta, un terreno in uso alla cooperativa “Valle del Marro” finisce nel mirino
dei malviventi. Nel giugno scorso un
incendio appiccato da ignoti aveva
mandato in fumo sette ettari di oliveto, questa volta invece, gli alberi non
sono stati bruciati ma tagliati e gli autori del danneggiamento hanno un
nome. I Carabinieri della Compagnia
di Palmi, infatti, ieri mattina hanno
arrestato in flagranza di reato tre cittadini rumeni, Adalbert Lengyel, di
44anni, Cosmin Aron Viorel, di 30 anni e Felician Boncut Verice di 40anni,
mentre, tutti e tre armati di sega a motore, tagliavano e sezionavano numerosi alberi d'olivo che da secoli dimorano in un fondo agricolo situato nella
frazione Castellace del Comune di Oppido Mamertina, confiscato sul finire
degli anni '90 alla cosca Mammoliti.
Gli arresti sono avvenuti nell'ambito dei servizi di controllo del territorio
pianificati dal Comando Provinciale
di Reggio Calabria tesi a contrastare i
ripetuti danneggiamenti dei terreni
agricoli nella zona. Dal sopralluogo
eseguito dai militari dell'Arma, è subito emersa la gravità dell'azione prodotta dai tre malfattori, i quali avevano letteralmente raso al suolo e sezionato, circa 200 alberi d'olivo secolari.
Un'azione che i tre rumeni probabilmente avevano iniziato già da qualche
giorno. A lasciarlo supporre il fatto
che buona parte della legna era già
stata portata via dal fondo. Non è da
escludere nemmeno che i tre possano
avere avuto la complicità di altri soggetti. Su questa ipotesi, e su altre piste, si stanno concentrando le indagini dei militari della Compagnia di Palmi diretti dal Capitano Maurizio De
Angelis.
Resta da capire
se i tre rumeni abbiano intrapreso
di propria iniziativa l'azione criminosa, o se alle loro
spalle possa esserci qualcuno che li abbia “incaricati” di
abbattere gli ulivi. Dopo essere stati
identificati, i tre sono stati portati
presso la Stazione dei Carabinieri di
Oppido Mamertina e dichiarati in arresto. L'accusa è di concorso in danneggiamento e furto aggravato.
«Così è certamente difficile andare
avanti - è stato il commento a caldo del
vice presidente della cooperativa, Domenico Fazzari - la situazione è diventata pesante, quasi uno stillicidio, ma
noi proseguiremo nella nostra opera
di riscatto del territorio fondata sul lavoro».
Una vecchia
foto di
gruppo
scattata
sotto un
albero di
ulivo della
Cooperativa
Lamezia. Trentunenne di Soriano sorpreso alla stazione ferroviaria dalla polizia municipale
Accompagnava prostitute, denunciato
di PASQUALINO RETTURA
LAMEZIA TERME - Quel continuo via
vai non è passato inosservato alla polizia
municipale di Lamezia. Gli agenti, in
servizio alla stazione ferroviaria centrale, notavano spesso un uomo attendere
donne alla stazione che, una volta arrivate in treno, salivano in macchina
con destinazione il
litorale lametino.
Alla fine i sospetti
del nucleo di polizia
giudiziaria della
municipale lametina cominciavano
ad essere sempre
più forti fino a
quando venivano
disposti servizi di
appostamento e peUna prostituta al lavoro
dinamento. E così, ben presto gli agenti
della polizia municipale riuscivano a
scoprire i motivi di quelle continue trasferte di un cittadino abitante nel comune di Soriano, I. P.E. di 31 anni, denunciato per favoreggiamento alla prostituzione di due lucciole appena sbarcate alla stazione centrale di Sant'Eufemia Lamezia.
Secondo quando sarebbe emerso nel
corso degli appositi servizi di appostamento e pedinamento, il trentunenne di
Soriano, dopo aver atteso pazientemente
alla stazione di Sant' Eufemia le due donne, li avrebbe caricate sull'auto dirigendosi verso un vicino supermercato. E qui
i sospetti sono aumentati poichè gli
agenti hanno scoperto che le due donne
uscivano dal supermercato con numerose buste della spesa. Ad attenderli l'uomo di Soriano che dopo aver nuovamente caricato sull'auto le due donne e la spe-
sa, li accompagnava presso un'abitazione, presumibilmente di Falerna, che evidentemente era destinata a casa di piacere. Tutti movimenti non sfuggiti agli
agenti che a quel punto decidevano di
agire istituendo un posto di controllo.
Alla vista degli agenti, l'auto con a bordo
il trentunenne e le due donne, nonostante una repentina inversione di marcia
del conducente avvenuta nei pressi del
posto di blocco, veniva fermata da un'auto civetta e sottoposta ai controlli rituali.
All'esito degli accertamenti, venivano
trovati e sequestrati sei telefonini in uso
ai protagonisti della vicenda utilizzati
prevalentemente per i contatti con i
clienti. Circostante che non esclude
eventuali altri sviluppi, mentre il trentunenne di Soriano non si risparmiava
la denuncia per favoreggiamento della
prostituzione.
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10 Calabria
16 Reggio
Giovedì 2 febbraio 2012
Reggio 17
Giovedì 2 febbraio 2012
Punto di svolta nelle ultime indagini
Si è aperta la tre giorni del Museo della ’ndrangheta
Alleanze nell’ombra
studiosi alla ricerca
della terra di confine
Spazio opaco
dell’illegalità
Per il procuratore capo Pignatone la “zona grigia”
è essenziale per la vita delle organizzazioni mafiose
di DOMENICO GRILLONE
morali che non sono di competenza
dei giudici”. Altro esempio sono le
indagini di “pura mafia militare”
da cui poi emergono strane commistioni e comportamenti illeciti
di persone appartenenti appunto
all'area grigia. Dalle indagini sulla cosca Pelle emergono riferimenti a politici che vanno a chiedere i
voti, e poi medici che stilano certificati falsi, e la figura del commercialista Zumbo, fiduciario dei servizi segreti militari, “arrestato
perché rivela notizie segrete al capomafia”.
E poi le indagini sulla cosca Tegano, nata per la ricerca di un latitante e che poi rivela i “rapporti
perversi” con una impresa che ha
l'appalto della pulizia dei vagoni
ferroviari. Pignatone cita anche la
recente vicenda della Multiservizi
e l'arresto del direttore Giuseppe
Richichi, “un vero uomo della cosca”. svelata grazie anche al collaboratore di giustizia Moio.
Insomma un mondo variegato di
“relazioni esterne” che mette a nudo i rapporti tra le categorie più
volte citate dal procuratore Pignatone con la ndrangheta. E la presenza della Commissione d'accesso al Comune di Reggio rappresenta l'ultima di una serie innumerevoli di prove di questa strana e perversa relazione tra colletti bianchi
e criminalità organizzata calabrese.
A Reggio Calabria si è aperta la tre
giorni di dibattito promossa dal
Museo della ‘ndrangheta sui temi
della legalità e della “zona grigia”. I
seminari sono stati tenuti da esperti
e da magistrati impegnati nella lotta
al crimine come il procuratore capo
Giuseppe Pignatone (ph Sapone)
|
LA POLEMICA
|
Studiosi a confronto sui reati legati ai “colletti bianchi”
La Camera all’attacco
per difendere il Museo
REGGIO CALABRIA - “Noi del Museo siamo stati attaccati come mai
era successo nei nostri 4 anni d'attività. Ci è stato detto che facciamo
cose inutili con grande incompetenza e con grande dispendio di risorse”.
Una vena polemica, quella del
coordinatore del Museo della
ndrangheta, Claudio La Camera,
nel corso del suo intervento all'auditorium Calipari del Consiglio re-
gionale. Ma solo per chiarire quanto successo nei mesi scorsi durante la prima parte del convegno. “E'
stato detto che non bisogna parlare di ndrangheta, che bisogna parlare solo delle cose belle di questo
territorio. Noi abbiamo sempre
cercato la partecipazione condivisa di tutte le componenti della società civile, politica e religiosa. perché il contrasto alle mafie ha bisogno di un territorio condiviso di intenti e di iniziative”.
“Quando è nato il progetto del
Museo - ha aggiunto La Camera c'è stata forse per la prima volta in
questa città una comunione di intenti che andava oltre i contrasti
politici. Oggi probabilmente c'è
una maggiore conflittualità e si
tenta di delegittimare il nostro lavoro”. Il coordinatore del Museo
continua elencando tutta una serie di domande circolate più o meno pubblicamente in questo ultimo
periodo. domande del tipo: “Ma
chissà cosa vogliono fare questi
che si mettono a parlare di area grigia. Pensano che hanno scoperto
qualcosa? Che cosa vogliono dimostrare? Vogliono fare il santuario
dell'antimafia? Vogliono farsi
strumentalizzare da questa o quella parte politica?” “Noi rispondiamo con i fatti - evidenzia La Camera
- e soprattutto non ci facciamo
strumentalizzare né dalla politica
né dai comitati d'affari. Dico questo non per rispondere ai diversi
attacchi ma perché questa conflittualità che cancella ogni forma di
dialettica nella nostra realtà è, a
mio avviso, un tema centrale della
cosiddetta zona grigia”.
Messa da parte la foga polemica,
La Camera ha poi, tra l'altro, spiegato gli obiettivi del Museo. Che è
quello di “costruire la possibilità di
conoscere, rendere visibile il fenomeno ndrangheta. Nei prossimi
mesi arriveremo alla fase centrale
del nostro lavoro perché tutte le nostre energie saranno dirette verso
la costruzione dell'area museale. E
se forze oscure non ci impediranno
di concludere questa fase riusciremo a progetto ultimato ad avere la
prima strutturadi livelloscientifico al sud dell'Italia. Perchè i progetti che la Fondazione Falcone e la
Regione Sicilia stanno portando
avanti forse arriveranno alla conclusione tra un paio d'anni”.
Conclusa questa fase, i ragazzi
del quartiere in cui è stato sequestrato il bene mafioso e diventato
poi museo lavoreranno all'interno
ed eviteranno di cadere nella trappola mafiosa.
d.g.
Claudio La Camera
Il mercato della corruzione
ha un codice ben preciso
di ROBERTA PINO
REGGIO CALABRIA - Con il tema “La dimensione criminale
dell'area grigia e i reati dei colletti bianchi”, si apre la sessione pomeridiana del convegno voluto,
per il secondo anno consecutivo,
dal Museo della 'ndrangheta della città dello Stretto.
“La ferita. L'area grigia della
'ndrangheta” è a Palazzo Campanella, sala Calipari, dove personalità di assoluto spessore socioculturale affrontano il fenomeno
mafioso in termini meno generalisti, “proponendo un convegno
tematico con la prospettiva di coniugare sempre gli aspetti di
analisi con quelli riguardanti le
politiche e le attività di contrasto”.
Rocco Sciarrone, docente all'Università della Calabria e moderatore dell'incontro, introduce
due studiosi di campi disciplinari diversi, “ma complementari”.
Un dialogo tra discipline differenti che si incrociano per analizzare il medesimo fenomeno criminoso, di cui oggi si parla con
sempre maggiore insistenza,
che rientra in quella fascia intermedia definita dagli esperti “area
grigia”.
Docente di Scienze Politiche al-
l'Università di Pisa, Alberto Vannucci è uno dei massimi esperti di
corruzione del nostro paese.
Lo studioso spiega come tale fenomeno in Italia si sia radicato in
profondità, divenendo sistemico. “Il mercato della corruzione commenta - non è caotico, ma in
esso vigono codici di comportamento che disciplinano la condotta dei partners affidabili, stabilendo le norme per il pagamento della tangente e il profitto atteso, provvedendo a emarginare
gli onesti e i dissenzienti, che non
si sottomettono alla legge dei corrotti”.
Una serie di slides evidenziano, poi, come la rete di corruzione
sistemica metta in atto uno scambio corrotto “complesso”, in cui
gli attori principali sono le organizzazioni mafiose. Vannucci, ricorda, infine, una ricerca sui finanziamenti politici illegali condotta in Colombia, Brasile, Russia e Italia, rilevando il “paradosso italiano, per cui mentre negli
altri paesi i flussi più consistenti
mirano a sovvenzionare la carriera dei politici, in Italia, questi
flussi hanno dinamiche diverse,
sono i politici a pagare le organizzazioni criminali”.
Decisamente più normativo è
l'intervento di Giovanni Fianda-
ca, ordinario di Diritto Penale all'Università di Palermo.
“Rispetto aireati commessidai
colletti bianchi - spiega il giurista
- non c'è una percezione sociale
che li ritenga tali. Il concetto di
area grigia, contiguo alle organizzazioni criminali, è piuttosto
sfuggente per il diritto penale
che individua la figura di concorso esterno, oggetto
di ampio dibattito
dottrinario e giurisprudenziale”.
L'esperto, ricordando che il concorso esterno ha radici
ben lontane nel tempo, si sofferma sul
“paradigma causale” e cioè afferma
che, “risponde di
concorso esterno
chi, pur non essendo
organicamente collegato, apporta un contributo
causalmente rilevante al rafforzamento dell'organizzazione criminale”.
Rileva, dunque, il problema
della configurabilità e della portata della fattispecie nei reati associativi, propone, piuttosto,
“forme di intervento penale più
efficaci e, soprattutto, azioni di
formazione civica”.
|
I ragazzi che hanno partecipato al dibattito ne hanno messo in risalto i limiti più evidenti
«Un linguaggio troppo lontano dal nostro»
Gli argomenti troppo tecnici non hanno
avuto presa sugli studenti presenti in aula
REGGIO CALABRIA - Tavola rotonda per discutere su “La dimensione
criminale dell'area grigia e i reati dei
colletti bianchi”, coordinata da Rocco Sciarrone.
Il dibattito si concentra sulla definizione di “area grigia”e Costantino
Visconti, professore di Diritto Penale all'Università di Palermo, cita, a
tal proposito, una sentenza del 1928
in cui, giudici reggini “condannano
per concorso esterno due sindaci di
comuni calabresi per aver operato
con un piede nella caserma e uno nella mafia..”. Un'ambiguità, dunque,
che connatura la zona grigia già ai
tempi del codice penale Zanardelli.
Difficoltà, poi, a tipizzare la figura
del concorso esterno applicata per i
reati di corruzione, concetto ripreso
da Fulvio Rizzo, sostituto presso la
Procura Generale di Reggio Calabria. Alla presenza del Procuratore
Capo, Giuseppe Pignatone e del magistrato Michele Prestipino, è intervenuto Alessandro Calì, ex presidente dell'Ordine degli Ingegneri di
Palermo, vittima di molte intimidazioniper averespulsoilre dellasanità siciliana, Michele Aiello, indagato
per concorso esterno in associazione
mafiosa. Sostenitore di una condotta morale “specchiata”per gli appartenenti agliordini professionali,Calì racconta la sua storia nel libro “DisOrdini”, in cui “delinea proposte
concrete per delle possibili riforme”.
Gli studenti degli istituti Piria,
Campanella, Vinci e Magistrale
ascoltano con interesse il dibattito
proposto dal Museo della 'ndrangheta.
Un ascolto partecipato che subisce, però, dei cali vertiginosi.
Alcuni di loro, infatti, sottolineando l'importanza dell'argomento, di
cui si sentono investiti soprattutto
quando si recano in altri paesi del
nord Italia e all'estero, dove scontano “l'etichetta di mafiosi perché calabresi”, rilevano anche il disagio di
assistere ad un dibattito manifestato con un “linguaggio troppo lontano dalla realtà di studenti”. Tecnicismi esagerati e poco coinvolgimento
nei loro confronti da parte dei relatori, è la critica espressa, nella speranza che gli altri due giorni del convegno “si presti una maggiore attenzione anche alle generazioni future”.
r.p.
Per i tecnici
«Il concetto
è piuttosto
sfuggente
alla legge»
L’INIZIATIVA
|
Storie e testimonianze contro le mafie
Consegnate agli studenti le borse di studio della Fondazione Filianoti
SI è tenuta nel quarto anniversario dell'uccisione dell'imprenditore reggino Giovanni Filianoti,
l’iniziativa della Fondazione a lui
dedicata e diretta dalla figlia Natalia presso il teatro Siracusa. Il
dibattito è stato coordinato da
Giusva Branca e Raffaele Mortelliti. In platea gli studenti delle
scuole superiori per un incontro
che ha voluto diventare un puzzle
di storie con un unico denominatore: la lotta alle mafie.
E’ stata Natalia a raccontare la
storia del suo papà, Giovanni Filianoti, ucciso ucciso davanti casa con 7 colpi di pistola il primo
febbraio del 2008.
Ed ancora tante le storie: quella
di Rita Atria, la ragazza di Por-
I ragazzi presenti in sala
tanna ripudiata dalla mamma
perché testimone di giustizia:
storia riportata al Siracusa da
Nadia Furnari, fondatrice dell'Associazione Rita Atria. Poi
una storia reggina: quella di Tiberio Bentivoglio, imprenditore
reggino che ha denunciato il racket e la cui vicenda è stata ricostruita da Daniela Pellicanònel
suo libro “Colpito” . Anna Maria
Scarfò, stuprata a tredici anni dal
branco, che dice ai ragazzi in sala: «Voglio ricominciare». Quindi Fabio Regolo, magistrato del
Tribunale di Vibo. che stimola i
ragazzi ad assumersi delle responsabilità.
A seguire Gianni Trudu, psicologo e presidente della Cooperati-
va Sociale “Centro Giovanile” dedicata a Don Italo Calabrò.
“Fuggire per sfuggire, senza
scappare”: il titolo diventa sostanza nelle testimonianze che ieri sono state portate, vive come le
persone che le hanno vissute, ai
giovani reggini. Per dire loro che
devono combattere. Che non devono soccombere, o peggio far
finta di non vedere e non sentire.
Le Borse di studio della Fondazione vogliono lanciare questo messaggio.
Gli elaborati sul tema della lotta alle mafie delle scuole superiori sono stati quindi premiati da
Natalia Filianoti. «Un premio alla cultura della legalità - ha detto per una speranza in un domani
L’iniziativa della Fondazione Filianoti al Siracusa
diverso».
Grande e sentito il coinvolgimento dei ragazzi presenti al Siracusa. tanti. Attenti. A bere ogni
singola parola di quei coraggiosi
testimoni di come, nella quotidianità, e senza finti eroismi, ma con
autentica forza, si possa andare
contro il crimine, la mentalità
mafiosa, le piccole e grandi ingiustizie di chi prevarica contro
ogni regola e contro la legge. La
Fondazione Filianoti è riuscita
davvero a toccare il cuore di chi
oggi e domani dovrà combattere
questa battaglia.
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REGGIO CALABRIA - “Lo spazio
opaco fra legale ed illegale in cui si
realizzano relazioni di collusione e
complicità con la mafia”. E' la definizione della cosiddetta area grigia con la quale il procuratore Giuseppe Pignatone ha avviato ieri,
nel corso del suo intervento nell'ambito della prima giornata del
convegno organizzato sullo stesso
tema dal Museo della ndrangheta,
una serie di riflessioni dal punto di
vista di chi conduce le indagini.
Una sorta di “lectio magistralis”
condotta dal procuratore con
grande professionalità e dovizia di
particolari per connotare meglio,
quindi, l'area grigia che rappresenta una delle caratteristiche essenziali delle mafie, “una delle ragioni essenziali della loro forza”.
Una premessa, avvalorata da una
serie di citazioni di studiosi, sociologi ma anche mafiosi, risalenti addirittura all'800, per confermare
un distorto complesso relazionale
che affonda le sue radici ben 150
anni addietro. Ancora più interessante è stato, per il folto pubblico
dell'auditorium Nicola Calipari del
Consiglio regionale, la ricostruzione da parte del procuratore degli ultimi 4 anni del proprio lavoro.
Nessun “grande vecchio” dietro la
mafia, così come si è pensato per
lungo tempo nei riguardi del terrorismo. “La situazione è più complicata, non bisogna crearsi quelli
che poi diventano alibi alla propria
incapacità”. Subito dopo la sintesi
dei risultati delle indagini degli ultimi 4 anni di indagini “sulle relazioni esterne della ndrangheta”
svolte dalla Procura reggina.
Decine e decine di persone, appartenenti alle quattro categorie
classiche, imprenditori, professionisti, pubblici funzionari, politici,
alcune già condannate ed altre in
attesa di giudizio per situazioni in
cui sono comunque emerse “tutte
le possibili fattispecie già delineate
in giurisprudenza”. Il calcolo di
convenienza è il “leit motiv” che lega le categorie citate alla ndrangheta. E gli esempi sono veramente tanti. Dalla impresa che scarica i
“costi” della ndrangheta sulla collettività, vedasi l'inchiesta “Bellu
lavuru” con la galleria crollata a
Palizzi, ai diversi casi documentati
dalle recenti indagini.
Architetti, medici, professori,
commercialisti, magistrati, funzionari pubblici, e perfino alcuni
sindacalisti, “Non c'è una fetta della società che è vergine - ha sottolineato Pignatone - il rischio di contagio è presente in ogni categoria.
La stragrande maggioranza è fatta da persone perbene ma bisogna
distinguere il grano dall'olio”.
Non sono da meno le relazioni pericolose tra ndrangheta, politici ed
amministratori locali. “Legami
che non esisterebbero o sarebbero
poco rilevanti se tutto si riducesse
al rapporto con una cosca di 40 o 50
persone. Ed invece proprio l'unitarietà della ndrangheta ci fa capire
che questa organizzazione controlla migliaia di voti e persone che
occupano posti strategici della società. Molti accettano di entrare in
contatto con la ndrangheta, altri
addirittura il contatto lo cercano”.
Per scoprire queste collusioni
per Pignatone occorre partire dal
basso, “cioè dai mafiosi per avere
innanzitutto una chiara comprensione della struttura interna e poi
bisogna risalire alle contiguità ed
alle collusioni evitando giudizi
REGGIO CALABRIA - Sul tema mondo delle professioni e via didell'area grigia non c'è alcuna cendo”.
Il professore Fulvio Librandi
improvvisazione. Al contrario,
oltre alle evidenze giudiziarie dell'Università della Calabria e
esiste un'attività di ricerca dura- membro del comitato scientifico
ta anni e poi sfociata in un volu- del Museo si è invece soffermato
me di 500 pagine dal titolo “Al- sul significato della parola Museo affiancato al termine ndranleanze nell'ombra”.
Ad affermarlo è stato Rocco gheta e che negli ultimi tempi ha
Sciarrone, curatore dello stesso destato qualche polemica. “L'evolume, professore dell'Univer- spressione Museo della ndransità di Torino e membro del co- gheta è molto aspra e contradmitato scientifico del Museo del- dittoria - ammette Librandi - ma
la ndrangheta. A lui è toccato in- pur mettendo in conto tutte le
trodurre ieri il tema del conve- contrarietà che avrebbe suscitagno partendo dalla sua defini- to, ci era sembrata una buona
zione per poi approfondire vari chiave, anche provocatoria, per
affrontare in modo spiazzante, e
aspetti.
“L'obiettivo è fare luce su un'a- comunque in una nuova prorea, quella grigia, difficile da de- spettiva, un problema di per se
finire e delimitare. e poi entrare molto aspro”.
Una sorta di premessa per dire
in quest'area per vedere il tipo di
attori che si muovono in questa che il Museo della ndrangheta “è
terra di confine. Occorre cercare pensato come un museo del predi capire com'è articolata, come sente e si propone di sottrarre infunziona e come si riproduce”. formazione dal flusso caotico
Una delle convinzioni dei ricer- della contemporaneità per farle
catori e degli studiosi sulle ma- diventare oggetto di discussiofie, afferma Sciarrone, è che ne”. Per Librandi il fine del Mu“proprio nell'area grigia biso- seo “è la costruzione di un linguaggio e di una
gna rintracciare
pedagogia nuoi meccanismi di
vi nella forma e
riproduzione
nei contenuti. Il
delle mafie e cosenso dovrebbe
me contrastarrisiedere nella
li”.
possibilità
di
“La forza delle
mettere in quemafie sta fuori le
stione fin dalle
mafie - dice ancopremesse alcune
ra Sciarrone - e
categorie conforse sta proprio
cettuali che si soin questa area
no solidificate in
grigia
dove
ampi strati della
prendono forma
popolazione, e
rapporti di collunon solo in Calasione e complicibria, e che rendotà e dove si muono deboli ed advono attori didirittura ineffiversi dai mafiocaci tutte le strasi, differenti per Un carabiniere in servizio
tegie di contracompetenza, risorse, e anche per interessi e per sto culturali”. Insomma un tenruoli sociali”. Soggetti diversi, tativo “per decostruire alcune
imprenditori, liberi professioni- immagini che abbiamo memosti, politici, dirigenti e funziona- rizzato”.
L'aspetto importante del Muri della pubblica amministrazione, “ma anche soggetti delle isti- seo è comunque la possibile portuzioni, delle forze del'Ordine e tata pedagogica. “Si avverte difdelle agenzie di contrasto per fusamente l'esigenza di un prouna area grigia dalla grande getto che arrivi dal mondo della
pervasività che tende a cattura- cultura, che arrivi qualche indire soggetti appartenenti a sfere cazione per tentare di incidere
sull'immaginario collettivo. E
diverse”.
Si tratta di rapporti di dipen- lavorare esplicitamente sul lidenza molto complicati, spiega vello culturale comporta la fatiSciarrone, una sorta di mutuo ca di immaginare strumenti pesoccorso, una sorta di scambio dagogici nuovi per contrastare
con segni di tipo diverso e “reci- alcune strategie educative familiari e non solo per persone che
procamente vantaggiosi”.
Riduttivo e fuorviante parlare vivono in contesti di ndranghedi infiltrazioni della ndranghe- ta. Oppure, per esempio, pensata nell'economia locale. “Vi sono re a quale linguaggio utilizzare
delle situazioni emerse in recen- in una classe dove una parte di
ti indagini in cui più che di infil- alunni vive in situazioni di
trazioni occorre parlare di com- ndrangheta ed ai quali dire che
penetrazione. Una situazione, la mafia è il male, oltre ad essere
quindi, molto più pericolosa che pericolosa ed inutile”.
vale poi per il potere politico, il
d.g.
18 Reggio
Giovedì 2 febbraio 2012
Reggio 19
Giovedì 2 febbraio 2012
Le intercettazioni di Giovanni Zumbo in carcere
Per il commercialista, Roccella s’inventò l’informativa sui Serraino
«Di certe cose
non parlerò»
L’ombra dei depistaggi nell’inchiesta
sulla stagione delle bombe a Reggio
Alla moglie che gli chiede di dire tutto quello che sa
la talpa risponde: «Certi argomenti non posso toccarli»
di GIUSEPPE BALDESSARRO
bo del fatto che era stato preso
dalle telecamere piazzate davanti alla casa di Pelle «lui è venuta
da me e mi ha detto che mi avevano visto e che sapevano tutto». Il
nome della persona in questione
non viene pronunciata, ma scritta e la Toscano esclama «lui». E
l’uomo che sa della telecamera
ma che «però si spaventava in
procura da quel momento è
scomparso...». Ed è la stessa persona che aveva detto a Zumbo che
avrebbe cancellato le sue immagini «perchè lui ha detto che li
cancellava...». Invece la tala finisce in carcere e nonostante le
pressioni della moglie che gli
chiede di raccontare la verità, risponde: «.. devi capire che se io
sono qua dentro è perchè pure
non voglio mettere in mezzo determinate persone e du mi dici
(incomprensibile) cioè se nò la dico (incomprensibile) perchè mi
hai portato con questo ... allora
stai pensando male di me... omissis...».
Nella sostanza Zumbo viene
mandato a casa di Pelle per fare la
spiata delle inchieste delle Dda di
Reggio e Milano, da personaggi
legati alle istituzioni. Non sa che
fuori dalla casa ci sono le telecamere. Viene avvertito dopo da
uno dei suoi “amici” che gli promette di cancellare i video, ma
che poi gli rivela che i magistrati
Si conferma
la tesi sostenuta
da Lo Giudice
che invece
si autoaccusò
hanno scoperto tutto. Per settimane, fino all’arresto, Zumbo
non sa bene cosa fare. Si convince
soltanto di essere stato vittima di
uno scontro interno al Ros. Tanta di contattare qualcuno dei
suoi interlocutori dei servizi segreti ma non soltanto. Non è
chiaro se riesce nell’intento, ma
di certo c’è che gli arriva una promessa. L’impegno è di provvedere alla moglie e ai figli. In cambio
del silenzio. Deve tacere, almeno
per una parte delle cose che sa.
Dice alla moglie che ha intenzione di presentarsi al processo
(aveva saltato la prima udienza) e
che in quella sede intende difendersi perchè contro di lui «sono
state dette un sacco di porcherie». Un nome però gli sfugge in
carcere. Riferendosi ad un episodio in particolare Zumbo si difende: «Quella cosa che ti ho fatto vedere, era solo esclusivamente per
una questione proprio di affetto
che mi lega a Giorgio, basta!
Niente di più! Te lo giuro sui
bambini!».
L’uomo continua a dire alla
moglie che forse delle «responsabilità le ha», ma che lui stava lavorando per lo Stato. «Non era gente qualsiasi». Nella lunga conversazione la donna tenta di portarlo a dire tutto quello che sa,
ma per lui non è possibile «si
smuoverebbe troppo».
| L’INTERCETTAZIONE |
«A lui lo hanno buttato nel cestino
mentre altri prendono gli encomi»
IL PRIMO ottobre del 2011, Francesca avendola aiutata teoricamente, e poi lui
Toscano, ha uno sfogo con il cognato è stato arrestato, quindi teoricamente è
Roberto Emo, durante il quale spiega coperto».
La Toscano è arrabbiatissima e scariche lei ha fatto tutto quello che poteva
per tentare di tirare fuori il marito Gio- ca il suo rancore contro il marito sul covanni Zumbo fuori dal carcere. Lo sfo- gnato: «Io con chi mi sono sposata? con
ga nasca probabilmente dopo una lite uno consapevole che faceva ste cose!..
con i suoceri, ma viene ritenuto impor- perchè giocava, ha sempre giocato con
tante dagli investigatori perchè con- due mazzi di carte ... faceva il grande
con gli ‘ndranghetisti e
ferma le intercettazioni
po spifferava tutto ... tutfatte in carcere.
to sui giornali no? QuinDice la Toscano: «Perdi, non pensare che tutta
chè lui, ancora, sai che dila ‘ndrangheta è con lui..
scorsi fa? Fino a due
c’è gente che in carcere,
giorni fa? “Ah ma io non
ho saputo, si gira dall’alposso parlare perchè io...
tra parte ... tu lo sai che è
farei la figura ... cosa
stato messo in isolamenscriverebbero i giornali?
to qua, no? E perchè non
Che io sono un infame?”.
si preoccupa di questi
Giovanni il concetto di
fatti? che sono più iminfame, gli ho detto io,
portanti».
perchè mi sembra che tu
ma cìè di più. Perchè la
ancora hai.. l’infame è
Toscano rinfaccia al coquando tu attribuisci il
gnato anche dell’altro e,
fatto a una persona che
nel farlo, fornisce altri
...», E aggiunge: «Quel Francesca Toscano
dettagli agli investigatoconcetto di infame deriva
dalla mentalità deviata che ancora si ri. Zumbo faceva anche uso di droga.
porta dietro Giovanni ... omissis .. Tu Cocaina per l’esattezza. La donna rivela
sai benissimo che, per quanto la verità due cose essenzialmente. La prima è rela sa solo lui, lui è stato utilizzato e poi lativamente al fatto che «in casa c’erano
gettato nel cestino dell’immondizia. tutte quelle armi». quindi la donna agQuindi praticamente, è lui che ha il col- giunge che dopo l’arresto del marito ha
tello dalla parte del manico e ancora trovato qualcosa nel negozio: «Dopo
non l’ha capito! E io cerco di spiegar- che lo hanno arrestato, quello che ho
glielo in tutti i modi, perchè non è par- trovato la dentro.. in negozio .. nascolare, diventare pentito o confessare o sto ... cioè .. io so un sacco di cose». Ed è
chissà che cosa .. ma lui, che sa la verità, così che secondo quanto dice Emo il coinvece di farsi la galera al posto di quelli gnato: «continuava a sniffare e contiche invece si prendono le onoreficenze nuava a spacciare». Dichiarazioni che
.. si, ma io non parlo della ‘ndrangheta, vanno ad arricchire il quadro su Zumperchè con la ‘ndrangheta, per certi bo, me che lo inguaiano anche ulteriorversi, lui è coperto ,,, nel senso che, mente.
La Fiat Marea
fatta trovare
da Zumbo
il giorno
della visita
di Napolitano
| NELLE CARTE |
Il mistero delle quote
di Parco Caserta
Gli impianti di Parco Caserta
GIOVANNI ZUMBO e il cognato Roberto Emo, avevano alcune quote della società
“Paidea sportiva dilettantistica srl”, che gestisce il Centro sportivo di Parco Caserta. Le quote societarie formalmente sono intestate per
il 70% a Giacomo Giuseppe
Calabrò, e per il restante 30%
per metà a Roberto Emo e per
l’altra metà a Francesco Toscano, moglie di Zumbo. Gli
investigatori ipotizzano che
in realtà la Toscano altri non
fosse che un’intestataria di
quote che in realtà erano del
marito. Una circostanza che
sarebbe affiorata grazie a
delle intercettazioni dove la
donna si lamenta del fatto
che la parte degli introiti in-
vece di essergli consegnata,
viene intascata dal padre del
marito. Le cose in famiglia
non vanno bene tra i due coniugi soprattutto dopo l’arresto di Giovanni Zumbo.
Per questo Emo in colloquio
in carcere con il cognato e
con la moglie Porzia Zumbo
(i coniugi verranno arrestati nell’ambito dell’inchiesta
Astrea) invita Zumbo a chiedere alla Toscano di cedere le
proprie quote in maniera tale che uno dei due possa intestarsele.
In aria tra l’altro c’è anche
una «separazione simulata
tra i coniugi Zumbo», ed
Emo invita il cognato ad
estromettere la moglie Toscano dalla società.
|
I rilievi del Ris davanti alla Procura generale dopo la bomba del 3 gennaio 2010
tanzaro.
Furono gli spioni, le gole profonde,
a mettere la pulce sbagliata nell’orecchio giusto. Ufficialmente vengono
definite “fonti riservate”, e vi si fece
ricorso poche ore dopo l’esplosione
davanti al portone della Procura generale del 3 gennaio 2010. Agli atti ci
sono tre diverse relazioni di servizio
dei carabinieri che parlano di notizie
fornite dagli informatori. Sono datate 5 e 6 gennaio, pochi giorni dopo
l’attentato. Una di queste è firmata
dall’appuntato Roberto Roccella.
E’ un nome noto perchè si tratta del
carabiniere che era in contatto con
Giovanni Zumbo, lo spione che frequentava casa Pelle per informare i
boss delle indagini che la Dda di Reggio e Milano conduceva contro di loro. Per Roccella fu sempre Zumbo ad
organizzare la messa in scena
dell’auto imbottita di armi ed esplosivo, fatta trovare sulla strada del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a fine gennaio.
Zumbo (la fonte confidenziale), secondo quanto scrisse all’epoca il carabiniere riferì che «la matrice fatta ai
I TANTI SILENZI
danni della Procura generale è riconducibile a “Mico Serraino”, con il benestare della famiglia Ficara-Latella».
Co il pentimento di Nino Lo Giudice
sorge il dubbio che si tratti di una polpetta avvelenata, evidentemente, che
fa il paio con altre due di analogo
stampo. La prima dice che sono Stati i
Serraino per «fare ricambiare un favore a gente di Melito Porto Salvo» e
che la Bomba era stata preparata da
«Antonino Barbaro». La Seconda è
ancor più dettagliata e sui nomi dei
presunti autori e oltre a Barbaro
spuntano quelli di Ivan Nava e Nicola
Pitasi». Veleni, sembrerebbe, di “fonti” che misero gli investigatori sulla
cattiva strada. Una tesi quella del depistaggio che troverebbe conferma
anche nelle intercettazioni di Zumbo.
