La spiritualità che trasforma: guarigione e trascendenza dall`io

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La spiritualità che trasforma: guarigione e trascendenza dall`io
La spiritualità che trasforma:
guarigione e trascendenza dall'io
Intervista a Laura Boggio Gilot
1) Qual è lo stato dell’arte della Psicologia Transpersonale in relazione alla
spiritualità?
Nell’ambito della psicologia occidentale, la Psicologia Transpersonale è nata come un
campo interessato particolarmente alle potenzialità umane inesplorate, alla salute
mentale e al benessere ottimale, agli stati superiori della coscienza, alle qualità
eccezionali di intelligenza e bontà connesse alla creatività e alla spiritualità. I risultati
fondamentali della ricerca si riferiscono:
a) allo studio della coscienza nei suoi stati e stadi oltre la normalità;
b) alla teoria dello sviluppo e dell’identità oltre l’io;
c) alla psicoterapia con un approccio alla guarigione, che integra le conoscenze
scientifiche e la saggezza tradizionale, riconoscendo un più ampio spettro della
sofferenza mentale, che include la sofferenza noetica della separazione dell’io
dall’Anima o psicopatologia della normalità.
Sia per lo sviluppo della coscienza e dell’identità oltre l’io che per la conoscenza dei
poteri dell’Anima è necessaria l’arte di una spiritualità che trasformi.
A differenza della religione, che riguarda un percorso di unione tra la persona e Dio, la
spiritualità è un’esperienza intima e soggettiva della sacra essenza dell’Anima e della
sua comunione con la Realtà Suprema.
Sono totalmente d’accordo che l’esplorazione spirituale in Occidente sia pervasa da
una riduttiva superficialità, e molto spesso, la traduzione della saggezza e della
tradizione mistica nella psicologia e nella cultura ha perso il significato di liberazione
insito nella tradizione spirituale, diventando spesso una copertura e un modo sottile e
sofisticato di nutrire l’io, piuttosto che di trascenderlo.
Inoltre, alcune pratiche della tradizione meditativa usate senza discriminazione invece
di essere nuovi modi di curare la sofferenza mentale sono diventate dei ponti verso
gravi psicopatologie. Le idee di Ken Wilber sulla spiritualità che trasforma sembrano
essere di fondamentale importanza per la ricerca in questo campo.
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2) Sembra che il valore aggiunto della ricerca in questo ambito si possa
riassumere nelle parole “trasformazione” e “spiritualità che trasforma”.
Cosa intende esattamente?
Wilber, parlando del cambiamento e dell’evoluzione della personalità, differenzia il
concetto di traslazione da quello di trasformazione: “Con la traslazione, semplicemente
si trova un nuovo modo di pensare o di percepire la realtà [...] che crea un significato
per il sé separato [...] ma generalmente non si cambia il livello di coscienza [...], non è
un’improvvisa liberazione dal sé separato, ma un consolidamento difensivo di esso”[1].
La traslazione è solo un movimento orizzontale mentre la trasformazione è un
movimento verticale: “Un’autentica trasformazione non è materia di credenze [...] ma
della morte delle credenze”.
In Sex, Ecology, Spirituality[2], il ricercatore americano scrive che la traslazione è un
cambiamento nelle strutture superficiali mentre la trasformazione è un cambiamento
nelle strutture profonde.
La trasformazione spirituale è un percorso di trascendenza dall’io e di sviluppo
transpersonale: esso necessita di un processo di purificazione delle energie della
mente e del corpo. La trasformazione attraverso la purificazione è come la platonica
metanoia, ovvero una profonda catarsi dei pensieri e degli affetti che produce una
dissoluzione dall’egoismo delle strutture autorappresentative, motivazionali, morali,
ecc., che confinano il senso dell’identità egoica nei confini dell’unità corpo-mente.
3) Quali sono le radici del suo percorso? In che modo e con quali
strumenti ci si incammina nel percorso transpersonale?
La mia esperienza e la base della mia ricerca come psicologa transpersonale si
rifanno al connubio tra la psicologia occidentale e il percorso meditativo dell’Advaita
Vedanta, che seguo da più di trent’anni.
