Capitolo III Bartolomeo Scappi. III.1 Le “complicate” origini di

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Capitolo III Bartolomeo Scappi. III.1 Le “complicate” origini di
Capitolo III
Bartolomeo Scappi.
Perché in sostanza non volgiamo con
maggior convinzione lo sguardo indietro
e proviamo a recuperare quanto di
ancora trapiantabile ci hanno tramandato
i tempi antichi? La scelta è oltremodo
vasta perché in fatto di gastronomia i
secoli non hanno nulla da invidiare
all’epoca attuale. Anzi semmai è vero il
contrario.
(Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte
del cucinare. Presentazione di Giancarlo
Roversi,
ristampa
1981,
Bologna,
Arnoldo Forni Editore, s.p.).
III.1 Le “complicate” origini di Scappi. III.2 Bartolomeo Scappi. III.3
Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V. III.4 Cronologia di
Bartolomeo Scappi III. 5 Bibliografia.
III.1 Le “complicate” origini di Scappi63.
Nell’introduzione di Giancarlo Roversi alla ristampa anastatica del 1981 dell’Opera
di Batolomeo Scappi64 si citano diverse ipotesi relative alle origini del cuoco “segreto”
di Papa Pio V65. Ercole Vittorio Ferrario66, Massimo Alberini67 ed Emilio Faccioli68
63
In questo paragrafo ripercorreremo il dibattito storiografico sulle origini dello Scappi. Dibattito superato
grazie alla caparbietà di Don Gabriele Crenna, parroco della Chiesa di San Giorgio di Runo di Demenza. Questi,
continuando l’opera di sistemazione e di riscoperta della chiesa di Mons. Giuseppe Parapini (parroco dal 1948 al
1992), riportò alla luce una epigrafe in pietra grigia di Saltrio composta dopo la morte di Bartolomeo Scappi, il
13 aprile 1577 a Roma. Riteniamo che la storia del suo ritrovamento e dei suoi sviluppi sia talmente interessante
da potervi dedicare uno spazio autonomo. Alla questione è, appunto, dedicato il capitolo successivo.
64
Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare. Presentazione di Giancarlo Roversi, ristampa 1981,
Bologna, Arnoldo Forni Editore.
65
Nel 1570, Bartolomeo Scappi, ottenuto il privilegio di stampa dal Papa Pio V, pubblicò l’Opera di M.
Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V. Divisa in sei libri. Si tratta di un vero capolavoro del genere,
che ha esaltato la figura di Bartolomeo Scappi al rango di uno dei più grandi maestri cuochi di tutti i tempi. Nelle
pagine seguenti, il libro verrà analizzato in maniera più dettagliata.
37
propendono per una sua estrazione veneta. Interpretazione, in apparenza, suffragata dal
fatto che la stampa del 1570 avvenne proprio a Venezia, come si evince dal
frontespizio. Della stessa idea sarà, del resto, anche Claudio Benporat nel suo bel libro
Storia della gastronomia italiana
del 1990. Luigi Firpo70, invece, basandosi sulla
69
supposizione che le inflessione dialettali venete si leggono soprattutto nelle didascalie
alle tavole, preparate, appunto, da bravi incisori veneti, lo ritiene “del ceppo
bolognese”.
Tale interpretazione abbracciava Roversi. La presenza della famiglia Scappi a
Bologna è, del resto, documentata fin dal secolo XIII. In quel periodo i suoi membri
aderirono alla famiglia guelfa dei Geremei. Alcuni membri della famiglia ricoprirono
importanti magistrature. Nel 1590 gli Scappi furono aggregati al Senato bolognese dal
Papa Urbano VII.71
“Gli Scappi possedettero a Bologna una casa con annessa torre nel cuore di
Bologna, fra la cattedrale di S. Pietro e la Piazza Maggiore. Su di essa sorse in
seguito un dignitoso palazzo che inglobò la vecchia torre gentilizia, innalzata
all’inizio del ‘200 da Pietro Scappi e tuttora esistente.
È quindi da credere che Bartolomeo, anche se certamente non al ceppo nobile,
appartenesse a un ramo secondario dell’antica famiglia di Bologna.”72
La torre tuttora esistente è la Torre degli Scappi73, situata all’inizio della
centralissima via Indipendenza. Questa fu innalzata da Pietro Scappi all’inizio del ‘200
è alta 39 metri. Lo spessore dei muri alla base potrebbe far pensare che avrebbe dovuto
66
Ercole Vittorio Ferrario, 1959, Arte del cucinare, Milano Stedar.
67
Massimo Alberini, 4000 anni a tavola, 1972, Milano Fratelli Fabbri, pagg. 67-74; e Massimo Alberini,
Cento ricette storiche, 1974, Firenze Sansoni, pagg. 50-57.
68
Emilio Faccioli, Arte della cucina, 1966, Milano Il Polifilo, vol. II, pagg. 15-64.
69
Claudio Benporat, Storia della gastronomia italiana, 1990, Milano Mursia, pag. 94.
70
Luigi Firpo, Gastronomia del Rinascimento, 1974, Torino UTET, pagg. 21-26 e 39-96.
71
Roversi ipotizza che tale elevazione possa essere stata facilitata dalla fama raggiunta, proprio, da
Bartolomeo Scappi. Questi, tra l’altro, doveva avere grande dimestichezza con la corte romana.
72
Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare. Presentazione di Giancarlo Roversi, ristampa 1981,
Bologna, Arnoldo Forni Editore, s.p..
73
Le torri di Bologna. Quando e perché sorsero, come vennero costruite, chi le innalzò, come scomparvero,
quali esistono ancora, a cura di Giancarlo Roversi, Bologna, Edizioni Grafis 1989.
38
essere più alta, forse, per rivaleggiare con le vicine torri degli Azzoguidi e dei
Prendiparte74. La costruzione, però, non sarebbe mai stata ultimata.
Oggi, la torre è inglobata all’interno della cinquecentesca casa Coccapani.
La suggestiva interpretazione di Roversi è stata, però, smentita dal ritrovamento “di
una lapide nella chiesa di Runo di Dumenza sul lago Maggiore, nel Luinese, che
sembra dare credibilità”75 all’ipotesi di una sua origine lombarda. Il fatto che si sia
potuto ritenere lo Scappi, ora di origini venete, ora di origini bolognese, e, infine
correttamente, di origini lombarde, afferma Montanari, “testimonia la poliedricità della
sua cultura, la capacità di guardare in ogni direzione e di raccogliere usi e tradizioni
diverse, in qualche misura amalgamandoli e riplasmandoli”.76
La notizia del ritrovamento della lapide è stata data proprio da Massimo Alberini
che, Roversi, riteneva fonte “seppure con qualche esitazione”77 dell’origine veneta
dello Scappi78:
«C’è chi lo ritiene veneto, chi bolognese. La risposta, inoppugnabile, sta nella chiesa di San
Giorgio a Runo, in quel di Luino. Una lapide ricorda un lascito del Cavaliere e Conte lateranense
Bartolomeo Scappi per la celebrazione di messe in suffragio. Il parroco, Monsignor Giuseppe
Parapini, assicura che quelle donazioni venivano sempre fatte al paese d’origine. Dunque, Scappi,
definito il Michelangelo della cucina rinascimentale, fu capostipite (dopo Maestro Martino da Como)
della grande tradizione dei cuochi dei laghi lombardi, rispettata ancora oggi».