Il quale parlando con la moglie afferma di non sapere nulla di quella informativa e che Roccella si invento
tutto. Dando così ragione a Nino Lo
Giudice ed avvalorando la tesi secondo cui dietro la strategia della tensione non vi fossero i Serraino.
g. bal.
|
Nell’interrogatorio non volle rivelare le sue fonti
QUANTO gli inquirenti andarono
a sentire cosa aveva da dire Giovanni Zumbo, la talpa raccontò
soltanto alcune verità. O meglio le
sue, e solo sulla vicenda delle armi
trovate nell’auto vicino all’aeroporto il giorno della visita in città
del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. Su quella storia scarica tutto sul carabiniere
Roccella Reggio Calabria. Ammette di aver conosciuto Marco
Mancini, l’ufficiale del Sismi, ma
non vuole dire altro sui suoi amici
spioni. Si assume la responsabilità
di avere avuto rapporti con i servizi segreti, ma non vuole riferire da
chi ha saputo delle inchieste che è
andò a spifferare a casa del boss
San Luca, Peppe Pelle.
Per il resto nega tutto, anche le
telefonate avute con il carabiniere
Roberto Roccella il quale «si sarebbe inventato le relazioni di servizio
che lo riguardano».
L’interrogatorio di Giovanni
Zumbo fu quantomeno singolare.
L’uomo considerato vicino ai servizi e pizzicato a svelare notizie riservate ai mafiosi delle famiglie
Pelle e Ficara, disse e non disse.
Singolare perchè, dopo la conclusione delle indagini nei suoi
confronti era stato lui stesso a
chiedere di essere interrogato. Un
interrogatorio in cui poi non ha
praticamente risposto a nulla, facendosi sostanzialmente un autogol in termini di strategia difensiva.
Zumbo il 13 giugno scorso era
stato sentito dal procuratore Giu-
Si fece sentire dai magistrati per smentire il suo coinvolgimento
nella vicenda delle armi trovate il giorno della visita di Napolitano
seppe Pignatone e dal pm Marco
Colamonici, ed è così che il suo interrogatorio è finito nelle carte del
processo contro di lui.
Una chiacchierata, se così si può
definire, dalla quale affiorano solo
pochissimi nuovi elementi ed una
serie infinita di no comment.
Ammise, come accennato, di essere andato a casa di Pelle su richiesta di Giovanni Ficara. In
quell’occasione riferì al boss delle
inchieste delle Dda di Milano e
Reggio svelandone i contenuti. E
tuttavia sottolinea come non intende «rivelare l’origine delle conoscenze sulle indagini di cui si è
parlato a casa Pelle».
Zumbo disse poi di essere massone, appartenente alla loggia “Araba fenice”, e di avere avuto rapporti con alcuni appartenenti al Sismi
sia a Roma che a Reggio Calabria.
Tra questi con D’Antoni e con
Mancini «che scese a Reggio per
incontrarmi e conoscermi». L’uomo, finito nei guai anche per la storia dell’auto imbottita di armi e
esplosivo, fatta trovare il giorno
della visita del Presidente Giorgio
Napolitano, fornì di
quella vicenda una
versione quantomeno
singolare. L’inchiesta
si basa sul fatto che fu
lui a fare la soffiata al
LA SCHEDA
Una serie di rogne per la talpa
coinvolta in tante vicende oscure
SONO tanti i procedimenti e le accuse che vengono mosse a Giovanni Zumbo. La prima rogna arriva con il procedimento Reale, nel
quale viene pizzicato a fare le soffiate sulle indagini ai boss Pelle e
Ficara. La seconda è l’accusa di avere organizzato la messa in scena
dell’auto imbottita di esplosivo il giorno della visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Più di recente c’è poi la rogna
dell’indagine “Astrea” nella quale viene indicato come uno dei prestanome di alcuni esponenti della cosca Tegano, i quali grazie a lui
sarebbero riusciti ad infiltrarsi nelle quote della parte privata della società Multiservizi. Zumbo viene dunque considerato un uomo chiave
in più vicende, anche in virtù dei rapporti che pare abbia avuto con
alcuni esponenti istituzionali e dei servizi.
carabiniere Roberto Roccella, grazie alla quale venne scoperta la
Fiat Marea sul percorso presidenziale. Zumbo però nega tutto, disse
di avere appreso della cosa dai
giornali e persino le telefonate ricostruite tra lui e il militare erano
chiamate su argomenti generici
«mi chiese di qualche ristorante in
cui far mangiare alcuni suoi colleghi componenti della scorta del
Presidente». Per dirla in poche pa-
role, dietro l’operazione, secondo
Zumbo, c’era lo stesso Roberto
Roccella, il carabiniere che consentì di scoprire l’arsenale. Una
versione che ha dell’inverosimile,
anche alla luce del fatto che su molti argomenti Zumbo non fornisce
alcuna spiegazione. L’unica ammissione che fa è relativa al ritrovamento di armi da parte delle forze dell’ordine che sarebbe avvenuto per suo tramite. Della questione, per conto dei servizi si occupava D’Antona, il quale però ovviamente con lui non scendeva nei
dettagli su un eventuale scambio
(ricompensa) con chi faceva trovare gli arsenali. Insomma una roba
piuttosto fumosa. Fatta di molti
“non so”o“non ricordo”. Il tutto alla vigilia di un processo che già
all’epoca annunciava non poche
sorprese. In ogni caso delle due
l’una, o Zumbo voleva far filtrare
qualche messaggio o è stato
l’estremo tentativo, peraltro goffo, di scaricare su altri alcune responsabilità. All’epoca si trattava
dell’unico procedimento che lo riguardava, ora però le storie che lo
riguardano diventano tante a partire dall’inchiesta “Astrea” che ha
portato a scoprire possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta nella
“Multiservizi”. E al centro c’è sempre lui, Zumbo il commercialista
con le mani in pasta dappertutto.
Da uno parte uomo ei servizi e
dall’altra prestanome ei mafiosi.
C’è qualcosa che non va. Ala storia
manca ancora qualche tassello.
g. bal.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
SA MOLTE cose. Ma non le dice.
Perchè non vuole passare come
«infame». E Poi anche perchè
«quelli» gli hanno «promesso
delle cose», per la moglie e per i figli. Nei verbali depositati nel processo “Archi-Astrea” c’è un sacco
di roba. C’è la storia di Giovanni
Zumbo. Lo spione finito in carcere nell’ambito dell’operazione
“Crimine” avrebbe tante cose da
riferire. Ma non lo farà. O meglio, forse non lo farà. Perchè è
vero che ha intenzione di difendersi al processo raccontando la
sua verità, ma è anche vero che
«non tutto si può...». Alcune di
quelle verità scomode Zumbo le
ha però raccontate alla moglie,
Maria Francesca Toscano durante le sue visite in carcere. La
donna arrestata successivamente con l’accusa di intestazione fittizia dei beni lo andava a trovare
spesso. Era anche il suo avvocato. Lo è stata nel periodo tra le manette scattate ai polsi del marito e
le contestazioni che vennero fatte a lei. Mesi in cui i coniugi furono “controllati” dagli investigatori della Guardia di Finanza.
Le intercettazioni spiegano così tante cose. E soprattutto restituiscono uno spaccato che definire inquietante è dir poco. Zumbo vene arrestato perchè intercettato in casa del boss Giuseppe
Pelle fu scoperto a raccontare
agli ‘ndranghetisti delle operazioni della Dda di Milano e Reggio Calabria. Non erano millanterie. Erano notizie di prima mano, riservate. Una volta in manette non ha mai voluto spiegare chi
gli avesse dato quelle notizie, nè
chi lo avesse mandato a casa Pelle, tantomeno le ragioni dell’operazione. Zumbo si chiuse infatti
in un silenzio ostinato. Rassegnato a farsi il carcere. Niente
nomi. E il perchè lo spiegano le
intercettazioni ambientali fatte
nel carcere di Opera a Milano il
29 ottobre scorso durante un colloquio di quasi due ore. La donna
cerca di convincere il marito a
parlare. Ma lui si rifiuta. «Io lavoravo per lo Stato». Lo Stato per
Zumbo era una pluralità di soggetti. Dice alla moglie di conoscere un sacco di gente. Fa un lungo
elenco a partire da Corrado D’Antoni, responsabile del Sismi a
Reggio Calabria. A livello nazionale è legato a Marco Mancini,
personaggio molto discusso dei
Servizi segreti. Poi afferma di conoscere anche il comandate
dell’epoca del Ros Valerio Giardina. Insomma lo spione si sente
un uomo delle istituzioni a tutti
gli effetti. Per questo quando
qualcuno gli dice di andare a casa Pelle non si crea problemi:
«Perchè melo ha chiesto lui di andare e io gli dicevo che non era il
caso...». L’uomo spiega che vista
la partita e personaggi in gioco
«quindi non posso toccare determinati argomenti... perchè senno smuovo pure». Le intercettazioni sono molto frammentate
anche perchè Zumbo fa leggere
alla moglie un manoscritto nel
quale presumibilmente si fa riferimento a fatti e circostanze precise. Ad un certo punto della discussione spunta di nuovo il nome di Mancini che si «è interrotto». Come se i contatti fossero caduti. E c’è anche un altro personaggi che non si fa più rintracciare. E l’uomo che avverte Zum-
«PERCHÈ io dovrei fare un’affermazione del genere? Io cconosco la famiglia Serraino dai tempi della scuola,
da quando andavo in classe di Antonio Serraino, figlio di Francesco Serraino, quando morì il suo papà io ho
conosciuto tutta la famiglia, zii e cugini compresi...». Dalle intercettazioni in carcere di Giovanni Zumbo
spunta la conferma a quanto già
emerso nell’inchiesta nata dalle dichiara del pentito Nino Lo Giudice.
Sulla storia degli attentati ai magistrati reggini ci fu un tentativo di deviare le indagini su una pista sbagliata. In carcere,
parlando con la moglie
Francesca Toscano, Zumbo gli racconta che lui con
quella storia della soffiata
sui Serraino non c’entra
niente, che fu il carabiniere Roberto Roccella ad inventarsi tutto, scrivendo
di suo pugno un’informativa ed attribuendo a lui le
dichiarazioni che vi sono
contenute.
Per questo, alla luce delle intercettazioni su tutta la storia c’è
puzza di depistaggi lontano un miglio. La ricostruzione nell’inchiesta
sulla strategia della tensione messa
in moto contro i magistrati reggini
del 2010, insomma non regge più.
L’indagine (che ha portato agli arresti dei Lo Giudice per le bombe alla
Procura generale, alla casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro, e per i ritrovamento del bazooka
indirizzato al Procuratore Giuseppe
Pignatone) inizialmente partì male
per colpa di alcune soffiate taroccate.
Tanto che tra i primi ad essere iscritti
sul registro degli indagati furono alcuni esponenti del clan Serraino.
Stando alla seconda parte dell’inchiesta e alle dichiarazioni del pentito Nino Lo Giudice, i Serraino non ebbero
alcun ruolo.
Con le dichiarazioni di Lo Giudice
si capì come si arrivò ai Serraino e chi
fu a mettere sulla cattiva strada le forze dell’ordine e la magistratura di Ca-
20 Reggio
Giovedì 2 febbraio 2012
Reggio 21
Giovedì 2 febbraio 2012
I vertici delle ’ndrine costituiti dai De Stefano, dai Libri e dai Condello
La relazione della Dia fotografa il fenomeno criminale
Tre “famiglie” storiche alla guida
del “Mandamento di centro”
Roma violenta
ombra dei clan
di GIUSEPPE BALDESSARRO
Per gli investigatori è significativo l’agguato
al calabrese Angelo Di Masi nel gennaio 2011
di PASQUALE VIOLI
su cui pendevano denunce per
droga, ricettazione ma soprattutto per associazione di stampo
mafioso. La lista degli omicidi e
delle intimidazioni nella Capitale
è lunga, e la Dia adesso sta cercando di unire tutte le informazioni per cercare di capire se dietro la guerra in atto ci sia un'unica matrice. Intanto gli agenti dell'Antimafia nella loro relazione
semestrale hanno annotato il delitto di Angelo Di Masi come "sospetto". A stringere poi il cerchio
sugli affari della 'ndrangheta su
Roma e nel Lazio ci sono le diverse operazioni che hanno certificato il business delle cosche nel
centro Italia. La Dia riporta l'esito dell'inchiesta "Hummer" in cui
è finito in manette un incensurato che per il fisco era nullatenente
ma che conduceva una vita da milionario investendo, secondo
l'Antimafia, i capitali della 'ndrangheta del 'clan Muto', i così
detti «re del pesce», nei settori del
turismo e società immobiliare.
All'uomo sono stati sequestrati
beni per milioni di euro tra cui
una villa lussuosa con piscina
nel quartiere romano dell'Infernetto e un centro sportivo a Trigoria.
Il “Cafè de Paris” di via Veneto,
secondo gli inquirenti riconducibile alla famiglia Alvaro della
E’ quello di Archi
il locale di mafia
attualmente
ritenuto
il più autorevole
Piana di Gioia Tauro, è solo, la
punta di un iceberg nel panorama degli investimenti della criminalità calabrese nel Lazio. Per
la Procura di Roma e la Direzione
Investigativa Antimafia le famiglie calabresi da anni stanno acquistando palazzi e negozi in
mezzo centro storico di Roma.
E il mercato della ristorazione
è quello preferito dalla 'ndrangheta per riciclare il denaro proveniente dal traffico di droga.
Prima del “Cafè de Paris”, un altro storico ristorante era stato attenzionato dalla magistratura
come possibile bene nelle mani
della 'ndrangheta, era il ristorante “Alla Rampa”, a due passi
da Piazza di Spagna.
Il locale era gestito da Domenico Giorgi, alias “Berlusconi” e vicino alle famiglie di San Luca.
Roma oggi è in mano alle più potenti famiglie di 'ndrangheta.
Quasi tutto il potere della gente
di Calabria arriva dal traffico di
cocaina, ma negli ultimi anni i
numeri dicono che le 'ndrine calabresi, e gli uomini della camorra, stanno reinvestendo il loro
denaro nuovamente sull'eroina,
in particolar modo per il mercato
laziale. I proventi dei traffici illeciti vanno a convergere quasi
sempre nell'immobiliare e nelle
attività commerciali.
Il delitto di Angelo
Di Masi a Tor Tre
Teste, secondo
la relazione
della Dia fu opera
della ‘ndragheta
Le infiltrazioni delle ’ndrine nella sanità regionale
|
Impresa e appalti pubblici
fanno gola ai boss calabresi
«La sanità in Calabria continua a
costituire uno dei settori maggiormente esposti al condizionamento mafioso». Per la Direzione
Investigativa Antimafia il comparto sanitario è uno degli obiettivi primari di interesse delle cosche calabresi. Nella relazione semestrale gli uomini della Dia scrivono chiaramente che «l'articolatosistema dicorruzionee dipenetrazione mafiosa delle strutture
sanitarie calabresi ha continuato
ad assumere un particolare rilievo nelle Province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza e Crotone rilevando una complessa trama di collusioni di cui potevano
avvantaggiarsi alcune tra le più
potenti cosche della 'ndrangheta,
tra cui i Pelle di San Luca, i Mantella di Vibo Valenzia, gli Arena di
Isola Capo Rizzuto e i Forastefano
della Sibaritide». Le informative
delle forze dell'ordine sarebbero
indicative di come le cosche, attraverso prestanome e uomini insospettabili riescano a entrare
nelle gare di appalto delle forniture per le strutture sanitarie pubbliche, ma come siano anche in
grado di acquisire la titolarità di
cliniche private attraverso canali
di investimenti considerati "puliti", ma di provenienza chiaramente illecita. Significativa per la Dia
anche la capacità dei boss di ricevere favori e false prestazioni da
dirigenti medici e operatori del
settore sanitario. Ma è in generale
il pubblico che riesce a trovare facile approdo per gli interessi delle
ndrine in tutto il territorio nazionale. Infatti, «la peculiarità della
pressione mafiosa della 'ndran-
gheta - scrive l'Antimafia nella
sua relazione semestrale - è leggibile nell'inquinamento dei settori
della Pubblica Amministrazione
locale». Ma a preoccupare gli investigatori e le Distrettuali antimafiadimezza Italiaè«ilcrescente mimetismo dei patrimoni delle
cosche attraverso prestanome e
colletti bianchi al servizio delle famiglie ndranghetistiche. Oltre
alle inchieste "Infinito" e "Minotauro" che hanno svelato gli affari
dei boss in Lombardia e Piemonte
significativa per gli investigatori
della Dia è stata l'operazione
"Montecity-Santa Giulia", un simbolodel riciclaggioedell'impiego
delle risorse illecite nell'immobiliare attraverso la complicità di
studi professionali e dirigenti del
settore finanziario. Con l'inchie-
sta "Montecity" sono state portate
a termine perquisizioni nei confronti di oltre 53 società italiane e
16 studi professionali con sede in
diverse regioni come Lombardia,
Veneto, Emilia Romagna, Lazio e
Campania. L'operazione ha svelato una maxievasione fiscale internazionale di oltre 100 milioni di
euro. Tra legali rappresentanti e
titolari delle società e degli studi
perquisiti, le persone che sono
state indagate sono circa 80. Tra i
reati contestati, frode internazionale e riciclaggio. Fatture gonfiate e impegni di spesa, gli stessi che
hanno visto le Fiamme Gialle e i
Carabinieri più volte impegnati
nelle strutture ospedaliere calabresi dove le ditte riconducibili ai
clan fanno da padrone.
p.v.
Pasquale Condello
la che recenti investigazioni condotte
dalla Polizia di Stato hanno portato,
nel mese di febbraio 2011 all’esecuzione di un provvedimento di cnfisca
beni, per un valore complessivo di 7
milioni di euro.
L’analisi della Dia ricorda anche
l’inchiesta cha ha avuto come soggetto principale la famiglia Lo Giudice,
la quale sembra essere stata la protagonista degli attentati e delle minacce nei confronti dei magistrati nel
corso dell’anno 2010.
La direzione investigativa ricorda
inoltre tutta una serie di inchieste apparentemente di minore entità che
però risultano essere molto importanti per completare il quadro complessivo della famiglie che hanno un
ruolo nell’organizzazione criminale
della città dello Stretto. Una mappa
dettagliata del crimine reggino che,
tuttavia, esattamente come avvenuto
in altre aree della Provincia ha subito
alcuni colpi particolarmente duri da
parte della magistratura e delle forze
dell’ordine. Inchiesta che via via si
stanno trasformando in condanne.
LA SITUAZIONE IN PROVINCIA
|
Alleanza di ferro tra gli Alvaro e i Piromalli
di FRANCESCO TIZIANO
Un agente della Dia
Il progetto “Macro” ha monitorato la presenza di 136 gruppi criminali
Sono più di 1500 gli affiliati operativi
REGGIO CALABRIA - La ‘ndrangheta non perde consenso, anzi accresce il “appeal” sul territorio. I
boss sono sempre impegnati in una
sorta di “campagna acquisti” prolungata e finalizzata a rimpinguare
gli organici delle varie cosche di appartenenza.
Così le forze dell’ordine, che da
qualche anno stanno monitorantdo
costantemente gli spostamenti delle
organizzazioni criminali calabresi,
sono convinte che in Calabria siano
operanti 136 gruppi criminali che
Giuseppe De Stefano
«Nella zona sud della città, risulta ancora operativo il sodalizio Ficara-Latella che tuttavia nel semestre in disamina ha subito un forte intervento di
contrasto investigativo con l’operazione “Reggio sud”, che ha portato
all’arresto di 33 persone ritenute affiliate al sodalizio».
L’attività delle forze dell’ordine ha
consentito di stabilire come il gruppo
fosse in realtà articolato in due gruppi: «Il primo riconducibile a tre figure
di spicco della cosca, mentre il secondo è riferibile ad un giovane esponente dei Ficara, ritenuto capo locale della ‘ndrangheta di Solaro».
Co l’operazione Raccordo sarebbero stati spiegati gli assetti della zona
di Condera-Pietrastorta, dove la guida è affidata ad esponenti dei Crucitti
dell’orbita dei De Stefano-Tegano.
I Libri, storicamente egemoni nel
locale di Cannavò, risultano avere
delle ramificazioni su altre Locali, come emerso dall’inchiesta Testamento.
«Inoltre - si legge ancora - con particolare riferimento ai Libri, si segna-
potrebbero contare sul supporto fisico e logistico di circa 1527 affiliati.
Il dato emerge anche dalla relazione che la Direzione investigativa antimafia ha presentato in Parlamento
con riferimento all’evoluzione del fenomeno nel primo semestre del
2011. I dati riportati nelle 380 pagine consegnate ai parlamentari italiani sono tratti dai report del cosiddetto progetto “Macro”.
Il progetto “Macro”, che sta per
Mappe della criminalità organizzata della Direzione centrale della Poli-
zia criminale, ha la funzione di tracciare “la consistenza numerica delle
cosche ela lorodistribuzione sulterritorio”.
Il lavoro svolto dai responsabili
del progetto “Macro”, infine, dal
gennaio del 2010 è stato inserito in
un “processo di informatico di attualizzazione a seguito delle decisioni
assunte dal Governo nell’ambito del
“piano straordinario contro le mafie” approvato dal Consiglio dei ministri svoltosi a Reggio Calabria.
gio.ve.
Sono ancora le antiche, e storiche,
'ndrine a dominare lo scenario del
“mandamento Tirrenico”. Gli 007
della Direzione investigativa antimafia dedicano un intero capitolo
della relazione del primo semestre
2011 su affari e gerarchie criminali
delle cosche della Piana di Gioia Tauro. L'asse più potente si sviluppa intorno ai Piromalli e agli Alvaro, i
mammasantissima di Gioia Tauro e
Sinopoli che dominano scenari internazionali della criminalità organizzata. La loro forza e il loro strapotere vengonoemblematicamente dipinti nell'inchiesta “Cent'anni di
storia”, la maxi operazione che ha
colpito alcuore i duepotentati malavitosi ed ha, soprattutto, evidenziato a caratteri cubitali come le due storiche 'ndrineviaggiavano all'unisono condividendo strategie nel nome
di una tradizione secolare.
Altra area geografica del “mandamento Tirrenico” ed altro cartello
criminale d'elite. A Rosarno e San
Ferdinando, idue puntidel triangolo del porto dei miracoli, vige la legge dei clan Pesce e Bellocco. Sono loro a dominare lo scenario, spartendosi la fetta più grossa degli affari
milionari delle due cittadine. Un dominio ad ampio raggio come puntualizzano gli analisti della Dia: «Attraverso il controllo e lo sfruttamento delle attività portuali, l'infiltrazione nell'economia locale, il traffico di sostanze stupefacenti e di armi,
le estorsioni e l'usura».
I Pesce su un fronte, i Bellocco sull'altro: due percorsi paralleli, mai in
contrapposizione, puntualmente in
Le storiche ’ndrine di Sinopoli e Gioia Tauro una accanto all’altra come spiegato
dall’inchiesta “Cent’anni di storia”. E a Rosarno c’è il dominio dei Pesce-Bellocco
sintonia. Due cosche colpite duramente dall'intelligence di polizia,
carabinieri, guardia di finanza e
dallaDirezione distrettualeantimafia di Reggio Calabria che ha «attenzionato e vivisezionato» gli ambiti di
potere conquistati partendo dalla
roccaforte di famiglia fino ad espandersi nell'Italia del nord e nell'Europa centrale. Retate ed arresti, inchieste e sentenze: tra i tanti colpi di
scure il “rapporto” del primo semestre 2011 pone l'accento sulla mazzata della confisca da 190 milioni di
euro di beni, nome in codice “All
Clean”, strappati dalla cassaforte
del clan Pesce.
Proprio sui Pesce l'antimafia reggina ha scritto una pagina signifi-
cativa. La relazione della Dia rimarca come i Pesce non si limitassero a
stringere in una morsa asfissiante
l'economia cittadina, «dall'edilizia
alla grande distribuzione alimentare, che erano sottoposte ad interferenze dirette o indirette». A
questa condizione non
sfuggiva, e non veniva
graziato, nemmeno il
mondo sportivo locale:
«A Rosarno i clan erano interessati da investimenti nel settore
calcistico che, se non
creavano profitti, portavano sicuramente
potere e consenso co-
LA FAIDA DEI BOSCHI
Fra lo Stilaro e il Soveratese
«un’area di particolare criticità»
REGGIO CALABRIA - La Vallata dello Stilaro è considerata un’area particolarmente sensibile dagli uomini della Direzione investigativa antimafia. Questo territorio,
al confine fra la provincia di Reggio Calabria e quella di
Catanzaro, è al centro di uno scontro sanguinario fra le
organizzazioni mafiose che se ne contendono il predominio. La “faida dei boschi” è un allarme preso in seria considerazione dagli investigatori della Dia, tanto da spingerli a realizzare una mappa degli omicidi che hanno insanguinato l’area nel biennio che va dal 2009 al primo semestre del 2011. «E’ un’area - si legge nella relazione - di
particolare criticità, che si pè confermata come uno dei
territori più sensibili dell’intero contesto calabrese».
stituendo altresì agevole stato di riciclaggio attraverso sperimentate
metodiche».
Nella Piana si opera ad ampio raggio, quindi. Il narcotraffico si con-
ferma l'introito di gran lunga più remunerativo. Boss e picciotti, corrieri ed intermediari, broker e basisti,
in Calabria e in Sud America, si arricchiscono con la droga. Fiumi di
cocaina che gestivano sempre i rosarnesi, i Bellocco alleati con gli
Ascone in questa specialità, come
accertato dalla procura antimafia di
Reggio e il Goa delle Fiamme gialle
che hanno firmato l'inchiesta “Imelda”. Una retata internazionale che
ha colpito il cervello dell'organizzazione criminale, che stava a Rosarno, e le basi operative e di smistamento che erano sparse tra Germania, Olanda e Belgio. In un solo colpo
veniva stroncata una spedizione da
23 chili di cocaina, gestita dai “Bellocco-Ascone”con la benedizione dei
padrini della droga di San Luca, e sequestrati immobili e denaro per cinque milioni di euro.
A Polistena, come tradizione impone con lo scettro del comando che
passa da padre in figlio, è il clan Longo a fare il bello e il cattivo tempo.
Una cosca travolta dalle accuse di
“Scacco Matto”. La Dia mette in risalto come si intascassero milioni di
euro «con il controllo degli appalti,
esercitati dalla famiglia attraverso
la gestione monopolistica dell'attività di estrazione di ghiaia e pietrisco, della lavorazione e trasformazione di inerti, movimentazione terra e autotrasporti». Un'indagine,
“Scacco Matto”, che squarcia il velo
sugli affari dei clan di Polistena nel
Basso Lazio, a Fondi, dove il mercato
ortofrutticolo che serve Roma e l'intera regione Lazio era monopolizzato dalle 'ndrine reggine. Ancora loro.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
REGGIO CALABRIA - «il mercato degli stupefacenti costituisce
un ambito privilegiato per la criminalità organizzata calabrese
che opera nella Capitale. Dal gennaio al giugno 2011 si sono verificati episodi cruenti che hanno
coinvolto soggetti con precedenti in materia di droga. Su tutti l'omicidio del 19 gennaio 2011 a
Tor Tre Teste dove è stato ucciso
un pregiudicato calabrese residente a Velletri».
E' quanto è scritto nella relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia che di fatto certifica, qualora ce ne fosse
ancora bisogno, gli interessi dei
clan della 'ndrangheta nel traffico di droga su Roma, ma più di
tutti sposta l'attenzione sui delitti e gli agguati che negli ultimi
mesi hanno insanguinato la Capitale.
Per gli uomini della Dia il delitto avvenuto all'alba del 19 gennaio 2011 nella zona di Tor Tre
Teste potrebbe presentare una
chiave di volta nella lettura della
guerra criminale che si è scatenata a Roma. Ad essere freddato
con due colpi di pistola che l'hanno raggiunto in pieno volto è stato Angelo Di Masi, da molti anni
nel Lazio ma di origini di Vibo Valenzia e una sospetta vicinanza,
secondo le informative della Polizia, ad ambienti contigui alla 'ndrangheta.
Le modalità del suo omicidio
sono state quelle classiche di una
vera e propria esecuzione. Il fatto
è avvenuto intorno alle 5 in via
Pietro Fumaroli. Angelo Di Masi
era uscito da poco dal circolo "Slot
gioia" Secondo quanto emerse
dalle prime indagini, l'uomo
avrebbe passato la notte nella sala giochi di via Pietro Fumaroli,
poi uno squillo al cellulare, Di
Masi è uscito dal locale e lì è stato
freddato.
La Dia punta quindi la lente sui
regolamenti di conti tra la 'ndrangheta e i suoi spacciatori.
Tra chi sta alle regole e chi le trasgredisce. Roma è investita da
una sorta di regolamento di conti
ad ampio raggio, con lo spettro
della 'ndrangheta che per gli investigatori è qualcosa di più di un
semplice sospetto.
I clan sono in difficoltà, gli arresti degli utlimi anni hanno fatto finire in carcere boss di primo
piano. Ci potrebbe essere chi non
rispetta più gli ordini o chi si
muove in autonomia sul mercato
della droga, e questo le ndrine calabresi non lo hanno mai permesso a nessuno. Le borgate oggi sono il teatro di una guerra per la
supremazia e il potere. Diversi i
pregiudicati gambizzati. Ad essere colpito il 10 novembre del
2011 in via di Fontanella Borghese, angolo via della Scrofa, in pieno centro storico, anche il gestore di una sala giochi.
Dieci giorni dopo vengono
freddati due noti pregiudicati di
Ostia, Francesco Antonini, alias
"Sorcanera", e Giovanni Galleoni, alias "Baficchio". A fare rumore però è l'omicidio di Roberto
Ceccarelli, ucciso l'8 aprile, in via
Col di Lana, davanti al Teatro delle Vittorie.
Uno che secondo le informative
di polizia era legato agli ambienti
criminali romani di alto rango.
Ceccarelli era di fatto un imprenditore, una sorta di faccendiere
SONO le famiglie De Stefano, Libri e
Condello quelle che la Dia indica come egemoni nella città dello Stretto.
Secondo gli analisti delle Direzione
investigativa antimafia l’indagine
chiave che dimostra lo strapotere di
tali cosche è “Meta”. «Si può dire - si
legge nella relazione semestrale - che
viene confermato un processo di rimodulazione
dell’organizzazione
mafiosa in senso piramidale, che prevede un organismo decisionale di tipo verticistico per la gestione della capillare attività estorsiva. La struttura di comando - per la Dia riconducibile al trinomio
‘ndranghetista De Stefano, Condello, Libri, è composto da un componente
dei De Stefano, ritenuto
vertice operativo nella gestione delle varie illeceità,
investito - con l’accodo di
tutti i capi dei locali - del
grado di “Crimine”. Da Pasquale Condello, forte del
ruolo apicale a lui comunemente riconosciuto all’interno della ‘ndrangheta, con il compito di condividere la direzione delle condotte criminose e
coordinare l’azione di comando svolta da De Stefano, con il quale divide i
relativi profitti illeciti. E da un esponente dei Libri, con il ruolo, altrettanto direttivo, di custode e garante delle
regole». In questo contesto, l’area del
mandamento di centro, che si estende
da Scilla a Melito Porto salvo, inoltre
risalta il ruolo predominante del locale di “Archi”, al cui vertice si collocano tre esponenti delle cosche Tegano, Condello e De Stefano. Dopo la cattura di Giovanni Tegano «la carica di
capo locale di Archi, per conto dei Tegano, sarebbe stata affidata, secondo
le ultime emergenze investigative, ad
un giovane nipote dell’anziano capo e
cognato di Orazio De Stefano».
Sempre secondo quanto scritto dalla Dia nella sua relaziona semestrale
Giovedì 2 febbraio 2012
A stabilirlo il gup Daniela Oliva che ha ridotto della metà la pena ai due collaboratori di giustizia
«Lo Giudice e Villani credibili»
Dopo le sentenze dalle “gabbie” degli altri imputati condannati urla e minacce
«IL boss della ‘ndrangheta
Antonino Lo Giudice, capo
dell’omonima cosca, ed il
cugino Consolato Villani,
entrambi collaboratori di
giustizia, sono credibili e le
loro dichiarazioni hanno
dato un contributo importante allo svolgimento delle indagini sulla consorteria di cui fanno parte».
A stabilirlo è stato il Gup
di Reggio Calabria Daniela
Oliva che infliggendo comunque ai due condanne
pesanti ha concesso loro lo
sconto della metà della pena reso possibile dall’articolo 8 della legge antimafia
203/91.
Nino Lo Giudice è stato
condannato a dieci anni di
reclusione e Villani a nove
al termine del processo con
rito abbreviato contro i presunti affiliati al clan. Pene
pesanti certo, ma che rappresentano la metà esatta
di quanto avrebbero dovuto pagare se non avessero
iniziato stare dalla parte
dello Stato.
Oltre a loro sono stati
condannati altri cinque
Il pentito Antonino Lo Giudice. A destra l’ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi
imputati a pene variabili
dai 10 ai 5 anni di reclusione, ed il Gup ha ammesso
cinque patteggiamenti a
due anni di reclusione.
Tra le persone condanne
figura anche la moglie di
Luciano Lo Giudice, fratello di Nino ed anche lui al
vertice della cosca.
Al momento della lettura
del dispositivo da parte del
Gup, dalle gabbie degli imputati si sono levate grida
ed urla di minacce. Nino Lo
Giudice e Villani, collegati
in videoconferenza, invece,
hanno ascoltato la lettura
in silenzio senza fare commenti.
Luciano Lo Giudice è attualmente imputato in un
processo con rito ordinario
insieme al capitano dei carabinieri Saverio Spadaro
Tracuzzi, all’imprenditore
Antonino Spanò e ad altre
nove persone, che ha preso
le mosse dalla stessa inchiesta che ha coinvolto Nino. Quest’ultimo, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare autoaccusandosi di
una serie di reati e fornendo l’organigramma della
propria cosca.
Antonino Lo Giudice, tra
l’altro, si è autoaccusato
delle bombe fatte esplodere
nel 2010 alla procura generale di Reggio e davanti al
portone dell’abitazione del
procuratore generale Salvatore Di Landro e dell’intimidazione fatta al procuratore Giuseppe Pignatone
con il ritrovamento di un
bazooka a poche centinaia
di metri dalla sede della
Dda. Per questi fatti, nei
quali sono indagati anche
Luciano ed altre due persone, procede la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, titolare dell’inchiesta in quanto competente territorialmente rispetto ai fatti che vedono
coinvolti i magistrati del
distretto di Reggio Calabria.
L’analisi di Angela Napoli sui dati all’inaugurazione dell’anno giudiziario
ATAM E PROTESTE
«Oltre l’antimafia parolaia»
Filardo mette in guardia
e annuncia di aver pagato
Per la deputata «Servono trasparenza, rigore morale e coraggio»
«PARTECIPO sempre all’inaugurazione dell’Anno giudiziario
presso la Corte d’Appello di Reggio
Calabria non solo per un doveroso
riguardo alla magistratura, ma
anche per conoscere lo status della
lotta alla 'ndrangheta dopo l’encomiabile attività di contrasto profusa da magistrati e forze dell’ordine».
Lo afferma, in una nota, la deputata Angela Napoli, di Fli, componente della Commissione antimafia. «Nessuna sorpresa – aggiunge
– nell’ascoltare della 'colonizzazionè della 'ndrangheta in Lombardia. Grande amarezza, invece, nel
dover prendere atto delle allarmanti cifre evidenziate nella relazione del Procuratore della Dda di
Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dalle quali si evince che la
densità pervasiva della 'ndrangheta nella provincia reggina non tro-
va riscontro in altre parti del territorio italiano. Nella sola provincia
di Reggio Calabria, infatti, la 'ndrangheta può contare su un numero di affiliati pari al 27% della
popolazione attiva.
