Davanti a uno specchio piombato, ogni domenica pomeriggio, egli
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Davanti a uno specchio piombato, ogni domenica pomeriggio, egli
‹‹Appena nati piangiamo per essere venuti in questo vasto teatro di pazzi››. Tennessee Williams Davanti a uno specchio piombato, ogni domenica pomeriggio, egli soleva passare gran parte del tempo, fissandosi a bocca aperta, in un precario equilibrio, lungo tutto il corpicino senza vestiti, dalle guance rosee ai piedini paffuti, fino a che il riflesso restituito della propria immagine, per frammenti, non lo impauriva a tal punto da allontanarsi, poi, con i pugni chiusi e in lacrime, nella cameretta dove l’orsacchiotto Tom lo avrebbe consolato come sempre1. Infine, calata la notte, prima di dormire, distendeva in modo rigido le piccole gambe sul lettino, e cominciava a mettersi adagio due o tre ditini in bocca2, poiché a quell’ora ne aveva solitamente voglia, quindi li addentrava nell’imboccatura e li succhiava con voluttà. Mentre i genitori, nella loro stanza, dormicchiavano sulle lenzuola sfatte, ciascuno dando la schiena nuda all’altro senza colpo ferire. ‹‹Dovremmo affidare il bambino ai nonni,›› disse con una lama d’allarme la madre, affaccendata col bucato, un giorno malinconico d’inverno. ‹‹Non possiamo lasciarlo sempre solo con la balia, povera creatura. Col tempo nostro figlio potrebbe soffrirne››. ‹‹Che cazzo dici?›› rispose, stizzito, il marito della donna. ‹‹Io sono cresciuto senza genitori. E pure non ho mai patito la solitudine. Sarà così anche con lui, vedrai. E comunque…›› ‹‹Comunque?›› domandò quella, facendosi sfuggire improvvisamente di mano il maglioncino del figlio. 1 Lo stadio dello specchio si realizza tra i sei e i diciotto mesi, il bambino in questa fase di incoordinazione motoria, anticipa attraverso l’immaginazione, la padronanza della propria unità corporea. Tale configurazione immaginaria si forma attraverso l’identificazione con l’immagine del proprio simile, che si realizza nel momento in cui il bambino percepisce la propria immagine allo specchio. Lo stadio dello specchio rappresenta la matrice di ciò che sarà l’Io. La configurazione unificata del corpo che il bambino vede nello specchio ha qualcosa in più della semplice somma delle parti che la costituiscono. La “forma” dell’immagine ha un’identità a sé, altra dai frammenti che la costituiscono, un’identità con la quale il bambino si identifica. 2 Sigmund Freud, Fase orale: Con questo termine viene identificata la prima fase dello sviluppo psicosessuale infantile postulato da Freud, comprendente i primi 0-18 mesi di vita, in cui il piacere sessuale è legato in modo prevalente all'eccitamento della cavità orale e delle labbra che accompagna l'alimentazione. L'attività di nutrizione fornisce i significati elettivi con cui si esprime e si organizza la relazione oggettuale, essendo la bocca il principale organo di esplorazione. 1 ‹‹Ecco! non pensavo che mettere al mondo un marmocchio comportasse tanti fastidi…›› *** Quando lui mi chiese di andargli a comprare un pacchetto di sigarette in paese, era tranquillo. Del resto lo era sempre stato sin dal primo giorno di fidanzamento, ovvero circa quarant’anni fa. Non avrei mai potuto immaginare quindi cosa sarebbe successo da lì a poco: mio marito era un vero mostro. Col solito sorriso di sempre, gli avevo risposto di sì: che avrei fatto in tempo a preparare la consueta cena delle otto. Acquistai allora le sigarette che voleva, e mi affrettai per tornare a casa, come gli avevo promesso. Al rientro, mi attendeva però una sorpresa. Suonato il campanello, mi rispose solo l’eco di un silenzio spettrale. E la porta d’ingresso, stranamente, era stata chiusa dall’interno. Dapprima pensai che forse il mio consorte lo avesse fatto per i ladri. Ma, poiché lui lo era stato per anni, difficilmente avrebbe potuto temerli. Li conosceva tutti ormai — erano suoi amici, almeno quelli della periferia. Poi, con minore convinzione, congetturai che fosse uscito col nipotino per una passeggiata nella campagna circostante. Ma, in