Mi fa sapere che tutto va bene MARTEDÌ Alan si trovava accanto al

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Mi fa sapere che tutto va bene MARTEDÌ Alan si trovava accanto al
Mi fa sapere che tutto va bene
MARTEDÌ
Alan si trovava accanto al letto, nudo, costretto a reggersi in piedi a fatica. Il suo corpo era ancora
attraversato da forti scariche di adrenalina mentre la mascella con cui aveva digrignato i denti fino a pochi
istanti prima, cominciava ora a rilassarsi.
Cosa è successo?
Si voltò e con passo pesante, ancora sotto shock, si trascinò verso il bagno mentre i nervi gli facevano
serrare i pugni a intermittenza. La mente era offuscata, incapace di esprimere pensieri concreti.
Questo non è reale…
Si fermò di fronte allo specchio del lavandino e scrutando il suo riflesso, si rese conto di come il viso fosse
totalmente tinto di rosso.
Non può esserlo
Il sangue lo copriva da capo a piedi, gocciolando rumorosamente da lui al pavimento.
Si piegò sul water e dette di stomaco.
Adesso mi sveglierò nel mio letto, è solo un incubo…
Rialzatosi, fece qualche passo fino alla porta, affacciandosi sulla camera da letto.
Stette immobile a fissarla.
…solo un incubo.
Laura era li, distesa sul letto.
Gli occhi si spostarono sul tappeto. Laura era anche li e, un po’ di lei, era anche subito accanto, a terra.
Quella che un tempo era Laura , ora non era altro che un informe ammasso di carne. I lunghi capelli biondi
ricadevano sul cuscino, il viso era quasi irriconoscibile, colmo di lacerazioni e graffi, gli occhi vitrei erano
rivolti verso il soffitto.
Se non mi sveglio farò tardi a lavoro…
Una parte della guancia destra era stata strappata via e giaceva sul pavimento, stessa sorte era toccata alla
gola da cui era stata asportata una grossa porzione di pelle. I seni nudi, un tempo perfetti come quelli
della ventenne quale lei era, ora apparivano totalmente dilaniati. Un solco discendeva da quello sinistro
sino al ventre, dove si apriva in un enorme squarcio dal quale fuoriuscivano le interiora. Sulle braccia e
sulle gambe non si contavano nemmeno i morsi e le unghiate. Il letto era zuppo di sangue, sangue che
gocciolava giù per le lenzuola, che era finito sulle pareti e Dio solo sa in che modo, anche sul soffitto.
…non posso fare tardi di nuovo
Il silenzio della stanza era scandito solo dal ticchettio della sveglia sul comodino, il quadrante non era
quasi più visibile.
Cosa ho fatto?
Crollò seduto a terra.
Devo lavarmi… sono sporco.
*
Dave infilò la chiave nella serratura e aprì la porta. Era tornato tardi a casa quella sera. Il silenzio del suo
appartamento era confortevole, non amava stare in mezzo alla gente e dopo un’intera giornata circondato
da persone, era come se avesse esaurito la sua scorta di socievolezza. Si chiuse la porta alle spalle e appese
il cappotto all’appendi abiti; per miracolo non era tornato bagnato fradicio, aveva appena cominciato a
piovere.
Lavorava come consulente informatico per una banca, la paga era buona ma il lavoro era piuttosto
stressante, quella giornata in modo particolare.
Casa dolce casa.
Si avvicinò al tavolino accanto al divano, sopra vi era il telefono. La segreteria telefonica segnava la
presenza di tre messaggi.
Per oggi ho già dato, non ci sono per nessuno, nessuno.
Viveva da solo con il suo pesce rosso Alfred, non aveva un grande appartamento ma se lo faceva bastare.
L’ingresso, un microscopico angolo cucina, una altrettanto piccola camera da letto e un bagno, nulla di più.
Si sedette sul divano dopo essersi riscaldato una porzione di lasagne precotte nel microonde, accese la tv e
si sfilò le scarpe, godendosi finalmente un po’ di tranquillità.
Trasmettevano una sitcom europea dal titolo “Stregato”:
«Tesoro hai dato da mangiare a Sparky?»
«No cara, il postino non è ancora passato oggi, prendi un avvocato dalla dispensa»
Per quanto trovasse irritanti le risate in sottofondo, amava quella serie, erano il suo tallone d’Achille le
sitcom, se ne innamorava in fretta.
Suonarono alla porta.
Sbuffando, Dave si alzò dal divano e corse ad aprire.
Era la sua dirimpettaia.
«A quest’ora alla mia porta, da sola, agghindata in modo così provocante… meglio mettere le cose in chiaro
fin da subito, non sono interessato »
La signora Whitey sogghignò porgendo la posta della giornata «Oggi sono arrivate queste per te, caro»
Dave le afferrò passandole in rassegna.
Un paio di bollette e un volantino pubblicitario
«La ringrazio signora Whitey»
La sua vicina sembrava appena uscita dallo stampo delle adorabili vecchiette rimaste vedove, il marito era
morto da svariati anni e lei tirava avanti con la sua pensione, non riceveva molte visite e non usciva spesso,
prendeva lei quindi la posta di Dave e quasi ogni sera, in pantofole e grembiule, bussava alla sua porta per
consegnargliela.
«Sei così pallido, mangi abbastanza? »
Sorrise, quell’adorabile vecchietta riusciva sempre a fargli tenerezza
«Non si preoccupi signora, sto benissimo, sono solo un po’ stanco»
*
Alan si trovava dietro la porta, osservava dallo spioncino con le orecchie ben tese. Nessuno si aggirava per il
pianerottolo da quanto riusciva a vedere, dalle scale non si sentivano passi, la via sembrava libera. Era
ormai sera tarda e si era preso tutto il tempo che gli serviva: si era ripulito, aveva raccolto tutte le sue cose,
aveva ben badato di non lasciare segni evidenti che lo potessero identificare.
La camicia non era uscita indenne dal bagno di sangue, l’aveva gettata su una sedia poco prima di finire a
letto con Laura, prima che lui si trasformasse in una bestia fuori controllo. Aveva tentato di dare una pulita
anche a quella ma, il massimo che aveva ottenuto, era di rendere le macchie meno evidenti, meglio di
niente.
Il telefono nell’appartamento prese a suonare. Alan sussultò e, il cuore che tanto a fatica aveva cercato di
calmare fino a pochi attimi prima, aveva ripreso a cavalcare in tutta la sua irruenza.
Attese. Ogni squillo sembrò lungo un’eternità e poi, tutto tornò calmo. Il silenzio era ripiombato nella
stanza.
Sbuffò sollevato, appoggiando la schiena alla parete e riprendendo fiato. Diede poi un’ultima occhiata
attraverso lo spioncino, nulla era cambiato, tutto era tranquillo.
Aprì lentamente la porta e, valigetta alla mano, sgattaiolò fuori. Nessuno in vista.
Scese le scale e dando un paio di ultime occhiate, uscì dall’ingresso principale. Una volta fuori, senza
fermarsi, si avviò a piedi verso l’auto, niente metro, niente taxi, l’appartamento di Laura era vicino
all’università dove lui insegnava, ed era proprio li, di fronte a quell’edificio, che aveva parcheggiato in
mattinata.
Aveva detto ad Ashley che avrebbe fatto tardi, che aveva dei compiti da correggere, ora doveva solo
tornare alla macchina, guidare verso casa e fare finta di nulla. Non era Alan Williams l’assassino ora, era
Alan Williams l’insegnante.
Laura viveva da sola, ci metteranno giorni a trovarla se ho fortuna, forse dovrei approfittarne per sparire.
Era quasi arrivato, camminando a passo svelto. Godeva ora di maggiore lucidità rispetto a prima, ma il suo
continuo guardare da ogni parte, tradiva la tensione che ancora lo impregnava. Appariva come un semplice
uomo sui quaranta, occhiali, giacca di tweed, valigetta , capelli corti e brizzolati, uno dei tanti che tornava a
casa dal lavoro.
Sparire? Oh si bella pensata: una ragazza viene massacrata nel suo appartamento e il suo insegnante
sparisce senza un particolare motivo, farei prima ad andarmi a costituire direttamente.
Devo fare finta di nulla, continuare come se nulla fosse, nessuno sapeva di me e di lei e nessuno mi ha visto.
Raggiunse la sua auto e dopo un’ennesima occhiata intorno, tirò un sospiro di sollievo.
Salì a bordo, posò la valigetta sul sedile posteriore, poi mise le mani sul volante
E con le mie impronte come la mettiamo? Quel posto ne sarà pieno.
Chinò la testa sul volante, sbuffando.
Cazzo Alan, hai ucciso una ragazza
Fece un lungo respiro riempiendosi i polmoni d’ossigeno, soffocando il magone e il senso di nausea che
avevano cominciato a salire nuovamente in lui.
Non è il momento di crollare, dopo razionalizzerò tutto, ora devo essere lucido. Hanno impronte, calchi dei
denti, saliva, sperma e chissà cos’altro… sono fottuto se trovano il modo di collegare a me qualcosa, però…
la mia fedina penale è pulita, nessuno mi ha mai preso le impronte e così deve continuare a essere.
Sollevò il capo, girò la chiave e si avviò verso casa.
MERCOLEDÌ
*
«Ancora un giro forza!»
Quella sera Dave non era riuscito a declinare l’invito dei suoi colleghi.
Il Mc Gees era un pub poco frequentato del centro, non un brutto posto, tutt’altro, aveva però la sfortuna
di trovarsi nei pressi di altri tre locali molto più fatiscenti .