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario è avvenuta, tra l'altro, in
concomitanza con la presentazione della relazione della Commissione parlamentare antimafia,
nella quale il presidente Pisanu ha
di fatto confermato i dati del Procuratore Pignatone scrivendo che 'la
'ndrangheta ha un suo presidio in
ogni comune della provincia di
Reggio Calabria e che la stessa organizzazione criminale imprenditrice controlla il territorio. Se ai citati numeri aggiungiamo i dati
che emergono dalla relazione del
Presidente della Corte d’appello di
Catanzaro relativamente all’aumento dei reati legati all’indebita
percezione di contributi e finanziamenti dello Stato e della Comunità
Europea, credo che il quadro sia
davvero drammatico». «Cifre e dati
allarmanti – dice ancora Angela
Napoli – che non possono lasciare
indifferenti il comune cittadino
ma, ancor di più, chi ha il compito
di gestire la cosa pubblica e chi è
chiamato a contribuire allo sviluppo economico del territorio. Le
strategie di contrasto alla 'ndrangheta non possono più essere delegate solo a magistratura e forze
dell’ordine. Dovrebbero riappropriarsene gli appartenenti alla cosiddetta 'zona grigià, che funge da
linfa vitale per accrescere la potenzialità delle varie 'ndrine. Non serve più l’antimafia parolaia, nè
quella delle targhe e dei protocolli.
Servono legalità vera, trasparenza, rigore morale ed una buona dose di coraggio e fermezza».
L’assessore Morisani: «I resti archeologici presto si mostreranno»
Agli sgoccioli il sito di S. Leo
PROSEGUONO le ispezioni di
verifica sullo stato di avanzamento delle opere del Comune
di Reggio, da parte dell’assessore ai Lavori pubblici Contratti e Appalti, Pasquale Morisani, a capo di una task di
tecnici dell’Ente, guidata dal
dirigente Marcello Cammera,
per velocizzare ed ottimizzare
gli interventi. Al centro del sopralluogo eseguito questa
mattina dall’esponente della
Giunta Arena, accompagnato
dal suo team di lavoro, il rione
Pellaro ed in particolare il cantiere dove si sta compiendo il
restyling delle aree archeologiche di San Leo. «L'importante opera, - spiega una nota
del Comune – finanziata con
fondi europei, rientra tra le 32
prioritarie previste dall’assessore Morisani, in linea con
gli indirizzi programmatici
del sindaco Arena, nel Psu comunale ed identificata con la
dicitura di «Intervento 8:
Qualificazione e valorizzazione dei siti archeologici
dell’area urbana»». L’assessore, a margine della visita al
cantiere, ha detto: «Quest’opera ha come obiettivo, il
recupero e la valorizzazione di
un insieme di pregevoli siti archeologici presenti nell’area
urbana, all’interno di una
strategia più ampia finalizzata a creare un sistema di aree
archeologiche della città. Si
tratta di una pianificazione
destinata alla creazione di
un’offerta culturale e archeologica integrata e strategica
al patrimonio ambientale e turistico nazionale». Ed infatti,
ha aggiunto Morisani, «con la
realizzazione di tale progetto
si otterrà un duplice risultato:
il recupero di parte di uno spazio urbano che appartiene ad
una zona periferica ed il suo
inserimento in un programma più ampio che punta alla
valorizzazione e promozione
delpatrimonio culturaledella
città di Reggio, al fine di incrementarne la fruibilità ed immetterlo nei circuiti turistici
nazionali». L’area oggetto
dell’intervento di riqualificazione e valorizzazione, che è
raggiungibile dalla Statale
106, riveste particolare interesse, oltre che per il notevole
valore archeologico, anche
perchè collocata all’interno
del centro abitato del popoloso
quartiere Pellaro. «Nel corso
del lungo sopralluogo – è
scritto nel comunicato stampa – duranteil quale l’assessore Pasquale Morisani ha potuto constatare la speditezza con
la quale si sta procedendo al
completamento dei lavori, il
responsabile unico del procedimento, nonchè dell’ufficio
diretto da Daniela Neri, ne ha
illustrato i dettagli, insieme
all’ingegnere GiuseppeBeatino, direttore dei lavori. L’intervento – si legge nella nota –
è ormai giunto alle fasi conclusive ed ha attraversato step
estremamente delicati considerato che il recupero dell’intera area ha richiesto la realizzazione di opere di riqualificazione e arredo urbano, ma anche di scavo archeologico, eseguite sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ai
Beni Archeologici della Calabria».
IN MERITO all'annunciata proclamazione
dello stato di agitazione da parte delle organizzazione sindacali per la mancata puntualità nell'erogazione dello stipendio del
mese di gennaio, Vincenzo Filardo amministratore unico Atam interviene: «Mi corre
l'obbligo di comunicare che lo stesso è stato
posto in pagamento nella giornata di ieri primo febbraio. In questo caso la corresponsione sta avvenendo ancor prima di quanto
avviene per prassi consolidata. Non solo la
corresponsione degli stipendi ma la stessa
garanzia dei posti di lavoro dipendono dalla
regolarità delle compensazioni pubbliche
per i servizi svolti ma, data la situazione di
crisi , dipenderanno sempre di più dal conseguimento degli obiettivi di risanamento
economico che ci siamo dati con il piano industriale: incremento della produttività del
lavoro (contenimento dei costi) e lotta serrata all'evasione tariffaria (aumento delle
entrate). E queste azioni non si realizzano
senza la condivisione e l'impegno di tutte le
componenti aziendali e di tutte le maestranze, nessuna esclusa. E' il caso di dire allora
che il futuro del nostro lavoro dipende in primo luogo da noi!».
Incontro tra Arena e i lavoratori ai quali ha garantito sostegno
Simmi, il sindaco chiederà
di sedere al tavolo con Ansaldo
IL sindaco di Reggio Calabria Demetrio Arena, accompagnato dai consiglieri
comunali Daniele Romeo,
Nicola Paris, Domenico
Marra e Giuseppe Eraclini,
ha incontrato, a palazzo San
Giorgio, una delegazione
dei lavoratori della ditta
“Simmi” di Reggio Calabria.
Al colloquio hanno partecipato i segretari provinciali
dei sindacati di categoria
Enrico Giarmoleo (FiomCgil), Giuseppe Chiarolla
(Fim-Cisl) e Santo Biondo
(Uilm). Al centro della discussione le problematiche
relative al futuro dei lavoratori che svolgono la propria
attività per l’Ansaldo Breda
di Reggio Calabria e il paventato ridimensionamento
della società con le gravi conseguenze in termini occupazionali, in virtù del nuovo
piano industriale previsto.
Il Sindaco Arena, dopo
aver ascoltato e recepito le
preoccupazioni dei lavoratori, ha voluto rimarcare, ancora una volta, come la pro-
duttività dello stabilimento
reggino sia positiva e certificata dai numeri. “Proprio
dall’efficienza che le maestranze hanno dimostrato
in questi anni – ha detto Arena- bisogna partire per difendere il livello occupazionale della nostra città. Contatterò
immediatamente
l’assessore regionale alle Attività Produttive Antonio
Caridi e manifesterò la mia
volontà a prendere parte all’
incontro richiesto all’Amministratore delegato di Ansaldo Breda, ponendo al centro della discussione la salvaguardia del lavoro e il futuro di centinaia di reggini”.
Il consigliere comunale Nicola Paris si è dichiarato
“soddisfatto dell’impegno
preso dal sindaco”.
Il consigliere Daniele Romeo, dal canto suo, ha chiesto che “vengano tutelati
tutti i posti di lavoro con particolare attenzione per i dipendenti Simmi e, successivamente, per i lavoratori interinali ”.
DAL COMUNE
Il presidio
di polizia
resterà
al Cedir
IL Sindaco Demetrio Arena ha avuto un incontro
con la rappresentanza sindacale del Siulp guidata
dal segretario generale
Franco Caracciolo e composta da Sabatino Cennamo e Ferdinando Spagnolo, e successivamente ha
incontrato il Questore,
Carmelo Casabona. «Durante il colloquio –è scritto
in una nota – si sono anche
affrontati i nodi relativi ai
presidi di Arghillà e del
Ce.Dir. La riunione ha trovato un’ampia disponibilità delle parti, consapevoli
dei rispettivi ruoli e soprattutto dell’obiettivo comune, che vedrà sicuramente
un rafforzamento della sinergia dell’Amministrazione della polizia con gli
Enti locali. In merito alla
paventata dismissione del
circuito telefonico di trasmissione fonia-dati del
Posto fisso di Polizia di Arghillà, in virtù di una politica di contenimento delle
spese, il Sindaco Arena si è
impegnato a verificare la
possibilità di trovare una
valida ed analoga alternativa tecnica e, in caso contrario, di mantenere lo stato attuale delle cose, vista
l’esigenza di continuare
ed, eventualmente, rafforzare il presidiodi Polizia in
un contesto socio - ambientale tra i più delicati, come
può essere quello della zona Nord della città. In merito a ciò il Questore Casabona, proprio nell’ottica di
una migliore e qualificata
presenza sulterritorio delle Forze dell’Ordine, ha comunicato di voler valutare
la possibilità di potenziare
il presidio di Arghillà, attraverso una motivata richiesta con la quale vorrebbe istituire di un Commissariato sezionale, in
luogo del Posto fisso finora
esistente». «Per quanto
concerne –prosegue –la vicenda del Ce.Dir., il Sindaco Arena, chiarito l’equivoco sorto anche a seguito
di distorte e parziali notizie
ricevute circa un immediato trasferimento degli uffici della Questura attualmente ospitati presso il costruendo Centro Polifunzionale di Santa Caterina,
ha espresso il desiderio di
mantenere nella zona un
presidio di Polizia, anche
alla luce della presenza di
importanti uffici giudiziari e comunali, avendo revocato, nel contempo, ogni
precedente intimazione
relativa al rilascio dei locali. A tal proposito, si è avuta
l’opportunità di fare il
punto sullo stato della procedura per il trasferimento degli uffici presso il costruendo Centro Polifunzionale di Santa Caterina:
sono in corso i lavori per il
completamento e la messa
in efficienza della Struttura; l’ultimazione di tali lavori consentirà lo spostamento degli Uffici amministrativi in atto ospitati al
Ce.Dir i cuilocali potranno
quindi, come auspicato dal
Sindaco, essere destinati
al Presidio di Polizia».
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22 Reggio
Giovedì 2 febbraio 2012
Il Banco dei Mutuo Soccorso il 25 febbraio con l’inizio del concerto affidato alle Orme
Il progressive rock è al Cilea
Il tastierista e compositore Vittorio Nocenzi a Palazzo S. Giorgio presenta l’evento
di CLAUDIA BOVA
DUE dei più grandi nomi
del progressive rock italiano in un evento speciale ed
unico. Un tour che celebra i
quaranta anni di storia musicale italiana presentato in
conferenza stampa a palazzo San Giorgio da Elisa
Mazzei insieme al delegato
alla cultura e grandi eventi
Monica Falcomatà, il direttore
artistico
Fulvio
D’Ascola, Vittorio Nocenzitastierista e compositore,
Francesco Villari- critico
musicale e autore della prima biografia del Banco di
Mutuo Soccorso, Giancarlo
Amendola- produttore artistico.Un concerto che si
svolgerà sabato 25 alle ore
21 presso il teatro comunale “F. Cilea”diviso in due set,
con l’inizio affidato alle Orme –Jimmy Spitaleri, Michi
De Rossi, Michele Bon, Fabio Trentini, William Dottoche proporranno i maggiori successi e le canzoni del
loro ultimo album “La via
della seta” . La ribalta si
aprirà con il Bando del Mutuo Soccorso- Francesco Di
Giacomo, Vittorio Nocenzi,
Filippo Marchegiani, Tiziano Ricci, Alessandro Papotto, Maurizio Masi - che per-
La presentazione del concerto
correrà musicalmente le
migliori strade della produzione progressive, inserendo anche le canzoni di successo commerciale. Il finale
è una lunga jam session con
i due gruppi insieme sul
palco. Dieci musicisti, la voce di Francesco Di Giacomo
e di Jimmy Spitaleri si
scambieranno esecuzioni,
con la grande verve delle ta-
stiere di Nocenzi e la grinta
alla batteria di Michi Dei
Rossi. “Uno spettacolo fuori abbonamento ma che fa
parte della stagione teatrale del Cilea- ha annunciato
la Falcomatà- un grande
evento colto dall’amministrazione comunale con
tante aspettative”. “Gruppi
che legano la loro vita anche
alla pubblicazione di due te-
sti, uno già uscito a dicembre e l’altro sarà a giugno
2012, questo è il nuovo progetto –è stato detto- spesso
si parla di jazz, pop, ma anche questo rock è facilmente vendibile”. “Il Banco è stata la quarta via, che si incastona nei quaranta anni di
storia- ha aggiunto Villariera poco connotato inizialmente ma abbraccia le con-
taminazioni a 360°, classica, jazz, rock, i cantautori,
la musica “innocua”- sanremese ed altro ancora con
tanta attenzione ai testi”.
“Una precisazione va riservata anche alla presentazione del libro “Sguardi
dall’estremo occidente”di
Gianfranco Salvatore svoltasi ieri pomeriggio presso
la libreria Culture, che non
è un libro sul Banco ma su
Vittorio Nocenzi, fondatore
del Banco, sulla sua vita di
musicista, sul suo lavoro
più recente e significativo- è
stato sottolineato in conferenza”. “Si preannuncia un
concerto speciale, considerando anche il fatto che il
Banco è la prima volta che si
presenta in città – ha sottolineato lo stesso Nocenzisiamo stati la scorsa estate a
Catanzaro di fronte a 5- 6
mila persona, un vero miracolo della musica, musica
che nasce dall’ineffabilità
dell’essere, noi la trasmettiamo a voi pubblico ed
ognuno darà un’interpretazione”.Appuntamento che
attende i fans ma non solo,
gli appassionati di musica
per ripercorrere insieme
una storia unica, che ha fato
di questi musicisti un vero
mito.
Un protocollo d’intesa per dare servizi agli stagionali
Emergency e azienda sanitaria
per i migranti di Rosarno
di WALTER ALBERIO
INSIEME per aiutare i migranti di Rosarno. E’ stato firmato ieri il protocollo d’intesa
che ufficializza un impegno
che l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria ed
Emergency, hanno iniziato
ad onorare già dal 7 dicembre
scorso: facilitare l’accesso ai
servizi
migranti impegnatinella raccolta stagionale nei campi della Piana di Gioia Tauro, attraverso l’ambulatorio mobile di
Emergency.
Da quella data ad oggi è già
possibile dare qualche numero e tracciare le prime valutazioni sul servizio integrativo
offerto dallo staff del polibus
Emergency che, in via sperimentale, durerà fino ad aprile
(cioè fino al periodo della raccolta): 460 pazienti visitati e
560 prestazioni mediche, con
una media di 15/20 visite al
giorno. Il personale a bordo
delpolibusoperante trale17e
alle 22 nelle zone di Rosarno,
Taurianova, Rizziconi e San
Ferdinando, è composto da
due mediatori culturali, un
medico e un infermiere, tutti
stipendiati da Emergency.
Tuttavia, «chiediamo – ha detto il Coordinatore dell’ufficio
umanitario di Emergency,
Pietro Parrino, nonché firmatario del protocollo – che il nostro lavoro possa essere arricchito da quello offerto dai volontari del posto: rappresenterebbe un contributo fondamentale».
L’attività di Emergency,
non solo alleggerirà il lavoro
nelle strutture del luogo, con
l’Asp che «sarà presente invece per tutte le patologie di primo grado», ma fornirà, ai migranti e a qualunque soggetto
che trovi difficoltà ad accedere
al sistema socio-sanitario, un
supporto di tipo amministrativo, e all’Asp una raccolta di
informazioni su quelle persone da trasferire nella struttura ospedaliera.
socio-sanitari a tutti i
Migranti a Rosarno, a sinistra la firma del protocollo
Grande soddisfazione è stata espressa dal Direttore Generale dell’ASP di Reggio Calabria, Grazia Rosanna Squillacioti: «E’ un onore firmare
questo protocollo d’intesa con
Emergency. Come Asp daremo assistenza sanitaria a queste persone che, in quel terri-
torio, vivono in condizioni difficili. Che siano migranti o
clandestini, per noi rappresenta un dovere». Poi uno
sguardo all’azione dell’ASP
sul territorio: «Stiamo cercando di dare risposte per quanto
riguarda l’aspetto sanitario
anche con i cosiddetti “ospe-
dali chiusi, riempiendoli di
contenuti». La Squillacioti si
riferisce alle strutture come
quelle di Scilla, Siderno, Taurianova e Palmi: «Adesso ci sono quelle specificità che prima mancavano». In modo particolare «a Scilla – spiega - abbiamo un progetto già finan-
ziato per la dialisi; è giusto che
i pazienti calabresi possano
avere la possibilità di curarsi
nel proprio territorio risparmiando un milione e ottocentomila euro l’anno». Intanto
Emergency pensa alla creazione di un poliambulatorio
permanente a Rosarno.
Monastero di Ortì
I vescovi
a Reggio
“consacrano”
la Calabria
Il monastero di Ortì
UN avvenimento eccezionale avrà luogo nella nostra città il 6 febbraio
quando, alle ore 16, nel
Santuario di Sales, annesso al Monastero delle Suore della Visitazione in Ortì: tutti i vescovi delle chiese calabresi - riuniti a Reggio per la sessione invernale della Conferenza episcopale calabra - consacreranno la Calabria intera al Sacro Cuore di Gesù.
Il luogo del silenzio e
della contemplazione si
apre alla città e alla intera
regione.
Considerato anche che
il Monastero di Sales è stato fin dalle origini il luogo
dove veniva celebrata la
loro annuale Giornata
diocesana ecco che l’evento diventa una preziosa
occasione.
Data la rilevanza storica dell’ evento, il suo programma e le finalità saranno presentati alla
stampa domani alle ore
11 nella Sala Ferro della
Curia Metropolitana reggina, da Vittorio Mondello presidente della Conferenza Episcopale Calabra. La proposta di consacrare la Calabria al Cuore
di Gesù è venuta direttamente dalle suore del monastero e infine accolta
dai vescovi.
ant.cat.
Viaggio tra forma e sostanza con il sodalizio di Livoti
Le Muse tra “Riti e rituali”
UNAtematica attuale del rito e del rituale nei diversi ambiti e contesti. Una conversazione svoltasi presso la sala d’arte Le Muse prospettata
dal presidente Giuseppe Livoti e dal vice Adele
Canale insieme al neuropsichiatria Giuseppe
Cartella, don Giorgio Costantino- parroco di S.
Maria del Divin Soccorso, l’avvocato Giovanna
Manganella, Mariella Trombetta medico- estetico, Monica Falcomatà- delegata alla cultura,
turismo e grandi eventi del comune di Reggio.
In apertura di serata e per due settimane dalle
17 alle 20.30 sarà allestita la mostra d’arte e di
oggetti antichi dell’artista napoletano Gianpaolo Arionte, dal titolo “Multiformi evasioni” .
L’artista che si identifica con il rituale dello
sguardo, si è formato al liceo artistico e all’accademia di belle arti di Napoli sotto la guida di Salvatore Provino.
“Ma il rito per un personaggio politico che si
occupa di cultura e la ritualità di una programmazione cosa significano- ha chiesto Livoti”.
“Io vivo di riti e rituali, al di là della politica, noi
viviamo di riti mutuati dall’impero romano e come avvocato
siamo attenti al rito per rispettarne il tempo, insomma un legame alla forma è evidente- ha spiegato la Falcomatà- personalmente i rituali sono legati alla superstizione”. A far bella vista tanti
servizi di caffè, thè, cineseria,
tazze di tipo inglese e di gusto
dell’esotismo attuale e francese,
da fumo e tabaccheria legati alla
famiglia Manganella, provenienti dal Veneto e dall’Emilia L’iniziativa dell’associazione Le Muse
Romagna, ognuno segnato da
un rito particolare che oggi non esiste più ma persona stessa”. Ed ancora “ il rito è irrazionale
che denotano certi comportamenti e rapporti ma regola la famiglia, il rituale è invece rassiumani e sociali. “I riti sono la memoria, il rievo- curante, il mito è dunque un’espressione di crecare cose, il rito è legato al mito e dunque alla denza”. Mariella Trombetta ha definito “il rimente umana- ha chiarito Cartella- il soggetto tuale un atto sempre uguale che si ripete con la
che ha una forma rituale deve eliminare o deve stessa sequenza.
rassicurare, quello ossessivo è un rifugio per la
c. b.
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24 Reggio
26
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Il primo cittadino di Bagnara si confronta sul progetto con il mondo del volontariato
Ecco “L’osservatorio del bisogno”
Dalle associazioni segnalazioni per promuovere integrazione e sicurezza
di FRANCESCO IERMITO
BAGNARA –Nella cittadina del basso Tirreno parte l’osservatorio del
bisogno, un vero e proprio strumento a servizio dell’ente per individuare quei settori che necessitano di
maggior interventi. L’idea è stata al
centro della campagna elettorale
dell’attuale giunta, la quale ha manifestato la volontà di intraprendere questa iniziativa proprio lo scorso
anno, in seguito alla presentazione
dei risultati del censimento sociale
promosso dall’Agess. Martedì pomeriggio, infatti, il sindaco, Cesare
Zappia e il delegato alle politiche so-
ciali, Giuseppe Surace, hanno convocato un primo incontro propedeutico. A prender parte all’appuntamento le associazioni “Nuovi Orizzonti”, “Movimento associazioni
operatori per la sicurezza e difesa
dei diritti disabili”, Agess, Olimpia,
Artemisia, Alba Nuova e le cooperative sociali “Girasole” e “Insieme”. Il
primo cittadino ha sottolineato che
«l’organo, tra le sue tante mansioni,
potrà anche programmare interventi mirati per gestire situazioni
particolarmente
impegnative».
Inoltre, lo stesso, ha auspicato che «i
sodalizi che ne faranno parte possano portar avanti questo impegno in
modo serio e continuativo per il bene
della collettività». Sulla stessa scia
anche il consigliere Surace, il quale
ha preso «l’impegno diincontrarele
aggregazioni mensilmente». Soddisfazione è stata manifestata anche
da Silvana Ruggiero (Agess), che ha
voluto evidenziare come l’organo
sia «uno strumento abbastanza apprezzato in molti altri comuni italiani al punto tale che viene convocato
per relazionare sulla sua attività annuale in seno ai consigli comunali».
L’incontro con i sodalizi è stato utile
anche per iniziare a segnalare qualche problematica. Si è discusso, per
esempio, sulla «qualità dell’assi-
stenza scolastica» e a tal
proposito sono state avanzate richieste affinché sia
garantita «la presenza del
personale addetto per vigilare e salvaguardare l’incolumità degli alunni». Su
questo specifico tema Su- La delegazione all’incontro con il sindaco
race ha comunicato che
quanto prima «convocherà dirigen- educatori professionali che sappiati e gestori del servizio per assicu- no gestire le diverse situazioni e pararsi sul buon andamento dell’assi- tologie». Il delegato nel corso della
stenza». Lo stesso, inoltre, ha conti- riunione ha anche reso noto una
nuato annunciando che, molto pro- proposta alla giunta: l’istituzione di
babilmente il prossimo anno, «sarà uno sportello per il disbrigo di pèraistituita un’assistenza scolastica tiche che sarà gestitoda ragazzi dispecialistica affinché ci si avvalga di versamente abili.
A Villa dati su contraddizioni, lacune e inadempienze dell’opera
Campo Calabro. Parla il presidente
Gli ambientalisti presentano
il “dossier” contro il Ponte
«Nuova solidarietà
sono orgoglioso
dei risultati ottenuti»
di FRANCESCA MEDURI
VILLA SAN GIOVANNI –
Alla conferenza a sostegno
del Ponte organizzata ieri
mattina dall’associazione
dei Comuni dell’Area dello
Stretto nella sala consiliare
del Comune di Villa (altro
servizio a pag. ) seguirà
quella di presentazione del
convegno sul rapporto di
“osservazioni critiche al
progetto definitivo del Ponte sullo Stretto”, promossa
dalle associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente,
Italia Nostra, Man, Fai, Sigea e Rete No Ponte) e in programma domani pomeriggio alle 16 presso la Camera
del Lavoro di Villa.
Nell’occasione saranno
dunque anticipati i contenuti del rapporto (che sarà
illustrato ai cittadini nel
corso dell’imminente convegno) elaborato dagli
esperti dei sodalizi ambientalisti sul progetto relativo
alla mega opera, a loro dire
fatto di «clamorose contraddizioni, lacune e inadempienze, tali da imporre la richiesta di bocciatura definitiva, la cancellazione del
programma e lo scioglimento della società Stretto
di Messina».
Ma l’incontro sarà anche
Il progetto del Ponte
occasione «per denunciare
ancora una volta – si legge
in una nota dei no pontisti l’autentico imbroglio costituito dal progetto del Ponte:
il definanziamento dello
stesso, infatti, è stato decretato dagli ultimi atti del Governo “assolutamente pontista” Berlusconi- Tremonti
(l’attuale esecutivo ne ha solo completato l’attuazione),
contestualmente alla bocciatura europea del progetto, proprio mentre i di-
ri<genti della Stretto di
Messina ancora agitavano
opere di compensazione,
espropri, fasi esecutive ecc.,
e l’allora ministro Matteoli
con la complicità di Trenitalia e altri grandi operatori
del trasporto, tagliava i collegamenti con Calabria e Sicilia fino quasi ad azzerarli».
«Il progetto definitivo –
sostengono i contrari al
Ponte sullo Stretto - è stato
redatto proprio in quella fa-
se, forse nell’estremo tentativo di salvare il programma (oltre che di spendere ulteriori ingenti somme per
una progettazione eterna)».
Un «estremo tentativo» che
non sarebbe però servito a
rendere il Ponte un’idea fattibile. «L’elaborato - ecco alcune delle pecche del progetto ravvisate dagli esperti
- conferma l’inutilità trasportistica e l’enorme impatto ambientale e paesaggistico del Ponte, manca di
parti essenziali, dalla Via
della struttura principale,
alle valutazioni di incidenza, alla rappresentazione di
strutture fondamentali tra
cui i collegamenti ferroviari lato Calabria e la Nuova
Stazione di Messina. Esso
inoltre non tiene conto della
reale situazione sismologica ed idrogeologica del contesto e –ancora una voltanon verifica la fattibilità tecnica del manufatto, salvo dichiararne i “nuovi costi”
(8.6 miliardi di euro circa)
senza però presentare alcuna relazione economico- finanziaria». Motivi, questi,
che spingono le associazioni ambientaliste ad affermare con forza che «è veramente ora di chiudere questa telenovela degli inganni».
Dal forum del Pd a Villa lo spunto perché gli amministratori acquisiscano il sito
Un futuro per l’antica Torre Cavallo
VILLA SAN GIOVANNI - Per parlare di
“Torre Cavallo” e stimolare l’interesse di
chi amministra la città, prendiamo lo
spunto dal Forum PD dei giorni scorsi
durante il quale è intervenuto Rocco Alizzi, storico locale e poeta, per dire che le torri e i fortini possono contribuire allo sviluppo cittadino e del territorio. Per “Torre Cavallo”, come auspica Rocco Alizzi, autore dell’omonima poesia,
“Verrà un giorno- che l’uomo
diverrà veggente- e farà scale di pietra- terrazze e viottoli- che daranno a te- quel che il
tempo prese- e al poeta aulici
canti- all’inafferrabile tua
bellezza”.- Dopo i versi di Rocco sul sito
che domina il mare azzurro dello Stretto,
passiamo alla sua storia. L’anno di costruzione va dal 1506 al 1815. La Torre si
erge su un promontorio che domina la
statale per Scilla, sotto il pilone di Altafiumara. Rocco Alizzi parte dal periodo ma-
gno greco per arrivare al Cenide ed al
1500, con l’arrivo dei Ruffo in Calabria e
l’amministrazione dei Viceré. Sono 102 le
torri che vengono costruite per proteggere la Calabria per volere di Pietro di Toledo. Fra di esse vi è Torre Cavallo. Oggi non
serve più per difendersi dall’arrivo dei pirati, né dagli inglesi, né da altri. E’ un monumento storico
di una bellezza unica, che fu
pure ammirato dal Dumas,
che durante il suo viaggio in
Calabria soggiornò a Villa
San Giovanni. Il monumento
storico oggi è di proprietà di
un ben nota famiglia villese,
che, come ci riferisce Rocco
Alizzi, sarebbe ben disposta a cederlo al
Comune villese, agli amministratori del
quale spetta il compito di avviare le mosse
opportune per poterlo acquisire, ristrutturarlo, metterlo al sevizio della comunità e farlo diventare una meta turistica.
d.c. Torre Cavallo
La storia
della fortezza
con Rocco Alizzi
di ENZO REPACI
CAMPO CALABRO – Era il
mese di ottobre del 1996
quando, l’associazione socio-culturale e di volontariato, Nuova Solidarietà,
inaugurò la sua sede, a
Campo Calabro. A presentare il gruppo di volontari,
alla cittadinanza, il suo presidente, Fortunato Scopelliti. Il gruppo nasce a Salice
Calabro ma, in poco tempo,
è riuscito a inaugurare
nuove sedi in altri paesi.
Era l’ottobre del 1996 quando, per la prima volta nel
paese, l’associazione apriva le
porte del centro di
ascolto.
“Da allora, ogni
anno è stato un
crescendo - afferma Scopelliti -iniziando con il servizio del centro di
ascolto, un servizio telefonico vicino alle famiglie ed Un disabile
alle persone in difficoltà”. Il presidente di Nuova
Solidarietà percorre, con orgoglio, questi anni
di intenso lavoro e
racconta, quelle
che sono state le
gioie e le difficoltà
di un’associazione che ha avuto,
ha e avrà, a cuore i
bisognosi.
Presidente
Scopelliti, quali sono state le aspettative tredici
anni fa?
«Il volontariato vive di
provvisorietà che, in sostanza, è una virtù perché
ci si mette spesso in discussione facendo continua ricerca. Avendo sperimentato, quindi, un progetto per
gli anziani, è stato esaltante perché siamo riusciti a
coinvolgere un po’ tutta la
cittadinanza che si è resa
protagonista. Mi aspettavo
di vedere realizzati grandi
sogni ma quello che è stato
fatto fino ad oggi, mi gratifica in maniera particolare».
Quali sono stati gli
obiettivi raggiunti?
«Aver per dodici anni,
presenziato con continuità,
il centro di ascolto telefonico, appoggio e garanzia per
ogni anziano che, in ogni
momento, potrà contare
sulla disponibilità di un volontario, di un obiettore e di
un ragazzo che sta svolgendo il servizio civile. Questo è
un grande obiettivo che abbiamo raggiunto e continueremo a mantenere. Tutto ciò nonostante non sia
particolarmente eclatante
verso l’esterno, rende merito al concetto di gratuità
nell’azione del volontario.
Circa duecento anziani assistiti e un’attività che ha visto il coinvolgimento delle
istituzioni pubbliche locali,
come l’amministrazione
comunale,
le
scuole e, soprattutto, l’intera comunità che, con
piacere, ha risposto promuovendo
anche altre iniziative».
Come ha risposto l’intero paese?
«Non
c’è
tutt’oggi, un’idea
chiara di volontariato vista come
azione gratuita di
solidarietà, e questo un po’ in tutti i
posti. La nostra
associazione, nonostante ciò, è
riuscita a penetrare “la cultura
del privato” che
consiste nel richiudersi,
attuando una serie
di interventi che
hanno creato momenti forti di aggregazione sociale e
scambi di esperienze con altre associazioni della Calabria. Siamo stati in visita a
Zagarise, in un’associazione che da molti anni opera
nell’ambito del volontariato ed abbiamo, con loro,
scambiato le nostre esperienze. Era l’ottobre del
1996 quando, per la prima
volta, abbiamo aperto il servizio di assistenza agli anziani bisognosi del paese di
Campo Calabro. Abbiamo
continuato ed oggi, siamo
detentori di un bagaglio di
esperienza tale che ci fa affrontare qualsiasi difficoltà. Stiamo per partire con
altri progetti che coinvolgeranno gli alunni delle
scuole che ogni anno, partecipano con entusiasmo ai
numerosi progetti che promuoviamo».
Scopelliti
«Al servizio
anche
degli anziani
bisognosi»
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
Tirrenica
Giovedì 2 febbraio 2012
28
Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected]
Truffa all' Asl di Locri, in aula il patron della Medinex Rappoccio parla dei rapporti con Fortugno
«Mai parlato di ordinativi»
L’ex manager dell’Asl Marchesi: «In ospedale per 15 anni mai fatte gare d'appalto»
di PASQUALE VIOLI
LOCRI - «Ho visto l'onorevole Francesco Fortugno e la moglie Maria Grazia Laganà solo
un paio di volte, e con loro non ricordo di avere
parlato di forniture di materiale medico». Al
processo per la presunta truffa all'Asl di Locri è stato il turno di Pasquale Rappoccio il titolare dell’impresa di fornitura di medicinali
Medinex di Reggio Calabria al centro di presunti favoritismi da
parte dell'Azienda sanitaria per accaparrarsi ingenti quantitativi di materiale medico. Pasquale Rappoccio, è stato sentito dai
giudici del Tribunale di Locri davanti ai quali
è in corso il processo per presunte irregolarità nella fornitura all’ospedale di Locri. Nel
processo, oltre allo stesso Rappoccio ed all'onorevole del Pd Maria Grazia Laganà, sono
imputati anche l’allora direttore amministrativo dell’Asl, Maurizio Marchesi, un funzionario amministrativo, Nunzio Papa, ed un
medico dell’ospedale, Albina Micheletti. Tutti sono accusati a vario titolo di truffa, falso e
abuso ai danni dell’ex azienda sanitaria di Locri. Ieri dunque la testimonianza di Pasquale
Rappoccio, che recentemente è stato coinvolto in una inchiesta della Dda di Reggio Calabria contro le cosche della 'ndrangheta, e che
nel corso dell’interrogatorio ha affermato di
non avere mai parlato di forniture di medicinali o quanto altro e di non aver mai partecipato ad incontri sul tema con Maria Grazia
Laganà e con il marito Francesco Fortugno, il
vice presidente del consiglio regionale ucciso
in un agguato a Locri, che all’epoca dei fatti
lavorava nell’ospedale. «Alcune considerazioni sull'unicità della fungibilità di alcuni
prodotti - ha detto Pasquale Rappoccio - mi
erano state indicate direttamente dall'azienda che li produceva, io da rappresentante ho
solo riportato quanto mi era stato raccomandato. Ecco il perchè di ordinativi di una certa
quantità. Ma a proposito
di questo l'ordine dell'ospedale di Locri non mi
sembrava neppure eccessivo, con altre Asl eravamo abituati a ordinativi
anche più elevati». Interessante anche la testimonianza dell'ex amministratore dell'Asl Maurizio Marchesi che ha sottolineato come al suo arrivo si è trovato di fronte
una situazione difficile: «All' Asl di Locri per
oltre 15 anni non si sono fatte gare d'appalto
per le forniture, tutto si faceva semplicemente individuando delle ditte che potevano garantire il materiale e poi si procedeva all'acquisto». E' slittato invece l’interrogatorio
dell’onorevole Maria Grazia Laganà, che era
previsto per ieri, è invece è slittato al 6 marzo
prossimo perchè la deputata era assente per
impegni parlamentari. Va quindi avanti il
processo per cercare di fare luce su una presunta truffa all'Asl di Locri L'indagine è stata
condotta dalla Guardia di Finanza, dapprima
sotto il coordinamento della Dda di Reggio
Calabria che ha poi inviato gli atti alla Procura di Locri per competenza territoriale. Fondamentali per l'esito del processo anche le dichiarazioni rese dall'avvocato Benito Spanti
nel corso dell'esame davanti all'Assise di Locri, qualche tempo fa. Rispondendo alle domande dei pm Marco Colamonici e Mario Andrigo e dei legali degli imputati, aveva ribadito quando già dichiarato alla commissione
Basilone, inviata per accedere ai documenti
dell'ospedale di contrada Verga, dopo l'eclatante delitto del vice presidente della regione
Calabria. In particolare il commissario, che si
erainsediato aiprimidiagosto del2005,riferiva in merito a diverse ordinazioni, tra cui
una parteche riguardavano l'acquistodi materiale destinato al reparto di Pronto Soccorso. Si trattava di una fornitura che lo stesso
Spanti ha definito "strana" per l'entità numerica del materiale richiesto, in considerazione che all'epoca addirittura un magazziniere
lo aveva informato che i depositi erano pieni
proprio di quel materiale acquistato. La fornitura comprendeva l'acquisto di mascherine, divise, set universali per pazienti in pronto soccorso, supporti per terapia infusionale
e borse di ghiaccio per un costo complessivo
di 132mila euro. Una cifra che ha insospettito
il commissario Spanti, il quale ha rifiutato la
consegna, non concretizzando il pagamento
della fattura. Di grande importanza naturalmentesaràquantoriferirà aigiudicilaLaganà che è stata chiamata in causa specialmente
dalla dottoressa Albina Micheletti.