La tradizione Advaita Vedanta codificata da Sankara, e alla quale sono stata introdotta
dal mio illuminato maestro Raphael, ha per obiettivo il raggiungimento della
conoscenza del Sé, lo stato di coscienza non-dualistica (Nirvikalpa samadhi), che è un
quarto stato di coscienza dopo quelli di veglia, di sogno e di sonno.
Nello stato di coscienza non dualistico la consapevolezza non è soggetta alla divisione
tra soggetto e oggetto, ma aperta alla Verità ultima che è l’indivisibile essenza sacra
della vita. Questa essenza sacra e indivisa, descritta nelle Upanishad come Sat-CitAnanda, ovvero Coscienza, Esistenza e Beatitudine, è l’Assoluto informale, l’infinito,
eterno, immortale, immutabile, immanifesto: l’Assoluto trascende ogni relativa forma
della manifestazione. La verità rivelata nel Vedanta è la stessa verità rivelata nella
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filosofia perenne e riguarda la sacra unità della vita tra l’anima individuale e l’eternità.
La coscienza non–dualistica, oltre la separazione tra soggetto oggetto e oltre ogni tipo
di pensiero, è mediata dalla visione dell’intuizione supercosciente della buddhi: l’occhio
dell’Anima, il Testimone in tutte le tradizioni sacre.
Per realizzare la buddhi e lo stato di coscienza non–dualistica, il Vedanta insegna che
è necessario raggiungere alcune qualificazioni:
1) Discriminazione tra Reale e irreale.
2) Distacco dall’irreale.
3) Qualità della mente pacificata: calma mentale, autodominio, concentrazione
profonda, pazienza, stabilità, equanimità.
4) Ardente desiderio di liberazione.
Queste qualificazioni, sottolineate dal Vedanta come mezzi per l’illuminazione e la
liberazione, si riferiscono a stati transpersonali che si raggiungono nel percorso della
conoscenza del Sé.
La discriminazione tende a distinguere la Coscienza, di per sé inalterabile, indivisibile
ed eterna, dai contenuti mentali che la velano e la occupano.
Il distacco segue la discriminazione come separazione alchemica tra Coscienza e
contenuto che rende la Coscienza libera dai contenuti. Il distacco si configura come
stato di non dipendenza dagli impulsi egocentrici e da qualsiasi tipo di ansietà dell’io.
L’essenza di ogni percorso spirituale, sia nel cristianesimo che nel sufismo, è questa
posizione coscienziale, che nella cabala e nel platonismo è descritta come quello stato
della mente purificata capace di realizzare l’unità con il Divino.
4) In che modo evolvono le strutture della personalità lungo il cammino di
trasformazione?
Le differenti tradizioni spirituali testimoniano i differenti modi per raggiungere l’unità
con la Suprema Realtà. Nella tradizione Yoga si parla di bhakti –yoga, la via della
devozione, di jnana–yoga, la via della conoscenza, di karma–yoga, la via dell’azione.
Devozione, conoscenza e azione senza attaccamento sviluppano delle qualità che
modificano le strutture profonde della personalità e qualificano l’essenza di una
spiritualità che trasforma.
1) La struttura cognitiva passa dalla modalità analitica e duale a quella sintetica,
intuitiva e superconscia.
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2) La struttura del senso di identità passa dal senso dell’io incapsulato nel corpo alla
percezione di un’identità non limitata dai contenuti del corpo e della mente, ma che
include, senza separazione, più ampie dimensioni della psiche, del Sé e della Realtà.
3) La percezione della realtà passa da una percezione materiale alla percezione
comprendente i livelli sottili e causali, ovvero delle realtà archetipiche principiali.
4) La struttura dei bisogni e delle motivazioni passa dal bisogno di sicurezza, di
accettazione, di successo, di prestigio, ecc. al bisogno di armonia, di conoscenza, di
creatività e di autoperfezionamento.
5) La struttura interpersonale passa dall’egocentrismo all’altruismo.
6) La struttura morale passa dalla morale convenzionale basata sui valori storici e
culturali alla morale universalistica che onora l’Amore, la conoscenza e le qualità del
vero, del bello e del buono, sempre esistite.
5) Ecco un’altra parola chiave: “discriminazione”. Qual è il suo ruolo nel
percorso spirituale?
