versione pdf - Dipartimento di Matematica
Transcript
versione pdf - Dipartimento di Matematica
Breve inquadramento storico Volendo schematizzare lo sviluppo cronologico del calcolo infinitesimale sembra più corretto, piuttosto che seguire l’ordine con cui didatticamente vengono usualmente esposti i concetti, seguire l’ordine inverso: – problemi di integrazione (calcolo di aree, volumi, baricentri, ecc.); – differenziazione; – limite. 1 • L’integrazione, nel senso di calcolo diretto di aree, volumi, ecc., si ritrova fin in tempi antichissimi: parliamo di integrazione in questo senso in Eudosso e specialmente in Archimede (III sec. A.C.): l’approccio è euristico nell’opera “Il Metodo”, mentre è rigoroso, mediante il metodo di esaustione, nelle altre opere. Osserviamo esplicitamente che l’opera “Il Metodo” di Archimede fu scoperta soltanto nel 1906, quindi non era nota nel XVII secolo, agli albori dell’analisi infinitesimale. • Il cosiddetto metodo di esaustione utilizzato dai Greci per calcolare aree e volumi, non richiedeva la nozione di limite. Il metodo si basava sul Postulato di Eudosso-Archimede. Date due grandezze “omogenee” (concetto considerato primitivo) A e B, con A < B, esiste un numero n tale che nA > B. Da questo si può dimostrare il seguente risultato (per grandezze che soddisfano tale postulato, o “che hanno fra loro rapporto”, come affermato in Euclide, Elementi, Libro V): Se da una qualsiasi grandezza si sottrae una parte non inferiore alla sua metà, e se dal resto si sottrae ancora non meno della sua metà, e se questo processo di sottrazione viene continuato, alla fine rimarrà una grandezza inferiore a qualsiasi grandezza dello stesso genere precedentemente assegnata. 1 2 (In termini moderni, ciò equivale ad affermare che se M è la grandezza e ≤ r < 1, allora lim M (1 − r)n = 0; n→+∞ chiaramente è sufficiente 0 < r < 1). Ad esempio, per quanto riguarda la dimostrazione che le aree dei cerchi stanno fra loro come i quadrati dei rispettivi diametri, Euclide negli Elementi, Libro XII, procede come segue. Dette a e A le aree di due cerchi di raggi r e R, si deve dimostrare che a/A = r2 /R2 . Si procede per assurdo escludendo le due possibilità a/A > r2 /R2 e a/A < r2 /R2 . Nel primo caso, ad esempio, sia a0 la grandezza tale che a0 r2 = 2 (quindi a0 < a). A R Partendo da un poligono regolare inscritto nel cerchio di raggio r, è possibile, mediante successivi raddoppiamenti del numero dei lati, ridurre l’area intermedia fino a un valore minore di a − a0 ; quindi esiste un poligono pn di n lati, inscritto nel cerchio di raggio r, con area a(pn ) tale che a − a(pn ) < a − a0 , o anche a(pn ) > a0 . Se Pn è il poligono di n lati inscritto nel cerchio di raggio R, sappiamo che a(pn )/a(Pn ) = r2 /R2 , da cui a(pn ) a0 = , a(Pn ) A e quindi, essendo a(pn ) > a0 , deve essere a(Pn ) > A : assurdo. 2 (L. Geymonat, Storia e filosofia dell’Analisi infinitesimale, Levrotto e Bella, Torino (1947)) “V’è alla base del metodo di esaustione un procedimento infinitesimale, che corrisponde all’odierno metodo delle successioni convergenti; manca però il concetto esplicito di limite; e quindi il risultato viene dimostrato solo indirettamente, provando – caso per caso con ragionamenti diversi – che dalla negazione di essi seguirebbe un assurdo. Il metodo di esaustione elimina ogni appello ai pretesi ultimi elementi che intuitivamente parrebbero raggiungibili con un’operazione infinita, e quindi è logicamente impeccabile. Ad esso, come scrive l’Enriques, ‘si può muovere soltanto il rimprovero di nascondere la via naturale che il pensiero è indotto a percorrere nei problemi dell’analisi infinitesimale’: rimprovero grave, però, che denuncia la strutturale infecondità del metodo; tant’è vero che i grandi matematici greci, se riuscirono, per mezzo di esso, a dimostrare alcuni teoremi brillantissimi, non furono tuttavia in grado di ricavarne regole generali come quelle del calcolo integrale moderno.” Ciò può far riflettere sia sull’importanza del concetto di limite che sulla sua intrinseca difficoltà. 