Per molti era un posto noioso, per altri l’ideale per bere un goccio in tranquillità, senza troppa calca
intorno.
«No ragazzi, domani sono di riposo, vorrei passare l’unico giorno a casa senza dover smaltire una sbornia»
La giornata era stata pesante, così come la precedente e quella ancora prima e, anche se in quel momento
Dave avrebbe preferito starsene nella sua abitazione impegnato in maratone di film fantascientifici, non
poteva negare che quelle erano le poche persone con cui trascorreva il tempo volentieri.
«Coraggio! Se bevi un goccetto ogni tanto in compagnia, non casca il mondo no?»
C’era Alex, il ragazzo che divideva l’ufficio con lui.
Aveva un bel appartamento non troppo lontano dal pub, era il più giovane, da poco andato via da casa dei
suoi.
Alto, belloccio, con un certo fascino da “bravo ragazzo”, non uno sciupafemmine ma i suoi periodi da single
non duravano mai troppo a lungo, molte volte non doveva nemmeno fare lui la prima mossa. Sempre
disponibile in caso di bisogno, era anche molto intelligente ma ogni tanto gli piaceva dimenticarlo.
«Tu fai cosa vuoi, io non me lo faccio ripetere»
L’uomo stempiato che in un paio di sorsate aveva svuotato mezzo boccale era Richard, uno degli impiegati.
Sposato ormai da una decina d’anni, con un figlio di sette. Faceva spesso compagnia ad Alex e Dave durante
la pausa pranzo, nonostante fossero più giovani di lui. Una di quelle persone che fa sempre piacere avere
intorno.
«Dovresti cercare di divertirti di più»
Due uomini al bancone erano impegnati a guardare la partita in tv, fumando e bevendo in totale
tranquillità. Il fumo permeava l’aria circostante dando l’impressione che fosse scesa la nebbia nel locale.
«Ragazzi avete sentito l’ultima?» esordì Alex mandando giù un sorso di birra «Il Grande Fratello è in città»
«Quello di Orwell?»
«Chi? No, no, il reality. Partiranno presto le selezioni per l’edizione di quest’anno. Voglio fare un provino,
sembra divertente e avrei solo da guadagnarci»
Erano tutti e tre seduti a un tavolo non troppo distante dalla tv, spezzoni di telecronaca arrivavano alle loro
orecchie tra un discorso e l’altro.
«Sei seriamente interessato a quella porcheria?»
Richard sputò quelle parole come se avessero avuto un cattivo sapore, il suo alito avrebbe fatto scattare un
etilometro a tre metri di distanza.
«Perché no? Ci sono un sacco di soldi in palio e la popolarità è assicurata»
«Quel programma riceverebbe la mia attenzione solo se ai concorrenti venisse fornito un fucile a pompa»
E forse l’alcool oltre a saturare l’aria attraverso il suo fiato, aveva acquisito anche la facoltà di parola
«Non ce la fai a rimanere serio e?»
«Ma lo sono! Pensaci, prova solo a pensare se non sapessero di trovarsi in uno show televisivo, rinchiusi in
una casa senza possibilità di uscire, con poche provviste e un fucile a disposizione, di loro che solo uno avrà
salva la vita»
«Sei un mostro»
«Fidati, tutti dentro hanno un mostro pronto a uscire fuori e non serve poi molto per dargli una spinta
verso l’esterno. Sarebbe comunque più interessante di quella schifezza che spacciano per programma dove
tutti piangono per un po’ di popolarità»
«Il matrimonio ti fa male amico»
«Almeno avrebbero un bel motivo per piangere in quel caso, no?»
Alle parole di Dave, Alex si passò la mano sul volto scuotendo il capo rassegnato, Richard invece avvicinò il
boccale al suo facendoli tintinnare entrambi.
«Tu si che mi capisci ragazzo»
*
Pesante, tutto quel giorno era sembrato pesante, non solo psicologicamente ma anche fisicamente.
Per miracolo quel mattino Alan era riuscito ad alzarsi dal letto, ogni muscolo del suo corpo era indolenzito.
Aveva fatto del suo meglio sia a lavoro che a casa per apparire il più naturale possibile ma, la sua testa era
altrove. Aveva svolto il suo lavoro come una sorta di automa, come uno dei suoi studenti che impara la
lezione a memoria. A casa non era andata in modo molto diverso, non aveva dedicato tante parole ad
Ashley sua moglie e a Milly sua figlia, ma il tutto era passato come normale routine. Era da un po’ che non
si respirava un’aria piacevole in famiglia, proprio per questo era finito a letto con una sua studentessa.
Sorrisi, domande e risposte letteralmente col “pilota automatico”, mentre nella sua testa continuavano a
balzare domande tipo “Avrò dimenticato qualcosa?” o “Mi avrà visto qualcuno?”
Era rimasto alzato fino a tarda notte, la tv accesa. Con telecomando alla mano, continuava a passare da un
tg all’altro alla ricerca di novità. Fu intorno alle tre di notte, in salotto, al buio, illuminato solo dalle luce
bluastra che arrivava dallo schermo televisivo, che Alan cominciò veramente a realizzare:
Non sapeva cosa fosse successo, non lo comprendeva, era stato improvviso, brutale e inarrestabile. Era
stato spettatore di se stesso. Si chiese se forse non avesse dovuto reagire in modo diverso a un qualcosa di
simile. Dove aveva trovato la lucidità di reggere tanto a lungo? E per quanto fosse logorato, un simile atto
non avrebbe dovuto devastarlo di più? Si sentiva allo stesso tempo fiero e nauseato dal suo sangue freddo.
Forse stava perdendo se stesso o forse si era già perso. Cambiò canale in un gesto ormai automatico che
andava avanti da alcune ore, i programmi ormai non lo interessavano nemmeno più. Era affranto e non
riusciva nemmeno a capire se per l’atto compiuto o per la paura di essere scoperto, forse era per questo
che uccidere qualcuno era così terribile, non per il togliere una vita, ma per le ripercussioni personali che ci
possono essere, era forse un mostro per pensare una cosa del genere? Voleva piangere, ma non ci riusciva.
Si faceva schifo da solo, non perché aveva ucciso una ragazza, non perché lo stava tenendo nascosto nella
speranza di farla franca, non perché aveva tradito sua moglie e nemmeno perché forse gli importava di più
quello che poteva succedergli che quello che aveva fatto, si faceva schifo perché sotto tutto quello stress,
sotto tutta quella preoccupazione e quella paura, qualunque cosa gli fosse successa il giorno prima, era
stata incredibilmente liberatoria e piacevole.
GIOVEDÌ
«Sicura di voler entrare? Non è un bello spettacolo»
«Sai che mi tocca, coraggio Ramirez fammi passare»
L’agente tenne il nastro giallo sollevato per permettere a Elisabeth di entrare.
Sul posto insieme ad altri poliziotti era presente anche il medico legale. Nell’aria c’era un odore sgradevole
che aumentava d’intensità con l’addentrarsi nell’appartamento.
«Salve detective Gifford»
«Buongiorno agente, allora? Cos’abbiamo qui?»
«Laura Conrad, vent’anni, trovata qualche ora fa dalla madre. Han già portato via la signora ma non credo
che riacquisterà l’uso della parola tanto presto»
«Normale»
«Meno normale è lo spettacolo in camera da letto, venga con me e… spero per lei che non abbia ancora
pranzato. »
L’agente Pearson fece strada, i bagliori dei flash delle macchine fotografiche erano percepibili anche a
distanza. Più si avanzava, più le facce dei presenti rispecchiavano il disgusto per l’olezzo nell’aria.
Percorsero il piccolo corridoio dell’ingresso, Elisabeth pensò come quell’appartamento seppur piccolo,
fosse troppo grande per una ragazza da sola di appena vent’anni. Arrivarono alla camera da letto .
«Dio mio…» sentì il sandwich che aveva mangiato poco prima, muoversi all’interno dello stomaco. Si voltò
reggendosi al muro per trattenere i conati di vomito, la puzza era nauseante e la visione del corpo straziato
aveva messo in moto un particolare meccanismo di suggestione che faceva sembrare l’odore ancora più
terribile. « Dimmi che è stato un qualche animale scappato dallo zoo » riuscì solo a bofonchiare mettendosi
una mano davanti alla bocca.
«Purtroppo dubito detective, a meno che la bestiola non sapesse anche aprire e chiudere le porte»
Un fischiettio giunse dal corridoio d’ingresso, a seguirlo subito dopo fece la sua comparsa l’ispettore Reed,
in mano reggeva una tazza di plastica coperta da un coperchio, l’odore di caffè si mischiava a quello
nauseante che sembrava permeare le pareti.
«Come sei pallida margheritina, vuoi un goccio?»
Elisabeth scosse la testa trattenendo un nuovo conato.
Benjamin Reed era ispettore da ormai diciassette anni, aveva l’aspetto di un uomo alto ben piazzato,
dall’espressione seria e severa, ma per lo più si trattava di apparenza, come quei dolcetti orribili a vedersi
ripieni di crema al cioccolato.
«Buongiorno ispettore»
«Buongiorno Pearson, immagino che questa sia la vittima, santo cielo… volevano proprio essere sicuri che
fosse morta e? Cosa sappiamo su di lei?»
«Da quel poco che la madre è riuscita a dirci, si era trasferita qui da poco, viveva da sola ma stava cercando
una coinquilina, frequentava il college e la sera lavorava alla tavola calda dall’altro lato della strada»
«È stata la madre dunque a trovarla?»