74
La bella torre degli Azzoguidi è del XII secolo è visibile da Via Altabella. La strada prende il nome dal
soprannome della torre: Altabella. Soprannome dovuto ad un arretramento della faccia esterna a circa 28 metri
dal suolo, che le dona un profilo molto elegante. La torre eretta nel XII secolo è alta 61 metri. È, dunque, la torre
bolognese più alta dopo quella degli Asinelli (91 metri).
La torre dei Prendiparte è alta 59 metri, ed è nota con il soprannome di Coronata, per via dei “denti” della
risega.
75
Alberto Capatti Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, 2008, Roma-Bari Laterza ,
pag. 16.
76
Ivi.
77
Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare. Presentazione di Giancarlo Roversi, op. cit., s.p.
78
Cfr. nota 67. La notizia del ritrovamento della lapide, invece, è in Massimo Alberini, Bartolomeo Scappi
maestro di tutti i cuochi, in «L’Accademia italiana della cucina», 83 (1998), pag. 9.
Vale la pena ricordare che Roversi affermò, anche nell’edizione del 2002 dell’Opera che Bologna non
rinunciava all’idea di uno Scappi bolognese.
39
III.2 Bartolomeo Scappi79.
Bartolomeo Scappi, dunque, nacque a Dumenza, a circa 5 chilometri da Luino, tra
la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo. Aveva una sorella di nome Caterina, la
quale sposò un certo Nazeo Brioschi. Caterina ebbe due figli, Giovanni Stefano e
Cesare. Non sappiamo nulla sulla sua formazione, anche perché nell’Opera non
accennerà mai ad un suo maestro.
La prima notazione bibliografica del libro ci testimonia la presenza di Scappi a
Venezia, al servizio del Cardinale Grimani. Questi fu stabilmente a Venezia tra il 1528
e il 1535. Dunque, è in quegli anni che va individuata la presenza di Scappi a Venezia.
Nel 1536, invece, era sicuramente a Roma, quando al servizio del Cardinale
bolognese Lorenzo Campeggi80. Il Campeggi fu legato papale in Inghilterra nella
difficile missione diplomatica con Enrico VIII che voleva divorziare da Caterina
d’Aragona. Il 25 gennaio del 1533, poi, si sarebbero celebrate le nozze di Enrico VIII
con Anna Bolena.
Il Cardinale, ritornato a Roma, nel 1536 fece imbandire un sontuoso banchetto per
Carlo V. Il banchetto è minuziosamente descritto nella sua Opera.
Nel 1539, però, il Cardinale Campeggi passò a miglior vita, e Bartolomeo, ancora a
Roma, passò al servizio del Cardinale Rodolfo Pio di Carpi. Doveva essere ancora al
servizio del Cardinale Rodolfo Pio di Carpi quando ebbe l’incarico di somministrare i
cibi ai Cardinali giunti a Roma, in occasione del conclave, svoltosi tra il 29 novembre
del 1549 e il 7 febbraio del 1550, dopo la morte di Paolo III, e dal quale sarebbe stato
eletto papa Giulio III. Nell’appendice all’Opera avrebbe illustrato il servizio di mensa
proprio in occasione di questa importantissima occasione. Fu, poi, proprio il Cardinale
79
La fonte principale per la ricostruzione della vita di Bartolomeo Scappi è June di Schino Furio Luccichenti,
Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la Confraternità dei cuochi e dei pasticcieri, 2007, Roma
Gangemi.
80
Il Campeggi fu legato papale in Inghilterra nella difficile missione diplomatica con Enrico VIII che voleva
divorziare da Caterina d’Aragona. Il 25 gennaio del 1533, poi, si sarebbero celebrate le nozze di Enrico VIII con
Anna Bolena.
Nella interpretazione di Roversi, il Cardinale bolognese, ritornato a Roma, dovette facilitare la carriera di
Bartolomeo Scappi. Questo episodio è considerato da Roversi una ulteriore dimostrazione della bolognesità dello
Scappi.
40
Rodolfo Pio di Carpi ad affidargli il discepolo Giovanni81 a cui fu dedicato il
ragionamento del primo libro del trattato di Bartolomeo.
June di Schino e Furio Luccichenti ci fanno notare che “cuoco segreto” del papa
(cioè cuoco privato) era un certo Francesco e non lo Scappi82.
Giulio III, comunque, fu una figura originale. “Fu forte mangiatore, a non di cibi
scelti, quali amavano i ghiottoni del Rinascimento, sebbene andavangli a genio piatti
sostanziosi, grassi, fortemente conditi d’aglio”83.
A proposito di questo conclave, è molto probabile che Scappi non curò la
preparazione generale del servizio, ma esclusivamente per il Cardinale per il quale
prestava servizio. In effetti, ogni prelato aveva il suo cuoco personale84.
Con i papi successivi, Marcello II e Paolo IV, quasi sicuramente Scappi non ebbe
relazioni, mentre nell’Opera cita per ben due volte Pio IV.
Il 2 maggio 1564 morì il Cardinale Rodolfo Pio di Carpi , e con ogni probabilità
Scappi, per la prima volta, divenne cuoco segreto del Papa. Così testimoniano i “Ruoli
di famiglia” e le “Giustificazioni di Tesoreria” conservati presso l’Archivio di Stato di
Roma e la Biblioteca Apostolica Vaticana. In essi compari citato il nome di
Bartolomeo da Carpi, denominazioni da non intendere come derivazione geografica,
ma per il servizio prestato per il Cardinale Rodolfo Pio di Carpi.
Eppure, nel frontespizio del libro il titolo di cuoco segreto è riferito al solo Pio V, e
non a Pio IV. Questo dovette, con ogni probabilità, essere un riguardo verso il
pontefice allora regnante. È molto probabile che Scappi ebbe le sue maggiori
soddisfazioni proprio da Pio IV, il quale non era affatto alieno dai piaceri della tavola,
ma la sua non era sì splendida come il suo antecessore85.
81
Individuato da June di Schino e Furio Luccichenti in Giovanni Valfredo de Meldula.
82
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pag. 14.
Da diverse fonti desunte dall’Archivio di Stato di Roma e dalla Biblioteca Apostolica Vaticana gli autori
sono riusciti e collazionare i nomi dei cuochi segreti dei pontefici per il periodo 1513-1585.
83
June di Schino e Furio Luccichenti citano Ludwig von Pastor, Storia dei Papi, Roma, Desclée & C., 1910-
1964, vol. VI, pag. 37.
84
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pag. 17.
85
Ludwig von Pastor, Op. cit., Vol. VII, pag. 71.