effetti, lui odiava le passeggiate, e forse anche il nipotino, con cui non era mai riuscito a spiccicare una sola parola di tenerezza. Nel gelo di quella serata, fui pertanto costretta ad aspettarlo sulla soglia deserta, giacché egli, prima che uscissi, mi aveva consigliato di non portare chiavi con me. Ci avrebbe pensato lui a farmi rincasare, mi aveva rassicurato. Bussai. All’inizio con un po’ di cautela perché, conoscendo quel suo caratteraccio da vecchio marinaio, sapevo che lo avrei potuto spazientire. Poi, dal momento che lui non si faceva ancora vivo, con maggiore insistenza. Nulla. Sembrava essere stato inghiottito dalla casa stessa insieme a quell’angioletto di sei anni. Passò un’ora. Nessuno ancora mi rispondeva. Le tenebre incalzavano ormai nel cielo inquieto. Dunque, non sapendo più come richiamare la loro attenzione, decisi di fare un breve giro lungo il perimetro dell’abitazione. Per il nervosismo, mi accesi una di quelle sigarette che avevo appena preso per lui, senza pensarci su, io che non avevo mai fumato in vita mia. Quindi, in ansia come se presagissi un evento spiacevolissimo, iniziai a percorrere quel tragitto passo passo, sudando copiosamente sulla fronte. A un certo punto, mentre la luna veniva coperta da una spessa nube grigia, avvertii lo scricchiolare insistente di mobili, alcune grida soffocate, che provenivano dalla stanzetta di mio nipote. 2 La finestra del suo vano era semichiusa. Provai quindi a guardarvi con prudenza per capirci qualcosa. La sigaretta mi sfuggì dalle labbra. *** 23 Marzo Mio nonno è morto, ma non riesco a provarne pena. Per troppo tempo ha abusato di me, dicendomi che era normale. Tutti i nonni lo facevano ai loro nipotini, mi assicurava. Dicono che gli uomini si rattristano sempre di fronte alla morte di qualcun altro, specie se è un parente. Eppure non piango, non mi deprimo, e non dispero. Forse, in un mondo di cattivi, ho imparato anch’io ad esserlo col tempo. 28 Giugno Mi piace il teatro. Poco a poco la mia dizione migliora, e riesco a commuovere tutti quando sto sul palco. I miei insegnanti affermano che sono bravissimo nei ruoli drammatici. Sarà forse che mi viene naturale. 29 Giugno È così bella quando il sole cambia il colore dei suoi occhi sfumandoli come un mare in lontananza. Me ne sono innamorato al primo sguardo, quando recitavamo come comparse in Lunga giornata verso la notte di Eugene O’Neill. Peccato che lei non reciti mai fuori dal palcoscenico, e non mi regali se non la mera illusione di poterla amare. Quando stiamo in scena, è molto più semplice per me giustificare le continue attenzioni dei miei occhi che si posano su di lei. Ma per strada, lì, devo per forza calarmi nella parte del collega che non può spingersi oltre. Sono sempre le donne a stabilire il confine tra sogno e realtà. 13 Settembre Mio padre si porta sempre amanti in casa quando mia madre non c’è. Lei invece è sempre fuori, occupatissima, non rientra mai prima delle undici di sera. E tutto sommato è meglio così perché, se si vedono, non fanno altro che litigare per 3 tutto il tempo. Mi chiedo allora di chi io possa essere figlio. Poi, ripensandoci, so bene la risposta: sono figlio di un errore, di un fottuto errore. 23 Ottobre Ecco, lo sapevo. Si è fidanzata. E altrettanto sapevo che lo avrebbe fatto con uno molto più ricco di me, con una bella macchina, e tanti muscoli palestrati. Sono destinato ad amare ma non ad essere amato. 25 Ottobre Mia nonna sta male. Andrò a trovarla. Probabilmente le restano pochi giorni di vita. Poverina, lei non ha mai saputo di avere un mostro in casa. *** Quel sabato pomeriggio l’umidità era altissima. Dentro l’ospedale, dottori ed infermieri impazzivano ondeggiando da un riva all’altra del reparto di appartenenza. ‹‹Mia nonna?