La discriminazione tra il Reale e l’irreale è la conoscenza intuitiva che soltanto la
Coscienza è reale, assoluta e ontologicamente indipendente da qualsivoglia sua
sovrapposizione o contenuto. Essa è il risultato della pratica meditativa
dell’autosservazione.
La discriminazione porta all’esperienza che solo la Coscienza è permanente e reale,
mentre i contenuti e i processi mentali impermanenti, irreali (pensieri, bisogni,
desideri), come onde dell’oceano, seguono un processo temporale di nascita e di
morte. Qualsiasi pensiero, qualsiasi sentimento e qualsiasi sensazione appaiono e
scompaiono come forme fragili sullo sfondo della Coscienza stabile e immutevole,
senza forma. Lo sforzo della pratica meditativa è quello di stabilizzare l’attenzione
nello stato della pura Coscienza, che ordinariamente è rapita e confusa con i contenuti
mentali.
Lo stato di pura Coscienza è un’esperienza di pace, libertà, gioia che facilita
l’assorbimento nel Samadhi.
La discriminazione tra il Reale e l’irreale nei suoi stadi più alti richiede una capacità
intuitiva, ovvero trans-razionale, che appartiene all’intelligenza spirituale – la buddhi, la
facoltà intuitiva supercosciente che conosce in modo diretto la natura sottile e causale
delle forme che velano la Coscienza informale.
Questa capacità può penetrare sia nel reame dell’impermanente che nella permanente
Coscienza e sperimentare la sua immutabilità e permanenza. La pura Coscienza,
quindi, libera da ogni contenuto, può vivere e splendere della sua luce e pace e può,
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allora, contemplare la non–dualità del Reale con amore e con gioia.
6) In Occidente siamo spesso condizionati ad associare il distacco all’idea
della rinuncia forzata e sofferente. Cos’è in realtà il distacco?
Il distacco è un’esperienza di coscienza acquietata; risultando in sé stessa, non è
dominata dai contenuti mentali. È una condizione di libertà dagli stimoli egoici,
dall’ansia, dall’atteggiamento separativo; è uno stato nel quale non si è più imprigionati
dai pensieri e dalle emozioni, ma si può scegliere il tipo di pensieri e di emozioni
opportunamente.
Il vero distacco associato al silenzio mentale è il risultato della trascendenza dagli
attaccamenti egoistici. È lo stato naturale della coscienza, che ciascuno può scoprire
quando le onde della mente agitate dai desideri si calmano perché i desideri vengono
trascesi. In questa condizione di distacco da finalità egocentriche, l’azione non
persegue più alcuna motivazione personale ma è offerta come un servizio alla vita.
Il distacco non deve essere confuso con uno stato separativo; al contrario, esso è uno
stato di profonda unità con il mondo, ma solo in una modalità altruistica e non egoistica
che richiede la purificazione delle energie legate ai pensieri ed alle emozioni.
A volte un’intera vita non è sufficiente per ottenere la condizione di distacco. Tuttavia
dobbiamo rilevare che il sentiero da percorrere per raggiungere questo stato porta allo
sviluppo di qualità della salute e virtù.
Le qualità di una mente pacificata sono il risultato ultimo del processo di
discriminazione e distacco. E’ molto interessante notare che le qualificazioni
evidenziate da Sankara nel Vedanta seguono un modello oloarchico, per usare la
definizione data da Ken Wilber. La discriminazione costituisce la base fondamentale
del distacco e ne è parte essenziale; il distacco è la base della mente pacificata e ne è
parte fondamentale.
Nel corso della mia ricerca come meditante, insegnante di meditazione, psicoterapeuta
e scrittrice ho continuamente messo alla prova me stessa per riconoscere le
implicazioni di queste pratiche meditative nel processo di guarigione. I risultati sono
così ricchi che rappresentano molto più di quello che io posso riportare in una
relazione o anche in un libro; posso soltanto evidenziarne alcuni elementi.
Il Vedanta insegna che la Coscienza è oltre il soggetto, l’oggetto e i processi di
percezione, che la Verità è velata dagli oggetti mentali e va ricercata oltre questi,
mediante una pratica di coscienza osservante.