41
Il 7 gennaio del 1566 fu eletto Pio V. Il tradizionale banchetto per l’incoronazione,
tenuto il 17 gennaio, fu splendido ma non sfarzoso. Il Papa che mangiò in Vaticano
nelle stanze di Innocenzo VIII mangiò tanto poco come se si fosse trovato tuttavia nel
refettorio del suo convento86
Il 17 gennaio del 1567, allestì il banchetto celebrativo in occasione del primo
anniversario del papato di Pio V. Nel trattato Bartolomeo si definisce cuoco “segreto”
di Papa Pio V.
Fig. 3. Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare. Presentazione di Giancarlo
Roversi op. cit., s.p.
86
Ludwig von Pastor, Op.cit., Vol. VIII, pag. 49.
42
June di Schino e Furio Luccichenti dubitano del fatto che Scappi possa aver, non
solo servito, ma anche programmato il pranzo in tale occasione. Egli, in effetti, non
risulta più tra gli elenchi dei cuochi segreti, rimanendo indicato, tra il 1566 e il 1568 il
solo Giovanni de Croce. Il nome di Bartolomeo Scappi, poi, ricompare su un consegna
di necessità da parte dello speziale il 29 luglio 156887.
Il servizio per Pio V, comunque, dovette essere molto frustrante per il carattere ed il
tenore di vita del pontefice. Pio V fece cacciare di corte il Dottor Buccia, buffone di
corte di Pio IV. Abolì il banchetto annuale da tenersi in occasione della sua
incoronazione, disponendo, invece, la distribuzione ai poveri dei 1.000 scudi,
precedentemente destinati al banchetto.
Pio V digiunava spessissimo. Prima della sua elezione era solito praticare una dieta
vegetariana. Durante la Settimana Santa del 1568 ebbe un calo di pressione che gli
causò uno svenimento.
Forse, fu proprio il disinteresse del Papa verso i piaceri della cucina che suscitò in
Scappi l’idea di un libro. Un libro nel quale raccogliere ricette e conviti. La revisione
di tutto il materiale fu, probabilmente, eseguita da un revisore dell’editore.
L’editore fu Michele Tramezzino, di cui Scappi aveva conosciuto il fratello
Francesco a Roma. L’editore aveva pubblicato nel 1544 una traduzione italiana del De
Rustica di Lucio Giunio Moderato Columella (scrittore romano di agricoltura del I sec.
d.C) e nel 1560 La Singolar Dottrina di Domenico Romoli, entrambi incentrati sul
tema alimentare. Il Tramezzino dovette pensare di poter ripeterne il successo.
Nell’Opera dovette crederci molto perché sostenne di costi molto alti per arricchire la
pubblicazione con 27 accuratissime tavole. Caso unico nella storia del libro del XVI88.
Successivamente Scappi pensò di dedicarsi ad una attività che gli procurasse minor
fatica. Pensò di investire i suoi risparmi accumulati in 35 anni di carriera per
acquistare la carica di mazziere. Si trattava di una carica decorative, ma indispensabile
per poter presenziare al cerimoniale pontificio. Carica che rappresentava
87
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pagg. 17 e 27.
88
Ibidem, pag. 19.
43
simbolicamente il potere. Era molto ambita perché consentiva di essere direttamente in
contatto con il Santo Padre.
In seguito, tra il 1571 e il 1576 fu nominato Cavaliere e Conte Palatino Lateranense.
Carica della quale veniamo a conoscenza dalla lapide citata nella Chiesa di San
Giorgio in Runo di Dumenza89.
Intanto, il 1 maggio 1952 Pio V rese l’anima a Dio.
Il successore Gregorio XIII scelse come suoi cuochi segreti Domenico Gabriello e
Luigi Benson. Scappi non avrebbe più, dunque, ricoperto questo importantissimo
incarico. Del resto, come Pio V, anche Gregorio XIII si sarebbe mostrato
disinteressato al cibo.
Bartolomeo Scappi aveva redatto il 10 aprile 1571 un primo testamento90. Dominus
Bartholomeus Scappus Mediolanensis, coqus secretus Sanctissimi Domini Nostri Pij
Quinti disponeva un legato di 50 scudi alla Compagnia dei Cuochi e Pasticcieri alla
quale apparteneva; il lascito di una collana d’oro alla sorella del valore di 40 scudi; a
Joanni valfredo de meldula suo Alumno91 100 scudi, consegnati al compimento dei 34
anni; ai suoi servitori 50 scudi per quattro anni; 1 scudo ai poveri; quale erede
universale nominava Giovanni Stefano Brioschi, con la clausola che non potesse
disporne prima del compimento dei 34 anni e che lui e suoi figli assumessero il
cognome Scappi.
Il 14 maggio 1576 decise di rifare il testamento, forse perché era morto il nipote
Giovanni Stefano, erede universale. Di questo secondo testamento si ha notizia di solo
due legati: disponeva un censo di 200 scudi per obblighi di messe in favore
dell’Ospedale della SS. Trinità dei Pellegrini in Roma; dava mandato al nipote Cesare
di dotare quattro fanciulle di marito, due di casa Scappi e due di casa Serante di 50
ducati a testa, qualora non vi fossero fanciulle d marito in queste famiglie, di
sceglierne altre quattro tra quelle di Dumenza. Altri cento scudi erano lasciati alla
chiesa di San Giorgio di Runo di Dumenza, affinché fossero investiti in un fondo, i cui
89
La lapide è gia citata in Pierangelo Frigerio, Uno Scappi tira l’altro, in “Il Rondò. Almanacco di Luino e
dintorni per il 1995”, 1994.
90
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pag. 23-24.
91
È il Giovanni, suo discepolo del ragionamento del I libro dell’Opera.
44
frutti adempissero, poi, all’obbligo di messe a favore del testatore e all’obbligo di
porre una lapide a ricordo di tale lascito92.
III.3 Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V.
Nel 1570, con almeno 35 anni di esperienza, Bartolomeo Scappi ottenne da Pio V il
privilegio di stampa per il suo trattato. Ne affido la stampa al tipografo veneziano
Michele Tramezzino.
Il trattato ha delle evidenti finalità didattiche. Carattere questo assolutamente
rivoluzionario. Il mondo della cucina, infatti, era stato sempre caratterizzato dalla
chiusura mentale dei vecchi cuochi, che preferivano tenere nascosti i loro segreti. Non
solo non avevano mai scritto le loro ricette, ma erano molto restii anche solo a
parlarne. Il carattere rivoluzionario dell’opera è stato opportunamente posto in rilievo
da Anne William, la quale afferma che “Bartolomeo Scappi sta alla cucina come
Michelangelo alle belle arti”.93 Sarà, tra l’altro, proprio questo aspetto che sancirà la
scelta del nome Bartolomeo Scappi per l’allora I.P.S.S.A.R di Castel San Pietro
Terme94.
Il successo dell’opera fu dovuto anche all’aggiunta di 27 tavole incise in rame, che
illustravano i diversi ambienti della cucina con tutti gli arredi necessari. Di successo si
deve parlare se si tiene conto delle numerose riedizioni tra i secoli XVI e XVII.