3 • Il secolo XVII si può dire vide la nascita dell’analisi infinitesimale. ∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼ • Citiamo brevemente gli elementi più significativi della storia della matematica precedente il XVII secolo: matematica greca del periodo alessandrino (IV-III sec. a.C.): Euclide, Archimede, Apollonio; e del III, IV sec. d.C.: Diofanto, Pappo; segue il lungo periodo del Medioevo (convenzionalmente dal 476 (caduta di Roma) al 1453 (caduta di Costantinopoli)) durante il quale ben pochi sono i fatti matematicamente rilevanti; fra questi: Fibonacci (XIII secolo); svolse, fra l’altro, un compito di trasmissione della cultura araba al mondo occidentale. studi filosofico-matematici del XIII e XIV secolo (vedi osservazione successiva). sviluppo (essenzialmente italiano) dell’Algebra nel ’500: Pacioli, Dal Ferro, Cardano, Tartaglia, Ferrari, Bombelli, Viète. Con Pacioli (Summa de arithmetica, 1494) si ha un inizio di algebra sincopata.1 riscoperta dei classici (Archimede ecc.) Infine un commento sui contributi della matematica indiana e islamica: − Gli indiani rivelarono una mentalità matematica completamente diversa da quella dei greci, più intuitiva e meno rigorosa. Fecero progressi in aritmetica (zero, notazione posizionale) e in trigonometria, mentre non apportarono alcun contributo importante alle ricerche infinitesimali. − (Geymonat) “Gli arabi esercitarono nella storia del pensiero matematico una funzione molto importante, per aver saputo assimilare contemporaneamente alcuni fra i principali motivi della matematica greca e di quella indiana, ed averli trasmessi alla cultura occidentale”. Alcuni contributi originali arabi sono rintracciabili in algebra e trigonometria (e relativamente alle geometrie non euclidee). 1 si intende, con ciò, una via di mezzo fra l’algebra retorica, che si esprime a parole, e la nostra usuale algebra simbolica, estremamente concisa. 4 Osservazione Di rilievo per gli sviluppi dell’analisi infinitesimale sono i sopracitati studi filosofico-matematici del XIII-XIV secolo sulla “variabilità delle forme”. La rilevanza di tali studi sta nel fatto che le qualità (“forme”), come la velocità (intesa però come concetto primitivo, con carattere più filosofico che matematico), la densità, la temperatura e il calore (ma anche l’amore e l’odio) cominciavano ora ad essere visti come suscettibili di variazione, e quindi oggetto di quantificazione. Questo progressivo affermarsi dell’idea di variabilità delle qualità può essere interpretato come il germe di quello che sarà il concetto di funzione. Nel XIII secolo lo studio della variabilità delle forme fu solo verbale, mentre nel XIV secolo abbiamo una rappresentazione grafica di fenomeni connessi con la variabilità; ciò ad opera, soprattutto, delle scuole delle Università di Oxford (Merton College) e di Parigi (ricordiamo il Tractatus de latitudinibus formarum di Nicole Oresme (1323?–1382)). • Nel ’600 l’integrazione si presenta come problema estremamente complesso e variegato nei suoi molteplici tentativi di superamento del rigorosissimo, ma pesante metodo di esaustione. Al riguardo possiamo individuare le seguenti tappe: − (prima metà del ’600) calcolo di aree, volumi, baricentri, ecc., con il metodo degli indivisibili . Il metodo, di natura sostanzialemente geometrica, si rivela estremamente fecondo, ma dai fondamenti fragili. Ricordiamo le opere di Keplero, Cavalieri, Torricelli, Roberval. − integrazione definita tramite un’integrazione indefinita, dopo il teorema di inversione. Tale teorema (“teorema fondamentale del calcolo integrale”) è dovuto essenzialmente, anche se non esclusivamente, a Torricelli (1608– 1647) (genesi cinematica) e Barrow (1630–1677) (dimostrazione geometrica), ma fu valorizzato soltanto con l’acquisizione della piena consapevolezza del suo valore e con la sua sistematica utilizzazione mediante regole di calcolo da parte di Newton (dimostrazioni analitico-cinematiche) e di Leibniz (processo inverso della differenziazione). Prima dell’affermarsi di questo teorema i problemi di determinazione della retta tangente e quelli del calcolo diretto di aree e volumi erano concettualmente separati. 