«In altre
aziende anche
richieste
più elevate
di materiali»
L’UDIENZA
Il racconto: «Gli scafisti minacciarono con le pistole»
«GLI scafisti hanno minacciato
con pistole e coltelli gli immigrati che erano sul barcone e che
volevano tornare indietro, e li
hanno costretti ad arrivare a riva e a morire». E' il drammatico
racconto in aula dello zio di una
delle vittime del tragico sbarco
sulle coste di Roccella Jonica
che nel2007 costò lavita a8 persone. La barca in legno sulla
quale viaggiavano gli immigrati, lunga una ventina di metri, si
è spezzata in tre parti nel momento in cui è stata fatta arenare sulla battigia e alcune persone sono finite in mare. Lo zio di
una delle vittime è stato sentito
ieri nell'ambito delprocesso che
a Locri si tiene contro gli scafisti
di quella spedizione della morte. L'uomo ha raccontato di avere appreso le notizie dagli altri
superstiti quando si è recato in
ospedale per il riconoscimento
della salma del nipote. «Ad un
certo punto - ha raccontato l'uomo - in molti si erano resi conto
che avrebbero corso dei rischi a
proseguire il viaggio, ma gli uomini a bordo con delle pistole e
dei coltelli hanno minacciato i
passeggeri e li hanno costretti a
continuare, così poi tutto è fini-
to in tragedia». La Procura della
Repubblica di Locri dopo avere
coordinato accuratamente le indagini sull'accadutoè riuscitaa
portare a processo i presunti
scafisti di quel drammatico
sbarco e adesso attraverso le testimonianze dei superstiti e dei
soccorritori sta cercando di ricostruire processualmente la
vicenda. Ieri la testimonianza
del parente di una vittima che ha
raccontato di come i passeggeri
siano stati minacciati e costretti
a proseguire il viaggio che ha
poi portato otto di loro a morire.
p.v.
A CASIGNANA
Pascolo in discarica
due denunce
MARTEDÌ i militari della Stazione di Caraffa del Bianco hanno
deferito in stato di libertà A.G.,
50 anni e S.G., 44 anni. I due
soggetti sono stati sorpresi a
far pascolare abusivamente un
gregge di bovini all’interno della
discarica del Comune di Casignana. Discarica che tra l’altro
era stata al centro di una inchiesta giudiziaria che aveva
portatò all’arresto del primo cittadino Franco Crinò e del fratello che gestiva l’impianto dei rifiuti.
Il giovane di Palizzi venne ucciso nel marzo del 2010 nel corso di una lite
Delitto Quagliana, per Scaramozzino
confermata la condanna a 15 anni
di CLAUDIO CORDOVA
CONFERMATA la condanna a
quindici anni e quattro mesi di
reclusione per il giovane Francesco Scaramozzino, ritenuto
responsabile dell’omicidio di
Vincenzo Quagliana. La Corte
d’Assise d’Appello di Reggio
Calabria (Bruno Finocchiaro
presidente, Gabriella Cappello
a latere) ha dunque ulteriormente ratificato la decisione
presa circa un anno fa, il 24
gennaio 2011, dal Gup di Locri
Andrea Amadei che aveva ritenuto colpevole il giovane Scaramozzino.
La Corte ha dunque premiato lo sforzo del sostituto procuratore generale Franco Scuderi che, nel corso della propria
requisitoria, aveva sostenuto
con fermezza la responsabilità
penale del giovane Scaramozzino, nato a Melito Porto Salvo
il 30 settembre 1991 ma residente di fatto a Palizzi. Un delitto avvenuto nel territorio
della fascia ionica della provincia di Reggio Calabria e maturato al termine di una banale
lite. Vincenzo Quagliana, infatti, era stato ucciso a coltellate per un diverbio al termine di
una rissa. Un delitto risolto in
Vincenzo Quagliana
meno di ventiquattro ore dai
Carabinieri di Bianco, diretti
dal capitano Andrea Caputo e
coordinati dall’allora comandante del Gruppo Locri Valerio Giardina, che già nella tarda serata del 27 marzo 2010,
quando avvenne il delitto, avevano individuato in Francesco
Scaramozzino, residente a Palizzi, a quel tempo 19enne, il
responsabile
dell’omicidio
dell’omicidio.
Al termine di una camera di
consiglio non troppo lunga, la
Corte ha dunque avvalorato la
bontà delle indagini e della ri-
costruzione svolta dagli inquirenti: Vincenzo Quagliana e
Francesco Scaramozzino, entrambi già noti alle forze
dell’ordine, negli ultimi tempi
avrebbero avuto alcuni diverbi, dissapori che nella nottata
del 27 marzo sarebbero sfociati in una tragica lite. Prima nei
pressi del Bar Plaza, ubicato
lungo la Strada statale 106, dove nella tarda serata, intorno
alle 23, avrebbero dato vita a
una prima lite verbale, ma dai
toni molto accesi. Stando alle
ricostruzioni raccolte dai militari dell’Arma i due si sarebbero colpiti nel corso di una colluttazione avvenuta dopo un
breve inseguimento, e culminata, infine, in un’aggressione fisica vera e propria a circa
duecento metri di distanza dal
bar. Il giovane Francesco Scaramozzino si sarebbe allontanato dal luogo della lite andando verso la propria abitazione
ubicata in via Garibaldi, poco
distante dal ritrovo, a piedi,
non pensando di essere seguito da Quagliana che, a bordo
della propria autovettura,
l’avrebbe raggiunto proprio
sotto casa, provocando una
nuova colluttazione nella quale ebbe però la peggio. Scara-
mozzino, infatti, avrebbe colpito Quagliana con diverse
coltellate, sette secondo gli accertamenti degli investigatori.
La vittima, dopo aver ricevuto i fendenti, venne trasportato in ospedale di Melito Porto
Salvo dal fratello: una corsa
contro il tempo inutile, dato
che Quagliana verrà dichiarato morto dopo circa quindici
minuti dall’arrivo al Tiberio
Evoli: fatale alla vittima, sarebbe stata la coltellata alla coscia, che avrebbe lacerato l’arteria femorale con conseguente choc emorragico. Dopo il fatto di sangue il giovane Scaramozzino, peraltro, si rese irreperibile, anche nel periodo in
cui i tutti i suoi familiari e amici venivano sentiti dai Carabinieri in quanto potenziali testimoni, all’interno dello stabile del comando compagnia carabinieri di Bianco. Dopo alcune ore di latitanza, il giovane
però avrebbe deciso di consegnarsi alla giustizia, affrontando il processo di primo grado, fino alla conferma della
condanna a oltre quindici anni
di carcere, disposta ieri dalla
Corte d’Assise d’Appello di
Reggio Calabria.
Bovalino. In due a mano armata avevano fatto irruzione nell’attività dei fratelli Cataldo
Dopo la rapina al market torna la paura
di DOMENICO AGOSTINI
BOVALINO - La rapina a mano armata ai
danni del Supermercato-Panetteria dei
fratelli Cataldo è stata vissuta dalla popolazione con preoccupazione. Era da tempo,
infatti, che non accadevano fatti delinquenziali di questo tipo ed in luoghi dove la
presenza anche di
giovanissimi, presso comandati dai genitoria prenderegeneri alimentari anche in quantità minimale, è molto frequente. Il supermercato, infatti, è l’unico locale di generi
alimentari a chiudere più tardi la sera
proprio per consentire alle famiglie di
raggiungere il negozio anche per una pizza, appena tolta dal forno o un pane, difficilmente reperibile a quell’ora. Questa circostanza evidentemente era stata prevista
dai due giovani rapinatori ed infatti hanno
atteso gli ultimi minuti d’apertura, prima
di affrontare il rischio della rapina a mano
armata. E’la seconda voltache ifratelli Cataldo vengono presi di mira da giovani per
farsi consegnare l’incasso della giornata.
Questa volta, però, è andata male ai malfattori perché nel corso del pomeriggio i proprietari avevano effettuato pagamenti a
dei fornitori. Poche centinaia di euro che
poteva avere risvolti tragici. E’ stato così
anche lo scorso anno quando in due si sono
presentati alla cassa, a poco meno di due
metri dall’ingresso, al quale si accede con
una porta scorrevole con sensori. Un’azione delinquenziale che si riesce a concludere in tempi brevissimi quando c’è l’appoggio di un “compare”. In quella serata di ot-
Il market dei fratelli Cataldo
tobre, un giovane si presentò alla cassa tenendo in mano un appuntito coltello facendosi consegnare l’incasso della giornata.
Ieri l’altro avisocopertouno deiduegiovani ha estratto la pistola puntandola contro
la cassiera, cognata del titolare, e con parlata dialettale ha chiesto di dargli i soldi e di
fare in fretta. La spaventata cassiera non
ha potuto fare nulla e non ha emesso un solo grido, così come non ha gridato l’altra
cassiera che in quel momento le voltava le
spalle. Uno dei proprietari si trovata nel reparto panetteria e non ha avvertito la presenza del rapinatore, solo quando è uscito e
la cognata hachiesto aiuto, si èaccorto che
erastataconsumata unarapina.Sulpiano
delle indagini, il Commissario Capo Giovanni Arcidiacono sta alacremente investigando attraverso perquisizioni e posti
di blocco, sfruttando anche le testimonianze delle cassiere e del cliente che si trovava
alle casse con il figlio in braccio.
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Locride
Giovedì 2 febbraio 2012
31
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Udienza del processo “All Inside” dedicata al progetto di sequestro dell’ex moglie di Francesco Pesce (‘84)
Il racconto della sorella di Ilaria
«Non sapevo nulla della “fujtina”, era evidente che stava male e aveva problemi»
di MICHELE ALBANESE
PALMI - Continua nell’aula
bunker del Tribunale di Palmi il processo con il rito ordinario denominato “All Inside” che vede alla sbarra numerosi esponenti ed affiliati
al clan Pesce di Rosarno. Il calendario delle udienze fissate
dalla presidente del collegio
giudicante, Concettina Epifanio, prosegue a ritmi elevati.
Ieri ennesima udienza per
sentire la sorella di Ilaria La
Torre, l’ex moglie di Francesco Pesce classe ‘84, il titolare
di una gioielleria di Rosarno
oggetto di una rapina effettuata da elementi riconducibili ai Pesce e il collaboratore
di giustizia Salvatore Facchinetti sentito in video conferenza da una località segreta.
La sorella di Ilaria La Torre, Rita La Torre, ha risposto
per oltre un’ora e mezza alle
domande del pm Alessandra
Cerreti che ha cercato di acquisire non solo maggiori
particolari sul tentativo di sequestro di Ilaria, ex moglie di
Pesce, compiuto la sera del 10
febbraio del 2006 da alcune
persone incappucciare ed armate, ma anche sui rapporti
che intercorrevano tra le due
sorelle, una delle quali, Ilaria, che è stata sentita due
giorni fa e che ha reso una testimonianza drammatica ma
anche coraggiosa.
Rita La Torre ha risposto
seppur intervallando molti
non ricordo alle domande del
Pm che più volte ha dovuto
procedere con alcune contestazioni tra quanto affermato dalla teste in occasione di
una denuncia presentata il
giorno dopo il tentativo di sequestro della sorella ai carabinieri di Rosarno e le sue dichiarazioni in aula. La ragazza oggi 24 enne, ha raccontato che non sapeva che la sorella Ilaria avrebbe fatto la “fujtina”con Pesce, ma anche detto
che Ilaria aveva sempre la
pressione alta e che stava male pur non dicendo apertamente quali problemi avesse.
«Non ci dava spiegazioni
sulle condizioni» – ha detto
Rita La Torre ieri mattina.
Poi dietro le domande del pm
Cerreti ha raccontato di quella sera del tentativo di sequestro. «Erano le 22 e 30 ed io ero
in cucina quando entrarono a
casa tre due persone armate
(ai Carabinieri aveva detto di
averne visto tre), mi sono subito spaventata. Uno di essi
chiedeva dove fosse Ilaria e
mio padre che era stato puntato da uno di quei incappucciati era minacciato con una
pistola gli disse che mia sorella non c’era, che era a Bologna. Poi uno dei banditi salì al
piano di sopra per controllare
che mia sorella non ci fosse».
Rita La Torre ha spesso ricordato che lei in quei frangenti era rimasta scioccata e
che è stata male».
Una fase della retata “All Inside”
Subito dopo è salito sul banco dei testimoni il titolare della gioielleria Gelanzè di Rosarno Giuseppe Gelanzè oggetto di una rapina subita nel
2006 che secondo la collaboratrice Giuseppina Pesce
venne compiuta proprio dai
Pesce. In aula ha ribadito di
essere stato vittima del racket: «Ho pagato il pizzo per
anni, poi ho smesso solo perchè in crisi economica e senza
soldi. Da lì sono iniziate le rapine per ritorsione».
Infine il collaboratore di
giustizia Salvatore Facchinetti che ha iniziato a raccontare la sua storia dei Pesce, il
suo battesimo nella ‘ndrangheta ed i suoi rapporti e le
sue conoscenze con la famiglia Pesce.
L’udienza del processo All
Inside riprenderà sempre
con la testimonianza del collaboratore Salvatore Facchinetti.
La donna, coinvolta nell’operazione contro la cosca di famiglia, era agli arresti domiciliari
Maria Grazia Pesce in manette
Figlia del boss Antonino “Testuni” è accusata di associazione mafiosa
ROSARNO – Tornano ad aprirsi le
porte del carcere per Maria Grazie
Pesce, 29enne, figlia del boss Antonino Pesce, alias “Testuni”, che figura tra i 63 imputati del processo
contro capi e presunti affiliati della
potente ‘ndrina di Rosarno denominato “All Inside”, attualmente in
corso con il rito ordinario presso il
Tribunale di Palmi.
La donna, arrestata nel 2010
nell’ambito dell’operazione che ha
decapitato la cosca rosarnese, si trovava agli arresti domiciliari, misura concessale dal Gip per permetterle di accudire i figli minori. In un secondo momento però, si è scoperto
che la Pesce non aveva diritto al beneficio dei domiciliari e per questo
ieri mattina i Carabinieri del Reparto Anticrimine e del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria, supportati dai militari della Tenenza di Rosarno hanno eseguito l’ordinanza
che ha portato all’esecuzione
dell’ordinanza. La revoca dei domiciliari alla donna (cugina della collaboratrice di giustizia Giuseppina
Pesce e moglie di Roberto Matalone,
attualmente latitante) era stata
chiesta dal Pubblico Ministero della
Direzione Distrettuale Antimafia di
Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, che aveva rilevato l'errore sulla
Sulla soppressione dell’ufficio del giudice di pace
Romeo replica alla Napoli
«Procuri i finanziamenti»
di RAFFAELE LOPRETE
TAURIANOVA – Non si è fatta attendere la risposta del sindaco Romeo alla parlamentare
taurianovese Angela Napoli sugli uffici del
Giudice di pace nella cittadina taurianovese,
appellandosi all’art. 3 del decreto legislativo
"Revisione delle Circoscrizioni Giudiziarie –
Uffici dei Giudici di Pace" e di farsi carico delle
spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia. Inoltre, la parlamentare chiedeva allo stesso leader dell’Udc locale di mettersi in moto circa le condizioni in cui versa la locale struttura, “la quale se adeguatamente valorizzata e messa a norma potrebbe non rimanere uno dei numerosi edifici costruiti per sede
giudiziaria e purtroppo lasciati poi inutilizzati”.
«Riscontro la missiva -scrive Romeo - pubblicata sulla stampa, a firma di componente della
"Commissione Parlamentare Antimafia" e sono a ringraziarla per il suo autorevole suggerimento. Avrei gradito che il contenuto della sua
nota mi fosse stato recapitato da un ignaro cittadino taurianovese perché in tale caso avrei
potuto giustificarne ampiamente l'operato in
quanto non si può pretendere, erga omnes, la
conoscenza integrale delle disastrose condizioni economiche del Comune. Da Lei, però, no!
No, perché lei non può fare finta di non sapere
che le finanze locali non consentono neppure
gli ordinari interventi di manutenzione quoti-
diana».
Riguardo la norma citata dalla Napoli, Romeo afferma di esserne a conoscenza, nonostante a parer suo il legislatore avrebbe potuto
risparmiarsi, almeno per quanto concerne le
amministrazioni locali del Sud in quanto è perfettamente a conoscenza delle condizioni economiche in cui le stesse versano.
Infatti, per il sindaco di Taurianova non è
pensabile sopprime tali uffici e, poi prevedere
la possibilità, da parte degli Enti Locali, di richiedereilmantenimentocon speseatotalecarico loro.
«Noi siamo pronti – continua la nota- a fare
tutti gli ulteriori interventi mirati al mantenimento di tale ufficio in Taurianova e, allo stato,
l'unico ostacolo che si frappone è quello della
non disponibilità di risorse economiche per assumere a proprio carico le spese di funzionamento e di mantenimento. Le chiediamo un
suo autorevole intervento Parlamentare per
fare ottenerea questaCittà unadeguato finanziamento da destinare allo scopo cui tutti miriamo. Noi quello che possiamo garantire di fare è che non appena ricevuti i finanziamenti necessari adotteremo tutte le conseguenti necessarie procedure».
Romeo chiede alla finiana di evitare di richiamare in futuro continuamente gli scioglimenti del consiglio comunale di Taurianova poiché
“la stragrande maggioranza dei taurianovesi
è costituita da persone perbene”.
data di entrata in vigore della norma che aveva concesso i domiciliari
alla Pesce. Alla donna viene imputato il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso per aver fatto
parte della ‘ndrangheta nella sua
articolazione territoriale denominata cosca Pesce. In particolare, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto
un ruolo di collegamento e trasferimento di comunicazioni ed ordini
tra detenuti della cosca e gli altri associati in riferimento alle modalità
di ogni singola attività estorsiva di
cui sono accusati i membri della
‘ndrina.
do.ga. Maria Grazia Pesce
Operazione “Imelda”: accuse di narcotraffico
La Corte di Cassazione
annulla l’ordinanza
a Vincenzo Ascone
LA Corte di Cassazione ha an- nuncia della Cassazione indinullatocon rinviol'ordinanza vidua come "costante e apnei confronti di Vincenzo prezzabile" l'apporto di un asAscone di Rosarno, ritenuto sociato perchè si possa riteneuno degli organizzatori e pro- re rilevante. Secondo le contemotori dell'associazione dedi- stazioni degli avvocato Fonte
ta al narcotraffico scoperchia- e Contestabile Ascone nell'arco temporale in cui gli si conteta con l'operazione "Imelda".
sta il reato non
La Suprema
aveva modo di opeCorte ha accolto
rare in maniera
le istanze degli
assidua e operatiavvocati Leone
va.
Fonte e Guido
Tutto
torna
Contestabile che
dunque nelle maavverso alla decini del Tdl di Regsione del Tribugio. La decisione
nale della Libertà
della Corte di Casdi Reggio Calasazione avrà cerbria, hanno evitamente una ricadenziato come
duta anche sulla
Ascone, al mo- Vincenzo Ascone
posizione di Vinmento dei reati
contestati, si trovasse per ben cenzo Ascone nell'ambito del
due volte in stato di fermo per processo che l'imputato ha
altritipi direati.Secondo lari- scelto di affrontare in rito abcostruzione dei legali l'uomo breviato. Con l'operazione
di Rosarno non avrebbe quin- "Imelda" vennero arrestate 31
di potuto, perchè ristretto e persone affiliate alle cosche
sorvegliato, organizzare o che gestivano un ingente trafpartecipare ad alcuna asso- fico di sostanze stupefacenti
ciazione. L'avvocato Fonte ha dal Sud America.
rilevato come una stessa prop.v.
BREVI
GIOIA TAURO
Residuo pena
ai domiciliari
I CARABINIERI della
Stazione di Gioia Tauro,
in esecuzione di un ordine di esecuzione per
l’espiazione di una pena
detentiva in regime di detenzione
domiciliare,
hanno arrestato B.R., 27
anni, perchè dovrà espiare la pena residua di
quattro mesi di reclusione poiché riconosciuto
responsabile del reato di
furto aggravato in concorso.
CINQUEFRONDI
Ricettazione
arrestato
I MILITARI della stazione di Cinquefrondi hanno notificato la misura
cautelare degli arresti
domiciliari, in esecuzione ordinanza custodia
cautelare emessa dal
TRibunale di Palmi, a
D.G., 29 anni: il giovane è
sotto accusa per ricettazione e riciclaggio.
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Piana
Giovedì 2 febbraio 2012
15
Giovedì 2 febbraio 2012
REDAZIONE: via Rossini, 2 - 87040 Castrolibero (CS) - Tel. (0984) 852828 - Fax (0984) 853893 - E-mail: [email protected]
Trebisacce
Camigliatello
Sospeso il servizio
di Cardiologia
a pagina 29
L’Ospedale di Trebisacce
Maltempo, la Sila
prigioniera del gelo
a pagina 24
Neve in Sila
Lo scopo è accertare eventuali pressioni da parte della criminalità organizzata cosentina
Ecologia Oggi, appalto sospetto
La nuova pista battuta dalla Procura sull’intimidazione subita a gennaio
di ROBERTO GRANDINETTI
LA PROCURA di Cosenza, nella persona del pubblico ministero Salvatore
Di Maio, sta seguendo una nuova pista per fare luce sull’intimidazione
subita un mese fa circa da “Ecologia
Oggi”, azienda che, per conto del Comune, si occupa della raccolta e dello
smaltimento dei rifiuti solidi e urbani.
Come si ricorderà un autocompattatore fu preso di mira da tre malviventi armati di tutto punto nei pressi
di Serra Spiga. L’autista fu fatto scendere e fatto allontanare insieme agli altri due operatori incaricati alla raccolta dei
rifiuti. Il mezzo fu quindi dato alle fiamme. Una brutta
vicenda, che ricorda una
vecchia indagine denominata “Fiamme nella notte”.
Ebbene, Di Maio da pochi
giorni ha concentrato le proprie investigazioni anche
sull’appalto aggiudicato da
“Ecologia Oggi” e sul contratto sottoscritto col Comune di Cosenza. Lo scopo del
magistrato bruzio è quello di accertare eventuali pressioni da parte della
criminalità organizzata, soprattutto
per quanto riguarda l’eventuale affidamento di servizi in subappalto. A
tal proposito saranno controllati tutti
gli incartamenti ufficiali.
Nulla vuole essere lasciato al caso.
Si sospetta anche che l’azione intimidatoria abbia a che fare con le assunzioni decise da “Ecologia Oggi”, forse
mal digerite dalla criminalità organizzata.
Obiettivo della Procura bruzia è
chiudere il cerchio in tempi brevi e dare un nome ai responsabili dell’intimidazione subita i primi di gennaio
dall’azienda lametina presieduta da
Eugenio Guarascio, che tra l’altro è
anche patron della squadra di calcio
del Cosenza.
Il mezzo di “Ecologia Oggi”fu preso
di mira la notte del 4 gennaio. Tre le
persone che, col volto coperto, entrarono in azione intorno all’una di notte. Due erano armate di pistola, una di
mitraglietta. Bloccarono l’autocompattatore, fecero scendere con le brutte l’autista, che fu minacciato insieme
agli altri due operatori intenti a raccogliere i rifiuti dai cassonetti. I tre
malviventi cosparsero quindi di benzina il mezzo di “Ecologia Oggi” e gli
diedero fuoco.
Guarascio in sede di denuncia presentata alla Questura non riferì di minacce o richieste estorsive.
Sulla vicenda intervenne
il sindaco di Cosenza, Mario
Occhiuto, che nel dirsi vicino ai lavoratori, affermò
che «evidentemente il lavoro onesto e trasparente di
chi opera per offrire servizi
alla comunità infastidisce
qualcuno che tenta di affermare ipropri loschiinteressi con la violenza. Mi auguro che le forze dell'ordine
facciano presto luce su
quanto accaduto. L'amministrazione è vicina ai lavoratori e alla
proprietà di questa azienda».
La società di Guarascio fu presa di
mira altre tre volte. Nella notte tra il 6
e il 7 luglio scorsi a Paola venne infatti
dato alle fiamme un altro autocompattatore.
Nell’agosto 2009 qualcuno appiccò
il fuoco all’interno del deposito di Lamezia Terme. Sempre nel deposito lametino le fiamme divamparono anche nel luglio del 2008. Una serie di
messaggi intimidatori, che ha avuto
il suo epilogo il 4 gennaio scorso, coi
tre che hanno fatto passare una brutta nottata ai dipendenti di “Ecologia
Oggi” che stavano lavorando su Serra Spiga e che sono stati costretti a tornare a casa a piedi mentre l’autocompattatore veniva divorato dalle fiamme.
La polemica
La piscina
incompiuta
Un mezzo
fu bloccato
a Serra Spiga
e dato
alle fiamme
E’ BOTTA e risposta tra il gruppo consiliare del Pd e l’assessore Vizza sulla piscina coperta acquatico, incompiuta.
a pag. 18
A Roma
Una via
per suor Elena
SUOR Elena Aiello, proclamata beata, avrà una via a lei
dedicata a Roma su iniziativa del Comune capitolino.
a pag. 22
L’autompattatore distrutto dalle fiamme
IL PROCESSO
SI SVOLGERA’ oggi, dinanzi ai
giudici della Corte di Appello di
Catanzaro (Barone presidente) e
al procuratore generale Eugenio
Facciolla, il processo di secondo
grado concentrato sull’omicidio
di Tullio Capalbo, il ristoratore di
36 anni trovato cadavere il 28 settembre del 1998 nel bagagliaio
della sua automobile. Si parte
dall’assoluzione piena, risalente
al 29 giugno del 2010 in sede di rito abbreviato, dei quattro imputati. Si tratta di Sandro Daniele, titolare della palestra Scorpion, attorno alla quale ruota tutta la vicenda, e il commercialista Salvatore Salamò, che il pm della Dda
Raffaella Sforza ritenne responsabili dell’omicidio e per i quali
chiese 22 anni di reclusione a testa, di Concettina Daniele e del
presunto boss cosentino Gianfranco Ruà, imputati invece del
reato di trasferimento fraudolento di valori e per i quali la Sforza
aveva chiesto rispettivamente sei
Delitto Capalbo, parola all’Appello
Imputati Daniele e Salamò, in primo grado assolti con la formula piena
e quattro anni di reclusione.
Alla sentenza di assoluzione
(emessa dal gup di Catanzaro Tiziana Macrì) si giunse dopo tre
anni di dibattimento. Quindi l’impugnazione da parte della stessa
Sforza, col processo di secondo
grado che dovrebbe definirsi oggi
stesso.
L’ipotesi della pubblica accusa è
che Ruà fosse socio occulto della
palestra Scorpion. Per non farlo
risultare nella compagine societaria i due Daniele avrebbero intestato fittiziamente delle quote societarie a terzi.
Secondo la ricostruzione della
Dda, Capalbo quel 28 settembre
del 1999 uscì dalla sua casa di Cerisano di buon’ora con l’intento di
rientrarvi dopo breve tempo. A casa, invece, non fece più ritorno. Il
suo cadavere fu trovato nella notte nei pressi della stazione ferroviaria di Castiglione cosentino. Il
suo corpo era stato occultato dagli assassini all’interno del bagagliaio della Mercedes di proprietà
della vittima. A finirlo due colpi di
pistola, esplosi da una Beretta. Pistola simile a quella regolarmente detenuta da Daniele.
Nella requisitoria il pm della
Dda, Raffaella Sforza, sostenne
che il ristoratore era stato ucciso
per un prestito di 500 milioni delle vecchie lire, fatto a Daniele e Salamò. Un debito che i due non sarebbero stati in grado di restituire
e che - sempre secondo la Dda - ri-
schiava di pregiudicare gli interessi di Ruà. Da qui la decisione di
attirare in una trappola Capalbo
per poi ucciderlo ed eliminare il
problema. Ipotesi sempre fortemente contestate dall’agguerrito
collegio difensivo composto
dall’avvocato Franco Sammarco e
Marcello Manna per Sandro Daniele; Franz Caruso e Giorgia
Greco per Salamò, e Manna e Vittorio Gallucci per Concettina Daniele. E in primo grado la difesa
ha avuto la meglio, ottenendo per
i quattro imputati l’assoluzione
con la formula “per non aver commesso il fatto”. Oggi l’appuntamento coi giudici dell’Appello.
Vedremo come andrà a finire.
r. gr.
Il pg Eugenio Facciolla
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Cosenza
24
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“Operazione Showdown”. Decifrato il delitto di Vito Tolone ucciso il 31 gennaio 2008
La cantata del figlio del boss
Il collaboratore di giustizia Bruno Procopio fa luce sugli omicidi di faida
di AMALIA FEROLETO
A FARE luce sulla lunga scia
di omicidi, consumati dal
2008 al 2010 nell’ambito della riaperta e cruenta guerra
tra clan rivali, (ma anche sulle scissioni all’interno delle
stesse ‘ndrine), che ha seminato morte e lutti sul territorio tra le Serre Vibonesi, l’Alta Locride ed il Basso jonio Soveratese, ultimamente sono
stati i collaboratori di giustizia Domenico e Vincenzo Todaro, padre e fratello di quel
Giuseppe Todaro, 28 anni
,vittima di lupara bianca.
Alle “cantatine”dei Todaro
da qualche tempo si è aggiunta anche quella di Bruno
Procopio, 24 anni figlio di
uno dei presunti boss del Soveratese, Fiorito Procopio,
detto Fiore dell’omonima cosca Sia - Tripodi- Procopio di
recente decapitata in un mega blitz di carabinieri e guardia di Finanza con l’operazione “Showdown”. Procopio ha
rivelato agli inquirenti preziosi elementi non solo
sull’omicidio di Ferdinando
Rombolà 40 anni avvenuto il
22 agosto 2010 sulla spiaggia di Soverato, di cui si è accusato, ma anche sull’omicidio dei gemelli Vito e Nicola
Grattà, uccisi a colpi di lupara e kalashnikov l’11 giugno
del 2010 a Gagliato in un garagementre giocavanoacarte.
Nel gruppo Sia, contrapposto al clan Gallace scisso dai
Novella, era maturato il sospetto che i gemelli Grattà
avessero aiutato i Todaro per
vendicare la scomparsa del
figlio Giuseppe il 21 dicembre del 2009 e quindi ad organizzare il tentato omicidio del
boss Vittorio Sia l’11 marzo
2010 (poi ucciso il 22 aprile
2010) insieme a Daniela Iozzo, (all’epoca convivente di
Il luogo dell’agguato a Vittorio Sia
Giuseppe e in attesa di un figlio), e di Giovanni Angotti.
Inoltre, stando alle intercettazioni telefoniche ed ambientali fatte dagli inquirenti
oltre alle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia sarebbe anche maturata la convinzione che Ferdinando
Rombolà fosse uno dei killer
che avrebbe partecipato al
gruppo di fuoco in cui fu ucciso prima Vittorio Sia e poi il
23 luglio Agostino Procopio
e per questo il Rombolà sarebbe stato eliminato. Determinante a tale proposito il colloquio in carcere avvenuto tra
Alberto Sia, figlio di Vittorio,
(arrestato insieme ad altri
perchè ritenuto il mandante
dell’omicidio Grattà) la madre Liberata e la sorella Rita.
In quella occasione Alberto
ribadiva alla madre che ad assassinare il padre era stato
«quello della Marina» e che
anche una testimone lo aveva
visto e riconosciuto.
E verosimilmente per gli
inquirenti si trattava proprio
di Rombolà. Insomma Rombolà, così come quel Francesco Muccari 35 anni ucciso a
Isca sullo Jonio il 16 marzo
2010,sarebbe statounodegli
uomini di azione e per questo
ritenuto pericoloso.
Ma c’è anche molto di più.
Gli inquirenti sono riusciti a
stabilire che c’era un collegamento tra la cosca del Soveratese e le altre ‘ndrine di Vallefiorita ma anche di Isola Capo
Rizzuto. Proprio come fossero vasi comunicanti. E non
solo per mettere le mani sul
nuovo business dell’eolico
per cui, tra l’altro, sarebbe
stato ucciso a Vallefiorita il
16 maggio 2010, Giovanni
Bruno presunto boss locale. I
rancori e le lotte intestine covavano già da tempo tra i
gruppi criminali della zona.
Esplosi poi in modo plateale
dopo la morte del boss di
Guardavalle, Carmelo Novella il 14 luglio 2008 a S. Vittore
Olona e del mammasantissima Damiano Vallelunga il 27
settembre 2009 a Riace.
Ed in un significativo passaggio dell’ordinanza di fermo per 18 persone “Showdown” si arriva a scoprire perchè fu fatto fuori il 31 gennaio del 2008 a Vallefiorita il
presunto boss locale Vito Tolone, che gestiva una casa di
riposo nella zona.
In quel frangente gli interessi dell cosca del Soveratese erano appuntati sugli introiti del parcheggio di una
nota discoteca della zona e di
cui Tolone aveva la gestione.
Tolone, in sostanza, avrebbe
preteso che tra i beneficiari
degli introiti cifossero anche
gli Iozzo legati ai Todaro ed ai
Grattà ma nemici giurati di
Sia e gli altri. E da qui sarebbero nati i contrasti con Damiano Vallelunga, boss de
Viperari di Serra San Bruno,
Vittorio Sia e Fiorito Procopio. Fiumi e fiumi di inchiostro che raccontano in oltre
settecento pagine la storia di
questa cosca.
L’egemonia che dal 2002 in
poi, l’emergente boss del Soveratese Vittorio Sia grazie
all’appoggio della cosca dei
Costa di Siderno, dei Vallelunga di Serra e del narcotrafficante pugliese, Kaled
Bayan, aveva instaurato non
solo in Calabria ma anche oltre i confini della regione fino
ad arrivare in Lombardia, come dimostrato dalle operazioni dell’Antimafia di Milano in collaborazione con la
Dda di ReggioCalabria con le
due maxi operazioni “Crimine”e“Infinito”.
Isca. Coinvolti i Comuni del Basso Jonio e l’associazione Koinè
Chiude il progetto “Arte Sud”
Convegno con la presentazione dell’Antologia e degli artisti
ISCA SULLO JONIO-Si è concluso,
con la presenza di sindaci, amministratori, rappresentanti delle associazioni, curatori dell’Antologia, e gli artisti, il convegno per la presentazione
e le conclusioni del progetto “Arte
Sud”, promosso dall’Unione dei Comuni del “Versante Ionico” in collaborazione con l’associazione artistica
“Koiné” e finanziato dall’assessorato
regionale alla “Cultura”.
