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Editoriale
Qui, da 50 anni, il
N
ell’estate del 1956, un
giovane Don, prete da
pochi giorni, saliva sulle
montagne francesi della Valle
Stretta con il primo gruppo di ragazzi del Lingotto, un quartiere
alla periferia di Torino. E dovette
salire molto in alto per trovare la
vecchia miniera del Banchet e
una capanna di minatori abbandonata, vicino a una sorgente,
che gli era stata regalata.
Cominciava così la lunga e feconda avventura dei “Campi
Estivi”, attraverso la quale migliaia e migliaia di giovani hanno incontrato il Signore.
Il prete si chiamava Paolo
Gariglio. Dopo cinquant’anni di
quelle esperienze, capire i
“Campi”, come in tanti abbiamo
imparato a chiamarli, per essere
stati cercati, incoraggiati e averli
vissuti insieme, significa dire
qualcosa di lui: delle sue intuizioni e di come è, come uomo e
come prete. So che questo non lo
ama, perché al Don la pubblicità
dei complimenti non piace. Ma
non gli ho chiesto il permesso.
Testone lui, testone io. Molte cose tra noi sono andate così. E di
questo lo ringrazio.
IL DON
I
l Don dunque: vocazione adulta, un passato da scavezzacollo, un anelito da missionario e,
per passione, aviatore. Un uomo
impossibile, a tratti volubile,
sempre imprevedibile. Burlone
per carattere, ha una tempra
d’acciaio, perché «in aviazione –
come ama ricordare a chi ha portato in aereo – gli originali pagano di persona».
Sorprendentemente (ma non
troppo…) sensibile ai moti del
cuore umano, sa nuotare nel
grezzume dell’adolescenza come
un capo istruttore, capace di tirare fuori lo straordinario personaggio, maturo e radioso, che si
contorce nella vita dei ragazzi. E
in effetti sono proprio i ragazzi
quelli che lo capiscono: che lo
cercano, lo ‘sfottono’, lo ascoltano e gli obbediscono. È difficile
dirgli di no: il Don c’è ed essi
sanno che vuole loro bene; sa
sopportare le loro esuberanze e
difenderle davanti ad adulti pettegoli. Anche per questo i ragazzi gli sanno perdonare di cuore
quei memorabili ‘cazziatoni’ che
più o meno tutti abbiamo dovuto sorbirci per dare una sterzata
e crescere. È un Don che prega.
In pigiama con la febbre o grintoso e serio dietro quel confessionale che sono i monti a duemila
metri, ha il “pallino” della
Grazia di Dio.
Con i famosi (e logori) pantaloni
di velluto e camicia a scacchi è
alla testa del gruppo per la traversata montana proprio nel
punto in cui la fatica si fa più
pressante. Non parla come i ragazzi e non si comporta come i
ragazzi, ma nessuno sa immedesimarsi in loro più di lui. Il contraccambio è formidabile. Non
viaggia quasi mai da solo. Si fa a
gara, talora, per accompagnarlo
al posto di guida in jeep o in pulmino: per ricevere lezioni di
‘guida sicura’ («Va piano…»,
«Attento che mi ammazzi il cane!»). Ma anche perché, scherzano i ragazzi, «guida meglio gli
aerei delle automobili e bisogna
proteggerlo». Lo segue come
un’ombra un possente pastore
tedesco: si chiama Chira, ed è
femmina, perché, dice lui, «è meno aggressiva e più attenta». Per
molti ragazzi al primo Campo si
tratta di uno «stupido (e pesante)
sacco di patate», a motivo di quel
suo accoccolarsi davanti alla
porta o ai piedi del Don senza
possibilità di essere spostata,
neanche se presa a bersaglio. È
l’unico cane che non abbaia, che
sa sopportare l’allegria dei ragazzi e ascoltare senza repliche
tutti i discorsi del Don. In effetti,
gli Esercizi Spirituali che prolungano l’esperienza dei campi estivi, il Don e Chira li predicano insieme: gli animali, si sa, umanizzano chi è rimasto per troppo
tempo frastornato dalla TV.
L’INTUIZIONE CHE VIENE
DALLA PREGHIERA
S
arà questione di carisma. Ma
il segreto del Don sta soprattutto in tanta preghiera. Non si
potrebbe dire niente di lui se non
si parlasse del Gesù che ama e
che con l’azione della Sua Grazia
lo ha affascinato da giovane. Se
si toglie la predicazione di Gesù
da don Paolo, non resta niente. È
il Gesù che promette la vera vita
a chi lo afferra per mano; che offre la Sua vita per donare la
gioia; che sa scommettere sulla
bontà dei ragazzi anche di fronte
agli insuccessi, e che proprio per
questo sa donare un perdono –
l’unico – trasformante.
La passione estrema per Gesù ha
portato il Don a farsi attento,
estremamente attento, al mondo
giovanile: per captarne speranze
e inquietudini, e decifrarne il linguaggio profondo sempre uguale lungo i tempi. In barba alle
analisi storiche e ideologicamente sociologiche, ha maturato
quattro idee chiare e semplici
di… antropologia soprannaturale. Meditare per credere.
1) La vita di un uomo è in rapporto a qualche «sì» e qualche
«no» detto attorno ai quindici
anni.
2) Questa età è benedetta e cruciale: è fatta di pochissimi anni
duri, irti di crisi e di intime difficoltà, in cui le contestazioni sono
reazioni nervose ad uno stato di
bisogno e di timidezza. I ragazzi
di questa età sono collezionisti
inesperti di idee, impressioni,
emozioni, principi ed esempi.
Per questo un ragazzo di quindici anni è un ragazzo che «ha tre
anni in più di quello che pensa
sua mamma, ma anche tre anni
in meno di quello che pensa lui».
Ricerca confidenza, che si conquista lentamente meritandola
con l’amore, la schiettezza, la
bontà e la ricchezza interiore.
Pensa all’amore più di ogni altra
cosa: ed è pronto a spendersi anche in ascesi per viverne se gli
viene presentato in modo nobile
e all’altezza di ciò che esso è. È
questa la stagione di Dio.
3) Se in un momento come questo un ragazzo riesce ad incontrare un ambiente di fiducia, un
clima di amicizia, di confidenza,
perdono, gioco e preghiera, e soprattutto qualcuno che voglia e
sappia parlargli di Dio, del fatto
che pensato, amato e voluto in
Cristo egli è accompagnato ed
atteso alla pienezza di una vita
di amore, ebbene: egli riuscirà a
seminare nel proprio cuore la
forza da cui ogni amore umano
trae la nobiltà del proprio nome.
Diventerà maturo, impostando
la direzione della crescita in modo decisivo, portando frutti a
suo tempo. Il gelo delle mezze
misure, mezze parole e mezze
intenzioni del mondo adulto raffredderà presto il cuore e gli
slanci. Ma se si è seminato Dio, il
germoglio crescerà «come albero
piantato lungo i corsi d’acqua viva».
4) L’adolescente, dal suo compagno maggiore si attende di tutto
fuorché un invito alla bontà.
Quando questo avviene, suscita
nel suo animo semplice sorpresa
e fascino irresistibile. I migliori
collaboratori all’educazione di
un ragazzo sono perciò ragazzi
come lui di poco più grandi: coetanei vivaci e sensibili ma incrollabili nell’impegno di una vita di
Grazia.
IL PROGETTO:
UN SOGNO PENSATO
È
sulla base di queste convinzioni che è nata – e tuttora
continua – l’esperienza dei
Campi Estivi. In realtà, essi sono
parte di un sogno molto più
grande. Se per insegnare il latino
a John bisogna conoscere il latino