Descrivi in modo verosimile ma soggettivo lo spazio della guerra di

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Descrivi in modo verosimile ma soggettivo lo spazio della guerra di
TESTO DESCRITTIVO Descrivi in modo verosimile ma soggettivo lo spazio della guerra di Troia. Scegli liberamente il momento in cui ti trovi (giorno, notte… ma anche primo, ultimo giorno di guerra) e il punto di osservazione, ma procedi poi con ordine per mostrare il campo acheo e la città di Troia. Cerca di servirti delle informazioni in tuo possesso, di usare un linguaggio appropriato all’evento e di indicare particolari, realistici e simbolici, dello spazio. Mi avviai con calma verso la cima di una collina non lontana dal campo. Quella notte Morfeo sembrava non volermi accogliere tra le sue braccia, quindi decisi di uscire a farmi un giro per prendere una boccata d’aria fresca. Non mancava molto all’alba: in lontananza il cielo si stava tingendo di rosa, come se sulla tela blu della notte fosse caduta una goccia di vernice rosata, che ora si stava espandendo sempre più. Una volta giunto sulla sommità del colle mi volsi indietro ad osservare il nostro campo. Non una cicala cantava, non una mosca volava, non un lupo ululava alla luna; regnava un silenzio assoluto, talmente assordante da farmi venire voglia di tapparmi le orecchie per scappare via da esso. Da lì vedevo tutti i resti delle pire, sulle quali molti dei nostri più valorosi soldati erano morti, che si innalzavano cupe sulla piana. Erano disposte secondo un ordine strano: partivano da un nucleo dove erano state liberate le anime dei primi tre caduti e poi si diramavano in tutte le direzioni, come i rami secchi di un albero in inverno. Ciascuna di quelle pire aveva slegato un’anima da un corpo ormai senza vita, in modo che la divina Ecate potesse poi portarla nell’Ade. A vedere quelle pire mi si stringeva il cuore: molti tra i miei compagni erano morti, uccisi dai feroci Teucri, e le loro ceneri giacevano là da qualche parte, tra quei mucchi di legna carbonizzata. Distolsi lo sguardo da quel paesaggio di morte e osservai il vero e proprio campo acheo. Le tende dei soldati erano disposte ordinatamente secondo uno schema a scacchiera, in fila una accanto all’altra. Al centro del campo si vedevano le dimore di Agamennone, capo supremo della spedizione, e di suo fratello Menelao, più grandi rispetto a quelle degli altri condottieri. Dietro all’accampamento spaziava fino all’orizzonte la sconfinata distesa blu del mare, increspato in superficie dalle onde che correvano impetuose verso la riva e che tornavano poi indietro, come le file dell’esercito che avanzavano verso il nemico e che poi, indebolite, si ritiravano, lasciando spazio alla successiva schiera di guerrieri. Vicino alla riva c’erano poi le nostre navi, ancorate saldamente alla terraferma; erano la nostra unica possibilità di salvezza nel caso i Troiani fossero riusciti a raggiungere il campo. Tra esse c’era anche la mia imbarcazione, che mi attendeva per riportarmi finalmente alla mia bella isola, dalla mia splendida Penelope. Ma non era ancora il momento di salpare verso casa, la guerra non era ancora finita. Dall’altra parte del campo, invece, c’era la palizzata, l’ultima esile difesa prima di entrare nell’accampamento. Da quando Achille aveva smesso di combattere, infatti, i Teucri riuscivano ad avanzare sempre di più. Per questo avevamo costruito quel debole muro, che riusciva comunque a trattenere la furia nemica. Oltre la palizzata si estendeva il campo di battaglia, in mezzo al quale si innalzava maestoso il caprifico. Quella distesa desolata aveva bevuto così tanto sangue che ancora in qualche punto si distinguevano delle macchie rosse. Fiumi di vita perduta l’avevano solcata, fiumi che erano sgorgati da centinaia di corpi feriti o mutilati stesi sul terreno, come se fossero state tutte ferite su un unico grande corpo e ciò che da esse era uscito copiosamente non fosse stata la linfa vitale dei soldati, ma quella della terra stessa, anch’essa gravemente ferita da quell’inutile guerra. E là, in fondo, oltre la distesa di sangue, si stagliava imponente la città inespugnabile: Troia, Ilio maledetta, che in dieci anni di guerra ancora non aveva ceduto e non era stata conquistata. Era circondata da possenti mura, attraversabili soltanto da due porte gigantesche, costantemente sorvegliate. Oltre ad esse, moltissime casupole erano disseminate attorno alla rocca di Priamo, sulla sommità del colle. Proprio in quel momento dietro alla città stava sorgendo il sole, che illuminava soltanto una parte della fortezza creando un gioco di luci e ombre che la faceva sembrare calda e accogliente. Sulla cima, accanto al palazzo, si scorgeva il tempio di Pallade Atena, che alla luce del carro del Luminoso Apollo assumeva un colore rosso fuoco. L’astro diurno ormai si era staccato dalla terra e si stava levando in cielo, a segnare l’inizio di un’altra faticosa e sanguinosa giornata, che però ancora non avrebbe posto fine a questa terribile guerra e non mi avrebbe così permesso di tornare alla mia dolce Itaca. Il lavoro è stato svolto come compito in classe nel mese di febbraio da DANIELE MANTOVANI della classe I G ( Liceo Scientifico)ed è stato valutato ottimo dalla docente di classe Emanuela Dugato.