Cripta del Gonfalone, Abbazia del Mito e S. Nicola di Casole(con

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Cripta del Gonfalone, Abbazia del Mito e S. Nicola di Casole(con
Cripta Basiliana della Madonna del Gonfalone:
una dipendenza
dall'Abbazia di S. Maria del Mito o dall'Abbazia di S. Nicola di Casole
Noi alunni e alunne della Classe I C (Lucugnano), Scuola Secondaria di I grado
dell'Istituto Comprensivo Statale "Tricase Via Apulia", in base al Progetto d'Istituto
"Itinerari alla riscoperta delle nostre radici", nell'ambito del Progetto "Adotta un
Monumento", abbiamo svolto un lavoro di approfondimento sulla Cripta Basiliana
della Madonna del Gonfalone: una dipendenza dall'Abbazia di S. Maria del Mito o
dall'Abbazia di S. Nicola di Casole.
Il nostro "viaggio" di ricerca è stato finalizzato alla conoscenza della realtà e della
storia locale del nostro territorio.
Il lavoro è stato condotto e coordinato dal Prof. Antonio Coluccia.
Una testimonianza dell'arrivo e della permanenza dei Monaci Basiliani in Salento è la
Cripta della Madonna del Gonfalone, un ambiente ipogeo sotterraneo, scavato nella
roccia tufacea in epoca imprecisata tra l' VIII e l' XI secolo. Le datazioni risultano
essere senza alcun fondamento, in assenza di una documentazione certa, sia a livello
documentario-archivistico, sia a livello artistico.
La Cripta basiliana è ubicata in aperta campagna sulla strada che congiunge
Sant'Eufemia ad Alessano, alla periferia di Tricase.
La costruzione della cripta appartiene alla storia delle presenze dei Monaci basiliani
( dal loro fondatore San Basilio il Grande di Cesarea di Cappadocia 329-379) in Terra
d'Otranto. Questi operosi monaci, in fuga dall'Oriente, a seguito dell'editto
dell'imperatore bizantino Leone III Isaurico (726 d. C.), il quale aveva ordinato la
distruzione delle immagini sacre e delle icone nelle terre a lui sottomesse, (dando così
inizio alla lotta iconoclastica), trovarono rifugio nel sud Italia, in grotte naturali o
scavando nel tufo, creando le loro dimore e luoghi di preghiera, che impreziosirono
con magnifici affreschi.
Si ritiene che l'insediamento sia nato come "laura", cioè una cavità sotterranea,
utilizzata come rifugio e luogo di culto dai monaci, sufficientemente nascosta, che
permetteva di proteggersi negli anni delle persecuzioni iconoclaste.
La forma dell'ipogeo è irregolare con 19 pilastri, alcuni dei quali scavati direttamente
nel tufo, a conferma che si tratta di una cavità naturale che è stata ampliata e
modificata successivamente nel corso dei secoli.
Successivamente divenne un monastero e infine una grancia (fattoria-convento)
dipendente dall'abbazia di Santa Maria del Mito.
Diversi studiosi hanno, infatti asserito una dipendenza della Cripta del Gonfalone
dall'Abbazia di Santa Maria del Mito o dall'Abbazia di San Nicola di Casole.
Abbazia di Santa Maria del Mito
L'Abbazia di Santa Maria del Mito, nota come "de Amito", o come L'Abbazia di San
Tommaso del Mito, è un complesso abbaziale fondato dai monaci italo-greci,
basiliani, tra l' VIII e il IX secolo. Nel tempo l'Abbazia si evolve in un notevole
centro di cultura e diventa una masseria totalmente autosufficiente, situata tra il feudo
di Tricase e quello di Andrano.
Lo studioso Antonio Micetti, parlando del territorio di Tricase, precisa. " Nel suo
feudo vi è l'Abbazia del Mito, che fu già Convento dei Padri di S. Basilio, uno dei
migliori della Provincia, come risulta dalle rendite di più di mille scudi l'anno".