Il progetto ha visto la partecipazione di 45 artisti italiani di alto profilo,
vincitori di premi importanti, come il
Laguna, Arte Mondadori, Celeste,
Kombat. La manifestazione, aveva come obiettivo, hanno ribadito gli organizzatori, dare un’identità al territorio del Versante Ionico. Le varie mostre d’arte contemporanea, sono rimaste esposte per oltre un mese, negli
otto Comuni dell’Unione. Nel portare
il saluto il presidente dell’Unione Antonio Corasaniti, sindaco di Davoli, ha
evidenziato che il progetto ha promosso cultura e arte «E’ stato un impegno notevole, e positiva è stata anche la partecipazione delle associazioni culturali dei vari Comuni. In , particolare a Davoli, la pro loco ha dato
una mano concreta per allestire e promuovere l’esposizione delle opere
d’arte. Opere che hanno toccato varie
tematiche, tra le quali quella contro la
cultura mafiosa, contro la droga, contro la violenza sulle donne e per la di-
Frustaci, Londino, Corasaniti, Ferrari,
fesa dell’ambiente». Nel suo intervento, Francesca Landino - critica d’arte,
che ha curato il progetto, ha riconosciuto all’editore Settimio Ferrari, e
Enzo Larocca direttore operativo
dell’Unione, la grande capacità professionale per il successo dell’iniziativa. Londino ha spostato lo sguardo
sull’aspetto squisitamente artistico
del progetto spiegando che l’intento
dell’iniziativa è stato duplice: creare
una piattaforma di incontro e confronto tra artisti di diverse regioni,
aperti ai grandi movimenti di arte
contemporanea europei, e fornire
uno strumento di comunicazione per
affermare, con l’arte, l’identità di questo territorio. «L’antologia di otto autori del luogo - ha detto Landino - è,
ora, un catalogo che raccoglie le opere
d’arte esposte. La presentazione di
questo catalogo, è lo strumento che
racchiude l’anima e la filosofia
dell’evento». Soddisfatto l’editore Ferrari. «Con il nostro progetto, la presenza dei numerosi visitatori, abbiamo dimostrato che anche nei piccoli
centri si può fare molto per la cultura.
Abbiamo trovato un tessuto fertile, interessante e interessato, con sindaci
che non solo ci hanno supportato ma
hanno mostrato passione e amore per
l’iniziativa. Un ruolo importante è stato svolto anche dalla pubblicazione .
dell’antologia, “Parole Viaggianti”,
che ha raccolto, otto intellettuali di
questa terra che hanno composto
un’antologia ricca di tutto quello che
la storia e il retroterra culturale di
questa terra possa esprimere». Nei loro interventi i sindaci hanno valorizzato l’iniziativa. Enzo Larocca, ha sottolineato che con il progetto, “Arte a
Sud” è stato gettato, un seme importante per il futuro di un territorio che
non è secondo a nessuno, bellissimo,
con energie e capacità creative considerevoli, che devono contribuire a far
crescere la Calabria .
f. l.
CHIARAVALLE
Per San Biagio
gemellaggio
con Maratea
di MARIA PATRIZIA SANZO
CHIARAVALLE - Un calendario fitto di appuntamenti che si terranno nelle
giornate di oggi e domani è
stato stilato per rendere
omaggio al patrono di
Chiaravalle, San Biagio, in
una ricorrenza di festa che
però è anche occasione di
riflessione e conoscenza.
Ed ecco quest'anno due
rilevanti novità. Rientra in
questo contesto l'avvio di
un gemellaggio con il Comune
di
Maratea, sito in provincia di Potenza, uno
dei più importanti
luoghi di riferimento
per i fedeli
di San Biagio in quanto sede di un
santuario
che ne custodisce vari reliquie.
Sarà presente per
l'occasione
il sindaco
della citta- San Biagio
dina lucana, Mario
Di Trani.
Una rappresentanza di
autorità
chiaravallesi si recherà
in Basilicata in occasione dei festeggiamenti in
onore di San Biagio che ivi
si terranno in maggio.
Collegato alla tradizione
religiosa che vuole San
Biagio invocato per la guarigione da mali fisici e in
particolare dalle malattie
della gola, è stato promosso un convegno “I tumori
testa-collo.
Presente e futuro nella
Regione Calabria” e che si
terrà giorno 3 febbraio.
Un'iniziativa, patrocinata
dalla Parrocchia, dal Comune di Chiaravalle e dal
Comune di Maratea, nella
quale rivestono un ruolo di
primo piano, con il loro apporto scientifico, il Centro
Oncologico d'Eccellenza Fondazione per la ricerca e
per la cura dei tumori
“Tommaso Campanella” e
l'Università degli Studi
“Magna Graecia” di Catanzaro. Terminata la messa
in chiesa matrice delle ore
10 nel corso della quale ci
sarà l'offerta del cero votivo da parte dell'Amministrazione comunale, l'appuntamento aprirà con il
saluto alle ore 11 presso
Palazzo Staglianò delle autorità.
Da programma è previ-
sta la presenza: del prefetto
di Catanzaro, Antonio Reppucci; del sindaco di Chiaravalle, Gregorio Tino; del
sindaco di Maratea, Mario
Di Trani; del rettore dell'Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro,
Aldo Quattrone; del direttore generale della Fondazione “Tommaso Campanella”, Sinibaldo Esposito;
del direttore generale dell'Azienda
Ospedaliera
“Mater Domini”, Florindo
Antoniozzi; e del parroco di
Chiaravalle,
don Vincenzo Iezzi, il
quale si soffermerà sulla figura di
San Biagio.
Relazioneranno su “I
tumori del
distretto testa-collo.
Esperienza e
casistica della Unità operativa
di
Otorinolaringoiatria
Fondazione
CampanellaUniversità
degli Studi
Magna
Graecia di
Catanzaro”, i
professori
Aldo Garozzo e Nicola
Lombardo, i
quali interverranno
anche sul tema “Quale futuro per la cura dei tumori testa e collo
nella nostra Regione?”, assieme al direttore sanitario
della Fondazione “Tommaso Campanella”, Patrizia
Doldo; al direttore sanitario dell'Azienda Ospedaliera “Mater Domini”, Caterina De Filippo, al direttore
sanitario Asp di Catanzaro, Mario Catalano;
e al direttore Uo di Orl
dell'Azienda Ospedaliera
Pugliese-Ciaccio, Domenico Destito. Saranno presenti anche medici di base e
specialisti.
Nell'ambito della due
giorni di appuntamenti e
di celebrazioni, connotate
dalla benedizione della gola e dalla distribuzione delle candele, oggi giovedì 2 si
terrà come di consueto la
fiaccolata che dopo la funzione delle 17.30 condurrà
fino a Largo Vignale per la
posa di un cero innanzi alla
statua di San Biagio lì collocata.
Una giornata particolare, dunque, per la cittadina
delle Preserre e per tutta la
comunità dei fedeli che attende ansiosa lo svolgimento degli eventi con rinnovata fede.
Promosso
un convegno
sui tumori femminili
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Soverato
Giovedì 2 febbraio 2012
15
Giovedì 2 febbraio 2012
REDAZIONE: corso V. Emanuele III, 58 - Vibo Valentia - Tel. 0963/471595- Fax 472059 -E-mail: [email protected]
Palazzo Luigi Razza
Per ricettazione
Sos Impresa
Rifiuti, il Forum si mobilita Bilancio positivo a 4 mesi Condannato
giovane
per avviare la differenziata dalla nascita dello Sportello unAssolti
a pagina 16
a pagina 17
altri due
Le accuse riguardano a vario titolo spaccio di droga, detenzione di armi e furto
Chiesto il giudizio per 13
Dal pm Sirgiovanni. A febbraio gli interventi dei legali degli indagati
di GIANLUCA PRESTIA
I REATI contestati riguardano spaccio di sostanza
stupefacente in concorso,
furto aggravato, detenzione di armi e munizionamento di provenienza illecita. Reati che secondo l'accusa portata avanti dal
pubblico ministero Michele
Sirgiovanni sarebbero stati commessi fino al 5 giugno del 2005 a vario titolo
da 13 persone nei confronti
delle quali il magistrato inquirente ha chiesto al gip di
Vibo, Gabriella Lupoli, il
rinvio a giudizio.
L'inchiesta, denominata
“Sister Mary”, era stata
condotta dai carabinieri
della Compagnia di Serra
allora guidata dal capitano
Orazio Ianniello e aveva
portato alla luce una presunta attività illecita messa in atto dalle persone
iscritte successivamente
nel registro degli indagati.
Il pm Sirgiovanni ha, quindi, chiesto il processo per
Piero Sabarino, 30 anni, di
Gerocarne; Bruno Sabatino, 33 anni, di Gerocarne;
Domenico Monardo, 39 anni, anch'egli di Gerocarne;
Pasquale Demarzo, 28 anni, di Dasà; Girolamo Macrì, 36 anni di Soriano; Donato Elios, 35 anni di Pizzoni; Concetto Trvato, 37 anni, di Lamezia Terme; Daniela Voci, 32 anni di Catanzaro; Cosimo Passalacqua, 36 anni di Catanzaro;
Lorenzo Idà, 31 anni, di Gerocarne; Giuseppe Trecoz-
zi, 48 anni, di Sant'Onofrio;
Francesco Defina, 35 anni
di Sant'Onofrio; e Carmelo
Columbro, 50 anni, di Vibo.
A tutti viene contestato il
reato di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente di vario tipo. Spaccio che
sarebbe avvenuto in tempi
diversi e con quantitativi
variabili come specificato
nell'informativa redatta
dai militari dell'Arma. In
più a Piero Sabatino viene
contestato il reato di detenzione di pistola con munizionamento, di provenienza illecita. A Pasquale Demarzo il reato di furto di armi, pluriaggravato ai danni del signor Giuseppe Cosentino.
In più avrebbe detenuti
due fucili di provenienza
furtiva. Sempre a Demarzo
viene l'accusa contesta il
furto pluriaggravato ai
danni del “Bar Carmelo” di
Rocco Montirosso e, infine,
anche quello nell'autovettura di Fortunato Irardo
che, unitamente a Montirosso e Cosentino, è identificato quale parte lesa.
La prossima udienza preliminare si terrà l’8 febbraio quando inizieranno
gli intereventi dei difensori
degli indagati. Al riguardo
gli avvocati che sosterranno le ragioni delle 13 persone coinvolte sono Giuseppe
Orecchio, Luigi Gullo,
Francesco Rombolà, Bruno Ganino, Enzo Galeota,
Francesco Sorrentino, Domenico Villella e Domenico
Ioppolo.
Il palazzo di giustizia di Vibo Valentia
Il pm Michele Sirgiovanni
Domenico Monardo
Bruno Sabatino
Piero Sabatino
SI è concluso con una condanna e due assoluzioni il
processo per ricettazione
di oggetto provento di
furto che vedeva imputati tre giovani. Questa la
decisione del giudice monocratico Violetta Romano nell'udienza di martedì scorso nell'aula al primo piano del palazzo di
giustizia vibonese. Le accuse venivano contestate
a Michele La Grotteria,
Michele Pisani, di Monterosso, e Andrea Ciconte,
di Sorianello. Questi ultimi due difesi dall'avvocato Antonio Maio.
Sostanzialmente la vicenda riguardava uno
scambio che La Grotteria
aveva proposto a Pisani il
quale aveva ricevuto il telefonino. Questi, a sua
volta l'aveva successivamente barattato con un
autoradio. Le indagini
eseguite dai militari dell'Arma aveva consentito
di risalire ai tre giovani
che erano stati in rinviati
a giudizio davanti al tribunale monocratico. Nell'udienza di ieri l'avvocato Maio ha evidenziato come il suo cliente Pisani
non fosse stato messo a
conoscenza della provenienza illecita dell'oggetto facendo, così, leva sulla
sua buona fede. Stesso dicasi per Ciconte. Per questo aveva chiesto l'assoluzione dei suoi due assistiti, mentre il pubblico ministero Domenico Folino,
aveva chiesto la condanna per tutti e tre gli imputati alla pena di 3 mesi di
reclusione e 200 euro di
multa. Alla fine il giudice
Romano ha concordato
con la la tesi difensiva dell'avvocato Maio assolvendo Pisani e Ciconte perché il fatto non costituisce reato. Condannato,
invece, alla pena richiesta dal pm, Michele La
Grotteria.
gl. p.
LA LETTERA
LE prigioni di una moglie, di una
mamma, di una nonna, di una
donna, sono quelle per il quale
nessuno al giorno d'oggi si interroga veramente. Rinchiusa tra il
dolore di un marito portato via in
una notte di settembre e il dolore
di una famiglia che improvvisamente si sente orfana dell'amore
paterno e della Giustizia. Racconto il mio sfogo, tenuto dentro
per dieci lunghi anni, all'indomani dell'assoluzione con formula piena di mio marito, accusato insieme a mio genero di aver
estorto e minacciato con modalità mafiose un uomo vittima apparente d’un raggiro perpetrato ai
suoi danni.
No, non voglio stare qui a giudicare quanto credibili o meno,
alla luce della sentenza in primo
grado di lunedì scorso, fossero i
coniugi Grasso, perché a cancellare certe supposizioni ci ha pensato già un Tribunale. Quello che
mi preme, ora che questo incubo
è finito, è semplicemente raccontare la mia odissea. E spero non
me ne vorrete.
La mia odissea durata dieci anni
Tutto inizia nel 2002, quando
le nostre attività di famiglia vengono bloccate e le nostre licenze
ritirate. Ancora oggi, dopo dieci
anni, non siamo padroni dei nostri beni, perchè quelle cause in
itinere risultano essere insolute
in attesa della sentenza della Cassazione. Qui potrei aprire una
parentesi, per certi versi scomoda. La nostra famiglia paga lo
scotto di non aver mai voluto piegarsi al ricatto dei cosiddetti “colletti bianchi”, perchè la nostra famiglia le sue proprietà le ha costruite negli anni e con fatica.
Nessuno può arrogarsi il diritto
di prendersi ciò che non è suo e di
tentare poi, cosa ancora più grave, una collaborazione di tipo “do
ut des” per addolcire una pena
che risulta essere ingiusta già
prima della sua applicazione. Ma
non importa, siamo persone abituate al sacrificio e come tali abbiamo preferito l'onore ai soldi,
per giunta nostri.
Nel 2006 il disastro più grande. Parte l'operazione “Odissea”.
Mio marito viene arrestato insieme a mio genero, portati via dopo
un blitz notturno dei Carabinieri.
Per loro si aprono le porte delle
carceri, per me e per la mia famiglia inizia l'incubo. Un anno e sei
mesi tra detenzione e domiciliari
e tre anni di sorveglianza speciale. Nel frattempo, decine e decine
di perquisizioni diurne e notturne nella mia abitazione, tutte, e
mi preme sottolinearlo, con esito
negativo. Nel frattempo mia figlia partorisce la sua primogenita con il marito assente perché
detenuto. I miei figli più piccoli e i
miei nipotini ancora oggi si sve-
gliano nel cuore della notte impauriti ad ogni minimo rumore.
Addirittura nel 2007 io personalmente vengo ascoltata negli
uffici della Procura perchè infamata da un qualche vigliacco informatore di stare organizzando
un attentato dinamitardo contro
la famiglia Grasso. E poi la vergogna, l'umiliazione continua di
essere vista dalla gente come una
persona cattiva, moglie e suocera di persone cattive. E questo
perchè? Perchè la famiglia Accorinti ha il villaggio turistico, la
barca e una bella casa, senza chiedersi quanto la famiglia Accorinti abbia sudato per poterli avere,
dopo una vita passata nella modestia e nel sacrificio. Noi siamo
gente del popolo, figli di pescatori. I nostri risparmi li mettiamo
da parte per lasciare tutto ai no-
stri figli. Qualcuno di Briatico
poi ha pure millantato, informando maldestramente chi di
competenza, che mio marito
avesse insieme ad un noto avvocato della zona delle proprietà all'estero. Risultato delle indagini? Sempre e solo negativo. Come
del resto la sentenza di lunedì.
Assolti per non aver commesso il
fatto. Sei anni di persecuzione
per poi scoprire che era tutta un
invenzione.
Con questa lettera non voglio
chiedere niente a nessuno né,
tanto meno, accusare questo apparato dello Stato e quel collaboratore di giustizia. Nel ringraziare comunque quella Giustizia
leale e garantista che ha fatto piena luce su tutti gli avvenimenti
accadutici, vorrei ora solo un po’
di pace. Ho bisogno di godermi il
tempo e la mia famiglia, visto che
di tempo e di famiglia non me ne
sono goduta neanche un minuto
negli ultimi dieci anni.
Carmela Napoli
moglie di Antonino Accorinti
e suocera di Salvatore Muggeri
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Vibo
dal POLLINO
alloSTRETTO
Blitz del Nas nelle case di cura
calabria
ora
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 5
Sedici persone denunciate sul Tirreno cosentino. Coinvolti dirigenti medici
PAOLA (CS) strutture sanitarie, reputati
responsabili di truffa ai danni
Quattordici dirigenti medi- del Servizio sanitario nazionaci e due sedicenti tecnici non le, nonché altre due persone
iscritti ad alcun albo profes- per aver esercitato abusivasione sono stati denunciati mente la professione sanitaper concorso in truffa ai dan- ria di fisioterapista. È stato reni del Servizio sanitario nazio- so noto, inoltre, che sono in
nale ed esercizio abusivo del- corso ulteriori accertamenti
la professione sanitaria. È tesi a quantificare il danno
questo il risultato di un blitz provocato all’erario.
Durante i controlli sono
messo a segno dai carabinieri
del Nas di Cosenza in tre co- stati scoperti rimborsi per
muni del medio e alto Tirreno prestazioni non autorizzate e
cosentino. I presunti illeciti, due fisioterapisti che esercitavano l’attività
secondo le inabusivamendagini degli
Smascherati
te. I militari
specialisti del
anche due finti
hanno effetNas, sarebbetuato accertaro stati contecnici che
sumati nelle
menti su deesercitavano
case di cura
lega
della
come fisioterapisti procura della
“San Luca” di
Repubblica
Praia a Mare,
“Arena” di Sangineto, “Casci- di Paola, coordinati dal proni” e “Tricarico” di Belvedere curatore capo Bruno Giordano. I controlli sono stati effetMarittimo.
In totale sono state denun- tuati presso le quattro strutciate alla procura della Re- ture sanitarie private accredipubblica di Paola, diretta dal tate che forniscono prestazioprocuratore capo Bruno Gior- ni in regime di convenzione
dano, 16 persone: i legali rap- con il Servizio sanitario naziopresentanti e i direttori sanita- nale. Le indagini, ancora in
ri delle quattro case di cura e corso, mirano ad accertare i
sei medici operanti presso il particolari di una presunta sepronto soccorso di una delle rie di truffe che sarebbero sta-
Da sinistra, il procuratore di Paola, Bruno Giordano, e due carabinieri del Nas
te perpetrate ai danni dello
Stato. Gli specialisti del Nas,
in particolare, hanno accertato casi di prestazioni diagnostiche rimborsate nonostante
non fossero previste nella
convenzione stipulata tra il
Ssn e la struttura, dove sono
stati inoltre individuati soggetti che svolgevano attività
medica di fisioterapia nonostante fossero privi di idoneo
titolo professionale; interventi odontoiatrici eseguiti presso
un centro dentistico in regime
di day-hospital, registrati e
rimborsati come ricoveri or-
dinari della durata di più giorni; terapie per il trattamento
di patologie urinarie (litotrissia) e per la cura dell’infertilità nella coppia, erogate sebbene la struttura non riunisse i
requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla normativa; registrazione, da parte di
una casa di cura, di numerosi
ricoveri effettuati in urgenza
che, dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri del Nucleo cosentino, sono risultati
ordinarie e programmate prestazioni ambulatoriali.
Dall’indagine è emerso che
i ricoveri hanno spesso riguardato interi nuclei familiari di
origine lucana e siciliana i cui
componenti, di fronte alle domande poste dai militari, hanno ammesso che le degenze,
lungi dal rivestire un carattere di urgenza sanitaria, erano
in realtà state pianificate solo
al fine di fornire assistenza a
un congiunto ricoverato. Nel
corso delle indagini i carabinieri hanno acquisito numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli
aspetti legati agli esami eseguiti in regime di ricovero che
quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate.
«Si tratta di indagini che riguardano il periodo compreso
tra il 2008 e il 2010 ed è stato
un lavoro lungo e certosino,
compiuto dai Carabinieri del
Nas», ha dichiarato il procuratore di Paola, Bruno Giordano, relativamente alle accuse di truffa contestate ai rappresentanti legali e a diversi
medici di quattro cliniche del
tirreno cosentino. «Ci sono –
ha concluso Giordano - 16
persone imputate, perché abbiamo già chiesto per loro il
rinvio a giudizio per truffa aggravata».
Intanto Giuseppe Farina, il
rappresentante legale legale
delle case di cura private coinvolte nell’inchiesta della Procura di Paola, in una nota, si è
così espresso: «Le case di cura Arena, Cascini e S. Luca,
aziende di eccellenza, apprezzate dalle popolazioni assistite da molti lustri, sono estranee ad ogni possibile abuso
ma, riponendo fiducia totale
nella magistratura, censurano questo modo di fare i processi in piazza».
GUIDO SCARPINO
[email protected]
mistero risolto
Riducono in fin di vita una donna
Corigliano, i carabinieri hanno tratto in arresto due bulgari
CORIGLIANO (CS) Non è stato
il convivente della 57enne bulgara a
ridurla in fin di vita martedì pomeriggio nella sua abitazione a Schiavonea. Bensì due conoscenti della donna che ieri sono stati tratti in arresto
dai carabinieri della locale compagna
diretta dal capitano Pietro Paolo
Rubbo. Gli inquirenti ora cercano di
definire il movente che ha scatenato
l’inaudita e per certi versi assurda
violenza dei due cittadini bulgari nei
confronti della connazionale 57enne.
Teatro di questa brutta storia, un’abitazione di via Maiorana della frazione Schiavonea di Corigliano. È stato
lo stesso capitano Rubbo a fornire i
dettagli attualmente in possesso degli inquirenti nel corso di una conferenza stampa tenutasi ieri mattina
dove ha spiegato come i suoi uomini
non hanno lesinato energie dal momento in cui sono entrati in azione.
Questi i fatti.
È pomeriggio in via Maiorana allorquando un vicino di casa di una
signora bulgara di 57 anni, sente un
grande frastuono proveniente dall’abitazione. Per l’uomo si dovrebbe
trattare di un litigio familiare. Non ci
pensa su due volte è con il telefono
chiama il 112 dei carabinieri. Una
pattuglia dei militari dell’arma è nel-
In alto, i due aggressori della donna: Albena Petrova (a sinistra) e Todor
Totev; a sinistra, sangue e vetri rotti nella casa teatro della violenza
le vicinanze e giunge sul posto dopo
pochi minuti dalla chiamata, ed è
davvero una fortuna per la vittima
della violenza perché viene sottratta
dalle grinfie dei suoi aggressioni e, di
fatto, salvata. Ma cos’è successo?
Due cittadini bulgari Todor Totev,
38 anni, e Albena Petrova, 33 anni,
dopo avere forzato con un martello e
uno scalpello la porta d’ingresso blindata dell’abitazione della 57enne,
bracciante agricola, le avevano dapprima chiesto di consegnare loro del
denaro, per poi picchiarla selvaggia-
mente colpendola più volte con una
sedia ed una cinghia, appropriandosi nel frattempo di una macchina fotografica, due telefoni cellulari e documenti, tutti di sua proprietà. Eppure Totev e Petrova (che non sono
marito e moglie) conoscono bene la
connazionale, con la quale pare che,
in apparenza, non vi erano mai stati
screzi, tanto che la 57enne li avrebbe
pure ospitati. L’aggressione diventa
così violenta che ad un certo punto i
due sbattono più volte la 57enne contro una grata di ferro. Ed è stato pro-
prio in questo frangente che giunge- (Bulgaria), 38 anni, ivi residente, dovano sul posto i carabinieri. I milita- miciliato in Corigliano, coniugato,
ri, che vicino la casa trovano anche il nullafacente e Albena Petrova, nata a
convivente della malcapitata, entra- Ruse (Bulgaria), 33 anni, ivi residenno in casa e immobilizzano i due. La te, domiciliata in Corigliano, coniugata, casalinga, sono
vittima dell’aggresstati arrestati con le
sione veniva prontaIn un primo
accuse di tentato
mente soccorsa e
momento
omicidio e rapina in
trasportata dappriconcorso. Dopo le
ma presso il locale
si è sospettato
formalità di rito Toospedale civile, per
del
convivente
tev è stato rinchiuso
poi essere trasferita
della donna
nel carcere di Rossapresso l’ospedale di
no, mentre la PetroTrebisacce e successivamente presso l’ospedale di Acri, va si trova rinchiusa a Castrovillari.
dove si trova attualmente ricoverata Gli inquirenti stanno cercando di casotto osservazione, comunque non pire l’esatto movente che ha spinto i
in pericolo di vita, con una prognosi due bulgari a colpire la connazionadi 15 giorni per policontusione da ag- le con tanta violenza.
gressione.
GIACINTO DE PASQUALE
Todor Totev, nato a Tutrakan
[email protected]
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Marchese: anche
per i prodotti
generici
i fornitori erano
sempre gli stessi
LOCRI (RC)
L’ex Azienda sanitaria numero 9 ricorreva sempre alle
stesse ditte. Per le forniture
di beni e servizi, gli uffici amministrativi partorivano ordini d’acquisto senza una determina e facevano volentieri a meno del bando di gara.
Una commessa da 135mila
euro, nel 2005, è stata assegnata mediante procedura
negoziata. Il contraente prescelto, la Medinex di Reggio
Calabria, ha consegnato una
montagna di merce al Pronto soccorso.
«Era prassi. Per 15 anni,
all’ospedale di Locri, non si è
fatto un bando di gara. Anche quando si trattava di acquistare prodotti generici, i
fornitori erano sempre gli
stessi. Ho più volte scritto all’ufficio competente, ma mi è
stato riferito che c’erano dei
problemi tecnici», dice in aula l’imputato Maurizio Marchese. L’uomo, dal maggio
2004 all’ottobre 2005, ha
prestato servizio all’Asl 9, dove ha ricoperto il ruolo di direttore amministrativo. Ora,
però, è coinvolto in un’inchiesta della Procura di Locri. Ieri è stato sentito nel
corso del processo che vede
la parlamentare del Pd, Maria Grazia Laganà, nell’insolita veste di imputato. Nei
confronti del politico (ieri assente per impegni istituzio-
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«Per 15 anni non s’è fatto
alcun bando di gara»
Tentata truffa all’ex Asl di Locri, sentiti due imputati
IN CARCERE Il capo della
Medinex Pasquale Rappoccio,
imprenditore arrestato con
l’accusa di associazione a
delinquere di stampo mafioso
A destra, l’ospedale di Locri
nali) il pubblico ministero,
Giuseppe Adornato, muove
accuse infamanti. Quando
era vicedirettore sanitario ha
ordinato prodotti Medinex
per 132mila euro. Quei beni
(mascherine, borse del ghiaccio e camici) sono stati richiesti senza indire un bando di
gara, ricorrendo alla trattativa privata, che il legislatore
vieta quando la spesa supera
la soglia dei 20mila euro. Un
iter anomalo, secondo gli inquirenti, in cui le incongruenze sono tante. A partire
dal metodo adottato: scelta
del contraente e non bando
pubblico, come sarebbe stato
logico alla luce di un importo così elevato. Per dare senso alla procedura adottata, è
l’assunto del pm, l’imputata
Maria Grazia Laganà «ha attestato il falso», descrivendo
«i beni richiesti come infun-
gibili e unici».
Accuse tutte da dimostrare
in aula, in un procedimento
che vede coinvolte altre tre
persone: il capo della Medinex, Pasquale Rappoccio,
imprenditore arrestato per
mafia, il funzionario Asl
Nunzio Papa e la dottoressa
Albina Micheletti.
Tutto ha inizio dopo la
morte di Francesco Fortugno, il vicepresidente del
consiglio regionale della Calabria assassinato nell’ottobre 2005 a Locri. I militari
della Guardia di finanza indagavano sulla vita amministrativa dell’Azienda sanitaria numero 9. Al Pronto soccorso, dove il politico assassinato aveva prestato servizio
come primario, la nuova responsabile, Albina Micheletti, era andata su tutte le furie
per un gigantesco carico di
ora
Rappoccio: quel
carico non era
enorme, 1500
mascherine
non sono tante
merce giunto in magazzino
direttamente dalla Medinex.
«I prodotti della Medinex –
documentarono le fiamme
gialle in una informativa trasmessa alla Procura – non
erano né unici né infungibili,
dunque doveva essere predisposto un bando di gara. È
radicata la convinzione circa
l’esistenza di un vero e proprio “cartello” affaristico costituito da dirigenti dell’area
amministrativa e da alcune
ditte fornitrici esterne». Sul
punto, ieri, è stato sentito
l’imputato Rappoccio, l’imprenditore in carcere con
l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
«Il dottore Fortugno e la dottoressa Laganà, sì e no, li ho
incontrati un paio di volte,
ma mai ho discusso con loro
di questo ordinativo», ha riferito ai giudici. «Quel carico
non era enorme, 1500 mascherine, per un ospedale,
non sono un’enormità. L’unicità dei prodotti, inoltre, non
è stata attestata da me, bensì
dalla casa madre, la Kimberly. Erano beni che presentavano caratteristiche peculiari», ha raccontato poi al banco dei testimoni.
Il giudice Alfredo Sicuro ha
fissato la data della prossima
udienza. Si terrà il sei marzo.
Deporrà la parlamentare
Maria Grazia Laganà.
ILARIO FILIPPONE
[email protected]
delitto rombolà
CATANZARO Domenica 22 agosto 2010.
Un tranquillo pomeriggio estivo sulla spiaggia di Soverato. Ferdinando Rombolà era al
mare, con la moglie ed il figlio. Poi un uomo
si fece strada tra i bagnanti e lo giustiziò a
colpi di pistola. Omicidio di mafia, omicidio
che - non hanno alcun dubbio gli inquirenti
- rientra nello stillicidio di morti provocati
dalla faida che dal 2008 ad oggi ha insanguinato il litorale jonico al confine tra le province di Vibo, Catanzaro e Reggio Calabria. Bruno Procopio - erede di Fiorito Procopio, presunto capomafia di Davoli e San Sostene -,
l’ultimo pentito di ’ndrangheta, racconta i retroscena di quell’agguato così barbaro e spregiudicato.
«Ho partecipato all’esecuzione», spiega al
pm antimafia Vincenzo Capomolla nel suo
primo verbale da collaborante, redatto il 16
dicembre del 2011. Guidava la moto - racconta - che condusse il sicario, «Antonio Gullà»,
sul luogo dell’agguato. «Gullà - dice a verbale - ha verificato che l’obiettivo era in spiaggia». Già prima l’avevano pedinato «con l’intenzione di eliminarlo». E quindi: «Io e Gullà siamo arrivati con la moto. Lui è sceso, è
andato in spiaggia mentre io sono rimasto indietro. È stato consumato l’omicidio, Gullà è
tornato sui suoi passi e siamo scappati. Abbiamo poi bruciato la moto ed abbiamo portato con noi i caschi e le armi». Procopio sottolinea: «Lui non aveva preoccupazioni in
quanto quello del killer era il suo mestiere».
Non tutto, però, andò secondo i piani: «Ci
doveva essere una terza persona ad aspettarci con la macchina che però per paura non è
venuta all’appuntamento. Io e Gullà siamo
scappati a piedi e ci siamo disfatti dei caschi
e della borsa contenente le pistole. Ci siamo
separati e poi ritrovati nei pressi di un caso-
Il pentito: così Gullà
lo freddò sulla spiaggia
Il cadavere sulla spiaggia. Nelle foto piccole, da sin. Ferdinando Rombolà e Antonio Gullà
lare. Abbiamo percorso a piedi un lungo tratto. Poi Gullà ha recuperato un’autovettura,
una Smart che possedeva, ed insieme ce ne
siamo andati». Filò liscio, malgrado l’impre-
visto. Un lavoro cruento e “pulito”, da professionisti: «Antonio - racconta Bruno Procopio - era a disposizione della famiglia di mio
padre». La “famiglia” che gli avrebbe anche
fornito le armi.
Ma perché uccidere Rombolà? «L’omicidio è maturato come vendetta per l’omicidio
di Sia Vittorio di cui erano stati ritenuti responsabili i gemelli Grattà e Ferdinando
Rombolà». I gemelli Grattà, quelli di Gagliato, trucidati mentre giocavano a carte, l’11
giugno precedente. E sempre Gullà, sostiene
il pentito, avrebbe eseguito la loro condanna
a morte. Un sicario infallibile. «Svolgeva la
professione di killer - continua Bruno Procopio - non lo conoscevo prima che venisse ucciso mio fratello Agostino. Ho stretto amicizia con lui dopo che lo stesso ha partecipato
al lutto per mio fratello. Mi ha confidato di
aver commesso il duplice omicidio Grattà, del
“Vichingo”, commesso unitamente a Vittorio
Sia».
Il “Vichingo”, non viene, allo stato identificato. Suo fratello Agostino, invece, fu tra i
caduti della falange Sia-Tripodi-ProcopioLentini. La falange legata a Damiano Vallelunga, il “capo dei viperari” sdraiato a Riace
nel settembre 2009. A sua volta rimasto fedele alla memoria di Carmelo Novella dopo la
scissione del locale di Guardavalle, assassinato - sostengono i magistrati di Milano - su
ordine del cartello Gallace-Ruga e delle sue
diramazioni lombarde.
Un omicidio dopo l’altro in quella che impropriamente è stata definita come la nuova
«faida dei boschi» che, invece, ha mietuto vittime sulla sabbia e sotto gli alberi, dal mare
alla montagna, dal Nord al Sud.
PIETRO COMITO
[email protected]
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«L’hanno usato e poi buttato via»
Le intercettazioni alla moglie di Zumbo: lo Stato si è servito di lui
REGGIO CALABRIA
«È stato utilizzato e poi gettato nel
cestino dell’immondizia». È quello
che Maria Francesca Toscano pensa
di suo marito, la “talpa” Giovanni
Zumbo. Secondo la donna, infatti,
quest’ultimo sarebbe stato utilizzato
da alcuni apparati dello Stato e poi
buttato via. La Toscano (poi tratta in
arresto nell’operazione “Astrea”) parla con il cognato Roberto Emo e l’oggetto della discussione è proprio Giovanni Zumbo. Si tratta di una intercettazione ambientale all’interno dello studio commerciale di famiglia.
«Tu sai benissimo – spiega la Toscano ad Emo – che, per quanto riguarda la verità la sa solo lui, lui è stato utilizzato e poi gettato nel cestino dell’immondizia, quindi praticamente è
lui che ha il coltello dalla parte del
manico e ancora non l’ha capito! E io
cerco di spiegarglielo in tutti i modi,
perché non è parlare, diventare pentito o confessare o chissà che cosa…
Ma lui, che sa la verità invece di farsi
la galera al posto di quelli che invece
si prendono le onorificenze… Sì, ma
io non parlo della ’ndrangheta, perché non la ’ndrangheta, per certi versi, lui è coperto… Nel senso che avendola aiutata teoricamente, e poi lui è
stato arrestato, quindi teoricamente
è coperto». La donna è un fiume in
piena e spiega ciò che pensa del ma-
Giovanni Zumbo, la “talpa”, e la moglie Maria Francesca Toscano
rito: «Con chi mi sono sposata? Con
uno consapevole che faceva ste cose!
Perché giocava, ha sempre giocato
con due mazzi di carte… faceva il
grande con gli ’ndranghetisti e poi
spifferava tutto… tutto sui giornali
no? Quindi, non pensare che tutta la
’ndrangheta è con lui, c’è gente che
in carcere, ho saputo, si gira dall’altra
parte, tu lo sai che è stato messo in
isolamento qua no? E perché non si
preoccupa di questi fatti? Che sono
più importanti!». Ma i toni della conversazione diventano ancor più duri
il primo ottobre, quando la donna
parla dei problemi del marito, apostrofandolo in modo estremamente
grave e raccontando dell’uso di sostanze stupefacenti da parte di Giovanni Zumbo. «Certamente no quando tirava cocaina, perché io avevo pure paura, io so che avevo paura. E uno
in quelle condizioni, se ti deve tirare
una coltellata, te la tira! O quell’armadietto pieno di armi! Quindi io so
quello che ho passato! O dopo che lo
hanno arrestato, quello che ho trovato là dentro in negozio! Nascosto!