5 • Gli indivisibili Come detto, verso l’inizio del XVII secolo cominciò a farsi strada l’esigenza di tecniche più efficienti rispetto al metodo di esaustione. Secondo Ludovico Geymonat: Kepler fu il primo matematico del ’600 ad abbandonare senza compromessi il metodo di esaustione e le sue difficili dimostrazioni per assurdo. Lo sostituı̀ con molta disinvoltura per mezzo di ragionamenti diretti sugli infiniti e gli infinitesimi. L’opera matematica di Keplero influenzò sicuramente il principale autore, se non l’inventore, del cosiddetto metodo degli indivisibili: Bonaventura Cavalieri (1598–1648), la cui principale opera è la “Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota” (1635). Il metodo degli indivisibili di Cavalieri è legato ad una visione essenzialmente ‘statica’ del continuo matematico: questo viene visto come costituito dalla totalità degli enti di dimensione più bassa: una linea può essere pensata costituita dalla totalità dei suoi punti, una superficie piana da una totalità di corde fra loro parallele; cosı̀ pure un solido, oggetto tridimensionale, può essere pensato costituito da una totalità di superficie piane fra loro parallele. Nel caso di superficie piane questa idea direttrice si traduce nel “principio di Cavalieri”, secondo cui: se due aree piane, tagliate da un sistema di rette parallele, intercettano, sopra ognuna di queste, due corde uguali, allora le due aree sono uguali. Se le corde corrispondenti hanno un rapporto costante, lo stesso rapporto sussiste fra le aree. C A B D C’ A’ B’ D’ 6 Osserviamo che ragionamenti molto simili a quelli di Cavalieri erano stati utilizzati già da Archimede (nell’opera “Il Metodo”, che però, come detto, fu scoperta solo più tardi e quindi era sconosciuta nel XVII secolo). Ma Archimede attribuiva a questi procedimenti solo un valore euristico, affidandone la dimostrazione al metodo di esaustione. ∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼ Contributi originali e di primo piano alla teoria degli indivisibili furono inoltre portati da: Torricelli (indivisibili curvi) e Roberval. Nei lavori di Torricelli possiamo anche trovare traccia della relazione che in termini moderni si traduce in Z t s(t) = v(t) dt , 0 dove s e v indicano lo spazio percorso e la velocità, rispettivamente. Considerazioni più geometriche che cinematiche condussero Barrow alla medesima relazione fra una funzione e la sua funzione integrale. Ma è soltanto con Newton e Leibniz che questa intuizione trova sistemazione in un metodo organico. • Fermat (1601–1655) e il ‘rapporto incrementale’ Prima di passare ad alcuni rapidi commenti sui due principali artefici della nascita del calcolo differenziale e integrale osserviamo come Pierre de Fermat abbia ‘sfiorato’ il concetto di rapporto incrementale. Nel suo metodo di calcolo del massimo (o minimo) di una funzione2 f (x), Fermat afferma che se a è uno di tali punti, la variazione di f attorno a x = a sarà piccola; pertanto, se attribuiamo un incremento E non nullo alla variabile x, si avrà una ‘quasi-uguaglianza’ (‘adequalitas’ ): f (a + E) ∼ f (a) . Da questa, effettuate le semplificazioni, dividendo per E e ponendo poi E = 0 (in sostituzione di quello che per noi sarebbe il limite per E → 0. . . ), si perviene al valore di a: si pensi, ad esempio, al caso f (x) = x2 o, nell’esempio di Fermat stesso, f (x) = x2 (3 − x). Ricordiamo al riguardo quello che spesso nei libri odierni viene citato come Teorema di Fermat (o della stazionarietà dei punti di estremo). 2 utilizzando un simbolismo moderno; notiamo anche che la stessa geometria analitica era agli albori (Descartes, Géométrie del 1637) 7 • Newton (1642–1727) Con Newton si ha un netto superamento degli indivisibili; mentre quelli erano legati ad una visione ‘statica’ del continuo, il fisico Newton vede il continuo in modo ‘dinamico’: . . . considero . . . le grandezze matematiche . . . come generate da un moto continuo. Le linee vengono descritte . . . per moto continuo di punti; le superficie per moto di linee . . . ; chiamando flussioni queste velocità di accrescimento, e fluenti le quantità generate, giunsi . . . negli anni 1665 e 1666 al metodo delle flussioni. (Newton, “De quadratura curvarum”) (Notiamo come i termini di fluxus e fluens fossero già stati usati nell’ambito di precedenti riflessioni sul concetto dinamico del continuo sviluppate dalla scuola di Oxford). Il concetto di flussione ẋ di una fluente x viene sostanzialmente dato come primitivo da Newton: possiamo dire che l’esatta definizione delle flussioni sta nelle regole per la loro formazione, che Newton tratta