›› domandò il ragazzo, costernato. ‹‹Stanza 213, secondo piano››. Con una flebo alla vena del braccio, stravaccata sul letto, pallida come la morte, l’anziana boccheggiava verso il rettangolo del soffitto, ormai senza speranza di una cura efficace. Non c’era nessuno con lei, né i figli né altri, proprio come accade, per uno strano scherzo del destino, a chi nella vita si è sempre speso a vantaggio del prossimo. Ora vedeva suo nipote, bello e forte, davanti a lei, quell’angioletto che tante volte aveva scorto in potere del marito, senza fiatare. ‹‹Nonna,›› sibilò il nipote, avvicinandosi al capezzale, ‹‹devi sapere che il nonno… quella volta… e anche dopo… be’, ecco… non so come dirtelo… ›› ‹‹Perdonami, ragazzo mio, so… so cosa vuoi dirmi…›› rispose con un filo di voce. ‹‹Io sapevo… io sapevo tutto, ma non potevo… non potevo…››. Prima che lei si spegnesse nella propria solitudine, il nipote, guardandola con disprezzo negli occhi cerulei, la sputò più volte sulle rughe violacee, dove si esaurivano, sotto forma di lacrime, gli ultimi residui di vita. *** 4 Quando gli ho detto che io e la mamma avremmo divorziato, lui l’ha presa benissimo. A dir la verità, lui prendeva bene tutto. Qualsiasi cattiva notizia gli potessi dare, infatti, reagiva sempre in un modo: accennando a un timido sorriso, dimenticando in fretta. Ed io interpretavo sempre quel sorriso come un segnale di avvenuta maturazione. È stato così, ad esempio, per la morte del nonno, per la malattia della nonna, e, adesso, per il nostro nucleo famigliare. È un ragazzo intelligente, capisce subito. Peccato che perda così tanto tempo per quel cazzo di teatro, mentre potrebbe scoparsi mezzo quartiere. Sembra persino che al sesso preferisca ancora l’abbraccio del suo orsacchiotto di peluche. A quattr’occhi gli ho pure spiegato che, in futuro, non deve mai farsi ingabbiare da un donna col vincolo di matrimonio. Anzi, non deve farsi mai ingabbiare. Punto. A volte, invece, mi ha dato l’impressione che fosse in attesa di un amore buono a cambiargli la vita. Ma un amore, al limite, potrebbe cambiare, e in difetto, soltanto il proprio conto in banca. Da questo punto di vista ha molto da imparare. Infine, l’ho rassicurato, naturalmente, dicendo che i nostri rapporti non sarebbero cambiati. In verità, credo proprio che ci vedremo un po’ di meno. Entrambi abbiamo tanti impegni, e non possiamo trascurarli. Ma non dovrebbe soffrine troppo. Io, non di sicuro. Ormai si sarà abituato alla mia assenza. Io, alla sua. *** Fu lei stessa a dirmi che il suo ragazzo avrebbe fatto parte del cast per lo Zoo di Vetro di Tennesee Williams. Per me, una vera sciagura sul cuore. Pur non conoscendolo, infatti, quell’uomo, per il semplice motivo di avermi tolto ogni speranza di amare e di essere amato, era divenuto il mio nemico numero uno. A lui diedero, per fortuna, un ruolo di comprimario, sicché non ci avrei avuto molto a che fare. A lei quello di Laura. E a me, manco farlo apposta, quello di Jim3. 3 Lo Zoo di vetro" di Tennessee Williams è considerato uno dei più famosi classici della letteratura americana e come ogni classico, intramontabile. La storia è quella di una piccola famiglia di Saint Louis, quella dei Wingfield, composta da Amanda, la madre e i suoi figli, Tom e Laura. Il padre ha abbandonato tutti e se n'è andato. Ogni personaggio ha assorbito questa assenza e ne porta un tratto. Amanda, divenuta mostruosamente possessiva, si ritrova sola con due figli difficili da "gestire": Tom, poeta impiegato in un magazzino, io narrante dell'intera vicenda, torna a casa dopo anni di vagabondaggi, insofferente alle prediche ossessive della madre vorrebbe fuggire da questa situazione, ma si sente imprigionato tra un profondo desiderio di libertà e l'amore per la sorella e Laura, straordinario personaggio, resa claudicante da una malattia che ne caratterizza anche l'animo fragile e che la chiude nel suo mondo immaginario fatto di animaletti di cristallo, lo zoo di vetro per l'appunto. Quando alla fine Jim, un amico del fratello, di cui Laura era 5 ‹‹Stai attento a come guardi la mia donna, bastardo›› mi disse in cagnesco il fidanzato. ‹‹I pidocchi come te devono stare alla larga››. ‹‹Capisco, non preoccuparti. Lo farò… La sola vittoria contro l'amore è la fuga ››. 