Cioè io so un sacco di cose». Alla di- razioni rese da quest’ultimo. La Toscussione partecipa anche Emo. Si scano non cita esplicitamente il Rocevince che Zumbo sarebbe stato con- cella, ma dalle affermazioni della
trollato: «No, lo controllava a Gio- stessa si evince che anche la donna si
vanni – spiega Emo – mandava una riferisce al Roccella. La Toscano copersona a controllare, questa perso- munica al marito che quest’ultimo ha
na ha detto: “uno, che continuava a dichiarato di essere stato strumentasniffare, due, che continuava a spac- lizzato da lui (Giovanni Zumbo). La
ciare”». Sono una continua fonte di donna ritiene che sia stato lo stesso
discussione e di informazioni i coniu- Roccella a strumentalizzare il marito,
anche perché quegi Zumbo. Sanno
tantissime cose, al«Si sta facendo st’ultimo ha dichiarato di mirare a ricune riguardanti
la galera
gonfiamenti di preesponenti delle forze dell’ordine. Come
al posto di quelli stigio». E qui c’è un
importannel caso dell’appunche si prendono passaggio
te: la Toscano invita
tato Roberto Roccelle onorificenze» Zumbo a pensare
la, prima in servizio
bene a ciò che dice.
al reparto investigativo dell’Arma e militare ormai noto Lui sostiene di essere stato usato da
per aver raccolto diverse confidenze Roccella, il quale «avrebbe detto un
anche dallo stesso Zumbo. La Tosca- sacco di “porcherie” inventandosi tutno, nel corso di un’intercettazione in to (“biglietti e non ha biglietti, telefocarcere con il marito, registrata il 28 nate e non ha telefonate, non ha niensettembre, chiede se ha riflettuto su te”)». La Toscano dice a Zumbo se
quanto detto nel precedente incon- Roccella «era a conoscenza del fatto
tro e Zumbo risponde di sì e sottoli- che lui (Zumbo) andava là» è chiaro
nea che ci sono ancora tante altre co- che ora sta approfittando della situase da raccontare come «il complean- zione in cui si trova per screditarlo».
no e il fatto che li ha fatti mangiare in Una storia che vede ancora la “talpa”
via Filippini». «Zumbo – annotano in collegamento con appartenenti algli ufficiali di pg – fa riferimento ad le forze dell’ordine. Secondo Zumbo,
una iscrizione pagata. Dal tenore del- lui sarebbe stato utilizzato e poi butla conversazione si evince che lo tato via. Fin dietro le sbarre.
Zumbo si riferisce a Roccella RoberCONSOLATO MINNITI
to ed è suo intento smentire le [email protected]
CASSANO ALLO JONIO
CASSANO J. (CS) Col
volto coperto da passamontagna e sotto la minaccia di una
pistola, compiono due rapine
a distanza di poco tempo dileguandosi poi con le auto delle
vittime, una delle quali verrà
successivamente rinvenuta
completamente
bruciata.
Mentre loro tre vengono identificati e rintracciati nella nottata dai carabinieri e finiscono
tutti in manette con l’accusa
di rapina aggravata e danneggiamento in concorso.
Una serata movimentata
quella di martedì nel Cassanese, dove tre persone seminano
il panico lungo la statale 106
jonica rapinando un medico
del Cosentino e il gestore di
una stazione di servizio. Tutto
ha inizio presso una piazzola
di sosta dove il professionista
viene costretto a consegnare
la propria Suzuki dentro la
quale vi erano 2 computer e il
portafogli con 60 euro, bancomat e carte di credito. A
bordo della propria Opel Corsa e della Suzuki appena presa, i tre giungono poco dopo
presso il distributore di benzina Tamoil, dove costringono il titolare a consegnare la
propria Fiat Uno con all’interno l’incasso giornaliero (circa
1500 euro), numerose stecche
di sigarette e ricariche telefoniche.
Dopo i due “colpi” sono immediatamente scattate le attività dei carabinieri della Compagnia di Corigliano e della
Tenenza di Cassano Jonio,
che hanno predisposto un piano anti-rapina attraverso posti di controllo lungo le principali arterie stradali e perquisi-
Rapine sulla 106, arrestati in tre
Le vittime sono un medico e il gestore di una stazione di servizio
Sopra, l’auto bruciata e la refurtiva. A destra dall’alto,Vincenzo Mazzaro, Giuseppe e Michele Pepe
zioni presso vari locali. E così,
nella stessa serata, in contrada
Apollinara nel comune di Co-
rigliano, veniva ritrovata la
Opel Corsa (di cui i carabinieri conoscevano solo i primi
due numeri di targa) e uno dei
tre presunti autori delle rapine, rintracciato nei pressi di
un bar. Da lì i militari sono risaliti anche agli altri due presunti complici, facendo così
scattare le manette attorno ai
polsi dei tre giovani, tutti di
Cassano: Michele Pepe (figlio
di Damiano Pepe, già noto agli
ambienti giudiziari e coinvolto in operazioni di polizia negli anni passati) ventiseienne
sottoposto alla sorveglianza
speciale di p.s.; Giuseppe Pepe (figlio di Edoardo Pepe) diciannovenne; Vincenzo Mazzaro, ventenne.
All’esito delle perquisizioni
personali, veicolari e domiciliari, i carabinieri hanno rinvenuto la refurtiva e i passamontagna utilizzati per le rapine. Non solo. Nella prima
mattinata di ieri, come ha illustrato il capitano Pietro Paolo
Rubbo nel corso di una conferenza stampa alla presenza
del tenente Morrone e del maresciallo Penta, ad Apollinara
è stata ritrovata la Suzuki del
medico mentre a Sibari la Fiat
Uno completamente bruciata.
Sempre a Sibari, all’interno di
un autocarro nella disponibilità di Michele Pepe, i militari
hanno trovato una pistola a
gas di libera vendita, priva del
tappo rosso, presumibilmente
utilizzata per minacciare le
due vittime delle rapine.
Non si conosce, al momento, il motivo alla base dell’incendio della Uno, mentre
sembra essere escluso che con
quell’auto siano state compiute altre “imprese” nella serata
di martedì. Sono invece al vaglio degli inquirenti anche altri episodi analoghi (ed eventuali collegamenti) verificatisi in passato nel territorio dell’alto Jonio.
ROSSELLA MOLINARI
[email protected]
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«Che denunci a fare? Vattene»
Vittima dell’usura, Gelanzè in aula racconta le richieste d’aiuto inascoltate
Il tribunale di Palmi
PALMI (RC)
«Mi sono assoggettato al pizzo per una
forma di tranquillità». È ferma la voce di
Gelanzè – il gioielliere di
Rosarno vittima, in pochi
Le parole
di sette rapine a
del teste saranno anni,
mano armata e di diversi
episodi di danneggiaverificate
mento al proprio punto
dall’ufficio
vendita – mentre confesdi procura
sa al presidente del collegio giudicante Concettina
Epifanio, di essersi piegato a pagare la
LAMEZIA TERME
Incendiata l’auto
di un agente carcerario
LAMEZIA TERME (CZ) L’automobile di un agente carcerario in servizio a
Vibo Valentia è stata incendiata la scorsa
notte a Lamezia Terme. È la seconda intimidazione che l’agente subisce in due mesi. Un episodio analogo, infatti, era accaduto l’11 dicembre. «All’agente - ha detto
Gennarino De Fazio, della Direzione nazionale dell’Uilpa penitenziari - va tutta la
nostra solidarietà per questo fatto grave.
Non ci faremo intimidire o condizionare,
comunque, da simili azioni».
«Siamo profondamente dispiaciuti per
il vile atto ai danni dell’ Agente di Polizia
Penitenziaria in servizio al Carcere di Vibo Valentia, è la seconda intimidazione
che il poliziotto penitenziario subisce in
due mesi». È quanto scrive in una nota
Lia Staropoli, membro dell’Esecutivo Nazionale e Coordinamento Vibo Valentia
Movimento Antimafia “Ammazzateci
Tutti”. «Siamo vicini agli uomini ed alle
donne del Corpo di Polizia Penitenziaria continua Staropoli - che continuano ad
operare con mirabile professionalità, nonostante le minacce e le aggressioni che
subiscono sia all’interno che all’esterno
delle carceri da parte dei peggiori criminali. Sappiamo bene che della ’ndrangheta conclude - non fanno parte solo boss e affiliati rinchiusi nelle celle, ma soprattutto
i parenti e i “compari” che sono fuori dalle carceri. Criminali spietati che nelle proprie roccaforti continuano ad esercitare la
propria forza intimidatrice».
protezione in seguito all’ennesima vetrina distrutta nella notte. Una confessione
che apre uno squarcio luminoso nell’assordante silenzio di una città in balia della violenza mafiosa; una frase semplice,
ma difficilissima da pronunciare davanti
ad un giudice in questo pezzo di sud e
che, dopo le dichiarazioni rese da Giuseppina Pesce e da Rosa Ferraro, aggiunge
un nuovo tassello al romanzo criminale
che strangola l’antica Medma. È un uomo
minuto Gelanzè; durante la sua deposizione utilizza un tono pacato ma fermo
nel descrivere le dinamiche che lo hanno
costretto, suo malgrado, a piegarsi allo le domande serrate del sostituto procuratore della distrettuale antimafia Alessanstrapotere delle cosche rosarnesi.
«Io rappresento la quarta generazione dra Cerreti e del pm palmese Giulia Pandi gioiellieri nella mia famiglia e voglio tano – fu Ferdinando Campisi a proporcontinuare ad esserlo. Da quando ho pre- si come intermediario e io e il mio assiso in mano la gestione dell’azienda ho su- stente, che tra l’altro aveva un rapporto di
bito tantissime rapine e tanti episodi di parentela con l’intermediario, ci recavadanneggiamento al negozio. Ho sempre mo tutti i mesi nel suo bar di San Ferdidenunciato tutto alle forze dell’ordine, ma nando per consegnare il denaro. Poi tutpurtroppo non è mai successo nulla». È to d’un tratto, l’intermediario si rifiutò di
deluso Gelanzè per come sono andate le accettare il mio denaro, negando ogni
cose. Mortificato da uno Stato che non precedente. Sapevo che, in qualche moriesce a difenderlo e piegato da difficoltà do, Campisi era entrato in una delle ineconomiche che scaturiscono dalla man- chieste sul porto, e al suo rifiuto di accetcata copertura assicurativa: «Ma io ho tare i soldi del pizzo, tornai alla carica
fatto una scelta, quella della correttezza e sperando che ci fossero delle microspie
della legalità. Per questo motivo ho sem- nel suo locale, ma nonostante le mie inpre denunciato tutte le vessazioni a cui sistenze, Campisi negò tutto, rifiutando
ancora una volta di accetsono stato sottoposto». Il
tare i contanti. Raccontai
teste parla della mattina
Il testimone
tutto alla Dia di Reggio
in cui, arrivato in negozio
ha aperto uno
Calabria – dice ancora il
dopo avere trovato infilato sotto la porta d’ingressquarcio di luce teste – ma non successe
nulla, anzi, in quella ocso di casa un messaggio
nell’omertà
casione, un rappresenche lo “invitava” a versare
di Rosarno
tante delle forze dell’oruna forte somma di denadine mi chiese chi me lo
ro a copertura della “protezione” garantita dalla ’ndrangheta, tro- facesse fare a presentare denuncia, convò le saracinesche semidistrutte. «La sigliandomi di abbandonare Rosarno e
mattina dopo venne da me una persona lasciarmi alla spalle tutti i miei probleche conoscevo e che si propose di darmi mi».
Un suggerimento inquietante, che deuna mano, interessandosi della faccenda. Dopo poco, questa stessa persona tor- ve però essere ancora verificato dall’uffinò da me, dicendomi che avrebbe fatto cio di procura, e che se confermato, aprida intermediario per la consegna del de- rebbe nuovi, inquietanti, scenari sul vernaro, che versai ogni mese per tre anni. In sante della lotta alle estorsioni. Una brutquel periodo non successe nulla né a me, ta pagina, che non cancella però il coragné alla mia attività commerciale. Io non gio consapevole di un uomo normale che
voglio essere un eroe; come dicevo ho fat- si è piegato controvoglia al pizzo e che
to una scelta e poi, in fondo, la mia vita non si è tirato indietro quando è venuto
non vale molto, e fortunatamente non ho il momento di fare nomi e cognomi.
mai avuto figli – dice dopo un’iniziale tiVINCENZO IMPERITURA
tubanza il commerciante rispondendo [email protected]
il caso
Show in Consiglio a Forlì
in stile Cetto la Qualunque
ROSSANO (CS) «Chiudo, presidente, con la propria voce. Era il 1979 quando Francesco
una frase di Cetto La Qualunque...spessata- Aprigliano (ispettore capo di polizia oggi in
mente e affettivamente vaff....». Un urlo libe- pensione) si arruola nell’esercito girando diratorio, nel quale ha invocato persino la ma- verse sedi: da Viterbo a Bologna fino ad Orviedonna del Pettoruto di San Sosti e solo dopo to. Nel 1984 vince il concorso nella polizia a
Alberto da Giussano, esploso al culmine di un Forlì dove mette su famiglia con la moglie dallungo e concitato travaglio politico che Fran- la quale avrà due figli. Aderisce all’associaziocesco Aprigliano (nella foto), 50enne origina- ne “Alleanza meridionale”, nata «per rivendirio di Rossano, ha “partorito” nell’ultimo Con- care i diritti di quanti» come lui «hanno vissiglio comunale di Forlì (dove siede). Assise suto l’esperienza dell’emigrazione», e subito
che si è tenuta il 30 gennaio scorso, durante dopo l’approccio con la politica, anche tra le
la quale ha “rescisso” definitivamente il rap- fila della Lega nord. Una contraddizione?
«Assolutamente no - tiene a
porto con la Lega nord, traprecisare Aprigliano - perché
smigrando poi nel gruppo miAprigliano
i principi che hanno ispirato
sto. Troppe divergenze e «inè
originario
questo partito erano diversi.
compatibilità» con i vertici del
Infatti - ha aggiunto - le lotte
partito del “Senatur” liquidadi Rossano
erano tese a far emergere tutte con il famoso slogan che
Ora
è
passato
ti quei privilegi che il centrol’attore torinese Antonio Alal gruppo misto sinistra voleva concedere agli
banese recita nell’omonimo
extracomunitari, mortificanfilm nei panni di un politico
calabrese. Cambierà postazione, dunque, ma do e trascurando, invece, le aspettative di
non la sostanza dato che Aprigliano, anche quelle famiglie emigrate al Nord per lavoro».
Il primo vero incarico lo riceve dal presidai nuovi banchi, continuerà la sua battaglia
da consigliere «per rispettare» una fiducia dente della Regione Sicilia, Raffaele Lombarelettorale “propiziata” nel 2004 e conferma- do, che lo nomina segretario regionale delta a furor di popolo 5 anni più tardi (2009), es- l’Mpa in Emilia Romagna. Poi nel 2006, con
sendo stato il più votato del centrodestra con l’apparentamento del partito “autonomo” con
il Carroccio, Aprigliano entrò in contatto con
481 preferenze.
Si definisce un «politico atipico che com- l’onorevole Gianluca Pini che gli chiese un apbatte le caste e i suoi privilegi». Storie di uo- poggio. «Così feci - ha detto l’ex ispettore di
mini del Sud partiti dalla propria terra per la- polizia originario di Rossano - ma ho sempre
voro ma che, anche a distanza, fanno sentire faticato ad accettare la diffidenza che nel par-
tito di “Umbertone” regna nei confronti dei
meridionali. Una forma di razzismo vera e
propria nonostante oggi molti del sud contribuiscano al rafforzamento della Lega sul territorio». Fu lo stesso Pini a premere per una
sua candidatura al Comune di Forlì, la stessa
persona che ora è diventata, insieme ad altri
maggiorenti del Carroccio, il suo “nemico” numero uno. Aprigliano, prima retrocesso da capogruppo a semplice consigliere, nei giorni
scorsi è stato addirittura espulso dal partito
per «indegnità». «Già espulso? - sono state
le sue parole in Consiglio -. Meno male, temevo la fucilazione del terrone in piazza Saffi a opera di un plotone di camicie verdi comandante dal piccolo dittatore di turno».
Sempre riferendosi a Pini ha detto: «Egli è il
padrone assoluto della Lega forlivese e romagnola…La democrazia è servita. Fate largo ha concluso il vulcanico meridionale - sta passando Napoleone».
ALESSANDRO TROTTA
[email protected]
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GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
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R E G G I O
le confessioni della “talpa”
«Lui mi ha chiesto La cosca Serraino
di andare a casa Nino Lo Giudice
di Peppe Pelle» e i depistaggi
Zumbo rivela i motivi della visita e assicura: Le parole captate dello “spione” aprono
«Era garantito che ciò non doveva uscire» altri scenari per gli attentati ai magistrati
«Mi avevano garantito che
non doveva uscire questa cosa.
Me lo ha chiesto lui di andare e
io gli dicevo che non era il caso». È una lunga conversazione
quella tra Giovanni Zumbo e la
moglie, Maria Francesca Toscano. È il 24 ottobre scorso, ed i
due parlano diffusamente di ciò
che è avvenuto prima, durante
e dopo la visita di Zumbo (in foto) a casa del boss Giuseppe Pelle. Si parla di operazioni famose come “Patriarca”, di un presunto doppio gioco ai danni della “talpa” e di un obiettivo che si
voleva raggiungere.
Zumbo: Ah? l’ho saputo, quando è sceso,
questa persona qua che era a Roma mi ha detto che c’era l’operazione quella della sede centrale (…) “Patriarca”… lo sapeva che c’era di
mezzo “Patriarca” perché era stata combinata
dai carabinieri, figurati se non lo sapeva… come
lui sapeva che mi ha infangato sul fatto di Latella, che io sapevo che questo quell’altro… che
le intercettazioni… io non sapevo niente! Di Villeggianti, era di dominio pubblico che non andavano d’accordo, lui sta raccontando i segreti
di pulcinella quindi questo non è che…
I dialoghi sono spesso incomprensibili ma si
possono fare delle considerazioni: chi ha infangato Zumbo sulla vicenda di Latella? Chi non
andava d’accordo con questo “Villeggianti”, cognome probabilmente storpiato? E soprattutto chi è che racconta i segreti di pulcinella? Fa
forse riferimento ad un collaboratore di giustizia? Poi il discorso si sposta verso un altro personaggio che sarebbe stato vicino a Zumbo ma
in passato.
Zumbo: lui è uno che ha creduto in me e crede in me, solo che non mi può aiutare perché…
non lo so!
Toscano: cioè non è che sei stato abbandonato… che lo sapevi ed è stato confermato dalle
(inc.le)
Z: si lo sapevo
T: però non sapevi di quella cosa…
Z: no
T: perché tu non sapevi gi altri fatti?
Z: perché mi avevano garantito (inc.le) infatti si parla di ambientali non di microspia interna
T: bravo!
Z: io non lo sapevo (inc.le)! Però mi avevano
garantito che non doveva uscire questa cosa
T: bravissimo… quindi i Ros… noi lo abbiamo riscontrato col benedetto decreto (inc.le)
Z: perché c’era la moglie di Pelle; poi è successo, poi è successo con la telefonata di Nocera che gli diceva ricoverati in un ospedale, sempre per i fatti (inc.le) e poi accompagnata dalla
(inc.le)… io penso che in quella circostanza gliel’hanno messo
T: ho capito, ma perché (inc.le)
Z: probabilmente, non lo so
T: doppio gioco!
Z: sì!
T: o erano due cose diverse?
Z: no no… questo fatto è stato fatto apposta,
l’hanno fatto apposta Francesca, l’hanno fatto
per bruciarmi io ti dico i fatti come sono… e i fat-
ti sono così. È inutile che facciamo sti discorsi…
T: tu dell’ambientale…
Z: sì
T: ma io, dalla tua conversazione con Pelle… risulta
(inc.le) sapevi (inc.le) che eri
‘ndranghetista pure tu…
tranne quello
Z: uhm
T: perché lì non è che sei
stato tu! Hai fatto più di quello…
Z: Francesca, il mio
T: ma tu l’hai letta?
Z: no. Il mio obiettivo era quello di entrarci…
di entrare nelle grazie di (inc.le) per arrivare…
Zumbo e la moglie parlano con un tono di voce molto basso ed il nome non viene captato. Poi
tornano a parlare della visita in casa del boss
Giuseppe Pelle.
T: ma allora per capire… cioè il primo contatto è stato antecedente a quando l’hanno installata? Perché tu sei andato il venti marzo, loro
gliel’hanno messa?
Z. se non sbaglio a febbraio o a…
(…)
T: quindi allora perché (inc.le)
Z: perché sono cose che non si devono, cioè
quando io decido di farlo, lo faccio in piena autonomia e basta senza… infatti sono arrivato
con la mia macchina…
T: si lo so
Z: fino a Bovalino
T: sì ma scusa, ma loro (inc.le) lo sapevano
stavi andando?
Z: sì
T: come la giustifichi?
Z: io la giustifico col fatto che secondo me
avevano… o volevano sicuramente fottermi
T: eh?
Z: e poi ci sono riusciti; oppure volevano arrivare a qualche altro obiettivo che io non riesco a capire… veramente non riesco a capire
neanche io i fatti, comunque sono questi… che
io dovevo andare là per arrivare a quella famosa (inc.le)
T: un disguido che eri andato lì…
Z: Francesca ci può essere anche stato questo
T: oppure sei andato di proposito
Z: io ho riferito in procura… ora non voglio
sapere nulla, io non copro a nessuno
Nella conversazione del 7 novembre, invece,
la Toscano si sofferma sul fatto che il marito
considera un errore essersi recato da Pelle e lui
risponde: «No perché me lo ha chiesto lui di
andare ed io gli dicevo di non, non era il caso.
(…) in ogni (inc.le) non mi hanno mandato…
Francesca lo capisci bene dove sto». La discussione prosegue con Zumbo che dà alla moglie
un manoscritto e poi aggiunge: «Si però quando quella persona, era verso febbraio, se non
sbaglio, mi ha detto (inc.le) di fare… io non sono andato subito e sono andato dopo una decina di giorni. (…) al negozio non c’è più. Quindi
non posso toccare determinati argomenti perché sennò smuovo pure…». E poi conclude:
«quei fogli che ti ho dato lo sacrosanta verità».
Consolato Minniti
«Se prima dici che
sono attendibile e dopo
una settimana si pente
Lo Giudice…». Non può
passare inosservata una
frase del genere. Non
può esserlo se a riferirla è un uomo del calibro
di Giovanni Zumbo. Già
ieri abbiamo riportato
come la “talpa” abbia
manifestato il proprio
disappunto per essere
stato smentito dalle parole di Nino Lo Giudice.
Da quel che si può intendere, dunque, il riferimento che Zumbo fa è
alle informazioni confidenziali che lo stesso
Zumbo fece a Roccella,
appuntato dei carabinieri, in più occasioni.
Il colloquio con la moglie, purtroppo, è assai disturbato e non consente di cogliere tutti i passaggi. Ma di sicuro permette di capire che i riferimenti sono alla famiglia Serraino ed ad un avvocato ed un giudice, per il
quale Zumbo si chiede: sono corrotti? Non
ci vuole tantissimo a mettere assieme i pezzi e ipotizzare che il commercialista stesse
parlando della vicenda concernente la bomba fatta esplodere alla procura generale il 3
gennaio 2010. Il dato è abbastanza chiaro: in
un primo tempo la pista seguita fu quella
della cosca Serraino quale mandante dell’attentato per le note vicende relative al processo d’appello agli assassini di Luigi Rende.
Poi, però, arrivo Nino Lo Giudice e disse delle cose completamente diverse. Ecco a ciò a
cui si riferiva Zumbo quando affermava che
Lo Giudice lo ha smentito. Tuttavia, se da
una parte ci sono le parole di Zumbo che
sembra vadano verso la prima ipotesi, dall’altra ci sono quelle di Lo Giudice che sconfessano totalmente la prima ipotesi. Al centro c’è un’ordinanza di custodia cautelare
emessa dal gip di Catanzaro. Senza dimen-
ticare un altro pentito, venuto fuori successivamente e cioè Marco Marino, ritenuto vicino proprio alla
cosca Serraino. È un puzzle assai composito, ma
che merita di essere messo in ordine. Tuttavia la riflessione, che appare quasi scontata, è la seguente:
qualcuno non ha raccontato la verità. Delle due
l’una: o Zumbo ha raccontato qualcosa poi smentita da Lo Giudice al solo fine di depistare le indagini
che si erano concentrate
su una pista ben precisa,
oppure Lo Giudice ha raccontato una serie di cose
non veritiere, ma che ad
oggi vengono prese come buone. E se è così, chi ha mentito quale obiettivo aveva?
Qualcosa in più sotto questo profilo si potrà
capire tra qualche settimana quando, da Catanzaro, arriverà la chiusura delle indagini
riguardanti gli attentati. Si è ormai alla conclusione e tutto lascia supporre (a meno di
novità clamorose dell’ultima ora) che venga
confermata la pista segnata grazie alle dichiarazioni di Lo Giudice. Ma se così fosse,
perché le confidenze sui Serraino ed il processo Rende? La realtà, forse, è che una verità “vera” purtroppo ancora non è stata raccontata. Almeno non fino in fondo. Tutti
sanno ormai della reticenza di Lo Giudice a
parlare delle motivazioni che lo hanno indotto a ordinare gli attentati. Sta lì il cuore
del problema. Sapere perché avrebbe messo quelle bombe. Solo così si potrà capire se
la storia dei Serraino era solo un depistaggio
o qualche cosa di più. Solo così si potrà consegnare alla città una verità inconfutabile e
scevra da tutte le dietrologie che, sovente,
accompagnano questo tipo di eventi così intricati.
c. m.
il commento
E se iniziasse davvero a parlare?
«Poi è successo che questo qua ha voluto
, tramite sempre questo amico comune, mi
ha detto siccome là hanno perso i contatti
perché c’era stato (inc.le) l’unica persona
che noi ci fidiamo visti i trascorsi sei tu». È
una frase sibillina quella che pronuncia Giovanni Zumbo, così come lo sono tutte le altre che si lascia scappare nei colloqui con la
moglie. Sanno di essere intercettati e per
questo parlano a bassissima voce. Ma il carcere non è luogo che ti faccia controllare più
di tanto ed allora succede che qualche frase
proprio non puoi tenerla dentro. È il caso di
quella nella quale Zumbo spiega alla mo-
glie: «Io lo dico, non è che ci sono problemi…
oppure domani mattina lo chiamo ci dico
venite qua e ci dico tutte cose». Cosa vuol dire Zumbo? Vuole forse raccontare tutte le
verità di cui è in possesso? Vuole forse collaborare con la giustizia e fare i nomi di
quelli che ritiene che lo abbiano incastrato,
usato e poi gettato via? Lui si mostra molto portato a parlare. Di sicuro ha preso a
partecipare alle udienze. Sarà molto interessante capire se e quando deciderà di intervenire. Ed a quel punto c’è la sensazione
che saranno in tanti a doversi preoccupare.
(c.m.)
14
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
calabria
ora
R E G G I O
«Sfuggire senza scappare»
L’etica della resistenza, una riflessione della Fondazione Filianoti
Si può fuggire da condizioni di vi- cologo e presidente del centro Giota lontane da etica e libertà senza vanile “Don Italo Calabrò”, Nadia
scappare da una terra difficile come Furnari, fondatrice dell’associaziola Calabria? Sì, a patto che non la si ne “Rita Adria”. E Daniela Pellicarinneghi. E, mettendo in pratica nò, autrice del libro sulla storia del
azioni che dovrebbero rappresenta- commerciante antindrangheta Tire la normalità e non un’eroica ecce- berio Bentivoglio, Gaetano Saffioti,
zionalità, si provi a riscattarla, ini- altro imprenditore che ha denunciaziando da una personale assunzione to, Anna Maria Scarfò, ragazza di
di responsabilità sin dalle cose quo- San Martino di Taurianova che ha
tidiane più semplici. È, quindi, un avuto il coraggio di denunciare le
violenze sessuali
“Fuggire per sfuggisubite dal branco.
re senza scappare” il «Vogliamo essere
«Vogliamo essere
messaggio che la
cittadini
e
non
cittadini e non sudfondazione “Gioditi. È faticoso, ma
vanni Filianoti” ha
sudditi
lanciato ieri in occarende liberi – ha
E’
faticoso
sione del quarto andetto la Furnari – se
ma rende liberi»
niversario della bruognuno di noi prova
tale uccisione dela cambiare, forse ce
l’omonimo imprenditore. Un mes- la faremo quell’incerto “forse” va resaggio, questo, che ricalca il titolo so certo da noi. La felicità non può
dell’evento svoltosi ieri mattina al convivere con le mafie». Per Regolo
politeama “Siracusa” e partecipato «in questo coma etico, bisogna decida una gremita platea di giovani, al- dere da che parte stare. Ci vuole un
la cui diffusione hanno notevolmen- impegno quotidiano a 360 gradi
te contribuito gli ospiti del dibattito senza delegare. Non c’è bisogno di
moderato dai giornalisti Giusva essere giudici, ma di iniziare a riBranca e Raffaele Mortelliti, ovvero spettare gli altri e a non fare i furbi».
Fabio Regolo, giudice del Tribunale Secondo Trudu «si scappa perché si
di Vibo Valentia, Gianni Trudu, psi- ha paura, non si ha speranza e si è
Gli ospiti al Politeama Siracusa
convinti di non saper affrontare la
situazione. Ci vuole un progetto di
vita che faccia crescere. Se si ha consapevolezza dei doveri, si sanno rivendicare i diritti». L’incontro, molto partecipato dalla giovane platea,
si è contraddistinto per un ritratto
della figura di Giovanni Filianoti, dipinto dalle parole della figlia e presidente della fondazione Natalia. E
caratterizzatosi per tante altre storie che devono fungere da esempio,
come quella di Rita Adria, giovane
siciliana cresciuta in una famiglia
mafiosa, diventata collaboratrice di
giustizia e quindi rinnegata, voluta
bene da Paolo Borsellino e suicidatasi una settimana dopo la strage di
via D’Amelio. E per testimonianze,
ossia quelle di Saffioti («Prima di
Le collusioni nella politica
Riprende il secondo ciclo di seminari del convegno “La ferita”
La seconda parte del ciclo loglio» ha detto il procuratodi seminari del museo della re reggino, aggiungendo che
‘ndrangheta “La ferita” ripar- «ciò è essenzialmente dovute dalle “Relazioni di compli- to al crescente ruolo degli encità e collusione fra cultura, ti locali, agli appalti, alle aseconomia a politica”. Ieri nel- sunzioni, alla fornitura dei
l’auditorium Nicola Calipari servizi, nel quadro del condi palazzo Campanella è ini- trollo del territorio che le coziato il secondo round del sche perseguono. Interfacconvegno che aveva già avuto ciarsi con i politici, per la
il suo incipit nel novembre ‘ndrangheta, significa goverscorso. Tra gli interventi in nare la clientela che aumenta
programma:
il suo potere
Giuseppe Pi«Non esiste una e il suo ricognatone,
sola fetta sociale noscimento
sociale». OgFrancesco
Musolino,
vergine e i rischi gi si torna a
parlare
di
Rocco Sciardi contagio
‘ndrangheta
rone e Fulvio
sono costanti»
nel secondo
Librandi,
incontro proGiovanni
Fiandaca, Piergiorgio Moro- grammato sulle “Relazioni e
sini, Fulvio Rizzo. «Non c’è affari nell’area grigia” con
una sola fetta sociale vergine Ivan Cicconi, Michele Prestie i rischi di contagio sono co- pino, Ivan Lo Bello, Lucio
stanti, anche se bisogna sem- Dattola, Luigi Lombardi Sapre distinguere il grano dal triani e Tano Grasso. Doma-
ni si chiude sul tema della
“Criminalità dei potenti tra
mafia e politica” con Piero
Grasso, Nando Dalla Chiesa
ed Enzo Ciconte.
«L’intento –spiegano dal
museo della ‘ndrangheta- è
sempre quello di affrontare la
fenomenologia mafiosa nel
suo complesso e nei suoi singoli aspetti criminali, sradicandola dagli aspetti mitici e
acritici con cui la questione è
spesso affrontata dai media e
di conseguenza nel sentire co-
mune». Il convegno “La ferita” intende «mantenere una
linea di discussione rigorosa e
una elevata soglia critica, senza cedere a facili mitizzazioni
del fenomeno criminale. In
questa nuova edizione –concludono gli organizzatori- si è
adottata una linea meno generalista, proponendo un
convegno tematico con la
prospettiva di coniugare sempre gli aspetti di analisi con
quelli riguardanti le politiche
e le attività di contrasto».
Navetta sul lungomare e modello Reggio
I cittadini: «Per fortuna gli amministratori non possono mettere mano sul clima e la natura»
Il modello Reggio è «lungomare deturpato, con un corso Garibaldi dissestato, una villa comunale abbandonata, un cinema arena lido mai completato, costruzioni fatiscenti, piazze da
ristrutturare, strade poco pulite, acque del Menta»? Se lo chiedono tre
cittadini reggini, che in una riflessione
fanno emergere le qualità «per essere
buoni amministratori». Ovvero «l’intelligenza e l’onestà». Ezio Multari,
Armando Gangemi e Giovanni Leone
criticano «la navetta lungo il litorale
(area ludica), uno dei pochissimi spazi dove le famiglie reggine sono solite
condurre i propri figli e lasciarli giocare in libertà».
E poi «sabato e domenica sera musica a tutto volume in pieno centro.
Che città!», esclamano. «Per fortuna
–concludono i cittadini- i nostri amministratori non possono mettere le
mani sul clima e sulle bellezze naturali della nostra Reggio».
denunciare ho chiesto la garanzia di
restare. Le guerre si combattono in
trincea. Restando c’è l’esempio. Ho
timore, ma la mia paura più grande
sarebbe stata quella di aver fatto
nulla per cambiare le cose»), Pellicanò («Bentivoglio è provato, ma ha
una voglia di lottare che si alimenta
giorno dopo giorno. Sembra normale che ci sia qualcuno che comandi e
che vengano negati diritti? Occorre
reagire») e Scarfò («Ho sfidato
l’omertà e sono stata maledetta dal
mio paese. Adesso sto ricominciando a riprendermi la mia libertà. In
Calabria ce la possiamo fare, ma
dobbiamo lottare tutti insieme»).
Un messaggio, quest’ultimo, anche
se espresso da colei che è stata costretta ad andar via in un luogo protetto, che è di speranza. A margine
del dibattito, i 1500 euro della borsa di studio e i riconoscimenti intitolati a Giovanni Filianoti agli studenti della quarte e quinte classi delle scuole superiori reggine premiati
per i loro elaborati sul tema “Aiutami a fuggire, non permettermi di
scappare”.
LUCA ASSUMMA
[email protected]
giustizia
La mediazione civile
strumento da rafforzare
«La gravità della crisi
che attraversa il comparto
Giustizia, evidenziata nel
corso dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario, richiede un profondo intervento riformatore. La mediazione civile, utilissimo
strumento deflattivo del
contenzioso, dovrà quindi
essere ulteriormente rafforzata e arricchita di nuove competenze estese a tutti gli ambiti della giurisdizione civile». A sostenerlo è
l’avvocato Giuseppe Strangio, direttore di Ismed –
Istituto di Mediazione Civile accreditato dal Ministero della Giustizia.
«Un primo passo in questa direzione – prosegue
Strangio - sarà compiuto a
partire dal 21 marzo prossimo, quando la mediazione
civile obbligatoria entrerà
pienamente in vigore». Ed
è una opportunità di lavoro
per giovani professionisti e
neo laureati, oltre che uno
strumento per ridurre il carico giudiziario.
«La richiesta di mediatori esperti nelle diverse discipline, già elevatissima, è
destinata ad aumentare
ancora. Con l’ingresso nell’ambito della mediazione
obbligatoria di nuove importanti fette di contenzioso, come quelle che riguardano i sinistri da circolazione di veicoli o natanti e
quelle relative alle liti condominiali, il numero dei
procedimenti di mediazione è destinato a moltiplicarsi nel giro di pochi mesi», chiarisce Strangio.