Il trattato è diviso in sei libri. Nel primo libro, come già anticipato, vi è il
ragionamento tra il cuoco ed il discepolo Giovanni:
Essendomi voi stato più volte raccomandato dalla fe.me del Reverendiss. Card. de Carpi Patrone
nostro, ch’io volessi pigliare cura d’ammaestrarvi, et tenervi sotto la mia disciplina, et fare tutto il
mio sforzo, acciò voi veniste alla perfettione di quanto è mia professione: Io desideroso di fare quanto
92
Cfr., nel capitolo IV, il Liber chronicus della cura di Santo Giorgio in Demenza, f. 109v.
93
Anne William, I maestri cucinieri da Taillevent a Escoffier, 1977, Milano Fratelli Fabbri 1977, pagg. 32-
45. Citazione dalla presentazione di Giancarlo Roversi.
94
Si consulti nel prossimo capitolo la delibera del Collegio Docenti dell’I.P.S.S.A.R. di Castel San Pietro
Terme del 2000 con la quale si scelse di intitolare la scuola a Bartolomeo Scappi, piuttosto che al celebre attore
Ugo Tognazzi, morto dieci anni prima a Roma, e nome gradito ad alcuni docenti.
45
mi comandava sua Sig. Illustriss. con buono animo vi accettai, et ancora che foste fanciullo non
guardai all’età, et come figliolo vi ho sempre tenuto.
Di seguito riportiamo la lettura del frontespizio del trattato, da cui si evincono gli
argomenti trattati nei sei libri:
Nel primo libro si contiene il ragionamento che fa l’autore con Gio. suo discepolo.
Nel secondo si tratta di diverse vivande di carne sì di quadrupedi, come di volatili.
Nel terzo si parla della statura, e stagione dei pesci.
Nel quarto si mostrano le liste del presentar le vivande in tavola così di grasso come di magro.
Nel quinto si contiene l’ordine di far vivande forti di pasta, et altri lavori.
Nel sesto et ultimo libro si ragiona de convalescenti, et molte altre forti di vivande per gli infermi.
Con discorso funerale che fu fatto nelle esequie di papa Paulo III.
Con le figure che fanno bisogno nella cucina, et alli Reverendissimi nel Conclave.
Il 22 marzo 1570 il Senato Veneziano aveva concesso il privilegio ventennale di
stampa a Michele Tramezzino, definendo l’opera Epulario overo de re choquinaria.95.
Come sappiamo il titolo, simile al famoso De re coquinaria attribuito a Marco Avinio
Apicio, fu poi mutato in Opera.
Come sopra detto, il volume fu diviso in sei libri. Nel primo libro vi è il già citato
Ragionamento con Giovanni, ove la modestia e l’umiltà sono indicate come qualità
indispensabili per la difficile professione del cuoco. Nel secondo libro si tratta delle
carni, delle minestre e delle gelatine. Il terzo libro è dedicato ai pesci e alle pietanze di
magro: uova, verdure e i legumi. Il quarto libro, il più lungo, si occupa delle liste per i
banchetti, tenendo conto del calendario, della stagionalità e delle prescrizioni religiose.
Il quinto libro è quello dedicato alle paste, ai pasticci, alle crostate e alle frittelle. Nel
sesto libro sono raccolte alcune indicazioni particolarmente adatte a chi deve servire il
vitto ai convalescenti.
Opera è indubbiamente il più completo volume di arte culinaria del XVI secolo. Le
sue 1017 ricette ne fanno un trattato più completo delle precedenti pubblicazioni.
Un secolo prima, nel 1431 Johann van Bockenheim, cuoco di corte di Martino V96,
aveva redatto in latino un Registrum coquine. Originario di Worms, elaborò un
95
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pag. 53.
96
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pagg. 56-57.
46
repertorio culinario cosmopolita, inserendo ricette adatte al gusto di tedeschi, francesi,
ungheresi, inglesi e italiani. L’intento era quello di mostrare il carattere internazionale
della corte papale. Le ricette sono inserite per categorie sociali, inserendone alcune
giudicate particolarmente adatte per le meretrici.
Incerta, invece, è la data (1456-1467?) del Libro de arte coquinaria di Maestro
Martino Coquo olim del Reverendissimo Monsiglior Camerlengo et patriarca de
Aquileia97. Si tratta di un ricettario raccolto di 65 fogli non numerati ed in lingua
volgare. È proprio questo il volume che segna il passaggio dalla cucina medievale a
quella rinascimentale, con un nuovo criterio metodologico, riguardante tanto la qualità
che il trattamento e le proporzioni degli ingredienti.
Nel 1475 viene pubblicato il De onesta voulptate et valetudine di Bartolomeo
Sacchi, detto Platina. Si tratta del primo trattato completo di cucina dato alle stampe,
nel quale venivano esposti gli elementi necessari alla perizia del cuoco.
Nel 1549 vengono pubblicati i Banchetti composizioni di Vivande, et apparecchio
generale di Cristoforo Messi Sburgo.
Un tratto che accomuno questa pubblicazione con quella dello Scappi è la
descrizione degli splendidi banchetti e festini. Quelle della corte D’Este, però, sono
allietate anche da danze e spettacoli.
Il libro è diviso in tre capitoli: memoriale per un apparecchio generale, Conviti
diversi e Composizione delle più importante vivande. Messi Sburgo raggruppa ben 323
ricette in sei categorie generiche, mantre lo Scappi le raduna per tipologia d’alimento.
Nel 1560, ancora dieci anni prima di Opera, viene pubblicata La Singolar Dottrina
di Domenico Romoli, detto il Panunto. Pubblicazione avvenuta con il beneplacito di
Giulio III, in 12 libri, possiede la grande novità di una attenzione, fino ad ora inedita,
all’aspetto medico-nutrizionista. In questo Romoli anticipa Scappi per l’analisi dei
criteri dietetici e terapeutici degli alimenti. Altro enorme pregio del volume è la
97
Maestro Martino da Como è stato identificato in Maestro Martino de Rossi, cuoco dell’illustre uomo
politico e militare milanese Gian Giacomo Trivulzio. Cfr. Maestro Martino da Como e la cultura gastronomica
del Rinascimento, Convegno internazionale di studi a Como, Milano, Terziario, 1990 e Maestro Martino Libro
de arte coquinaria, a cura di Gillian Riley, London, Octavo, 2006 [CD].
47
descrizione accurata delle diverse mansioni professionali che rispondono del loro
operato direttamente allo scalco, il sovrintendente alla mensa ed alla cucina.
Del 1570 è, come già detto, l’Opera di Scappi.
Gli ultimi tre Trattati gastronomici ebbero grandissimo successo a giudicare dalle
ristampe. La Singolar Dottrina e l’Opera ebbero otto edizioni, i Banchetti addirittura
16!98
Successivamente, riscossero grande successo altri trattati quali Il Trinciante di
Vincenzo Servio, I tre trattati di Evitascandalo99, e Dello Scalco di Rossetti.
Non abbiamo voluto fare una piccola storia delle pubblicazioni a carattere culinario
tra le pubblicazioni dell’Umanesimo e del Rinascimento. Avremmo avuto
necessariamente bisogno di maggior spazio e tempo. Volevamo, però, mostrare come
l’Opera non sia da considerarsi come un trattato fuori dalla tradizione, ma inserito in
un contesto, quello del XV e del XVI secolo che fu molto attento all’aspetto
conviviale. E molto lo furono anche gli editori. Ciò premesso, però, Opera rappresenta
sicuramente il tentativo meglio riuscito di dare un quadro esaustivo di tutto ciò che
intorno al mondo della cucina rinascimentale si muoveva.