«Si, pare che da due giorni la figlia non rispondesse al telefono, così aveva deciso di passare a trovarla oggi
verso ora di pranzo, convinta di trovarla dopo le lezioni. Non ricevendo risposta ha aperto la porta con la
sua copia della chiave e… »
«Ho capito. Povera donna… tu Elisabeth cosa ne pensi?»
«La madre ha trovato la porta chiusa, l’assassino deve essere entrato e uscito senza troppi intoppi,
probabilmente è stata la vittima stessa a farlo entrare»
«Probabilmente vittima e assassino si conoscevano, bene è un buon punto d’inizio, torniamo in centrale, ci
organizzeremo su dove indagare e chi interrogare. Avvisatemi se trovate qualcosa o appena avrete i dati
dell’autopsia, andiamo margheritina ti offro una fetta di torta»
*
Bussarono alla porta.
Dave si sveglio lentamente, quello era il suo giorno di riposo e aveva deciso di passarlo recuperando le ore
di sonno che aveva messo in conto nei giorni precedenti. Non aveva alcuna voglia di aprire.
C’era qualcosa d’insistente in quei rintocchi, chiunque vi fosse dall’altro lato sembrava non avere la ben che
minima intenzione di andarsene.
«Un momento arrivo» si alzò dal divano.
Ancora rintronato afferrò la maniglia e aprì. Non c’era nessuno.
Non quadrava. Non il fatto che non ci fosse nessuno ma che oltre quella porta non vi fosse il solito
pianerottolo coperto di mattonelle segnate dall’umidità che lo accoglieva ogni giorno, al suo posto vi era
invece una piccola stanza dalle pareti totalmente bianche, al suo interno, a ridosso delle pareti, erano
presenti delle sedie metalliche dall’aria estremamente scomoda.
Disorientato, Dave entrò e quasi nello stesso istante in cui varcò la soglia, un forte rimbombo lo fece
immediatamente voltare; la porta si era chiusa alle sue spalle. Rigiratosi sobbalzò nuovamente, quattro
figure erano ora sedute intorno a lui, una di loro era sua sorella.
«Ciao fratellone!» Era li sorridente come sempre, con i suoi lunghi capelli biondi a ricaderle sulle spalle
lasciate semi scoperte da una maglietta di colore verde che sovrastava i suoi soliti jeans sgualciti.
«Laura?» gli altri tre presenti avevano qualcosa di strano, per qualche motivo Dave non riusciva a osservarli
in volto, dalle spalle in su era come guardare la più sfocata delle fotografie.
«Come stai?»
Prese posto accanto a lei, sempre più sbigottito.
«Sai Dave, credo che sia per te»
La guardò ancora più confuso di prima «Dove siamo?»
«Oh io sono a casa, ma sto per andare via, comunque credo proprio che sia per te»
«Continuo a non capire» cercò nuovamente di osservare uno degli altri presenti, indossava dei pantaloni
strappati e una felpa di colore blu di quelle col cappuccio
«Oilgofatrop li immad e omlac iats »
«Cosa?» Dave si drizzò sulla sedia inarcando entrambe le sopracciglia, spostò poi lo sguardo sulle altre due
figure osservandole. Dalla corporatura sembravano due donne, una più piccola assorta nei propri pensieri,
con indosso una maglietta degli Smiths, l’altra invece, quella che portava un cardigan rosso, sembrava quasi
ricambiare lo sguardo « Otnat ossem iah ic iam emoc »
«Ignorali, non sono ancora importanti, tocca a me prima» Laura sollevò una mano mostrando un foglietto
di carta tenuto stretto. Sopra, scritto grande in rosso, c’era il numero quarantasette «Sei un fratello
meraviglioso sai? Ricordi quando da piccoli mi davi sempre il fiore di zucchero delle torte dicendo che non ti
piaceva? Ho sempre saputo che in realtà ne andavi matto e me lo davi per farmi contenta»
«Non ricordo di averti mai vista fare tanti complimenti però»
Laura rise e così anche lui.
«E ricordi quando tirai un sasso a Jimmy Wright e dicesti di essere stato tu per difendermi?»
«Laura dove vuoi arrivare? Cos’è questo posto?»
Una voce irruppe nella stanza come uscita da un altoparlante «Numero quarantasette »
«Ecco tocca a me, volevo solo salutarti fratellone, ti voglio bene » si alzò, chinandosi poi per baciare
teneramente la guancia del fratello. Lo fissò negli occhi con il sorriso sulle labbra «Dovresti rispondere è
per te»
Si svegliò sul divano di casa sua, il telefono stava squillando, era stato solo un sogno, uno strano, strano
sogno. Afferrò la cornetta e la portò all’orecchio
«Pronto? Ehi ciao papà»
*
“Macabra scoperta quella di questa mattina. Il cadavere mutilato di Laura Conrad una studentessa di
vent’anni, è stato rinvenuto nel suo appartamento dalla madre.”
Alan fissava il televisore immobile, un brivido lo attraversava salendo su per la schiena. Strinse il
telecomando con una forza tale da provare dolore.
«Papà? Che ci fai ancora alzato?»
Milly fece capolino da dietro la poltrona su cui Alan era seduto, i capelli sciolti e scompigliati, un bicchiere
d’acqua in mano.
Trasalì, riportato alla realtà «Non riuscivo a dormire, tu invece?» voleva bene a sua figlia,
indipendentemente dall’aria che tirasse in casa. Doveva stare fuori da tutta quella storia.
«Avevo sete»
“Il corpo della ragazza è stato rinvenuto in un lago di sangue, anche la polizia è rimasta sconcertata dalla
violenza mostrata dall’assassino”
«Ho sentito che frequentava la tua università. Era una delle tue studentesse? La conoscevi?»
«Eh? Ah si, Laura… lo era, ma non la conoscevo molto bene»
«È terribile, che razza di mostro può fare una cosa simile?»
«Un mostro, un vero mostro… torna a letto tesoro, domani ti devi alzare presto»
«Vero, dovresti seguire il tuo stesso consiglio papà» le diede il bacio della buonanotte riavviandosi i capelli
dietro le orecchie «Notte »
«Notte tesoro»
“Sconosciuto ancora il movente, non si esclude l’ipotesi del delitto passionale, ed ora ci colleghiamo con
Roy Bellings per le notizie sportive.”
Si comincia
VENERDÌ
«La ringraziamo per la sua disponibilità signor Conrad, vedrà ci vorrà solo qualche minuto»
«Se può aiutare sono a vostra disposizione, prego sedetevi e chiamatemi pure Dave»
Chiuse la porta, invitando con un cenno del braccio i due agenti ad accomodarsi, a fatica si sforzò di
sorridere. Il suo viso era segnato da due grandi occhiaie, molto probabilmente non era riuscito a chiudere
occhio la notte precedente.
«Vive da solo Dave?» Ben si tolse il cappello squadrando rapidamente l’appartamento, si strinse nelle spalle
per scrollarsi il freddo di dosso, non aveva un bel colorito. Entrò e si sedette insieme a Elisabeth sul
divano.
«Si, il mio appartamento è troppo piccolo per condividerlo con qualcuno, inoltre amo la tranquillità»
Dave prese posto su una poltrona vicino ai due poliziotti, era mattino ma l’appartamento era comunque
buio, da un po’ di giorni il mal tempo non dava tregua.
«Allora cominciamo se se la sente, qualsiasi cosa potrebbe tornarci utile »
Elisabeth estrasse dal taschino della giacca un taccuino e una matita. Era una donna indubbiamente
attraente, grandi occhi chiari, carnagione lattea, Ricci scuri a contornarle il viso e labbra carnose ma non
troppo. Al contrario di molte altre donne attraenti però, lei non si era mai accorta di esserlo. Era difficile
vederla con troppo trucco o vestita in un modo diverso dal completo: giacca, camicia e pantaloni, ma
anche quello era parte del suo fascino. Accavallò le gambe per poi usarle come sostegno per prendere
appunti.
«In che rapporti era con sua sorella?»
«Eravamo molto legati, stava qui da me prima, era un po’ troppo fuorimano però con l’università e inoltre,
in due qui non eravamo molto comodi »
«Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?»
«Ci sentivamo ogni due o tre giorni via telefono e la settimana scorsa sono andato a prenderla all’università
per pranzare insieme»
«Le era parsa diversa dal solito in quell’occasione?»
«No, no anzi, era un po’ stressata. Tra studio e lavoro non riusciva a fermarsi un attimo, inoltre nessuno
aveva ancora risposto al suo annuncio per una coinquilina»
«Aveva notato nulla di strano in questi giorni? Qualcuno che potesse avercela con lei magari»
«Ci dicevamo tutto di solito, me lo avrebbe detto» Dave sospirò chinando il capo «e poi chi potrebbe
provare tanta rabbia da fare quello che le hanno fatto?»
Elisabeth si morse appena il labbro inferiore, avrebbe voluto rispondergli ma semplicemente lei stessa non
riusciva a trovare le parole adatte, lei per prima non riusciva a darsi risposte. Fu Ben, tirando prima su col
naso a rompere il silenzio:
«Non è mai semplice capire cose del genere. Qualche settimana fa un uomo ha picchiato una donna in un
ascensore, senza nessun motivo apparente. Sono squinternati e Dio solo sa cosa scatti nella loro testa in
quel momento»
«Si, forse avete ragione, un pazzo, un violento e squilibrato pazzo, si deve essere così » Dave annuì a se
stesso come a cercare di autoconvincersi, ma nonostante le parole fossero di rassegnazione, non una
singola emozione sembrava palesarsi dal suo tono di voce.