Giuseppe Strangio
D’altronde, 5 milioni di
nuove cause ogni anno, oltre 9 milioni di cause arretrate, intasano i tribunali
italiani.
«Opportunità lavorative
si potranno cogliere in numerosi settori professionali. Le nuove norme prevedono, infatti, che gli incarichi di mediazione siano assegnati in base alle competenze dei mediatori nelle
diverse discipline. Si aprono così importanti prospettive per avvocati, medici,
ingegneri, architetti, geometri, commercialisti, consulenti del lavoro, notai,
laureati in discipline umanistiche e socio-psicologiche, diplomati iscritti in ordini o collegi professionali,
laureati in qualsiasi disciplina, anche con titolo
triennale, che possono diventare mediatore civile e
commerciale professionista e, in base alle proprie
competenze, esercitare
questa nuova professione».
15
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
calabria
ora
R E G G I O
idv
Emergenza
ai Riuniti
Oggi incontro
con Bellinvia
Su richiesta del consigliere comunale Aldo De
Caridi in merito alle
emergenze del pronto
Soccorso e sulla situazione complessiva dell’
Ospedale Riuniti di Reggio Calabria, fa seguito
l’iniziativa del Gruppo
Consiliare Regionale di
IdV che intende visitare
il nosocomio Reggino
oggi alle 11.30 per raccogliere più da vicino le
istanze di chi è chiamato
ad operarvi quotidianamente e contemporaneamente dare ascolto alle
esigenze dei cittadini che
chiedono risposte sanitarie al passo con i tempi.
La delegazione conta la
presenza di Giuseppe
Giordano componente
della Commissione Sanità Regionale, del capogruppo Emilio De Masi,
di Mimmo Talarico consigliere regionale, di Enzo Tromba commissario
regionale e di Aldo De
Caridi consigliere comunale incontreranno Carmelo Bellinvia, Direttore
generale dell’Azienda
Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli che si è
dimostrato sensibile e attento alle richieste del
gruppo consiliare regionale.
La garanzia di assistenza
sanitaria ai migranti di Rosarno è l'obiettivo principale
del protocollo d'intesa tra
Asp ed Emergency firmato
ieri a palazzo Tibi tra il direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale Rosanna
Squillacioti e il coordinatore
dei progetti dell'associazione
non governativa Pietro Parrino, in rappresentanza del
presidente Cecilia Strada. Un
accordo che formalizza una
collaborazione attiva dal dicembre 2011 innestando un
servizio sanitario rivolto a
chiunque ne abbia bisogno in
quanto, come afferma l'esponente dello staff dirigenziale
dell'Asp, Franco Sarica, «la
sanità non può avere alcun
colore». Il protocollo sarà valido per l'intero periodo della
raccolta degli agrumi e, in
particolare, fino al 31 marzo
prossimo con possibilità di
rinnovo sulla base, soprattutto, delle esigenze che si verranno a creare sul territorio,
oggetto di un costante monitoraggio da parte di Emergency. «È doveroso dare assistenza sanitaria a chi è in difficoltà», afferma la Squillacioti mentre Parrino precisa:
«Il nostro obiettivo con la firma di questo protocollo è di
agire in complementarietà
con i servizi esistenti», ribadendo che «il nostro progetto non è solo per gli immigrati ma per tutti quelli che non
riescono ad accedervi». E
Parrino ricorda anche che
Emergency rilascerà i codici
Stp ai pazienti consegnando,
per conto loro, le domande
per l'assegnazione temporanea del medico e l'iscrizione
al Sistema sanitario nazionale e la scelta del medico di base dalle 9 alle 12 mentre l'attività sanitaria è prevista dal-
numerose
disponibilità
Impegno
a creare
con quattro
operatori
un ambulatorio
mobile nella
Piana
Con Emergency
per l’assistenza
ai tanti migranti
Protocollo di collaborazione con l’Asp
le 17 alle 22. Emergency si
impegna ad attivare con 4
operatori (due mediatori culturali, un medico e un infermiere) un ambulatorio mobile (Polibus) nella Piana e,
successivamente in base ai
dati raccolti, in accordo con
l'Asp valuterà un'azione più
duratura. La prima risposta
verrà fornita con la medicina
di base ma l'Asp ha garantito
la propria disponibilità per
l'assistenza in caso di patologie da trattare in modo specialistico concedendo anche
ad Emergency i farmaci nel
limite di legge sull'assistenza
ridimensionamento omeca
Il sindaco ha ricevuto delegazione e sindacati
hanno dimostrato in questi
anni – ha detto Arena- bisogna partire per difendere il livello occupazionale della nostra città. Contatterò immediatamente l’assessore regionale alle Attività Produttive
Antonio Caridi e manifesterò la mia volontà a prendere
parte all’ incontro richiesto
all’Amministratore delegato
di Ansaldo Breda, ponendo
al centro della discussione la
salvaguardia del lavoro e il
futuro di centinaia di reggini».
Il consigliere comunale Nicola Paris, dopo aver illustrato al primo cittadino le criticità vissute attualmente dai
lavoratori, si è dichiarato
460 pazienti ed effettuato
560 prestazioni, non nasconde di valutare l'idea di un poliambulatorio permanente.
Sottolineata anche l'importanza sul territorio degli ambulatori di assistenza sanitaria rivolti agli stranieri temporaneamente presenti e non
in regola con le norme di soggiorno (Stp). L'Asp ne valorizza l'azione e lo stesso Parrini rileva che «in Italia molti di essi sono stati chiusi
mentre sulla Piana sono
aperti».
ALESSANDRO CRUPI
[email protected]
«Gli ospedali erano in
difficoltà ma adesso a Locri, Polistena, Melito e
Gioia Tauro stiamo fornendo buoni riscontri».
Esordisce così la Squillacioti prima della firma del
protocollo sullo stato dell'arte della sanità sul territorio provinciale.
Il direttore precisa come «si stanno riempiendo di contenuti strutture
in fase di conversione» e
sottolinea «il progetto già
finanziato per far nascere il centro di dialisi a
Scilla, dove sono stati
aperti reparti di assistenza oncologica, allergologia e fecondazione assistita di primo e secondo livello».
«Stiamo attuando una
politica di risparmio ma
non sulla salute - precisa
- su cui vogliamo investire bene». A proposito di
Rosarno ricorda lo stanziamento di 80mila euro
per il poliambulatorio e
l'inaugurazione di una
guardia medica. (a.c.)
atam
La Simmi al Comune
Il Sindaco di Reggio Calabria Demetrio Arena, accompagnato dai consiglieri comunali Daniele Romeo, Nicola Paris, Domenico Marra
e Giuseppe Eraclini, ha incontrato, a palazzo San Giorgio, una delegazione dei lavoratori della ditta “Simmi”
di Reggio Calabria. Al colloquio hanno partecipato i segretari provinciali dei sindacati di categoria Enrico Giarmoleo (Fiom-Cgil), Giuseppe
Chiarolla (Fim-Cisl) e Santo
Biondo (Uilm).
Al centro della discussione
le problematiche relative al
futuro dei lavoratori che svolgono la propria attività per
l’Ansaldo Breda di Reggio
Calabria e il paventato ridimensionamento della società
con le gravi conseguenze in
termini occupazionali, in virtù del nuovo piano industriale previsto.
Il sindaco Arena, dopo
aver ascoltato e recepito le
preoccupazioni dei lavoratori, ha voluto rimarcare, ancora una volta, come la produttività dello stabilimento reggino sia positiva e certificata
dai numeri. «Proprio dall’efficienza che le maestranze
ai cittadini stranieri e alle
persone in stato di bisogno
prive di un'assistenza di base
sul territorio. Il polibus si
sposterà tra Taurianova, Rizziconi, San Ferdinando e Rosarno e, nel quadro degli interventi sanitari, l'associazione confida molto nel supporto dei volontari «per incrementare l'efficienza dell'intervento e per la conoscenza
del territorio», spiega Parrino rilevando che «a Rosarno
c'è stata un'ottima risposta
dei medici volontari». Ed
Emergency, che dal 7 dicembre ha visitato sulla Piana
«Risparmi
che non toccano
però la salute»
«soddisfatto dell’impegno
preso dal sindaco che ha dimostrato, ancora una volta,
grande volontà per contribuire alla risoluzione della vicenda e soprattutto vicinanza
ai lavoratori della nostra città».
Il consigliere Daniele Romeo, dal canto suo, ha chiesto che «vengano tutelati tutti i posti di lavoro con particolare attenzione per i dipendenti Simmi e, successivamente, per i lavoratori interinali che per professionalità
ed abnegazione rappresentano una forza lavoro imprescindibile su cui basare l’efficienza e la competitività dell’azienda».
Filardo: «Erogati ieri
gli stipendi di gennaio»
In merito all’annunciata proclamazione dello
stato di agitazione da parte delle OO.SS. per la mancata puntualità nell’ erogazione dello stipendio del
mese di gennaio, mi corre
l’obbligo di comunicare
che lo stesso è stato posto
in pagamento nella giornata di ieri primo febbraio. In questo caso, peraltro, la corresponsione sta
avvenendo ancor prima di
quanto avviene per prassi
consolidata per cui l’erogazione delle retribuzioni
mensili è ammessa anche
dieci giorni dopo la scadenza di ciascun mese di
riferimento.
E’ il caso di aggiungere,
in questa occasione, quanto più volte ho avuto modo
di comunicare. Non solo la
corresponsione degli stipendi ma la stessa garanzia dei posti di lavoro dipendono certamente dalla
regolarità delle compensazioni pubbliche per i servizi svolti ma, data la situazione di crisi generale,
dipenderanno sempre di
più dal conseguimento degli obiettivi di risanamen-
Pcl, preparazione
alla protesta
del 25 febbraio
Vincenzo Filardo
Pino Siclari
to economico che ci siamo
dati nell’immediato con il
piano industriale: incremento della produttività
del lavoro (contenimento
dei costi) e lotta serrata all’evasione tariffaria (aumento delle entrate). E
queste azioni non si realizzano senza la condivisione
e l’impegno di tutte le componenti aziendali e di tutte le maestranze, nessuna
esclusa. E’ il caso di dire allora che il futuro del nostro lavoro dipende in primo luogo da noi !
Vincenzo Filardo
Amministratore Unico
Atam Spa
Martedì 31 gennaio a
Reggio Calabria si è svolta una riunione di preparazione della manifestazione del 25 febbraio contro il governo delle banche e per l‘annullamento
del debito pubblico. Le organizzazioni promotrici
(PCL, Centro Sociale Angela Cartella, FLC CGIL,
FIOM CGIL, Collettivo
studenti
universitari,
Unione degli studenti)
hanno predisposto un
piano di iniziative a livello provinciale e hanno
rinnovato l’invito alla partecipazione a tutte le forze
della sinistra, ai lavoratori e ai giovani.
l’ORA
dello STRETTO
COMUNI
Campo Calabro
Villa San Giovanni
Bagnara
Scilla
Sant’Eufemia d’Aspromonte
San Roberto
Calanna
GUARDIE MEDICHE
0965 757509
0965 795195
0966 373299
0965 755175
0966 961051
0965 753812
0965 742012
Campo Calabro
Villa San Giovanni
Bagnara
Scilla (Ospedale)
Sant’Eufemia d’Aspromonte
San Roberto
Calanna
0965 751560
0965 751560
0966 335359
0965 790071
0966 965844
0965 753347
0965 742336
calabria
ora
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 20
CARABINIERI
Campo Calabro
Villa San Giovanni
Bagnara
Scilla
Sant’Eufemia d’Aspromonte
San Roberto
Calanna
TEMPO LIBERO
0965 797082
0965 751010
0966 474447
0965 790488
0966 961001
0965 753010
0965 742010
VILLA SAN GIOVANNI
Biblioteca comunale
0965 752070
BAGNARA
Biblioteca comunale
0966 371319
SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE
Piccolo Museo civiltà contadina
0966 961003
VILLA SAN GIOVANNI
Villa San Giovanni ancora
nell’occhio del ciclone. A portarla al centro dell’attenzione
è ancora il Ponte sullo Stretto.
Poteva, per i più ottimisti, essere arrivato ad una fase conclusiva, il declino del mega
progetto, ma come nelle migliori citazioni, c’è chi dice no.
Stavolta la volontà di fare coro
nasce dall’associazione Comuni dell’area dello Stretto, che
uniti da obiettivi condivisi si
sono incontrati a Villa per discutere in merito al "Ponte
sullo Stretto" e più in generale
delle infrastrutture, viabilità e
trasporti nel Sud Italia. È stato Roberto Vizzari ad aprire e
mediare i lavori, riportando
una dichiarazione dell’assente
Luigi Fedele: «Il ponte è stata
da sempre una battaglia che
mi ha visto schierato in prima
linea perché convinto che sotrarre a questa parte del mezzogiorno la possibilità di realizzare una straordinaria opera
pubblica potrebbe significare
bloccarne lo sviluppo». Contribuisce così Fedele, dando il
via ai tanti interventi che uniti
dal motto “Uniti per difendere” hanno a gran voce ribadito
che il Ponte non è un progetto
su cui parlare al passato ma
che può e deve diventare un
futuro possibile per il Mezzogiorno. A intervenire per primo in merito è stato proprio
Rocco La Valle che del Ponte
ha ormai un chiodo fisso, evidenziando quanto l’amministrazione villese ha in questo
anno e mezzo di mandato lavorato affinchè il progetto diventasse realtà. Tanti i sindaci
accorsi a far sentire una voce
comune, tante le necessità di
un territorio martoriato. Ad
evidenziarle è stato Paolo Laganà: «Dobbiamo essere noi
ad intervenire e non un governo centrale. Non possiamo vedere stralciare un progetto sul
quale crediamo così si rischia
di mettere in ridicolo un intero paese». Laganà sottolinea
anche altri aspetti al di fuori
del ponte, la statale 106 ad
esempio aspetta da tre anni
che l’Anas incominci i lavori di
messa in sicurezza e nel frattempo continua a mietere vittime. La stessa cosa valga per
porti e aeroporti che continuano ad essere marginalmente
discussi. Quello che invece
sembra essere il più grande
punto di domande è che fine
faranno le opere già iniziate,
come sarà risanato un territorio già martoriato, in più come
può una terra trascurata rispondere al progetto ponte se
non è stata in grado di rispondere neanche ad una rete autostradale? Tante risposte sono
state date dai sindaci presenti
Ponte, A3 e Statale 106:
focus sulle infrastrutture
E sulla mega opera si
è voce ribadito che
non si deve parlare al
passato, ma che può
ancora diventare
un futuro possibile
per lo sviluppo
del Mezzogiorno
Incontro a Villa tra i sindaci dell’area dello Stretto
ma il vicesindaco Fazzolari ha
più di tutti mantenuto una linea dura difendendo il Ponte e
quanto ne concerne «giuridicamente il ponte sullo stretto è
ancora una realtà. Il Cipe non
ha l’autorevolezza attribuitagli
dalla stampa e non ha disimpegnato nessuna somma prevista». Ricorda come se così
fosse le somme previste per le
penali sommate alle opere già
iniziate metterebbero in ginocchio il paese intero, poiché la
stragrande maggioranza dei finanziamenti l’80% sono privati. Non ci saranno dunque
più fondi per la Calabria e i riflettori si spegneranno definitivamente. Ma seppur seduti
I sindaci riuniti
allo stesso tavolo le opinioni
sono contrastanti e Michele
Spadaro fornisce un’altra versione dei fatti rigettando la
questione nella confusione:
«Bene per il ponte ma non
aspettiamoci che il ponte risolva i mali della Calabria». Altre
le questioni trattate tra cui ad
assumere particolare rilevanza
è la chiusura dello svincolo autostradale che comprometterà le sorti commerciali e non
solo dei comuni interessati, in
primis Scilla. Ad accendere il
dibattito è stato proprio il sindaco di Scilla Pasquale Caratozzolo: «Siamo o no capaci
tutti uniti a bloccare l’Italia
partendo da Roma? Siamo capaci di dire al governo che siamo ormai agli sgoccioli, che
non ce la facciamo più ad andare avanti. Dobbiamo far si
che la chiusura dello svincolo
sia ridotto al minimo altrimenti Scilla sarà devastata».
Tante esigenze e un unico in-
tento avere la possibiltà di dare un futuro alla Calabria. Conclude cosi Demetrio Arena, auspicando ad una soluzione:
«Dobbiamo far sentire la nostra voce e siamo pronti a bloccare il traffico se fosse necessario ma dobbiamo valutare i
modi». Si attendono dunque
risposte dall’incontro con il
ministro previsto per il 9 prima di procedere ad eventuali
iniziative clamorose. Nel frattempo le belle parole aspettano di trasformarsi in fatti concreti e la politica per una volta
vuole mettersi in gioco. Sarà la
volta buona?
ELISA BARRESI
[email protected]
rete noponte
«Un progetto da bocciare definitivamente»
Una conferenza stampa, domani, illustrerà contraddizioni e lacune dell’opera
VILLA SAN GIOVANNI
Torna a far parlare di sè il Ponte
Sullo Stretto. E se da un lato c’è chi si
ostina ad inneggiare ad un’opera che
risolleverà le sorti del Mezzogiorno,
dall’altra si schiera la Rete No Ponte
che continua la sua battagli. La richiesta di bocciatura del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto, di cancellazione del programma e di scioglimento della società Stretto di Messina,
verrà ribadito dalle associazioni ambientaliste e dalla Rete NO Ponte venerdì a Villa, durante la Conferenza
Stampa per presentare il Convegno di
Illustrazione alla Cittadinanza del
Rapporto di “Osservazioni Critiche al
Progetto Definitivo del Ponte sullo
Stretto”, redatto da esperti delle associazioni ambientaliste, che ne ha messo in luce le clamorose contraddizioni, lacune e inadempienze, tali da imporre la richiesta di bocciatura definitiva. Il Convegno, con la partecipazione di diversi esperti e studiosi che
hanno fatto parte del gruppo di lavoro si terrà infatti qualche giorno dopo
sempre a Villa S. Giovanni. La Conferenza Stampa sarà per i contrari, l’occasione per denunciare ancora una
volta l’autentico imbroglio costituito
dal Progetto del Ponte «il definanziamento dello stesso, infatti, è stato decretato dagli ultimi atti del Governo
“assolutamente pontista” Berlusconi-
Tremonti (l’attuale esecutivo ne ha
solo completato l’attuazione), contestualmente alla bocciatura europea
del progetto, proprio mentre i dirigenti della Stretto di Messina ancora agitavano opere di compensazione,
espropri, fasi esecutive, e l’allora ministro Matteoli con la complicità di
Trenitalia e altri grandi operatori del
trasporto, tagliava i collegamenti con
Calabria e Sicilia fino quasi ad azzerarli». Non si lasciano intimorire dalle
ultime riunioni che vedono buona
parte delle istituzioni locali continuare a muso duro la lotta pro Ponte: «Il
progetto definitivo è stato redatto forse nell’estremo tentativo di salvare il
programma (oltre che di spendere ul-
teriori ingenti somme per una progettazione eterna).L’elaborato conferma
l’inutilità trasportistica e l’enorme impatto ambientale e paesaggistico del
Ponte, manca di parti essenziali, dalla Via della struttura principale, alle
valutazioni di incidenza, alla rappresentazione di strutture fondamentali
tra cui i collegamenti ferroviari lato
Calabria e la Nuova Stazione di Messina. Esso inoltre non tiene conto della reale situazione sismologica ed
idrogeologica del contesto e non verifica la fattibilità tecnica del Manufatto, salvo dichiararne i “nuovi costi”
(8.6 miliardi di euro circa) senza però presentare alcuna relazione economico- finanziaria». È veramente ora
di chiudere questa telenovela degli inganni sostengono dalla Rete No Ponte e i cittadini nel frattempo continuano storditi a non comprendere il fine
di questo gioco fatto di sì e di no.
el.ba.
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 21
l’ora della Piana
Via Aspromonte 22, Gioia Tauro Tel. e Fax: 0966 55861 Mail: [email protected]
PORTO
AUTORITA PORTUALE
OSPEDALI
0966 588637
CAPITANERIA DI PORTO 0966 562911
0966 765369
DOGANA
GUARDIA DI FINANZA
0966 51123
POLIZIA DI FRONTIERA 0966 7610
CARABINIERI
0966 52972
0966 52111
PALMI
«Rosarno è divisa in zone
d’influenza. In una parte della città comandano i Pesce,
l’altra rimane sotto l’influenza dei Bellocco. Tutto quello
che racchiuso all’interno di
queste due zone, risponde direttamente alle cosche di
competenza». Una città divisa in “blocchi”, copia deforme
di modelli ormai fortunatamente archiviati, completamente in balia dei desiderata
delle ‘ndrine. Traccia un quadro chiaro il collaboratore di
giustizia Salavatore Facchinetti, che dal sito riservato, in
video conferenza, descrive alla Corte la sua profonda conoscenza del fenomeno criminale rosarnese e dei capi
storici del sodalizio criminale,
da Nino Testuni a suo figlio
Ciccio. Cresciuto sotto l’ala
protettiva di Vincenzo “u
Sciorta” Pesce, Fachinetti racconta di essere stato “battezzato” ancora in fasce e di avere cominciato a frequentare
“attivamente” la cosca dei Pesce dopo l’arresto del padre
«perché volevo seguire le sue
orme e diventare qualcuno».
Un proposito che però il pentito di mafia non riuscirà mai
a raggiungere pienamente, visto che pur in affari con gli
esponenti di primo piano della famiglia, è comunque soggetto alle stesse vessazioni degli abitanti normali della città.
Tra mugugni e proteste che
vengono dalle gabbie dei detenuti (da cui esce fuori anche
un nitidissimo “cornuto” rivolto al collaboratore) Facchinetti descrive le zone d’influenza e gli affari che fanno
prosperare le cosche. «I proprietari terrieri devono pagare la guardiania all’associazione. Questa forma di pizzo
PALMI
0966 267611
CITTANOVA
0966 660488
OPPIDO
0966 86004
POLISTENA
0966 942111
TAURIANOVA
0966 618911
CINEMA
Gioia Tauro
Rosarno
Ioculano 0966 51909
Rechichi 0966 52891
Tripodi
0966 500461
Alessio 0966 773237
Borgese 0966 712574
Cianci
0966 774494
Paparatti 0966 773046
Palmi
Barone
Galluzzo
Saffioti
Scerra
Stassi
0966 479470
0966 22742
0966 22692
0966 22897
0966 22651
Gioia Tauro “Politeama” 0966 51498
Chiuso
Cittanova “Gentile” 0966 661894
Chiuso
Polistena “Garibaldi” 0966 932622
Chiuso
Laureana “Aurora”
Chiuso
Taurianova
Ascioti 0966 643269
Covelli 0966 610700
D’Agostino 0966611944
Panato
0966 638486
«I Pesce e i Bellocco
si sono divisi Rosarno»
All Inside, in aula il racconto del collaboratore Facchinetti
IN BREVE
VIGILI DEL FUOCO
FARMACIE
0966 52203
GIOIA TAURO
NUOVO ARRESTO
Maria Grazia Pesce è finita
in carcere su disposizione
del tribunale.
Il Gip aveva interpretato
male la legge
LA CITTÀ
«Rosarno è divisa in
blocchi d’influenza tra la
cosca dei Pesce e quella
dei Bellocco. Loro
decidono su tutto»
LA GUARDIANIA
«I produttori di arance
devono pagare il 3% del
fatturato altrimenti la
loro frutta rimane sugli
alberi»
IL PIZZO
«Se non sono della mafia,
tutti i negozi di Rosarno
sono costretti a pagare il
pizzo, altrimenti capitano
cortocircuiti»
CLAN PESCE Da sinistra Antonino Pesce, Francesco Pesce (‘78), Maria Grazia Pesce, Francesco Pesce (‘84)
consiste in una somma, pari
al 3% del fatturato, che deve
essere versata dai produttori
così come dai commercianti.
Se il pagamento non arriva la
frutta di chi non si è piegato
rimane sugli alberi, perché,
visto che il mercato è completamente controllato da loro,
nessun compratore si azzarda ad acquistare la merce. Lo
stesso discorso vale poi per i
negozi. Se non appartengono
direttamente ai Pesce o ai
Bellocco, i commercianti devono pagare il pizzo, altrimenti succedono dei corti circuiti durante la notte, oppure
può capitare che qualche saracinesca venga ricamata a
colpi di fucile. Ma non sono
molti questi casi, visto che a
Rosarno tutti pagano perché
sono terrorizzati». Nella giornata che ha visto la nuova ordinanza di custodia cautelare
per Maria Grazia Pesce (sorella di Ciccio Testuni), che a
causa di un errore di interpretazione della legge da parte
del Giudice per le udienze
preliminari, era finita ai domiciliari. Su richiesta del sostituto procuratore Alessandra Cerreti però, il tribunale
ha disposto il regime degli arresti in carcere, visto che la
norma che prevede i domiciliari per le madri di bambini
sotto i sei anni entrerà in vigore solo nel 2014.
Prima della deposizione di
Facchinetti (deposizione che
continuerà anche nelle prossime udienze del processo All
Inside), sul banco dei testimoni è stato il turno di Rita
La Torre, che ha descritto, tra
molti non ricordo, il periodo
in cui sua sorella Ilaria si frequentò con Francesco Pesce.
La teste – sposata con il figlio
di Gregorio Bellocco – ha poi
raccontato del blitz a mano
armata di un commando che
intendeva riportare la sposa
fuggiasca sotto il tetto coniugale. Archiviato il racconto di
La Torre è stato infine il turno dello stesso Francesco Pesce che ha rilasciato dichiarazioni spontanee alla Corte, difendendosi dalle accuse che
l’ex moglie gli aveva riservato
durante la testimonianza di
martedì scorso. «Io non sono
il mostro che ha descritto
quella signora – dice il figlio
di Salvatore u Babbu – se ho
commesso delle colpe me ne
assumo le responsabilità, ma
non sono un anumale. Ci siamo conosciuti quando eravamo molto giovani, e se ho sbagliato qualcosa nel nostro
rapporto questo è dovuto alla
mia giovinezza e al fatto che
ho avuto delle brutte esperienze durante la mia vita. Ma
non sono quella persona che
descrive la mia ex moglie».
Vincenzo Imperitura
l’operazione
OPPIDO MAMERTINA
Tre uomini di nazionalità rumena sono stati arrestati ieri
mattina nelle campagne di Castellace, frazione di Oppido Mamertina dai carabinieri della
compagnia di Palmi.
I tre, secondo quanto apprpeso dalla ricostruzione dell’Arma,
sono stati sorpresi a tagliare alberi secolari di ulivo su un terreno confiscato alla 'ndrangheta.
Danneggiamento e furto aggravato i reati contestati dalla
procura di Palmi e dei quali i tre
soggetti arrestati devono rispondere.
I militari dell'Arma, durante
un servizio di perlustrazione
delle campagne della Piana predisposto dal comando provin-
Arrestati nel terreno confiscato
Tre rumeni fermati mentre tagliavano gli ulivi secolari
ciale dei carabinieri di Reggio
Calabria, per contrastare i ripetuti danneggiamenti dei terreni
agricoli, frequenti in quella zona
negli ultimi tempi, hanno sorpreso i tre uomini, tutti e tre con
sega a motore in mano, proprio
mentre erano intenti a tagliare
e sezionare i secolari alberi d'olivo che sorgevano su un'area sottoposta a confisca e in attesa di
assegnazione.
Lengyel Adalbert, di 44 anni,
Aron Viorel Cosmin di 30 anni e
Boncut Verice Felician di 40 an-
ARRESTI
A sinistra il
terreno
confiscato
alla ‘ndrangheta sul
quale sono
stati fermati i tre
rumeni arrestati
mentre tagliavano gli
ulivi
ni i tre uomini arrestati, tutti di
nazionalità rumena. In seguito
alla scoperta, i militari dell'Arma hanno effettuato un sopralluogo sul terreno, ed hanno scoperto che gli alberi rasi al suolo
erano oltre 200, tutti ulivi secolari.
Sul posto non è stata ritrovata parte della legna, motivo che
fa pensare agli inquirenti che i
tre avessero già da qualche ora,
se non giorno, iniziato l'attività,
compiuta forse con l'aiuto di altre persone.
Subito dopo la procedura di
identificazione, i tre uomini sono stati portati in caserma a Palmi e dichiarato in stato di arresto.
VIVIANA MINASI
[email protected]
22
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
calabria
ora
P I A N A
Un piano di risparmio
per risollevare “PA”
Prosegue la corsa contro il
tempo di Piana Ambiente. In
vista della scadenza fissata a
giugno 2012 dalla nuova normativa nazionale- o trasformazione della società “in
house” o messa in liquidazione- la dirigenza di Piana Ambiente continua a lavorare a
ritmi serrati ad un piano di
risparmio che consenta di far
quadrare i conti rispetto ad
una situazione economica
che rimane estremamente
precaria. In attesa del confronto decisivo coi sindaci,
ieri c’è stato il primo incontro- anche se “informale”- coi
sindacati, ed in particolare
coi rappresentanti di Cgil e
Cisl. Confermata l’indiscrezione di Co sull’ipotesi cassa
integrazione, anche se il presidente Domenico Mallamaci e il direttore tecnico Diego
Ferrara hanno posticipato ad
un secondo momento la presentazione di una proposta
più dettagliata.
Di certo, la società mira ad
una procedura limitata a poche ore settimanali, posto
che i lavoratori che lo vorranno potranno benissimo chiedere di usufruire di una cas-
RISCHIO LIQUIDAZIONE La sede di Piana Ambiente
sa integrazione a zero ore.
L’obiettivo della società è ridurre i costi anche sul personale, richidendo allo Stato
l’accesso agli ammortizzatori
sociali per ammortizzare almeno in parte la spesa sostenuta attualmente per più di
cent dipendenti. Altri sacrifici ai lavoratori non ne verranno chiesti, nè potrebbe
essere diversamente, dato
che già mancano all’appello
orami da anni importanti
emolumenti come i buoni
pasto e i premi di produzione
(ancora in arretrato, quindi,
gli stipendi ordinari, visto
che solo ieri è stato pagato
novembre). D’altra parte, a
fronte dei sacrific chiesti al
personale, la dirigenza ha
prospettato ai sindacati anche un notevole risparmio in
spese di gestione, come ad
esempio un possibile taglio
del 50% sia sulla direzione
che sul cda, ovvero sui gettoni di presenza in consiglio di
amministrazione.
Dunque, ultimo disperato
tentativo per tentare di sbrogliare una matassa già di per
sè estremamente ingarbugliata. Dopo le cattive notizie
derivanti dall’ultimo bilancio
del 2011, con una perdita che
si aggira attorno al milione di
Discarica “La Zingara”
Oliveri risponde a Cilona
MELICUCCÀ
euro come emerso dal confronto di questi giorni, ci sarà da affrontare il decisivo
confronto con i sindaci dei
comuni soci, rimasto per il
momento all’ultima assemblea del 6 dicembre scorso.
La dirigenza, in questo senso,
ha preferito rinviare per il
momento il confronto, lavorando a ritmi serrati per arrivare al tavolo con una proposta organica e credibile di rilancio societario.
Passaggio cruciale, e tanto
più se si considera l’indecisione dimostrata in più occasioni dai primi cittadini rispetto all’acquisizione delle
quote da parte dei privati. La
corsa contro il tempo, appunto, continua, con la dirigenza impegnata ad un superlavoro per bruciare le tappe entro il traguardo obbligato di giugno 2012. Certo la
partita si dimostra sempre
più difficile man mano che il
tempo passa. Tra i prossimi
passaggi, anche il nuovo consiglio d’amministrazione dopo il rinvio dei giorni scorsi
stabilito proprio per permettere alla dirigenza di incontrare i sindacati.
Con un'interpellanza al sindaco di Melicuccà, il consigliere d'opposizione Antonino Cilona chiede che per iscritto vengano dati ulteriori chiarimenti sulla presunta pericolosità della discarica di contrada La Zingara. Ieri mattina Cilona ha consegnato la sua richiesta al primo cittadino, da cui
adesso attende una risposta. «Il rischio concreto di una
contaminazione delle acque potabili è elevata e le rassicurazioni fornite a vari livelli istituzionali servono a poco. scrive Cilona nell'interpellanza - Se sarà intaccata la falda
acquifera non si potrà più tornare indietro, quindi perché
correre questo rischio concreto, visti i precedenti illeciti che
sono emersi nel passato
sul vecchio sito adiacente
alla nuova discarica, non
ancora bonificata e pieno
di sostanze tossiche per
l'ambiente». Anticipa la
sua risposta il sindaco
Emanuele Oliveri, che a
Co dice: «La lente d'acqua
ritrovata a monte della discarica è acqua piovana e
non potabile, perché ricca
di ferro e magnesio, come
è risultato dalle analisi
condotte. La falda da cui SINDACO Oliveri
sgorga l'acqua che serve i
comuni di Melicuccà, Palmi e Seminara, è sana ed è monitorata dai tecnici dell'Asp e dell'Arpacal, non c'entra nulla
con l'acquedotto Vina». Altra richiesta di Cilona al sindaco, è quella di ottenere il parere prodotto da una «figura professionale competente, in modo da verificare realmente se
esiste un rischio concreto d'inquinamento, ma alle mie domande il sindaco non ha risposto, tutto è sepolto in un silenzio tombale». Anche su questo Oliveri fa sapere che ha
già risposto verbalmente, ma produrrà «documentazione
scritta come richiesto da Cilona. L'ho detto all'inviato di
"Striscia la notizia" e lo ribadisco: il mio comune è disposto
a pagare un tecnico nominato da Legambiente, che esegua
le analisi con accuratezza, affinché venga fatta definitivamente luce su questa vicenda».
FRANCESCO RUSSO
[email protected]
VIVIANA MINASI
[email protected]
Prospettati ai sindacati tagli di gestione e cassa integrazione
GIOIA TAURO
RIFIUTI/LA POLEMICA
RIFIUTI/I RITARDI
Dopo la rivolta dei camion
grossi centri ancora intasati
ROSARNO
I cumuli di immondizia si riducono costantemente nella Piana, dopo che il blocco dei tir – e la penuria di carburante –
ha provocato una paralisi nella raccolta
dei rifiuti. La situazione non è ancora ricondotta alla normalità, ma è senza dubbio migliore rispetto ad inizio settimana.
La mancanza di benzina ha provocato
giorni di mancata raccolta, il che si è tradotto con situazioni emergenziali più o
meno marcate a seconda dell’ampiezza
delle città e del senso civico.
