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Giovedì 2 febbraio 2012 Inchiesta sanitopoli Rimborsate prestazioni inesistenti fisioterapisti senza titoli di studio Le cliniche truffano la Regione Indagine della Procura di Paola, sedici persone denunciate alle autorità | L’INTERVENTO | «Una vicenda frutto anche di una sanità negata nei nostri ospedali» di MATTEO CAVA PAOLA - Il polo delle cliniche private dell'alto Tirreno cosentino sotto la lente di ingrandimento dei Nas, lo speciale nucleo dei carabinieri. Le verifiche effettuate nel corso di un lungo periodo di indagine hanno consentito di accertare la commissione di una presunta serie di truffe ai danni dello Stato da parte di quattro case di IL SISTEMA cura ubicate in tre comuni della costa Praia a Non esistono tirrenica, Mare, con la San Luca; Belvedere i controlli Marittimo con le NON È la prima vol- cliniche Tricarico e ta che inchieste del- Cascini, e Sanginela magistratura met- to con la casa di cura Arena. tono in luce truffe ai In totale, sono danni al sistema sastate denunciate nitario. Gli espealla Procura della dienti utilizzati sono Repubblica di Paoquasi sempre gli la sedici persone. Si stessi: prescrizioni tratta dei legali e relative fatturazioni di prestazioni ine- rappresentanti e dei Direttori sanisistenti o gonfiate. tari delle quattro Questo tipo di truffe case di cura, di sei si consumano nel medici operanti settore privato dove presso il pronto in Calabria mancano i controlli seri e la soccorso di una delRegione, nonostan- le strutture sanitarie, quella di Belvete leggi e regorladere Marittimo, rementi, non ha mai putati responsabili attivati controlli serdi truffa ai danni rati. Le nuove tecdel Servizio sanitanologie potrebbero rio nazionale. Altri essere un valido due paramedici, instrumento, se per vece, risultano inesempio, si rendesdagati per aver se obbligatoria la esercitato abusivatessera sanitaria per accedere ai ser- mente la professione sanitaria di fivizi. In modo ogni Le cittadino in qualsiasi sioterapista. quattro strutture momento (come sanitarie nell'alto accade con la carte Tirreno cosentino di credito) può sarappresentano un pere se qualche malfattore prescrive vero e proprio punto di riferimento farmaci e accertaper i cittadini che menti diagnostici a trovano spesso sersua insaputa. vizi difficili da reperire in zona nel settore pubblico. In effetti, i controlli coordinati dal Procuratore capo di Paola, Bruno Giordano, e affidati al Nucleo antisofisticazioni di Cosenza erano mirati ad accertamenti presso le strutture sanitarie private accreditate che forniscono prestazioni in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. I militari hanno spulciato fra migliaia di cartelle su pre- La clinica Tricarico stazioni diagnostiche rimborsate. In questo caso viene contestato il fatto che tali servizi non fossero previsti nella convezione stipulata tra il Servizio sanitario nazionale e la struttura. Ampliando il raggio dei controlli sono state inoltre individuate anche due persone che, secondo i carabinieri, svolgevano attività medica di “fisioterapia”, nonostante fossero prive di idoneo titolo professionale. Nel caso delle clinica di Praia a Mare vengono contestati interventi odontoiatrici eseguiti in regime di day-hospital, registrati e rimborsati come ricoveri ordinari della durata di più giorni. I carabinieri del Nas ha poi posto l'attenzione su terapie per il trattamento di patologie urinarie, litotrissia, e per la cura dell’infertilità nella coppia, erogate, sebbene la struttura non riunisse i requisiti strutturali ed organizzativi previsti dalla normativa. Per quanto riguarda la clinica di Belvedere Marittimo i carabinieri contestano la registrazione di numerosi ricoveri effettuati “in urgenza”che, dagli accertamenti eseguiti dai Carabinieri del Nucleo cosentino, sono risultati ordinarie e programmate prestazioni ambulatoriali. Dall'indagine è poi venuto fuori che tali ricoveri hanno spesso interessato interi nuclei familiari di origine lucana e siciliana. Ci sarebbero delle audizioni di alcuni componenti di tali nuclei familiari che, di fronte alle domande poste dai militari operanti, porterebbero alla presunta ammissione di “degenze”, che non rivestivano un carattere di urgenza sanitaria. Secondo gli investigatori erano in realtà state pianificate solo al fine di fornireassistenzaad uncongiuntoricoverato. Nel corso delle indagini i Carabinieri hanno acquisito numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli aspetti legatiagli esamieseguiti inregime di ricovero che quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate. Sono in corso ulteriori accertamenti tesi a quantificare il danno provocato all’erario. OGNI notizia riguardante la malasanità suscita sempre nell’opinione pubblica grande eco. Per tanti motivi, non ultimo, per il fatto che quando si parla della salute dei cittadini ci si sente direttamente coinvolti, quasi vivessimo in prima persona il dramma di chi soffre. E’ successo anche stavolta per le indagini che vedono coinvolte alcune cliniche private molto note del tirreno cosentino. Nulla da dire sulla legittimità degli accertamenti, come sempre sono convinto che la giustizia farà il suo corso e che i responsabili pagheranno mentre gli innocenti potranno provare la loro estraneità. Tuttavia, una considerazione devo farla relativamente ad una clinica, la “San Luca” di Praia a Mare, molto nota in ambiente odontoiatrico, e Sergio Nucci nella quale vengono eseguiti interventi notoriamente tabù nei nostri nosocomi. E’ un fatto che per prestazioni un tantino complicate di chirurgia odontoiatrica, nostri concittadini aventi diritto, ovvero che sono assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, si siano rivolti in passato (ed auguro anche in futuro) a questo centro dal quale sono arrivate risposte a legittime richieste di assistenza. Ripeto, non conosco le carte e non so se ci siano e quali siano le responsabilità, ma la notizia in se, per la sua cruda drammaticità, impone a chi ne ha facoltà di interrogarsi e capire perchè alcune degenerazioni sia- no frutto, molte volte, di una sanità negata nei nostri ospedali. Se esistono centri che erogano prestazioni in regime di convenzionamento è perchè l’offerta pubblica o è assente, o è insufficiente, o è (dispiace dirlo) di qualità minore. Solo ed esclusivamente per questo. Fanno bene le autoritá a vigilare che tutto avvenga secondo i crismi della legalità, ma chi ci governa farebbe bene a garantire un’assistenza sanitaria piena ed efficiente in ogni dove. Soprattutto, ad esempio, nel nostro ospedale regionale, dove branche come la cardiochirurgia o la chirurgia maxillo-facciale latitano. Con il movimento “Buongiorno Cosenza” ho chiesto al sindaco Occhiuto di diventare parte diligente nella realizzazione di cardiochirurgia a Cosenza. Bene! A questo punto lo invito a farsi portavoce di un’altra esigenza molto avvertita dalla popolazione, ovvero dell’istituzione all’Annunziata di un reparto di chirurgia maxillo-facciale dove curare con scienza e coscienza quegli sfortunati che per chirurgie odontoiatriche, anche banali, devono rivolgersi al privato di turno o al centro convenzionato sia esso la clinica “San Luca” o l’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti a Bari (sic!). Ci sono tante malasanitá nella nostra regione, non c’è che dire. Una è sicuramente quella che riguarda la sanitá negata dei nostri ospedali. Sergio Nucci “Buongiorno Cosenza” Parlano il rappresentante legale e l’avvocato di fiducia delle strutture La difesa: «Condotte chiare e lineari» «Ipotesi prive di qualsiasi riscontro. La giustizia farà il suo corso e dimostrerà la nostra innocenza» SULLA VICENDA è intervenuto il rappresentante legale della clinica San Luca: «Dopo aver verificato le accuse a noi mosse - si legge in una nota - possiamo ritenerci assolutamente sereni e convinti che la condotta assunta negli anni dalla Casa di cura sia chiara e lineare. Tra l’altro le nostre prestazioni sono sempre state oggetto, negli anni, di controlli capillari degli organismi deputati e mai nessun rimborso economico - sottolinea il rappresentante legale è stato effettuato senza la preventiva validazione. Dispiace essere oggetto di inevitabile clamore mediatico ma - conclude il comunicato - la giustizia farà il suo corso e verrà dimostrata la buona condotta della Casa di cura, sempre molto apprezzata dai propri pazienti». Ha inteso intervenire, per conto della stessa Casa di cura San Luca e per le cliniche Arena e Cascini, anche l’avvocato Giuseppe Farina, del foro di Cosenza: «Merita replica - esordisce nella sua nota stampa - la notizia relativa alla denuncia di sedici persone, tra le quali rappresentanti legali di case di cura del Tirreno, per truffa al Servizio Sanitario Nazionale, per prestazioni diagnostiche registrate e rimborsate in modo non appropriato». Secondo l’avvocato Farina si tratta «di ipotesi accusatorie, allo stato costruite senza contraddittorio e perciò prive di qualsiasi riscontro fino alla verifica dibattimentale. Nella certezza - aggiunge - che in quella che è la naturale sede ogni cosa sarà chiarita, e che nessuno contesta il diritto/do- vere della magistratura di perseguire gli eventuali abusi fin d’ora, però va evidenziato il sistema delle erogazioni di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento è fin troppo complesso e rigoroso, a garanzia dell’evidenza pubblica, da consentire verifiche e controlli cui non è possibile sfuggire». «Il clamore mediatico - continua l’avvocato delle tre cliniche - scatenatosi oggi non è funzionale né al diritto di cronaca (gli avvisi di garanzia risalgono ad oltre due mesi addietro) né alla corretta dinamica processuale e neanche al contributo all’accertamento della verità atteso che naturalmente ciò avverrà nelle sedi competenti». Per Farina «la fuga di notizie è finalizzata dunque a creare un clima fondato solo su una accusa ancora non verificata, non riscontrata, non acclarata ma funzionale all’obiettivo di ingenerare già la convinzione di colpevolezza in un momento in cui da più parti si ten- de a colpire la sanità privata». «Le case di cura Arena, Cascini e S. Luca, aziende di eccellenza, apprezzate dalle popolazioni assistite da molti lustri sono estranee ad ogni possibile abuso ma riponendo fiducia totale nella magistratura, censurano - conclude l’avvocato - questo modo di fare i processi in piazza». r. c. Il procuratore Bruno Giordano E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 6 Primo piano 24 ore Giovedì 2 febbraio 2012 L’allarme lanciato dal palco dell’Auditorium al convegno promosso dal Museo della ’ndrangheta La forza dell’area grigia Il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone: «Nessun settore sfugge» di DOMENICO GRILLONE REGGIO CALABRIA - Una giornata densa di interventi ma piena di spunti di riflessione su uno dei temi più delicati e scottanti di questo ultimo periodo per l'intera regione. Perché le ultime indagini delle diverse procure, in particolar modo quella di Reggio Calabria, hanno messo in luce quanto sia di stretta attualità il tema sull' “area grigia della ndrangheta”, promosso dal Museo della ndrangheta per una tre giorni di 'full immersion' con la presenzadi studiosi, professori universitari, giudici, rappresentanti delle forze dell'Ordine, sindacalisti, rappresentanti del mondo della Chiesa ed in corso di svolgimento all'auditorium Nicola Calipari del Consiglio regionale. E ieri a calamitare l'attenzione del folto pubblico presente in auditorium è stato l'intervento del procuratore della repubblica Giuseppe Pignatone, pronto ad evidenziare le devastanti conseguenze di quello «spazio opaco fra legale ed illegale in cui si realizzanorelazioni dicollusione ecomplicità con la mafia». E' la cosiddetta areagrigia che per il procuratore non risparmia ormai nessuno. «Non c'è una fetta della società rimasta vergine», sottolinea Pignatone riferendosi alle varie categorie sociali come quelle degli architetti, medici, professori, commercialisti, magistrati, funzionari pubblici, e perfino alcuni sindacalisti. «Il rischio di contagio è presente in ogni categoria. La stragrande maggioranza è fatta da persone perbene ma bisogna distinguere il grano dall'olio». Pignatone va indietro nel tempo e dimostra, grazie ad alcune importanti citazioni di studiosi, ricercatori ma anche testimonianze di mafiosi, che l'area grigia risale addirittura a quasi due secoli addietro. «Una complessità di relazioni che si accompagna da almeno 150 anni al fenomeno mafioso in Italia». Nel dare l'idea unitaria del fenomeno mafioso, peraltro avvalorata dalle diverse indagini giudiziarie, il procuratore reggino esclude che dietro la ndrangheta possa nascondersi la figura del “grande vecchio”, così come si diceva un tempoanche per il terrorismo. «La situazione è più complicata, non bisogna crearsi quelli che poi diventano alibi per la propria incapacità». Propedeutiche a spiegaParte della platea re le relazioni esterne alla ndrangheta sono stati i risultati delle indagini degli ultimi 4 anni di lavoro della procura reggina: tantissimi esempi di collusione con un obiettivo ben preciso, il calcolo di convenienza che lega le varie categorie sociali alla ndrangheta. Dalla inchiesta Bellu Lavuru a Crimine fino a quella della magistratura milanese, tutte inchieste che dimostrano in maniera ineccepibile l'intreccio perverso tra colletti bianchi, rappresentanti delle istituzioni, politici ed amministratori locali con la criminalità organizzata calabrese. E per scoprire questi complicati intrecci per Pignatone occorre partire dal basso, «cioè dai mafiosi per avere innanzitutto una chiara comprensione della struttura interna e poi bisogna risalire alle contiguità ed alle collusioni evitando giudizi morali che non sono di competenza dei giudici». Prima ancora è toccato al coordinatore del Museo della ndrangheta, Claudio La Camera, aprire il convegno, seguito dall'intervento del professore Rocco Sciarrone dell'Università di Torino, autore del volume di 500 pagine dal titolo “Alleanze nell'ombra” che tratta proprio dal punto di vista sociologico e scientifico l'area grigia. A seguire il professore Fulvio Librandi dell'università della Calabria che ha spiegato le finalità del Museo e le strategie culturali di contrasto messe in atto”. Nel pomeriggio si è discusso sul tema “La dimensione criminale dell'area grigia e i reati dei colletti bianchi” con le relazioni del professore Giovanni Fiandaca dell'Università di Palermo ed il professore Alberto Vannucci dell'Università di Pisa. Subito dopo la tavola rotonda cui hanno partecipato il professore Costantino Visconti dell'Università di Palermo, il sostituto presso la procura Generale di Reggio Calabria Fulvio Rizzo ed Alessandro Calì, ex presidente dell'Ordine degli ingegneri di Palermo ed autore del volume “DisOrdini”. «Per scoprire gli intrecci bisogna partire dal basso» LA SENTENZA Lo Giudice credibile Il gup: pena ridotta REGGIO CALABRIA - Il boss della ’ndrangheta Luciano Lo Giudice, capo dell’omonima cosca, ed il cugino Consolato Villani, entrambi collaboratori di giustizia, sono credibili e le loro dichiarazioni hanno dato un contributo importante allo svolgimento delle indagini sulla consorteria di cui fanno parte. A stabilirlo è stato il gup di Reggio Calabria Daniela Oliva che infliggendo comunque ai due condanne pesanti ha concesso loro lo sconto della metà della pena. Nino Lo Giudice è stato condannato a 10 anni di reclusione e Villani a 9 al termine del processo con rito abbreviato contro i presunti affiliati al clan. Oltre a loro sono stati condannati altri cinque imputati a pene variabili dai 10 ai 5 anni di reclusione, ed il gup ha ammesso cinque patteggiamenti a due anni di reclusione. Tra le persone condanne figura anche la moglie di Luciano Lo Giudice, fratello di Nino ed anche lui al vertice della cosca. Al momento della lettura del dispositivo da parte del gup, dalle gabbie degli imputati si sono levate grida ed urla di minacce. Nino Lo Giudice e Villani, collegati in videoconferenza, invece, hanno ascoltato la lettura in silenzio senza fare commenti. Luciano Lo Giudice è attualmente imputato in un processo con rito ordinario insieme al capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi ed altre 10 persone. Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone (al centro) Oppido Mamertina. Arrestati due rumeni armati di sega Taglio selvaggio di ulivi nella “Valle del Marro” di DOMENICO GALATÀ OPPIDO MAMERTINA - Ancora una volta, un terreno in uso alla cooperativa “Valle del Marro” finisce nel mirino dei malviventi. Nel giugno scorso un incendio appiccato da ignoti aveva mandato in fumo sette ettari di oliveto, questa volta invece, gli alberi non sono stati bruciati ma tagliati e gli autori del danneggiamento hanno un nome. I Carabinieri della Compagnia di Palmi, infatti, ieri mattina hanno arrestato in flagranza di reato tre cittadini rumeni, Adalbert Lengyel, di 44anni, Cosmin Aron Viorel, di 30 anni e Felician Boncut Verice di 40anni, mentre, tutti e tre armati di sega a motore, tagliavano e sezionavano numerosi alberi d'olivo che da secoli dimorano in un fondo agricolo situato nella frazione Castellace del Comune di Oppido Mamertina, confiscato sul finire degli anni '90 alla cosca Mammoliti. Gli arresti sono avvenuti nell'ambito dei servizi di controllo del territorio pianificati dal Comando Provinciale di Reggio Calabria tesi a contrastare i ripetuti danneggiamenti dei terreni agricoli nella zona. Dal sopralluogo eseguito dai militari dell'Arma, è subito emersa la gravità dell'azione prodotta dai tre malfattori, i quali avevano letteralmente raso al suolo e sezionato, circa 200 alberi d'olivo secolari. Un'azione che i tre rumeni probabilmente avevano iniziato già da qualche giorno. A lasciarlo supporre il fatto che buona parte della legna era già stata portata via dal fondo. Non è da escludere nemmeno che i tre possano avere avuto la complicità di altri soggetti. Su questa ipotesi, e su altre piste, si stanno concentrando le indagini dei militari della Compagnia di Palmi diretti dal Capitano Maurizio De Angelis. Resta da capire se i tre rumeni abbiano intrapreso di propria iniziativa l'azione criminosa, o se alle loro spalle possa esserci qualcuno che li abbia “incaricati” di abbattere gli ulivi. Dopo essere stati identificati, i tre sono stati portati presso la Stazione dei Carabinieri di Oppido Mamertina e dichiarati in arresto. L'accusa è di concorso in danneggiamento e furto aggravato. «Così è certamente difficile andare avanti - è stato il commento a caldo del vice presidente della cooperativa, Domenico Fazzari - la situazione è diventata pesante, quasi uno stillicidio, ma noi proseguiremo nella nostra opera di riscatto del territorio fondata sul lavoro». Una vecchia foto di gruppo scattata sotto un albero di ulivo della Cooperativa Lamezia. Trentunenne di Soriano sorpreso alla stazione ferroviaria dalla polizia municipale Accompagnava prostitute, denunciato di PASQUALINO RETTURA LAMEZIA TERME - Quel continuo via vai non è passato inosservato alla polizia municipale di Lamezia. Gli agenti, in servizio alla stazione ferroviaria centrale, notavano spesso un uomo attendere donne alla stazione che, una volta arrivate in treno, salivano in macchina con destinazione il litorale lametino. Alla fine i sospetti del nucleo di polizia giudiziaria della municipale lametina cominciavano ad essere sempre più forti fino a quando venivano disposti servizi di appostamento e peUna prostituta al lavoro dinamento. E così, ben presto gli agenti della polizia municipale riuscivano a scoprire i motivi di quelle continue trasferte di un cittadino abitante nel comune di Soriano, I. P.E. di 31 anni, denunciato per favoreggiamento alla prostituzione di due lucciole appena sbarcate alla stazione centrale di Sant'Eufemia Lamezia. Secondo quando sarebbe emerso nel corso degli appositi servizi di appostamento e pedinamento, il trentunenne di Soriano, dopo aver atteso pazientemente alla stazione di Sant' Eufemia le due donne, li avrebbe caricate sull'auto dirigendosi verso un vicino supermercato. E qui i sospetti sono aumentati poichè gli agenti hanno scoperto che le due donne uscivano dal supermercato con numerose buste della spesa. Ad attenderli l'uomo di Soriano che dopo aver nuovamente caricato sull'auto le due donne e la spe- sa, li accompagnava presso un'abitazione, presumibilmente di Falerna, che evidentemente era destinata a casa di piacere. Tutti movimenti non sfuggiti agli agenti che a quel punto decidevano di agire istituendo un posto di controllo. Alla vista degli agenti, l'auto con a bordo il trentunenne e le due donne, nonostante una repentina inversione di marcia del conducente avvenuta nei pressi del posto di blocco, veniva fermata da un'auto civetta e sottoposta ai controlli rituali. All'esito degli accertamenti, venivano trovati e sequestrati sei telefonini in uso ai protagonisti della vicenda utilizzati prevalentemente per i contatti con i clienti. Circostante che non esclude eventuali altri sviluppi, mentre il trentunenne di Soriano non si risparmiava la denuncia per favoreggiamento della prostituzione. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 10 Calabria 16 Reggio Giovedì 2 febbraio 2012 Reggio 17 Giovedì 2 febbraio 2012 Punto di svolta nelle ultime indagini Si è aperta la tre giorni del Museo della ’ndrangheta Alleanze nell’ombra studiosi alla ricerca della terra di confine Spazio opaco dell’illegalità Per il procuratore capo Pignatone la “zona grigia” è essenziale per la vita delle organizzazioni mafiose di DOMENICO GRILLONE morali che non sono di competenza dei giudici”. Altro esempio sono le indagini di “pura mafia militare” da cui poi emergono strane commistioni e comportamenti illeciti di persone appartenenti appunto all'area grigia. Dalle indagini sulla cosca Pelle emergono riferimenti a politici che vanno a chiedere i voti, e poi medici che stilano certificati falsi, e la figura del commercialista Zumbo, fiduciario dei servizi segreti militari, “arrestato perché rivela notizie segrete al capomafia”. E poi le indagini sulla cosca Tegano, nata per la ricerca di un latitante e che poi rivela i “rapporti perversi” con una impresa che ha l'appalto della pulizia dei vagoni ferroviari. Pignatone cita anche la recente vicenda della Multiservizi e l'arresto del direttore Giuseppe Richichi, “un vero uomo della cosca”. svelata grazie anche al collaboratore di giustizia Moio. Insomma un mondo variegato di “relazioni esterne” che mette a nudo i rapporti tra le categorie più volte citate dal procuratore Pignatone con la ndrangheta. E la presenza della Commissione d'accesso al Comune di Reggio rappresenta l'ultima di una serie innumerevoli di prove di questa strana e perversa relazione tra colletti bianchi e criminalità organizzata calabrese. A Reggio Calabria si è aperta la tre giorni di dibattito promossa dal Museo della ‘ndrangheta sui temi della legalità e della “zona grigia”. I seminari sono stati tenuti da esperti e da magistrati impegnati nella lotta al crimine come il procuratore capo Giuseppe Pignatone (ph Sapone) | LA POLEMICA | Studiosi a confronto sui reati legati ai “colletti bianchi” La Camera all’attacco per difendere il Museo REGGIO CALABRIA - “Noi del Museo siamo stati attaccati come mai era successo nei nostri 4 anni d'attività. Ci è stato detto che facciamo cose inutili con grande incompetenza e con grande dispendio di risorse”. Una vena polemica, quella del coordinatore del Museo della ndrangheta, Claudio La Camera, nel corso del suo intervento all'auditorium Calipari del Consiglio re- gionale. Ma solo per chiarire quanto successo nei mesi scorsi durante la prima parte del convegno. “E' stato detto che non bisogna parlare di ndrangheta, che bisogna parlare solo delle cose belle di questo territorio. Noi abbiamo sempre cercato la partecipazione condivisa di tutte le componenti della società civile, politica e religiosa. perché il contrasto alle mafie ha bisogno di un territorio condiviso di intenti e di iniziative”. “Quando è nato il progetto del Museo - ha aggiunto La Camera c'è stata forse per la prima volta in questa città una comunione di intenti che andava oltre i contrasti politici. Oggi probabilmente c'è una maggiore conflittualità e si tenta di delegittimare il nostro lavoro”. Il coordinatore del Museo continua elencando tutta una serie di domande circolate più o meno pubblicamente in questo ultimo periodo. domande del tipo: “Ma chissà cosa vogliono fare questi che si mettono a parlare di area grigia. Pensano che hanno scoperto qualcosa? Che cosa vogliono dimostrare? Vogliono fare il santuario dell'antimafia? Vogliono farsi strumentalizzare da questa o quella parte politica?” “Noi rispondiamo con i fatti - evidenzia La Camera - e soprattutto non ci facciamo strumentalizzare né dalla politica né dai comitati d'affari. Dico questo non per rispondere ai diversi attacchi ma perché questa conflittualità che cancella ogni forma di dialettica nella nostra realtà è, a mio avviso, un tema centrale della cosiddetta zona grigia”. Messa da parte la foga polemica, La Camera ha poi, tra l'altro, spiegato gli obiettivi del Museo. Che è quello di “costruire la possibilità di conoscere, rendere visibile il fenomeno ndrangheta. Nei prossimi mesi arriveremo alla fase centrale del nostro lavoro perché tutte le nostre energie saranno dirette verso la costruzione dell'area museale. E se forze oscure non ci impediranno di concludere questa fase riusciremo a progetto ultimato ad avere la prima strutturadi livelloscientifico al sud dell'Italia. Perchè i progetti che la Fondazione Falcone e la Regione Sicilia stanno portando avanti forse arriveranno alla conclusione tra un paio d'anni”. Conclusa questa fase, i ragazzi del quartiere in cui è stato sequestrato il bene mafioso e diventato poi museo lavoreranno all'interno ed eviteranno di cadere nella trappola mafiosa. d.g. Claudio La Camera Il mercato della corruzione ha un codice ben preciso di ROBERTA PINO REGGIO CALABRIA - Con il tema “La dimensione criminale dell'area grigia e i reati dei colletti bianchi”, si apre la sessione pomeridiana del convegno voluto, per il secondo anno consecutivo, dal Museo della 'ndrangheta della città dello Stretto. “La ferita. L'area grigia della 'ndrangheta” è a Palazzo Campanella, sala Calipari, dove personalità di assoluto spessore socioculturale affrontano il fenomeno mafioso in termini meno generalisti, “proponendo un convegno tematico con la prospettiva di coniugare sempre gli aspetti di analisi con quelli riguardanti le politiche e le attività di contrasto”. Rocco Sciarrone, docente all'Università della Calabria e moderatore dell'incontro, introduce due studiosi di campi disciplinari diversi, “ma complementari”. Un dialogo tra discipline differenti che si incrociano per analizzare il medesimo fenomeno criminoso, di cui oggi si parla con sempre maggiore insistenza, che rientra in quella fascia intermedia definita dagli esperti “area grigia”. Docente di Scienze Politiche al- l'Università di Pisa, Alberto Vannucci è uno dei massimi esperti di corruzione del nostro paese. Lo studioso spiega come tale fenomeno in Italia si sia radicato in profondità, divenendo sistemico. “Il mercato della corruzione commenta - non è caotico, ma in esso vigono codici di comportamento che disciplinano la condotta dei partners affidabili, stabilendo le norme per il pagamento della tangente e il profitto atteso, provvedendo a emarginare gli onesti e i dissenzienti, che non si sottomettono alla legge dei corrotti”. Una serie di slides evidenziano, poi, come la rete di corruzione sistemica metta in atto uno scambio corrotto “complesso”, in cui gli attori principali sono le organizzazioni mafiose. Vannucci, ricorda, infine, una ricerca sui finanziamenti politici illegali condotta in Colombia, Brasile, Russia e Italia, rilevando il “paradosso italiano, per cui mentre negli altri paesi i flussi più consistenti mirano a sovvenzionare la carriera dei politici, in Italia, questi flussi hanno dinamiche diverse, sono i politici a pagare le organizzazioni criminali”. Decisamente più normativo è l'intervento di Giovanni Fianda- ca, ordinario di Diritto Penale all'Università di Palermo. “Rispetto aireati commessidai colletti bianchi - spiega il giurista - non c'è una percezione sociale che li ritenga tali. Il concetto di area grigia, contiguo alle organizzazioni criminali, è piuttosto sfuggente per il diritto penale che individua la figura di concorso esterno, oggetto di ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale”. L'esperto, ricordando che il concorso esterno ha radici ben lontane nel tempo, si sofferma sul “paradigma causale” e cioè afferma che, “risponde di concorso esterno chi, pur non essendo organicamente collegato, apporta un contributo causalmente rilevante al rafforzamento dell'organizzazione criminale”. Rileva, dunque, il problema della configurabilità e della portata della fattispecie nei reati associativi, propone, piuttosto, “forme di intervento penale più efficaci e, soprattutto, azioni di formazione civica”. | I ragazzi che hanno partecipato al dibattito ne hanno messo in risalto i limiti più evidenti «Un linguaggio troppo lontano dal nostro» Gli argomenti troppo tecnici non hanno avuto presa sugli studenti presenti in aula REGGIO CALABRIA - Tavola rotonda per discutere su “La dimensione criminale dell'area grigia e i reati dei colletti bianchi”, coordinata da Rocco Sciarrone. Il dibattito si concentra sulla definizione di “area grigia”e Costantino Visconti, professore di Diritto Penale all'Università di Palermo, cita, a tal proposito, una sentenza del 1928 in cui, giudici reggini “condannano per concorso esterno due sindaci di comuni calabresi per aver operato con un piede nella caserma e uno nella mafia..”. Un'ambiguità, dunque, che connatura la zona grigia già ai tempi del codice penale Zanardelli. Difficoltà, poi, a tipizzare la figura del concorso esterno applicata per i reati di corruzione, concetto ripreso da Fulvio Rizzo, sostituto presso la Procura Generale di Reggio Calabria. Alla presenza del Procuratore Capo, Giuseppe Pignatone e del magistrato Michele Prestipino, è intervenuto Alessandro Calì, ex presidente dell'Ordine degli Ingegneri di Palermo, vittima di molte intimidazioniper averespulsoilre dellasanità siciliana, Michele Aiello, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Sostenitore di una condotta morale “specchiata”per gli appartenenti agliordini professionali,Calì racconta la sua storia nel libro “DisOrdini”, in cui “delinea proposte concrete per delle possibili riforme”. Gli studenti degli istituti Piria, Campanella, Vinci e Magistrale ascoltano con interesse il dibattito proposto dal Museo della 'ndrangheta. Un ascolto partecipato che subisce, però, dei cali vertiginosi. Alcuni di loro, infatti, sottolineando l'importanza dell'argomento, di cui si sentono investiti soprattutto quando si recano in altri paesi del nord Italia e all'estero, dove scontano “l'etichetta di mafiosi perché calabresi”, rilevano anche il disagio di assistere ad un dibattito manifestato con un “linguaggio troppo lontano dalla realtà di studenti”. Tecnicismi esagerati e poco coinvolgimento nei loro confronti da parte dei relatori, è la critica espressa, nella speranza che gli altri due giorni del convegno “si presti una maggiore attenzione anche alle generazioni future”. r.p. Per i tecnici «Il concetto è piuttosto sfuggente alla legge» L’INIZIATIVA | Storie e testimonianze contro le mafie Consegnate agli studenti le borse di studio della Fondazione Filianoti SI è tenuta nel quarto anniversario dell'uccisione dell'imprenditore reggino Giovanni Filianoti, l’iniziativa della Fondazione a lui dedicata e diretta dalla figlia Natalia presso il teatro Siracusa. Il dibattito è stato coordinato da Giusva Branca e Raffaele Mortelliti. In platea gli studenti delle scuole superiori per un incontro che ha voluto diventare un puzzle di storie con un unico denominatore: la lotta alle mafie. E’ stata Natalia a raccontare la storia del suo papà, Giovanni Filianoti, ucciso ucciso davanti casa con 7 colpi di pistola il primo febbraio del 2008. Ed ancora tante le storie: quella di Rita Atria, la ragazza di Por- I ragazzi presenti in sala tanna ripudiata dalla mamma perché testimone di giustizia: storia riportata al Siracusa da Nadia Furnari, fondatrice dell'Associazione Rita Atria. Poi una storia reggina: quella di Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino che ha denunciato il racket e la cui vicenda è stata ricostruita da Daniela Pellicanònel suo libro “Colpito” . Anna Maria Scarfò, stuprata a tredici anni dal branco, che dice ai ragazzi in sala: «Voglio ricominciare». Quindi Fabio Regolo, magistrato del Tribunale di Vibo. che stimola i ragazzi ad assumersi delle responsabilità. A seguire Gianni Trudu, psicologo e presidente della Cooperati- va Sociale “Centro Giovanile” dedicata a Don Italo Calabrò. “Fuggire per sfuggire, senza scappare”: il titolo diventa sostanza nelle testimonianze che ieri sono state portate, vive come le persone che le hanno vissute, ai giovani reggini. Per dire loro che devono combattere. Che non devono soccombere, o peggio far finta di non vedere e non sentire. Le Borse di studio della Fondazione vogliono lanciare questo messaggio. Gli elaborati sul tema della lotta alle mafie delle scuole superiori sono stati quindi premiati da Natalia Filianoti. «Un premio alla cultura della legalità - ha detto per una speranza in un domani L’iniziativa della Fondazione Filianoti al Siracusa diverso». Grande e sentito il coinvolgimento dei ragazzi presenti al Siracusa. tanti. Attenti. A bere ogni singola parola di quei coraggiosi testimoni di come, nella quotidianità, e senza finti eroismi, ma con autentica forza, si possa andare contro il crimine, la mentalità mafiosa, le piccole e grandi ingiustizie di chi prevarica contro ogni regola e contro la legge. La Fondazione Filianoti è riuscita davvero a toccare il cuore di chi oggi e domani dovrà combattere questa battaglia. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro REGGIO CALABRIA - “Lo spazio opaco fra legale ed illegale in cui si realizzano relazioni di collusione e complicità con la mafia”. E' la definizione della cosiddetta area grigia con la quale il procuratore Giuseppe Pignatone ha avviato ieri, nel corso del suo intervento nell'ambito della prima giornata del convegno organizzato sullo stesso tema dal Museo della ndrangheta, una serie di riflessioni dal punto di vista di chi conduce le indagini. Una sorta di “lectio magistralis” condotta dal procuratore con grande professionalità e dovizia di particolari per connotare meglio, quindi, l'area grigia che rappresenta una delle caratteristiche essenziali delle mafie, “una delle ragioni essenziali della loro forza”. Una premessa, avvalorata da una serie di citazioni di studiosi, sociologi ma anche mafiosi, risalenti addirittura all'800, per confermare un distorto complesso relazionale che affonda le sue radici ben 150 anni addietro. Ancora più interessante è stato, per il folto pubblico dell'auditorium Nicola Calipari del Consiglio regionale, la ricostruzione da parte del procuratore degli ultimi 4 anni del proprio lavoro. Nessun “grande vecchio” dietro la mafia, così come si è pensato per lungo tempo nei riguardi del terrorismo. “La situazione è più complicata, non bisogna crearsi quelli che poi diventano alibi alla propria incapacità”. Subito dopo la sintesi dei risultati delle indagini degli ultimi 4 anni di indagini “sulle relazioni esterne della ndrangheta” svolte dalla Procura reggina. Decine e decine di persone, appartenenti alle quattro categorie classiche, imprenditori, professionisti, pubblici funzionari, politici, alcune già condannate ed altre in attesa di giudizio per situazioni in cui sono comunque emerse “tutte le possibili fattispecie già delineate in giurisprudenza”. Il calcolo di convenienza è il “leit motiv” che lega le categorie citate alla ndrangheta. E gli esempi sono veramente tanti. Dalla impresa che scarica i “costi” della ndrangheta sulla collettività, vedasi l'inchiesta “Bellu lavuru” con la galleria crollata a Palizzi, ai diversi casi documentati dalle recenti indagini. Architetti, medici, professori, commercialisti, magistrati, funzionari pubblici, e perfino alcuni sindacalisti, “Non c'è una fetta della società che è vergine - ha sottolineato Pignatone - il rischio di contagio è presente in ogni categoria. La stragrande maggioranza è fatta da persone perbene ma bisogna distinguere il grano dall'olio”. Non sono da meno le relazioni pericolose tra ndrangheta, politici ed amministratori locali. “Legami che non esisterebbero o sarebbero poco rilevanti se tutto si riducesse al rapporto con una cosca di 40 o 50 persone. Ed invece proprio l'unitarietà della ndrangheta ci fa capire che questa organizzazione controlla migliaia di voti e persone che occupano posti strategici della società. Molti accettano di entrare in contatto con la ndrangheta, altri addirittura il contatto lo cercano”. Per scoprire queste collusioni per Pignatone occorre partire dal basso, “cioè dai mafiosi per avere innanzitutto una chiara comprensione della struttura interna e poi bisogna risalire alle contiguità ed alle collusioni evitando giudizi REGGIO CALABRIA - Sul tema mondo delle professioni e via didell'area grigia non c'è alcuna cendo”. Il professore Fulvio Librandi improvvisazione. Al contrario, oltre alle evidenze giudiziarie dell'Università della Calabria e esiste un'attività di ricerca dura- membro del comitato scientifico ta anni e poi sfociata in un volu- del Museo si è invece soffermato me di 500 pagine dal titolo “Al- sul significato della parola Museo affiancato al termine ndranleanze nell'ombra”. Ad affermarlo è stato Rocco gheta e che negli ultimi tempi ha Sciarrone, curatore dello stesso destato qualche polemica. “L'evolume, professore dell'Univer- spressione Museo della ndransità di Torino e membro del co- gheta è molto aspra e contradmitato scientifico del Museo del- dittoria - ammette Librandi - ma la ndrangheta. A lui è toccato in- pur mettendo in conto tutte le trodurre ieri il tema del conve- contrarietà che avrebbe suscitagno partendo dalla sua defini- to, ci era sembrata una buona zione per poi approfondire vari chiave, anche provocatoria, per affrontare in modo spiazzante, e aspetti. “L'obiettivo è fare luce su un'a- comunque in una nuova prorea, quella grigia, difficile da de- spettiva, un problema di per se finire e delimitare. e poi entrare molto aspro”. Una sorta di premessa per dire in quest'area per vedere il tipo di attori che si muovono in questa che il Museo della ndrangheta “è terra di confine. Occorre cercare pensato come un museo del predi capire com'è articolata, come sente e si propone di sottrarre infunziona e come si riproduce”. formazione dal flusso caotico Una delle convinzioni dei ricer- della contemporaneità per farle catori e degli studiosi sulle ma- diventare oggetto di discussiofie, afferma Sciarrone, è che ne”. Per Librandi il fine del Mu“proprio nell'area grigia biso- seo “è la costruzione di un linguaggio e di una gna rintracciare pedagogia nuoi meccanismi di vi nella forma e riproduzione nei contenuti. Il delle mafie e cosenso dovrebbe me contrastarrisiedere nella li”. possibilità di “La forza delle mettere in quemafie sta fuori le stione fin dalle mafie - dice ancopremesse alcune ra Sciarrone - e categorie conforse sta proprio cettuali che si soin questa area no solidificate in grigia dove ampi strati della prendono forma popolazione, e rapporti di collunon solo in Calasione e complicibria, e che rendotà e dove si muono deboli ed advono attori didirittura ineffiversi dai mafiocaci tutte le strasi, differenti per Un carabiniere in servizio tegie di contracompetenza, risorse, e anche per interessi e per sto culturali”. Insomma un tenruoli sociali”. Soggetti diversi, tativo “per decostruire alcune imprenditori, liberi professioni- immagini che abbiamo memosti, politici, dirigenti e funziona- rizzato”. L'aspetto importante del Muri della pubblica amministrazione, “ma anche soggetti delle isti- seo è comunque la possibile portuzioni, delle forze del'Ordine e tata pedagogica. “Si avverte difdelle agenzie di contrasto per fusamente l'esigenza di un prouna area grigia dalla grande getto che arrivi dal mondo della pervasività che tende a cattura- cultura, che arrivi qualche indire soggetti appartenenti a sfere cazione per tentare di incidere sull'immaginario collettivo. E diverse”. Si tratta di rapporti di dipen- lavorare esplicitamente sul lidenza molto complicati, spiega vello culturale comporta la fatiSciarrone, una sorta di mutuo ca di immaginare strumenti pesoccorso, una sorta di scambio dagogici nuovi per contrastare con segni di tipo diverso e “reci- alcune strategie educative familiari e non solo per persone che procamente vantaggiosi”. Riduttivo e fuorviante parlare vivono in contesti di ndranghedi infiltrazioni della ndranghe- ta. Oppure, per esempio, pensata nell'economia locale. “Vi sono re a quale linguaggio utilizzare delle situazioni emerse in recen- in una classe dove una parte di ti indagini in cui più che di infil- alunni vive in situazioni di trazioni occorre parlare di com- ndrangheta ed ai quali dire che penetrazione. Una situazione, la mafia è il male, oltre ad essere quindi, molto più pericolosa che pericolosa ed inutile”. vale poi per il potere politico, il d.g. 18 Reggio Giovedì 2 febbraio 2012 Reggio 19 Giovedì 2 febbraio 2012 Le intercettazioni di Giovanni Zumbo in carcere Per il commercialista, Roccella s’inventò l’informativa sui Serraino «Di certe cose non parlerò» L’ombra dei depistaggi nell’inchiesta sulla stagione delle bombe a Reggio Alla moglie che gli chiede di dire tutto quello che sa la talpa risponde: «Certi argomenti non posso toccarli» di GIUSEPPE BALDESSARRO bo del fatto che era stato preso dalle telecamere piazzate davanti alla casa di Pelle «lui è venuta da me e mi ha detto che mi avevano visto e che sapevano tutto». Il nome della persona in questione non viene pronunciata, ma scritta e la Toscano esclama «lui». E l’uomo che sa della telecamera ma che «però si spaventava in procura da quel momento è scomparso...». Ed è la stessa persona che aveva detto a Zumbo che avrebbe cancellato le sue immagini «perchè lui ha detto che li cancellava...». Invece la tala finisce in carcere e nonostante le pressioni della moglie che gli chiede di raccontare la verità, risponde: «.. devi capire che se io sono qua dentro è perchè pure non voglio mettere in mezzo determinate persone e du mi dici (incomprensibile) cioè se nò la dico (incomprensibile) perchè mi hai portato con questo ... allora stai pensando male di me... omissis...». Nella sostanza Zumbo viene mandato a casa di Pelle per fare la spiata delle inchieste delle Dda di Reggio e Milano, da personaggi legati alle istituzioni. Non sa che fuori dalla casa ci sono le telecamere. Viene avvertito dopo da uno dei suoi “amici” che gli promette di cancellare i video, ma che poi gli rivela che i magistrati Si conferma la tesi sostenuta da Lo Giudice che invece si autoaccusò hanno scoperto tutto. Per settimane, fino all’arresto, Zumbo non sa bene cosa fare. Si convince soltanto di essere stato vittima di uno scontro interno al Ros. Tanta di contattare qualcuno dei suoi interlocutori dei servizi segreti ma non soltanto. Non è chiaro se riesce nell’intento, ma di certo c’è che gli arriva una promessa. L’impegno è di provvedere alla moglie e ai figli. In cambio del silenzio. Deve tacere, almeno per una parte delle cose che sa. Dice alla moglie che ha intenzione di presentarsi al processo (aveva saltato la prima udienza) e che in quella sede intende difendersi perchè contro di lui «sono state dette un sacco di porcherie». Un nome però gli sfugge in carcere. Riferendosi ad un episodio in particolare Zumbo si difende: «Quella cosa che ti ho fatto vedere, era solo esclusivamente per una questione proprio di affetto che mi lega a Giorgio, basta! Niente di più! Te lo giuro sui bambini!». L’uomo continua a dire alla moglie che forse delle «responsabilità le ha», ma che lui stava lavorando per lo Stato. «Non era gente qualsiasi». Nella lunga conversazione la donna tenta di portarlo a dire tutto quello che sa, ma per lui non è possibile «si smuoverebbe troppo». | L’INTERCETTAZIONE | «A lui lo hanno buttato nel cestino mentre altri prendono gli encomi» IL PRIMO ottobre del 2011, Francesca avendola aiutata teoricamente, e poi lui Toscano, ha uno sfogo con il cognato è stato arrestato, quindi teoricamente è Roberto Emo, durante il quale spiega coperto». La Toscano è arrabbiatissima e scariche lei ha fatto tutto quello che poteva per tentare di tirare fuori il marito Gio- ca il suo rancore contro il marito sul covanni Zumbo fuori dal carcere. Lo sfo- gnato: «Io con chi mi sono sposata? con ga nasca probabilmente dopo una lite uno consapevole che faceva ste cose!.. con i suoceri, ma viene ritenuto impor- perchè giocava, ha sempre giocato con tante dagli investigatori perchè con- due mazzi di carte ... faceva il grande con gli ‘ndranghetisti e ferma le intercettazioni po spifferava tutto ... tutfatte in carcere. to sui giornali no? QuinDice la Toscano: «Perdi, non pensare che tutta chè lui, ancora, sai che dila ‘ndrangheta è con lui.. scorsi fa? Fino a due c’è gente che in carcere, giorni fa? “Ah ma io non ho saputo, si gira dall’alposso parlare perchè io... tra parte ... tu lo sai che è farei la figura ... cosa stato messo in isolamenscriverebbero i giornali? to qua, no? E perchè non Che io sono un infame?”. si preoccupa di questi Giovanni il concetto di fatti? che sono più iminfame, gli ho detto io, portanti». perchè mi sembra che tu ma cìè di più. Perchè la ancora hai.. l’infame è Toscano rinfaccia al coquando tu attribuisci il gnato anche dell’altro e, fatto a una persona che nel farlo, fornisce altri ...», E aggiunge: «Quel Francesca Toscano dettagli agli investigatoconcetto di infame deriva dalla mentalità deviata che ancora si ri. Zumbo faceva anche uso di droga. porta dietro Giovanni ... omissis .. Tu Cocaina per l’esattezza. La donna rivela sai benissimo che, per quanto la verità due cose essenzialmente. La prima è rela sa solo lui, lui è stato utilizzato e poi lativamente al fatto che «in casa c’erano gettato nel cestino dell’immondizia. tutte quelle armi». quindi la donna agQuindi praticamente, è lui che ha il col- giunge che dopo l’arresto del marito ha tello dalla parte del manico e ancora trovato qualcosa nel negozio: «Dopo non l’ha capito! E io cerco di spiegar- che lo hanno arrestato, quello che ho glielo in tutti i modi, perchè non è par- trovato la dentro.. in negozio .. nascolare, diventare pentito o confessare o sto ... cioè .. io so un sacco di cose». Ed è chissà che cosa .. ma lui, che sa la verità, così che secondo quanto dice Emo il coinvece di farsi la galera al posto di quelli gnato: «continuava a sniffare e contiche invece si prendono le onoreficenze nuava a spacciare». Dichiarazioni che .. si, ma io non parlo della ‘ndrangheta, vanno ad arricchire il quadro su Zumperchè con la ‘ndrangheta, per certi bo, me che lo inguaiano anche ulteriorversi, lui è coperto ,,, nel senso che, mente. La Fiat Marea fatta trovare da Zumbo il giorno della visita di Napolitano | NELLE CARTE | Il mistero delle quote di Parco Caserta Gli impianti di Parco Caserta GIOVANNI ZUMBO e il cognato Roberto Emo, avevano alcune quote della società “Paidea sportiva dilettantistica srl”, che gestisce il Centro sportivo di Parco Caserta. Le quote societarie formalmente sono intestate per il 70% a Giacomo Giuseppe Calabrò, e per il restante 30% per metà a Roberto Emo e per l’altra metà a Francesco Toscano, moglie di Zumbo. Gli investigatori ipotizzano che in realtà la Toscano altri non fosse che un’intestataria di quote che in realtà erano del marito. Una circostanza che sarebbe affiorata grazie a delle intercettazioni dove la donna si lamenta del fatto che la parte degli introiti in- vece di essergli consegnata, viene intascata dal padre del marito. Le cose in famiglia non vanno bene tra i due coniugi soprattutto dopo l’arresto di Giovanni Zumbo. Per questo Emo in colloquio in carcere con il cognato e con la moglie Porzia Zumbo (i coniugi verranno arrestati nell’ambito dell’inchiesta Astrea) invita Zumbo a chiedere alla Toscano di cedere le proprie quote in maniera tale che uno dei due possa intestarsele. In aria tra l’altro c’è anche una «separazione simulata tra i coniugi Zumbo», ed Emo invita il cognato ad estromettere la moglie Toscano dalla società. | I rilievi del Ris davanti alla Procura generale dopo la bomba del 3 gennaio 2010 tanzaro. Furono gli spioni, le gole profonde, a mettere la pulce sbagliata nell’orecchio giusto. Ufficialmente vengono definite “fonti riservate”, e vi si fece ricorso poche ore dopo l’esplosione davanti al portone della Procura generale del 3 gennaio 2010. Agli atti ci sono tre diverse relazioni di servizio dei carabinieri che parlano di notizie fornite dagli informatori. Sono datate 5 e 6 gennaio, pochi giorni dopo l’attentato. Una di queste è firmata dall’appuntato Roberto Roccella. E’ un nome noto perchè si tratta del carabiniere che era in contatto con Giovanni Zumbo, lo spione che frequentava casa Pelle per informare i boss delle indagini che la Dda di Reggio e Milano conduceva contro di loro. Per Roccella fu sempre Zumbo ad organizzare la messa in scena dell’auto imbottita di armi ed esplosivo, fatta trovare sulla strada del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a fine gennaio. Zumbo (la fonte confidenziale), secondo quanto scrisse all’epoca il carabiniere riferì che «la matrice fatta ai I TANTI SILENZI danni della Procura generale è riconducibile a “Mico Serraino”, con il benestare della famiglia Ficara-Latella». Co il pentimento di Nino Lo Giudice sorge il dubbio che si tratti di una polpetta avvelenata, evidentemente, che fa il paio con altre due di analogo stampo. La prima dice che sono Stati i Serraino per «fare ricambiare un favore a gente di Melito Porto Salvo» e che la Bomba era stata preparata da «Antonino Barbaro». La Seconda è ancor più dettagliata e sui nomi dei presunti autori e oltre a Barbaro spuntano quelli di Ivan Nava e Nicola Pitasi». Veleni, sembrerebbe, di “fonti” che misero gli investigatori sulla cattiva strada. Una tesi quella del depistaggio che troverebbe conferma anche nelle intercettazioni di Zumbo. Il quale parlando con la moglie afferma di non sapere nulla di quella informativa e che Roccella si invento tutto. Dando così ragione a Nino Lo Giudice ed avvalorando la tesi secondo cui dietro la strategia della tensione non vi fossero i Serraino. g. bal. | Nell’interrogatorio non volle rivelare le sue fonti QUANTO gli inquirenti andarono a sentire cosa aveva da dire Giovanni Zumbo, la talpa raccontò soltanto alcune verità. O meglio le sue, e solo sulla vicenda delle armi trovate nell’auto vicino all’aeroporto il giorno della visita in città del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Su quella storia scarica tutto sul carabiniere Roccella Reggio Calabria. Ammette di aver conosciuto Marco Mancini, l’ufficiale del Sismi, ma non vuole dire altro sui suoi amici spioni. Si assume la responsabilità di avere avuto rapporti con i servizi segreti, ma non vuole riferire da chi ha saputo delle inchieste che è andò a spifferare a casa del boss San Luca, Peppe Pelle. Per il resto nega tutto, anche le telefonate avute con il carabiniere Roberto Roccella il quale «si sarebbe inventato le relazioni di servizio che lo riguardano». L’interrogatorio di Giovanni Zumbo fu quantomeno singolare. L’uomo considerato vicino ai servizi e pizzicato a svelare notizie riservate ai mafiosi delle famiglie Pelle e Ficara, disse e non disse. Singolare perchè, dopo la conclusione delle indagini nei suoi confronti era stato lui stesso a chiedere di essere interrogato. Un interrogatorio in cui poi non ha praticamente risposto a nulla, facendosi sostanzialmente un autogol in termini di strategia difensiva. Zumbo il 13 giugno scorso era stato sentito dal procuratore Giu- Si fece sentire dai magistrati per smentire il suo coinvolgimento nella vicenda delle armi trovate il giorno della visita di Napolitano seppe Pignatone e dal pm Marco Colamonici, ed è così che il suo interrogatorio è finito nelle carte del processo contro di lui. Una chiacchierata, se così si può definire, dalla quale affiorano solo pochissimi nuovi elementi ed una serie infinita di no comment. Ammise, come accennato, di essere andato a casa di Pelle su richiesta di Giovanni Ficara. In quell’occasione riferì al boss delle inchieste delle Dda di Milano e Reggio svelandone i contenuti. E tuttavia sottolinea come non intende «rivelare l’origine delle conoscenze sulle indagini di cui si è parlato a casa Pelle». Zumbo disse poi di essere massone, appartenente alla loggia “Araba fenice”, e di avere avuto rapporti con alcuni appartenenti al Sismi sia a Roma che a Reggio Calabria. Tra questi con D’Antoni e con Mancini «che scese a Reggio per incontrarmi e conoscermi». L’uomo, finito nei guai anche per la storia dell’auto imbottita di armi e esplosivo, fatta trovare il giorno della visita del Presidente Giorgio Napolitano, fornì di quella vicenda una versione quantomeno singolare. L’inchiesta si basa sul fatto che fu lui a fare la soffiata al LA SCHEDA Una serie di rogne per la talpa coinvolta in tante vicende oscure SONO tanti i procedimenti e le accuse che vengono mosse a Giovanni Zumbo. La prima rogna arriva con il procedimento Reale, nel quale viene pizzicato a fare le soffiate sulle indagini ai boss Pelle e Ficara. La seconda è l’accusa di avere organizzato la messa in scena dell’auto imbottita di esplosivo il giorno della visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Più di recente c’è poi la rogna dell’indagine “Astrea” nella quale viene indicato come uno dei prestanome di alcuni esponenti della cosca Tegano, i quali grazie a lui sarebbero riusciti ad infiltrarsi nelle quote della parte privata della società Multiservizi. Zumbo viene dunque considerato un uomo chiave in più vicende, anche in virtù dei rapporti che pare abbia avuto con alcuni esponenti istituzionali e dei servizi. carabiniere Roberto Roccella, grazie alla quale venne scoperta la Fiat Marea sul percorso presidenziale. Zumbo però nega tutto, disse di avere appreso della cosa dai giornali e persino le telefonate ricostruite tra lui e il militare erano chiamate su argomenti generici «mi chiese di qualche ristorante in cui far mangiare alcuni suoi colleghi componenti della scorta del Presidente». Per dirla in poche pa- role, dietro l’operazione, secondo Zumbo, c’era lo stesso Roberto Roccella, il carabiniere che consentì di scoprire l’arsenale. Una versione che ha dell’inverosimile, anche alla luce del fatto che su molti argomenti Zumbo non fornisce alcuna spiegazione. L’unica ammissione che fa è relativa al ritrovamento di armi da parte delle forze dell’ordine che sarebbe avvenuto per suo tramite. Della questione, per conto dei servizi si occupava D’Antona, il quale però ovviamente con lui non scendeva nei dettagli su un eventuale scambio (ricompensa) con chi faceva trovare gli arsenali. Insomma una roba piuttosto fumosa. Fatta di molti “non so”o“non ricordo”. Il tutto alla vigilia di un processo che già all’epoca annunciava non poche sorprese. In ogni caso delle due l’una, o Zumbo voleva far filtrare qualche messaggio o è stato l’estremo tentativo, peraltro goffo, di scaricare su altri alcune responsabilità. All’epoca si trattava dell’unico procedimento che lo riguardava, ora però le storie che lo riguardano diventano tante a partire dall’inchiesta “Astrea” che ha portato a scoprire possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta nella “Multiservizi”. E al centro c’è sempre lui, Zumbo il commercialista con le mani in pasta dappertutto. Da uno parte uomo ei servizi e dall’altra prestanome ei mafiosi. C’è qualcosa che non va. Ala storia manca ancora qualche tassello. g. bal. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro SA MOLTE cose. Ma non le dice. Perchè non vuole passare come «infame». E Poi anche perchè «quelli» gli hanno «promesso delle cose», per la moglie e per i figli. Nei verbali depositati nel processo “Archi-Astrea” c’è un sacco di roba. C’è la storia di Giovanni Zumbo. Lo spione finito in carcere nell’ambito dell’operazione “Crimine” avrebbe tante cose da riferire. Ma non lo farà. O meglio, forse non lo farà. Perchè è vero che ha intenzione di difendersi al processo raccontando la sua verità, ma è anche vero che «non tutto si può...». Alcune di quelle verità scomode Zumbo le ha però raccontate alla moglie, Maria Francesca Toscano durante le sue visite in carcere. La donna arrestata successivamente con l’accusa di intestazione fittizia dei beni lo andava a trovare spesso. Era anche il suo avvocato. Lo è stata nel periodo tra le manette scattate ai polsi del marito e le contestazioni che vennero fatte a lei. Mesi in cui i coniugi furono “controllati” dagli investigatori della Guardia di Finanza. Le intercettazioni spiegano così tante cose. E soprattutto restituiscono uno spaccato che definire inquietante è dir poco. Zumbo vene arrestato perchè intercettato in casa del boss Giuseppe Pelle fu scoperto a raccontare agli ‘ndranghetisti delle operazioni della Dda di Milano e Reggio Calabria. Non erano millanterie. Erano notizie di prima mano, riservate. Una volta in manette non ha mai voluto spiegare chi gli avesse dato quelle notizie, nè chi lo avesse mandato a casa Pelle, tantomeno le ragioni dell’operazione. Zumbo si chiuse infatti in un silenzio ostinato. Rassegnato a farsi il carcere. Niente nomi. E il perchè lo spiegano le intercettazioni ambientali fatte nel carcere di Opera a Milano il 29 ottobre scorso durante un colloquio di quasi due ore. La donna cerca di convincere il marito a parlare. Ma lui si rifiuta. «Io lavoravo per lo Stato». Lo Stato per Zumbo era una pluralità di soggetti. Dice alla moglie di conoscere un sacco di gente. Fa un lungo elenco a partire da Corrado D’Antoni, responsabile del Sismi a Reggio Calabria. A livello nazionale è legato a Marco Mancini, personaggio molto discusso dei Servizi segreti. Poi afferma di conoscere anche il comandate dell’epoca del Ros Valerio Giardina. Insomma lo spione si sente un uomo delle istituzioni a tutti gli effetti. Per questo quando qualcuno gli dice di andare a casa Pelle non si crea problemi: «Perchè melo ha chiesto lui di andare e io gli dicevo che non era il caso...». L’uomo spiega che vista la partita e personaggi in gioco «quindi non posso toccare determinati argomenti... perchè senno smuovo pure». Le intercettazioni sono molto frammentate anche perchè Zumbo fa leggere alla moglie un manoscritto nel quale presumibilmente si fa riferimento a fatti e circostanze precise. Ad un certo punto della discussione spunta di nuovo il nome di Mancini che si «è interrotto». Come se i contatti fossero caduti. E c’è anche un altro personaggi che non si fa più rintracciare. E l’uomo che avverte Zum- «PERCHÈ io dovrei fare un’affermazione del genere? Io cconosco la famiglia Serraino dai tempi della scuola, da quando andavo in classe di Antonio Serraino, figlio di Francesco Serraino, quando morì il suo papà io ho conosciuto tutta la famiglia, zii e cugini compresi...». Dalle intercettazioni in carcere di Giovanni Zumbo spunta la conferma a quanto già emerso nell’inchiesta nata dalle dichiara del pentito Nino Lo Giudice. Sulla storia degli attentati ai magistrati reggini ci fu un tentativo di deviare le indagini su una pista sbagliata. In carcere, parlando con la moglie Francesca Toscano, Zumbo gli racconta che lui con quella storia della soffiata sui Serraino non c’entra niente, che fu il carabiniere Roberto Roccella ad inventarsi tutto, scrivendo di suo pugno un’informativa ed attribuendo a lui le dichiarazioni che vi sono contenute. Per questo, alla luce delle intercettazioni su tutta la storia c’è puzza di depistaggi lontano un miglio. La ricostruzione nell’inchiesta sulla strategia della tensione messa in moto contro i magistrati reggini del 2010, insomma non regge più. L’indagine (che ha portato agli arresti dei Lo Giudice per le bombe alla Procura generale, alla casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro, e per i ritrovamento del bazooka indirizzato al Procuratore Giuseppe Pignatone) inizialmente partì male per colpa di alcune soffiate taroccate. Tanto che tra i primi ad essere iscritti sul registro degli indagati furono alcuni esponenti del clan Serraino. Stando alla seconda parte dell’inchiesta e alle dichiarazioni del pentito Nino Lo Giudice, i Serraino non ebbero alcun ruolo. Con le dichiarazioni di Lo Giudice si capì come si arrivò ai Serraino e chi fu a mettere sulla cattiva strada le forze dell’ordine e la magistratura di Ca- 20 Reggio Giovedì 2 febbraio 2012 Reggio 21 Giovedì 2 febbraio 2012 I vertici delle ’ndrine costituiti dai De Stefano, dai Libri e dai Condello La relazione della Dia fotografa il fenomeno criminale Tre “famiglie” storiche alla guida del “Mandamento di centro” Roma violenta ombra dei clan di GIUSEPPE BALDESSARRO Per gli investigatori è significativo l’agguato al calabrese Angelo Di Masi nel gennaio 2011 di PASQUALE VIOLI su cui pendevano denunce per droga, ricettazione ma soprattutto per associazione di stampo mafioso. La lista degli omicidi e delle intimidazioni nella Capitale è lunga, e la Dia adesso sta cercando di unire tutte le informazioni per cercare di capire se dietro la guerra in atto ci sia un'unica matrice. Intanto gli agenti dell'Antimafia nella loro relazione semestrale hanno annotato il delitto di Angelo Di Masi come "sospetto". A stringere poi il cerchio sugli affari della 'ndrangheta su Roma e nel Lazio ci sono le diverse operazioni che hanno certificato il business delle cosche nel centro Italia. La Dia riporta l'esito dell'inchiesta "Hummer" in cui è finito in manette un incensurato che per il fisco era nullatenente ma che conduceva una vita da milionario investendo, secondo l'Antimafia, i capitali della 'ndrangheta del 'clan Muto', i così detti «re del pesce», nei settori del turismo e società immobiliare. All'uomo sono stati sequestrati beni per milioni di euro tra cui una villa lussuosa con piscina nel quartiere romano dell'Infernetto e un centro sportivo a Trigoria. Il “Cafè de Paris” di via Veneto, secondo gli inquirenti riconducibile alla famiglia Alvaro della E’ quello di Archi il locale di mafia attualmente ritenuto il più autorevole Piana di Gioia Tauro, è solo, la punta di un iceberg nel panorama degli investimenti della criminalità calabrese nel Lazio. Per la Procura di Roma e la Direzione Investigativa Antimafia le famiglie calabresi da anni stanno acquistando palazzi e negozi in mezzo centro storico di Roma. E il mercato della ristorazione è quello preferito dalla 'ndrangheta per riciclare il denaro proveniente dal traffico di droga. Prima del “Cafè de Paris”, un altro storico ristorante era stato attenzionato dalla magistratura come possibile bene nelle mani della 'ndrangheta, era il ristorante “Alla Rampa”, a due passi da Piazza di Spagna. Il locale era gestito da Domenico Giorgi, alias “Berlusconi” e vicino alle famiglie di San Luca. Roma oggi è in mano alle più potenti famiglie di 'ndrangheta. Quasi tutto il potere della gente di Calabria arriva dal traffico di cocaina, ma negli ultimi anni i numeri dicono che le 'ndrine calabresi, e gli uomini della camorra, stanno reinvestendo il loro denaro nuovamente sull'eroina, in particolar modo per il mercato laziale. I proventi dei traffici illeciti vanno a convergere quasi sempre nell'immobiliare e nelle attività commerciali. Il delitto di Angelo Di Masi a Tor Tre Teste, secondo la relazione della Dia fu opera della ‘ndragheta Le infiltrazioni delle ’ndrine nella sanità regionale | Impresa e appalti pubblici fanno gola ai boss calabresi «La sanità in Calabria continua a costituire uno dei settori maggiormente esposti al condizionamento mafioso». Per la Direzione Investigativa Antimafia il comparto sanitario è uno degli obiettivi primari di interesse delle cosche calabresi. Nella relazione semestrale gli uomini della Dia scrivono chiaramente che «l'articolatosistema dicorruzionee dipenetrazione mafiosa delle strutture sanitarie calabresi ha continuato ad assumere un particolare rilievo nelle Province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza e Crotone rilevando una complessa trama di collusioni di cui potevano avvantaggiarsi alcune tra le più potenti cosche della 'ndrangheta, tra cui i Pelle di San Luca, i Mantella di Vibo Valenzia, gli Arena di Isola Capo Rizzuto e i Forastefano della Sibaritide». Le informative delle forze dell'ordine sarebbero indicative di come le cosche, attraverso prestanome e uomini insospettabili riescano a entrare nelle gare di appalto delle forniture per le strutture sanitarie pubbliche, ma come siano anche in grado di acquisire la titolarità di cliniche private attraverso canali di investimenti considerati "puliti", ma di provenienza chiaramente illecita. Significativa per la Dia anche la capacità dei boss di ricevere favori e false prestazioni da dirigenti medici e operatori del settore sanitario. Ma è in generale il pubblico che riesce a trovare facile approdo per gli interessi delle ndrine in tutto il territorio nazionale. Infatti, «la peculiarità della pressione mafiosa della 'ndran- gheta - scrive l'Antimafia nella sua relazione semestrale - è leggibile nell'inquinamento dei settori della Pubblica Amministrazione locale». Ma a preoccupare gli investigatori e le Distrettuali antimafiadimezza Italiaè«ilcrescente mimetismo dei patrimoni delle cosche attraverso prestanome e colletti bianchi al servizio delle famiglie ndranghetistiche. Oltre alle inchieste "Infinito" e "Minotauro" che hanno svelato gli affari dei boss in Lombardia e Piemonte significativa per gli investigatori della Dia è stata l'operazione "Montecity-Santa Giulia", un simbolodel riciclaggioedell'impiego delle risorse illecite nell'immobiliare attraverso la complicità di studi professionali e dirigenti del settore finanziario. Con l'inchie- sta "Montecity" sono state portate a termine perquisizioni nei confronti di oltre 53 società italiane e 16 studi professionali con sede in diverse regioni come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Campania. L'operazione ha svelato una maxievasione fiscale internazionale di oltre 100 milioni di euro. Tra legali rappresentanti e titolari delle società e degli studi perquisiti, le persone che sono state indagate sono circa 80. Tra i reati contestati, frode internazionale e riciclaggio. Fatture gonfiate e impegni di spesa, gli stessi che hanno visto le Fiamme Gialle e i Carabinieri più volte impegnati nelle strutture ospedaliere calabresi dove le ditte riconducibili ai clan fanno da padrone. p.v. Pasquale Condello la che recenti investigazioni condotte dalla Polizia di Stato hanno portato, nel mese di febbraio 2011 all’esecuzione di un provvedimento di cnfisca beni, per un valore complessivo di 7 milioni di euro. L’analisi della Dia ricorda anche l’inchiesta cha ha avuto come soggetto principale la famiglia Lo Giudice, la quale sembra essere stata la protagonista degli attentati e delle minacce nei confronti dei magistrati nel corso dell’anno 2010. La direzione investigativa ricorda inoltre tutta una serie di inchieste apparentemente di minore entità che però risultano essere molto importanti per completare il quadro complessivo della famiglie che hanno un ruolo nell’organizzazione criminale della città dello Stretto. Una mappa dettagliata del crimine reggino che, tuttavia, esattamente come avvenuto in altre aree della Provincia ha subito alcuni colpi particolarmente duri da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. Inchiesta che via via si stanno trasformando in condanne. LA SITUAZIONE IN PROVINCIA | Alleanza di ferro tra gli Alvaro e i Piromalli di FRANCESCO TIZIANO Un agente della Dia Il progetto “Macro” ha monitorato la presenza di 136 gruppi criminali Sono più di 1500 gli affiliati operativi REGGIO CALABRIA - La ‘ndrangheta non perde consenso, anzi accresce il “appeal” sul territorio. I boss sono sempre impegnati in una sorta di “campagna acquisti” prolungata e finalizzata a rimpinguare gli organici delle varie cosche di appartenenza. Così le forze dell’ordine, che da qualche anno stanno monitorantdo costantemente gli spostamenti delle organizzazioni criminali calabresi, sono convinte che in Calabria siano operanti 136 gruppi criminali che Giuseppe De Stefano «Nella zona sud della città, risulta ancora operativo il sodalizio Ficara-Latella che tuttavia nel semestre in disamina ha subito un forte intervento di contrasto investigativo con l’operazione “Reggio sud”, che ha portato all’arresto di 33 persone ritenute affiliate al sodalizio». L’attività delle forze dell’ordine ha consentito di stabilire come il gruppo fosse in realtà articolato in due gruppi: «Il primo riconducibile a tre figure di spicco della cosca, mentre il secondo è riferibile ad un giovane esponente dei Ficara, ritenuto capo locale della ‘ndrangheta di Solaro». Co l’operazione Raccordo sarebbero stati spiegati gli assetti della zona di Condera-Pietrastorta, dove la guida è affidata ad esponenti dei Crucitti dell’orbita dei De Stefano-Tegano. I Libri, storicamente egemoni nel locale di Cannavò, risultano avere delle ramificazioni su altre Locali, come emerso dall’inchiesta Testamento. «Inoltre - si legge ancora - con particolare riferimento ai Libri, si segna- potrebbero contare sul supporto fisico e logistico di circa 1527 affiliati. Il dato emerge anche dalla relazione che la Direzione investigativa antimafia ha presentato in Parlamento con riferimento all’evoluzione del fenomeno nel primo semestre del 2011. I dati riportati nelle 380 pagine consegnate ai parlamentari italiani sono tratti dai report del cosiddetto progetto “Macro”. Il progetto “Macro”, che sta per Mappe della criminalità organizzata della Direzione centrale della Poli- zia criminale, ha la funzione di tracciare “la consistenza numerica delle cosche ela lorodistribuzione sulterritorio”. Il lavoro svolto dai responsabili del progetto “Macro”, infine, dal gennaio del 2010 è stato inserito in un “processo di informatico di attualizzazione a seguito delle decisioni assunte dal Governo nell’ambito del “piano straordinario contro le mafie” approvato dal Consiglio dei ministri svoltosi a Reggio Calabria. gio.ve. Sono ancora le antiche, e storiche, 'ndrine a dominare lo scenario del “mandamento Tirrenico”. Gli 007 della Direzione investigativa antimafia dedicano un intero capitolo della relazione del primo semestre 2011 su affari e gerarchie criminali delle cosche della Piana di Gioia Tauro. L'asse più potente si sviluppa intorno ai Piromalli e agli Alvaro, i mammasantissima di Gioia Tauro e Sinopoli che dominano scenari internazionali della criminalità organizzata. La loro forza e il loro strapotere vengonoemblematicamente dipinti nell'inchiesta “Cent'anni di storia”, la maxi operazione che ha colpito alcuore i duepotentati malavitosi ed ha, soprattutto, evidenziato a caratteri cubitali come le due storiche 'ndrineviaggiavano all'unisono condividendo strategie nel nome di una tradizione secolare. Altra area geografica del “mandamento Tirrenico” ed altro cartello criminale d'elite. A Rosarno e San Ferdinando, idue puntidel triangolo del porto dei miracoli, vige la legge dei clan Pesce e Bellocco. Sono loro a dominare lo scenario, spartendosi la fetta più grossa degli affari milionari delle due cittadine. Un dominio ad ampio raggio come puntualizzano gli analisti della Dia: «Attraverso il controllo e lo sfruttamento delle attività portuali, l'infiltrazione nell'economia locale, il traffico di sostanze stupefacenti e di armi, le estorsioni e l'usura». I Pesce su un fronte, i Bellocco sull'altro: due percorsi paralleli, mai in contrapposizione, puntualmente in Le storiche ’ndrine di Sinopoli e Gioia Tauro una accanto all’altra come spiegato dall’inchiesta “Cent’anni di storia”. E a Rosarno c’è il dominio dei Pesce-Bellocco sintonia. Due cosche colpite duramente dall'intelligence di polizia, carabinieri, guardia di finanza e dallaDirezione distrettualeantimafia di Reggio Calabria che ha «attenzionato e vivisezionato» gli ambiti di potere conquistati partendo dalla roccaforte di famiglia fino ad espandersi nell'Italia del nord e nell'Europa centrale. Retate ed arresti, inchieste e sentenze: tra i tanti colpi di scure il “rapporto” del primo semestre 2011 pone l'accento sulla mazzata della confisca da 190 milioni di euro di beni, nome in codice “All Clean”, strappati dalla cassaforte del clan Pesce. Proprio sui Pesce l'antimafia reggina ha scritto una pagina signifi- cativa. La relazione della Dia rimarca come i Pesce non si limitassero a stringere in una morsa asfissiante l'economia cittadina, «dall'edilizia alla grande distribuzione alimentare, che erano sottoposte ad interferenze dirette o indirette». A questa condizione non sfuggiva, e non veniva graziato, nemmeno il mondo sportivo locale: «A Rosarno i clan erano interessati da investimenti nel settore calcistico che, se non creavano profitti, portavano sicuramente potere e consenso co- LA FAIDA DEI BOSCHI Fra lo Stilaro e il Soveratese «un’area di particolare criticità» REGGIO CALABRIA - La Vallata dello Stilaro è considerata un’area particolarmente sensibile dagli uomini della Direzione investigativa antimafia. Questo territorio, al confine fra la provincia di Reggio Calabria e quella di Catanzaro, è al centro di uno scontro sanguinario fra le organizzazioni mafiose che se ne contendono il predominio. La “faida dei boschi” è un allarme preso in seria considerazione dagli investigatori della Dia, tanto da spingerli a realizzare una mappa degli omicidi che hanno insanguinato l’area nel biennio che va dal 2009 al primo semestre del 2011. «E’ un’area - si legge nella relazione - di particolare criticità, che si pè confermata come uno dei territori più sensibili dell’intero contesto calabrese». stituendo altresì agevole stato di riciclaggio attraverso sperimentate metodiche». Nella Piana si opera ad ampio raggio, quindi. Il narcotraffico si con- ferma l'introito di gran lunga più remunerativo. Boss e picciotti, corrieri ed intermediari, broker e basisti, in Calabria e in Sud America, si arricchiscono con la droga. Fiumi di cocaina che gestivano sempre i rosarnesi, i Bellocco alleati con gli Ascone in questa specialità, come accertato dalla procura antimafia di Reggio e il Goa delle Fiamme gialle che hanno firmato l'inchiesta “Imelda”. Una retata internazionale che ha colpito il cervello dell'organizzazione criminale, che stava a Rosarno, e le basi operative e di smistamento che erano sparse tra Germania, Olanda e Belgio. In un solo colpo veniva stroncata una spedizione da 23 chili di cocaina, gestita dai “Bellocco-Ascone”con la benedizione dei padrini della droga di San Luca, e sequestrati immobili e denaro per cinque milioni di euro. A Polistena, come tradizione impone con lo scettro del comando che passa da padre in figlio, è il clan Longo a fare il bello e il cattivo tempo. Una cosca travolta dalle accuse di “Scacco Matto”. La Dia mette in risalto come si intascassero milioni di euro «con il controllo degli appalti, esercitati dalla famiglia attraverso la gestione monopolistica dell'attività di estrazione di ghiaia e pietrisco, della lavorazione e trasformazione di inerti, movimentazione terra e autotrasporti». Un'indagine, “Scacco Matto”, che squarcia il velo sugli affari dei clan di Polistena nel Basso Lazio, a Fondi, dove il mercato ortofrutticolo che serve Roma e l'intera regione Lazio era monopolizzato dalle 'ndrine reggine. Ancora loro. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro REGGIO CALABRIA - «il mercato degli stupefacenti costituisce un ambito privilegiato per la criminalità organizzata calabrese che opera nella Capitale. Dal gennaio al giugno 2011 si sono verificati episodi cruenti che hanno coinvolto soggetti con precedenti in materia di droga. Su tutti l'omicidio del 19 gennaio 2011 a Tor Tre Teste dove è stato ucciso un pregiudicato calabrese residente a Velletri». E' quanto è scritto nella relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia che di fatto certifica, qualora ce ne fosse ancora bisogno, gli interessi dei clan della 'ndrangheta nel traffico di droga su Roma, ma più di tutti sposta l'attenzione sui delitti e gli agguati che negli ultimi mesi hanno insanguinato la Capitale. Per gli uomini della Dia il delitto avvenuto all'alba del 19 gennaio 2011 nella zona di Tor Tre Teste potrebbe presentare una chiave di volta nella lettura della guerra criminale che si è scatenata a Roma. Ad essere freddato con due colpi di pistola che l'hanno raggiunto in pieno volto è stato Angelo Di Masi, da molti anni nel Lazio ma di origini di Vibo Valenzia e una sospetta vicinanza, secondo le informative della Polizia, ad ambienti contigui alla 'ndrangheta. Le modalità del suo omicidio sono state quelle classiche di una vera e propria esecuzione. Il fatto è avvenuto intorno alle 5 in via Pietro Fumaroli. Angelo Di Masi era uscito da poco dal circolo "Slot gioia" Secondo quanto emerse dalle prime indagini, l'uomo avrebbe passato la notte nella sala giochi di via Pietro Fumaroli, poi uno squillo al cellulare, Di Masi è uscito dal locale e lì è stato freddato. La Dia punta quindi la lente sui regolamenti di conti tra la 'ndrangheta e i suoi spacciatori. Tra chi sta alle regole e chi le trasgredisce. Roma è investita da una sorta di regolamento di conti ad ampio raggio, con lo spettro della 'ndrangheta che per gli investigatori è qualcosa di più di un semplice sospetto. I clan sono in difficoltà, gli arresti degli utlimi anni hanno fatto finire in carcere boss di primo piano. Ci potrebbe essere chi non rispetta più gli ordini o chi si muove in autonomia sul mercato della droga, e questo le ndrine calabresi non lo hanno mai permesso a nessuno. Le borgate oggi sono il teatro di una guerra per la supremazia e il potere. Diversi i pregiudicati gambizzati. Ad essere colpito il 10 novembre del 2011 in via di Fontanella Borghese, angolo via della Scrofa, in pieno centro storico, anche il gestore di una sala giochi. Dieci giorni dopo vengono freddati due noti pregiudicati di Ostia, Francesco Antonini, alias "Sorcanera", e Giovanni Galleoni, alias "Baficchio". A fare rumore però è l'omicidio di Roberto Ceccarelli, ucciso l'8 aprile, in via Col di Lana, davanti al Teatro delle Vittorie. Uno che secondo le informative di polizia era legato agli ambienti criminali romani di alto rango. Ceccarelli era di fatto un imprenditore, una sorta di faccendiere SONO le famiglie De Stefano, Libri e Condello quelle che la Dia indica come egemoni nella città dello Stretto. Secondo gli analisti delle Direzione investigativa antimafia l’indagine chiave che dimostra lo strapotere di tali cosche è “Meta”. «Si può dire - si legge nella relazione semestrale - che viene confermato un processo di rimodulazione dell’organizzazione mafiosa in senso piramidale, che prevede un organismo decisionale di tipo verticistico per la gestione della capillare attività estorsiva. La struttura di comando - per la Dia riconducibile al trinomio ‘ndranghetista De Stefano, Condello, Libri, è composto da un componente dei De Stefano, ritenuto vertice operativo nella gestione delle varie illeceità, investito - con l’accodo di tutti i capi dei locali - del grado di “Crimine”. Da Pasquale Condello, forte del ruolo apicale a lui comunemente riconosciuto all’interno della ‘ndrangheta, con il compito di condividere la direzione delle condotte criminose e coordinare l’azione di comando svolta da De Stefano, con il quale divide i relativi profitti illeciti. E da un esponente dei Libri, con il ruolo, altrettanto direttivo, di custode e garante delle regole». In questo contesto, l’area del mandamento di centro, che si estende da Scilla a Melito Porto salvo, inoltre risalta il ruolo predominante del locale di “Archi”, al cui vertice si collocano tre esponenti delle cosche Tegano, Condello e De Stefano. Dopo la cattura di Giovanni Tegano «la carica di capo locale di Archi, per conto dei Tegano, sarebbe stata affidata, secondo le ultime emergenze investigative, ad un giovane nipote dell’anziano capo e cognato di Orazio De Stefano». Sempre secondo quanto scritto dalla Dia nella sua relaziona semestrale Giovedì 2 febbraio 2012 A stabilirlo il gup Daniela Oliva che ha ridotto della metà la pena ai due collaboratori di giustizia «Lo Giudice e Villani credibili» Dopo le sentenze dalle “gabbie” degli altri imputati condannati urla e minacce «IL boss della ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice, capo dell’omonima cosca, ed il cugino Consolato Villani, entrambi collaboratori di giustizia, sono credibili e le loro dichiarazioni hanno dato un contributo importante allo svolgimento delle indagini sulla consorteria di cui fanno parte». A stabilirlo è stato il Gup di Reggio Calabria Daniela Oliva che infliggendo comunque ai due condanne pesanti ha concesso loro lo sconto della metà della pena reso possibile dall’articolo 8 della legge antimafia 203/91. Nino Lo Giudice è stato condannato a dieci anni di reclusione e Villani a nove al termine del processo con rito abbreviato contro i presunti affiliati al clan. Pene pesanti certo, ma che rappresentano la metà esatta di quanto avrebbero dovuto pagare se non avessero iniziato stare dalla parte dello Stato. Oltre a loro sono stati condannati altri cinque Il pentito Antonino Lo Giudice. A destra l’ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi imputati a pene variabili dai 10 ai 5 anni di reclusione, ed il Gup ha ammesso cinque patteggiamenti a due anni di reclusione. Tra le persone condanne figura anche la moglie di Luciano Lo Giudice, fratello di Nino ed anche lui al vertice della cosca. Al momento della lettura del dispositivo da parte del Gup, dalle gabbie degli imputati si sono levate grida ed urla di minacce. Nino Lo Giudice e Villani, collegati in videoconferenza, invece, hanno ascoltato la lettura in silenzio senza fare commenti. Luciano Lo Giudice è attualmente imputato in un processo con rito ordinario insieme al capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, all’imprenditore Antonino Spanò e ad altre nove persone, che ha preso le mosse dalla stessa inchiesta che ha coinvolto Nino. Quest’ultimo, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare autoaccusandosi di una serie di reati e fornendo l’organigramma della propria cosca. Antonino Lo Giudice, tra l’altro, si è autoaccusato delle bombe fatte esplodere nel 2010 alla procura generale di Reggio e davanti al portone dell’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro e dell’intimidazione fatta al procuratore Giuseppe Pignatone con il ritrovamento di un bazooka a poche centinaia di metri dalla sede della Dda. Per questi fatti, nei quali sono indagati anche Luciano ed altre due persone, procede la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, titolare dell’inchiesta in quanto competente territorialmente rispetto ai fatti che vedono coinvolti i magistrati del distretto di Reggio Calabria. L’analisi di Angela Napoli sui dati all’inaugurazione dell’anno giudiziario ATAM E PROTESTE «Oltre l’antimafia parolaia» Filardo mette in guardia e annuncia di aver pagato Per la deputata «Servono trasparenza, rigore morale e coraggio» «PARTECIPO sempre all’inaugurazione dell’Anno giudiziario presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria non solo per un doveroso riguardo alla magistratura, ma anche per conoscere lo status della lotta alla 'ndrangheta dopo l’encomiabile attività di contrasto profusa da magistrati e forze dell’ordine». Lo afferma, in una nota, la deputata Angela Napoli, di Fli, componente della Commissione antimafia. «Nessuna sorpresa – aggiunge – nell’ascoltare della 'colonizzazionè della 'ndrangheta in Lombardia. Grande amarezza, invece, nel dover prendere atto delle allarmanti cifre evidenziate nella relazione del Procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dalle quali si evince che la densità pervasiva della 'ndrangheta nella provincia reggina non tro- va riscontro in altre parti del territorio italiano. Nella sola provincia di Reggio Calabria, infatti, la 'ndrangheta può contare su un numero di affiliati pari al 27% della popolazione attiva. L’inaugurazione dell’Anno giudiziario è avvenuta, tra l'altro, in concomitanza con la presentazione della relazione della Commissione parlamentare antimafia, nella quale il presidente Pisanu ha di fatto confermato i dati del Procuratore Pignatone scrivendo che 'la 'ndrangheta ha un suo presidio in ogni comune della provincia di Reggio Calabria e che la stessa organizzazione criminale imprenditrice controlla il territorio. Se ai citati numeri aggiungiamo i dati che emergono dalla relazione del Presidente della Corte d’appello di Catanzaro relativamente all’aumento dei reati legati all’indebita percezione di contributi e finanziamenti dello Stato e della Comunità Europea, credo che il quadro sia davvero drammatico». «Cifre e dati allarmanti – dice ancora Angela Napoli – che non possono lasciare indifferenti il comune cittadino ma, ancor di più, chi ha il compito di gestire la cosa pubblica e chi è chiamato a contribuire allo sviluppo economico del territorio. Le strategie di contrasto alla 'ndrangheta non possono più essere delegate solo a magistratura e forze dell’ordine. Dovrebbero riappropriarsene gli appartenenti alla cosiddetta 'zona grigià, che funge da linfa vitale per accrescere la potenzialità delle varie 'ndrine. Non serve più l’antimafia parolaia, nè quella delle targhe e dei protocolli. Servono legalità vera, trasparenza, rigore morale ed una buona dose di coraggio e fermezza». L’assessore Morisani: «I resti archeologici presto si mostreranno» Agli sgoccioli il sito di S. Leo PROSEGUONO le ispezioni di verifica sullo stato di avanzamento delle opere del Comune di Reggio, da parte dell’assessore ai Lavori pubblici Contratti e Appalti, Pasquale Morisani, a capo di una task di tecnici dell’Ente, guidata dal dirigente Marcello Cammera, per velocizzare ed ottimizzare gli interventi. Al centro del sopralluogo eseguito questa mattina dall’esponente della Giunta Arena, accompagnato dal suo team di lavoro, il rione Pellaro ed in particolare il cantiere dove si sta compiendo il restyling delle aree archeologiche di San Leo. «L'importante opera, - spiega una nota del Comune – finanziata con fondi europei, rientra tra le 32 prioritarie previste dall’assessore Morisani, in linea con gli indirizzi programmatici del sindaco Arena, nel Psu comunale ed identificata con la dicitura di «Intervento 8: Qualificazione e valorizzazione dei siti archeologici dell’area urbana»». L’assessore, a margine della visita al cantiere, ha detto: «Quest’opera ha come obiettivo, il recupero e la valorizzazione di un insieme di pregevoli siti archeologici presenti nell’area urbana, all’interno di una strategia più ampia finalizzata a creare un sistema di aree archeologiche della città. Si tratta di una pianificazione destinata alla creazione di un’offerta culturale e archeologica integrata e strategica al patrimonio ambientale e turistico nazionale». Ed infatti, ha aggiunto Morisani, «con la realizzazione di tale progetto si otterrà un duplice risultato: il recupero di parte di uno spazio urbano che appartiene ad una zona periferica ed il suo inserimento in un programma più ampio che punta alla valorizzazione e promozione delpatrimonio culturaledella città di Reggio, al fine di incrementarne la fruibilità ed immetterlo nei circuiti turistici nazionali». L’area oggetto dell’intervento di riqualificazione e valorizzazione, che è raggiungibile dalla Statale 106, riveste particolare interesse, oltre che per il notevole valore archeologico, anche perchè collocata all’interno del centro abitato del popoloso quartiere Pellaro. «Nel corso del lungo sopralluogo – è scritto nel comunicato stampa – duranteil quale l’assessore Pasquale Morisani ha potuto constatare la speditezza con la quale si sta procedendo al completamento dei lavori, il responsabile unico del procedimento, nonchè dell’ufficio diretto da Daniela Neri, ne ha illustrato i dettagli, insieme all’ingegnere GiuseppeBeatino, direttore dei lavori. L’intervento – si legge nella nota – è ormai giunto alle fasi conclusive ed ha attraversato step estremamente delicati considerato che il recupero dell’intera area ha richiesto la realizzazione di opere di riqualificazione e arredo urbano, ma anche di scavo archeologico, eseguite sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Calabria». IN MERITO all'annunciata proclamazione dello stato di agitazione da parte delle organizzazione sindacali per la mancata puntualità nell'erogazione dello stipendio del mese di gennaio, Vincenzo Filardo amministratore unico Atam interviene: «Mi corre l'obbligo di comunicare che lo stesso è stato posto in pagamento nella giornata di ieri primo febbraio. In questo caso la corresponsione sta avvenendo ancor prima di quanto avviene per prassi consolidata. Non solo la corresponsione degli stipendi ma la stessa garanzia dei posti di lavoro dipendono dalla regolarità delle compensazioni pubbliche per i servizi svolti ma, data la situazione di crisi , dipenderanno sempre di più dal conseguimento degli obiettivi di risanamento economico che ci siamo dati con il piano industriale: incremento della produttività del lavoro (contenimento dei costi) e lotta serrata all'evasione tariffaria (aumento delle entrate). E queste azioni non si realizzano senza la condivisione e l'impegno di tutte le componenti aziendali e di tutte le maestranze, nessuna esclusa. E' il caso di dire allora che il futuro del nostro lavoro dipende in primo luogo da noi!». Incontro tra Arena e i lavoratori ai quali ha garantito sostegno Simmi, il sindaco chiederà di sedere al tavolo con Ansaldo IL sindaco di Reggio Calabria Demetrio Arena, accompagnato dai consiglieri comunali Daniele Romeo, Nicola Paris, Domenico Marra e Giuseppe Eraclini, ha incontrato, a palazzo San Giorgio, una delegazione dei lavoratori della ditta “Simmi” di Reggio Calabria. Al colloquio hanno partecipato i segretari provinciali dei sindacati di categoria Enrico Giarmoleo (FiomCgil), Giuseppe Chiarolla (Fim-Cisl) e Santo Biondo (Uilm). Al centro della discussione le problematiche relative al futuro dei lavoratori che svolgono la propria attività per l’Ansaldo Breda di Reggio Calabria e il paventato ridimensionamento della società con le gravi conseguenze in termini occupazionali, in virtù del nuovo piano industriale previsto. Il Sindaco Arena, dopo aver ascoltato e recepito le preoccupazioni dei lavoratori, ha voluto rimarcare, ancora una volta, come la pro- duttività dello stabilimento reggino sia positiva e certificata dai numeri. “Proprio dall’efficienza che le maestranze hanno dimostrato in questi anni – ha detto Arena- bisogna partire per difendere il livello occupazionale della nostra città. Contatterò immediatamente l’assessore regionale alle Attività Produttive Antonio Caridi e manifesterò la mia volontà a prendere parte all’ incontro richiesto all’Amministratore delegato di Ansaldo Breda, ponendo al centro della discussione la salvaguardia del lavoro e il futuro di centinaia di reggini”. Il consigliere comunale Nicola Paris si è dichiarato “soddisfatto dell’impegno preso dal sindaco”. Il consigliere Daniele Romeo, dal canto suo, ha chiesto che “vengano tutelati tutti i posti di lavoro con particolare attenzione per i dipendenti Simmi e, successivamente, per i lavoratori interinali ”. DAL COMUNE Il presidio di polizia resterà al Cedir IL Sindaco Demetrio Arena ha avuto un incontro con la rappresentanza sindacale del Siulp guidata dal segretario generale Franco Caracciolo e composta da Sabatino Cennamo e Ferdinando Spagnolo, e successivamente ha incontrato il Questore, Carmelo Casabona. «Durante il colloquio –è scritto in una nota – si sono anche affrontati i nodi relativi ai presidi di Arghillà e del Ce.Dir. La riunione ha trovato un’ampia disponibilità delle parti, consapevoli dei rispettivi ruoli e soprattutto dell’obiettivo comune, che vedrà sicuramente un rafforzamento della sinergia dell’Amministrazione della polizia con gli Enti locali. In merito alla paventata dismissione del circuito telefonico di trasmissione fonia-dati del Posto fisso di Polizia di Arghillà, in virtù di una politica di contenimento delle spese, il Sindaco Arena si è impegnato a verificare la possibilità di trovare una valida ed analoga alternativa tecnica e, in caso contrario, di mantenere lo stato attuale delle cose, vista l’esigenza di continuare ed, eventualmente, rafforzare il presidiodi Polizia in un contesto socio - ambientale tra i più delicati, come può essere quello della zona Nord della città. In merito a ciò il Questore Casabona, proprio nell’ottica di una migliore e qualificata presenza sulterritorio delle Forze dell’Ordine, ha comunicato di voler valutare la possibilità di potenziare il presidio di Arghillà, attraverso una motivata richiesta con la quale vorrebbe istituire di un Commissariato sezionale, in luogo del Posto fisso finora esistente». «Per quanto concerne –prosegue –la vicenda del Ce.Dir., il Sindaco Arena, chiarito l’equivoco sorto anche a seguito di distorte e parziali notizie ricevute circa un immediato trasferimento degli uffici della Questura attualmente ospitati presso il costruendo Centro Polifunzionale di Santa Caterina, ha espresso il desiderio di mantenere nella zona un presidio di Polizia, anche alla luce della presenza di importanti uffici giudiziari e comunali, avendo revocato, nel contempo, ogni precedente intimazione relativa al rilascio dei locali. A tal proposito, si è avuta l’opportunità di fare il punto sullo stato della procedura per il trasferimento degli uffici presso il costruendo Centro Polifunzionale di Santa Caterina: sono in corso i lavori per il completamento e la messa in efficienza della Struttura; l’ultimazione di tali lavori consentirà lo spostamento degli Uffici amministrativi in atto ospitati al Ce.Dir i cuilocali potranno quindi, come auspicato dal Sindaco, essere destinati al Presidio di Polizia». E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 22 Reggio Giovedì 2 febbraio 2012 Il Banco dei Mutuo Soccorso il 25 febbraio con l’inizio del concerto affidato alle Orme Il progressive rock è al Cilea Il tastierista e compositore Vittorio Nocenzi a Palazzo S. Giorgio presenta l’evento di CLAUDIA BOVA DUE dei più grandi nomi del progressive rock italiano in un evento speciale ed unico. Un tour che celebra i quaranta anni di storia musicale italiana presentato in conferenza stampa a palazzo San Giorgio da Elisa Mazzei insieme al delegato alla cultura e grandi eventi Monica Falcomatà, il direttore artistico Fulvio D’Ascola, Vittorio Nocenzitastierista e compositore, Francesco Villari- critico musicale e autore della prima biografia del Banco di Mutuo Soccorso, Giancarlo Amendola- produttore artistico.Un concerto che si svolgerà sabato 25 alle ore 21 presso il teatro comunale “F. Cilea”diviso in due set, con l’inizio affidato alle Orme –Jimmy Spitaleri, Michi De Rossi, Michele Bon, Fabio Trentini, William Dottoche proporranno i maggiori successi e le canzoni del loro ultimo album “La via della seta” . La ribalta si aprirà con il Bando del Mutuo Soccorso- Francesco Di Giacomo, Vittorio Nocenzi, Filippo Marchegiani, Tiziano Ricci, Alessandro Papotto, Maurizio Masi - che per- La presentazione del concerto correrà musicalmente le migliori strade della produzione progressive, inserendo anche le canzoni di successo commerciale. Il finale è una lunga jam session con i due gruppi insieme sul palco. Dieci musicisti, la voce di Francesco Di Giacomo e di Jimmy Spitaleri si scambieranno esecuzioni, con la grande verve delle ta- stiere di Nocenzi e la grinta alla batteria di Michi Dei Rossi. “Uno spettacolo fuori abbonamento ma che fa parte della stagione teatrale del Cilea- ha annunciato la Falcomatà- un grande evento colto dall’amministrazione comunale con tante aspettative”. “Gruppi che legano la loro vita anche alla pubblicazione di due te- sti, uno già uscito a dicembre e l’altro sarà a giugno 2012, questo è il nuovo progetto –è stato detto- spesso si parla di jazz, pop, ma anche questo rock è facilmente vendibile”. “Il Banco è stata la quarta via, che si incastona nei quaranta anni di storia- ha aggiunto Villariera poco connotato inizialmente ma abbraccia le con- taminazioni a 360°, classica, jazz, rock, i cantautori, la musica “innocua”- sanremese ed altro ancora con tanta attenzione ai testi”. “Una precisazione va riservata anche alla presentazione del libro “Sguardi dall’estremo occidente”di Gianfranco Salvatore svoltasi ieri pomeriggio presso la libreria Culture, che non è un libro sul Banco ma su Vittorio Nocenzi, fondatore del Banco, sulla sua vita di musicista, sul suo lavoro più recente e significativo- è stato sottolineato in conferenza”. “Si preannuncia un concerto speciale, considerando anche il fatto che il Banco è la prima volta che si presenta in città – ha sottolineato lo stesso Nocenzisiamo stati la scorsa estate a Catanzaro di fronte a 5- 6 mila persona, un vero miracolo della musica, musica che nasce dall’ineffabilità dell’essere, noi la trasmettiamo a voi pubblico ed ognuno darà un’interpretazione”.Appuntamento che attende i fans ma non solo, gli appassionati di musica per ripercorrere insieme una storia unica, che ha fato di questi musicisti un vero mito. Un protocollo d’intesa per dare servizi agli stagionali Emergency e azienda sanitaria per i migranti di Rosarno di WALTER ALBERIO INSIEME per aiutare i migranti di Rosarno. E’ stato firmato ieri il protocollo d’intesa che ufficializza un impegno che l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria ed Emergency, hanno iniziato ad onorare già dal 7 dicembre scorso: facilitare l’accesso ai servizi migranti impegnatinella raccolta stagionale nei campi della Piana di Gioia Tauro, attraverso l’ambulatorio mobile di Emergency. Da quella data ad oggi è già possibile dare qualche numero e tracciare le prime valutazioni sul servizio integrativo offerto dallo staff del polibus Emergency che, in via sperimentale, durerà fino ad aprile (cioè fino al periodo della raccolta): 460 pazienti visitati e 560 prestazioni mediche, con una media di 15/20 visite al giorno. Il personale a bordo delpolibusoperante trale17e alle 22 nelle zone di Rosarno, Taurianova, Rizziconi e San Ferdinando, è composto da due mediatori culturali, un medico e un infermiere, tutti stipendiati da Emergency. Tuttavia, «chiediamo – ha detto il Coordinatore dell’ufficio umanitario di Emergency, Pietro Parrino, nonché firmatario del protocollo – che il nostro lavoro possa essere arricchito da quello offerto dai volontari del posto: rappresenterebbe un contributo fondamentale». L’attività di Emergency, non solo alleggerirà il lavoro nelle strutture del luogo, con l’Asp che «sarà presente invece per tutte le patologie di primo grado», ma fornirà, ai migranti e a qualunque soggetto che trovi difficoltà ad accedere al sistema socio-sanitario, un supporto di tipo amministrativo, e all’Asp una raccolta di informazioni su quelle persone da trasferire nella struttura ospedaliera. socio-sanitari a tutti i Migranti a Rosarno, a sinistra la firma del protocollo Grande soddisfazione è stata espressa dal Direttore Generale dell’ASP di Reggio Calabria, Grazia Rosanna Squillacioti: «E’ un onore firmare questo protocollo d’intesa con Emergency. Come Asp daremo assistenza sanitaria a queste persone che, in quel terri- torio, vivono in condizioni difficili. Che siano migranti o clandestini, per noi rappresenta un dovere». Poi uno sguardo all’azione dell’ASP sul territorio: «Stiamo cercando di dare risposte per quanto riguarda l’aspetto sanitario anche con i cosiddetti “ospe- dali chiusi, riempiendoli di contenuti». La Squillacioti si riferisce alle strutture come quelle di Scilla, Siderno, Taurianova e Palmi: «Adesso ci sono quelle specificità che prima mancavano». In modo particolare «a Scilla – spiega - abbiamo un progetto già finan- ziato per la dialisi; è giusto che i pazienti calabresi possano avere la possibilità di curarsi nel proprio territorio risparmiando un milione e ottocentomila euro l’anno». Intanto Emergency pensa alla creazione di un poliambulatorio permanente a Rosarno. Monastero di Ortì I vescovi a Reggio “consacrano” la Calabria Il monastero di Ortì UN avvenimento eccezionale avrà luogo nella nostra città il 6 febbraio quando, alle ore 16, nel Santuario di Sales, annesso al Monastero delle Suore della Visitazione in Ortì: tutti i vescovi delle chiese calabresi - riuniti a Reggio per la sessione invernale della Conferenza episcopale calabra - consacreranno la Calabria intera al Sacro Cuore di Gesù. Il luogo del silenzio e della contemplazione si apre alla città e alla intera regione. Considerato anche che il Monastero di Sales è stato fin dalle origini il luogo dove veniva celebrata la loro annuale Giornata diocesana ecco che l’evento diventa una preziosa occasione. Data la rilevanza storica dell’ evento, il suo programma e le finalità saranno presentati alla stampa domani alle ore 11 nella Sala Ferro della Curia Metropolitana reggina, da Vittorio Mondello presidente della Conferenza Episcopale Calabra. La proposta di consacrare la Calabria al Cuore di Gesù è venuta direttamente dalle suore del monastero e infine accolta dai vescovi. ant.cat. Viaggio tra forma e sostanza con il sodalizio di Livoti Le Muse tra “Riti e rituali” UNAtematica attuale del rito e del rituale nei diversi ambiti e contesti. Una conversazione svoltasi presso la sala d’arte Le Muse prospettata dal presidente Giuseppe Livoti e dal vice Adele Canale insieme al neuropsichiatria Giuseppe Cartella, don Giorgio Costantino- parroco di S. Maria del Divin Soccorso, l’avvocato Giovanna Manganella, Mariella Trombetta medico- estetico, Monica Falcomatà- delegata alla cultura, turismo e grandi eventi del comune di Reggio. In apertura di serata e per due settimane dalle 17 alle 20.30 sarà allestita la mostra d’arte e di oggetti antichi dell’artista napoletano Gianpaolo Arionte, dal titolo “Multiformi evasioni” . L’artista che si identifica con il rituale dello sguardo, si è formato al liceo artistico e all’accademia di belle arti di Napoli sotto la guida di Salvatore Provino. “Ma il rito per un personaggio politico che si occupa di cultura e la ritualità di una programmazione cosa significano- ha chiesto Livoti”. “Io vivo di riti e rituali, al di là della politica, noi viviamo di riti mutuati dall’impero romano e come avvocato siamo attenti al rito per rispettarne il tempo, insomma un legame alla forma è evidente- ha spiegato la Falcomatà- personalmente i rituali sono legati alla superstizione”. A far bella vista tanti servizi di caffè, thè, cineseria, tazze di tipo inglese e di gusto dell’esotismo attuale e francese, da fumo e tabaccheria legati alla famiglia Manganella, provenienti dal Veneto e dall’Emilia L’iniziativa dell’associazione Le Muse Romagna, ognuno segnato da un rito particolare che oggi non esiste più ma persona stessa”. Ed ancora “ il rito è irrazionale che denotano certi comportamenti e rapporti ma regola la famiglia, il rituale è invece rassiumani e sociali. “I riti sono la memoria, il rievo- curante, il mito è dunque un’espressione di crecare cose, il rito è legato al mito e dunque alla denza”. Mariella Trombetta ha definito “il rimente umana- ha chiarito Cartella- il soggetto tuale un atto sempre uguale che si ripete con la che ha una forma rituale deve eliminare o deve stessa sequenza. rassicurare, quello ossessivo è un rifugio per la c. b. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 24 Reggio 26 REDAZIONE: via Cavour, 30 - 89100 Reggio Calabria - Tel. 0965.818768 - Fax 0965.817687 E-mail: [email protected] Il primo cittadino di Bagnara si confronta sul progetto con il mondo del volontariato Ecco “L’osservatorio del bisogno” Dalle associazioni segnalazioni per promuovere integrazione e sicurezza di FRANCESCO IERMITO BAGNARA –Nella cittadina del basso Tirreno parte l’osservatorio del bisogno, un vero e proprio strumento a servizio dell’ente per individuare quei settori che necessitano di maggior interventi. L’idea è stata al centro della campagna elettorale dell’attuale giunta, la quale ha manifestato la volontà di intraprendere questa iniziativa proprio lo scorso anno, in seguito alla presentazione dei risultati del censimento sociale promosso dall’Agess. Martedì pomeriggio, infatti, il sindaco, Cesare Zappia e il delegato alle politiche so- ciali, Giuseppe Surace, hanno convocato un primo incontro propedeutico. A prender parte all’appuntamento le associazioni “Nuovi Orizzonti”, “Movimento associazioni operatori per la sicurezza e difesa dei diritti disabili”, Agess, Olimpia, Artemisia, Alba Nuova e le cooperative sociali “Girasole” e “Insieme”. Il primo cittadino ha sottolineato che «l’organo, tra le sue tante mansioni, potrà anche programmare interventi mirati per gestire situazioni particolarmente impegnative». Inoltre, lo stesso, ha auspicato che «i sodalizi che ne faranno parte possano portar avanti questo impegno in modo serio e continuativo per il bene della collettività». Sulla stessa scia anche il consigliere Surace, il quale ha preso «l’impegno diincontrarele aggregazioni mensilmente». Soddisfazione è stata manifestata anche da Silvana Ruggiero (Agess), che ha voluto evidenziare come l’organo sia «uno strumento abbastanza apprezzato in molti altri comuni italiani al punto tale che viene convocato per relazionare sulla sua attività annuale in seno ai consigli comunali». L’incontro con i sodalizi è stato utile anche per iniziare a segnalare qualche problematica. Si è discusso, per esempio, sulla «qualità dell’assi- stenza scolastica» e a tal proposito sono state avanzate richieste affinché sia garantita «la presenza del personale addetto per vigilare e salvaguardare l’incolumità degli alunni». Su questo specifico tema Su- La delegazione all’incontro con il sindaco race ha comunicato che quanto prima «convocherà dirigen- educatori professionali che sappiati e gestori del servizio per assicu- no gestire le diverse situazioni e pararsi sul buon andamento dell’assi- tologie». Il delegato nel corso della stenza». Lo stesso, inoltre, ha conti- riunione ha anche reso noto una nuato annunciando che, molto pro- proposta alla giunta: l’istituzione di babilmente il prossimo anno, «sarà uno sportello per il disbrigo di pèraistituita un’assistenza scolastica tiche che sarà gestitoda ragazzi dispecialistica affinché ci si avvalga di versamente abili. A Villa dati su contraddizioni, lacune e inadempienze dell’opera Campo Calabro. Parla il presidente Gli ambientalisti presentano il “dossier” contro il Ponte «Nuova solidarietà sono orgoglioso dei risultati ottenuti» di FRANCESCA MEDURI VILLA SAN GIOVANNI – Alla conferenza a sostegno del Ponte organizzata ieri mattina dall’associazione dei Comuni dell’Area dello Stretto nella sala consiliare del Comune di Villa (altro servizio a pag. ) seguirà quella di presentazione del convegno sul rapporto di “osservazioni critiche al progetto definitivo del Ponte sullo Stretto”, promossa dalle associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente, Italia Nostra, Man, Fai, Sigea e Rete No Ponte) e in programma domani pomeriggio alle 16 presso la Camera del Lavoro di Villa. Nell’occasione saranno dunque anticipati i contenuti del rapporto (che sarà illustrato ai cittadini nel corso dell’imminente convegno) elaborato dagli esperti dei sodalizi ambientalisti sul progetto relativo alla mega opera, a loro dire fatto di «clamorose contraddizioni, lacune e inadempienze, tali da imporre la richiesta di bocciatura definitiva, la cancellazione del programma e lo scioglimento della società Stretto di Messina». Ma l’incontro sarà anche Il progetto del Ponte occasione «per denunciare ancora una volta – si legge in una nota dei no pontisti l’autentico imbroglio costituito dal progetto del Ponte: il definanziamento dello stesso, infatti, è stato decretato dagli ultimi atti del Governo “assolutamente pontista” Berlusconi- Tremonti (l’attuale esecutivo ne ha solo completato l’attuazione), contestualmente alla bocciatura europea del progetto, proprio mentre i di- ri<genti della Stretto di Messina ancora agitavano opere di compensazione, espropri, fasi esecutive ecc., e l’allora ministro Matteoli con la complicità di Trenitalia e altri grandi operatori del trasporto, tagliava i collegamenti con Calabria e Sicilia fino quasi ad azzerarli». «Il progetto definitivo – sostengono i contrari al Ponte sullo Stretto - è stato redatto proprio in quella fa- se, forse nell’estremo tentativo di salvare il programma (oltre che di spendere ulteriori ingenti somme per una progettazione eterna)». Un «estremo tentativo» che non sarebbe però servito a rendere il Ponte un’idea fattibile. «L’elaborato - ecco alcune delle pecche del progetto ravvisate dagli esperti - conferma l’inutilità trasportistica e l’enorme impatto ambientale e paesaggistico del Ponte, manca di parti essenziali, dalla Via della struttura principale, alle valutazioni di incidenza, alla rappresentazione di strutture fondamentali tra cui i collegamenti ferroviari lato Calabria e la Nuova Stazione di Messina. Esso inoltre non tiene conto della reale situazione sismologica ed idrogeologica del contesto e –ancora una voltanon verifica la fattibilità tecnica del manufatto, salvo dichiararne i “nuovi costi” (8.6 miliardi di euro circa) senza però presentare alcuna relazione economico- finanziaria». Motivi, questi, che spingono le associazioni ambientaliste ad affermare con forza che «è veramente ora di chiudere questa telenovela degli inganni». Dal forum del Pd a Villa lo spunto perché gli amministratori acquisiscano il sito Un futuro per l’antica Torre Cavallo VILLA SAN GIOVANNI - Per parlare di “Torre Cavallo” e stimolare l’interesse di chi amministra la città, prendiamo lo spunto dal Forum PD dei giorni scorsi durante il quale è intervenuto Rocco Alizzi, storico locale e poeta, per dire che le torri e i fortini possono contribuire allo sviluppo cittadino e del territorio. Per “Torre Cavallo”, come auspica Rocco Alizzi, autore dell’omonima poesia, “Verrà un giorno- che l’uomo diverrà veggente- e farà scale di pietra- terrazze e viottoli- che daranno a te- quel che il tempo prese- e al poeta aulici canti- all’inafferrabile tua bellezza”.