Ben si schiarì la gola «Sei sicuro che non ci sia proprio nient’altro? Qualsiasi cosa»
«No, vorrei essere in grado di dirvi di più ma… »
«Per ora allora direi che basta così » Elisabeth sospirò profondamente, si aspettava urla, lacrime e l’intero
solito repertorio ma invece nulla. Ben le strappo il taccuino dalle mani scribacchiando qualcosa su uno dei
fogli bianchi, lo staccò e poi lo porse al ragazzo «In caso ti venisse in mente altro».
Il giovane fece strada sino alla porta, congedando i due agenti quasi meccanicamente, con la testa non
riusciva a essere molto presente, avrebbe davvero voluto capire perché, saperne di più. Davvero poteva
essere stato un qualcosa di assolutamente casuale? Un pazzo? Uno sconosciuto per sua sorella? Lei doveva
conoscere il suo assassino, purtroppo però non aveva mai dato nessun segnale al fratello, niente di niente,
Dave si sentì quasi tradito per quello.
Il cielo fuori era grigio, probabilmente entro poco avrebbe nuovamente piovuto
«Allora che ne pensi Margheritina?»
Elisabeth rimase in silenzio qualche istante arricciando le labbra prima di rispondere «Non saprei dire, c’è
chi mostra dolore, chi rassegnazione, chi odio, ma in questo caso… »
«Pensi sia stato lui?»
«No, ma credo che dovremmo tenerlo d’occhio, lo vedo più come qualcuno pronto a esplodere e fare
qualche cazzata»
«Vorresti dargli torto? Diamoci da fare piuttosto e oc…» si interruppe bruscamente starnutendo con
violenza, tanto da far indietreggiare la collega «…cupiamoci del resto»
«Tutto bene? Non hai una bella cera»
«Con questo tempaccio credo di essermi preso l’influenza, devo comprare dei fazzoletti sono quasi a secco»
«Tieni» Disse porgendogliene uno «io andrò a vedere se si sa qualcosa dell’autopsia»
«Grazie margheritina, io farò un giretto all’università, vediamo se tra studenti e professori riesco a ricavarci
qualcosa»
«Bene, se mi stai lontano non correrò il rischio di farmi contagiare da te»
*
Le lezioni erano finite da poco, tutti gli studenti avevano lasciato l’aula. Alan era ancora li però, intento a
ricontrollare i suoi appunti. Era un tipo meticoloso, preciso.
Il suo corpo era ancora un po’ indolenzito, ma a risentirne maggiormente era la sua testa. Il dolore per il
gesto compiuto, l’orrore e il rimorso per aver preso una vita, il disgusto per se stesso e per l’inspiegata
brutalità, erano tutte emozioni che erano state di gran lunga surclassate dalla paura di essere scoperto.
Al momento solo quello gli interessava, non gli importava nulla di Laura, anzi quasi provava rabbia verso di
lei, era a causa sua se ora lui rischiava tanto. Il lutto, i fiori, quel continuo sentire “Quella povera ragazza”,
sulle bocche di tutti, cominciava a trovarlo irritante, era lui in fondo la vittima.
Il pensiero di fare le valige e sparire continuava a ronzargli per la testa, ma quello non era certo il momento,
in futuro magari, ma non ora, se lui non avesse commesso errori, non lo avrebbero collegato a lei .
«Ehi Alan» Tom sbucò bussando sulla porta aperta per attrarre l’attenzione «Resta ancora cinque minuti,
c’è un poliziotto che vorrebbe parlarti» insegnava fisica da tanto quanto Alan insegnava lettere.
«Un poliziotto?»
«Si, sta facendo domande un po’ a tutti per l’indagine su quella ragazza, sbaglio o era anche una tua
allieva?»
«Si lo era. Va bene, grazie Tom»
«Di nulla, volevo solo avvertirti. Ci vediamo domani»
Alan posò la penna, non sarebbe più riuscito a concentrarsi. Aveva previsto che questo sarebbe potuto
accadere e si era anche preparato sul cosa dire e non dire, l’ansia tuttavia aveva preso a divorarlo
dall’interno ancora di più.
Respirò profondamente, sarebbe andato tutto bene, sapeva cosa fare.
«È permesso?»
Un uomo comparve sulla porta
«Prego, prego entri»
Il poliziotto si avviò sino alla cattedra, era piuttosto alto, robusto, intorno alla cinquantina, indossava un
lungo cappotto beige e dei pantaloni verde scuro, aveva i capelli corti e scuri o almeno, un tempo
dovevano esserlo stati .
«Sono l’ispettore Benjamin Reed della polizia, se ha due minuti vorrei farle un paio di domande»
Alan si alzò in piedi stringendogli la mano «Alan Williams piacere di conoscerla, prego si sieda»
Ben prese posto dall’altro lato della cattedra «So che sicuramente avrà molto da fare quindi non le ruberò
troppo tempo, immagino sappia già perché sono qui vero?»
«Laura Conrad immagino, quello che le è successo…» scosse la testa senza guardare l’ispettore negli occhi
«…ci ha scossi tutti quanti » era come recitare un copione, come essere un attore, il poliziotto non aveva un
bel colorito e inoltre respirava piuttosto rumorosamente.
«Laura frequentava le sue lezioni vero? Che tipo di ragazza era?»
«Non ho avuto modo di conoscerla molto bene, le lezioni sono cominciate da pochi mesi, sembrava tuttavia
sempre molto interessata, prendeva spesso appunti e dava l’idea di essersi integrata piuttosto bene, il che
non è sempre facile quando si è al primo anno»
«Capisco» Ben infilò una mano nella tasca del cappotto frugandoci dentro «Dannazione, mi son
dimenticato di comprare i fazzoletti»
Alan sorrise e tentando di fare buona impressione aprì velocemente uno dei cassetti, ne estrasse una
confezione ancora chiusa e la porse immediatamente all’ispettore «Tenga pure tutto il pacchetto, ne ho
sempre due con me, non si sa mai »
«Oh la ringrazio, troppo gentile, credo di essermi preso uno di quei virus che girano adesso» si soffiò il naso
dando momentaneamente le spalle al professore «A proposito d’integrarsi, non c’era nessuno che secondo
lei potesse avercela con Laura? Qualche ex fidanzato o ragazzo rifiutato magari »
«Non che io sappia, sinceramente cerco sempre di non interferire con la vita privata degli studenti, Laura
era… una ragazza brillante, mi chiedeva spesso approfondimenti sulle lezioni, ma non so altro di lei al di
fuori di queste mura. Mi spiace di non poterla aiutare di più»
«Beh dovevo provarci in fondo» L’ispettore si alzò in piedi, Alan non poté fare a meno di esultare
mentalmente, era fatta. «Oh ancora una cosa» o forse non ancora «Laura aveva un fratello, dice di essere
venuto a prenderla la scorsa settimana, Giovedì scorso se non sbaglio, per pranzare insieme, non è che per
caso le è capitato di vederlo vero?»
«È raro che esca per la pausa, di solito mi porto il pranzo e mangio rivedendo gli appunti, quindi non saprei
dirle, è importante?»
«No non importa, volevo solo sapere se una persona mi aveva detto qualche bugia»
Il professore cominciò a fremere e non riuscì a trattenersi, doveva sapere se la polizia era su una pista che
non riguardasse lui «Credete sia stato il fratello?»
«Noi non crediamo nulla finché non ci sono le prove» Ben allungò la mano per stringerla all’insegnante
«Grazie ancora per i fazzoletti »
«Di nulla, buona giornata» sorrise, non aveva ricevuto la risposta che voleva. L’agente scomparve oltre la
porta, per i corridoi, Alan tirò un breve sospiro di sollievo, ma la tensione cominciò a ripercorrerlo. Anche
avessero sospettato del fratello di Laura, presto o tardi lo avrebbero scagionato grazie alla mancanza di
prove e allora il campo avrebbe preso a stringersi intorno a lui, tutto ciò che poteva fare era sperare di non
aver trascurato nessun dettaglio e pregare che nessuno arrivasse a sospettare di lui .
*
«Buongiorno detective»
Elisabeth oltrepassò le doppie porte della sala, «Buongiorno dottore» alle spalle del medico legale, sul
tavolo settorio era presente il corpo di Laura «Ci sono novità?» aveva evitato di mangiare per l’occasione,
ma nonostante si fosse preparata mentalmente, il suo stomaco cominciò a muoversi.
«Qualcuna, venga che le mostro. Tenga, indossi questa » Il dottore le porse una maschera monouso,
facendole poi cenno di seguirlo «Lo ammetto, anche dopo l’esame autoptico mi riesce difficile credere che
si sia trattato di un uomo ma… »
«A quanto pare lo è vero?» si infilò la mascherina, ma nonostante quella l’odore che permeava fortemente
l’aria continuava a darle la nausea.
«Se lo vogliamo chiamare così… comunque tanto per cominciare, la morte risale tra le tre del pomeriggio e
le sette di sera di Martedì, è difficile essere più precisi»
«Coincide con quanto dichiarato dalla madre, pare fossero due giorni che non ricevesse notizie dalla figlia »
«La vittima presenta abrasioni all’altezza dei polsi…»
«È stata legata?»
«No, non sono abrasioni da corda, è stata tenuta stretta per i polsi molto più probabilmente. Anche se devo
dire con una forza fuori dal comune »
Elisabeth ripensò a come Laura era stata trovata, nuda su un letto «È stata violentata?»