diffusamente: operativamente si avvicina molto al concetto di derivata. Nei Principia Newton esporrà queste tecniche di derivazione mediante il metodo dei primi e ultimi rapporti, temendo che le flussioni potessero non essere accolte dal mondo scientifico. Nel De Analysi Newton mostra come quella che in termini moderni è la funzione Z x f (t) dt 0 abbia come flussione proprio f (x); mediante questa osservazione (cioè il Teorema fondamentale del calcolo integrale) ottiene un metodo di calcolo delle aree: ciò corrisponde al calcolo di un integrale definito mediante individuazione di una primitiva. • Leibniz (1646–1716) In tutta la filosofia-matematica leibniziana gioca un ruolo fondamentale il concetto di differenziale, introdotto nella fondamentale memoria “Nova Methodus” (1684). Il dx (“id est differentia inter duas x proximas”) è un simbolo che Leibniz usa con disinvoltura, talvolta per indicare un incremento arbitrario della x talvolta per indicare un incremento infinitesimo. Va osservato che per Leibniz il differenziale dy era direttamente definito come incremento dell’ordinata sulla retta tangente in corrispondenza di un dato incremento dx; era quindi visto come oggetto della forma g(x)dx, determinato con regole ben precise (ad esempio Leibniz sa che d(x2 ) = 2xdx, ecc.). Nell’accezione di dx come incremento infinitesimo Leibniz concepisce quello Rb che per noi è a f (x) dx come “somma” di tutte le aree del tipo f (x)dx. Ma questa espressione ‘evoca’ in lui l’identità dy = f (x)dx . Se si individua una tale funzione y l’integrale si riduce alla “somma delle infinite differenze” dy e quindi a y(b) − y(a). Notiamo esplicitamente che questa somma 8 infinita è pensata concependo il continuo secondo lo spirito di Cavalieri, quindi con una visione radicalmente diversa rispetto al continuo dinamico newtoniano. Leibniz stesso riconosce che l’idea del differenziale e il legame ora accennato tra problema delle tangenti e problema delle quadrature gli venne leggendo lo scritto “Traité des sinus du quart de cercle” di Blaise Pascal (1623–1662). ∼·∼·∼·∼·∼·∼·∼ • Il concetto di limite maturò durante tutto il XV III secolo parallelamente a quello di derivata; entrambi raggiunsero una formulazione soddisfacente solo nel XIX secolo. Furono soprattutto i concetti di derivata e di serie a spingere per una precisazione della nozione di limite. 9 (Boyer pag. 520–522) 10 (Boyer pag. 595–596) 11 La definizione di continuità assunse la forma attuale solo parecchi decenni dopo: in certo senso la continuità era concetto intuitivo, era “davanti agli occhi”, sembrava non vi fosse alcuna necessità di definirla. Euler nel 1748 (Introductio in analysin infinitorum) associava l’idea di continuità di una funzione a quella di una curva; e diceva continua quella curva “la cui natura è espressa da una sola funzione determinata della x”. La definizione utilizzata da Cauchy era espressa in termini di infinitesimi (precisati secondo la sua nozione di limite), ma non è chiaro se l’uso che ne fece non sia piuttosto in termini di continuità uniforme. Del resto, Lacroix nel suo monumentale Traité du calcul différentiel et du calcul intégral, ristampato ancora nel 1837, definiva legge di continuità “quella che si osserva nella descrizione delle linee mediante il movimento e secondo cui i punti consecutivi di una stessa linea si succedono senza alcun intervallo.” Appunti di Casorati del 1864 testimoniano come nei suoi colloqui con Kronecker si discutesse ancora attorno alla definizione di continuità. Una definitiva sistemazione rigorosa del concetto di limite e di continuità si ebbe parallelamente alla chiarificazione della continuità della retta, ad opera soprattutto di Weierstrass (1815–1897), Dedekind (1831–1916) e Cantor (1845– 1918). 12 − U. Bottazzini Il calcolo sublime Boringhieri (1981) − C.B. Boyer Storia della matematica Mondadori − C.B. Boyer The history of the calculus and its conceptual development Dover − P. Dupont Appunti di storia dell’analisi infinitesimale 3 voll. Libreria scientifica Cortina, Torino (1981) − L. Geymonat Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale Levrotto & Bella, Torino (1947) − E. Hairer - G. Wanner Analysis by its history Springer (1997) − M. Kline, Storia del pensiero matematico Einaudi (1996) 13