- Dopo i versi di Rocco sul sito che domina il mare azzurro dello Stretto, passiamo alla sua storia. L’anno di costruzione va dal 1506 al 1815. La Torre si erge su un promontorio che domina la statale per Scilla, sotto il pilone di Altafiumara. Rocco Alizzi parte dal periodo ma- gno greco per arrivare al Cenide ed al 1500, con l’arrivo dei Ruffo in Calabria e l’amministrazione dei Viceré. Sono 102 le torri che vengono costruite per proteggere la Calabria per volere di Pietro di Toledo. Fra di esse vi è Torre Cavallo. Oggi non serve più per difendersi dall’arrivo dei pirati, né dagli inglesi, né da altri. E’ un monumento storico di una bellezza unica, che fu pure ammirato dal Dumas, che durante il suo viaggio in Calabria soggiornò a Villa San Giovanni. Il monumento storico oggi è di proprietà di un ben nota famiglia villese, che, come ci riferisce Rocco Alizzi, sarebbe ben disposta a cederlo al Comune villese, agli amministratori del quale spetta il compito di avviare le mosse opportune per poterlo acquisire, ristrutturarlo, metterlo al sevizio della comunità e farlo diventare una meta turistica. d.c. Torre Cavallo La storia della fortezza con Rocco Alizzi di ENZO REPACI CAMPO CALABRO – Era il mese di ottobre del 1996 quando, l’associazione socio-culturale e di volontariato, Nuova Solidarietà, inaugurò la sua sede, a Campo Calabro. A presentare il gruppo di volontari, alla cittadinanza, il suo presidente, Fortunato Scopelliti. Il gruppo nasce a Salice Calabro ma, in poco tempo, è riuscito a inaugurare nuove sedi in altri paesi. Era l’ottobre del 1996 quando, per la prima volta nel paese, l’associazione apriva le porte del centro di ascolto. “Da allora, ogni anno è stato un crescendo - afferma Scopelliti -iniziando con il servizio del centro di ascolto, un servizio telefonico vicino alle famiglie ed Un disabile alle persone in difficoltà”. Il presidente di Nuova Solidarietà percorre, con orgoglio, questi anni di intenso lavoro e racconta, quelle che sono state le gioie e le difficoltà di un’associazione che ha avuto, ha e avrà, a cuore i bisognosi. Presidente Scopelliti, quali sono state le aspettative tredici anni fa? «Il volontariato vive di provvisorietà che, in sostanza, è una virtù perché ci si mette spesso in discussione facendo continua ricerca. Avendo sperimentato, quindi, un progetto per gli anziani, è stato esaltante perché siamo riusciti a coinvolgere un po’ tutta la cittadinanza che si è resa protagonista. Mi aspettavo di vedere realizzati grandi sogni ma quello che è stato fatto fino ad oggi, mi gratifica in maniera particolare». Quali sono stati gli obiettivi raggiunti? «Aver per dodici anni, presenziato con continuità, il centro di ascolto telefonico, appoggio e garanzia per ogni anziano che, in ogni momento, potrà contare sulla disponibilità di un volontario, di un obiettore e di un ragazzo che sta svolgendo il servizio civile. Questo è un grande obiettivo che abbiamo raggiunto e continueremo a mantenere. Tutto ciò nonostante non sia particolarmente eclatante verso l’esterno, rende merito al concetto di gratuità nell’azione del volontario. Circa duecento anziani assistiti e un’attività che ha visto il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche locali, come l’amministrazione comunale, le scuole e, soprattutto, l’intera comunità che, con piacere, ha risposto promuovendo anche altre iniziative». Come ha risposto l’intero paese? «Non c’è tutt’oggi, un’idea chiara di volontariato vista come azione gratuita di solidarietà, e questo un po’ in tutti i posti. La nostra associazione, nonostante ciò, è riuscita a penetrare “la cultura del privato” che consiste nel richiudersi, attuando una serie di interventi che hanno creato momenti forti di aggregazione sociale e scambi di esperienze con altre associazioni della Calabria. Siamo stati in visita a Zagarise, in un’associazione che da molti anni opera nell’ambito del volontariato ed abbiamo, con loro, scambiato le nostre esperienze. Era l’ottobre del 1996 quando, per la prima volta, abbiamo aperto il servizio di assistenza agli anziani bisognosi del paese di Campo Calabro. Abbiamo continuato ed oggi, siamo detentori di un bagaglio di esperienza tale che ci fa affrontare qualsiasi difficoltà. Stiamo per partire con altri progetti che coinvolgeranno gli alunni delle scuole che ogni anno, partecipano con entusiasmo ai numerosi progetti che promuoviamo». Scopelliti «Al servizio anche degli anziani bisognosi» E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Tirrenica Giovedì 2 febbraio 2012 28 Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected] Truffa all' Asl di Locri, in aula il patron della Medinex Rappoccio parla dei rapporti con Fortugno «Mai parlato di ordinativi» L’ex manager dell’Asl Marchesi: «In ospedale per 15 anni mai fatte gare d'appalto» di PASQUALE VIOLI LOCRI - «Ho visto l'onorevole Francesco Fortugno e la moglie Maria Grazia Laganà solo un paio di volte, e con loro non ricordo di avere parlato di forniture di materiale medico». Al processo per la presunta truffa all'Asl di Locri è stato il turno di Pasquale Rappoccio il titolare dell’impresa di fornitura di medicinali Medinex di Reggio Calabria al centro di presunti favoritismi da parte dell'Azienda sanitaria per accaparrarsi ingenti quantitativi di materiale medico. Pasquale Rappoccio, è stato sentito dai giudici del Tribunale di Locri davanti ai quali è in corso il processo per presunte irregolarità nella fornitura all’ospedale di Locri. Nel processo, oltre allo stesso Rappoccio ed all'onorevole del Pd Maria Grazia Laganà, sono imputati anche l’allora direttore amministrativo dell’Asl, Maurizio Marchesi, un funzionario amministrativo, Nunzio Papa, ed un medico dell’ospedale, Albina Micheletti. Tutti sono accusati a vario titolo di truffa, falso e abuso ai danni dell’ex azienda sanitaria di Locri. Ieri dunque la testimonianza di Pasquale Rappoccio, che recentemente è stato coinvolto in una inchiesta della Dda di Reggio Calabria contro le cosche della 'ndrangheta, e che nel corso dell’interrogatorio ha affermato di non avere mai parlato di forniture di medicinali o quanto altro e di non aver mai partecipato ad incontri sul tema con Maria Grazia Laganà e con il marito Francesco Fortugno, il vice presidente del consiglio regionale ucciso in un agguato a Locri, che all’epoca dei fatti lavorava nell’ospedale. «Alcune considerazioni sull'unicità della fungibilità di alcuni prodotti - ha detto Pasquale Rappoccio - mi erano state indicate direttamente dall'azienda che li produceva, io da rappresentante ho solo riportato quanto mi era stato raccomandato. Ecco il perchè di ordinativi di una certa quantità. Ma a proposito di questo l'ordine dell'ospedale di Locri non mi sembrava neppure eccessivo, con altre Asl eravamo abituati a ordinativi anche più elevati». Interessante anche la testimonianza dell'ex amministratore dell'Asl Maurizio Marchesi che ha sottolineato come al suo arrivo si è trovato di fronte una situazione difficile: «All' Asl di Locri per oltre 15 anni non si sono fatte gare d'appalto per le forniture, tutto si faceva semplicemente individuando delle ditte che potevano garantire il materiale e poi si procedeva all'acquisto». E' slittato invece l’interrogatorio dell’onorevole Maria Grazia Laganà, che era previsto per ieri, è invece è slittato al 6 marzo prossimo perchè la deputata era assente per impegni parlamentari. Va quindi avanti il processo per cercare di fare luce su una presunta truffa all'Asl di Locri L'indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza, dapprima sotto il coordinamento della Dda di Reggio Calabria che ha poi inviato gli atti alla Procura di Locri per competenza territoriale. Fondamentali per l'esito del processo anche le dichiarazioni rese dall'avvocato Benito Spanti nel corso dell'esame davanti all'Assise di Locri, qualche tempo fa. Rispondendo alle domande dei pm Marco Colamonici e Mario Andrigo e dei legali degli imputati, aveva ribadito quando già dichiarato alla commissione Basilone, inviata per accedere ai documenti dell'ospedale di contrada Verga, dopo l'eclatante delitto del vice presidente della regione Calabria. In particolare il commissario, che si erainsediato aiprimidiagosto del2005,riferiva in merito a diverse ordinazioni, tra cui una parteche riguardavano l'acquistodi materiale destinato al reparto di Pronto Soccorso. Si trattava di una fornitura che lo stesso Spanti ha definito "strana" per l'entità numerica del materiale richiesto, in considerazione che all'epoca addirittura un magazziniere lo aveva informato che i depositi erano pieni proprio di quel materiale acquistato. La fornitura comprendeva l'acquisto di mascherine, divise, set universali per pazienti in pronto soccorso, supporti per terapia infusionale e borse di ghiaccio per un costo complessivo di 132mila euro. Una cifra che ha insospettito il commissario Spanti, il quale ha rifiutato la consegna, non concretizzando il pagamento della fattura. Di grande importanza naturalmentesaràquantoriferirà aigiudicilaLaganà che è stata chiamata in causa specialmente dalla dottoressa Albina Micheletti. «In altre aziende anche richieste più elevate di materiali» L’UDIENZA Il racconto: «Gli scafisti minacciarono con le pistole» «GLI scafisti hanno minacciato con pistole e coltelli gli immigrati che erano sul barcone e che volevano tornare indietro, e li hanno costretti ad arrivare a riva e a morire». E' il drammatico racconto in aula dello zio di una delle vittime del tragico sbarco sulle coste di Roccella Jonica che nel2007 costò lavita a8 persone. La barca in legno sulla quale viaggiavano gli immigrati, lunga una ventina di metri, si è spezzata in tre parti nel momento in cui è stata fatta arenare sulla battigia e alcune persone sono finite in mare. Lo zio di una delle vittime è stato sentito ieri nell'ambito delprocesso che a Locri si tiene contro gli scafisti di quella spedizione della morte. L'uomo ha raccontato di avere appreso le notizie dagli altri superstiti quando si è recato in ospedale per il riconoscimento della salma del nipote. «Ad un certo punto - ha raccontato l'uomo - in molti si erano resi conto che avrebbero corso dei rischi a proseguire il viaggio, ma gli uomini a bordo con delle pistole e dei coltelli hanno minacciato i passeggeri e li hanno costretti a continuare, così poi tutto è fini- to in tragedia». La Procura della Repubblica di Locri dopo avere coordinato accuratamente le indagini sull'accadutoè riuscitaa portare a processo i presunti scafisti di quel drammatico sbarco e adesso attraverso le testimonianze dei superstiti e dei soccorritori sta cercando di ricostruire processualmente la vicenda. Ieri la testimonianza del parente di una vittima che ha raccontato di come i passeggeri siano stati minacciati e costretti a proseguire il viaggio che ha poi portato otto di loro a morire. p.v. A CASIGNANA Pascolo in discarica due denunce MARTEDÌ i militari della Stazione di Caraffa del Bianco hanno deferito in stato di libertà A.G., 50 anni e S.G., 44 anni. I due soggetti sono stati sorpresi a far pascolare abusivamente un gregge di bovini all’interno della discarica del Comune di Casignana. Discarica che tra l’altro era stata al centro di una inchiesta giudiziaria che aveva portatò all’arresto del primo cittadino Franco Crinò e del fratello che gestiva l’impianto dei rifiuti. Il giovane di Palizzi venne ucciso nel marzo del 2010 nel corso di una lite Delitto Quagliana, per Scaramozzino confermata la condanna a 15 anni di CLAUDIO CORDOVA CONFERMATA la condanna a quindici anni e quattro mesi di reclusione per il giovane Francesco Scaramozzino, ritenuto responsabile dell’omicidio di Vincenzo Quagliana. La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria (Bruno Finocchiaro presidente, Gabriella Cappello a latere) ha dunque ulteriormente ratificato la decisione presa circa un anno fa, il 24 gennaio 2011, dal Gup di Locri Andrea Amadei che aveva ritenuto colpevole il giovane Scaramozzino. La Corte ha dunque premiato lo sforzo del sostituto procuratore generale Franco Scuderi che, nel corso della propria requisitoria, aveva sostenuto con fermezza la responsabilità penale del giovane Scaramozzino, nato a Melito Porto Salvo il 30 settembre 1991 ma residente di fatto a Palizzi. Un delitto avvenuto nel territorio della fascia ionica della provincia di Reggio Calabria e maturato al termine di una banale lite. Vincenzo Quagliana, infatti, era stato ucciso a coltellate per un diverbio al termine di una rissa. Un delitto risolto in Vincenzo Quagliana meno di ventiquattro ore dai Carabinieri di Bianco, diretti dal capitano Andrea Caputo e coordinati dall’allora comandante del Gruppo Locri Valerio Giardina, che già nella tarda serata del 27 marzo 2010, quando avvenne il delitto, avevano individuato in Francesco Scaramozzino, residente a Palizzi, a quel tempo 19enne, il responsabile dell’omicidio dell’omicidio. Al termine di una camera di consiglio non troppo lunga, la Corte ha dunque avvalorato la bontà delle indagini e della ri- costruzione svolta dagli inquirenti: Vincenzo Quagliana e Francesco Scaramozzino, entrambi già noti alle forze dell’ordine, negli ultimi tempi avrebbero avuto alcuni diverbi, dissapori che nella nottata del 27 marzo sarebbero sfociati in una tragica lite. Prima nei pressi del Bar Plaza, ubicato lungo la Strada statale 106, dove nella tarda serata, intorno alle 23, avrebbero dato vita a una prima lite verbale, ma dai toni molto accesi. Stando alle ricostruzioni raccolte dai militari dell’Arma i due si sarebbero colpiti nel corso di una colluttazione avvenuta dopo un breve inseguimento, e culminata, infine, in un’aggressione fisica vera e propria a circa duecento metri di distanza dal bar. Il giovane Francesco Scaramozzino si sarebbe allontanato dal luogo della lite andando verso la propria abitazione ubicata in via Garibaldi, poco distante dal ritrovo, a piedi, non pensando di essere seguito da Quagliana che, a bordo della propria autovettura, l’avrebbe raggiunto proprio sotto casa, provocando una nuova colluttazione nella quale ebbe però la peggio. Scara- mozzino, infatti, avrebbe colpito Quagliana con diverse coltellate, sette secondo gli accertamenti degli investigatori. La vittima, dopo aver ricevuto i fendenti, venne trasportato in ospedale di Melito Porto Salvo dal fratello: una corsa contro il tempo inutile, dato che Quagliana verrà dichiarato morto dopo circa quindici minuti dall’arrivo al Tiberio Evoli: fatale alla vittima, sarebbe stata la coltellata alla coscia, che avrebbe lacerato l’arteria femorale con conseguente choc emorragico. Dopo il fatto di sangue il giovane Scaramozzino, peraltro, si rese irreperibile, anche nel periodo in cui i tutti i suoi familiari e amici venivano sentiti dai Carabinieri in quanto potenziali testimoni, all’interno dello stabile del comando compagnia carabinieri di Bianco. Dopo alcune ore di latitanza, il giovane però avrebbe deciso di consegnarsi alla giustizia, affrontando il processo di primo grado, fino alla conferma della condanna a oltre quindici anni di carcere, disposta ieri dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Bovalino. In due a mano armata avevano fatto irruzione nell’attività dei fratelli Cataldo Dopo la rapina al market torna la paura di DOMENICO AGOSTINI BOVALINO - La rapina a mano armata ai danni del Supermercato-Panetteria dei fratelli Cataldo è stata vissuta dalla popolazione con preoccupazione. Era da tempo, infatti, che non accadevano fatti delinquenziali di questo tipo ed in luoghi dove la presenza anche di giovanissimi, presso comandati dai genitoria prenderegeneri alimentari anche in quantità minimale, è molto frequente. Il supermercato, infatti, è l’unico locale di generi alimentari a chiudere più tardi la sera proprio per consentire alle famiglie di raggiungere il negozio anche per una pizza, appena tolta dal forno o un pane, difficilmente reperibile a quell’ora. Questa circostanza evidentemente era stata prevista dai due giovani rapinatori ed infatti hanno atteso gli ultimi minuti d’apertura, prima di affrontare il rischio della rapina a mano armata. E’la seconda voltache ifratelli Cataldo vengono presi di mira da giovani per farsi consegnare l’incasso della giornata. Questa volta, però, è andata male ai malfattori perché nel corso del pomeriggio i proprietari avevano effettuato pagamenti a dei fornitori. Poche centinaia di euro che poteva avere risvolti tragici. E’ stato così anche lo scorso anno quando in due si sono presentati alla cassa, a poco meno di due metri dall’ingresso, al quale si accede con una porta scorrevole con sensori. Un’azione delinquenziale che si riesce a concludere in tempi brevissimi quando c’è l’appoggio di un “compare”. In quella serata di ot- Il market dei fratelli Cataldo tobre, un giovane si presentò alla cassa tenendo in mano un appuntito coltello facendosi consegnare l’incasso della giornata. Ieri l’altro avisocopertouno deiduegiovani ha estratto la pistola puntandola contro la cassiera, cognata del titolare, e con parlata dialettale ha chiesto di dargli i soldi e di fare in fretta. La spaventata cassiera non ha potuto fare nulla e non ha emesso un solo grido, così come non ha gridato l’altra cassiera che in quel momento le voltava le spalle. Uno dei proprietari si trovata nel reparto panetteria e non ha avvertito la presenza del rapinatore, solo quando è uscito e la cognata hachiesto aiuto, si èaccorto che erastataconsumata unarapina.Sulpiano delle indagini, il Commissario Capo Giovanni Arcidiacono sta alacremente investigando attraverso perquisizioni e posti di blocco, sfruttando anche le testimonianze delle cassiere e del cliente che si trovava alle casse con il figlio in braccio. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Locride Giovedì 2 febbraio 2012 31 Ufficio di Corrispondenza: Piazzetta 21 Marzo, 9 - 89024 Polistena Tel/Fax 0966.935320 E-mail: [email protected] Udienza del processo “All Inside” dedicata al progetto di sequestro dell’ex moglie di Francesco Pesce (‘84) Il racconto della sorella di Ilaria «Non sapevo nulla della “fujtina”, era evidente che stava male e aveva problemi» di MICHELE ALBANESE PALMI - Continua nell’aula bunker del Tribunale di Palmi il processo con il rito ordinario denominato “All Inside” che vede alla sbarra numerosi esponenti ed affiliati al clan Pesce di Rosarno. Il calendario delle udienze fissate dalla presidente del collegio giudicante, Concettina Epifanio, prosegue a ritmi elevati. Ieri ennesima udienza per sentire la sorella di Ilaria La Torre, l’ex moglie di Francesco Pesce classe ‘84, il titolare di una gioielleria di Rosarno oggetto di una rapina effettuata da elementi riconducibili ai Pesce e il collaboratore di giustizia Salvatore Facchinetti sentito in video conferenza da una località segreta. La sorella di Ilaria La Torre, Rita La Torre, ha risposto per oltre un’ora e mezza alle domande del pm Alessandra Cerreti che ha cercato di acquisire non solo maggiori particolari sul tentativo di sequestro di Ilaria, ex moglie di Pesce, compiuto la sera del 10 febbraio del 2006 da alcune persone incappucciare ed armate, ma anche sui rapporti che intercorrevano tra le due sorelle, una delle quali, Ilaria, che è stata sentita due giorni fa e che ha reso una testimonianza drammatica ma anche coraggiosa. Rita La Torre ha risposto seppur intervallando molti non ricordo alle domande del Pm che più volte ha dovuto procedere con alcune contestazioni tra quanto affermato dalla teste in occasione di una denuncia presentata il giorno dopo il tentativo di sequestro della sorella ai carabinieri di Rosarno e le sue dichiarazioni in aula. La ragazza oggi 24 enne, ha raccontato che non sapeva che la sorella Ilaria avrebbe fatto la “fujtina”con Pesce, ma anche detto che Ilaria aveva sempre la pressione alta e che stava male pur non dicendo apertamente quali problemi avesse. «Non ci dava spiegazioni sulle condizioni» – ha detto Rita La Torre ieri mattina. Poi dietro le domande del pm Cerreti ha raccontato di quella sera del tentativo di sequestro. «Erano le 22 e 30 ed io ero in cucina quando entrarono a casa tre due persone armate (ai Carabinieri aveva detto di averne visto tre), mi sono subito spaventata. Uno di essi chiedeva dove fosse Ilaria e mio padre che era stato puntato da uno di quei incappucciati era minacciato con una pistola gli disse che mia sorella non c’era, che era a Bologna. Poi uno dei banditi salì al piano di sopra per controllare che mia sorella non ci fosse». Rita La Torre ha spesso ricordato che lei in quei frangenti era rimasta scioccata e che è stata male». Una fase della retata “All Inside” Subito dopo è salito sul banco dei testimoni il titolare della gioielleria Gelanzè di Rosarno Giuseppe Gelanzè oggetto di una rapina subita nel 2006 che secondo la collaboratrice Giuseppina Pesce venne compiuta proprio dai Pesce. In aula ha ribadito di essere stato vittima del racket: «Ho pagato il pizzo per anni, poi ho smesso solo perchè in crisi economica e senza soldi. Da lì sono iniziate le rapine per ritorsione». Infine il collaboratore di giustizia Salvatore Facchinetti che ha iniziato a raccontare la sua storia dei Pesce, il suo battesimo nella ‘ndrangheta ed i suoi rapporti e le sue conoscenze con la famiglia Pesce. L’udienza del processo All Inside riprenderà sempre con la testimonianza del collaboratore Salvatore Facchinetti. La donna, coinvolta nell’operazione contro la cosca di famiglia, era agli arresti domiciliari Maria Grazia Pesce in manette Figlia del boss Antonino “Testuni” è accusata di associazione mafiosa ROSARNO – Tornano ad aprirsi le porte del carcere per Maria Grazie Pesce, 29enne, figlia del boss Antonino Pesce, alias “Testuni”, che figura tra i 63 imputati del processo contro capi e presunti affiliati della potente ‘ndrina di Rosarno denominato “All Inside”, attualmente in corso con il rito ordinario presso il Tribunale di Palmi. La donna, arrestata nel 2010 nell’ambito dell’operazione che ha decapitato la cosca rosarnese, si trovava agli arresti domiciliari, misura concessale dal Gip per permetterle di accudire i figli minori. In un secondo momento però, si è scoperto che la Pesce non aveva diritto al beneficio dei domiciliari e per questo ieri mattina i Carabinieri del Reparto Anticrimine e del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria, supportati dai militari della Tenenza di Rosarno hanno eseguito l’ordinanza che ha portato all’esecuzione dell’ordinanza. La revoca dei domiciliari alla donna (cugina della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce e moglie di Roberto Matalone, attualmente latitante) era stata chiesta dal Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, che aveva rilevato l'errore sulla Sulla soppressione dell’ufficio del giudice di pace Romeo replica alla Napoli «Procuri i finanziamenti» di RAFFAELE LOPRETE TAURIANOVA – Non si è fatta attendere la risposta del sindaco Romeo alla parlamentare taurianovese Angela Napoli sugli uffici del Giudice di pace nella cittadina taurianovese, appellandosi all’art. 3 del decreto legislativo "Revisione delle Circoscrizioni Giudiziarie – Uffici dei Giudici di Pace" e di farsi carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia. Inoltre, la parlamentare chiedeva allo stesso leader dell’Udc locale di mettersi in moto circa le condizioni in cui versa la locale struttura, “la quale se adeguatamente valorizzata e messa a norma potrebbe non rimanere uno dei numerosi edifici costruiti per sede giudiziaria e purtroppo lasciati poi inutilizzati”. «Riscontro la missiva -scrive Romeo - pubblicata sulla stampa, a firma di componente della "Commissione Parlamentare Antimafia" e sono a ringraziarla per il suo autorevole suggerimento. Avrei gradito che il contenuto della sua nota mi fosse stato recapitato da un ignaro cittadino taurianovese perché in tale caso avrei potuto giustificarne ampiamente l'operato in quanto non si può pretendere, erga omnes, la conoscenza integrale delle disastrose condizioni economiche del Comune. Da Lei, però, no! No, perché lei non può fare finta di non sapere che le finanze locali non consentono neppure gli ordinari interventi di manutenzione quoti- diana». Riguardo la norma citata dalla Napoli, Romeo afferma di esserne a conoscenza, nonostante a parer suo il legislatore avrebbe potuto risparmiarsi, almeno per quanto concerne le amministrazioni locali del Sud in quanto è perfettamente a conoscenza delle condizioni economiche in cui le stesse versano. Infatti, per il sindaco di Taurianova non è pensabile sopprime tali uffici e, poi prevedere la possibilità, da parte degli Enti Locali, di richiedereilmantenimentocon speseatotalecarico loro. «Noi siamo pronti – continua la nota- a fare tutti gli ulteriori interventi mirati al mantenimento di tale ufficio in Taurianova e, allo stato, l'unico ostacolo che si frappone è quello della non disponibilità di risorse economiche per assumere a proprio carico le spese di funzionamento e di mantenimento. Le chiediamo un suo autorevole intervento Parlamentare per fare ottenerea questaCittà unadeguato finanziamento da destinare allo scopo cui tutti miriamo. Noi quello che possiamo garantire di fare è che non appena ricevuti i finanziamenti necessari adotteremo tutte le conseguenti necessarie procedure». Romeo chiede alla finiana di evitare di richiamare in futuro continuamente gli scioglimenti del consiglio comunale di Taurianova poiché “la stragrande maggioranza dei taurianovesi è costituita da persone perbene”. data di entrata in vigore della norma che aveva concesso i domiciliari alla Pesce. Alla donna viene imputato il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso per aver fatto parte della ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca Pesce. In particolare, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto un ruolo di collegamento e trasferimento di comunicazioni ed ordini tra detenuti della cosca e gli altri associati in riferimento alle modalità di ogni singola attività estorsiva di cui sono accusati i membri della ‘ndrina. do.ga. Maria Grazia Pesce Operazione “Imelda”: accuse di narcotraffico La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza a Vincenzo Ascone LA Corte di Cassazione ha an- nuncia della Cassazione indinullatocon rinviol'ordinanza vidua come "costante e apnei confronti di Vincenzo prezzabile" l'apporto di un asAscone di Rosarno, ritenuto sociato perchè si possa riteneuno degli organizzatori e pro- re rilevante. Secondo le contemotori dell'associazione dedi- stazioni degli avvocato Fonte ta al narcotraffico scoperchia- e Contestabile Ascone nell'arco temporale in cui gli si conteta con l'operazione "Imelda". sta il reato non La Suprema aveva modo di opeCorte ha accolto rare in maniera le istanze degli assidua e operatiavvocati Leone va. Fonte e Guido Tutto torna Contestabile che dunque nelle maavverso alla decini del Tdl di Regsione del Tribugio. La decisione nale della Libertà della Corte di Casdi Reggio Calasazione avrà cerbria, hanno evitamente una ricadenziato come duta anche sulla Ascone, al mo- Vincenzo Ascone posizione di Vinmento dei reati contestati, si trovasse per ben cenzo Ascone nell'ambito del due volte in stato di fermo per processo che l'imputato ha altritipi direati.Secondo lari- scelto di affrontare in rito abcostruzione dei legali l'uomo breviato. Con l'operazione di Rosarno non avrebbe quin- "Imelda" vennero arrestate 31 di potuto, perchè ristretto e persone affiliate alle cosche sorvegliato, organizzare o che gestivano un ingente trafpartecipare ad alcuna asso- fico di sostanze stupefacenti ciazione. L'avvocato Fonte ha dal Sud America. rilevato come una stessa prop.v. BREVI GIOIA TAURO Residuo pena ai domiciliari I CARABINIERI della Stazione di Gioia Tauro, in esecuzione di un ordine di esecuzione per l’espiazione di una pena detentiva in regime di detenzione domiciliare, hanno arrestato B.R., 27 anni, perchè dovrà espiare la pena residua di quattro mesi di reclusione poiché riconosciuto responsabile del reato di furto aggravato in concorso. CINQUEFRONDI Ricettazione arrestato I MILITARI della stazione di Cinquefrondi hanno notificato la misura cautelare degli arresti domiciliari, in esecuzione ordinanza custodia cautelare emessa dal TRibunale di Palmi, a D.G., 29 anni: il giovane è sotto accusa per ricettazione e riciclaggio. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Piana Giovedì 2 febbraio 2012 15 Giovedì 2 febbraio 2012 REDAZIONE: via Rossini, 2 - 87040 Castrolibero (CS) - Tel. (0984) 852828 - Fax (0984) 853893 - E-mail: [email protected] Trebisacce Camigliatello Sospeso il servizio di Cardiologia a pagina 29 L’Ospedale di Trebisacce Maltempo, la Sila prigioniera del gelo a pagina 24 Neve in Sila Lo scopo è accertare eventuali pressioni da parte della criminalità organizzata cosentina Ecologia Oggi, appalto sospetto La nuova pista battuta dalla Procura sull’intimidazione subita a gennaio di ROBERTO GRANDINETTI LA PROCURA di Cosenza, nella persona del pubblico ministero Salvatore Di Maio, sta seguendo una nuova pista per fare luce sull’intimidazione subita un mese fa circa da “Ecologia Oggi”, azienda che, per conto del Comune, si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi e urbani. Come si ricorderà un autocompattatore fu preso di mira da tre malviventi armati di tutto punto nei pressi di Serra Spiga. L’autista fu fatto scendere e fatto allontanare insieme agli altri due operatori incaricati alla raccolta dei rifiuti. Il mezzo fu quindi dato alle fiamme. Una brutta vicenda, che ricorda una vecchia indagine denominata “Fiamme nella notte”. Ebbene, Di Maio da pochi giorni ha concentrato le proprie investigazioni anche sull’appalto aggiudicato da “Ecologia Oggi” e sul contratto sottoscritto col Comune di Cosenza. Lo scopo del magistrato bruzio è quello di accertare eventuali pressioni da parte della criminalità organizzata, soprattutto per quanto riguarda l’eventuale affidamento di servizi in subappalto. A tal proposito saranno controllati tutti gli incartamenti ufficiali. Nulla vuole essere lasciato al caso. Si sospetta anche che l’azione intimidatoria abbia a che fare con le assunzioni decise da “Ecologia Oggi”, forse mal digerite dalla criminalità organizzata. Obiettivo della Procura bruzia è chiudere il cerchio in tempi brevi e dare un nome ai responsabili dell’intimidazione subita i primi di gennaio dall’azienda lametina presieduta da Eugenio Guarascio, che tra l’altro è anche patron della squadra di calcio del Cosenza. Il mezzo di “Ecologia Oggi”fu preso di mira la notte del 4 gennaio. Tre le persone che, col volto coperto, entrarono in azione intorno all’una di notte. Due erano armate di pistola, una di mitraglietta. Bloccarono l’autocompattatore, fecero scendere con le brutte l’autista, che fu minacciato insieme agli altri due operatori intenti a raccogliere i rifiuti dai cassonetti. I tre malviventi cosparsero quindi di benzina il mezzo di “Ecologia Oggi” e gli diedero fuoco. Guarascio in sede di denuncia presentata alla Questura non riferì di minacce o richieste estorsive. Sulla vicenda intervenne il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, che nel dirsi vicino ai lavoratori, affermò che «evidentemente il lavoro onesto e trasparente di chi opera per offrire servizi alla comunità infastidisce qualcuno che tenta di affermare ipropri loschiinteressi con la violenza. Mi auguro che le forze dell'ordine facciano presto luce su quanto accaduto. L'amministrazione è vicina ai lavoratori e alla proprietà di questa azienda». La società di Guarascio fu presa di mira altre tre volte. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio scorsi a Paola venne infatti dato alle fiamme un altro autocompattatore. Nell’agosto 2009 qualcuno appiccò il fuoco all’interno del deposito di Lamezia Terme. Sempre nel deposito lametino le fiamme divamparono anche nel luglio del 2008. Una serie di messaggi intimidatori, che ha avuto il suo epilogo il 4 gennaio scorso, coi tre che hanno fatto passare una brutta nottata ai dipendenti di “Ecologia Oggi” che stavano lavorando su Serra Spiga e che sono stati costretti a tornare a casa a piedi mentre l’autocompattatore veniva divorato dalle fiamme. La polemica La piscina incompiuta Un mezzo fu bloccato a Serra Spiga e dato alle fiamme E’ BOTTA e risposta tra il gruppo consiliare del Pd e l’assessore Vizza sulla piscina coperta acquatico, incompiuta. a pag. 18 A Roma Una via per suor Elena SUOR Elena Aiello, proclamata beata, avrà una via a lei dedicata a Roma su iniziativa del Comune capitolino. a pag. 22 L’autompattatore distrutto dalle fiamme IL PROCESSO SI SVOLGERA’ oggi, dinanzi ai giudici della Corte di Appello di Catanzaro (Barone presidente) e al procuratore generale Eugenio Facciolla, il processo di secondo grado concentrato sull’omicidio di Tullio Capalbo, il ristoratore di 36 anni trovato cadavere il 28 settembre del 1998 nel bagagliaio della sua automobile. Si parte dall’assoluzione piena, risalente al 29 giugno del 2010 in sede di rito abbreviato, dei quattro imputati. Si tratta di Sandro Daniele, titolare della palestra Scorpion, attorno alla quale ruota tutta la vicenda, e il commercialista Salvatore Salamò, che il pm della Dda Raffaella Sforza ritenne responsabili dell’omicidio e per i quali chiese 22 anni di reclusione a testa, di Concettina Daniele e del presunto boss cosentino Gianfranco Ruà, imputati invece del reato di trasferimento fraudolento di valori e per i quali la Sforza aveva chiesto rispettivamente sei Delitto Capalbo, parola all’Appello Imputati Daniele e Salamò, in primo grado assolti con la formula piena e quattro anni di reclusione. Alla sentenza di assoluzione (emessa dal gup di Catanzaro Tiziana Macrì) si giunse dopo tre anni di dibattimento. Quindi l’impugnazione da parte della stessa Sforza, col processo di secondo grado che dovrebbe definirsi oggi stesso. L’ipotesi della pubblica accusa è che Ruà fosse socio occulto della palestra Scorpion. Per non farlo risultare nella compagine societaria i due Daniele avrebbero intestato fittiziamente delle quote societarie a terzi. Secondo la ricostruzione della Dda, Capalbo quel 28 settembre del 1999 uscì dalla sua casa di Cerisano di buon’ora con l’intento di rientrarvi dopo breve tempo. A casa, invece, non fece più ritorno. Il suo cadavere fu trovato nella notte nei pressi della stazione ferroviaria di Castiglione cosentino. Il suo corpo era stato occultato dagli assassini all’interno del bagagliaio della Mercedes di proprietà della vittima. A finirlo due colpi di pistola, esplosi da una Beretta. Pistola simile a quella regolarmente detenuta da Daniele. Nella requisitoria il pm della Dda, Raffaella Sforza, sostenne che il ristoratore era stato ucciso per un prestito di 500 milioni delle vecchie lire, fatto a Daniele e Salamò. Un debito che i due non sarebbero stati in grado di restituire e che - sempre secondo la Dda - ri- schiava di pregiudicare gli interessi di Ruà. Da qui la decisione di attirare in una trappola Capalbo per poi ucciderlo ed eliminare il problema. Ipotesi sempre fortemente contestate dall’agguerrito collegio difensivo composto dall’avvocato Franco Sammarco e Marcello Manna per Sandro Daniele; Franz Caruso e Giorgia Greco per Salamò, e Manna e Vittorio Gallucci per Concettina Daniele. E in primo grado la difesa ha avuto la meglio, ottenendo per i quattro imputati l’assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto”. Oggi l’appuntamento coi giudici dell’Appello. Vedremo come andrà a finire. r. gr. Il pg Eugenio Facciolla E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Cosenza 24 REDAZIONE: Piazza Serravalle, 9 - 88100 Catanzaro - Tel. 0961.792164 - E-mail: [email protected] “Operazione Showdown”. Decifrato il delitto di Vito Tolone ucciso il 31 gennaio 2008 La cantata del figlio del boss Il collaboratore di giustizia Bruno Procopio fa luce sugli omicidi di faida di AMALIA FEROLETO A FARE luce sulla lunga scia di omicidi, consumati dal 2008 al 2010 nell’ambito della riaperta e cruenta guerra tra clan rivali, (ma anche sulle scissioni all’interno delle stesse ‘ndrine), che ha seminato morte e lutti sul territorio tra le Serre Vibonesi, l’Alta Locride ed il Basso jonio Soveratese, ultimamente sono stati i collaboratori di giustizia Domenico e Vincenzo Todaro, padre e fratello di quel Giuseppe Todaro, 28 anni ,vittima di lupara bianca. Alle “cantatine”dei Todaro da qualche tempo si è aggiunta anche quella di Bruno Procopio, 24 anni figlio di uno dei presunti boss del Soveratese, Fiorito Procopio, detto Fiore dell’omonima cosca Sia - Tripodi- Procopio di recente decapitata in un mega blitz di carabinieri e guardia di Finanza con l’operazione “Showdown”. Procopio ha rivelato agli inquirenti preziosi elementi non solo sull’omicidio di Ferdinando Rombolà 40 anni avvenuto il 22 agosto 2010 sulla spiaggia di Soverato, di cui si è accusato, ma anche sull’omicidio dei gemelli Vito e Nicola Grattà, uccisi a colpi di lupara e kalashnikov l’11 giugno del 2010 a Gagliato in un garagementre giocavanoacarte. Nel gruppo Sia, contrapposto al clan Gallace scisso dai Novella, era maturato il sospetto che i gemelli Grattà avessero aiutato i Todaro per vendicare la scomparsa del figlio Giuseppe il 21 dicembre del 2009 e quindi ad organizzare il tentato omicidio del boss Vittorio Sia l’11 marzo 2010 (poi ucciso il 22 aprile 2010) insieme a Daniela Iozzo, (all’epoca convivente di Il luogo dell’agguato a Vittorio Sia Giuseppe e in attesa di un figlio), e di Giovanni Angotti. Inoltre, stando alle intercettazioni telefoniche ed ambientali fatte dagli inquirenti oltre alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sarebbe anche maturata la convinzione che Ferdinando Rombolà fosse uno dei killer che avrebbe partecipato al gruppo di fuoco in cui fu ucciso prima Vittorio Sia e poi il 23 luglio Agostino Procopio e per questo il Rombolà sarebbe stato eliminato. Determinante a tale proposito il colloquio in carcere avvenuto tra Alberto Sia, figlio di Vittorio, (arrestato insieme ad altri perchè ritenuto il mandante dell’omicidio Grattà) la madre Liberata e la sorella Rita. In quella occasione Alberto ribadiva alla madre che ad assassinare il padre era stato «quello della Marina» e che anche una testimone lo aveva visto e riconosciuto. E verosimilmente per gli inquirenti si trattava proprio di Rombolà. Insomma Rombolà, così come quel Francesco Muccari 35 anni ucciso a Isca sullo Jonio il 16 marzo 2010,sarebbe statounodegli uomini di azione e per questo ritenuto pericoloso. Ma c’è anche molto di più. Gli inquirenti sono riusciti a stabilire che c’era un collegamento tra la cosca del Soveratese e le altre ‘ndrine di Vallefiorita ma anche di Isola Capo Rizzuto. Proprio come fossero vasi comunicanti. E non solo per mettere le mani sul nuovo business dell’eolico per cui, tra l’altro, sarebbe stato ucciso a Vallefiorita il 16 maggio 2010, Giovanni Bruno presunto boss locale. I rancori e le lotte intestine covavano già da tempo tra i gruppi criminali della zona. Esplosi poi in modo plateale dopo la morte del boss di Guardavalle, Carmelo Novella il 14 luglio 2008 a S. Vittore Olona e del mammasantissima Damiano Vallelunga il 27 settembre 2009 a Riace. Ed in un significativo passaggio dell’ordinanza di fermo per 18 persone “Showdown” si arriva a scoprire perchè fu fatto fuori il 31 gennaio del 2008 a Vallefiorita il presunto boss locale Vito Tolone, che gestiva una casa di riposo nella zona. In quel frangente gli interessi dell cosca del Soveratese erano appuntati sugli introiti del parcheggio di una nota discoteca della zona e di cui Tolone aveva la gestione. Tolone, in sostanza, avrebbe preteso che tra i beneficiari degli introiti cifossero anche gli Iozzo legati ai Todaro ed ai Grattà ma nemici giurati di Sia e gli altri. E da qui sarebbero nati i contrasti con Damiano Vallelunga, boss de Viperari di Serra San Bruno, Vittorio Sia e Fiorito Procopio. Fiumi e fiumi di inchiostro che raccontano in oltre settecento pagine la storia di questa cosca. L’egemonia che dal 2002 in poi, l’emergente boss del Soveratese Vittorio Sia grazie all’appoggio della cosca dei Costa di Siderno, dei Vallelunga di Serra e del narcotrafficante pugliese, Kaled Bayan, aveva instaurato non solo in Calabria ma anche oltre i confini della regione fino ad arrivare in Lombardia, come dimostrato dalle operazioni dell’Antimafia di Milano in collaborazione con la Dda di ReggioCalabria con le due maxi operazioni “Crimine”e“Infinito”. Isca. Coinvolti i Comuni del Basso Jonio e l’associazione Koinè Chiude il progetto “Arte Sud” Convegno con la presentazione dell’Antologia e degli artisti ISCA SULLO JONIO-Si è concluso, con la presenza di sindaci, amministratori, rappresentanti delle associazioni, curatori dell’Antologia, e gli artisti, il convegno per la presentazione e le conclusioni del progetto “Arte Sud”, promosso dall’Unione dei Comuni del “Versante Ionico” in collaborazione con l’associazione artistica “Koiné” e finanziato dall’assessorato regionale alla “Cultura”. Il progetto ha visto la partecipazione di 45 artisti italiani di alto profilo, vincitori di premi importanti, come il Laguna, Arte Mondadori, Celeste, Kombat. La manifestazione, aveva come obiettivo, hanno ribadito gli organizzatori, dare un’identità al territorio del Versante Ionico. Le varie mostre d’arte contemporanea, sono rimaste esposte per oltre un mese, negli otto Comuni dell’Unione. Nel portare il saluto il presidente dell’Unione Antonio Corasaniti, sindaco di Davoli, ha evidenziato che il progetto ha promosso cultura e arte «E’ stato un impegno notevole, e positiva è stata anche la partecipazione delle associazioni culturali dei vari Comuni. In , particolare a Davoli, la pro loco ha dato una mano concreta per allestire e promuovere l’esposizione delle opere d’arte. Opere che hanno toccato varie tematiche, tra le quali quella contro la cultura mafiosa, contro la droga, contro la violenza sulle donne e per la di- Frustaci, Londino, Corasaniti, Ferrari, fesa dell’ambiente». Nel suo intervento, Francesca Landino - critica d’arte, che ha curato il progetto, ha riconosciuto all’editore Settimio Ferrari, e Enzo Larocca direttore operativo dell’Unione, la grande capacità professionale per il successo dell’iniziativa. Londino ha spostato lo sguardo sull’aspetto squisitamente artistico del progetto spiegando che l’intento dell’iniziativa è stato duplice: creare una piattaforma di incontro e confronto tra artisti di diverse regioni, aperti ai grandi movimenti di arte contemporanea europei, e fornire uno strumento di comunicazione per affermare, con l’arte, l’identità di questo territorio. «L’antologia di otto autori del luogo - ha detto Landino - è, ora, un catalogo che raccoglie le opere d’arte esposte. La presentazione di questo catalogo, è lo strumento che racchiude l’anima e la filosofia dell’evento». Soddisfatto l’editore Ferrari. «Con il nostro progetto, la presenza dei numerosi visitatori, abbiamo dimostrato che anche nei piccoli centri si può fare molto per la cultura. Abbiamo trovato un tessuto fertile, interessante e interessato, con sindaci che non solo ci hanno supportato ma hanno mostrato passione e amore per l’iniziativa. Un ruolo importante è stato svolto anche dalla pubblicazione . dell’antologia, “Parole Viaggianti”, che ha raccolto, otto intellettuali di questa terra che hanno composto un’antologia ricca di tutto quello che la storia e il retroterra culturale di questa terra possa esprimere». Nei loro interventi i sindaci hanno valorizzato l’iniziativa. Enzo Larocca, ha sottolineato che con il progetto, “Arte a Sud” è stato gettato, un seme importante per il futuro di un territorio che non è secondo a nessuno, bellissimo, con energie e capacità creative considerevoli, che devono contribuire a far crescere la Calabria . f. l. CHIARAVALLE Per San Biagio gemellaggio con Maratea di MARIA PATRIZIA SANZO CHIARAVALLE - Un calendario fitto di appuntamenti che si terranno nelle giornate di oggi e domani è stato stilato per rendere omaggio al patrono di Chiaravalle, San Biagio, in una ricorrenza di festa che però è anche occasione di riflessione e conoscenza. Ed ecco quest'anno due rilevanti novità. Rientra in questo contesto l'avvio di un gemellaggio con il Comune di Maratea, sito in provincia di Potenza, uno dei più importanti luoghi di riferimento per i fedeli di San Biagio in quanto sede di un santuario che ne custodisce vari reliquie. Sarà presente per l'occasione il sindaco della citta- San Biagio dina lucana, Mario Di Trani. Una rappresentanza di autorità chiaravallesi si recherà in Basilicata in occasione dei festeggiamenti in onore di San Biagio che ivi si terranno in maggio. Collegato alla tradizione religiosa che vuole San Biagio invocato per la guarigione da mali fisici e in particolare dalle malattie della gola, è stato promosso un convegno “I tumori testa-collo. Presente e futuro nella Regione Calabria” e che si terrà giorno 3 febbraio. Un'iniziativa, patrocinata dalla Parrocchia, dal Comune di Chiaravalle e dal Comune di Maratea, nella quale rivestono un ruolo di primo piano, con il loro apporto scientifico, il Centro Oncologico d'Eccellenza Fondazione per la ricerca e per la cura dei tumori “Tommaso Campanella” e l'Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro. Terminata la messa in chiesa matrice delle ore 10 nel corso della quale ci sarà l'offerta del cero votivo da parte dell'Amministrazione comunale, l'appuntamento aprirà con il saluto alle ore 11 presso Palazzo Staglianò delle autorità. Da programma è previ- sta la presenza: del prefetto di Catanzaro, Antonio Reppucci; del sindaco di Chiaravalle, Gregorio Tino; del sindaco di Maratea, Mario Di Trani; del rettore dell'Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, Aldo Quattrone; del direttore generale della Fondazione “Tommaso Campanella”, Sinibaldo Esposito; del direttore generale dell'Azienda Ospedaliera “Mater Domini”, Florindo Antoniozzi; e del parroco di Chiaravalle, don Vincenzo Iezzi, il quale si soffermerà sulla figura di San Biagio. Relazioneranno su “I tumori del distretto testa-collo. Esperienza e casistica della Unità operativa di Otorinolaringoiatria Fondazione CampanellaUniversità degli Studi Magna Graecia di Catanzaro”, i professori Aldo Garozzo e Nicola Lombardo, i quali interverranno anche sul tema “Quale futuro per la cura dei tumori testa e collo nella nostra Regione?”, assieme al direttore sanitario della Fondazione “Tommaso Campanella”, Patrizia Doldo; al direttore sanitario dell'Azienda Ospedaliera “Mater Domini”, Caterina De Filippo, al direttore sanitario Asp di Catanzaro, Mario Catalano; e al direttore Uo di Orl dell'Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Domenico Destito. Saranno presenti anche medici di base e specialisti. Nell'ambito della due giorni di appuntamenti e di celebrazioni, connotate dalla benedizione della gola e dalla distribuzione delle candele, oggi giovedì 2 si terrà come di consueto la fiaccolata che dopo la funzione delle 17.30 condurrà fino a Largo Vignale per la posa di un cero innanzi alla statua di San Biagio lì collocata. Una giornata particolare, dunque, per la cittadina delle Preserre e per tutta la comunità dei fedeli che attende ansiosa lo svolgimento degli eventi con rinnovata fede. Promosso un convegno sui tumori femminili E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Soverato Giovedì 2 febbraio 2012 15 Giovedì 2 febbraio 2012 REDAZIONE: corso V. Emanuele III, 58 - Vibo Valentia - Tel. 0963/471595- Fax 472059 -E-mail: [email protected] Palazzo Luigi Razza Per ricettazione Sos Impresa Rifiuti, il Forum si mobilita Bilancio positivo a 4 mesi Condannato giovane per avviare la differenziata dalla nascita dello Sportello unAssolti a pagina 16 a pagina 17 altri due Le accuse riguardano a vario titolo spaccio di droga, detenzione di armi e furto Chiesto il giudizio per 13 Dal pm Sirgiovanni. A febbraio gli interventi dei legali degli indagati di GIANLUCA PRESTIA I REATI contestati riguardano spaccio di sostanza stupefacente in concorso, furto aggravato, detenzione di armi e munizionamento di provenienza illecita. Reati che secondo l'accusa portata avanti dal pubblico ministero Michele Sirgiovanni sarebbero stati commessi fino al 5 giugno del 2005 a vario titolo da 13 persone nei confronti delle quali il magistrato inquirente ha chiesto al gip di Vibo, Gabriella Lupoli, il rinvio a giudizio. L'inchiesta, denominata “Sister Mary”, era stata condotta dai carabinieri della Compagnia di Serra allora guidata dal capitano Orazio Ianniello e aveva portato alla luce una presunta attività illecita messa in atto dalle persone iscritte successivamente nel registro degli indagati. Il pm Sirgiovanni ha, quindi, chiesto il processo per Piero Sabarino, 30 anni, di Gerocarne; Bruno Sabatino, 33 anni, di Gerocarne; Domenico Monardo, 39 anni, anch'egli di Gerocarne; Pasquale Demarzo, 28 anni, di Dasà; Girolamo Macrì, 36 anni di Soriano; Donato Elios, 35 anni di Pizzoni; Concetto Trvato, 37 anni, di Lamezia Terme; Daniela Voci, 32 anni di Catanzaro; Cosimo Passalacqua, 36 anni di Catanzaro; Lorenzo Idà, 31 anni, di Gerocarne; Giuseppe Trecoz- zi, 48 anni, di Sant'Onofrio; Francesco Defina, 35 anni di Sant'Onofrio; e Carmelo Columbro, 50 anni, di Vibo. A tutti viene contestato il reato di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente di vario tipo. Spaccio che sarebbe avvenuto in tempi diversi e con quantitativi variabili come specificato nell'informativa redatta dai militari dell'Arma. In più a Piero Sabatino viene contestato il reato di detenzione di pistola con munizionamento, di provenienza illecita. A Pasquale Demarzo il reato di furto di armi, pluriaggravato ai danni del signor Giuseppe Cosentino. In più avrebbe detenuti due fucili di provenienza furtiva. Sempre a Demarzo viene l'accusa contesta il furto pluriaggravato ai danni del “Bar Carmelo” di Rocco Montirosso e, infine, anche quello nell'autovettura di Fortunato Irardo che, unitamente a Montirosso e Cosentino, è identificato quale parte lesa. La prossima udienza preliminare si terrà l’8 febbraio quando inizieranno gli intereventi dei difensori degli indagati. Al riguardo gli avvocati che sosterranno le ragioni delle 13 persone coinvolte sono Giuseppe Orecchio, Luigi Gullo, Francesco Rombolà, Bruno Ganino, Enzo Galeota, Francesco Sorrentino, Domenico Villella e Domenico Ioppolo. Il palazzo di giustizia di Vibo Valentia Il pm Michele Sirgiovanni Domenico Monardo Bruno Sabatino Piero Sabatino SI è concluso con una condanna e due assoluzioni il processo per ricettazione di oggetto provento di furto che vedeva imputati tre giovani. Questa la decisione del giudice monocratico Violetta Romano nell'udienza di martedì scorso nell'aula al primo piano del palazzo di giustizia vibonese. Le accuse venivano contestate a Michele La Grotteria, Michele Pisani, di Monterosso, e Andrea Ciconte, di Sorianello. Questi ultimi due difesi dall'avvocato Antonio Maio. Sostanzialmente la vicenda riguardava uno scambio che La Grotteria aveva proposto a Pisani il quale aveva ricevuto il telefonino. Questi, a sua volta l'aveva successivamente barattato con un autoradio. Le indagini eseguite dai militari dell'Arma aveva consentito di risalire ai tre giovani che erano stati in rinviati a giudizio davanti al tribunale monocratico. Nell'udienza di ieri l'avvocato Maio ha evidenziato come il suo cliente Pisani non fosse stato messo a conoscenza della provenienza illecita dell'oggetto facendo, così, leva sulla sua buona fede. Stesso dicasi per Ciconte. Per questo aveva chiesto l'assoluzione dei suoi due assistiti, mentre il pubblico ministero Domenico Folino, aveva chiesto la condanna per tutti e tre gli imputati alla pena di 3 mesi di reclusione e 200 euro di multa. Alla fine il giudice Romano ha concordato con la la tesi difensiva dell'avvocato Maio assolvendo Pisani e Ciconte perché il fatto non costituisce reato. Condannato, invece, alla pena richiesta dal pm, Michele La Grotteria. gl. p. LA LETTERA LE prigioni di una moglie, di una mamma, di una nonna, di una donna, sono quelle per il quale nessuno al giorno d'oggi si interroga veramente. Rinchiusa tra il dolore di un marito portato via in una notte di settembre e il dolore di una famiglia che improvvisamente si sente orfana dell'amore paterno e della Giustizia. Racconto il mio sfogo, tenuto dentro per dieci lunghi anni, all'indomani dell'assoluzione con formula piena di mio marito, accusato insieme a mio genero di aver estorto e minacciato con modalità mafiose un uomo vittima apparente d’un raggiro perpetrato ai suoi danni. No, non voglio stare qui a giudicare quanto credibili o meno, alla luce della sentenza in primo grado di lunedì scorso, fossero i coniugi Grasso, perché a cancellare certe supposizioni ci ha pensato già un Tribunale. Quello che mi preme, ora che questo incubo è finito, è semplicemente raccontare la mia odissea. E spero non me ne vorrete. La mia odissea durata dieci anni Tutto inizia nel 2002, quando le nostre attività di famiglia vengono bloccate e le nostre licenze ritirate. Ancora oggi, dopo dieci anni, non siamo padroni dei nostri beni, perchè quelle cause in itinere risultano essere insolute in attesa della sentenza della Cassazione. Qui potrei aprire una parentesi, per certi versi scomoda. La nostra famiglia paga lo scotto di non aver mai voluto piegarsi al ricatto dei cosiddetti “colletti bianchi”, perchè la nostra famiglia le sue proprietà le ha costruite negli anni e con fatica. Nessuno può arrogarsi il diritto di prendersi ciò che non è suo e di tentare poi, cosa ancora più grave, una collaborazione di tipo “do ut des” per addolcire una pena che risulta essere ingiusta già prima della sua applicazione. Ma non importa, siamo persone abituate al sacrificio e come tali abbiamo preferito l'onore ai soldi, per giunta nostri. Nel 2006 il disastro più grande. Parte l'operazione “Odissea”. Mio marito viene arrestato insieme a mio genero, portati via dopo un blitz notturno dei Carabinieri. Per loro si aprono le porte delle carceri, per me e per la mia famiglia inizia l'incubo. Un anno e sei mesi tra detenzione e domiciliari e tre anni di sorveglianza speciale. Nel frattempo, decine e decine di perquisizioni diurne e notturne nella mia abitazione, tutte, e mi preme sottolinearlo, con esito negativo. Nel frattempo mia figlia partorisce la sua primogenita con il marito assente perché detenuto. I miei figli più piccoli e i miei nipotini ancora oggi si sve- gliano nel cuore della notte impauriti ad ogni minimo rumore. Addirittura nel 2007 io personalmente vengo ascoltata negli uffici della Procura perchè infamata da un qualche vigliacco informatore di stare organizzando un attentato dinamitardo contro la famiglia Grasso. E poi la vergogna, l'umiliazione continua di essere vista dalla gente come una persona cattiva, moglie e suocera di persone cattive. E questo perchè? Perchè la famiglia Accorinti ha il villaggio turistico, la barca e una bella casa, senza chiedersi quanto la famiglia Accorinti abbia sudato per poterli avere, dopo una vita passata nella modestia e nel sacrificio. Noi siamo gente del popolo, figli di pescatori. I nostri risparmi li mettiamo da parte per lasciare tutto ai no- stri figli. Qualcuno di Briatico poi ha pure millantato, informando maldestramente chi di competenza, che mio marito avesse insieme ad un noto avvocato della zona delle proprietà all'estero. Risultato delle indagini? Sempre e solo negativo. Come del resto la sentenza di lunedì. Assolti per non aver commesso il fatto. Sei anni di persecuzione per poi scoprire che era tutta un invenzione. Con questa lettera non voglio chiedere niente a nessuno né, tanto meno, accusare questo apparato dello Stato e quel collaboratore di giustizia. Nel ringraziare comunque quella Giustizia leale e garantista che ha fatto piena luce su tutti gli avvenimenti accadutici, vorrei ora solo un po’ di pace. Ho bisogno di godermi il tempo e la mia famiglia, visto che di tempo e di famiglia non me ne sono goduta neanche un minuto negli ultimi dieci anni. Carmela Napoli moglie di Antonino Accorinti e suocera di Salvatore Muggeri E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Vibo dal POLLINO alloSTRETTO Blitz del Nas nelle case di cura calabria ora GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 5 Sedici persone denunciate sul Tirreno cosentino. Coinvolti dirigenti medici PAOLA (CS) strutture sanitarie, reputati responsabili di truffa ai danni Quattordici dirigenti medi- del Servizio sanitario nazionaci e due sedicenti tecnici non le, nonché altre due persone iscritti ad alcun albo profes- per aver esercitato abusivasione sono stati denunciati mente la professione sanitaper concorso in truffa ai dan- ria di fisioterapista. È stato reni del Servizio sanitario nazio- so noto, inoltre, che sono in nale ed esercizio abusivo del- corso ulteriori accertamenti la professione sanitaria. È tesi a quantificare il danno questo il risultato di un blitz provocato all’erario. Durante i controlli sono messo a segno dai carabinieri del Nas di Cosenza in tre co- stati scoperti rimborsi per muni del medio e alto Tirreno prestazioni non autorizzate e cosentino. I presunti illeciti, due fisioterapisti che esercitavano l’attività secondo le inabusivamendagini degli Smascherati te. I militari specialisti del anche due finti hanno effetNas, sarebbetuato accertaro stati contecnici che sumati nelle menti su deesercitavano case di cura lega della come fisioterapisti procura della “San Luca” di Repubblica Praia a Mare, “Arena” di Sangineto, “Casci- di Paola, coordinati dal proni” e “Tricarico” di Belvedere curatore capo Bruno Giordano. I controlli sono stati effetMarittimo. In totale sono state denun- tuati presso le quattro strutciate alla procura della Re- ture sanitarie private accredipubblica di Paola, diretta dal tate che forniscono prestazioprocuratore capo Bruno Gior- ni in regime di convenzione dano, 16 persone: i legali rap- con il Servizio sanitario naziopresentanti e i direttori sanita- nale. Le indagini, ancora in ri delle quattro case di cura e corso, mirano ad accertare i sei medici operanti presso il particolari di una presunta sepronto soccorso di una delle rie di truffe che sarebbero sta- Da sinistra, il procuratore di Paola, Bruno Giordano, e due carabinieri del Nas te perpetrate ai danni dello Stato. Gli specialisti del Nas, in particolare, hanno accertato casi di prestazioni diagnostiche rimborsate nonostante non fossero previste nella convenzione stipulata tra il Ssn e la struttura, dove sono stati inoltre individuati soggetti che svolgevano attività medica di fisioterapia nonostante fossero privi di idoneo titolo professionale; interventi odontoiatrici eseguiti presso un centro dentistico in regime di day-hospital, registrati e rimborsati come ricoveri or- dinari della durata di più giorni; terapie per il trattamento di patologie urinarie (litotrissia) e per la cura dell’infertilità nella coppia, erogate sebbene la struttura non riunisse i requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla normativa; registrazione, da parte di una casa di cura, di numerosi ricoveri effettuati in urgenza che, dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri del Nucleo cosentino, sono risultati ordinarie e programmate prestazioni ambulatoriali. Dall’indagine è emerso che i ricoveri hanno spesso riguardato interi nuclei familiari di origine lucana e siciliana i cui componenti, di fronte alle domande poste dai militari, hanno ammesso che le degenze, lungi dal rivestire un carattere di urgenza sanitaria, erano in realtà state pianificate solo al fine di fornire assistenza a un congiunto ricoverato. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno acquisito numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli aspetti legati agli esami eseguiti in regime di ricovero che quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate. «Si tratta di indagini che riguardano il periodo compreso tra il 2008 e il 2010 ed è stato un lavoro lungo e certosino, compiuto dai Carabinieri del Nas», ha dichiarato il procuratore di Paola, Bruno Giordano, relativamente alle accuse di truffa contestate ai rappresentanti legali e a diversi medici di quattro cliniche del tirreno cosentino. «Ci sono – ha concluso Giordano - 16 persone imputate, perché abbiamo già chiesto per loro il rinvio a giudizio per truffa aggravata». Intanto Giuseppe Farina, il rappresentante legale legale delle case di cura private coinvolte nell’inchiesta della Procura di Paola, in una nota, si è così espresso: «Le case di cura Arena, Cascini e S. Luca, aziende di eccellenza, apprezzate dalle popolazioni assistite da molti lustri, sono estranee ad ogni possibile abuso ma, riponendo fiducia totale nella magistratura, censurano questo modo di fare i processi in piazza». GUIDO SCARPINO [email protected] mistero risolto Riducono in fin di vita una donna Corigliano, i carabinieri hanno tratto in arresto due bulgari CORIGLIANO (CS) Non è stato il convivente della 57enne bulgara a ridurla in fin di vita martedì pomeriggio nella sua abitazione a Schiavonea. Bensì due conoscenti della donna che ieri sono stati tratti in arresto dai carabinieri della locale compagna diretta dal capitano Pietro Paolo Rubbo. Gli inquirenti ora cercano di definire il movente che ha scatenato l’inaudita e per certi versi assurda violenza dei due cittadini bulgari nei confronti della connazionale 57enne. Teatro di questa brutta storia, un’abitazione di via Maiorana della frazione Schiavonea di Corigliano. È stato lo stesso capitano Rubbo a fornire i dettagli attualmente in possesso degli inquirenti nel corso di una conferenza stampa tenutasi ieri mattina dove ha spiegato come i suoi uomini non hanno lesinato energie dal momento in cui sono entrati in azione. Questi i fatti. È pomeriggio in via Maiorana allorquando un vicino di casa di una signora bulgara di 57 anni, sente un grande frastuono proveniente dall’abitazione. Per l’uomo si dovrebbe trattare di un litigio familiare. Non ci pensa su due volte è con il telefono chiama il 112 dei carabinieri. Una pattuglia dei militari dell’arma è nel- In alto, i due aggressori della donna: Albena Petrova (a sinistra) e Todor Totev; a sinistra, sangue e vetri rotti nella casa teatro della violenza le vicinanze e giunge sul posto dopo pochi minuti dalla chiamata, ed è davvero una fortuna per la vittima della violenza perché viene sottratta dalle grinfie dei suoi aggressioni e, di fatto, salvata. Ma cos’è successo? Due cittadini bulgari Todor Totev, 38 anni, e Albena Petrova, 33 anni, dopo avere forzato con un martello e uno scalpello la porta d’ingresso blindata dell’abitazione della 57enne, bracciante agricola, le avevano dapprima chiesto di consegnare loro del denaro, per poi picchiarla selvaggia- mente colpendola più volte con una sedia ed una cinghia, appropriandosi nel frattempo di una macchina fotografica, due telefoni cellulari e documenti, tutti di sua proprietà. Eppure Totev e Petrova (che non sono marito e moglie) conoscono bene la connazionale, con la quale pare che, in apparenza, non vi erano mai stati screzi, tanto che la 57enne li avrebbe pure ospitati. L’aggressione diventa così violenta che ad un certo punto i due sbattono più volte la 57enne contro una grata di ferro. Ed è stato pro- prio in questo frangente che giunge- (Bulgaria), 38 anni, ivi residente, dovano sul posto i carabinieri. I milita- miciliato in Corigliano, coniugato, ri, che vicino la casa trovano anche il nullafacente e Albena Petrova, nata a convivente della malcapitata, entra- Ruse (Bulgaria), 33 anni, ivi residenno in casa e immobilizzano i due. La te, domiciliata in Corigliano, coniugata, casalinga, sono vittima dell’aggresstati arrestati con le sione veniva prontaIn un primo accuse di tentato mente soccorsa e momento omicidio e rapina in trasportata dappriconcorso. Dopo le ma presso il locale si è sospettato formalità di rito Toospedale civile, per del convivente tev è stato rinchiuso poi essere trasferita della donna nel carcere di Rossapresso l’ospedale di no, mentre la PetroTrebisacce e successivamente presso l’ospedale di Acri, va si trova rinchiusa a Castrovillari. dove si trova attualmente ricoverata Gli inquirenti stanno cercando di casotto osservazione, comunque non pire l’esatto movente che ha spinto i in pericolo di vita, con una prognosi due bulgari a colpire la connazionadi 15 giorni per policontusione da ag- le con tanta violenza. gressione. GIACINTO DE PASQUALE Todor Totev, nato a Tutrakan [email protected] 6 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 D A L Marchese: anche per i prodotti generici i fornitori erano sempre gli stessi LOCRI (RC) L’ex Azienda sanitaria numero 9 ricorreva sempre alle stesse ditte. Per le forniture di beni e servizi, gli uffici amministrativi partorivano ordini d’acquisto senza una determina e facevano volentieri a meno del bando di gara. Una commessa da 135mila euro, nel 2005, è stata assegnata mediante procedura negoziata. Il contraente prescelto, la Medinex di Reggio Calabria, ha consegnato una montagna di merce al Pronto soccorso. «Era prassi. Per 15 anni, all’ospedale di Locri, non si è fatto un bando di gara. Anche quando si trattava di acquistare prodotti generici, i fornitori erano sempre gli stessi. Ho più volte scritto all’ufficio competente, ma mi è stato riferito che c’erano dei problemi tecnici», dice in aula l’imputato Maurizio Marchese. L’uomo, dal maggio 2004 all’ottobre 2005, ha prestato servizio all’Asl 9, dove ha ricoperto il ruolo di direttore amministrativo. Ora, però, è coinvolto in un’inchiesta della Procura di Locri. Ieri è stato sentito nel corso del processo che vede la parlamentare del Pd, Maria Grazia Laganà, nell’insolita veste di imputato. Nei confronti del politico (ieri assente per impegni istituzio- P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O «Per 15 anni non s’è fatto alcun bando di gara» Tentata truffa all’ex Asl di Locri, sentiti due imputati IN CARCERE Il capo della Medinex Pasquale Rappoccio, imprenditore arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso A destra, l’ospedale di Locri nali) il pubblico ministero, Giuseppe Adornato, muove accuse infamanti. Quando era vicedirettore sanitario ha ordinato prodotti Medinex per 132mila euro. Quei beni (mascherine, borse del ghiaccio e camici) sono stati richiesti senza indire un bando di gara, ricorrendo alla trattativa privata, che il legislatore vieta quando la spesa supera la soglia dei 20mila euro. Un iter anomalo, secondo gli inquirenti, in cui le incongruenze sono tante. A partire dal metodo adottato: scelta del contraente e non bando pubblico, come sarebbe stato logico alla luce di un importo così elevato. Per dare senso alla procedura adottata, è l’assunto del pm, l’imputata Maria Grazia Laganà «ha attestato il falso», descrivendo «i beni richiesti come infun- gibili e unici». Accuse tutte da dimostrare in aula, in un procedimento che vede coinvolte altre tre persone: il capo della Medinex, Pasquale Rappoccio, imprenditore arrestato per mafia, il funzionario Asl Nunzio Papa e la dottoressa Albina Micheletti. Tutto ha inizio dopo la morte di Francesco Fortugno, il vicepresidente del consiglio regionale della Calabria assassinato nell’ottobre 2005 a Locri. I militari della Guardia di finanza indagavano sulla vita amministrativa dell’Azienda sanitaria numero 9. Al Pronto soccorso, dove il politico assassinato aveva prestato servizio come primario, la nuova responsabile, Albina Micheletti, era andata su tutte le furie per un gigantesco carico di ora Rappoccio: quel carico non era enorme, 1500 mascherine non sono tante merce giunto in magazzino direttamente dalla Medinex. «I prodotti della Medinex – documentarono le fiamme gialle in una informativa trasmessa alla Procura – non erano né unici né infungibili, dunque doveva essere predisposto un bando di gara. È radicata la convinzione circa l’esistenza di un vero e proprio “cartello” affaristico costituito da dirigenti dell’area amministrativa e da alcune ditte fornitrici esterne». Sul punto, ieri, è stato sentito l’imputato Rappoccio, l’imprenditore in carcere con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. «Il dottore Fortugno e la dottoressa Laganà, sì e no, li ho incontrati un paio di volte, ma mai ho discusso con loro di questo ordinativo», ha riferito ai giudici. «Quel carico non era enorme, 1500 mascherine, per un ospedale, non sono un’enormità. L’unicità dei prodotti, inoltre, non è stata attestata da me, bensì dalla casa madre, la Kimberly. Erano beni che presentavano caratteristiche peculiari», ha raccontato poi al banco dei testimoni. Il giudice Alfredo Sicuro ha fissato la data della prossima udienza. Si terrà il sei marzo. Deporrà la parlamentare Maria Grazia Laganà. ILARIO FILIPPONE [email protected] delitto rombolà CATANZARO Domenica 22 agosto 2010. Un tranquillo pomeriggio estivo sulla spiaggia di Soverato. Ferdinando Rombolà era al mare, con la moglie ed il figlio. Poi un uomo si fece strada tra i bagnanti e lo giustiziò a colpi di pistola. Omicidio di mafia, omicidio che - non hanno alcun dubbio gli inquirenti - rientra nello stillicidio di morti provocati dalla faida che dal 2008 ad oggi ha insanguinato il litorale jonico al confine tra le province di Vibo, Catanzaro e Reggio Calabria. Bruno Procopio - erede di Fiorito