98
June di Schino e Furio Luccichenti, Op. cit., pagg. 58-61.
99
Si tratta dell’unico autore che abbia pubblicato tre diversi trattati sulle tre professioni dello “Scalco”, del
“Maestro di Casa” e del “Trinciante”.
48
III.4 Cronologia di Bartolomeo Scappi.
Tra la fine del sec. XV e l’inizio del XVI Bartolomeo Scappi nasce a Dumenza sul Lago Maggiore.
1528-1535: è a Venezia a servizio del Cardinal Grimano
1536 aprile: è a Roma dove cura un pranzo in onore di Carlo V per conto del Cardinal Campeggi.
1536-1551: cura una colazione per il Cardinal Du Belleay.
Post 1546: diviene cavaliere del Giglio.
1547: prepara un consumato di polpe di cappone per il Cardinal Bembo e un brodo di castrato per il
Cardinal Sadoleto.
1549 novembre-1550 febbraio: allestisce il servizio per un cardinale (non identificato) durante il
Conclave che eleggerà Giulio III.
1551: prepara un brodo di pollo per il Cardinal Corsaro.
[1551?]: entra a servizio del Cardinal Pio di Carpi dove rimane sino al 2 maggio 1564 quando
muore il Cardinale.
1564: riportato nei ruoli come cuoco segreto di Pio IV.
1566: viene confermato cuoco segreto dal successore Pio V.
1570: dopo aprile pubblica l’Opera.
1570-1571: Acquista la carica di Mazziere.
1571 10 aprile detta il suo I testamento.
1571 dopo il 10 aprile: viene fatto Cavaliere e Conte Palatino.
1572 1 maggio: alla morte di Pio V viene “giubilato”.
1576 14 maggio: detta il suo II Testamento.
1577 13 aprile: muore a Roma.
1577 14 aprile: viene sepolto nella chiesa dei cuochi.
[Cronologia tratta da June di Schino Furio Luccichenti, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo
Scappi e la Confraternità dei cuochi e dei pasticcieri, 2007, Roma Gangemi]
49
50
III.5 Biliografia al cap. III.
Massimo Alberini, 4000 anni a tavola, 1972, Milano Fratelli Fabbri.
Massimo Alberini, Cento ricette storiche, 1974, Firenze Sansoni.
Massimo Alberini, Bartolomeo Scappi maestro di tutti i cuochi, in «L’Accademia
italiana della cucina», 83 (1998).
Claudio Benporat, Storia della gastronomia italiana, 1990, Milano Mursia.
Alberto Capatti Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura,
2008, Roma-Bari Laterza.
June di Schino Furio Luccichenti, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la
Confraternità dei cuochi e dei pasticcieri, 2007, Roma Gangemi.
Emilio Faccioli, Arte della cucina, 1966, Milano Il Polifilo, vol. II, pagg. 15-64.
Ercole Vittorio Ferrario, Arte del cucinare, 1959, Milano Stedar.
Luigi Firpo, Gastronomia del Rinascimento, 1974, Torino UTET.
Ludwig von Pastor, Storia dei Papi, Roma, Desclée & C., 1910-1964
Maestro Martino da Como e la cultura gastronomica del Rinascimento, Convegno
internazionale di studi a Como, Milano, Terziario, 1990
Maestro Martino Libro
de arte coquinaria, a cura di Gillian Riley, London,
Octavo, 2006 [CD]
51
Le torri di Bologna. Quando e perché sorsero, come vennero costruite, chi le
innalzò, come scomparvero, quali esistono ancora, a cura di Giancarlo Roversi, 1989,
Bologna Edizioni Grafis.
Bartolomeo Scappi, Opera dell’arte del cucinare. Presentazione di Giancarlo
Roversi, ristampa 1981, Bologna, Arnoldo Forni Editore.
Anne William, I maestri cucinieri da Taillevent a Escoffier, 1977, Milano Fratelli
Fabbri.
52
Capitolo 4
La riscoperta del Cavaliere e Conte Lateranense Bartolomeo Scappi.
IV.1
La chiesa parrocchiale di San Giorgio.
IV.2 L’epigrafe.
IV.3
Bibliografia al cap. IV.
IV.1 La chiesa parrocchiale di San Giorgio.
La chiesa di San Giorgio di Runo di Dumenza misura 27 metri di lunghezza, 29
metri di larghezza e circa 20 di altezza100. L’interno presenta tre navate, la maggiore si
conclude con il presbiterio (fig. 4). Le due laterali terminano con due altari. Quello di
sinistra dedicato alla Madonna del Rosario, quello di destra conserva la reliquia di San
Giorgio.
Fig. 5. Il presbiterio della chiesa di San Giorgio di Runo di Dumenza. [Foto Amedeo Gargiulo].
Il pavimento è in cotto. La parte centrale è originario del 1700.
100
In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis… Fede e vita in Dumenza dal 1574 al 1695, attraverso il
“Liber chronicus” di prete Battista Asconino, a cura di Gabriele Crenna, Parrocchia di S. Giorgio, 2000, pag. 10.
53
Le tre belle vetrate laterali sono del 1965. Rappresentano il Battesimo di Gesù, la
Maddalena, il Cristo con S. Ambrogio e S. Agnese. L’organo, originario del 1600,
aveva 500 canne e fu restaurato nel 1856.
La bella facciata romanica (fig. 5) fu completata solo nel 1924, e fu voluta da Don
Costantino Valsecchi. È stata, poi, recentemente restaurata nel 1997 (in tempo per
celebrare degnamente la scoperta della lapide del 1998). All’interno di due cornici vi
sono San Pietro e San Paolo. Sormonta, invece, il portale San Giorgio che sconfigge il
drago.
Annesse alla chiesa vi sono anche il cimitero ed un campanile. Quest’ultimo
conserva ancora incisa la data del 909, quando fu costruito come torre militare. La
cella campanaria fu aggiunta solo nel 1884. Una epigrafe affissa alla parte del
campanile afferma che la chiesa fosse esistente già nel 1494.
Fig. 5. La facciata della chiesa di San Giorgio di Runo di Dumenza. [Foto
Amedeo Gargiulo].
Altri fabbricati annessi, di origine cinquecentesca, sono la cucina, il pollaio, la
legnaia e la ghiacciaia.
54
IV.2 L’epigrafe.
La chiesa di San Giorgio di Runo fu consacrata il 26 luglio 1581101 da San Carlo
Borromeo. Tale dedica è confermata da due epigrafi conservate all’interno della
chiesa. La prima epigrafe, immediatamente visibile sul fondo della navata di destra, è
moderna (fig. 6). Da tale epigrafe apprendiamo che il Cardinale Carlo Borromeo si
recò in visita alla parrocchia già nel 1574, poi l’Arcivescovo e Cardinale vi sarebbe
ritornato per la consacrazione il 26 luglio del 1581. L’epigrafe dopo la dedica a Dio ed
a San Giorgio, si conclude con una interpretazione di due versetti del salmo 79102.