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7) In cosa consiste questa pratica?
La pratica della coscienza osservante è diretta all’osservazione degli oggetti interni ed
esterni e poi all’osservazione del soggetto percipiente ed alla relazione tra soggetto e
oggetto. La possibilità di guardare il soggetto percipiente ha profonde implicazioni nello
studio e nella chiarificazione dei meccanismi di percezione. Il soggetto osservatore è
identificato con i modelli interiorizzati, credenze, pregiudizi e meccanismi di difesa.
Questa struttura personale così altamente condizionata è il contesto dal quale ogni
oggetto è osservato e interpretato. Tutto ciò che è percepito dal soggetto percipiente
condizionato non può definirsi reale.
L’abilità nell’osservazione del soggetto produce una disidentificazione dalle
identificazioni che colorano e distorcono la percezione dando la possibilità di
riconoscere le distorsioni percettive e la verità che ne è dietro.
Se osserviamo il complesso di inferiorità, invece di osservare il mondo attraverso
questo, realizzeremo che la percezione paurosa della nostra debolezza è un’illusione
costruita dall’identificazione con questo complesso, il quale diventa il contesto della
percezione creando paura ed aggressività. Questa percezione è del tutto irreale, così
come la paura e gli altri sentimenti. Osservando dalla giusta distanza il soggetto affetto
da senso di inferiorità noi raggiungiamo una nuova soggettività priva di inferiorità.
Il nuovo soggetto osservatore è più libero, più chiaro più aperto: come Walsh e
Vaughan hanno messo in evidenza, quando quello che era un contesto è diventato un
contenuto, possiamo agire dalla posizione di un nuovo centro sintetico ed integrato di
coscienza e volontà. Questo tipo di meditazione produce una profonda modificazione
delle strutture transitorie dell’identità e lo spostamento ad un più alto stato di
coscienza. L’identità transpersonale emerge quando siamo disidentificati da tutte le
strutture transitorie che costituiscono il livello egoico e abbiamo trasformato gli
attaccamenti che limitano l’espansione della coscienza.
8) A cosa serve osservare il soggetto percipiente e perché questo
passaggio dell’osservazione è così importante?
In psicoterapia, l’osservazione del soggetto percipiente porta rapidamente allo
svelamento del super-io, struttura cruciale per la salute psicologica. Scopriamo il
super-io quando, guardando i processi mentali, incontriamo delle resistenze
all’osservazione, quando scopriamo la paura di vedere l’ostilità nei confronti dei
contenuti che non ci piacciono. Osservando colui che resiste scopriamo la rigidità, la
severità e un super-io onnipotente e possiamo scoprire quali difese vengono agite per
contrastare il suo giudizio.
Osservando il soggetto percipiente arriviamo alla visione delle strutture che dividono il
livello dell’identità egoica (riconosciute da Freud come il super-io, l’io e l’es e
dall’analisi transazionale come il genitore, l’adulto ed il bambino). Possiamo scoprire le
relazioni tra le tre subpersonalità del genitore, dell’adulto e del bambino ed essere
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spettatori di come queste costruiscono il nostro senso di identità di realtà, ecc.
Quanto più ci disidentifichiamo dall’oggetto e dal soggetto della percezione, tanto più
possiamo avere la visione dei processi mentali che dividono la mente in una
molteplicità di contenuti in lotta tra loro. Ma quanto più noi possiamo arretrare rispetto
all’osservazione, tanto più noi sviluppiamo un nuovo e più profondo soggetto
osservante. Quanto più il precedente contesto è trasformato in contenuto, tanto più
raggiungiamo una chiarezza ed un nuovo e più alto contesto di conoscenza. Quanto
più noi trasformiamo il vedente nel visto tanto più raggiungiamo la libertà dai suoi limiti.
9) Giunti a questo punto, viene spontaneo chiederle: quali sono le
scoperte che si fanno avanzando nella coscienza osservante?