«Ha sicuramente avuto un rapporto sessuale, ma escluderei la violenza carnale, sembra essere stato
consenziente e soprattutto antecedente all’aggressione»
«Quindi l’assassino ha avuto un rapporto sessuale con la vittima che è poi degenerato in… questo, ma cosa
potrebbe mai portare a tanto? »
«Oh ma il bello arriva ora, non è stata usata nessuna arma per fare tutto questo, tutte le ferite sono state
opera di unghie, denti e una straordinaria e brutale forza fisica, guardi qui» Il dottore indicò la guancia di
Laura, un’abbondante porzione di pelle era mancante «Questo è un morso, la carne è stata letteralmente
strappata via con i denti, ma non è finita: la causa del decesso è dissanguamento, dovuto a questo» indicò
poi la gola della ragazza, la parte frontale era totalmente priva di pelle. Elisabeth non poté fare a meno di
chiudersi in una smorfia disgustata sotto la mascherina «Anche quello è un morso?»
«Senza alcun dubbio»
«Gesù Cristo, sembra sia stata sbranata da un lupo idrofobo»
«Forse avrebbe sofferto di meno, vede questa ferita sul seno? Parte come una lacerazione e continua qui
fino al ventre ma… qui cambia, è come se l’avessero aperta fino a creare un buco abbastanza grande da
infilarci le mani e successivamente, il foro sia stato allargato a forza »
«È… disumano»
«Questa e svariate altre ferite sono post mortem, la vittima ha tentato di difendersi ma non ha potuto fare
nulla»
«Quindi ricapitolando: qualcuno ha fatto sesso con Laura, poi per qualche motivo ha dato di matto e le si è
avventato con le unghie e con i denti addosso, continuando anche dopo che lei aveva ormai smesso di
lottare»
«Non ho mai visto nulla di simile detective»
«Nemmeno io dottore , nemmeno io»
SABATO
Nemmeno nel fine settimana il tempo sembrava voler dare tregua. La città era spazzata da forti raffiche di
vento e pioggia.
“Vai a prendere il latte? è finito”
E Ashley sembrava volerne approfittare per rendere la vita difficile al marito. Erano mesi e mesi che si era
ormai convinta che Alan la tradisse, a nulla erano valse le sue scuse, i suoi tentativi di rassicurarla. Quasi
non si parlavano più e quando poteva, lei, trovava ogni modo possibile e immaginabile per prendersi le sue
piccole rivincite, per sottolineare che non gli credeva e che i giorni da coppietta felice erano finiti nel
momento in cui le aveva dato modo di pensare che avesse un’altra. Mandare il marito a comprare il latte
sotto la pioggia era uno di quei metodi.
Alla fine Alan, la moglie l’aveva tradita sul serio, esasperato. Non avrebbe mai divorziato, Milly sua figlia era
la cosa più importante, doveva sopportare il più possibile per lei. Laura era stata una ventata d’aria fresca,
così dolce, così interessata a lui, lo aveva fatto sentire lusingato, ancora appetibile, l’aveva amata in un
certo senso per quello che gli aveva fatto provare e ora, la odiava per quello che stava passando.
L’ombrello a stento sembrava reggere alle continue sferzate di vento, c’era poca gente in giro e anche al
supermercato la situazione non era stata diversa . Era entrato, aveva preso il latte ed era andato a pagare
senza dover fare code, per poi tornare sotto l’acqua, di ritorno a casa.
«Ehi amico hai qualche spicciolo?»
Un ragazzo si riparava a stento dalla pioggia sfruttando il cappuccio della sua felpa blu. Alan gli passò
accanto scuotendo il capo, senza prestargli particolare attenzione.
«Ehi dammi qualcosa!» lo sconosciuto lo afferrò per un braccio e lo trattenne prima che potesse passare
oltre
«Ehi che fai?»
Il ragazzo lo trascinò con violenza in un vicolo alle sue spalle «Stai calmo e dammi il portafoglio» estrasse
dalla tasca della felpa un coltello a molla che aprì facendolo scattare con un sonoro “clack”
Anche questo?
Pensò. Non bastava quello che aveva dovuto subire continuamente in quei giorni, adesso doveva trovarsi
ad aver a che fare anche con un teppistello? Le sue mani cominciarono a tremare più per il nervoso che
per la paura, una strana sensazione di freddo lo pervase.
«Allora mi hai sentito? Fuori i soldi»
Il tremore andava aumentando, coinvolgendo persino la mascella in un ritmico su e giù dei denti. La sentiva
era di nuovo li, pronta a esplodere qualunque cosa fosse, non riusciva più a trattenersi, era qualcosa di…
giusto.
Prima che se ne rendesse conto si ritrovò in fondo al vicolo, a terra, sopra al delinquente.
«Ehi fermati! lasciami!» Il teppista tentò di accoltellarlo ma Alan era più forte, più veloce. Gli bloccò il
braccio con una velocità che non credeva possibile. In preda alla furia si gettò con i denti sul pollice serrato
intorno al coltello e morse, morse fino a staccarglielo sputandolo poi lontano. Il ragazzo cercò di urlare ma
lo shock e il dolore erano tali che la voce gli si strozzò in gola. Il professore lo afferrò all’altezza del mento,
la mano infilata parzialmente in bocca, con l’unico dito lasciato fuori premette così forte da trapassare la
carne, facendolo sbucare sotto la lingua. Fece presa intorno all’osso, diede poi un poderoso strattone e gli
staccò la mascella di netto.
Doveva annientarlo, doveva colpirlo, doveva dilaniarlo. Il ragazzo era immobile ma non bastava, non era
abbastanza. Afferrò il coltello con cui poco prima era stato minacciato e tenendolo con entrambe le mani
colpì il teppista una volta, due, tre, quattro… continuò finché non sentì le ossa del torace frantumarsi sotto
di lui.
Poco alla volta, in preda all’affanno, ritornò in se, le mani ancora tremanti, era durato tutto pochi secondi.
Da dietro un cassonetto si mosse qualcosa.
Alan si guardò intorno, l’acqua trasportava il sangue lontano finendo giù per un tombino, la sua camicia e il
suo cappotto erano sporchi, l’ombrello era appena più indietro di lui, accanto vi era il sacchetto con il latte,
doveva averli lasciati cadere prima che tutto degenerasse.
Cosa mi sta succedendo?
Ancora una volta non capiva; perché gli prendevano questi attacchi? Aveva perso il senno o che altro?
Osservò il cadavere senza provare pietà per lui, ne orrore.
Lurido bastardo, te lo meritavi
Si alzò in piedi, i capelli totalmente zuppi e gli occhiali tra pioggia e sangue non gli offrivano più grande
visibilità. Questa volta non riusciva ad essere nauseato, gli era piaciuto quello che aveva fatto, si era sentito
libero, probabilmente se lui non l’avesse fermato, quel tizio avrebbe piantato un coltello nello stomaco a
qualcun altro. Aveva fatto bene, si nella sua testa Alan si sentiva quasi un eroe. Quanto gli era piaciuto
colpirlo, vedere il sangue sprizzare da lui, sentire le ossa rompersi sotto la sua forza. Si la sua forza, dove
aveva preso tutta quell’energia? Non riusciva a spiegarselo e se fino a poco prima era stato carico come
mai in vita sua, adesso si sentiva fisicamente uno straccio, i muscoli gli dolevano e una profonda stanchezza
lo attanagliava. Sebbene fosse lucido, la sua testa non era ancora tornata veramente alla realtà, troppo
impegnata a riassaporare mentalmente ogni scena appena accaduta, andò a raccogliere l’ombrello e il
sacchetto quasi meccanicamente.
Qualcosa si mosse ancora da dietro un cassonetto, da un mucchio di scatoloni bagnati emerse un barbone
zuppo e logoro «Ehi ma che succede cosa è questo chiasso?»
Il suono della voce del senzatetto riportò finalmente Alan totalmente in se, osservò nuovamente il cadavere
questa volta con un espressione sul viso ben più ansiosa.
«Ehi tu!»
Gli occhi dello straccione e quelli di Alan si incrociarono per un istante, il primo poi li fissò sul corpo a terra
«Ehi! che cosa gli hai fatto?»
Non deve vedermi
Preso dal panico, il professore abbassò l’ombrello coprendosi il viso. Corse via, in fondo al vicolo svoltando
a destra fino a un’altra strada principale, doveva sparire non doveva farsi trovare sulla scena, doveva
muoversi altrimenti tutto quello fatto sino ad ora non sarebbe servito a nulla.
Le urla del barbone diventavano via via meno chiare man mano che si allontanava, faceva fatica a
camminare, tutti i muscoli sembravano come trafitti da migliaia di lame.
Cominciò a razionalizzare veramente cosa fosse successo.
Per ben due volte era accaduto e per ben due volte c’erano state vittime, cominciò a pensare come stesse
diventando forse troppo pericoloso, che non poteva continuare così, doveva sparire, doveva dileguarsi, ma
una parte di lui pensava anche che forse consegnarsi sarebbe stata la cosa più giusta, dietro le sbarre non
avrebbe fatto male a nessuno. Durò però solo un attimo, al diavolo la polizia, le aveva appena fatto un
favore e che lo avessero etichettato o meno come assassino non aveva importanza, doveva pensare
solamente a se stesso.
Poco dopo, ormai arrivato davanti alla porta di casa, capì di aver fatto un errore, no non era l’essersi
scatenato contro quel teppista, non era stata colpa sua, era semplicemente successo.
Il suo sbaglio era stato l’essere fuggito, sarebbe dovuto rimanere li e far sparire anche il senzatetto.
*
Erano due giorni che Dave non faceva altro che trascinarsi per casa, come prevedibile il telefono aveva
squillato spesso e lui si era rifiutato di rispondere, lasciando quell’onore alla segreteria telefonica.