Fig. 6 [foto Amedeo Gargiulo].
La seconda epigrafe (fig. 7), conservata dietro il primo pilastro di sinistra della
navata di destra, è molto più importante, e, con buona probabilità, è quella originale.
Questa epigrafe in pietra grigia di Saltrio fu composta dopo la morte di Bartolomeo
Scappi nel 1577 a Roma. Ad occuparsene fu il nipote ed erede testamentario Cesare
Brioso, così come si deduce dalle ultime due righe della epigrafe.
101
In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis…, Op. cit., pagg. 9-10.
102
Secondo la versione ufficiale della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), sia nella editio princeps del
1971 che nella revisione del 2008, i versi riportati nella epigrafe sono quelli del Salmo 80, versetti 15-16:
Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna,
proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato.
55
Fig. 7 [foto Amedeo Gargiulo].
Dopo il 1610 da questa iscrizione furono abrase tre righe e sostituite con la memoria
della consacrazione della chiesa103. L’iscrizione, per tanto, dichiara quanto segue104:
GREGORII XIII PONT MAX.
SIGNIFER
COMES PALATINUS. LATER. ET ÆQUES
BARTHO SCLAPPIUS
ÆDEM HANC PERENNI. DOTE. HONESTAVIT OBSTRINXITQUE
AD UNAM SINGULA QUAQUE HEBDMODA MISSAM
DUO QUOQUE AN. M. V.
DOM AC DIVO GEORGIO
S. CAROLUS AEDEM HANC CUM ALTAR I
ET COEMET DICAVIT AN 1581 DIE 26 LULII
CESAR BRISCUS NEP. ET. COHÆRES. F. F
105
CUR° P.B. ASCONINO
103
In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis, op. cit., pagg. 11-12.
104
La lapide è gia citata in Pierangelo Frigerio, Uno Scappi tira l’altro, in “Il Rondò. Almanacco di Luino e
dintorni per il 1995”, 1994.
56
Abbiamo riportato in corsivo, secondo al lezione del volume pubblicato nell’anno
2000 dalla parrocchia di San Giorgio, le tre righe aggiunte dopo il 1610. Queste tre
righe, in effetti sono di tono diverso rispetto al resto dell’epigrafe. Esse dichiarano che
San Carlo Borromeo dedicò la Chiesa, con l’altare e il cimitero annesso, a Dio ed a
San Giorgio.
La notizia della donazione è confermata dal foglio 109v. del Liber chronicus della
cura di Santo Giorgio in Dumenza, tenuto regolarmente dai parroci della chiesa dal
1574 al 1695106, ed allegato al volume del 2000 già più volte citato:
Il detto curato [prete Battista Asconino] obbligato a celebrar’ una messa la settimana
perpetuamente per l’anima di d.no [dòmino] Bartolomeo Scappi, mazzer’ di sua Santità, come per suo
testamento fatto in Roma l’anno 1576 adì 14 maggio, per il qual’ obbligo ha comprato m.r [messer]
Cesare Brioso, suo erede, li beni di Novaledo per lire 500 et assegnati a detto curato, li quali per un’
tempo sono stati affittati al’ venditore d’essi, Antonino di Nvaledo, comepre investitura rogata per
d.no [dòmino] Silvestro Scappa l’anno 1578 et hora li gode il curato facendogli lavorar’ esso.
Della generosità dello Scappi testimonia anche un altro passo, il foglio 22v.
La pianeta verde l’hanno fatta fare d.ni [domini] Gio. Battista e Bartholomeo Scappi, detti di m.r
[messer] Bertolla, per legato d’esso m.r [messer] Bertolla con altri cento lire imperiali alla scola del
Corpus Domini, velli et altre cosse [lettura incerta]
La lapide sopradescritta per lungo tempo non fu visibile. La chiesa che Mons.
Parapini ereditò nel 1948 era fatiscente. Dovette occuparsi soprattutto della sicurezza
della sua struttura. È suo il merito del completo rifacimento del tetto. L’opera, però, di
restauro e di salvaguardia dell’enorme patrimonio storico della chiesa va ascritto a
Don Gabriele Crenna. Questi, convinto che la lapide illeggibile conservata sul primo
105
[Il signifero di Gregorio XIII, Pontefice Massimo, conte del palazzo Lateranense e cavaliere
BARTOLOMEO SCAPPI abbellì questa chiesa dotandola per sempre e legò una messa settimanale e due
ufficiature annuali di 5 messe. A Dio e a S. Giorgio S. Carlo dedicò questo tempio con l’altare e il cimitero
nell’anno 1581 il giorno 26 luglio. Il nipote e coerede Cesare Brioscio fece fare. Curato p(rete) Battista
Asconino] Trad. da In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis, op. cit., pagg. 12.
106
Il 1574 fu l’anno della prima visita pastorale del Cardinale Carlo Borromeo e anche l’anno in cui Don
Battista Asconino divenne parroco della chiesa. Lo fu fino al 1622, per 48 anni di seguito. È stato il parroco del
ministero più lungo in Dumenza. Mons. Giuseppe Parapini, invece, lo fu dal 1948 al 1992, per “soli” 44 anni!
57
pilastro della navata destra della chiesa fosse “soltanto” la consacrazione della chiesa,
diede priorità ad altre meritorie opere, quali, ad esempio, la conservazione ed il
recupero del citato manoscritto, poi pubblicato in occasione del Giubileo del 2000. Il
manoscritto è ancora conservato in parrocchia. Il formato è 23 x 17 cm. Il restauro è
stato compiuto dai monaci benedettini del monastero di S. Maria Assunta in Praglia
(PD), per conto dell’Istituto Centrale della patologia del Libro107.
Quando Don Gabriele, coadiuvato da Giuliano Dellea108, volle vedere chiaro in
quella lapide la fece completamente ripulire, facendone asportare lo strato superficiale
in modo che divenisse leggibile. Fu grande lo stupore nel ritrovare, accanto alla notizia
della consacrazione, anche la notizia di una donazione ad opera del Cavaliere
Bartolomeo Scappi.
La notizia si diffuse rapidamente, e Demenza tutta fu in fermento. Tutti volevano
sapere chi fosse stato questo Cavaliere così generoso con la chiesa di Runo.
Bartolomeo Scappi era stato l’autore di un volume monumentale: Opera109. La notizia
giunse a Massimo Alberini, allora vice presidente d’onore dell’Accademia Italiana
della Cucina che, prima sul Corriere della Sera e poi, in «L’Accademia italiana della
cucina», 83 (1998), riportò la notizia. Citò Mons. Giuseppe Parapini pronto a celebrare
una messa di requiem. Dal 1992, però, parroco della chiesa di San Giorgio era Don
Gabriele Crenna. Citò anche Pietro Pelandella110 del Ristorante Smeraldo pronto a
preparare cene scappiane. Proprio al Ristorante Smeraldo111 di Pietro Pelandella il 23
107
In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis, op. cit., pag. 5.