Come al solito i centri più popolosi ALLARME Rifiuti a Gioia Tauro
hanno avvertito maggiori disagi: a Gioia
Tauro, Taurianova e Rosarno l’immon- città si ritrovano a subire. Sperare in una
dizia si accalcava nelle strade e fuori dai rapida scomparsa dell’immondizia sacassonetti rigonfi di rifiuti. In queste ore rebbe stato utopistico, perché ci sono fati mezzi di Piana Ambiente hanno dimez- tori oggettivi che non possono essere aczato il surplus di spazzatura, specie a Ro- celerati in modo vertiginoso. Ad esempio
sarno la situazione è notevolmente mi- esiste una quantità determinata di mezgliorata. Nella cittadinanza medmea, zi a disposizione di Piana Ambiente che
inoltre, era stata diffusa una raccoman- non possono fare fronte a tutte le esigendazione ai cittadini affinché mantenes- ze. E poi c’è, soprattutto, una capacità di
sero in casa il più a lungo possibile i rifiu- ricezione in discarica, o al termovalorizti, e soprattutto evitando di ammassare i zatore, che non permette di accogliere in
sacchetti fuori dai cassonetti o nelle stra- un solo giorno tutto il rifiuto accumulade.
tosi in 3-4 giorni di mancata raccolta. La
Anche nella vicina San Ferdinando sta situazione sta rientrando, lentamente ma
rientrando l’allarme. A Gioia e Tauriano- progressivamente, e c’è di positivo che il
va, città estremamente vulnerabili sotto blocco dei tir è capitato in pieno inverno,
questo profilo, i mezzi sono in azione per fosse stato con temperature calde, le conormalizzare il contesto, considerato che se sarebbero state ben peggiori.
negli occhi dei cittadini ci sono le cicliDOMENICO MAMMOLA
che emergenze rifiuti che spesso queste
[email protected]
12
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
calabria
ora
C O S E N Z A
Truffa fondi antiusura
La Procura cerca i soldi
Tenterà il recupero dei 20 milioni prestati dai Confidi
Venti milioni di euro. A tan- ne dei documenti operata dai
to ammonterebbe la cifra stor- due dirigenti del Confidi e,
nata indebitamente da Caro- dall’altro, il successivo utilizzo
tenuto e Vecchione, i due ver- di quei fondi che i beneficiari
tici del Confidi “Opus homini” avrebbero impiegato per acfiniti di recente in galera con quistare beni di varia natura,
l’accusa di associazione a de- ma non collegati in alcun molinquere, truffa aggravata ai do al risanamento dei conti sodanni dello Stato e peculato. A cietari. Come se non bastasse,
entrambi, poi, è contestata an- i titolari delle aziende, interche un’ipotesi di concussione. pellati sull’argomento, avevaNell’ambito
no dichiarato
dell’inchiesta,
di ignorare
Sviluppi attesi
però, uno deche
quei
per
i
prossimi
gli interrogaquattrini protivi ancora
giorni: l’inchiesta venissero da
aperti è: che
un fondo anpotrebbe
fine faranno
tiusura. Ocallargarsi
ora quei solchei, ma sarà
di? «No comvero? Anche
ment, le indagini sono ancora perché nell’ordinanza di custoin corso», commenta Paola Iz- dia cautelare che, per ora, tratzo, titolare del caso. Si tratta di tiene in carcere gli indagati, il
denaro che lo Stato assegna al- giudice fa chiaro riferimento al
le aziende in difficoltà che ri- presunto andazzo che avrebbe
schiano di cadere nelle grinfie caratterizzato il consorzio tra
degli usurai.
il 2009 e il 2010, con gli uffici
Aziende sprovviste delle cre- che fungevano anche da segredenziali utili per rivolgersi alle teria elettorale di Carotenuto
banche e che, per questo mo- (poi eletto in consiglio provintivo, trovano nel Confidi un ciale). Ricapitolando, i destipartner utile per ottenere i fi- natari ultimi dei finanziamennanziamenti richiesti. Secon- ti (che in alcuni casi arrivavado la Procura, però, nel caso di no a sfiorare il milione di euro)
Carotenuto e soci, quei venti erano davvero inconsapevoli
milioni non furono erogati a di aver intascato fondi destisocietà in crisi. Lo dimostre- nati a ben altro tipo di categorebbe da un lato, la falsificazio- rie? Se così fosse, le responsa-
bilità (peraltro ancora tutte da
dimostrare) sarebbero circoscritte solo agli attuali indagati che, comunque, durante gli
interrogatori di garanzia, si sono difesi strenuamente, negando ogni addebito. In caso
contrario, l’inchiesta potrebbe
allargarsi. E torniamo così all’interrogativo di partenza: che
fine faranno ora quei soldi? I
venti milioni di euro saranno
recuperati in qualche modo
dalla magistratura o, piuttosto,
ogni speranza è da considerarsi ormai perduta? «No comment - ribadisce Paola Izzo –
ma presto ci saranno degli sviluppi».
mcr
l’interrogatorio
Falanga: «Sono innocente»
È ai domiciliari, ma potrà uscire di casa per recarsi al lavoro
Si è difeso con grande determinazione rispodendo a
tutte le contestazioni e dichiarandosi innocente il commercialista Giovanni Falanga (nella foto),
ex presidente del confidi Finlabor, finito agli
arresti la scorsa settimana per associazione
a delinquere e truffa insieme a Pino Carotenuto e Gianfranco Vecchione, (ex presidente e ex direttore del Confidi Opus homini). Ieri pomeriggio è stato interrogato
dal gip Cristofano alla presenza dei propri
avvocati: Franco Locco e Carlo Salvo. Era
presenta anche il pm Paola Izzo. Il commercialista ha affermato di non aver mai
partecipato a truffe di alcun genere, negando di aver fatto concedere prestiti a chi non ne aveva diritto e chia-
Se la frode è “senza frontiere”
Al via il processo a carico di un gruppo di imprenditori
La Guardia di finanza l’aveva battezzata operazione Senza frontiere per via degli agganci tentacolari dei suoi protagonisti e dei numerosi paesi nei quali essi operavano: 50
persone coinvolte in una maxi truffa alla legge 488. Stamani a Palazzo di giustizia
inizia il processo al ramo cosentino della presunta organizzazione. Otto gli imputati:
imprenditori calabresi e piemontesi. Si tratta di Antonio
Mazzei, 63 anni di Rende,
Francesco De Filippis (54) e
Luigi De Filippis (52) di Cosenza, Franco Vecchio (62) di
Corigliano, Massimo Tunnera (37) di Acri, Giuseppe Costero (65) di Novara, Luigino
Balaudo (65) di Varese e Marizio Ardito (57) di Alessandria. Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere, truffa aggravata, frode
ed evasione fiscale. Del collegio difensivo fanno parte, tra
gli altri, gli avvocati Lucio
Esbardo e Nicola Carratelli
del foro di Cosenza.
L’operazione Senza frontiere risale al giugno di due
anni fa. In quella occasione le
fiamme gialle arrestarono 24
persone, ma gli indagati erano 50. Le indagini avevano riguardato mezza Europa (Ita-
INDAGA Il sostituto procuratore Paola Izzo
rendo anche la natura dell denaro percepito a titolo di
commissione. Si tratta di compensi preventivamente
concordati con le imprese che avevano beneficiato dei
prestiti, ha chiarito Falanga. All’esito degli interrogatori i difensori dell’indagato hanno chiesto e ottenuto la
modifica della misura cautelare: il commercialista, che
si trova agli arresti domociliari, potrà allontarsi dalla
propria abitazione per andare a lavorare. Presenterà ricorso al Riesame anche per Carotenuto e Vecchione
nelle prossime ore, non appena il pm sciogliera le sue
riserve. Carotenuto, Vecchione e Falanga avrebbero costituito un’organizzazione finalizzata a lucrare sui finanziamenti concessi attraverso il fondo antiusura approfittando del loro ruolo al vertice dei confidi Opera
homini e Finlabor. (a. b.)
tribunale del riesame
Favori ai boss
Il ricorso di Quartucci
Il prossimo otto febbraio i giudici del Tribunale della libertà valuteranno il ricorso avanzato dai legali del dottor
Guglielmo Quartucci, il titolare della clinica “Villa degli Oleandri” finito in carcere nell’ambito di un’inchiesta antimafia. Il professionista, infatti, è sospettato di aver prodotto
false certificazioni mediche per agevolare la scarcerazione
di un boss reggino, consentendogli così di ottenere l’assegnazione ai domiciliari in clinica. Accuse dalle quali lo stesso Quartucci, assistito dagli avvocati Marcello Manna e Filippo Cinnante, si è già difeso durante l’interrogatorio di garanzia svolto davanti al gip di Reggio Calabria. Ora, però,
le stesse argomentazioni difensive dovranno convincere i
giudici catanzaresi.
Le fiamme gialle sequestrano un’opificio nella zona industriale di Corigliano
lia, Germania, Spagna, Ro- vo della presunta organizzamania, etc.) e portarono alse- zione sarebbe stato quello di
questro di beni per un valore percepire indebitamente sovdi circa 40 milioni di euro (99 venzioni pubbliche dalla Stato e dalconti correnl’Unione Euti bancari, 7
Otto le persone
ropea. Somstabilimenti
sul
banco
me ingenti,
produttivi, 10
legate a fisocietà “cardegli imputati
nanziamenti
tiera” sia itaAvrebbero
concessi per
liane sia estela realizzaziore, 1 società lucrato sulla 488
ne del prooff shore a
panamense). Secondo l’ipote- gramma d'investimento nelle
si della Procura tutta ruota in- zone industriali di San Marco
torno al contratto di pro- e Corigliano. coriglianese e
gramma “Pro.Cal”. L’obietti- non. Per il favorevole esito
delle indagini,che hanno portato alla luce un volume d’affari enorme, è stato determinante il supporto investigativo fornito dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali
eseguite, nonché il ricorso ad
una complessa ed articolata
attività di rogatoria internazionale, condotta, in taluni
casi, personalmente dal pm
titolare delle indagini, Giuseppe Cozzolino. Altrettanto
determinante di rivelò il supporto fornito dalle autorità
giudiziarie spagnola, tedesca,
svizzera e rumena. (a. b.)
Abusi sessuali in palestra
Chiesta la scarcerazione
Sarà discussa quest’oggi, al Tribunale delle libertà, l’istanza di scarcerazione presentata dall’avvocato Riccardo Adamo per G. M., il settantenne finito agli arresti domiciliari lo
scorso 11 gennaio con l’accusa di violenza sesuale. L’uomo
avrebbe abusato di ragazza di 22 anni, palpandola nelle
parti intime. Il fatto sarebbe avvenuto nei corridoi del centro fitness di un noto complesso sportivo alle porte di Cosenza. L’anziano inndagato – per il quale il pm Salvatore Di
Maio ha già chiesto il giudizio immediato – lo frequentava
spesso poiché soleva aiutare il figlio nella gestione. Il fatto
risale alla metà dello scorso mese di dicembre.È stata la
stessa poresunta vittima a denunciarlo ai carabinieri di Cosenza. Sembra che da qualche tempo l’anziano si fosse invaghito della ragazza, finché una sera, approfittando del
fatto che a quell’ora i locali erano quasi deserti, sarebbe
passato all’azione. (a. b.)
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 29
l’ora di Paola
Redazione viale Ippocrate (ex Madonna della Grazie) - Telefono e fax 0982583503 - Mail: [email protected]
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TIRRENO COSENTINO
Quattro cliniche private convenzionate, ubicate nel medio e alto tirreno cosentino, sono finite nel mirino dei Nuclei antisofisticazioni dell’Arma dei carabinieri e della procura della Repubblica di Paola. Sedici tra dirigenti medici e
sedicenti esperti di fisioterapia sono stati denunciati a piede libero per concorso in truffa ai
danni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio abusivo della professione sanitaria.
I controlli degli specialisti dei carabinieri di
Cosenza, in particolare, hanno interessato le case di cura 'San Luca' di Praia a Mare, 'Arena' di
Sangineto, “Cascini” e “Tricarico” di Belvedere
Marittimo. Ed allo stato sono in corso ulteriori
accertamenti tesi documentali tesi a quantificare il danno che sarebbe stato provocato all’erario. All’esito del blitz, operato l’altro ieri sulla
costa tirrenica cosentina, sono stati denunciati
alla procura della Repubblica di Paola, diretta
dal procuratore capo Bruno Giordano, i legali
rappresentanti e i direttori sanitari delle quattro case di cura nonchè sei medici operanti presso il pronto soccorso di una delle strutture sanitarie oggetto delle verifiche, reputati responsabili di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale. Sono stati altresì denunciati a piede libero due sedicenti tecnici per aver esercitato
abusivamente, in seno a strutture oggetto di indagine, la professione sanitaria di fisioterapista. Durante i controlli sono stati scoperti rimborsi per prestazioni non autorizzate nonchè
l’anomalia secondo cui i due fisioterapisti imputati esercitavano l'attività abusivamente. A carico di tutti gli indagati, oggi imputati, secondo
quanto è emerso è stato chiesto il rinvio a giudizio dalla locale procura
Sedicenti
di
Paola,
fisioterapisti
quindi sarà il
giudice per le operavano senza
udienze prelititolo di studio
minari comspecifico
petente per
territorio a
determinarsi in merito, avviando formalmente
un pubblico dibattimento o, al contrario, disponendo l’archiviazione delle accuse.
I militari hanno effettuato accertamenti su
delega della procura di Paola ed i controlli sono stati effettuati presso le quattro strutture sanitarie private accreditate che forniscono prestazioni in regime di convenzione con il Ssn. Gli
specialisti dei Nas - è stato comunicato in dettaglio - hanno accertato casi di “prestazioni diagnostiche rimborsate nonostante non fossero
previste nella convenzione stipulata tra il Ssn e
la struttura, dove sono stati inoltre individuati
soggetti che svolgevano attività medica di fisioterapia nonostante fossero privi di idoneo titolo professionale; interventi odontoiatrici eseguiti presso un centro dentistico in regime di
day-hospital, registrati e rimborsati come ricoveri ordinari della durata di più giorni; terapie
per il trattamento di patologie urinarie (litotrissia) e per la cura dell’infertilità nella coppia, erogate sebbene la struttura non riunisse i requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla normativa; registrazione, da parte di una casa di
cura, di numerosi ricoveri effettuati 'in urgenza
che, dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri
del Nucleo cosentino, sono risultati ordinarie e
programmate prestazioni ambulatoriali”. Dall'indagine è emerso che i ricoveri hanno spesso
riguardato interi nuclei familiari di origine lucana e siciliana i cui componenti, di fronte alle domande poste dai militari, hanno ammesso che
carabinieri
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Truffa e falsi professionisti
Nas in corsia: 16 denunce
Quattro strutture coinvolte tra cui le cliniche Arena e Cascini
A sinistra la casa di cura “Arena” di Sangineto
In alto la struttura “San Luca” di Praia a mare
le degenze, lungi dal rivestire un carattere di urgenza sanitaria, erano in realtà state pianificate solo al fine di fornire assistenza a un congiunto ricoverato. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno acquisito numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli aspetti lega-
ti agli esami eseguiti in regime di ricovero che
quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate. «Si tratta di indagini che riguardano il periodo compreso tra il 2008 e il 2010 ed
e' stato un lavoro lungo e certosino, compiuto
dai Nas»: ha dichiarato il procuratore Bruno
Giordano. «Ci sono in totale 16 persone imputate – ha concluso il procuratore capo Bruno
Giordano - perché a loro carico abbiamo già
chiesto il rinvio a giudizio per l’ipotesi di reato
di cui alla truffa aggravata».
Guido Scarpino
PAOLA
Elezioni, l’appello di Carlo Gravina al Pd
Carlo Gravina, medico paolano, fondatore del movimento civico pa afferma quanto di seguito: «Bisogna insieme respingere con for“Paola al Centro” e consigliere comunale uscente, scioglie il silenzio za e determinazione modelli politico-amministrativi clamorosamenper formulare un accorato appello al Partito democratico di Paola, te ridimensionati, preparandoci a proporne altri innovativi e moderin una fase di forte stallo delle trattative interne al centrosinistra, al ni, ispirando come messaggio alla gente: capacità di sviluppo, dignifine di determinare la riunificazione di tutte le anime della coalizio- tà e lavoro». Adesso la parola passa al Partito democratico di Gerardo Carnevale e Graziano Di
ne in vista della imminenNatale che, tuttavia, è cate consultazione amminiratterizzato anche al suo
strativa.
interno da un interessante
«Dopo un lungo periodo
e pepato confronto politico
di silenzio, secondo me opsulla scelta delle alleanze in
portuno per non entrare in
vista di questa competizionessuna discussione e perne amministrativa. Il Pd,
ché è un momento cruciainfatti, dovrà scegliere se
le nella definizione di alleandare da solo, schierando
anze per costruire la coaliun proprio candidato a sidzione che dovrà presentarnaco, oppure allearsi alle
si alle prossime consultaforze politiche (partiti e
zioni elettorali - scrive il
movimenti civici) che ruoprofessionista paolano in
tano attorno la figura del
un comunicato stampa - risindaco uscente, Roberto
tengo sia importante ora riPerrotta. E’ un momento
volgere al Partito democraestremamente delicato e ritico un invito pressante a
schioso dal punto di vista
voler far parte di questa copolitico per la coalizione di
stituenda coalizione demogoverno uscente, in quanto
cratica». Il consigliere co- Il fondatore del movimento civico “Paola al Centro”, Carlo Gravina
il centrodestra proprio ieri
munale uscente, in particolare, interviene pubblicamente per invitare «questa importante e si è ricompattato e potrà contare su liste elettorali e alleanze politifondamentale parte politica - prosegue la nota stampa - a riflettere che solide, ma anche su un candidato a sindaco di valore che gode
sul fatto che questo è il tempo della responsabilità, della partecipa- della fiducia di tutti i partiti della coalizione di centrodestra nonchè
zione e del coraggio; onde difendere le conquiste democratiche del- della stima e del sostegno del governatore della Calabria, Giuseppe
la nostra città». Gravina, ancora, in conclusione della sua nota stam- Scopelliti e degli altri leader. (g. s.)
33
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
PAO L A
-
B E L M O N T E
-
calabria
A M A N T E A
-
C A M P O R A
ora
Usura, sì alle intercettazioni
Incarico al perito Scarpelli per il processo contro Giuseppe Bossio
PAOLA/BELMONTE
Via libera all’utilizzo delle
intercettazioni effettuate a suo
tempo dagli investigatori a carico di Giuseppe Bossio (difeso dagli avvocati Giuseppe
Bruno, Marco Bianco e Armando Sabato), imputato per
i reati di usura ed estorsione.
Ieri mattina, infatti, presso
il tribunale di Paola, il collegio
penale, ha dato mandato alla
dottoressa Laura Scarpelli affinchè proceda, nei tempi previsti, alla traduzione delle intercettazioni.
Il processo, quindi, è stato
rinviato al mese di aprile.
Il belmontese di 60 anni,
già noto alle forze dell’ordine,
lo ricordiamo, era stato tratto
in arresto nella flagranza dei
reati di estorsione ed usura.
L’uomo, arrestato il 14 giugno
2011 dal personale della squadra di polizia giudiziaria del
commissariato di pubblica sicurezza di Paola, diretto da vice questore aggiunto Raffaella Pugliese, teneva “sotto
strozzo” un commerciante di
Paola. La mirata attività d’indagine, coordinata dai pubblici ministeri Roberta Carotenuto e Maria Camodeca della
Procura della Repubblica di
Paola, diretti dal procuratore
capo Bruno Giordano, era scaturita da una denuncia della
vittima, mediatore di capi di
bestiame che, vessata dalle
continue richieste del Bossio
per la restituzione di un prestito a tasso usuraio, che ammontava al 120 per cento
mensile, dopo avere ricevuto
minacce di morte ed aggressioni fisiche, si era determinata a rivolgersi alla Polizia di
l’uomo prestava
soldi a tassi alti
Per un prestito
di settemila euro
un commerciante
di Paola
era stato costretto
a restituirne
cinquantamila
Il palazzo di giustizia di Paola
Stato. Venivano, pertanto,
predisposti appositi servizi investigativi, autorizzati dall’autorità giudiziaria competente,
che confermavano quanto de-
nunciato dal commerciante. I
poliziotti, dopo avere filmato
la scena dell’ennesimo scambio di denaro tra la vittima ed
il Bossio, avevano proceduto
all’arresto nella flagranza dei
reati ed, infatti, a seguito di
perquisizione personale, rinvenivano nella tasca dei pantaloni dell’aguzzino la somma
di 2000 euro, in banconote di
50 euro, appena cedutagli dalla vittima. Il commerciante
paolano F.E., aveva richiesto
al Bossio, nel 2008, un prestito di circa 7000 euro e, da allora, gli avrebbe restituito, an-
che per timore della incolumità propria e dei suoi familiari,
una somma di circa 50.000
euro, rimanendo ancora “debitore” di almeno 20.000 euro. Nel corso delle perquisizioni eseguite dagli specialisti
della Polizia a carico del Bossio, erano stati rinvenuti un
coltello, con il quale verosimilmente poneva in essere le minacce nei confronti della vittima, ed una sorta di libro mastro in cui venivano indicati i
nomi dei soggetti usurati dal
Bossio con accanto le somme
dei prestiti usurari. Le indagini, in merito, sono ancora in
corso e, proprio per questo
motivo, non si escludono novità a carico dell’imputato.
STEFANIA SAPIENZA
[email protected]
PAOLA
Droga, pusher a giudizio
Per “Dama Bianca” sono da giudicare D’Acqui e Ragucci
Sono ancora due gli imputati in at- ressa Laura Scarpelli, al fine di ottetesa di giudizio nel processo scaturi- nere in tempi brevi le trascrizioni delto dall’operazione “Dama bianca”. Si le intercettazioni effettuate dagli invetratta di Paolo D’Acqui e Giuliano Ra- stigatori a carico dei due imputati. In
gucci (difesi dagli avmerito, va ricordato,
vocati Giuseppe Bruche il Ragucci è stato
Dato mandato
no e Armando Sabatrascinato nel bubad un
to), ai quali viene
bone giudiziario solo
contestato il reato di
in un secondo moprofessionista
detenzione di sostanmento proprio per
per
ambientali
ze stupefacenti ai fini
via delle intercettae telefoniche
dello spaccio. Ebbezioni.
L’udienza,
ne, ieri mattina,
quindi, è stata agpresso il tribunale di Paola, il collegio giornata al mese di ottobre. L’indagipenale ha dato mandato ad un pro- ne “Dama bianca” era nata nel mese
fessionista, individuato nella dotto- di settembre del 2006, quando, a se-
guito di segnalazioni da parte di cittadini, militari del Nucleo Operativo
avviavano una serie di attività di osservazione e pedinamento di alcuni
soggetti di interesse operativo che utilizzavano un luogo appartato della
periferia di Paola per lo spaccio di sostanze stupefacenti. Dall’osservazione dei luoghi effettuata con telecamere nascoste si potevano identificare
alcuni degli assuntori e i pusher. I pedinamenti effettuati nel corso dei mesi a seguire hanno portato i militari ad
individuare nel quartiere “Scampia”
di Napoli il luogo ove veniva acquistata in quantità ingente la droga che poi
AMANTEA
veniva riversata sulla costa tirrenica
cosentina. Il rischio del trasporto da
Napoli a Paola era ben ricompensato
dal prezzo di acquisto della sostanza,
inferiore al normale prezzo di mercato, (a 13 euro a “pietrina”). Per questo finirono in manette in nove.
s. s.
AMANTEA/2
Dimensionamento, il Comune modifica la delibera
Al nome dell’istituto comprensivo “A. Manzoni” sarà aggiunto quello di Campora
Sul dimensionamento scolastico, fortemente contestato dai camporesi, l’amministrazione comunale ha deciso di fare
qualche passo indietro. Nel senso che,
l’Ente locale, ha modificato la delibera inviata alla Provincia al fine di aggiungere
al nome dell’istituto comprensivo “A.
Manzoni” quello di Campora “A. Longo”,
e di sollecitare l’autorità scolastica per un
presidio di segreteria da lasciare nella frazione.
La proposta di “riorganizzazione scolastica per gli istituti dell’infanzia, primaria
e secondaria di primo grado”, presentata dal Comune di Amantea all’amministrazione provinciale di Cosenza prevedeva: «Istituto comprensivo “G. Mameli” strutturato in scuola media Mameli di
Amantea, scuola dell’infanzia S.Maria,
scuola primaria S.Maria, scuola media
Lago, scuola primaria Lago, scuola dell’infanzia Lago per un totale di 781 alunni. L’istituto aggrega anche Lago; istituto comprensivo “A. Manzoni” strutturato in scuola dell’infanzia e primaria (via
Garibaldi), scuola dell’infanzia e primaria
(via Baldacchini), scuola dell’infanzia via
Dogana, scuola media Campora San Giovanni, scuola dell’infanzia Campora,
scuola primaria Campora, per un totale
Un’aula di giustizia
Amantea
di 1025 unità». Ebbene, per come evidenziato dall’Ente locale «Questo piano è
stato oggetto di contestazione e di gravame giurisdizionale pendente davanti al
Tar Calabria, per la sola aggregazione
dell’istituto Comprensivo di Campora in
quello “Manzoni”». Dette contestazioni,
però, «non hanno fondamento e l’operato dell’amministrazione comunale è legittimo dal momento che si è inteso sol-
tanto dare attuazione ad una precisa, inderogabile e innovativa disposizione di
legge sopravvenuta in materia ed in conseguenza della perdita dell’autonomia dirigenziale dell’istituto comprensivo di
Campora per sottodimensionamento
della popolazione scolastica e dell’affidamento della dirigenza dell’istituto in reggenza per l’anno scolastico 2011/2012,
mentre resta immutata l’offerta didattico-formativa in quanto non viene soppresso nessun plesso scolastico dal momento che l’aggregazione in un nuovo
istituto comprensivo inserisce unicamente la dirigenza la quale, comunque, non
esclude che nella discrezionalità auto organizzatoria dell’autorità scolastica possa essere mantenuto un presidio a Campora per gli adempimenti di segreteria,
per come questo ente intende sollecitare», e impegnare la dirigenza scolastica,
con modifica, altresì, «della denominazione del nuovo istituto comprensivo mediante aggiunta al nome “A. Manzoni” di
quello dell’istituto di Campora “A. Longo” a tangibile dimostrazione della massima considerazione di questa amministrazione per la dignità di tutte le istituzioni scolastiche presenti sul territorio».
s. s.
L’acqua non è potabile
Risarcita ditta casearia
L’amministrazione comunale di Amantea, a causa dell’inquinamento dell’acqua potabile del serbatoio Salice, si è vista costretta
ad accettare la transazione
bonaria con l’azienda agricola Sant’Anna che il 18
marzo del 2010, su ordine
dell’Asp, aveva dovuto distruggere tutti i prodotti caseari di quel periodo. All’epoca dei fatti, ad effettuare le analisi su tutti i prodotti dell’azienda era stata l’Arpacal che, al termine degli
accertamenti, li aveva dichiarati invendibili. Peccato, però, per come sottolineato dall’impresa, che
l’Arpacal non le aveva rilasciato il bollino Cee arrecandole un danno d’immagine
negativa. Da qui la richiesta
di risarcimento danni inoltrata al Comune di Amantea per un totale di
12.880,00 euro. Non è da
escludere, in tale contesto,
che all’epoca l’inquinamen-
Il centro di Amantea
to del serbatoio sia stato doloso. Va ricordato, infatti,
che proprio l’altro ieri ignoti hanno sfondato le porte di
sicurezza del medesimo serbatoio e che il Comune si è
visto costretto ad interrompere l’erogazione dell’acqua
potabile. L’Arpacal consegnerà le analisi tra 2 giorni,
anche se grazie alla tempestività dell’Ente qualsiasi
danno è stato evitato.
s. s.
14
GIOVEDÌ 2 febbraio 2012
calabria
ora
C A T A N Z A R O
Bruno
Procopio
A Soverato, Davoli,
Montepaone... La
famiglia aveva
costituito una società
di fatto. Gli utili si
dividevano e i giochi
erano tutti collegati
ai Monopoli di Stato
IN CITTA’
Incidente a Siano
Tre persone ferite
E' di tre persone il bilancio
dei feriti nell'incidente avvenuto
ieri mattina nel quartiere Siano.
Si tratta di una famiglia - padre,
madre e figlia trentenne - della
provincia di Crotone. L'intervento dei Vigili del fuoco e del
del 118, ha permesso di estrarre le tre persone, tutte condotte in ospedale per accertamenti. Le ferite più serie sono quelle
riportate dalla giovane che, nel
ribaltamento della Citroen C1
su cui viaggiava la famiglia, ha subito un trauma alla schiena.
Sinistro al Sansinato
Illesi i conducenti
Un incidente stradale si è verificato ieri mattina all'imbocco
della galleria del Sansinato, sulla
Statale 280, in direzione Lamezia. Nel sinistro sono rimaste
coinvolte un'autovettura Polo
Volkswagen ed un furgone. Illesi
i conducenti. Si sono create delle code e dei rallentamenti lungo la Statale a causa della presenza dei mezzi coinvolti al centro della carreggiata. Sul posto,
per i rilievi, la Polizia Stradale.
Dopo circa due ore la situazione è tornata alla normalità.
Allarme bomba
all’ufficio postale
Un falso allarme bomba, all’ufficio postale di Siano, ha suscitato momenti di tensione
tra il personale e l’utenza. Il
fatto si è verificato ieri mattina ed ha reso necessario un
intervento dei carabinieri.A
seguito di un accurato sopralluogo utile per effettuare la
bonifica, si è accertato che
nessun ordigno era presente
nei locali. I carabinieri hanno
avviato indagini per chiarire
chi abbia procurato il falso allarme.
lo studio
in parlamento
Il racket dei videopoker
«È un affare di famiglia»
Il racconto del pentito. Il business secondo l’Antimafia
«Soverato, Montepaone, Davoli, Sant’Andrea, San Sostene...». Il racket dei
videogiochi era cosa loro. Un affare di
famiglia, racconta Bruno - figlio del presunto capomafia di Davoli e San Sostene Fiorito Procopio - l’ultimo pentito di
’ndrangheta. E’ il 19 dicembre del 2011
ed al pm Vincenzo Capomolla, racconta come il sodalizio criminale del quale
era parte, tra i più temibili della jonica
catanzarese, aveva anche costituito
«società di fatto» per entrare nel business della «distribuzione di videogiochi e macchinette varie». Società di fatto e, soprattutto «videogiochi regolari»
tutti «collegati ai Monopoli di Stato».
Una buona pista per indagare e per
inserire anche quest’area permeata dalla ’ndrangheta nel più vasto circuito degli affari calabresi alimentati dal gioco.
Certo Procopio descrive una realtà in
scala ridotta rispetto a quella di Gioacchino Campolo, il «re» che stava a Reggio
Calabria e tra videopoker, slot machine e
macchinette elettroniche, aveva fatto fortuna: 350milioni di euro, duecento e più
appartamenti, ville e macchine di lusso e
poi una pinacoteca da brivido, coi Dalì,
De Chirico, Guttuso e chi più ne ha più ne
metta. Ma è un racconto, quello dell’ultimo pentito, che rivela come ormai il gioco sia entrato a pieno titolo tra le attività
grazie alle quali le cosche lucrano.
D’altronde, spiega il senatore Luigi Li
Gotti, relatore del dossier, oggi all’esame
della Commissione parlamentare antimafia, sul condizionamento delle organizzazioni criminali nell’economia del Mezzogiorno: «Tutta Italia però si trova in questa condizione e non c’è una regione che
sia esposta più delle altre a questo fenomeno». Perché le mafie - Cosa nostra,
’ndrangheta, camorra e Sacra corona - da tempo ormai hanno esportato i loro interessi
su scala nazionale e transnazionale. E anche perché
con videopoker e dispositivi elet-
tronici è possibile alimentare un circuito
d’affari astronomico tra le maglie di una
legislazione che viaggia a rilento rispetto
all’innovazione tecnologica.
I dati più attuali sono quelli messi a disposizione dalla Guardia di finanza che
nel 2006 aveva operato uno screening sul
mondo del «gioco». Gli introiti leciti sono
stati, per l’anno di riferimento, pari a circa 15 miliardi di euro, quelli illeciti quasi
tre volte di più: 43 miliardi. Insomma, un
rapporto di quasi uno a tre. «E se dovessimo moltiplicare per tre i dati attuali spiega ancora Li Gotti - avremmo una raccolta illecita che potrebbe essere di 180miliardi».
Lo studio c’è, quindi, ma l’azione di contrasto ad un business milionario, borderline e che rappresenta una nuova fonte di
approvvigionamento per le organizzazioni criminali, si rivela evanescente. Perché
il mercato delle slot cede via via il passo alle puntate on line sul quale non esiste, evidenzia il senatore Salvatore Lauro, alcuna
«piattaforma di controllo».
Le mafie stanno dietro, anime grigie
che s’abbuffano nel sistema del gioco e
delle dipendenze dal gioco. C’è, quindi, da
valutare l’evoluzione del business, ma anche da sanare i guasti del passato. I numeri, sempre quelli delle Fiamme gialle, dicono tutto o quasi: «Per il 2006, secondo
i dati dei Monopoli, a fronte di un volume
di affari pari a circa 15,4 miliardi di euro
(di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denato) vi è stato un
gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi
attivati». Quindi, moltiplicando per tre,
perché tanto è stimato il provento dell’illecito, non si hanno solo i numeri che alimentano le casse di famiglie, cosche e
clan, ma anche quelli di una vorace sacca
d’evasione. Per essere più chiari «i due
terzi delle macchinette - almeno al 2006
- non erano collegati alla rete di controllo
e raggiungevano volumi d’affari superiori del trecento per cento alla somma
controllata dalle casse dello
Stato». La partita,
in
fondo, si gioca in maniera semplice: basta
mettere le mani sugli apparecchi, facili da
modificare, da sistemare in quella che la
Commissione antimafia definisce
«un’ampia zona grigia tra legalità ed illegalità».
«Ampia zona grigia» nella quale, ad oggi, solo in parte è stato possibile gettare un
cono di luce, grazie al monitoraggio delle
forze di polizia e alla banca dati centrale
gestita dalla Sogei, che dall’inizio del 2009
ad ogni macchinetta legale ha applicato
un microchip, una sorta di carta d’identità difficilmente taroccabile, utile ad operare una distinzione con quelle illegali.
I numeri, da capogiro, sono talvolta
sconvolgenti: oggi, in Italia, le macchinette autorizzate sono circa 380mila. Ed anche quelle indicate da Procopio ai magistrati della Dda di Catanzaro, sono autorizzate, quindi in regola.
«E si tratta di un dato che non esiste in
nessun Paese del mondo», dicono dall’antimafia. «Siamo i primi quanto a numero
di macchine in funzione». Lo Stato, al gioco, non può però rinunciare: il gioco legale dà respiro alle sue asfittiche casse, quindi niente proibizionismo. Né ci rinunciano le mafie. In fondo gli italiani, in generale ed in media, spendono «17miliardi
all’anno». Dai «20 ai 30 milioni sono dediti al gioco» con «una spesa pro capite
che varia dai 600 ai 700 euro annui»,
spiega Massimo Passamonti, dell’area
Giochi e intrattenimento di Confindustria.
L’illegalità vale tre volte di più ed è per
buona parte - spiega lo stesso Passamonti - in «una macchina artigianale completamente identica nell’aspetto, ma nella
forma interna è diversa. E’ un vecchio videopoker che se oggi metto in un bar non
rischio niente». Al massimo una sanzione
amministrativa, magari parecchio inferiore al guadagno illecito che consente di
fomentare. Il reato penale è ravvisabile
solo in capo al costruttore e non all’usuario, almeno secondo la legge 289/2002. E
se il costruttore sta all’estero…
D’altro canto anche il «re dei videopoker» Gioacchino Campolo è caduto in disgrazia non per le macchinette taroccate
ma per averle imposte, con la mafiosità, al
mercato, riciclandone il denaro sporco
per costruirsi un regno, “provincia” di un
più vasto impero che, ormai, con le
mafie divenute holding,
non è più solo siciliano,
calabrese, campano o
pugliese. E’ internazionale. E la ’ndrangheta, in ciò, ha la
solita marcia in più.
p.com.
Le mafie lucrano
nell’ampia zona
grigia tra legalità
Le macchinette
in Italia sono 38mila
ed in nessun altro
Paese del mondo
ne esistono tante
il processo
Delitto Citriniti
Sentenza rinviata
all’1 marzo
Massimiliano Citriniti
E’ stata rinviata al prossimo 1 marzo, alla luce
dell’istanza di impedimento presentata dall’avvocato Salvatore Staiano,
difensore di uno degli imputati, la discussione delle difese e la successiva
sentenza del processo che si celebra davanti alla
Corte d'assise di Catanzaro - a carico di Cosimo
Berlingieri e Gianluca
Passalacqua, di 44 e 23
anni, imputati per l'omicidio pluriaggravato del
giovane universitario di
24 anni Massimiliano Citriniti, accoltellato a morte il 22 febbraio 2009 fuori dal Centro commerciale "Le Fornaci", a Catanzaro. Il pm Simona Rossi
aveva chiesto due condanne all'ergastolo per gli
imputati. Richiesta reiterara dal legale di parte civile Francesco Gambardella, che assiste i familiari del giovane ucciso. La
discussione dell’avvocato
Staiano era stata già rinviata a ieri alla luce di una
precedente istanza di impedimento dello stesso legale alla precedente
udienze nella quale era
stata caledarizzata la data
dell’8 febbraio, ora slittata, per le arringhe difensive, la camera di consiglio
e la lettura del dispositivo.