Ma l'edificio fu gravemente danneggiato e distrutto dalle continue incursioni dei
Turchi e nei secoli successivi la situazione degradò col tempo.
Lo studioso Giacomo Pantaleo nel suo libro "L'Abbazia di S. Maria del MitoIndagine storica- in merito alla posizione geografica così scrive: " A 4 chilometri a
mezzogiorno di Andrano, a 7 da Tricase, a 3 dal mare e ad uno dalla medievale Torre
del Sasso, ci sono ancora, tristi e solitari, su di un vasto e verdeggiante pianoro, i
superstiti ruderi di una insigne Abbazia basiliana, che per secoli fu lo splendore delle
contrade e la fortuna delle misere popolazioni indigene".
Gli storiografi non sono concordi sul periodo della sua fondazione ma è da
considerare accreditabile la deduzione di Mons. Ruotolo, il quale ritiene che sia stata
costruita alcuni decenni prima del Mille, quando sorse il celeberrimo Monastero di
San Nicola di Casole, in territorio otrantino, ad opera di Monaci basiliani, detti
Calogeri, i quali, costretti ad abbandonare la Grecia sotto la pressione delle invasioni
arabe provenienti dalla Palestina e dalla Siria, avevano attraversato il Canale di
Otranto con mezzi di fortuna e si erano rifugiati in Italia.
Sorse così l'Abbazia del Mito, sede di una comunità di monaci basiliani italo-greci,
che aumentò la sua vitalità, grazie alle ricche dotazioni terriere da parte di ricchi
Feudatari, interessati per l'educazione dei propri figli, specialmente del primogenito.
Oggi, a distanza di un Millennio dalla sua fondazione, restano solo dei pochi
brandelli di muro che rappresentano le estreme memorie dell'abbazia, come scrive
Salvatore Cassati, in Tricase (Studi e Documenti), 1978, sull'Abbazia di S. Maria del
Mito. Attualmente, l'incuria e la malvagità dell'uomo hanno distrutto completamente
il tutto ed a testimoniare la presenza di quello che fu un importante centro di cultura e
di fede sono rimasti solo dei ruderi e delle pietre.
Cunicolo leggendario di collegamento
tra l'Abbazia del Mito e la Cripta del Gonfalone
Allo stato attuale, dei cunicoli leggendari, che potevano collegare l'Abbazia del Mito
alla Cripta del Gonfalone, non c'è nessuna traccia, ma nei tempi delle invasioni arabe,
i monaci bizantini temevano le incursioni saracene e probabilmente dei cunicoli
esistevano davvero e servivano a nascondersi nei momenti di pericolo.
La lunghezza, anche esagerata, dei possibili cunicoli era frutto delle dicerie e
fantasticherie popolari, capaci di dare misure spropositate al reale.
Salendo dalla Cripta del Gonfalone, a sinistra, è vedibile una specie di passaggio
senza sbocco, forse destinato a collegare il luogo della preghiera con le celle dei
monaci. L'inizio di un cunicolo? Non è certo facile saperlo. Il danno compiuto dal
tempo è notevole e non è possibile una ricostruzione come allo stato originario, come
se le cose fossero intorno all'anno mille.
Secondo il racconto di una leggenda pubblicata da Hervè Cavallera su " Lu
Lampiune", quadrimestrale di cultura salentina, si favoleggia di un sentiero che
dall'abbazia del Mito doveva condurre alla Cripta del Gonfalone, con le sue numerose
colonne, con le ieratiche immagini bizantine, con il volto della Madonna col
Bambino e con i monaci dalla lunga barba.
In un giorno ventoso di maggio, un monaco, di nome Giovanni, proveniva dalla ricca
abbazia del Mito e si recava alla Cripta del Gonfalone per curare i pochi monaci lì
rimasti. Camminava di buon passo lungo il sentiero in una pianura trapuntata di alberi
di ulivi.