4 ‹‹Ecco, bravo. A proposito… gran bella donna tua madre…›› Da quel momento in poi capii che chi amavo preferiva un mostro alla mia presenza. E non solo. Nel giro di pochi anni, tutti erano divenuti dei mostri terribili: prima i nonni, dopo i genitori, ora anche i miei stessi partner di lavoro, che ci vedevano il male persino in uno sguardo innocente, in una parola di conforto. Ma mostri terrificanti erano divenuti anche gli spettatori che mi avrebbero applaudito o fischiato a seconda della capacità di celare o meno sul palco i sentimenti che provavo. Mi ritrovai così a decidere quale posizione prendere in merito al mio genio artistico: Brecht o Stanislavskij? Straniamento o immedesimazione? Alla fine, senza più remore o dubbi di sorta, optai con entusiasmo per il secondo, perché — pensai — nessun uomo può rimanere indifferente rispetto a se stesso, alla miseria del proprio vissuto. C’è sempre qualcosa che rimane di noi nell’arte. Anzi, noi stessi siamo arte. Noi stessi, quando siamo di fronte a un pubblico pagante, ci trasformiamo in ciò che non eravamo mai stati nella vita quotidiana, perché repressi, ingabbiati, e spesso vilipesi in ogni nostro istinto vitale, ossia, degli uomini liberi, emotivi, capaci di esprimere se stessi al più alto grado di naturalezza. E venne il giorno dell’esibizione. In un angolo, dietro le quinte, vedevo loro, chi amavo e chi odiavo, uniti e complici, che mi guardavano a distanza come di sfida. Dalla sala sentivo le taglienti chiacchiere della gente che si accingeva a riempire il teatro. Mi sistemai il colletto. Entrai in scena. *** Era stanco, distrutto, dopo la recitazione. Nella mano destra stringeva per le orecchie il suo caro orsacchiotto Tom. Poco prima, il pubblico lo aveva acclamato a gran voce in teatro, proclamandolo come miglior attore sul palcoscenico. Ma ora, in bagno, era di nuovo solo, lontano da tutto e tutti, nudo di fronte a se stesso, davanti a quel medesimo specchio che lo aveva visto crescere e forse invecchiare troppo velocemente, con gli occhi spenti e spiritati. Sulla lastra di vetro, adesso, l’immagine intera ma distorta che gli veniva riflessa era di un discente che aveva perso in maniera innamorata fin dal liceo, viene a far visita alla famiglia, lei tenta di vincere con ogni forza la sua ritrosìa, si appoggerà a questo bel giovane, al sogno di diventarne la fidanzata e lo ZOO DI VETRO crollerà. 4 Napoleone Bonaparte, Aforismi e pensieri politici, morali e filosofici, XIX sec. 6 definitiva la ragione collettiva, quella degli altri, ogni velleità di integrarsi nel mondo di fuori, così artefatto e superficiale, come aveva spesso trovato nei suoi peggiori incubi notturni; e, man mano, sfumavano anche i rancori passati, per i nonni, per i genitori, per quella donna che non l’aveva mai amato, per lo stesso compagno di lei. Tutto era rientrato in una sordida indifferenza verso gli apparati della società. Ora, era tutto lui. Tutto era in lui. Era un uomo, si sentiva finalmente un vero artista: Che cos'è mai un uomo se del suo tempo non sa far altr'uso che per mangiare e dormire? Una bestia. Colui che ci ha dotati di una mente sì vasta da vedere il prima e il dopo, non ci largì questa capacità, ed il divino don della ragione, perché ammuffisca senz'essere usata. Sia letargo bestiale o vile scrupolo a farci pensar troppo sulle cose (un pensare che, se diviso in quattro, è saggezza soltanto per un quarto e bassa codardia per gli altri tre), io mi chiedo perché passo la vita a ripetermi: "Questo s'ha da fare", quando per farlo ho causa, volontà, e forza e mezzi5… Quindi afferrò di forza lo specchio piombato, e guardò il riflesso della propria immagine ancora per un po’, a denti stretti, con l’ovale del volto leggermente inclinato verso sinistra, quasi avesse visto di colpo, su quella superficie lucente, tutti i volti del passato che il mondo gli aveva imposto per la sola sopravvivenza dell’io sociale. Dunque, distoltosi finalmente dalla sua figura, scagliò lo specchio contro il lavabo. E dove esso rovinò, dimenticato, egli gettò pure il rottame del suo amico d’infanzia Tom, urlando poi a pieni polmoni: ‹‹Mai più! Mai più! Mai più!››. 5 Shakespaere, Amleto, scena IV. 7