La signora Whitey era passata in mattinata con un dolce, preparato appositamente per lui, l’aveva
ringraziata e poi dopo lunghi silenzi e frasi di routine, l’aveva salutata.
Aveva tentato in quei giorni di trovare delle risposte, ma non ci era riuscito.
Chi mai avrebbe potuto fare del male a Laura? E perché?
Avrebbe voluto avere l’assassino davanti per domandarglielo e poi spappolargli il cervello con una chiave
inglese, ma purtroppo chi e dove, erano domande ancora senza risposta.
Si sollevò dal divano a fatica, come se non si fosse alzato da giorni, il che non era del tutto falso .
Fissò a lungo Alfred il suo pesce rosso, lui di certo Laura non la ricordava.
«Sei sicuro che non soffra la solitudine?»
Era da poco che Laura era andata a stare da suo fratello, si trattava di una situazione temporanea, giusto il
tempo di trovare un appartamento più vicino all’università.
«È un pesce rosso Laura, non sono famosi per la memoria o per l’incredibile affetto sai?»
Dave rispose dalla camera da letto, aveva ceduto la sua stanza alla sorella, ed ora era intento a farle un po’
di spazio nell’armadio.
«Anche lui proverà dei sentimenti, no?»
Laura era china di fronte alla boccia di Alfred, lo osservava incuriosita e mentre si chiedeva come sarebbe
stato vivere come un pesce rosso si impegnava ad alternare una vasta serie di boccacce per scaturire nel
pesciolino una qualche reazione «Posso mettere un po’ di musica?»
Dave uscì dalla camera da letto massaggiandosi la schiena, dormire sul divano non gli aveva per nulla
giovato «Fai pure»
La sorella si avvicinò al giradischi, passando in rassegna la collezione di vinili del fratello «Smiths, Traffic,
Stooges, New Order, Funkadelic , chi è tutta questa gente?»
Lui scosse la testa da una parte all’altra, rassegnato. Si avvicinò a lei curiosando
«Oh King Crimson questi li conosco!»
«Sai a volte mi domando se siamo realmente fratello e sorella»
Laura lo guardò con la sua classica faccia da schiaffi e l’espressione innocente «Lo sai che ti voglio bene,
vero?»
Dave alzò gli occhi al cielo, prese un disco e glielo porse «Ecco metti questo»
«Summer Breeze, Seals & Croft» Stette qualche attimo contemplandolo senza aprir bocca «è robaccia? »
«Fa silenzio e mettilo»
Eseguì.
Il disco prese a girare e i primi accordi di chitarra riecheggiarono per la stanza con quel suono ovattato che
hanno le vecchie canzoni.
«Jim Seals e Dash Crofts, questa è la loro canzone più famosa, riuscii a trovare questo disco in un mercatino
di robe usate»
Laura restò in silenzio a percepire ogni nota della canzone, fissando la copertina del vinile raffigurante il
ritratto di Jim e Dash su sfondo bianco. Cominciò la parte vocale e sorrise con sguardo sognante.
“Summer breeze, makes me feel fine, blowing through the jasmine in my mind”
« Mi piace»
«Bene perché se non ti fosse piaciuta a quest’ora ti avrei sbattuta fuori di casa»
Laura spinse il fratello per gioco.
Stette con Dave per circa tre settimane, fino al momento in cui trovò un appartamento spazioso e a poco
prezzo molto vicino all’università. Dopo una settimana cominciò a cercare una coinquilina per
ammortizzare le spese e l’affitto, nel frattempo riuscì a farsi assumere come cameriera nei week end alla
tavola calda sotto casa. Poco più di un mese dopo, lei era diventata un ricordo, proprio come la brezza
estiva in quei giorni.
*
«Novità margheritina?» Ben era seduto dietro la sua scrivania circondato da fogli e fazzoletti di carta usati.
Elisabeth appena arrivata, aveva preso posto di fronte a lui con aria stravolta. «C’erano delle impronte
nell’appartamento, impronte presenti anche sul corpo di Laura, secondo la scientifica poi abbiamo anche
delle tracce di DNA non appartenenti alla vittima»
L’ispettore annuì soffiandosi il naso rumorosamente « Scommetto che nulla di tutto questo è presente nei
nostri archivi, vero?»
«Indovinato, tu come stai Ben?»
«Sono stanco Elisabeth» Reed si allungò lungo lo schienale della sedia, sbuffò. L’influenza non gli dava
tregua e seguire un caso d’omicidio rendeva il tutto ancora più snervante «Facciamo il punto della
situazione, cosa abbiamo?»
«Per cominciare Laura conosceva il suo assassino, ormai è chiaro, non può essere altrimenti. La porta era
chiusa, la vittima era nuda sul letto e aveva da poco avuto un rapporto sessuale »
«Direi che si conoscevano anche più che bene»
«Sappiamo che non è stato un parente almeno»
«Sicura margheritina? Esistono anche gli incesti, tuttavia… qualcosa non quadra; per compiere un massacro
simile il nostro “Mister X” deve essersi imbrattato per bene e non mi risulta che ci siano state segnalazioni
riguardanti un uomo coperto di sangue intento a fare un giro turistico della città»
«Laura aveva fatto sesso poco prima di essere massacrata, un rapporto consenziente pare, se lei era ancora
nuda quando è stata uccisa, probabilmente lo era anche il nostro uomo, quindi potrebbe non aver
imbrattato gli abiti semplicemente perché non li aveva addosso»
«E dopo avrebbe avuto tutto il tempo di ripulirsi e sparire chissà dove »
«C’erano impronte anche in bagno, quindi si è possibile»
L’ispettore prese un ultimo fazzoletto dal pacchetto ormai vuoto, buttando poi il tutto nel cestino «Che mi
dici del telefono? »
«Già controllato e oltre a famigliari o amiche non c’è altro, tutta gente già interrogata e da cui non è
emerso nulla»
«Abbiamo le impronte, abbiamo il DNA ma non abbiamo la più pallida idea di chi sia, bella roba »
«Credo che dovremmo prepararci a prendere la strada più lunga, a meno che non ci siano altri sviluppi»
«Convocare uno per uno i famigliari, i colleghi e metà università per il confronto delle impronte?» una
risata di rassegnazione e subito dopo un telefono che squilla.
«Qui ispettore Reed »
Seguirono attimi di silenzio e poi Ben riagganciò senza fiatare. Elisabeth inarcò le sopracciglia in attesa di
una spiegazione.
«Allora? Chi era?»
«Altri sviluppi.»
*
Alan aprì la porta di casa ancora agitato.
«Come mai ci hai messo tanto?» Sbraitò sua moglie dalla cucina.
«C’era gente al supermercato» il corpo gli doleva, i vestiti erano zuppi di pioggia e sangue ma niente gli
interessava in quel momento se non sapere se qualcuno lo avesse seguito.
«A quest’ora? Mi stai forse nascondendo qualcosa?» Anche così, struccata, con pantaloni presi da una tuta,
pantofole e cardigan, Ashley restava una donna molto attraente che portava in modo invidiabile la sua età.
Occhi azzurri, lunghi capelli biondi, forme generose ma non volgari, molti anni prima erano state proprio
queste qualità ad attirare Alan, che col tempo aveva imparato a conoscerla e ad amarla. Purtroppo però gli
anni cambiano le persone e quella ragazza timida e insicura, era diventata una donna frustrata e paranoica.
«Rispondimi.» Uscì dalla cucina e sorprese il marito a cercare di intrufolarsi in camera da letto «Cosa hai
fatto?» Sobbalzò nel vederlo sporco di sangue.
«Nulla che ti riguardi» le parole scivolarono fuori dalla bocca di Alan con tono seccato, non pensava di dirle
ma i nervi erano al culmine. Se avessero interrogato quel barbone? Se qualcun altro lo avesse visto? I
pensieri diventavano sempre più insistenti, martellanti. Non avrebbe sopportato altre domande.
«Come scusa?» fece un respiro profondo per tentare di tenere sotto controllo la crescente irritazione «Sei
ferito? Ti hanno aggredito?»
«Ho detto che non sono affari tuoi.» Il dolore, lo stress, la stanchezza, senza nemmeno rendersene conto
rispose alzando sempre più la voce. Il corpo riprese a vibrare come poco prima nel vicolo, il suo cuore
aumentò di velocità pompando il sangue con sempre più insistenza andando a colorirgli il volto.
«Dici che non mi nascondi nulla, arrivi a casa coperto di sangue e non mi vuoi nemmeno dare spiegazioni ?»
Fu un attimo, solamente una frazione di secondo, Alan piombò addosso a sua moglie con tutta la forza che
di cui era in grado in quel momento. La travolse facendo ribaltare il tavolino in soggiorno su cui vi era il
telefono. Ashley lanciò un unico urlo prima che lui le serrasse una mano intorno alla gola, premette forte
dilaniandole le carni con le unghie, il sangue si riversò sul tappeto e sui vestiti. L’insegnante afferrò poi la
cornetta del telefono finita poco prima in terra, e la usò come arma per colpire il cranio della sua consorte.
Si fermò solamente quando della materia cerebrale gli macchio il volto.
La porta della camera di Milly si aprì lentamente «Mamma? Papà? Che succede?»
Suo padre si voltò digrignando i denti, come un animale che ha percepito il pericolo.
No lei no, per favore
Scattò verso di lei
Tutto ma non lei
Milly urlò «Papà no!»