In quei tempi l'imperatore bizantino Leone III Isaurico (726 d.C.) aveva emanato una
serie di editti per eliminare il culto delle immagini sacre (iconoclastia), ormai molto
diffuso nell'Impero. Solo nel 787, con il Concilio di Nicea, essendo imperatrice di
Bisanzio l'astuta Irene fu riaffermato il ruolo del culto delle immagini.
Il monaco Giovanni era informato di queste vicende storiche e sapeva pure che gli
iconoclasti non erano del tutto spariti; era informato anche della storia bizantina e di
quella germanica, i due imperi che si contendevano il mondo e contro di loro la
presenza minacciosa degli infedeli saraceni.
Era ormai buio quando il monaco Giovanni giunse alla cripta; per prudenza attese la
luce del giorno, rannicchiandosi e coprendosi nel migliore dei modi.
Sentì un calpestio di passi; era il monaco Teofilo che saliva dalla Cripta, con la grigia
barba scomposta e gli occhi ancora stranulati, perchè anche lui aveva dormito alla
meglio. Teofilo raccontò che il monaco Simone era morto, a causa della malattia (per
questo motivo Giovanni era stato inviato dall'Abate); aggiunse che il compagno
Stauracio era rimasto sconvolto e si era scagliato, bestemmiando, contro le immagini
sacre della Cripta, perchè non avevano protetto l'amico.
Teofilo è dovuto intervenire e avvenne una rissa. Stauracio morì, sbattendo la testa
contro una colonna. Il monaco Teofilo trascinò il corpo di Stauracio in un cunicolo
presso la Cripta e poi si chinò presso l'icona della Madonna per pregare.
Giovanni, dopo aver ascoltato con sgomento il racconto dell'accaduto e dopo aver
seppellito il corpo dello sventurato, ripartì di buon passo per tornare all'Abbazia del
Mito. Di ciò che era accaduto non si seppe più nulla.
Questa leggenda fa parte di una raccolta di testi e aneddoti della Storia di Tricase,
ripubblicati in un'unica soluzione nel testo "Tradizioni popolari a Tricase (2002).
edizioni dell'Iride, a cura di Francesco e Carlo Accogli.
Col passare del tempo l'Abbazia del Mito fu colpita da inarrestabile declino e la
Cripta basiliana fu destinata a diventare quasi chiesa di campagna
Le dicerie dei cunicoli, di passaggi segreti suscitò in alcuni abitanti di Sant'Eufemia il
sospetto di un tesoro nascosto nella Cripta dei monaci.
Alcuni profanatori hanno scavato dietro l'altare della Madonna per trovare il tesoro
nascosto, credendo che quello fosse il luogo sicuro ove nascondere tesori.
Nulla però è stato trovato e le diverse colonne, nella casualità della disposizione,
come in un labirinto, sembra che vogliano stordire la mente di qualche profanatore.
Altre volte sono stai compiuti atti vandalici per trafugare qualche pietra lavorata.
Provvidenziali catenacci ora chiudono la chiesetta agli sguardi indiscreti e vietano
l'accesso. C'è ancora quel mezzo cunicolo che non conduce a nessuna parte, come se
qualcosa, nei tempi lontani, lì fosse accaduto, come se qualcosa avesse avuto
bruscamente fine.
L' Abbazia di San Nicola di Casole.
L'Abbazia di San Nicola di Casole rappresenta il momento più alto della diffusione
nel Salento del Monachesimo basiliano.
Alcuni studiosi ritengono che il Monastero, dedicato a San Nicola, a pochi chilometri
da Otranto, sia stato il più ricco dell'Europa di allora (il suo massimo splendore lo
raggiunse tra l'XI ed il XIII secolo) così come la sua biblioteca sia stata la più grande
e fornita di testi del Mondo dell'epoca.