108
Al quale va il mio ringraziamento per avermi fatto magnificamente da guida nella visita alla Chiesa di San
Giorgio nel giorno di Pasqua dell’ 8 aprile 2012. In quella occasione ho avuto modo di visitare anche gli altri
fabbricati annessi alla chiesa, a cominciare dal cimitero dove riposano le salme dei parroci della chiesa. Lo stesso
Mons. Giuseppe Parapini, artefice della rinascita della chiesa, deceduto l’11 settembre 2007, riposa nel cimitero
annesso alla chiesa.
109
Volume descritto nei capitoli precedenti.
110
In realtà, nell’articolo di Alberini si legge Palandella. Si trattò chiaramente di un errore.
111
Una breve storia del Ristorante Smeraldo è proposta nell’Appendice 2. Il ruolo avuto dal Ristorante
Smeraldo per la diffusione del nome di Bartolomeo Scappi è stato importantissimo. Basti pensare che nel 2008
tecnici e storici della BBC scozzese si rivolsero proprio ai Pelandella per la ricostruzione della figura di
Bartolomeo Scappi. L’episodio viene, anche oggi, regolarmente riproposto dalla BBC nel Regno Unito. I diritti
di riproduzione, purtroppo a tutt’oggi, non sono mai stati acquistati da nessuna emittente italiana.
58
maggio del 1998 si tenne un pranzo accademico, suggerito dall’Opera di Bartolomeo
Scappi. A questo pranzo partecipò la delegazione di Varese - Busto Arsizio
dell’Accademia Italiana della Cucina (figg. 8 e 9).
Fig. 8 Copertina del menù del pranzo del 23 maggio 1998.
59
Fig. 9 Menù del pranzo del 23 maggio 1998.
Il tentativo era quello di riproporre le ricette scappiane, reinterpretate secondo i
moderni sistemi di conservazione del cibo. Le ricette, dunque, proposte erano quelle
originali, tratta dall’Opera. L’esperimento piacque moltissimo. Ancora oggi, infatti a
Runo, è possibile assaporare, presso lo stesso ristorante, pietanze preparate con la
stessa cura con la quale il cuoco segreto di papa PioV le cucinava nel XVI secolo.
60
IV.3 Bibliografia al cap. IV
Massimo Alberini, Bartolomeo Scappi maestro di tutti i cuochi, in «L’Accademia
italiana della cucina», 83 (1998).
In nomine sanctissimæ et individuæ Trinitatis… Fede e vita in Dumenza dal 1574 al
1695, attraverso il “Liber chronicus” di prete Battista Asconino, a cura di Gabriele
Crenna, Parrocchia di S. Giorgio, 2000.
La Sacra Bibbia della CEI, editio princeps, 1971, Salmo, 90.
61
Capitolo V
Il Ristorante “Smeraldo” di Runo di Dumenza
V.1 Storia del Ristorante. V.2 La saletta Chiara-Prezzolini. V.3 Bibliografia
al cap. V
V.1 Storia del Ristorante.
L’attuale sede in Via Fiume di Runo di Demenza del Ristorante Smeraldo venne
inaugurata l’ 8 luglio del 1861 da Giulio Pelandella e dalla moglie Adriana Morotti. Il
nome richiama la valle Smeraldo, situata tra le colline del Lago Maggiore.
Nel 1975 la gestione passò di padre in figlio, a Pietro Renzo Pelandella ed alla
moglie Annamaria Lolli. È, appunto, sotto questa gestione che avverrà nel 1998 il
pranzo di celebrazione scappiana, alla presenza della delegazione di Varese – Busto
Arsizio dell’Accademia Italiana della Cucina112.
Nel 2011 è avvenuta un nuovo cambio di gestione. Il nuovo proprietario-chef è
Adriano Pelandella.
Negli anni hanno frequentato il ristorante personalità della cultura quali Alberto
Lattuada, Piero Chiara, Giuseppe Prezzolini e Ugo Tognazzi113.
Ancora nel 2011 la BBC ha pubblicato un DVD dal titolo Antonio Carluccio's
Italian Feast. Uno degli Special Features si intitola Antonio Carluccio travels to Italy
to investigate the life and recipes of Bartolomeo Scappi, the famed 16th Century chef;
declared by many as the world’s first celebrity chef. Questo contributo speciale fa
riferimento ad una registrazione già ripetutamente trasmessa in televisione dalla BBC
dal 2007.
Last night, on BBC 2, there was a lovely little programme on Bartolomeo Scappi, the first of the
superchefs, master cook to six Popes, the daddy of culinary writing. It was presented by Antonio
Carluccio, no mean foodie himself, a weighty and jocose man, avuncular, amiably following the life
and career of the great Lombardian chef.
[…]
112
113
Cfr. capitolo precedente.
Nel capitolo successivo si incontrerà ancora il nome di Ugo Tognazzi. Alcuni insegnanti dell’allora
I.PS.S.A.R. Bartolomeo Scappi lo proposero per l’intitolazione della scuola, prima che prepotentemente il
Collegio Docenti si indirizzasse verso il nome di Bartolomeo Scappi.
63
Carluccio, in the TV programme, cooked several of the recipes from the book. In Dumenza, along
with a local chef, Renzo of the Smeraldo Restaurant, who still cooks dishes in the style of Scappi, he
prepared two dishes:
Riso alla lombarda - Rice in the Lombardy style
Torta di funghi - Wild mushroom tart
Next, in Venice, at the Da Romano restaurant in Burano, he cooked:
Per cuocere l'anguilla su la graticola - Grilled eel
Sarde in saor - Venetian-style sardines
In Rome, at the Villa Lante and the Villa Aldobrandini, he organised:
Pomi sdegnosi - Disdainful apples, baked aubergines
Porchetta - Stuffed suckling pig
Ravioli con polpo di cappone - Ravioli of capon breast
Finally, as he jokingly put it, because the Pope was unavailable for a recreated Scappi meal,
Carluccio organised an ornate dining hall at the Castel Sant'Angelo in Rome, where he arranged all
the above dishes for the friends he made during his exploration of the life of Scappi. [28/12/2007]
http://jostamon.blogspot.it/2007/12/first-celebrity-chef.html [consultato il 10/04/2012].
V.2 La saletta Chiara-Prezzolini.
Ci permettiamo di raccontare una storia che esula dalla figura di Bartolomeo
Scappi, perché ci è parsa molto bella. Due grandi scrittori del XX secolo erano assidui
frequentatori della Valle Smeraldo. Uno, Piero Chiara, perché nativo di Luino, l’altro,
Giuseppe Prezzolini, nativo di Perugia e ritornato dal volontario esilio americano114, si
stabilì a Lugano in Svizzera nel 1968, dopo aver vissuto a Vietri sul Mare per sei anni.
Luino e Lugano, sui due bellissimi laghi Maggiore e di Lugano, distano meno di 30
km.