Procopio, presunto capomafia di Davoli e San Sostene -, l’ultimo pentito di ’ndrangheta, racconta i retroscena di quell’agguato così barbaro e spregiudicato. «Ho partecipato all’esecuzione», spiega al pm antimafia Vincenzo Capomolla nel suo primo verbale da collaborante, redatto il 16 dicembre del 2011. Guidava la moto - racconta - che condusse il sicario, «Antonio Gullà», sul luogo dell’agguato. «Gullà - dice a verbale - ha verificato che l’obiettivo era in spiaggia». Già prima l’avevano pedinato «con l’intenzione di eliminarlo». E quindi: «Io e Gullà siamo arrivati con la moto. Lui è sceso, è andato in spiaggia mentre io sono rimasto indietro. È stato consumato l’omicidio, Gullà è tornato sui suoi passi e siamo scappati. Abbiamo poi bruciato la moto ed abbiamo portato con noi i caschi e le armi». Procopio sottolinea: «Lui non aveva preoccupazioni in quanto quello del killer era il suo mestiere». Non tutto, però, andò secondo i piani: «Ci doveva essere una terza persona ad aspettarci con la macchina che però per paura non è venuta all’appuntamento. Io e Gullà siamo scappati a piedi e ci siamo disfatti dei caschi e della borsa contenente le pistole. Ci siamo separati e poi ritrovati nei pressi di un caso- Il pentito: così Gullà lo freddò sulla spiaggia Il cadavere sulla spiaggia. Nelle foto piccole, da sin. Ferdinando Rombolà e Antonio Gullà lare. Abbiamo percorso a piedi un lungo tratto. Poi Gullà ha recuperato un’autovettura, una Smart che possedeva, ed insieme ce ne siamo andati». Filò liscio, malgrado l’impre- visto. Un lavoro cruento e “pulito”, da professionisti: «Antonio - racconta Bruno Procopio - era a disposizione della famiglia di mio padre». La “famiglia” che gli avrebbe anche fornito le armi. Ma perché uccidere Rombolà? «L’omicidio è maturato come vendetta per l’omicidio di Sia Vittorio di cui erano stati ritenuti responsabili i gemelli Grattà e Ferdinando Rombolà». I gemelli Grattà, quelli di Gagliato, trucidati mentre giocavano a carte, l’11 giugno precedente. E sempre Gullà, sostiene il pentito, avrebbe eseguito la loro condanna a morte. Un sicario infallibile. «Svolgeva la professione di killer - continua Bruno Procopio - non lo conoscevo prima che venisse ucciso mio fratello Agostino. Ho stretto amicizia con lui dopo che lo stesso ha partecipato al lutto per mio fratello. Mi ha confidato di aver commesso il duplice omicidio Grattà, del “Vichingo”, commesso unitamente a Vittorio Sia». Il “Vichingo”, non viene, allo stato identificato. Suo fratello Agostino, invece, fu tra i caduti della falange Sia-Tripodi-ProcopioLentini. La falange legata a Damiano Vallelunga, il “capo dei viperari” sdraiato a Riace nel settembre 2009. A sua volta rimasto fedele alla memoria di Carmelo Novella dopo la scissione del locale di Guardavalle, assassinato - sostengono i magistrati di Milano - su ordine del cartello Gallace-Ruga e delle sue diramazioni lombarde. Un omicidio dopo l’altro in quella che impropriamente è stata definita come la nuova «faida dei boschi» che, invece, ha mietuto vittime sulla sabbia e sotto gli alberi, dal mare alla montagna, dal Nord al Sud. PIETRO COMITO [email protected] 7 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O ora S T R E T T O «L’hanno usato e poi buttato via» Le intercettazioni alla moglie di Zumbo: lo Stato si è servito di lui REGGIO CALABRIA «È stato utilizzato e poi gettato nel cestino dell’immondizia». È quello che Maria Francesca Toscano pensa di suo marito, la “talpa” Giovanni Zumbo. Secondo la donna, infatti, quest’ultimo sarebbe stato utilizzato da alcuni apparati dello Stato e poi buttato via. La Toscano (poi tratta in arresto nell’operazione “Astrea”) parla con il cognato Roberto Emo e l’oggetto della discussione è proprio Giovanni Zumbo. Si tratta di una intercettazione ambientale all’interno dello studio commerciale di famiglia. «Tu sai benissimo – spiega la Toscano ad Emo – che, per quanto riguarda la verità la sa solo lui, lui è stato utilizzato e poi gettato nel cestino dell’immondizia, quindi praticamente è lui che ha il coltello dalla parte del manico e ancora non l’ha capito! E io cerco di spiegarglielo in tutti i modi, perché non è parlare, diventare pentito o confessare o chissà che cosa… Ma lui, che sa la verità invece di farsi la galera al posto di quelli che invece si prendono le onorificenze… Sì, ma io non parlo della ’ndrangheta, perché non la ’ndrangheta, per certi versi, lui è coperto… Nel senso che avendola aiutata teoricamente, e poi lui è stato arrestato, quindi teoricamente è coperto». La donna è un fiume in piena e spiega ciò che pensa del ma- Giovanni Zumbo, la “talpa”, e la moglie Maria Francesca Toscano rito: «Con chi mi sono sposata? Con uno consapevole che faceva ste cose! Perché giocava, ha sempre giocato con due mazzi di carte… faceva il grande con gli ’ndranghetisti e poi spifferava tutto… tutto sui giornali no? Quindi, non pensare che tutta la ’ndrangheta è con lui, c’è gente che in carcere, ho saputo, si gira dall’altra parte, tu lo sai che è stato messo in isolamento qua no? E perché non si preoccupa di questi fatti? Che sono più importanti!». Ma i toni della conversazione diventano ancor più duri il primo ottobre, quando la donna parla dei problemi del marito, apostrofandolo in modo estremamente grave e raccontando dell’uso di sostanze stupefacenti da parte di Giovanni Zumbo. «Certamente no quando tirava cocaina, perché io avevo pure paura, io so che avevo paura. E uno in quelle condizioni, se ti deve tirare una coltellata, te la tira! O quell’armadietto pieno di armi! Quindi io so quello che ho passato! O dopo che lo hanno arrestato, quello che ho trovato là dentro in negozio! Nascosto! Cioè io so un sacco di cose». Alla di- razioni rese da quest’ultimo. La Toscussione partecipa anche Emo. Si scano non cita esplicitamente il Rocevince che Zumbo sarebbe stato con- cella, ma dalle affermazioni della trollato: «No, lo controllava a Gio- stessa si evince che anche la donna si vanni – spiega Emo – mandava una riferisce al Roccella. La Toscano copersona a controllare, questa perso- munica al marito che quest’ultimo ha na ha detto: “uno, che continuava a dichiarato di essere stato strumentasniffare, due, che continuava a spac- lizzato da lui (Giovanni Zumbo). La ciare”». Sono una continua fonte di donna ritiene che sia stato lo stesso discussione e di informazioni i coniu- Roccella a strumentalizzare il marito, anche perché quegi Zumbo. Sanno tantissime cose, al«Si sta facendo st’ultimo ha dichiarato di mirare a ricune riguardanti la galera gonfiamenti di preesponenti delle forze dell’ordine. Come al posto di quelli stigio». E qui c’è un importannel caso dell’appunche si prendono passaggio te: la Toscano invita tato Roberto Roccelle onorificenze» Zumbo a pensare la, prima in servizio bene a ciò che dice. al reparto investigativo dell’Arma e militare ormai noto Lui sostiene di essere stato usato da per aver raccolto diverse confidenze Roccella, il quale «avrebbe detto un anche dallo stesso Zumbo. La Tosca- sacco di “porcherie” inventandosi tutno, nel corso di un’intercettazione in to (“biglietti e non ha biglietti, telefocarcere con il marito, registrata il 28 nate e non ha telefonate, non ha niensettembre, chiede se ha riflettuto su te”)». La Toscano dice a Zumbo se quanto detto nel precedente incon- Roccella «era a conoscenza del fatto tro e Zumbo risponde di sì e sottoli- che lui (Zumbo) andava là» è chiaro nea che ci sono ancora tante altre co- che ora sta approfittando della situase da raccontare come «il complean- zione in cui si trova per screditarlo». no e il fatto che li ha fatti mangiare in Una storia che vede ancora la “talpa” via Filippini». «Zumbo – annotano in collegamento con appartenenti algli ufficiali di pg – fa riferimento ad le forze dell’ordine. Secondo Zumbo, una iscrizione pagata. Dal tenore del- lui sarebbe stato utilizzato e poi butla conversazione si evince che lo tato via. Fin dietro le sbarre. Zumbo si riferisce a Roccella RoberCONSOLATO MINNITI to ed è suo intento smentire le [email protected] CASSANO ALLO JONIO CASSANO J. (CS) Col volto coperto da passamontagna e sotto la minaccia di una pistola, compiono due rapine a distanza di poco tempo dileguandosi poi con le auto delle vittime, una delle quali verrà successivamente rinvenuta completamente bruciata. Mentre loro tre vengono identificati e rintracciati nella nottata dai carabinieri e finiscono tutti in manette con l’accusa di rapina aggravata e danneggiamento in concorso. Una serata movimentata quella di martedì nel Cassanese, dove tre persone seminano il panico lungo la statale 106 jonica rapinando un medico del Cosentino e il gestore di una stazione di servizio. Tutto ha inizio presso una piazzola di sosta dove il professionista viene costretto a consegnare la propria Suzuki dentro la quale vi erano 2 computer e il portafogli con 60 euro, bancomat e carte di credito. A bordo della propria Opel Corsa e della Suzuki appena presa, i tre giungono poco dopo presso il distributore di benzina Tamoil, dove costringono il titolare a consegnare la propria Fiat Uno con all’interno l’incasso giornaliero (circa 1500 euro), numerose stecche di sigarette e ricariche telefoniche. Dopo i due “colpi” sono immediatamente scattate le attività dei carabinieri della Compagnia di Corigliano e della Tenenza di Cassano Jonio, che hanno predisposto un piano anti-rapina attraverso posti di controllo lungo le principali arterie stradali e perquisi- Rapine sulla 106, arrestati in tre Le vittime sono un medico e il gestore di una stazione di servizio Sopra, l’auto bruciata e la refurtiva. A destra dall’alto,Vincenzo Mazzaro, Giuseppe e Michele Pepe zioni presso vari locali. E così, nella stessa serata, in contrada Apollinara nel comune di Co- rigliano, veniva ritrovata la Opel Corsa (di cui i carabinieri conoscevano solo i primi due numeri di targa) e uno dei tre presunti autori delle rapine, rintracciato nei pressi di un bar. Da lì i militari sono risaliti anche agli altri due presunti complici, facendo così scattare le manette attorno ai polsi dei tre giovani, tutti di Cassano: Michele Pepe (figlio di Damiano Pepe, già noto agli ambienti giudiziari e coinvolto in operazioni di polizia negli anni passati) ventiseienne sottoposto alla sorveglianza speciale di p.s.; Giuseppe Pepe (figlio di Edoardo Pepe) diciannovenne; Vincenzo Mazzaro, ventenne. All’esito delle perquisizioni personali, veicolari e domiciliari, i carabinieri hanno rinvenuto la refurtiva e i passamontagna utilizzati per le rapine. Non solo. Nella prima mattinata di ieri, come ha illustrato il capitano Pietro Paolo Rubbo nel corso di una conferenza stampa alla presenza del tenente Morrone e del maresciallo Penta, ad Apollinara è stata ritrovata la Suzuki del medico mentre a Sibari la Fiat Uno completamente bruciata. Sempre a Sibari, all’interno di un autocarro nella disponibilità di Michele Pepe, i militari hanno trovato una pistola a gas di libera vendita, priva del tappo rosso, presumibilmente utilizzata per minacciare le due vittime delle rapine. Non si conosce, al momento, il motivo alla base dell’incendio della Uno, mentre sembra essere escluso che con quell’auto siano state compiute altre “imprese” nella serata di martedì. Sono invece al vaglio degli inquirenti anche altri episodi analoghi (ed eventuali collegamenti) verificatisi in passato nel territorio dell’alto Jonio. ROSSELLA MOLINARI [email protected] 8 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O ora «Che denunci a fare? Vattene» Vittima dell’usura, Gelanzè in aula racconta le richieste d’aiuto inascoltate Il tribunale di Palmi PALMI (RC) «Mi sono assoggettato al pizzo per una forma di tranquillità». È ferma la voce di Gelanzè – il gioielliere di Rosarno vittima, in pochi Le parole di sette rapine a del teste saranno anni, mano armata e di diversi episodi di danneggiaverificate mento al proprio punto dall’ufficio vendita – mentre confesdi procura sa al presidente del collegio giudicante Concettina Epifanio, di essersi piegato a pagare la LAMEZIA TERME Incendiata l’auto di un agente carcerario LAMEZIA TERME (CZ) L’automobile di un agente carcerario in servizio a Vibo Valentia è stata incendiata la scorsa notte a Lamezia Terme. È la seconda intimidazione che l’agente subisce in due mesi. Un episodio analogo, infatti, era accaduto l’11 dicembre. «All’agente - ha detto Gennarino De Fazio, della Direzione nazionale dell’Uilpa penitenziari - va tutta la nostra solidarietà per questo fatto grave. Non ci faremo intimidire o condizionare, comunque, da simili azioni». «Siamo profondamente dispiaciuti per il vile atto ai danni dell’ Agente di Polizia Penitenziaria in servizio al Carcere di Vibo Valentia, è la seconda intimidazione che il poliziotto penitenziario subisce in due mesi». È quanto scrive in una nota Lia Staropoli, membro dell’Esecutivo Nazionale e Coordinamento Vibo Valentia Movimento Antimafia “Ammazzateci Tutti”. «Siamo vicini agli uomini ed alle donne del Corpo di Polizia Penitenziaria continua Staropoli - che continuano ad operare con mirabile professionalità, nonostante le minacce e le aggressioni che subiscono sia all’interno che all’esterno delle carceri da parte dei peggiori criminali. Sappiamo bene che della ’ndrangheta conclude - non fanno parte solo boss e affiliati rinchiusi nelle celle, ma soprattutto i parenti e i “compari” che sono fuori dalle carceri. Criminali spietati che nelle proprie roccaforti continuano ad esercitare la propria forza intimidatrice». protezione in seguito all’ennesima vetrina distrutta nella notte. Una confessione che apre uno squarcio luminoso nell’assordante silenzio di una città in balia della violenza mafiosa; una frase semplice, ma difficilissima da pronunciare davanti ad un giudice in questo pezzo di sud e che, dopo le dichiarazioni rese da Giuseppina Pesce e da Rosa Ferraro, aggiunge un nuovo tassello al romanzo criminale che strangola l’antica Medma. È un uomo minuto Gelanzè; durante la sua deposizione utilizza un tono pacato ma fermo nel descrivere le dinamiche che lo hanno costretto, suo malgrado, a piegarsi allo le domande serrate del sostituto procuratore della distrettuale antimafia Alessanstrapotere delle cosche rosarnesi. «Io rappresento la quarta generazione dra Cerreti e del pm palmese Giulia Pandi gioiellieri nella mia famiglia e voglio tano – fu Ferdinando Campisi a proporcontinuare ad esserlo. Da quando ho pre- si come intermediario e io e il mio assiso in mano la gestione dell’azienda ho su- stente, che tra l’altro aveva un rapporto di bito tantissime rapine e tanti episodi di parentela con l’intermediario, ci recavadanneggiamento al negozio. Ho sempre mo tutti i mesi nel suo bar di San Ferdidenunciato tutto alle forze dell’ordine, ma nando per consegnare il denaro. Poi tutpurtroppo non è mai successo nulla». È to d’un tratto, l’intermediario si rifiutò di deluso Gelanzè per come sono andate le accettare il mio denaro, negando ogni cose. Mortificato da uno Stato che non precedente. Sapevo che, in qualche moriesce a difenderlo e piegato da difficoltà do, Campisi era entrato in una delle ineconomiche che scaturiscono dalla man- chieste sul porto, e al suo rifiuto di accetcata copertura assicurativa: «Ma io ho tare i soldi del pizzo, tornai alla carica fatto una scelta, quella della correttezza e sperando che ci fossero delle microspie della legalità. Per questo motivo ho sem- nel suo locale, ma nonostante le mie inpre denunciato tutte le vessazioni a cui sistenze, Campisi negò tutto, rifiutando ancora una volta di accetsono stato sottoposto». Il tare i contanti. Raccontai teste parla della mattina Il testimone tutto alla Dia di Reggio in cui, arrivato in negozio ha aperto uno Calabria – dice ancora il dopo avere trovato infilato sotto la porta d’ingressquarcio di luce teste – ma non successe nulla, anzi, in quella ocso di casa un messaggio nell’omertà casione, un rappresenche lo “invitava” a versare di Rosarno tante delle forze dell’oruna forte somma di denadine mi chiese chi me lo ro a copertura della “protezione” garantita dalla ’ndrangheta, tro- facesse fare a presentare denuncia, convò le saracinesche semidistrutte. «La sigliandomi di abbandonare Rosarno e mattina dopo venne da me una persona lasciarmi alla spalle tutti i miei probleche conoscevo e che si propose di darmi mi». Un suggerimento inquietante, che deuna mano, interessandosi della faccenda. Dopo poco, questa stessa persona tor- ve però essere ancora verificato dall’uffinò da me, dicendomi che avrebbe fatto cio di procura, e che se confermato, aprida intermediario per la consegna del de- rebbe nuovi, inquietanti, scenari sul vernaro, che versai ogni mese per tre anni. In sante della lotta alle estorsioni. Una brutquel periodo non successe nulla né a me, ta pagina, che non cancella però il coragné alla mia attività commerciale. Io non gio consapevole di un uomo normale che voglio essere un eroe; come dicevo ho fat- si è piegato controvoglia al pizzo e che to una scelta e poi, in fondo, la mia vita non si è tirato indietro quando è venuto non vale molto, e fortunatamente non ho il momento di fare nomi e cognomi. mai avuto figli – dice dopo un’iniziale tiVINCENZO IMPERITURA tubanza il commerciante rispondendo [email protected] il caso Show in Consiglio a Forlì in stile Cetto la Qualunque ROSSANO (CS) «Chiudo, presidente, con la propria voce. Era il 1979 quando Francesco una frase di Cetto La Qualunque...spessata- Aprigliano (ispettore capo di polizia oggi in mente e affettivamente vaff....». Un urlo libe- pensione) si arruola nell’esercito girando diratorio, nel quale ha invocato persino la ma- verse sedi: da Viterbo a Bologna fino ad Orviedonna del Pettoruto di San Sosti e solo dopo to. Nel 1984 vince il concorso nella polizia a Alberto da Giussano, esploso al culmine di un Forlì dove mette su famiglia con la moglie dallungo e concitato travaglio politico che Fran- la quale avrà due figli. Aderisce all’associaziocesco Aprigliano (nella foto), 50enne origina- ne “Alleanza meridionale”, nata «per rivendirio di Rossano, ha “partorito” nell’ultimo Con- care i diritti di quanti» come lui «hanno vissiglio comunale di Forlì (dove siede). Assise suto l’esperienza dell’emigrazione», e subito che si è tenuta il 30 gennaio scorso, durante dopo l’approccio con la politica, anche tra le la quale ha “rescisso” definitivamente il rap- fila della Lega nord. Una contraddizione? «Assolutamente no - tiene a porto con la Lega nord, traprecisare Aprigliano - perché smigrando poi nel gruppo miAprigliano i principi che hanno ispirato sto. Troppe divergenze e «inè originario questo partito erano diversi. compatibilità» con i vertici del Infatti - ha aggiunto - le lotte partito del “Senatur” liquidadi Rossano erano tese a far emergere tutte con il famoso slogan che Ora è passato ti quei privilegi che il centrol’attore torinese Antonio Alal gruppo misto sinistra voleva concedere agli banese recita nell’omonimo extracomunitari, mortificanfilm nei panni di un politico calabrese. Cambierà postazione, dunque, ma do e trascurando, invece, le aspettative di non la sostanza dato che Aprigliano, anche quelle famiglie emigrate al Nord per lavoro». Il primo vero incarico lo riceve dal presidai nuovi banchi, continuerà la sua battaglia da consigliere «per rispettare» una fiducia dente della Regione Sicilia, Raffaele Lombarelettorale “propiziata” nel 2004 e conferma- do, che lo nomina segretario regionale delta a furor di popolo 5 anni più tardi (2009), es- l’Mpa in Emilia Romagna. Poi nel 2006, con sendo stato il più votato del centrodestra con l’apparentamento del partito “autonomo” con il Carroccio, Aprigliano entrò in contatto con 481 preferenze. Si definisce un «politico atipico che com- l’onorevole Gianluca Pini che gli chiese un apbatte le caste e i suoi privilegi». Storie di uo- poggio. «Così feci - ha detto l’ex ispettore di mini del Sud partiti dalla propria terra per la- polizia originario di Rossano - ma ho sempre voro ma che, anche a distanza, fanno sentire faticato ad accettare la diffidenza che nel par- tito di “Umbertone” regna nei confronti dei meridionali. Una forma di razzismo vera e propria nonostante oggi molti del sud contribuiscano al rafforzamento della Lega sul territorio». Fu lo stesso Pini a premere per una sua candidatura al Comune di Forlì, la stessa persona che ora è diventata, insieme ad altri maggiorenti del Carroccio, il suo “nemico” numero uno. Aprigliano, prima retrocesso da capogruppo a semplice consigliere, nei giorni scorsi è stato addirittura espulso dal partito per «indegnità». «Già espulso? - sono state le sue parole in Consiglio -. Meno male, temevo la fucilazione del terrone in piazza Saffi a opera di un plotone di camicie verdi comandante dal piccolo dittatore di turno». Sempre riferendosi a Pini ha detto: «Egli è il padrone assoluto della Lega forlivese e romagnola…La democrazia è servita. Fate largo ha concluso il vulcanico meridionale - sta passando Napoleone». ALESSANDRO TROTTA [email protected] 13 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora R E G G I O le confessioni della “talpa” «Lui mi ha chiesto La cosca Serraino di andare a casa Nino Lo Giudice di Peppe Pelle» e i depistaggi Zumbo rivela i motivi della visita e assicura: Le parole captate dello “spione” aprono «Era garantito che ciò non doveva uscire» altri scenari per gli attentati ai magistrati «Mi avevano garantito che non doveva uscire questa cosa. Me lo ha chiesto lui di andare e io gli dicevo che non era il caso». È una lunga conversazione quella tra Giovanni Zumbo e la moglie, Maria Francesca Toscano. È il 24 ottobre scorso, ed i due parlano diffusamente di ciò che è avvenuto prima, durante e dopo la visita di Zumbo (in foto) a casa del boss Giuseppe Pelle. Si parla di operazioni famose come “Patriarca”, di un presunto doppio gioco ai danni della “talpa” e di un obiettivo che si voleva raggiungere. Zumbo: Ah? l’ho saputo, quando è sceso, questa persona qua che era a Roma mi ha detto che c’era l’operazione quella della sede centrale (…) “Patriarca”… lo sapeva che c’era di mezzo “Patriarca” perché era stata combinata dai carabinieri, figurati se non lo sapeva… come lui sapeva che mi ha infangato sul fatto di Latella, che io sapevo che questo quell’altro… che le intercettazioni… io non sapevo niente! Di Villeggianti, era di dominio pubblico che non andavano d’accordo, lui sta raccontando i segreti di pulcinella quindi questo non è che… I dialoghi sono spesso incomprensibili ma si possono fare delle considerazioni: chi ha infangato Zumbo sulla vicenda di Latella? Chi non andava d’accordo con questo “Villeggianti”, cognome probabilmente storpiato? E soprattutto chi è che racconta i segreti di pulcinella? Fa forse riferimento ad un collaboratore di giustizia? Poi il discorso si sposta verso un altro personaggio che sarebbe stato vicino a Zumbo ma in passato. Zumbo: lui è uno che ha creduto in me e crede in me, solo che non mi può aiutare perché… non lo so! Toscano: cioè non è che sei stato abbandonato… che lo sapevi ed è stato confermato dalle (inc.le) Z: si lo sapevo T: però non sapevi di quella cosa… Z: no T: perché tu non sapevi gi altri fatti? Z: perché mi avevano garantito (inc.le) infatti si parla di ambientali non di microspia interna T: bravo! Z: io non lo sapevo (inc.le)! Però mi avevano garantito che non doveva uscire questa cosa T: bravissimo… quindi i Ros… noi lo abbiamo riscontrato col benedetto decreto (inc.le) Z: perché c’era la moglie di Pelle; poi è successo, poi è successo con la telefonata di Nocera che gli diceva ricoverati in un ospedale, sempre per i fatti (inc.le) e poi accompagnata dalla (inc.le)… io penso che in quella circostanza gliel’hanno messo T: ho capito, ma perché (inc.le) Z: probabilmente, non lo so T: doppio gioco! Z: sì! T: o erano due cose diverse? Z: no no… questo fatto è stato fatto apposta, l’hanno fatto apposta Francesca, l’hanno fatto per bruciarmi io ti dico i fatti come sono… e i fat- ti sono così. È inutile che facciamo sti discorsi… T: tu dell’ambientale… Z: sì T: ma io, dalla tua conversazione con Pelle… risulta (inc.le) sapevi (inc.le) che eri ‘ndranghetista pure tu… tranne quello Z: uhm T: perché lì non è che sei stato tu! Hai fatto più di quello… Z: Francesca, il mio T: ma tu l’hai letta? Z: no. Il mio obiettivo era quello di entrarci… di entrare nelle grazie di (inc.le) per arrivare… Zumbo e la moglie parlano con un tono di voce molto basso ed il nome non viene captato. Poi tornano a parlare della visita in casa del boss Giuseppe Pelle. T: ma allora per capire… cioè il primo contatto è stato antecedente a quando l’hanno installata? Perché tu sei andato il venti marzo, loro gliel’hanno messa? Z. se non sbaglio a febbraio o a… (…) T: quindi allora perché (inc.le) Z: perché sono cose che non si devono, cioè quando io decido di farlo, lo faccio in piena autonomia e basta senza… infatti sono arrivato con la mia macchina… T: si lo so Z: fino a Bovalino T: sì ma scusa, ma loro (inc.le) lo sapevano stavi andando? Z: sì T: come la giustifichi? Z: io la giustifico col fatto che secondo me avevano… o volevano sicuramente fottermi T: eh? Z: e poi ci sono riusciti; oppure volevano arrivare a qualche altro obiettivo che io non riesco a capire… veramente non riesco a capire neanche io i fatti, comunque sono questi… che io dovevo andare là per arrivare a quella famosa (inc.le) T: un disguido che eri andato lì… Z: Francesca ci può essere anche stato questo T: oppure sei andato di proposito Z: io ho riferito in procura… ora non voglio sapere nulla, io non copro a nessuno Nella conversazione del 7 novembre, invece, la Toscano si sofferma sul fatto che il marito considera un errore essersi recato da Pelle e lui risponde: «No perché me lo ha chiesto lui di andare ed io gli dicevo di non, non era il caso. (…) in ogni (inc.le) non mi hanno mandato… Francesca lo capisci bene dove sto». La discussione prosegue con Zumbo che dà alla moglie un manoscritto e poi aggiunge: «Si però quando quella persona, era verso febbraio, se non sbaglio, mi ha detto (inc.le) di fare… io non sono andato subito e sono andato dopo una decina di giorni. (…) al negozio non c’è più. Quindi non posso toccare determinati argomenti perché sennò smuovo pure…». E poi conclude: «quei fogli che ti ho dato lo sacrosanta verità». Consolato Minniti «Se prima dici che sono attendibile e dopo una settimana si pente Lo Giudice…». Non può passare inosservata una frase del genere. Non può esserlo se a riferirla è un uomo del calibro di Giovanni Zumbo. Già ieri abbiamo riportato come la “talpa” abbia manifestato il proprio disappunto per essere stato smentito dalle parole di Nino Lo Giudice. Da quel che si può intendere, dunque, il riferimento che Zumbo fa è alle informazioni confidenziali che lo stesso Zumbo fece a Roccella, appuntato dei carabinieri, in più occasioni. Il colloquio con la moglie, purtroppo, è assai disturbato e non consente di cogliere tutti i passaggi. Ma di sicuro permette di capire che i riferimenti sono alla famiglia Serraino ed ad un avvocato ed un giudice, per il quale Zumbo si chiede: sono corrotti? Non ci vuole tantissimo a mettere assieme i pezzi e ipotizzare che il commercialista stesse parlando della vicenda concernente la bomba fatta esplodere alla procura generale il 3 gennaio 2010. Il dato è abbastanza chiaro: in un primo tempo la pista seguita fu quella della cosca Serraino quale mandante dell’attentato per le note vicende relative al processo d’appello agli assassini di Luigi Rende. Poi, però, arrivo Nino Lo Giudice e disse delle cose completamente diverse. Ecco a ciò a cui si riferiva Zumbo quando affermava che Lo Giudice lo ha smentito. Tuttavia, se da una parte ci sono le parole di Zumbo che sembra vadano verso la prima ipotesi, dall’altra ci sono quelle di Lo Giudice che sconfessano totalmente la prima ipotesi. Al centro c’è un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Catanzaro. Senza dimen- ticare un altro pentito, venuto fuori successivamente e cioè Marco Marino, ritenuto vicino proprio alla cosca Serraino. È un puzzle assai composito, ma che merita di essere messo in ordine. Tuttavia la riflessione, che appare quasi scontata, è la seguente: qualcuno non ha raccontato la verità. Delle due l’una: o Zumbo ha raccontato qualcosa poi smentita da Lo Giudice al solo fine di depistare le indagini che si erano concentrate su una pista ben precisa, oppure Lo Giudice ha raccontato una serie di cose non veritiere, ma che ad oggi vengono prese come buone. E se è così, chi ha mentito quale obiettivo aveva? Qualcosa in più sotto questo profilo si potrà capire tra qualche settimana quando, da Catanzaro, arriverà la chiusura delle indagini riguardanti gli attentati. Si è ormai alla conclusione e tutto lascia supporre (a meno di novità clamorose dell’ultima ora) che venga confermata la pista segnata grazie alle dichiarazioni di Lo Giudice. Ma se così fosse, perché le confidenze sui Serraino ed il processo Rende? La realtà, forse, è che una verità “vera” purtroppo ancora non è stata raccontata. Almeno non fino in fondo. Tutti sanno ormai della reticenza di Lo Giudice a parlare delle motivazioni che lo hanno indotto a ordinare gli attentati. Sta lì il cuore del problema. Sapere perché avrebbe messo quelle bombe. Solo così si potrà capire se la storia dei Serraino era solo un depistaggio o qualche cosa di più. Solo così si potrà consegnare alla città una verità inconfutabile e scevra da tutte le dietrologie che, sovente, accompagnano questo tipo di eventi così intricati. c. m. il commento E se iniziasse davvero a parlare? «Poi è successo che questo qua ha voluto , tramite sempre questo amico comune, mi ha detto siccome là hanno perso i contatti perché c’era stato (inc.le) l’unica persona che noi ci fidiamo visti i trascorsi sei tu». È una frase sibillina quella che pronuncia Giovanni Zumbo, così come lo sono tutte le altre che si lascia scappare nei colloqui con la moglie. Sanno di essere intercettati e per questo parlano a bassissima voce. Ma il carcere non è luogo che ti faccia controllare più di tanto ed allora succede che qualche frase proprio non puoi tenerla dentro. È il caso di quella nella quale Zumbo spiega alla mo- glie: «Io lo dico, non è che ci sono problemi… oppure domani mattina lo chiamo ci dico venite qua e ci dico tutte cose». Cosa vuol dire Zumbo? Vuole forse raccontare tutte le verità di cui è in possesso? Vuole forse collaborare con la giustizia e fare i nomi di quelli che ritiene che lo abbiano incastrato, usato e poi gettato via? Lui si mostra molto portato a parlare. Di sicuro ha preso a partecipare alle udienze. Sarà molto interessante capire se e quando deciderà di intervenire. Ed a quel punto c’è la sensazione che saranno in tanti a doversi preoccupare. (c.m.) 14 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora R E G G I O «Sfuggire senza scappare» L’etica della resistenza, una riflessione della Fondazione Filianoti Si può fuggire da condizioni di vi- cologo e presidente del centro Giota lontane da etica e libertà senza vanile “Don Italo Calabrò”, Nadia scappare da una terra difficile come Furnari, fondatrice dell’associaziola Calabria? Sì, a patto che non la si ne “Rita Adria”. E Daniela Pellicarinneghi. E, mettendo in pratica nò, autrice del libro sulla storia del azioni che dovrebbero rappresenta- commerciante antindrangheta Tire la normalità e non un’eroica ecce- berio Bentivoglio, Gaetano Saffioti, zionalità, si provi a riscattarla, ini- altro imprenditore che ha denunciaziando da una personale assunzione to, Anna Maria Scarfò, ragazza di di responsabilità sin dalle cose quo- San Martino di Taurianova che ha tidiane più semplici. È, quindi, un avuto il coraggio di denunciare le violenze sessuali “Fuggire per sfuggisubite dal branco. re senza scappare” il «Vogliamo essere «Vogliamo essere messaggio che la cittadini e non cittadini e non sudfondazione “Gioditi. È faticoso, ma vanni Filianoti” ha sudditi lanciato ieri in occarende liberi – ha E’ faticoso sione del quarto andetto la Furnari – se ma rende liberi» niversario della bruognuno di noi prova tale uccisione dela cambiare, forse ce l’omonimo imprenditore. Un mes- la faremo quell’incerto “forse” va resaggio, questo, che ricalca il titolo so certo da noi. La felicità non può dell’evento svoltosi ieri mattina al convivere con le mafie». Per Regolo politeama “Siracusa” e partecipato «in questo coma etico, bisogna decida una gremita platea di giovani, al- dere da che parte stare. Ci vuole un la cui diffusione hanno notevolmen- impegno quotidiano a 360 gradi te contribuito gli ospiti del dibattito senza delegare. Non c’è bisogno di moderato dai giornalisti Giusva essere giudici, ma di iniziare a riBranca e Raffaele Mortelliti, ovvero spettare gli altri e a non fare i furbi». Fabio Regolo, giudice del Tribunale Secondo Trudu «si scappa perché si di Vibo Valentia, Gianni Trudu, psi- ha paura, non si ha speranza e si è Gli ospiti al Politeama Siracusa convinti di non saper affrontare la situazione. Ci vuole un progetto di vita che faccia crescere. Se si ha consapevolezza dei doveri, si sanno rivendicare i diritti». L’incontro, molto partecipato dalla giovane platea, si è contraddistinto per un ritratto della figura di Giovanni Filianoti, dipinto dalle parole della figlia e presidente della fondazione Natalia. E caratterizzatosi per tante altre storie che devono fungere da esempio, come quella di Rita Adria, giovane siciliana cresciuta in una famiglia mafiosa, diventata collaboratrice di giustizia e quindi rinnegata, voluta bene da Paolo Borsellino e suicidatasi una settimana dopo la strage di via D’Amelio. E per testimonianze, ossia quelle di Saffioti («Prima di Le collusioni nella politica Riprende il secondo ciclo di seminari del convegno “La ferita” La seconda parte del ciclo loglio» ha detto il procuratodi seminari del museo della re reggino, aggiungendo che ‘ndrangheta “La ferita” ripar- «ciò è essenzialmente dovute dalle “Relazioni di compli- to al crescente ruolo degli encità e collusione fra cultura, ti locali, agli appalti, alle aseconomia a politica”. Ieri nel- sunzioni, alla fornitura dei l’auditorium Nicola Calipari servizi, nel quadro del condi palazzo Campanella è ini- trollo del territorio che le coziato il secondo round del sche perseguono. Interfacconvegno che aveva già avuto ciarsi con i politici, per la il suo incipit nel novembre ‘ndrangheta, significa goverscorso. Tra gli interventi in nare la clientela che aumenta programma: il suo potere Giuseppe Pi«Non esiste una e il suo ricognatone, sola fetta sociale noscimento sociale». OgFrancesco Musolino, vergine e i rischi gi si torna a parlare di Rocco Sciardi contagio ‘ndrangheta rone e Fulvio sono costanti» nel secondo Librandi, incontro proGiovanni Fiandaca, Piergiorgio Moro- grammato sulle “Relazioni e sini, Fulvio Rizzo. «Non c’è affari nell’area grigia” con una sola fetta sociale vergine Ivan Cicconi, Michele Prestie i rischi di contagio sono co- pino, Ivan Lo Bello, Lucio stanti, anche se bisogna sem- Dattola, Luigi Lombardi Sapre distinguere il grano dal triani e Tano Grasso. Doma- ni si chiude sul tema della “Criminalità dei potenti tra mafia e politica” con Piero Grasso, Nando Dalla Chiesa ed Enzo Ciconte. «L’intento –spiegano dal museo della ‘ndrangheta- è sempre quello di affrontare la fenomenologia mafiosa nel suo complesso e nei suoi singoli aspetti criminali, sradicandola dagli aspetti mitici e acritici con cui la questione è spesso affrontata dai media e di conseguenza nel sentire co- mune». Il convegno “La ferita” intende «mantenere una linea di discussione rigorosa e una elevata soglia critica, senza cedere a facili mitizzazioni del fenomeno criminale. In questa nuova edizione –concludono gli organizzatori- si è adottata una linea meno generalista, proponendo un convegno tematico con la prospettiva di coniugare sempre gli aspetti di analisi con quelli riguardanti le politiche e le attività di contrasto». Navetta sul lungomare e modello Reggio I cittadini: «Per fortuna gli amministratori non possono mettere mano sul clima e la natura» Il modello Reggio è «lungomare deturpato, con un corso Garibaldi dissestato, una villa comunale abbandonata, un cinema arena lido mai completato, costruzioni fatiscenti, piazze da ristrutturare, strade poco pulite, acque del Menta»? Se lo chiedono tre cittadini reggini, che in una riflessione fanno emergere le qualità «per essere buoni amministratori». Ovvero «l’intelligenza e l’onestà». Ezio Multari, Armando Gangemi e Giovanni Leone criticano «la navetta lungo il litorale (area ludica), uno dei pochissimi spazi dove le famiglie reggine sono solite condurre i propri figli e lasciarli giocare in libertà». E poi «sabato e domenica sera musica a tutto volume in pieno centro. Che città!», esclamano. «Per fortuna –concludono i cittadini- i nostri amministratori non possono mettere le mani sul clima e sulle bellezze naturali della nostra Reggio». denunciare ho chiesto la garanzia di restare. Le guerre si combattono in trincea. Restando c’è l’esempio. Ho timore, ma la mia paura più grande sarebbe stata quella di aver fatto nulla per cambiare le cose»), Pellicanò («Bentivoglio è provato, ma ha una voglia di lottare che si alimenta giorno dopo giorno. Sembra normale che ci sia qualcuno che comandi e che vengano negati diritti? Occorre reagire») e Scarfò («Ho sfidato l’omertà e sono stata maledetta dal mio paese. Adesso sto ricominciando a riprendermi la mia libertà. In Calabria ce la possiamo fare, ma dobbiamo lottare tutti insieme»). Un messaggio, quest’ultimo, anche se espresso da colei che è stata costretta ad andar via in un luogo protetto, che è di speranza. A margine del dibattito, i 1500 euro della borsa di studio e i riconoscimenti intitolati a Giovanni Filianoti agli studenti della quarte e quinte classi delle scuole superiori reggine premiati per i loro elaborati sul tema “Aiutami a fuggire, non permettermi di scappare”. LUCA ASSUMMA [email protected] giustizia La mediazione civile strumento da rafforzare «La gravità della crisi che attraversa il comparto Giustizia, evidenziata nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, richiede un profondo intervento riformatore. La mediazione civile, utilissimo strumento deflattivo del contenzioso, dovrà quindi essere ulteriormente rafforzata e arricchita di nuove competenze estese a tutti gli ambiti della giurisdizione civile». A sostenerlo è l’avvocato Giuseppe Strangio, direttore di Ismed – Istituto di Mediazione Civile accreditato dal Ministero della Giustizia. «Un primo passo in questa direzione – prosegue Strangio - sarà compiuto a partire dal 21 marzo prossimo, quando la mediazione civile obbligatoria entrerà pienamente in vigore». Ed è una opportunità di lavoro per giovani professionisti e neo laureati, oltre che uno strumento per ridurre il carico giudiziario. «La richiesta di mediatori esperti nelle diverse discipline, già elevatissima, è destinata ad aumentare ancora. Con l’ingresso nell’ambito della mediazione obbligatoria di nuove importanti fette di contenzioso, come quelle che riguardano i sinistri da circolazione di veicoli o natanti e quelle relative alle liti condominiali, il numero dei procedimenti di mediazione è destinato a moltiplicarsi nel giro di pochi mesi», chiarisce Strangio. Giuseppe Strangio D’altronde, 5 milioni di nuove cause ogni anno, oltre 9 milioni di cause arretrate, intasano i tribunali italiani. «Opportunità lavorative si potranno cogliere in numerosi settori professionali. Le nuove norme prevedono, infatti, che gli incarichi di mediazione siano assegnati in base alle competenze dei mediatori nelle diverse discipline. Si aprono così importanti prospettive per avvocati, medici, ingegneri, architetti, geometri, commercialisti, consulenti del lavoro, notai, laureati in discipline umanistiche e socio-psicologiche, diplomati iscritti in ordini o collegi professionali, laureati in qualsiasi disciplina, anche con titolo triennale, che possono diventare mediatore civile e commerciale professionista e, in base alle proprie competenze, esercitare questa nuova professione». 