Il Monastero è di formazione normanna. Il crociato Boemondo I, principe di Taranto
e Antiochia, figlio di Roberto il Guiscardo, condottiero normanno, e di sua madre
Costanza, allo scopo di aggraziarsi la simpatia dei monaci greci che vivevano nel Sud
Italia, in particolare di quelli salentini, fondò il Monastero di San Nicola nell'XI
secolo. Boemondo, per la prima volta, nell'XI secolo lo chiamò di Casole
(precedentemente il suo nome era solo "S. Nicola"), perchè questo, prima di essere
restaurato, era costituito da tante capanne, nicchie, grotte, casupole, dove i monaci si
recavano per pregare. Proprio dalla presenza di quelle casupole, dette casole in
dialetto salentino, deriverebbe il nome di San Nicola di Casole.
Boemondo donò il Casale di Casole ad un gruppo di Basiliani, guidati da Giuseppe
Igumeno, il primo Abate del Monastero.
In pratica Boemondo edificò il Monastero.
San Nicola di Casole presentava delle caratteristiche particolari, che fanno risalire la
restaurazione proprio a Boemondo:
1. Boemondo lo fece ricostruire (sicuramente dopo il 1009 in muratura mentre le
costruzioni italo-greche erano ricavate dalla roccia.
2. I Monasteri costruiti dai Normanni avevano tutti un Corpus (codice) di regole
canoniche che di solito erano quelle del grande Basilio (fu il più grande riformatore,
divenuto poi Santo, della Chiesa Bizantina e l'espressione più alta di quella
spiritualità,; l'aggettivo basiliano oggi equivale anche a bizantino.
Il Typikon di Casole: la sua storia
Il Codice, risalente al 1098-99, era detto Typikon ed era un insieme di norme che
regolava la vita monastica e materiale dei frati.
Non possiamo dire quanto questo codice fosse di Boemondo e quanto del primo
Abate Igumeno Giuseppe. Esso è contenuto in un manoscritto compreso nel Codice
Torinese C111; questo codice prima si trovava nell'Università di Torino, poi è stato
portato, ad opera del Consigliere della Corte d'Appello di Trani, L. De Simone, per
motivi di studio alla Vaticana a Roma (1890), ma poi la Biblioteca di Torino l'ha
rivendicato a sè.
Il Typikon autentico di Casole (il manoscritto originale) si conserva ancora oggi
presso la Biblioteca regia di Torino con la segnatura C111.17. Esso è un documento
della vita religiosa ed intellettuale del Monastero otrantino.
Prima che fosse conosciuto il Codice Torinese C111, che ha fornito precise
indicazioni sulla storia del Monastero di San Nicola di Casole, ben poco si sapeva di
questo monastero. Al saccheggio operato dai Turchi, scampò, non si sa come, un
manoscritto davvero prezioso per la storia del Convento.
Certo se il Monastero di San Nicola di Casole non fosse stato distrutto dai Turchi
dopo la presa di Otranto nel 1480, oggi nel suo archivio e nella sua biblioteca
avremmo preziosissimi documenti storici e letterari.
Il più importante Abate, in assoluto, fu il settimo, il Nettario(1219-1235). Fondò la
Scuola poetica otrantina. Gran conoscitore del greco e del latino, creò la Biblioteca di
Casole con le migliaia di volumi greci e latini che raccolse nei suoi viaggi in Oriente.
Il Monastero di Casole è stato dal secolo XI centro propulsore di cultura e di civiltà,
anticipando e poi affiancando la famosa Scuola siciliana di Federico II da cui ha
avuto inizio, nel '200, quel processo linguistico da cui sarebbe derivata la lingua
italiana.
Oggi sopravvivono soltanto pochi ruderi di quell'edificio monastico. Interventi di
restauro sarebbero auspicabili per salvaguardare e consolidare quanto il tempo, la
storia, le distruzioni hanno ancora lasciato sopravvivere.
Classe I C (Lucugnano) – Scuola Secondaria di 1° grado "Tricase Via Apulia"