Questo processo di visione panoramica, frutto della meditazione Vedanta, porta alla
scoperta del male presente nella mente. Noi pensiamo che il male sia l’ombra, in realtà
il male più grande è in colui che, attraverso il suo rifiuto, crea l’ombra. In definitiva,
osservando il soggetto percipiente possiamo scoprire che il peggior male non è
l’ombra oggettiva (quella parte che noi consideriamo come il male), ma l’ombra
soggettiva (quella parte che è incapace di accettare i propri contenuti e li odia).
Il processo meditativo evidenzia che vi è un’ombra oggettiva, la parte del nostro
soggetto che noi consideriamo il male, e c’è un’ombra soggettiva, che è la parte del
soggetto incapace di accettare il male e che lo tratta con violenza. L’ombra soggettiva
è responsabile, molto più dell’ombra oggettiva, dei sentimenti di paura e ostilità, di
inibizione della volontà e della perdita della fede, della speranza, della forza, e spesso
dell’arresto della crescita.
La trasformazione spirituale ha potenti mezzi per trasformare l’ombra soggettiva ed il
male ad essa connesso: il primo passo per la trasformazione è sviluppare l’amore,
sotto forma di accettazione e perdono del male. La pratica meditativa insegna come
sviluppare queste qualità spirituali che nell’accezione religiosa creano armonia e bene
e nelle tradizioni sapienziali creano purezza della mente e silenzio interiore.
10) Dunque, ci si accorge del proprio Io limitato e del male ad esso
consustanziale. Cosa si può coltivare per non cadere nello sconforto e
nella depressione?
Coltivare l’amore nei suoi differenti aspetti è un passo essenziale nel processo di
trasformazione, per giungere ad un più alto livello di coscienza e di identità che
sconfessa il narcisismo. A qualsiasi livello della nostra evoluzione troviamo dentro di
noi del narcisismo, opposto dell’amore e creatore del male. A qualsiasi livello lo
sviluppo dell’amore rappresenta il miglior modo per trasformare il narcisismo ed il
male.
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Possiamo dire che il sentiero jnana deve integrarsi con il sentiero bhakti per una
crescita integrale: conoscenza ed amore, saggezza e devozione, consapevolezza e
compassione devono incontrarsi e divenire uno, in un vero processo di trasformazione
spirituale.
Da un punto di vista strutturale la coltivazione dell’amore modifica la struttura
transitoria del super–io: aiuta a sostituire l’atteggiamento critico, la severità e
l’intolleranza con la comprensione e la pazienza. Quando la struttura superegoica è
stata modificata dalla violenza all’amore, i meccanismi di difesa cessano di agire,
perché non è più necessario proteggere l’io dalla violenza del Super-io.
Quando i meccanismi di difesa sono caduti, il male può essere riconosciuto in quanto
non ve n’è più paura, la vita gioiosa del “bambino” interiore, i suoi bisogni profondi
possono essere finalmente espressi in maniera spontanea. Allora può verificarsi un
vero processo di purificazione ed uno sviluppo in senso transpersonale.
L’abilità di guardare a sé stessi senza filtri percettivi o, ancora meglio, di vedere come i
filtri percettivi riescono a creare illusione e sofferenza, dà al ricercatore o al paziente
un senso di libertà, di potere e di sicurezza. La possibilità di sviluppare l’amore con le
proprie energie crea indipendenza dagli altri e libera le relazioni interpersonali da inutili
ed irrealistiche aspettative. La capacità di consapevolezza e di trasformazione delle
strutture costituenti il proprio livello di identità richiede che noi impariamo a pensare in
modo positivo. Forse il segreto più prezioso della tradizione orientale è quello della
potenza del pensiero: sia le Upanishad che il Buddha hanno affermato che noi
diveniamo ciò che pensiamo: il pensiero ha un potere creativo e determina i
sentimenti, le emozioni e gli stati fisici.
Al fine di imparare a pensare abbiamo bisogno di immergere la nostra attenzione nelle
tradizioni sacre dove Verità e Amore vengono rivelate. Lungo questo percorso
luminoso possiamo realizzare quello stato di positività interiore e sicurezza che ci
trasforma in strumenti della volontà Divina, che è il vero scopo per cui siamo nati.
[1]
Wilber K., What is enlightenment?, n. 12, Fall-Winter 1997.
[2]
Wilber K., Sex, Ecology, Spirituality, Shambhala, Boston & London 1995.
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