Sentì qualcosa rompersi dentro di se, ma lo percepì andare totalmente in frantumi solamente quando un
brivido di piacere gli corse lungo la schiena, nel sentire il sapore del sangue di sua figlia in bocca.
DOMENICA
«Tieni ti ho fatto un Tè»
«Grazie tesoro» Ben abitava in una di quelle case con giardino in periferia, insieme a sua moglie.
«Non dovresti riposare un po’?» Lucy era una donna amorevole e premurosa, che dopo quasi trent’anni di
matrimonio manifestava tutto l’amore possibile per suo marito. Aveva sofferto a causa della sua sterilità,
nulla l’avrebbe resa più felice di poter donare lui un figlio, ma evidentemente il destino aveva avuto altri
piani per loro.
«Dovresti conoscermi, mi hai sposato » Benjamin aveva riempito il tavolino del soggiorno con
un’accozzaglia di fogli, documenti, appunti e macabre foto di cadaveri delle recenti vittime d’omicidio.
Lucy sospirò rassegnata «E va bene, ti lascio lavorare, cerca di non stancarti però, io comincio a preparare la
cena»
«Grazie tesoro» Mal di gola, febbre, naso chiuso, capogiri e debolezza non lo avrebbero fermato.
Dunque dunque, il barbone presente sul luogo del secondo delitto ha detto di aver visto un uomo intorno
alla quarantina, con occhiali e ombrello, con questo dovremmo escludere totalmente l’ipotesi del fratello di
Laura, il ragazzo è troppo giovane, sempre se vogliamo dare credito al barbone, probabilmente era ubriaco.
Afferrò una delle foto del secondo cadavere riposandola poi con aria disgustata dopo averla osservata per
qualche minuto.
Possiamo anche escludere gli studenti e ogni donna interrogata. Resta qualche famigliare, i professori, il
proprietario della tavola calda e qualche altro tizio.
Dunque, il nostro uomo ha colpito per la seconda volta in quel vicolo e a parte il senzatetto non sembra che
ci siano stati altri testimoni; un tizio che corre per la città coperto di sangue, aveva il cattivo tempo dalla sua
è vero ma qualcuno lo avrebbe comunque dovuto notare… no deve essere sparito alla svelta. Potrebbe aver
raggiunto un’auto ed essersi dileguato, oppure… si è subito spostato al chiuso.
Raccolse un nuovo foglio dai vari sparpagliati sul tavolo, questa era una piccola mappa della città con
riportati i luoghi dei due delitti.
Il secondo omicidio è avvenuto molto vicino a quello di Laura, ed entrambi sono vicini all’università, fammi
controllare una cosa…
Allungò una mano sul tavolo, afferrando l’elenco dei nominativi delle persone interrogate nella struttura,
cominciò a passare in rassegna insegnanti e personale maschile sopra i trent’anni. Tenne d’occhio in
particolare gli indirizzi, osservando dove fossero situati rispetto ai due delitti.
Questo no, questo nemmeno… ma guarda un po’ chi abita da quelle parti!
Un piccolo sorriso di soddisfazione gli comparve sul volto.
Signor Williams lei si è guadagnato un posto d’onore tra i sospettati, anche se non abbiamo praticamente
nulla su di lei.
Posò nuovamente i fogli sul tavolo, allungando poi la mano verso la scatola di Clinex
No un momento…
L’ispettore si alzò di scatto correndo al telefono, si portò la cornetta all’orecchio e subito compose
velocemente il numero.
Fa che ci sia ancora ti prego, fa che ci sia ancora…
«Qui Pearson»
«Pearson muovi il culo e vai alla mia scrivania»
«Buongiorno anche a lei ispettore»
«Muoviti»
«Ok ok, cosa devo cercare?»
«Il cestino.»
«Eh?»
«Il cestino, controlla il cestino, non l’hanno già svuotato vero?»
«Ben è Domenica, lo sai che nessuno passa a svuotare i cestini di Domenica, ma non dovresti essere a
letto?»
«Si si dopo, svuota il cestino e cerca un pacchetto di fazzoletti vuoto, mi raccomando raccoglilo con una
penna o insomma… Non toccarlo!»
«Va bene dammi un minuto»
Ti prego dimmi che ci sei ancora
«Ok l’ho trovato, ora che ci faccio?»
Si!
«Portalo a quelli della scientifica, dovrebbero esserci delle impronte sopra oltre alle mie, fagliele
confrontare con quelle rinvenute sui due cadaveri»
«Cosa? Vuoi dire che questo coso viene dal nostro killer?»
«Forse, aspetto una tua telefonata e… Pearson? »
«Si?»
«Fai in fretta»
*
«E anche oggi è andata» Elisabeth salì in macchina e la mise in moto. Il suo turno era finalmente finito, il
ritrovamento di un nuovo corpo aveva fatto fare a lei e a molta altra gente gli straordinari. Non vedeva l’ora
di tornare a casa e farsi una lunga dormita.
Qualche giorno prima, quando lei e Ben erano andati a interrogare Dave Conrad, si era resa conto di come
già conoscesse quella zona e ci passasse praticamente ogni giorno, quel tizio abitava a metà strada tra la
centrale e casa sua. Guidò per diversi minuti e quando si ritrovò nuovamente da quelle parti non poté fare
a meno di notare che la luce del suo appartamento fosse accesa. Dave doveva essere in casa.
Non era lui l’assassino, ne era convinta, ma sentiva comunque di doverlo tenere d’occhio, la notizia del
secondo omicidio era già stata urlata a gran voce da tutti i telegiornali, non ci avrebbe messo molto
nemmeno lui a collegare i due delitti. Gli effetti del vedere il killer di sua sorella colpire ancora, su di lui
restavano un’incognita.
Parcheggiò l’auto ed entrò nel condominio, arrivata al quarto piano si fermò di fronte alla porta con il
cartellino “Conrad” e suonò il campanello.
«Chi è?»
«Sono il detective Gifford »
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi la porta si aprì
«Salve Detective»
«Salve Dave, passavo da queste parti e ho pensato di fermarmi per chiederle come stava»
«Potrei stare meglio» fece un sorriso appena accennato e poi sollevò le spalle «ho visto i telegiornali…»
«Suppongo che lei non conoscesse la seconda vittima vero?»
«No, è vero dunque, si tratta dello stesso assassino di Laura?»
«Si, pensiamo di si»
«Vuole entrare qualche minuto?»
«No grazie, ma lei dovrebbe uscire un po’, non le fa bene stare chiuso in casa da solo in questi giorni, i
pensieri finiscono con l’accumularsi e…»
«Si forse dovrei, ma non sopporto le frasi di ricorrenza, con tutta quella gente che cambia atteggiamento
verso di te perché “è un brutto periodo”, preferisco stare solo»
«Capisco, che ne dice allora di una birra con una sconosciuta?» sorrise come la più classica delle ragazze
della porta accanto. Dave rimase in silenzio chiudendosi in una smorfia, stava per dire di no, ma quella
giornata era stata emotivamente pesante, il mattino finalmente avevano avuto luogo i funerali di Laura,
forse, una boccata d’aria gli avrebbe fatto bene. «Perché no, prendo il cappotto»
La condusse sino al Mc Gees , un luogo tranquillo e poco affollato era l’ideale. Si sedettero al bancone
ordinando entrambi una birra.
«Allora Detective»
«Chiamami Elisabeth per favore »
«Va bene, Elisabeth, ci sono novità sull’indagine?»
«Non molte, il ragazzo trovato nel vicolo sembra non avere nessun legame con Laura, a parte il fatto che…
sia stato massacrato. Sto quasi per cominciare a valutare l’ipotesi del lupo mannaro, lo stato in cui era il
corpo... » Scosse la testa portando poi una mano alla fronte a sostenere il capo, non aveva visto dal vivo il
secondo cadavere ma le foto e il rapporto degli agenti che erano finiti sul posto le erano bastati.
Dave diede una lunga sorsata dal suo boccale «Un licantropo avrebbe senso… o magari un Berserker»
«Un che?»
«Leggende Scandinave, si diceva che fossero in grado di entrare in una vera e propria trance in cui
mostravano doti di combattimento sovraumane e una ferocia tale che li portava a colpirsi anche tra di loro,
comportandosi più come bestie che come uomini.»
«Tu non hai molti amici vero?»
Sorrise tenendo lo sguardo basso, non era di certo la prima volta che qualcuno glielo diceva.
«Ma per quanto mi riguarda potrebbe essere stato anche un mutante scappato da qualche laboratorio, è
molto più facile però che si tratti di un uomo molto malato»
«I telegiornali parlavano di un testimone»
«Si, non che sia stato di grande aiuto… “Un uomo di almeno quarant’anni con un ombrello, un paio di
occhiali e i capelli corti” uno qualunque, inoltre il testimone è un senzatetto che quella sera aveva bevuto
parecchio, non so quanto lo si possa prendere sul serio, ha passato metà del tempo a chiamare l’agente che
lo ha interrogato Jack»
«Quale era il suo vero nome?»
«Alice»
«Oh capisco» Risero entrambi e poi seguì un lungo silenzio, il locale come al solito era semideserto con la
maggior parte dei tavoli vuoti. Will il barista, passava buona parte del tempo su uno sgabello con gli occhi
puntati sulla tv.
«Ti va di parlarmi di Laura? Che tipo era?»
«Una rompiscatole, oltre che una combina guai »
«Le eri molto attaccato vero?»