15 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora R E G G I O idv Emergenza ai Riuniti Oggi incontro con Bellinvia Su richiesta del consigliere comunale Aldo De Caridi in merito alle emergenze del pronto Soccorso e sulla situazione complessiva dell’ Ospedale Riuniti di Reggio Calabria, fa seguito l’iniziativa del Gruppo Consiliare Regionale di IdV che intende visitare il nosocomio Reggino oggi alle 11.30 per raccogliere più da vicino le istanze di chi è chiamato ad operarvi quotidianamente e contemporaneamente dare ascolto alle esigenze dei cittadini che chiedono risposte sanitarie al passo con i tempi. La delegazione conta la presenza di Giuseppe Giordano componente della Commissione Sanità Regionale, del capogruppo Emilio De Masi, di Mimmo Talarico consigliere regionale, di Enzo Tromba commissario regionale e di Aldo De Caridi consigliere comunale incontreranno Carmelo Bellinvia, Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli che si è dimostrato sensibile e attento alle richieste del gruppo consiliare regionale. La garanzia di assistenza sanitaria ai migranti di Rosarno è l'obiettivo principale del protocollo d'intesa tra Asp ed Emergency firmato ieri a palazzo Tibi tra il direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale Rosanna Squillacioti e il coordinatore dei progetti dell'associazione non governativa Pietro Parrino, in rappresentanza del presidente Cecilia Strada. Un accordo che formalizza una collaborazione attiva dal dicembre 2011 innestando un servizio sanitario rivolto a chiunque ne abbia bisogno in quanto, come afferma l'esponente dello staff dirigenziale dell'Asp, Franco Sarica, «la sanità non può avere alcun colore». Il protocollo sarà valido per l'intero periodo della raccolta degli agrumi e, in particolare, fino al 31 marzo prossimo con possibilità di rinnovo sulla base, soprattutto, delle esigenze che si verranno a creare sul territorio, oggetto di un costante monitoraggio da parte di Emergency. «È doveroso dare assistenza sanitaria a chi è in difficoltà», afferma la Squillacioti mentre Parrino precisa: «Il nostro obiettivo con la firma di questo protocollo è di agire in complementarietà con i servizi esistenti», ribadendo che «il nostro progetto non è solo per gli immigrati ma per tutti quelli che non riescono ad accedervi». E Parrino ricorda anche che Emergency rilascerà i codici Stp ai pazienti consegnando, per conto loro, le domande per l'assegnazione temporanea del medico e l'iscrizione al Sistema sanitario nazionale e la scelta del medico di base dalle 9 alle 12 mentre l'attività sanitaria è prevista dal- numerose disponibilità Impegno a creare con quattro operatori un ambulatorio mobile nella Piana Con Emergency per l’assistenza ai tanti migranti Protocollo di collaborazione con l’Asp le 17 alle 22. Emergency si impegna ad attivare con 4 operatori (due mediatori culturali, un medico e un infermiere) un ambulatorio mobile (Polibus) nella Piana e, successivamente in base ai dati raccolti, in accordo con l'Asp valuterà un'azione più duratura. La prima risposta verrà fornita con la medicina di base ma l'Asp ha garantito la propria disponibilità per l'assistenza in caso di patologie da trattare in modo specialistico concedendo anche ad Emergency i farmaci nel limite di legge sull'assistenza ridimensionamento omeca Il sindaco ha ricevuto delegazione e sindacati hanno dimostrato in questi anni – ha detto Arena- bisogna partire per difendere il livello occupazionale della nostra città. Contatterò immediatamente l’assessore regionale alle Attività Produttive Antonio Caridi e manifesterò la mia volontà a prendere parte all’ incontro richiesto all’Amministratore delegato di Ansaldo Breda, ponendo al centro della discussione la salvaguardia del lavoro e il futuro di centinaia di reggini». Il consigliere comunale Nicola Paris, dopo aver illustrato al primo cittadino le criticità vissute attualmente dai lavoratori, si è dichiarato 460 pazienti ed effettuato 560 prestazioni, non nasconde di valutare l'idea di un poliambulatorio permanente. Sottolineata anche l'importanza sul territorio degli ambulatori di assistenza sanitaria rivolti agli stranieri temporaneamente presenti e non in regola con le norme di soggiorno (Stp). L'Asp ne valorizza l'azione e lo stesso Parrini rileva che «in Italia molti di essi sono stati chiusi mentre sulla Piana sono aperti». ALESSANDRO CRUPI [email protected] «Gli ospedali erano in difficoltà ma adesso a Locri, Polistena, Melito e Gioia Tauro stiamo fornendo buoni riscontri». Esordisce così la Squillacioti prima della firma del protocollo sullo stato dell'arte della sanità sul territorio provinciale. Il direttore precisa come «si stanno riempiendo di contenuti strutture in fase di conversione» e sottolinea «il progetto già finanziato per far nascere il centro di dialisi a Scilla, dove sono stati aperti reparti di assistenza oncologica, allergologia e fecondazione assistita di primo e secondo livello». «Stiamo attuando una politica di risparmio ma non sulla salute - precisa - su cui vogliamo investire bene». A proposito di Rosarno ricorda lo stanziamento di 80mila euro per il poliambulatorio e l'inaugurazione di una guardia medica. (a.c.) atam La Simmi al Comune Il Sindaco di Reggio Calabria Demetrio Arena, accompagnato dai consiglieri comunali Daniele Romeo, Nicola Paris, Domenico Marra e Giuseppe Eraclini, ha incontrato, a palazzo San Giorgio, una delegazione dei lavoratori della ditta “Simmi” di Reggio Calabria. Al colloquio hanno partecipato i segretari provinciali dei sindacati di categoria Enrico Giarmoleo (Fiom-Cgil), Giuseppe Chiarolla (Fim-Cisl) e Santo Biondo (Uilm). Al centro della discussione le problematiche relative al futuro dei lavoratori che svolgono la propria attività per l’Ansaldo Breda di Reggio Calabria e il paventato ridimensionamento della società con le gravi conseguenze in termini occupazionali, in virtù del nuovo piano industriale previsto. Il sindaco Arena, dopo aver ascoltato e recepito le preoccupazioni dei lavoratori, ha voluto rimarcare, ancora una volta, come la produttività dello stabilimento reggino sia positiva e certificata dai numeri. «Proprio dall’efficienza che le maestranze ai cittadini stranieri e alle persone in stato di bisogno prive di un'assistenza di base sul territorio. Il polibus si sposterà tra Taurianova, Rizziconi, San Ferdinando e Rosarno e, nel quadro degli interventi sanitari, l'associazione confida molto nel supporto dei volontari «per incrementare l'efficienza dell'intervento e per la conoscenza del territorio», spiega Parrino rilevando che «a Rosarno c'è stata un'ottima risposta dei medici volontari». Ed Emergency, che dal 7 dicembre ha visitato sulla Piana «Risparmi che non toccano però la salute» «soddisfatto dell’impegno preso dal sindaco che ha dimostrato, ancora una volta, grande volontà per contribuire alla risoluzione della vicenda e soprattutto vicinanza ai lavoratori della nostra città». Il consigliere Daniele Romeo, dal canto suo, ha chiesto che «vengano tutelati tutti i posti di lavoro con particolare attenzione per i dipendenti Simmi e, successivamente, per i lavoratori interinali che per professionalità ed abnegazione rappresentano una forza lavoro imprescindibile su cui basare l’efficienza e la competitività dell’azienda». Filardo: «Erogati ieri gli stipendi di gennaio» In merito all’annunciata proclamazione dello stato di agitazione da parte delle OO.SS. per la mancata puntualità nell’ erogazione dello stipendio del mese di gennaio, mi corre l’obbligo di comunicare che lo stesso è stato posto in pagamento nella giornata di ieri primo febbraio. In questo caso, peraltro, la corresponsione sta avvenendo ancor prima di quanto avviene per prassi consolidata per cui l’erogazione delle retribuzioni mensili è ammessa anche dieci giorni dopo la scadenza di ciascun mese di riferimento. E’ il caso di aggiungere, in questa occasione, quanto più volte ho avuto modo di comunicare. Non solo la corresponsione degli stipendi ma la stessa garanzia dei posti di lavoro dipendono certamente dalla regolarità delle compensazioni pubbliche per i servizi svolti ma, data la situazione di crisi generale, dipenderanno sempre di più dal conseguimento degli obiettivi di risanamen- Pcl, preparazione alla protesta del 25 febbraio Vincenzo Filardo Pino Siclari to economico che ci siamo dati nell’immediato con il piano industriale: incremento della produttività del lavoro (contenimento dei costi) e lotta serrata all’evasione tariffaria (aumento delle entrate). E queste azioni non si realizzano senza la condivisione e l’impegno di tutte le componenti aziendali e di tutte le maestranze, nessuna esclusa. E’ il caso di dire allora che il futuro del nostro lavoro dipende in primo luogo da noi ! Vincenzo Filardo Amministratore Unico Atam Spa Martedì 31 gennaio a Reggio Calabria si è svolta una riunione di preparazione della manifestazione del 25 febbraio contro il governo delle banche e per l‘annullamento del debito pubblico. Le organizzazioni promotrici (PCL, Centro Sociale Angela Cartella, FLC CGIL, FIOM CGIL, Collettivo studenti universitari, Unione degli studenti) hanno predisposto un piano di iniziative a livello provinciale e hanno rinnovato l’invito alla partecipazione a tutte le forze della sinistra, ai lavoratori e ai giovani. l’ORA dello STRETTO COMUNI Campo Calabro Villa San Giovanni Bagnara Scilla Sant’Eufemia d’Aspromonte San Roberto Calanna GUARDIE MEDICHE 0965 757509 0965 795195 0966 373299 0965 755175 0966 961051 0965 753812 0965 742012 Campo Calabro Villa San Giovanni Bagnara Scilla (Ospedale) Sant’Eufemia d’Aspromonte San Roberto Calanna 0965 751560 0965 751560 0966 335359 0965 790071 0966 965844 0965 753347 0965 742336 calabria ora GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 20 CARABINIERI Campo Calabro Villa San Giovanni Bagnara Scilla Sant’Eufemia d’Aspromonte San Roberto Calanna TEMPO LIBERO 0965 797082 0965 751010 0966 474447 0965 790488 0966 961001 0965 753010 0965 742010 VILLA SAN GIOVANNI Biblioteca comunale 0965 752070 BAGNARA Biblioteca comunale 0966 371319 SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE Piccolo Museo civiltà contadina 0966 961003 VILLA SAN GIOVANNI Villa San Giovanni ancora nell’occhio del ciclone. A portarla al centro dell’attenzione è ancora il Ponte sullo Stretto. Poteva, per i più ottimisti, essere arrivato ad una fase conclusiva, il declino del mega progetto, ma come nelle migliori citazioni, c’è chi dice no. Stavolta la volontà di fare coro nasce dall’associazione Comuni dell’area dello Stretto, che uniti da obiettivi condivisi si sono incontrati a Villa per discutere in merito al "Ponte sullo Stretto" e più in generale delle infrastrutture, viabilità e trasporti nel Sud Italia. È stato Roberto Vizzari ad aprire e mediare i lavori, riportando una dichiarazione dell’assente Luigi Fedele: «Il ponte è stata da sempre una battaglia che mi ha visto schierato in prima linea perché convinto che sotrarre a questa parte del mezzogiorno la possibilità di realizzare una straordinaria opera pubblica potrebbe significare bloccarne lo sviluppo». Contribuisce così Fedele, dando il via ai tanti interventi che uniti dal motto “Uniti per difendere” hanno a gran voce ribadito che il Ponte non è un progetto su cui parlare al passato ma che può e deve diventare un futuro possibile per il Mezzogiorno. A intervenire per primo in merito è stato proprio Rocco La Valle che del Ponte ha ormai un chiodo fisso, evidenziando quanto l’amministrazione villese ha in questo anno e mezzo di mandato lavorato affinchè il progetto diventasse realtà. Tanti i sindaci accorsi a far sentire una voce comune, tante le necessità di un territorio martoriato. Ad evidenziarle è stato Paolo Laganà: «Dobbiamo essere noi ad intervenire e non un governo centrale. Non possiamo vedere stralciare un progetto sul quale crediamo così si rischia di mettere in ridicolo un intero paese». Laganà sottolinea anche altri aspetti al di fuori del ponte, la statale 106 ad esempio aspetta da tre anni che l’Anas incominci i lavori di messa in sicurezza e nel frattempo continua a mietere vittime. La stessa cosa valga per porti e aeroporti che continuano ad essere marginalmente discussi. Quello che invece sembra essere il più grande punto di domande è che fine faranno le opere già iniziate, come sarà risanato un territorio già martoriato, in più come può una terra trascurata rispondere al progetto ponte se non è stata in grado di rispondere neanche ad una rete autostradale? Tante risposte sono state date dai sindaci presenti Ponte, A3 e Statale 106: focus sulle infrastrutture E sulla mega opera si è voce ribadito che non si deve parlare al passato, ma che può ancora diventare un futuro possibile per lo sviluppo del Mezzogiorno Incontro a Villa tra i sindaci dell’area dello Stretto ma il vicesindaco Fazzolari ha più di tutti mantenuto una linea dura difendendo il Ponte e quanto ne concerne «giuridicamente il ponte sullo stretto è ancora una realtà. Il Cipe non ha l’autorevolezza attribuitagli dalla stampa e non ha disimpegnato nessuna somma prevista». Ricorda come se così fosse le somme previste per le penali sommate alle opere già iniziate metterebbero in ginocchio il paese intero, poiché la stragrande maggioranza dei finanziamenti l’80% sono privati. Non ci saranno dunque più fondi per la Calabria e i riflettori si spegneranno definitivamente. Ma seppur seduti I sindaci riuniti allo stesso tavolo le opinioni sono contrastanti e Michele Spadaro fornisce un’altra versione dei fatti rigettando la questione nella confusione: «Bene per il ponte ma non aspettiamoci che il ponte risolva i mali della Calabria». Altre le questioni trattate tra cui ad assumere particolare rilevanza è la chiusura dello svincolo autostradale che comprometterà le sorti commerciali e non solo dei comuni interessati, in primis Scilla. Ad accendere il dibattito è stato proprio il sindaco di Scilla Pasquale Caratozzolo: «Siamo o no capaci tutti uniti a bloccare l’Italia partendo da Roma? Siamo capaci di dire al governo che siamo ormai agli sgoccioli, che non ce la facciamo più ad andare avanti. Dobbiamo far si che la chiusura dello svincolo sia ridotto al minimo altrimenti Scilla sarà devastata». Tante esigenze e un unico in- tento avere la possibiltà di dare un futuro alla Calabria. Conclude cosi Demetrio Arena, auspicando ad una soluzione: «Dobbiamo far sentire la nostra voce e siamo pronti a bloccare il traffico se fosse necessario ma dobbiamo valutare i modi». Si attendono dunque risposte dall’incontro con il ministro previsto per il 9 prima di procedere ad eventuali iniziative clamorose. Nel frattempo le belle parole aspettano di trasformarsi in fatti concreti e la politica per una volta vuole mettersi in gioco. Sarà la volta buona? ELISA BARRESI [email protected] rete noponte «Un progetto da bocciare definitivamente» Una conferenza stampa, domani, illustrerà contraddizioni e lacune dell’opera VILLA SAN GIOVANNI Torna a far parlare di sè il Ponte Sullo Stretto. E se da un lato c’è chi si ostina ad inneggiare ad un’opera che risolleverà le sorti del Mezzogiorno, dall’altra si schiera la Rete No Ponte che continua la sua battagli. La richiesta di bocciatura del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto, di cancellazione del programma e di scioglimento della società Stretto di Messina, verrà ribadito dalle associazioni ambientaliste e dalla Rete NO Ponte venerdì a Villa, durante la Conferenza Stampa per presentare il Convegno di Illustrazione alla Cittadinanza del Rapporto di “Osservazioni Critiche al Progetto Definitivo del Ponte sullo Stretto”, redatto da esperti delle associazioni ambientaliste, che ne ha messo in luce le clamorose contraddizioni, lacune e inadempienze, tali da imporre la richiesta di bocciatura definitiva. Il Convegno, con la partecipazione di diversi esperti e studiosi che hanno fatto parte del gruppo di lavoro si terrà infatti qualche giorno dopo sempre a Villa S. Giovanni. La Conferenza Stampa sarà per i contrari, l’occasione per denunciare ancora una volta l’autentico imbroglio costituito dal Progetto del Ponte «il definanziamento dello stesso, infatti, è stato decretato dagli ultimi atti del Governo “assolutamente pontista” Berlusconi- Tremonti (l’attuale esecutivo ne ha solo completato l’attuazione), contestualmente alla bocciatura europea del progetto, proprio mentre i dirigenti della Stretto di Messina ancora agitavano opere di compensazione, espropri, fasi esecutive, e l’allora ministro Matteoli con la complicità di Trenitalia e altri grandi operatori del trasporto, tagliava i collegamenti con Calabria e Sicilia fino quasi ad azzerarli». Non si lasciano intimorire dalle ultime riunioni che vedono buona parte delle istituzioni locali continuare a muso duro la lotta pro Ponte: «Il progetto definitivo è stato redatto forse nell’estremo tentativo di salvare il programma (oltre che di spendere ul- teriori ingenti somme per una progettazione eterna).L’elaborato conferma l’inutilità trasportistica e l’enorme impatto ambientale e paesaggistico del Ponte, manca di parti essenziali, dalla Via della struttura principale, alle valutazioni di incidenza, alla rappresentazione di strutture fondamentali tra cui i collegamenti ferroviari lato Calabria e la Nuova Stazione di Messina. Esso inoltre non tiene conto della reale situazione sismologica ed idrogeologica del contesto e non verifica la fattibilità tecnica del Manufatto, salvo dichiararne i “nuovi costi” (8.6 miliardi di euro circa) senza però presentare alcuna relazione economico- finanziaria». È veramente ora di chiudere questa telenovela degli inganni sostengono dalla Rete No Ponte e i cittadini nel frattempo continuano storditi a non comprendere il fine di questo gioco fatto di sì e di no. el.ba. GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 21 l’ora della Piana Via Aspromonte 22, Gioia Tauro Tel. e Fax: 0966 55861 Mail: [email protected] PORTO AUTORITA PORTUALE OSPEDALI 0966 588637 CAPITANERIA DI PORTO 0966 562911 0966 765369 DOGANA GUARDIA DI FINANZA 0966 51123 POLIZIA DI FRONTIERA 0966 7610 CARABINIERI 0966 52972 0966 52111 PALMI «Rosarno è divisa in zone d’influenza. In una parte della città comandano i Pesce, l’altra rimane sotto l’influenza dei Bellocco. Tutto quello che racchiuso all’interno di queste due zone, risponde direttamente alle cosche di competenza». Una città divisa in “blocchi”, copia deforme di modelli ormai fortunatamente archiviati, completamente in balia dei desiderata delle ‘ndrine. Traccia un quadro chiaro il collaboratore di giustizia Salavatore Facchinetti, che dal sito riservato, in video conferenza, descrive alla Corte la sua profonda conoscenza del fenomeno criminale rosarnese e dei capi storici del sodalizio criminale, da Nino Testuni a suo figlio Ciccio. Cresciuto sotto l’ala protettiva di Vincenzo “u Sciorta” Pesce, Fachinetti racconta di essere stato “battezzato” ancora in fasce e di avere cominciato a frequentare “attivamente” la cosca dei Pesce dopo l’arresto del padre «perché volevo seguire le sue orme e diventare qualcuno». Un proposito che però il pentito di mafia non riuscirà mai a raggiungere pienamente, visto che pur in affari con gli esponenti di primo piano della famiglia, è comunque soggetto alle stesse vessazioni degli abitanti normali della città. Tra mugugni e proteste che vengono dalle gabbie dei detenuti (da cui esce fuori anche un nitidissimo “cornuto” rivolto al collaboratore) Facchinetti descrive le zone d’influenza e gli affari che fanno prosperare le cosche. «I proprietari terrieri devono pagare la guardiania all’associazione. Questa forma di pizzo PALMI 0966 267611 CITTANOVA 0966 660488 OPPIDO 0966 86004 POLISTENA 0966 942111 TAURIANOVA 0966 618911 CINEMA Gioia Tauro Rosarno Ioculano 0966 51909 Rechichi 0966 52891 Tripodi 0966 500461 Alessio 0966 773237 Borgese 0966 712574 Cianci 0966 774494 Paparatti 0966 773046 Palmi Barone Galluzzo Saffioti Scerra Stassi 0966 479470 0966 22742 0966 22692 0966 22897 0966 22651 Gioia Tauro “Politeama” 0966 51498 Chiuso Cittanova “Gentile” 0966 661894 Chiuso Polistena “Garibaldi” 0966 932622 Chiuso Laureana “Aurora” Chiuso Taurianova Ascioti 0966 643269 Covelli 0966 610700 D’Agostino 0966611944 Panato 0966 638486 «I Pesce e i Bellocco si sono divisi Rosarno» All Inside, in aula il racconto del collaboratore Facchinetti IN BREVE VIGILI DEL FUOCO FARMACIE 0966 52203 GIOIA TAURO NUOVO ARRESTO Maria Grazia Pesce è finita in carcere su disposizione del tribunale. Il Gip aveva interpretato male la legge LA CITTÀ «Rosarno è divisa in blocchi d’influenza tra la cosca dei Pesce e quella dei Bellocco. Loro decidono su tutto» LA GUARDIANIA «I produttori di arance devono pagare il 3% del fatturato altrimenti la loro frutta rimane sugli alberi» IL PIZZO «Se non sono della mafia, tutti i negozi di Rosarno sono costretti a pagare il pizzo, altrimenti capitano cortocircuiti» CLAN PESCE Da sinistra Antonino Pesce, Francesco Pesce (‘78), Maria Grazia Pesce, Francesco Pesce (‘84) consiste in una somma, pari al 3% del fatturato, che deve essere versata dai produttori così come dai commercianti. Se il pagamento non arriva la frutta di chi non si è piegato rimane sugli alberi, perché, visto che il mercato è completamente controllato da loro, nessun compratore si azzarda ad acquistare la merce. Lo stesso discorso vale poi per i negozi. Se non appartengono direttamente ai Pesce o ai Bellocco, i commercianti devono pagare il pizzo, altrimenti succedono dei corti circuiti durante la notte, oppure può capitare che qualche saracinesca venga ricamata a colpi di fucile. Ma non sono molti questi casi, visto che a Rosarno tutti pagano perché sono terrorizzati». Nella giornata che ha visto la nuova ordinanza di custodia cautelare per Maria Grazia Pesce (sorella di Ciccio Testuni), che a causa di un errore di interpretazione della legge da parte del Giudice per le udienze preliminari, era finita ai domiciliari. Su richiesta del sostituto procuratore Alessandra Cerreti però, il tribunale ha disposto il regime degli arresti in carcere, visto che la norma che prevede i domiciliari per le madri di bambini sotto i sei anni entrerà in vigore solo nel 2014. Prima della deposizione di Facchinetti (deposizione che continuerà anche nelle prossime udienze del processo All Inside), sul banco dei testimoni è stato il turno di Rita La Torre, che ha descritto, tra molti non ricordo, il periodo in cui sua sorella Ilaria si frequentò con Francesco Pesce. La teste – sposata con il figlio di Gregorio Bellocco – ha poi raccontato del blitz a mano armata di un commando che intendeva riportare la sposa fuggiasca sotto il tetto coniugale. Archiviato il racconto di La Torre è stato infine il turno dello stesso Francesco Pesce che ha rilasciato dichiarazioni spontanee alla Corte, difendendosi dalle accuse che l’ex moglie gli aveva riservato durante la testimonianza di martedì scorso. «Io non sono il mostro che ha descritto quella signora – dice il figlio di Salvatore u Babbu – se ho commesso delle colpe me ne assumo le responsabilità, ma non sono un anumale. Ci siamo conosciuti quando eravamo molto giovani, e se ho sbagliato qualcosa nel nostro rapporto questo è dovuto alla mia giovinezza e al fatto che ho avuto delle brutte esperienze durante la mia vita. Ma non sono quella persona che descrive la mia ex moglie». Vincenzo Imperitura l’operazione OPPIDO MAMERTINA Tre uomini di nazionalità rumena sono stati arrestati ieri mattina nelle campagne di Castellace, frazione di Oppido Mamertina dai carabinieri della compagnia di Palmi. I tre, secondo quanto apprpeso dalla ricostruzione dell’Arma, sono stati sorpresi a tagliare alberi secolari di ulivo su un terreno confiscato alla 'ndrangheta. Danneggiamento e furto aggravato i reati contestati dalla procura di Palmi e dei quali i tre soggetti arrestati devono rispondere. I militari dell'Arma, durante un servizio di perlustrazione delle campagne della Piana predisposto dal comando provin- Arrestati nel terreno confiscato Tre rumeni fermati mentre tagliavano gli ulivi secolari ciale dei carabinieri di Reggio Calabria, per contrastare i ripetuti danneggiamenti dei terreni agricoli, frequenti in quella zona negli ultimi tempi, hanno sorpreso i tre uomini, tutti e tre con sega a motore in mano, proprio mentre erano intenti a tagliare e sezionare i secolari alberi d'olivo che sorgevano su un'area sottoposta a confisca e in attesa di assegnazione. Lengyel Adalbert, di 44 anni, Aron Viorel Cosmin di 30 anni e Boncut Verice Felician di 40 an- ARRESTI A sinistra il terreno confiscato alla ‘ndrangheta sul quale sono stati fermati i tre rumeni arrestati mentre tagliavano gli ulivi ni i tre uomini arrestati, tutti di nazionalità rumena. In seguito alla scoperta, i militari dell'Arma hanno effettuato un sopralluogo sul terreno, ed hanno scoperto che gli alberi rasi al suolo erano oltre 200, tutti ulivi secolari. Sul posto non è stata ritrovata parte della legna, motivo che fa pensare agli inquirenti che i tre avessero già da qualche ora, se non giorno, iniziato l'attività, compiuta forse con l'aiuto di altre persone. Subito dopo la procedura di identificazione, i tre uomini sono stati portati in caserma a Palmi e dichiarato in stato di arresto. VIVIANA MINASI [email protected] 22 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora P I A N A Un piano di risparmio per risollevare “PA” Prosegue la corsa contro il tempo di Piana Ambiente. In vista della scadenza fissata a giugno 2012 dalla nuova normativa nazionale- o trasformazione della società “in house” o messa in liquidazione- la dirigenza di Piana Ambiente continua a lavorare a ritmi serrati ad un piano di risparmio che consenta di far quadrare i conti rispetto ad una situazione economica che rimane estremamente precaria. In attesa del confronto decisivo coi sindaci, ieri c’è stato il primo incontro- anche se “informale”- coi sindacati, ed in particolare coi rappresentanti di Cgil e Cisl. Confermata l’indiscrezione di Co sull’ipotesi cassa integrazione, anche se il presidente Domenico Mallamaci e il direttore tecnico Diego Ferrara hanno posticipato ad un secondo momento la presentazione di una proposta più dettagliata. Di certo, la società mira ad una procedura limitata a poche ore settimanali, posto che i lavoratori che lo vorranno potranno benissimo chiedere di usufruire di una cas- RISCHIO LIQUIDAZIONE La sede di Piana Ambiente sa integrazione a zero ore. L’obiettivo della società è ridurre i costi anche sul personale, richidendo allo Stato l’accesso agli ammortizzatori sociali per ammortizzare almeno in parte la spesa sostenuta attualmente per più di cent dipendenti. Altri sacrifici ai lavoratori non ne verranno chiesti, nè potrebbe essere diversamente, dato che già mancano all’appello orami da anni importanti emolumenti come i buoni pasto e i premi di produzione (ancora in arretrato, quindi, gli stipendi ordinari, visto che solo ieri è stato pagato novembre). D’altra parte, a fronte dei sacrific chiesti al personale, la dirigenza ha prospettato ai sindacati anche un notevole risparmio in spese di gestione, come ad esempio un possibile taglio del 50% sia sulla direzione che sul cda, ovvero sui gettoni di presenza in consiglio di amministrazione. Dunque, ultimo disperato tentativo per tentare di sbrogliare una matassa già di per sè estremamente ingarbugliata. Dopo le cattive notizie derivanti dall’ultimo bilancio del 2011, con una perdita che si aggira attorno al milione di Discarica “La Zingara” Oliveri risponde a Cilona MELICUCCÀ euro come emerso dal confronto di questi giorni, ci sarà da affrontare il decisivo confronto con i sindaci dei comuni soci, rimasto per il momento all’ultima assemblea del 6 dicembre scorso. La dirigenza, in questo senso, ha preferito rinviare per il momento il confronto, lavorando a ritmi serrati per arrivare al tavolo con una proposta organica e credibile di rilancio societario. Passaggio cruciale, e tanto più se si considera l’indecisione dimostrata in più occasioni dai primi cittadini rispetto all’acquisizione delle quote da parte dei privati. La corsa contro il tempo, appunto, continua, con la dirigenza impegnata ad un superlavoro per bruciare le tappe entro il traguardo obbligato di giugno 2012. Certo la partita si dimostra sempre più difficile man mano che il tempo passa. Tra i prossimi passaggi, anche il nuovo consiglio d’amministrazione dopo il rinvio dei giorni scorsi stabilito proprio per permettere alla dirigenza di incontrare i sindacati. Con un'interpellanza al sindaco di Melicuccà, il consigliere d'opposizione Antonino Cilona chiede che per iscritto vengano dati ulteriori chiarimenti sulla presunta pericolosità della discarica di contrada La Zingara. Ieri mattina Cilona ha consegnato la sua richiesta al primo cittadino, da cui adesso attende una risposta. «Il rischio concreto di una contaminazione delle acque potabili è elevata e le rassicurazioni fornite a vari livelli istituzionali servono a poco. scrive Cilona nell'interpellanza - Se sarà intaccata la falda acquifera non si potrà più tornare indietro, quindi perché correre questo rischio concreto, visti i precedenti illeciti che sono emersi nel passato sul vecchio sito adiacente alla nuova discarica, non ancora bonificata e pieno di sostanze tossiche per l'ambiente». Anticipa la sua risposta il sindaco Emanuele Oliveri, che a Co dice: «La lente d'acqua ritrovata a monte della discarica è acqua piovana e non potabile, perché ricca di ferro e magnesio, come è risultato dalle analisi condotte. La falda da cui SINDACO Oliveri sgorga l'acqua che serve i comuni di Melicuccà, Palmi e Seminara, è sana ed è monitorata dai tecnici dell'Asp e dell'Arpacal, non c'entra nulla con l'acquedotto Vina». Altra richiesta di Cilona al sindaco, è quella di ottenere il parere prodotto da una «figura professionale competente, in modo da verificare realmente se esiste un rischio concreto d'inquinamento, ma alle mie domande il sindaco non ha risposto, tutto è sepolto in un silenzio tombale». Anche su questo Oliveri fa sapere che ha già risposto verbalmente, ma produrrà «documentazione scritta come richiesto da Cilona. L'ho detto all'inviato di "Striscia la notizia" e lo ribadisco: il mio comune è disposto a pagare un tecnico nominato da Legambiente, che esegua le analisi con accuratezza, affinché venga fatta definitivamente luce su questa vicenda». FRANCESCO RUSSO [email protected] VIVIANA MINASI [email protected] Prospettati ai sindacati tagli di gestione e cassa integrazione GIOIA TAURO RIFIUTI/LA POLEMICA RIFIUTI/I RITARDI Dopo la rivolta dei camion grossi centri ancora intasati ROSARNO I cumuli di immondizia si riducono costantemente nella Piana, dopo che il blocco dei tir – e la penuria di carburante – ha provocato una paralisi nella raccolta dei rifiuti. La situazione non è ancora ricondotta alla normalità, ma è senza dubbio migliore rispetto ad inizio settimana. La mancanza di benzina ha provocato giorni di mancata raccolta, il che si è tradotto con situazioni emergenziali più o meno marcate a seconda dell’ampiezza delle città e del senso civico. Come al solito i centri più popolosi ALLARME Rifiuti a Gioia Tauro hanno avvertito maggiori disagi: a Gioia Tauro, Taurianova e Rosarno l’immon- città si ritrovano a subire. Sperare in una dizia si accalcava nelle strade e fuori dai rapida scomparsa dell’immondizia sacassonetti rigonfi di rifiuti. In queste ore rebbe stato utopistico, perché ci sono fati mezzi di Piana Ambiente hanno dimez- tori oggettivi che non possono essere aczato il surplus di spazzatura, specie a Ro- celerati in modo vertiginoso. Ad esempio sarno la situazione è notevolmente mi- esiste una quantità determinata di mezgliorata. Nella cittadinanza medmea, zi a disposizione di Piana Ambiente che inoltre, era stata diffusa una raccoman- non possono fare fronte a tutte le esigendazione ai cittadini affinché mantenes- ze. E poi c’è, soprattutto, una capacità di sero in casa il più a lungo possibile i rifiu- ricezione in discarica, o al termovalorizti, e soprattutto evitando di ammassare i zatore, che non permette di accogliere in sacchetti fuori dai cassonetti o nelle stra- un solo giorno tutto il rifiuto accumulade. tosi in 3-4 giorni di mancata raccolta. La Anche nella vicina San Ferdinando sta situazione sta rientrando, lentamente ma rientrando l’allarme. A Gioia e Tauriano- progressivamente, e c’è di positivo che il va, città estremamente vulnerabili sotto blocco dei tir è capitato in pieno inverno, questo profilo, i mezzi sono in azione per fosse stato con temperature calde, le conormalizzare il contesto, considerato che se sarebbero state ben peggiori. negli occhi dei cittadini ci sono le cicliDOMENICO MAMMOLA che emergenze rifiuti che spesso queste [email protected] 12 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora C O S E N Z A Truffa fondi antiusura La Procura cerca i soldi Tenterà il recupero dei 20 milioni prestati dai Confidi Venti milioni di euro. A tan- ne dei documenti operata dai to ammonterebbe la cifra stor- due dirigenti del Confidi e, nata indebitamente da Caro- dall’altro, il successivo utilizzo tenuto e Vecchione, i due ver- di quei fondi che i beneficiari tici del Confidi “Opus homini” avrebbero impiegato per acfiniti di recente in galera con quistare beni di varia natura, l’accusa di associazione a de- ma non collegati in alcun molinquere, truffa aggravata ai do al risanamento dei conti sodanni dello Stato e peculato. A cietari. Come se non bastasse, entrambi, poi, è contestata an- i titolari delle aziende, interche un’ipotesi di concussione. pellati sull’argomento, avevaNell’ambito no dichiarato dell’inchiesta, di ignorare Sviluppi attesi però, uno deche quei per i prossimi gli interrogaquattrini protivi ancora giorni: l’inchiesta venissero da aperti è: che un fondo anpotrebbe fine faranno tiusura. Ocallargarsi ora quei solchei, ma sarà di? «No comvero? Anche ment, le indagini sono ancora perché nell’ordinanza di custoin corso», commenta Paola Iz- dia cautelare che, per ora, tratzo, titolare del caso. Si tratta di tiene in carcere gli indagati, il denaro che lo Stato assegna al- giudice fa chiaro riferimento al le aziende in difficoltà che ri- presunto andazzo che avrebbe schiano di cadere nelle grinfie caratterizzato il consorzio tra degli usurai. il 2009 e il 2010, con gli uffici Aziende sprovviste delle cre- che fungevano anche da segredenziali utili per rivolgersi alle teria elettorale di Carotenuto banche e che, per questo mo- (poi eletto in consiglio provintivo, trovano nel Confidi un ciale). Ricapitolando, i destipartner utile per ottenere i fi- natari ultimi dei finanziamennanziamenti richiesti. Secon- ti (che in alcuni casi arrivavado la Procura, però, nel caso di no a sfiorare il milione di euro) Carotenuto e soci, quei venti erano davvero inconsapevoli milioni non furono erogati a di aver intascato fondi destisocietà in crisi. Lo dimostre- nati a ben altro tipo di categorebbe da un lato, la falsificazio- rie? Se così fosse, le responsa- bilità (peraltro ancora tutte da dimostrare) sarebbero circoscritte solo agli attuali indagati che, comunque, durante gli interrogatori di garanzia, si sono difesi strenuamente, negando ogni addebito. In caso contrario, l’inchiesta potrebbe allargarsi. E torniamo così all’interrogativo di partenza: che fine faranno ora quei soldi? I venti milioni di euro saranno recuperati in qualche modo dalla magistratura o, piuttosto, ogni speranza è da considerarsi ormai perduta? «No comment - ribadisce Paola Izzo – ma presto ci saranno degli sviluppi». mcr l’interrogatorio Falanga: «Sono innocente» È ai domiciliari, ma potrà uscire di casa per recarsi al lavoro Si è difeso con grande determinazione rispodendo a tutte le contestazioni e dichiarandosi innocente il commercialista Giovanni Falanga (nella foto), ex presidente del confidi Finlabor, finito agli arresti la scorsa settimana per associazione a delinquere e truffa insieme a Pino Carotenuto e Gianfranco Vecchione, (ex presidente e ex direttore del Confidi Opus homini). Ieri pomeriggio è stato interrogato dal gip Cristofano alla presenza dei propri avvocati: Franco Locco e Carlo Salvo. Era presenta anche il pm Paola Izzo. Il commercialista ha affermato di non aver mai partecipato a truffe di alcun genere, negando di aver fatto concedere prestiti a chi non ne aveva diritto e chia- Se la frode è “senza frontiere” Al via il processo a carico di un gruppo di imprenditori La Guardia di finanza l’aveva battezzata operazione Senza frontiere per via degli agganci tentacolari dei suoi protagonisti e dei numerosi paesi nei quali essi operavano: 50 persone coinvolte in una maxi truffa alla legge 488. Stamani a Palazzo di giustizia inizia il processo al ramo cosentino della presunta organizzazione. Otto gli imputati: imprenditori calabresi e piemontesi. Si tratta di Antonio Mazzei, 63 anni di Rende, Francesco De Filippis (54) e Luigi De Filippis (52) di Cosenza, Franco Vecchio (62) di Corigliano, Massimo Tunnera (37) di Acri, Giuseppe Costero (65) di Novara, Luigino Balaudo (65) di Varese e Marizio Ardito (57) di Alessandria. Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere, truffa aggravata, frode ed evasione fiscale. Del collegio difensivo fanno parte, tra gli altri, gli avvocati Lucio Esbardo e Nicola Carratelli del foro di Cosenza. L’operazione Senza frontiere risale al giugno di due anni fa. In quella occasione le fiamme gialle arrestarono 24 persone, ma gli indagati erano 50. Le indagini avevano riguardato mezza Europa (Ita- INDAGA Il sostituto procuratore Paola Izzo rendo anche la natura dell denaro percepito a titolo di commissione. Si tratta di compensi preventivamente concordati con le imprese che avevano beneficiato dei prestiti, ha chiarito Falanga. All’esito degli interrogatori i difensori dell’indagato hanno chiesto e ottenuto la modifica della misura cautelare: il commercialista, che si trova agli arresti domociliari, potrà allontarsi dalla propria abitazione per andare a lavorare. Presenterà ricorso al Riesame anche per Carotenuto e Vecchione nelle prossime ore, non appena il pm sciogliera le sue riserve. Carotenuto, Vecchione e Falanga avrebbero costituito un’organizzazione finalizzata a lucrare sui finanziamenti concessi attraverso il fondo antiusura approfittando del loro ruolo al vertice dei confidi Opera homini e Finlabor. (a. b.) tribunale del riesame Favori ai boss Il ricorso di Quartucci Il prossimo otto febbraio i giudici del Tribunale della libertà valuteranno il ricorso avanzato dai legali del dottor Guglielmo Quartucci, il titolare della clinica “Villa degli Oleandri” finito in carcere nell’ambito di un’inchiesta antimafia. Il professionista, infatti, è sospettato di aver prodotto false certificazioni mediche per agevolare la scarcerazione di un boss reggino, consentendogli così di ottenere l’assegnazione ai domiciliari in clinica. Accuse dalle quali lo stesso Quartucci, assistito dagli avvocati Marcello Manna e Filippo Cinnante, si è già difeso durante l’interrogatorio di garanzia svolto davanti al gip di Reggio Calabria. Ora, però, le stesse argomentazioni difensive dovranno convincere i giudici catanzaresi. Le fiamme gialle sequestrano un’opificio nella zona industriale di Corigliano lia, Germania, Spagna, Ro- vo della presunta organizzamania, etc.) e portarono alse- zione sarebbe stato quello di questro di beni per un valore percepire indebitamente sovdi circa 40 milioni di euro (99 venzioni pubbliche dalla Stato e dalconti correnl’Unione Euti bancari, 7 Otto le persone ropea. Somstabilimenti sul banco me ingenti, produttivi, 10 legate a fisocietà “cardegli imputati nanziamenti tiera” sia itaAvrebbero concessi per liane sia estela realizzaziore, 1 società lucrato sulla 488 ne del prooff shore a panamense). Secondo l’ipote- gramma d'investimento nelle si della Procura tutta ruota in- zone industriali di San Marco torno al contratto di pro- e Corigliano. coriglianese e gramma “Pro.Cal”. L’obietti- non. Per il favorevole esito delle indagini,che hanno portato alla luce un volume d’affari enorme, è stato determinante il supporto investigativo fornito dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite, nonché il ricorso ad una complessa ed articolata attività di rogatoria internazionale, condotta, in taluni casi, personalmente dal pm titolare delle indagini, Giuseppe Cozzolino. Altrettanto determinante di rivelò il supporto fornito dalle autorità giudiziarie spagnola, tedesca, svizzera e rumena. (a. b.) Abusi sessuali in palestra Chiesta la scarcerazione Sarà discussa quest’oggi, al Tribunale delle libertà, l’istanza di scarcerazione presentata dall’avvocato Riccardo Adamo per G. M., il settantenne finito agli arresti domiciliari lo scorso 11 gennaio con l’accusa di violenza sesuale. L’uomo avrebbe abusato di ragazza di 22 anni, palpandola nelle parti intime. Il fatto sarebbe avvenuto nei corridoi del centro fitness di un noto complesso sportivo alle porte di Cosenza. L’anziano inndagato – per il quale il pm Salvatore Di Maio ha già chiesto il giudizio immediato – lo frequentava spesso poiché soleva aiutare il figlio nella gestione. Il fatto risale alla metà dello scorso mese di dicembre.È stata la stessa poresunta vittima a denunciarlo ai carabinieri di Cosenza. Sembra che da qualche tempo l’anziano si fosse invaghito della ragazza, finché una sera, approfittando del fatto che a quell’ora i locali erano quasi deserti, sarebbe passato all’azione. (a. b.) GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAGINA 29 l’ora di Paola Redazione viale Ippocrate (ex Madonna della Grazie) - Telefono e fax 0982583503 - Mail: [email protected] SANITÀ & FARMACIE ospedale civile pronto soccorso guardia medica centro trasfusionale farmacia Arrigucci farmacia Cilento farmacia Sganga EMERGENZA tel. 0982/5811 tel. 0982/581224 tel. 0982/581410 tel. 0982/581286 tel. 0982/587316 tel. 0982/612439 tel.0982/582276 TIRRENO COSENTINO Quattro cliniche private convenzionate, ubicate nel medio e alto tirreno cosentino, sono finite nel mirino dei Nuclei antisofisticazioni dell’Arma dei carabinieri e della procura della Repubblica di Paola. Sedici tra dirigenti medici e sedicenti esperti di fisioterapia sono stati denunciati a piede libero per concorso in truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale ed esercizio abusivo della professione sanitaria. I controlli degli specialisti dei carabinieri di Cosenza, in particolare, hanno interessato le case di cura 'San Luca' di Praia a Mare, 'Arena' di Sangineto, “Cascini” e “Tricarico” di Belvedere Marittimo. Ed allo stato sono in corso ulteriori accertamenti tesi documentali tesi a quantificare il danno che sarebbe stato provocato all’erario. All’esito del blitz, operato l’altro ieri sulla costa tirrenica cosentina, sono stati denunciati alla procura della Repubblica di Paola, diretta dal procuratore capo Bruno Giordano, i legali rappresentanti e i direttori sanitari delle quattro case di cura nonchè sei medici operanti presso il pronto soccorso di una delle strutture sanitarie oggetto delle verifiche, reputati responsabili di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale. Sono stati altresì denunciati a piede libero due sedicenti tecnici per aver esercitato abusivamente, in seno a strutture oggetto di indagine, la professione sanitaria di fisioterapista. Durante i controlli sono stati scoperti rimborsi per prestazioni non autorizzate nonchè l’anomalia secondo cui i due fisioterapisti imputati esercitavano l'attività abusivamente. A carico di tutti gli indagati, oggi imputati, secondo quanto è emerso è stato chiesto il rinvio a giudizio dalla locale procura Sedicenti di Paola, fisioterapisti quindi sarà il giudice per le operavano senza udienze prelititolo di studio minari comspecifico petente per territorio a determinarsi in merito, avviando formalmente un pubblico dibattimento o, al contrario, disponendo l’archiviazione delle accuse. I militari hanno effettuato accertamenti su delega della procura di Paola ed i controlli sono stati effettuati presso le quattro strutture sanitarie private accreditate che forniscono prestazioni in regime di convenzione con il Ssn. Gli specialisti dei Nas - è stato comunicato in dettaglio - hanno accertato casi di “prestazioni diagnostiche rimborsate nonostante non fossero previste nella convenzione stipulata tra il Ssn e la struttura, dove sono stati inoltre individuati soggetti che svolgevano attività medica di fisioterapia nonostante fossero privi di idoneo titolo professionale; interventi odontoiatrici eseguiti presso un centro dentistico in regime di day-hospital, registrati e rimborsati come ricoveri ordinari della durata di più giorni; terapie per il trattamento di patologie urinarie (litotrissia) e per la cura dell’infertilità nella coppia, erogate sebbene la struttura non riunisse i requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla normativa; registrazione, da parte di una casa di cura, di numerosi ricoveri effettuati 'in urgenza che, dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri del Nucleo cosentino, sono risultati ordinarie e programmate prestazioni ambulatoriali”. Dall'indagine è emerso che i ricoveri hanno spesso riguardato interi nuclei familiari di origine lucana e siciliana i cui componenti, di fronte alle domande poste dai militari, hanno ammesso che carabinieri commissariato polizia stradale polizia municipale guardia di finanza corpo forestale vigili del fuoco croce rossa italiana COMUNE tel. 0982/582301 tel. 0982/622311 tel. 0982/622211 tel. 0982/582622 tel. 0982/613477 tel. 0982/582516 tel. 0982/582519 tel. 0982/613553 (112) (113) (117) (1515) (115) centralino ufficio tributi bibioteca comunale ufficio relazioni pubblico ufficio presidenza consiglio ufficio affari generali ufficio contenzioso tel. 0982/58001 tel. 0982/5800301 tel.0982/580307 tel. 0982/5800314 tel. 0982/5800212 tel. 0982/5800218 tel. 0982/5800207 Truffa e falsi professionisti Nas in corsia: 16 denunce Quattro strutture coinvolte tra cui le cliniche Arena e Cascini A sinistra la casa di cura “Arena” di Sangineto In alto la struttura “San Luca” di Praia a mare le degenze, lungi dal rivestire un carattere di urgenza sanitaria, erano in realtà state pianificate solo al fine di fornire assistenza a un congiunto ricoverato. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno acquisito numerose cartelle cliniche di pazienti, verificando sia gli aspetti lega- ti agli esami eseguiti in regime di ricovero che quelli connessi alla conformità delle prestazioni effettuate. «Si tratta di indagini che riguardano il periodo compreso tra il 2008 e il 2010 ed e' stato un lavoro lungo e certosino, compiuto dai Nas»: ha dichiarato il procuratore Bruno Giordano. «Ci sono in totale 16 persone imputate – ha concluso il procuratore capo Bruno Giordano - perché a loro carico abbiamo già chiesto il rinvio a giudizio per l’ipotesi di reato di cui alla truffa aggravata». Guido Scarpino PAOLA Elezioni, l’appello di Carlo Gravina al Pd Carlo Gravina, medico paolano, fondatore del movimento civico pa afferma quanto di seguito: «Bisogna insieme respingere con for“Paola al Centro” e consigliere comunale uscente, scioglie il silenzio za e determinazione modelli politico-amministrativi clamorosamenper formulare un accorato appello al Partito democratico di Paola, te ridimensionati, preparandoci a proporne altri innovativi e moderin una fase di forte stallo delle trattative interne al centrosinistra, al ni, ispirando come messaggio alla gente: capacità di sviluppo, dignifine di determinare la riunificazione di tutte le anime della coalizio- tà e lavoro». Adesso la parola passa al Partito democratico di Gerardo Carnevale e Graziano Di ne in vista della imminenNatale che, tuttavia, è cate consultazione amminiratterizzato anche al suo strativa. interno da un interessante «Dopo un lungo periodo e pepato confronto politico di silenzio, secondo me opsulla scelta delle alleanze in portuno per non entrare in vista di questa competizionessuna discussione e perne amministrativa. Il Pd, ché è un momento cruciainfatti, dovrà scegliere se le nella definizione di alleandare da solo, schierando anze per costruire la coaliun proprio candidato a sidzione che dovrà presentarnaco, oppure allearsi alle si alle prossime consultaforze politiche (partiti e zioni elettorali - scrive il movimenti civici) che ruoprofessionista paolano in tano attorno la figura del un comunicato stampa - risindaco uscente, Roberto tengo sia importante ora riPerrotta. E’ un momento volgere al Partito democraestremamente delicato e ritico un invito pressante a schioso dal punto di vista voler far parte di questa copolitico per la coalizione di stituenda coalizione demogoverno uscente, in quanto cratica». Il consigliere co- Il fondatore del movimento civico “Paola al Centro”, Carlo Gravina il centrodestra proprio ieri munale uscente, in particolare, interviene pubblicamente per invitare «questa importante e si è ricompattato e potrà contare su liste elettorali e alleanze politifondamentale parte politica - prosegue la nota stampa - a riflettere che solide, ma anche su un candidato a sindaco di valore che gode sul fatto che questo è il tempo della responsabilità, della partecipa- della fiducia di tutti i partiti della coalizione di centrodestra nonchè zione e del coraggio; onde difendere le conquiste democratiche del- della stima e del sostegno del governatore della Calabria, Giuseppe la nostra città». Gravina, ancora, in conclusione della sua nota stam- Scopelliti e degli altri leader. (g. s.) 33 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 PAO L A - B E L M O N T E - calabria A M A N T E A - C A M P O R A ora Usura, sì alle intercettazioni Incarico al perito Scarpelli per il processo contro Giuseppe Bossio PAOLA/BELMONTE Via libera all’utilizzo delle intercettazioni effettuate a suo tempo dagli investigatori a carico di Giuseppe Bossio (difeso dagli avvocati Giuseppe Bruno, Marco Bianco e Armando Sabato), imputato per i reati di usura ed estorsione. Ieri mattina, infatti, presso il tribunale di Paola, il collegio penale, ha dato mandato alla dottoressa Laura Scarpelli affinchè proceda, nei tempi previsti, alla traduzione delle intercettazioni. Il processo, quindi, è stato rinviato al mese di aprile. Il belmontese di 60 anni, già noto alle forze dell’ordine, lo ricordiamo, era stato tratto in arresto nella flagranza dei reati di estorsione ed usura. L’uomo, arrestato il 14 giugno 2011 dal personale della squadra di polizia giudiziaria del commissariato di pubblica sicurezza di Paola, diretto da vice questore aggiunto Raffaella Pugliese, teneva “sotto strozzo” un commerciante di Paola. La mirata attività d’indagine, coordinata dai pubblici ministeri Roberta Carotenuto e Maria Camodeca della Procura della Repubblica di Paola, diretti dal procuratore capo Bruno Giordano, era scaturita da una denuncia della vittima, mediatore di capi di bestiame che, vessata dalle continue richieste del Bossio per la restituzione di un prestito a tasso usuraio, che ammontava al 120 per cento mensile, dopo avere ricevuto minacce di morte ed aggressioni fisiche, si era determinata a rivolgersi alla Polizia di l’uomo prestava soldi a tassi alti Per un prestito di settemila euro un commerciante di Paola era stato costretto a restituirne cinquantamila Il palazzo di giustizia di Paola Stato. Venivano, pertanto, predisposti appositi servizi investigativi, autorizzati dall’autorità giudiziaria competente, che confermavano quanto de- nunciato dal commerciante. I poliziotti, dopo avere filmato la scena dell’ennesimo scambio di denaro tra la vittima ed il Bossio, avevano proceduto all’arresto nella flagranza dei reati ed, infatti, a seguito di perquisizione personale, rinvenivano nella tasca dei pantaloni dell’aguzzino la somma di 2000 euro, in banconote di 50 euro, appena cedutagli dalla vittima. Il commerciante paolano F.E., aveva richiesto al Bossio, nel 2008, un prestito di circa 7000 euro e, da allora, gli avrebbe restituito, an- che per timore della incolumità propria e dei suoi familiari, una somma di circa 50.000 euro, rimanendo ancora “debitore” di almeno 20.000 euro. Nel corso delle perquisizioni eseguite dagli specialisti della Polizia a carico del Bossio, erano stati rinvenuti un coltello, con il quale verosimilmente poneva in essere le minacce nei confronti della vittima, ed una sorta di libro mastro in cui venivano indicati i nomi dei soggetti usurati dal Bossio con accanto le somme dei prestiti usurari. Le indagini, in merito, sono ancora in corso e, proprio per questo motivo, non si escludono novità a carico dell’imputato. STEFANIA SAPIENZA [email protected] PAOLA Droga, pusher a giudizio Per “Dama Bianca” sono da giudicare D’Acqui e Ragucci Sono ancora due gli imputati in at- ressa Laura Scarpelli, al fine di ottetesa di giudizio nel processo scaturi- nere in tempi brevi le trascrizioni delto dall’operazione “Dama bianca”. Si le intercettazioni effettuate dagli invetratta di Paolo D’Acqui e Giuliano Ra- stigatori a carico dei due imputati. In gucci (difesi dagli avmerito, va ricordato, vocati Giuseppe Bruche il Ragucci è stato Dato mandato no e Armando Sabatrascinato nel bubad un to), ai quali viene bone giudiziario solo contestato il reato di in un secondo moprofessionista detenzione di sostanmento proprio per per ambientali ze stupefacenti ai fini via delle intercettae telefoniche dello spaccio. Ebbezioni. L’udienza, ne, ieri mattina, quindi, è stata agpresso il tribunale di Paola, il collegio giornata al mese di ottobre. L’indagipenale ha dato mandato ad un pro- ne “Dama bianca” era nata nel mese fessionista, individuato nella dotto- di settembre del 2006, quando, a se- guito di segnalazioni da parte di cittadini, militari del Nucleo Operativo avviavano una serie di attività di osservazione e pedinamento di alcuni soggetti di interesse operativo che utilizzavano un luogo appartato della periferia di Paola per lo spaccio di sostanze stupefacenti. Dall’osservazione dei luoghi effettuata con telecamere nascoste si potevano identificare alcuni degli assuntori e i pusher. I pedinamenti effettuati nel corso dei mesi a seguire hanno portato i militari ad individuare nel quartiere “Scampia” di Napoli il luogo ove veniva acquistata in quantità ingente la droga che poi AMANTEA veniva riversata sulla costa tirrenica cosentina. Il rischio del trasporto da Napoli a Paola era ben ricompensato dal prezzo di acquisto della sostanza, inferiore al normale prezzo di mercato, (a 13 euro a “pietrina”). Per questo finirono in manette in nove. s. s. AMANTEA/2 Dimensionamento, il Comune modifica la delibera Al nome dell’istituto comprensivo “A. Manzoni” sarà aggiunto quello di Campora Sul dimensionamento scolastico, fortemente contestato dai camporesi, l’amministrazione comunale ha deciso di fare qualche passo indietro. Nel senso che, l’Ente locale, ha modificato la delibera inviata alla Provincia al fine di aggiungere al nome dell’istituto comprensivo “A. Manzoni” quello di Campora “A. Longo”, e di sollecitare l’autorità scolastica per un presidio di segreteria da lasciare nella frazione. La proposta di “riorganizzazione scolastica per gli istituti dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado”, presentata dal Comune di Amantea all’amministrazione provinciale di Cosenza prevedeva: «Istituto comprensivo “G. Mameli” strutturato in scuola media Mameli di Amantea, scuola dell’infanzia S.Maria, scuola primaria S.Maria, scuola media Lago, scuola primaria Lago, scuola dell’infanzia Lago per un totale di 781 alunni. L’istituto aggrega anche Lago; istituto comprensivo “A. Manzoni” strutturato in scuola dell’infanzia e primaria (via Garibaldi), scuola dell’infanzia e primaria (via Baldacchini), scuola dell’infanzia via Dogana, scuola media Campora San Giovanni, scuola dell’infanzia Campora, scuola primaria Campora, per un totale Un’aula di giustizia Amantea di 1025 unità». Ebbene, per come evidenziato dall’Ente locale «Questo piano è stato oggetto di contestazione e di gravame giurisdizionale pendente davanti al Tar Calabria, per la sola aggregazione dell’istituto Comprensivo di Campora in quello “Manzoni”». Dette contestazioni, però, «non hanno fondamento e l’operato dell’amministrazione comunale è legittimo dal momento che si è inteso sol- tanto dare attuazione ad una precisa, inderogabile e innovativa disposizione di legge sopravvenuta in materia ed in conseguenza della perdita dell’autonomia dirigenziale dell’istituto comprensivo di Campora per sottodimensionamento della popolazione scolastica e dell’affidamento della dirigenza dell’istituto in reggenza per l’anno scolastico 2011/2012, mentre resta immutata l’offerta didattico-formativa in quanto non viene soppresso nessun plesso scolastico dal momento che l’aggregazione in un nuovo istituto comprensivo inserisce unicamente la dirigenza la quale, comunque, non esclude che nella discrezionalità auto organizzatoria dell’autorità scolastica possa essere mantenuto un presidio a Campora per gli adempimenti di segreteria, per come questo ente intende sollecitare», e impegnare la dirigenza scolastica, con modifica, altresì, «della denominazione del nuovo istituto comprensivo mediante aggiunta al nome “A. Manzoni” di quello dell’istituto di Campora “A. Longo” a tangibile dimostrazione della massima considerazione di questa amministrazione per la dignità di tutte le istituzioni scolastiche presenti sul territorio». s. s. L’acqua non è potabile Risarcita ditta casearia L’amministrazione comunale di Amantea, a causa dell’inquinamento dell’acqua potabile del serbatoio Salice, si è vista costretta ad accettare la transazione bonaria con l’azienda agricola Sant’Anna che il 18 marzo del 2010, su ordine dell’Asp, aveva dovuto distruggere tutti i prodotti caseari di quel periodo. All’epoca dei fatti, ad effettuare le analisi su tutti i prodotti dell’azienda era stata l’Arpacal che, al termine degli accertamenti, li aveva dichiarati invendibili. Peccato, però, per come sottolineato dall’impresa, che l’Arpacal non le aveva rilasciato il bollino Cee arrecandole un danno d’immagine negativa. Da qui la richiesta di risarcimento danni inoltrata al Comune di Amantea per un totale di 12.880,00 euro. Non è da escludere, in tale contesto, che all’epoca l’inquinamen- Il centro di Amantea to del serbatoio sia stato doloso. Va ricordato, infatti, che proprio l’altro ieri ignoti hanno sfondato le porte di sicurezza del medesimo serbatoio e che il Comune si è visto costretto ad interrompere l’erogazione dell’acqua potabile. L’Arpacal consegnerà le analisi tra 2 giorni, anche se grazie alla tempestività dell’Ente qualsiasi danno è stato evitato. s. s. 14 GIOVEDÌ 2 febbraio 2012 calabria ora C A T A N Z A R O Bruno Procopio A Soverato, Davoli, Montepaone... La famiglia aveva costituito una società di fatto. Gli utili si dividevano e i giochi erano tutti collegati ai Monopoli di Stato IN CITTA’ Incidente a Siano Tre persone ferite E' di tre persone il bilancio dei feriti nell'incidente avvenuto ieri mattina nel quartiere Siano. Si tratta di una famiglia - padre, madre e figlia trentenne - della provincia di Crotone. L'intervento dei Vigili del fuoco e del del 118, ha permesso di estrarre le tre persone, tutte condotte in ospedale per accertamenti. Le ferite più serie sono quelle riportate dalla giovane che, nel ribaltamento della Citroen C1 su cui viaggiava la famiglia, ha subito un trauma alla schiena. Sinistro al Sansinato Illesi i conducenti Un incidente stradale si è verificato ieri mattina all'imbocco della galleria del Sansinato, sulla Statale 280, in direzione Lamezia. Nel sinistro sono rimaste coinvolte un'autovettura Polo Volkswagen ed un furgone. Illesi i conducenti. Si sono create delle code e dei rallentamenti lungo la Statale a causa della presenza dei mezzi coinvolti al centro della carreggiata. Sul posto, per i rilievi, la Polizia Stradale. Dopo circa due ore la situazione è tornata alla normalità. Allarme bomba all’ufficio postale Un falso allarme bomba, all’ufficio postale di Siano, ha suscitato momenti di tensione tra il personale e l’utenza. Il fatto si è verificato ieri mattina ed ha reso necessario un intervento dei carabinieri.A seguito di un accurato sopralluogo utile per effettuare la bonifica, si è accertato che nessun ordigno era presente nei locali. I carabinieri hanno avviato indagini per chiarire chi abbia procurato il falso allarme. lo studio in parlamento Il racket dei videopoker «È un affare di famiglia» Il racconto del pentito. Il business secondo l’Antimafia «Soverato, Montepaone, Davoli, Sant’Andrea, San Sostene...». Il racket dei videogiochi era cosa loro. Un affare di famiglia, racconta Bruno - figlio del presunto capomafia di Davoli e San Sostene Fiorito Procopio - l’ultimo pentito di ’ndrangheta. E’ il 19 dicembre del 2011 ed al pm Vincenzo Capomolla, racconta come il sodalizio criminale del quale era parte, tra i più temibili della jonica catanzarese, aveva anche costituito «società di fatto» per entrare nel business della «distribuzione di videogiochi e macchinette varie». Società di fatto e, soprattutto «videogiochi regolari» tutti «collegati ai Monopoli di Stato». Una buona pista per indagare e per inserire anche quest’area permeata dalla ’ndrangheta nel più vasto circuito degli affari calabresi alimentati dal gioco. Certo Procopio descrive una realtà in scala ridotta rispetto a quella di Gioacchino Campolo, il «re» che stava a Reggio Calabria e tra videopoker, slot machine e macchinette elettroniche, aveva fatto fortuna: 350milioni di euro, duecento e più appartamenti, ville e macchine di lusso e poi una pinacoteca da brivido, coi Dalì, De Chirico, Guttuso e chi più ne ha più ne metta. Ma è un racconto, quello dell’ultimo pentito, che rivela come ormai il gioco sia entrato a pieno titolo tra le attività grazie alle quali le cosche lucrano. D’altronde, spiega il senatore Luigi Li Gotti, relatore del dossier, oggi all’esame della Commissione parlamentare antimafia, sul condizionamento delle organizzazioni criminali nell’economia del Mezzogiorno: «Tutta Italia però si trova in questa condizione e non c’è una regione che sia esposta più delle altre a questo fenomeno». Perché le mafie - Cosa nostra, ’ndrangheta, camorra e Sacra corona - da tempo ormai hanno esportato i loro interessi su scala nazionale e transnazionale. E anche perché con videopoker e dispositivi elet- tronici è possibile alimentare un circuito d’affari astronomico tra le maglie di una legislazione che viaggia a rilento rispetto all’innovazione tecnologica. I dati più attuali sono quelli messi a disposizione dalla Guardia di finanza che nel 2006 aveva operato uno screening sul mondo del «gioco». Gli introiti leciti sono stati, per l’anno di riferimento, pari a circa 15 miliardi di euro, quelli illeciti quasi tre volte di più: 43 miliardi. Insomma, un rapporto di quasi uno a tre. «E se dovessimo moltiplicare per tre i dati attuali spiega ancora Li Gotti - avremmo una raccolta illecita che potrebbe essere di 180miliardi». Lo studio c’è, quindi, ma l’azione di contrasto ad un business milionario, borderline e che rappresenta una nuova fonte di approvvigionamento per le organizzazioni criminali, si rivela evanescente. Perché il mercato delle slot cede via via il passo alle puntate on line sul quale non esiste, evidenzia il senatore Salvatore Lauro, alcuna «piattaforma di controllo». Le mafie stanno dietro, anime grigie che s’abbuffano nel sistema del gioco e delle dipendenze dal gioco. C’è, quindi, da valutare l’evoluzione del business, ma anche da sanare i guasti del passato. I numeri, sempre quelli delle Fiamme gialle, dicono tutto o quasi: «Per il 2006, secondo i dati dei Monopoli, a fronte di un volume di affari pari a circa 15,4 miliardi di euro (di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denato) vi è stato un gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi attivati». Quindi, moltiplicando per tre, perché tanto è stimato il provento dell’illecito, non si hanno solo i numeri che alimentano le casse di famiglie, cosche e clan, ma anche quelli di una vorace sacca d’evasione. Per essere più chiari «i due terzi delle macchinette - almeno al 2006 - non erano collegati alla rete di controllo e raggiungevano volumi d’affari superiori del trecento per cento alla somma controllata dalle casse dello Stato». La partita, in fondo, si gioca in maniera semplice: basta mettere le mani sugli apparecchi, facili da modificare, da sistemare in quella che la Commissione antimafia definisce «un’ampia zona grigia tra legalità ed illegalità». «Ampia zona grigia» nella quale, ad oggi, solo in parte è stato possibile gettare un cono di luce, grazie al monitoraggio delle forze di polizia e alla banca dati centrale gestita dalla Sogei, che dall’inizio del 2009 ad ogni macchinetta legale ha applicato un microchip, una sorta di carta d’identità difficilmente taroccabile, utile ad operare una distinzione con quelle illegali. I numeri, da capogiro, sono talvolta sconvolgenti: oggi, in Italia, le macchinette autorizzate sono circa 380mila. Ed anche quelle indicate da Procopio ai magistrati della Dda di Catanzaro, sono autorizzate, quindi in regola. «E si tratta di un dato che non esiste in nessun Paese del mondo», dicono dall’antimafia. «Siamo i primi quanto a numero di macchine in funzione». Lo Stato, al gioco, non può però rinunciare: il gioco legale dà respiro alle sue asfittiche casse, quindi niente proibizionismo. Né ci rinunciano le mafie. In fondo gli italiani, in generale ed in media, spendono «17miliardi all’anno». Dai «20 ai 30 milioni sono dediti al gioco» con «una spesa pro capite che varia dai 600 ai 700 euro annui», spiega Massimo Passamonti, dell’area Giochi e intrattenimento di Confindustria. L’illegalità vale tre volte di più ed è per buona parte - spiega lo stesso Passamonti - in «una macchina artigianale completamente identica nell’aspetto, ma nella forma interna è diversa. E’ un vecchio videopoker che se oggi metto in un bar non rischio niente». Al massimo una sanzione amministrativa, magari parecchio inferiore al guadagno illecito che consente di fomentare. Il reato penale è ravvisabile solo in capo al costruttore e non all’usuario, almeno secondo la legge 289/2002. E se il costruttore sta all’estero… D’altro canto anche il «re dei videopoker» Gioacchino Campolo è caduto in disgrazia non per le macchinette taroccate ma per averle imposte, con la mafiosità, al mercato, riciclandone il denaro sporco per costruirsi un regno, “provincia” di un più vasto impero che, ormai, con le mafie divenute holding, non è più solo siciliano, calabrese, campano o pugliese. E’ internazionale. E la ’ndrangheta, in ciò, ha la solita marcia in più. p.com. Le mafie lucrano nell’ampia zona grigia tra legalità Le macchinette in Italia sono 38mila ed in nessun altro Paese del mondo ne esistono tante il processo Delitto Citriniti Sentenza rinviata all’1 marzo Massimiliano Citriniti E’ stata rinviata al prossimo 1 marzo, alla luce dell’istanza di impedimento presentata dall’avvocato Salvatore Staiano, difensore di uno degli imputati, la discussione delle difese e la successiva sentenza del processo che si celebra davanti alla Corte d'assise di Catanzaro - a carico di Cosimo Berlingieri e Gianluca Passalacqua, di 44 e 23 anni, imputati per l'omicidio pluriaggravato del giovane universitario di 24 anni Massimiliano Citriniti, accoltellato a morte il 22 febbraio 2009 fuori dal Centro commerciale "Le Fornaci", a Catanzaro. Il pm Simona Rossi aveva chiesto due condanne all'ergastolo per gli imputati. Richiesta reiterara dal legale di parte civile Francesco Gambardella, che assiste i familiari del giovane ucciso. La discussione dell’avvocato Staiano era stata già rinviata a ieri alla luce di una precedente istanza di impedimento dello stesso legale alla precedente udienze nella quale era stata caledarizzata la data dell’8 febbraio, ora slittata, per le arringhe difensive, la camera di consiglio e la lettura del dispositivo.