114
Nel 1940 Prezzolini era diventato cittadino americano. Per una bibliografia completa su Giuseppe
Prezzolini si possono consultare i seguenti volumi: Luigi Iannone, Un conservatore atipico: Giuseppe Prezzolini
intellettuale politicamente scorretto, 2003, Roma Pantheon; Beppe Benvenuto, Giuseppe Prezzolini, 2003,
Palermo Sellerio; Olga Ragusa. Gli anni americani di Giuseppe Prezzolini. 2001, Firenze Le Monnier.
64
È proprio Piero Chiara a descriverci in che modo venne accolto in Italia Giuseppe
Prezzolini115
Il ritorno di Giuseppe Prezzolini, dopo il volontario esilio in America, non venne salutato da nessuno.
Un equivoco, forse soltanto una certa diffidenza, pesava su di lui e lo teneva fuori dal modesto
fermento intellettuale di quegli anni. Nessun grande quotidiano gli offrì le sue colonne. Prezzolini
allora, accentuando l’acidità nativa, divenne sempre più aspro e difficile, al punto di ripudiare una
seconda volta l’Italia con la scusa delle Poste che non funzionavano. Si domiciliò a Lugano. In Italia
andava solo, come disse al presidente Pertini la primavera scorsa, per comprare la verdura. Nei primi
anni, ci veniva, anche con l’auto guidata dalla moglie, per pranzare in trattoria a buon mercato. Lo
trovavo ogni domenica dal Pelandella [grassetto mio], a Runo, una località sopra Luino, a due
chilometri dal confine. Era uno spasso stare a tavola con lui [grassetto mio], sentirlo parlare del
Carducci col quale aveva giocato a tressette, di Papini, Soffici, Croce e Cecchi, di tutta l’Italia del
primo Novecento che aveva conosciuto, odiato o amato a modo suo. Era polemico, tagliente, amaro,
ma aveva una strana amabilità, di tipo non italiano, che attraeva. Forse aveva assunto, per simbiosi,
del suo Machiavelli. A farmelo conoscere di persona, nel 1968, quando si era appena stabilito a
Lugano, era stato Vanni Scheiwiller. Da allora frequentai Prezzolini con una certa regolarità. Mi
interessava capire un uomo del suo genere, che non amava gli italiani in particolare e gli uomini in
genere, a cominciare da se stesso. Parlava male di tutti, ma aveva l’arte di escluder ei presenti, al
punto da sembrar cordiale e bonario. Pranzai qualche volta con lui a casa sua, a Lugano, in via
Motta. Aveva una passione per le olive. Del resto gli importava poco. Immagino quanto poco gli
importassero, passati i cento anni, gli onori tradivi che gli rese la nostra repubblica. Neppure la lettera
di papa Montini l’aveva smosso dal suo scetticismo, che era quello degli italiani del Rinascimento: il
più duro e il più funesto che si sia mai registrato. Per Machiavelli, “lo Stato che non crede” deve
aiutare l’istruzione religiosa, che insieme alle armi è il fondamento d’ogni ordine. Non credere in
nulla, ma far credere il popolo è la morale che Prezzolino trova nel Machiavelli, come atteggiamento
di disprezzo sovrano dell’uomo. Un disprezzo che condivise fino all’ultimo e che resta una sua
godibile eredità. Ma chissà che sotto le sue invettive non si nascondesse, come in Machiavelli, un
disperato amore per l’Italia.
Il Prezzolini descritto da Chiara è quello che ritroviamo nel Codice della vita
italiana del 1921, quando nel Capitolo I – Dei furbi e dei fessi, affermo che: “L'Italia
va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di
mandare avanti l'Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono”.
Un altro tenero ricordo di Prezzolini è quello dello scrittore Alfredo Cattabiani, che nel
1970 direttore della casa editrice Rusconi, lo incontrò a Lugano per proporgli di
115
Piero Chiara, Sale e tabacchi. Appunti di varia umanità e di fortuite amenità scritti nottetempo,1989,
Milano Arnaldo Mondatori, pagg. 257-258.
65
pubblicare i suoi lavori116. Prezzolini che lo accolse, prima si scusò perché sua moglie
non lo aveva seguito, dicendo: “Sa, è vecchia, ha 75 anni” (lui ne aveva 90!). Alla
domanda di Cattabiani perché si fosse rifugiato in un posto triste come Lugano,
ripropose la sua convinzione della divisione in furbi e fessi, mentre a Lugano,
finalmente, si sentiva un uomo normale!
L’ammirazione per Piero Chiara e Giuseppe Prezzolini, però, rischia di mandarci
fuori strada! Del passo di Chiara, precedentemente proposto, volevo sottolineare un
particolare molto importante. Piero Chiara e Giuseppe Prezzolini si incontravano tutte
le domeniche dal Pelandella. Poco importa se si trattasse di Pelandella Giulio o Pietro
Renzo.
La signora Annamaria Lolli, moglie di Pietro Renzo, amabilmente racconta che un
giorno aveva il ristorante pieno, e che i Pelandella si videro costretti a rifiutare ospiti
tanto importanti. Alla domanda dei due se proprio non ci fosse uno spazio disponibile,
i Pelandella risposero che c’era una stanzino, sino ad allora utilizzato come magazzino.
I due ne furono entusiasti, e, da allora, vollero pranzare sempre insieme e in quello
stesso stanzino. Forse, ne apprezzarono il fatto che fosse separato dal resto della sala, e
lì era più facile per Chiara farsi raccontare da Prezzolini un pezzo del Novecento
italiano. Oggi, quello stanzino esiste ancora, e, anzi, è diventato il fiore all’occhiello di
tutto il ristorante. Quello stanzino è stato ribattezzato “Saletta Piero Chiara – Giuseppe
Prezzolini”, ed una targa del 10 ottobre 2005 ricorda che:
confortevole e discreta questa saletta del Pelandella nella quale PIERO CHIARA e GIUSEPPE
PREZZOLINI per lunghi anni di domenica in Demenza si incontrarono per gustare assieme i
manicaretti dell’abilissimo cuoco, si confrontarono a proposito delle comuni e non comuni idee, si
scontrarono ferocemente come si conviene al tavolo da gioco a scopa d’assi e a tressette.
116
Il video ricordo di Cattabiani è visibile on line: http://www.youtube.com/watch?v=Hu0MYvGhKAM
[consultato il 10/04/2012].
66
Fig. 10. Dedica di Piero Chiara al Pelandella [Giulio]. Si legge la data 24 gennaio
1970.
67
Fig. 11. Dedica di Giuseppe Prezzolino al Pelandella. Si legge la data 1 maggio, ma
non l’anno.
68
V.3 Bibliografia al cap. V.
Beppe Benvenuto, Giuseppe Prezzolini, 2003, Palermo Sellerio.
Piero Chiara, Sale e tabacchi. Appunti di varia umanità e di fortuite amenità scritti
nottetempo,1989, Milano Arnaldo Mondatori, pagg. 257-258.
Luigi Iannone, Un conservatore atipico: Giuseppe Prezzolini intellettuale
politicamente scorretto, 2003, Roma Pantheon.
Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, Capitolo I – Dei furbi e dei fessi,
1921.
Olga Ragusa. Gli anni americani di Giuseppe Prezzolini. 2001, Firenze Le
Monnier.
69