«Siamo cresciuti in un paesino di campagna, lei era la più piccola e i nostri genitori mi obbligavano a badare
a lei ventiquattro ore su ventiquattro, abbiamo passato quasi tutta l’infanzia a litigare e poi crescendo, siam
diventati inseparabili»
«Anche io sono nata in campagna, avevo tre fratelli e una sorella più grande »
«Caspita, famiglia numerosa»
«Oh si, io non mi staccavo un attimo da loro, mia sorella invece era quella carina che si contendono i ragazzi
a scuola»
«Laura era una di quelle ragazze dolci, che ti ripetono di continuo che ti vogliono bene. Impulsiva, emotiva,
prima agiva e dopo pensava, mi domando in che razza di guaio si fosse cacciata»
Il telefono di Elisabeth squillò dal taschino della sua giacca, lei sbuffò posando il boccale «Pronto? Ehilà
Ben… Cosa? Dammi un attimo, arrivo» Chiuse la comunicazione scattando in piedi «Scusami Dave ma devo
andare »
«Che succede? Ci sono novità?»
«Forse, ne riparleremo» Pagò al bancone e poi si diresse di fretta verso l’uscita quasi scontrandosi con un
cliente appena entrato «Mi scusi» Oltrepassò la soglia e salita in macchina partì a tutta velocità.
*
Due agenti erano all’ingresso mentre Elisabeth, l’ispettore Reed e altri due poliziotti attraversarono il
corridoio al terzo piano alla ricerca dell’interno 13. La scientifica era stata fulminea nel confrontare le
impronte, non c’era dubbio, Alan Williams era l’assassino. Con l’arrivo delle prove non aveva tardato
nemmeno a saltare fuori il mandato d’arresto, anche se diversi dei poliziotti presenti, fremevano dal
piantare un proiettile nel cranio di quel bastardo.
Nemmeno la febbre e l’influenza erano serviti a fermare Ben «Ok ci siamo, pronti?»
Elisabeth e i due agenti annuirono, l’ispettore batté forte sulla porta di legno per tre volte «Alan Williams
apra la porta, polizia».
Nessuna risposta.
«Apra la porta o saremo costretti a entrare con la forza»
Il tono alto della voce rimbombava nello stretto corridoio, dando quasi l’impressione che ci fosse l’eco.
Dall’interno dell’appartamento non si avvertì il benché minimo movimento. Nessun suono, vocio o rumore
di passi, il nulla.
Ben incrociò lo sguardo della sua margheritina, contraendo il viso in una smorfia di disapprovazione.
Estrasse la pistola dalla fondina nascosta sotto il cappotto «Avanti, procedete»
Elisabeth si fece da parte facendo passare i due agenti. Senza che ci fosse bisogno di dirlo mise anche lei
mano all’arma. La porta doveva essere vecchia, non ci mise molto a cedere a suon di spallate.
Entrarono nell’appartamento con occhio attento ad ogni lato, non sembrava esserci nessuno.
«Cavolo ce l’ha fatta!» Inveì il detective.
L’ispettore cominciò a squadrare il posto metro per metro, subito la sua attenzione fu attratta da una
grossa macchia rossa sul tappeto che spuntava da dietro il divano, si sporse per vedere che cosa gli fosse
celato alla vista e quando il campo gli fu libero trasalì.
«Gesù» Elisabeth si voltò portandosi le dita all’attaccatura del naso e chiudendo gli occhi. Non ne poteva
più di trovare persone in quello stato.
Sul tappeto era presente il corpo di una donna in una pozza di sangue, il cranio fracassato, poco distante
vi era quello di una ragazzina o almeno sembrava esserlo. Le mancava un orecchio e metà del volto era
pressoché irriconoscibile. La scritta Smiths sulla sua maglietta non era quasi più visibile, ormai coperta dal
sangue.
«Tutto bene Elisabeth?»
«No non sto bene! Come si fa a fare una cosa simile alla propria famiglia?»
Ben stette in silenzio. Anche se non era stato lui a dirle, quelle parole rispecchiavano totalmente il suo
pensiero.
«E quel bastardo chissà dov’è a quest’ora»
«Oh non preoccuparti di questo, ero preparato alla possibilità di non trovarlo» Il cellulare dell’ispettore
prese a squillare, sul suo volto comparì uno strano e compiaciuto sorriso «Ecco, appunto.»
*
Alan era a pezzi, non aveva chiuso occhio quella notte, era rimasto a lungo seduto per terra, accanto ai
corpi che aveva straziato lui stesso, poi qualche ora dopo l’alba, aveva deciso di darsi una ripulita, prendere
dei vestiti puliti e di uscire, rimase tutto il giorno fuori. Ogni muscolo del suo corpo gli doleva ma non
poteva restare ulteriormente in casa.
La polizia lo stava cercando? Non lo sapeva e nemmeno gli interessava più. Si sentiva vuoto e diverso, aveva
massacrato la sua famiglia lui compreso. Non era più Alan Williams, non sapeva cosa fosse ora ma quel
professore di lettere che soffriva di attacchi d’ansia, che litigava continuamente con la moglie e che
aggiungeva sempre qualcosa in più alla paghetta della figlia, era ormai morto. Non era riuscito a versare
una sola lacrima per la sua famiglia. Il pensiero della polizia, ovvero la sua paura costante nei giorni
precedenti, non aveva su di lui il benché minimo effetto. Aveva passato la giornata a riflettere e
camminare, aveva mangiato in un fast food, aveva camminato per il parco e ora giunta la sera continuava a
muoversi per le strade della città.
Si fermò di fronte a un pub semideserto, il dolore agli arti non gli dava pace, sedersi qualche minuto gli
avrebbe fatto bene.
Entrò e una donna gli piombò addosso uscendo di fretta e furia, senza guardare
«Mi scusi!» Gli disse senza fermarsi, correndo verso l’esterno del locale.
Il posto era vuoto, poco illuminato, ben pochi clienti. Avanzò sedendosi poi al bancone.
«Cosa le porto?»
«Uno Scotch liscio grazie »
Il barista lo servì senza degnarlo di troppe attenzioni, al contrario della tv, stavano trasmettendo la prima
puntata della nuova edizione del Grande Fratello.
Alan bevve, assorto nei suoi pensieri, non aveva la più pallida idea di cosa gli fosse successo, forse aveva
cominciato a soffrire di disturbi di personalità, rabbia incontrollata o di qualche altro problema mentale.
Non capiva e non gli interessava nemmeno più. Ormai riusciva a provare emozioni solamente quando gli
accadeva quella cosa:
Si sentiva potente, libero, con l’insano desiderio di annientare tutto ciò che gli si parasse davanti e ogni
colpo andato a segno lo appagava come la più pregiata delle droghe. Era vivo solo in quei momenti,
quando non era in quello stato, non esisteva, era morto. Diede un’altra sorsata dal suo bicchiere, nemmeno
quello sentiva dargli particolari effetti, l’alcool non riusciva a disinibirlo, ad alterare la sua percezione, era
un semplice gesto meccanico, senza nessun fine e nessun risultato.
Aveva riflettuto anche sul cosa fare, accantonando quel pensiero per tutto il giorno ma la sua anima
razionale era sopravvissuta a tutto quello e adesso era tornata a bussare alle porte della sua testa.
Cosa avrebbe fatto? Era solo questione di tempo, presto o tardi gli avrebbero dato la caccia, che gli
importasse o meno doveva preservare se stesso il più a lungo possibile, anche solo per provare ancora una
volta quella scarica di adrenalina, forse era giunto il momento di salire in macchina e andare lontano.
Si girò notando un ragazzo seduto al bancone come lui, due posti vuoti li separavano, lo fissava.
Mandò giù un altro sorso, svuotando totalmente il bicchiere.
Si forse doveva salire in macchina e scappare via o forse, poteva stare li ad attendere, in fondo anche se lo
avessero trovato, avrebbe avuto modo di “sentire”, di provare nuovamente qualcosa che lo facesse
sentire vivo.
*
Un uomo con gli occhiali di almeno quarant’anni con i capelli corti. E se fosse lui?
Dave non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa, il tipo appena entrato corrispondeva perfettamente
alla descrizione che gli aveva dato Elisabeth, forse sarebbe stato meglio per lui non chiedere, quel
pensiero avrebbe lentamente preso a ossessionarlo. Almeno fino a che la notizia della cattura dell’assassino
non gli avrebbe fatto tirare un sospiro di sollievo.
Il tizio rimase li a lungo, assorto nei propri pensieri, probabilmente si trattava di un povero disgraziato che
aveva avuto una brutta giornata. Dave rimase seduto per diverso tempo, ordinò un’altra birra continuando
a sperare di sentire il suo telefono squillare con dall’altro capo qualcuno che gli desse la notizia che quel
figlio di puttana non era più in circolazione, ma niente. Si sforzò di guardare la tv, ma proprio non reggeva il
Grande Fratello. Si voltò nuovamente verso il tipo di prima e lo sorprese questa volta a ricambiare lo
sguardo. Si voltò come a far finta di nulla, riposò gli occhi sul televisore storcendo il naso nel rivedere
quello strazio.
«Non credo che Orwell avesse in mente questo quando ha scritto 1984» disse lo strano tipo tracannando
un altro goccio. Dave si voltò nuovamente verso di lui, questa volta sorridendo «Ho un amico che insiste nel
dire che il programma sarebbe molto più interessante se i concorrenti avessero un fucile»
«Dio solo sa quanto ha ragione» Lo strano tizio allungò la mano «Piacere mi chiamo Alan»
«Sono Dave» Si alzò sedendosi accanto al nuovo incontrato, in meno di due secondi gli era diventato
simpatico, il tormento del serial killer gli diede tregua almeno per un po’.
«Allora Dave, cosa ti porta in un posto del genere da solo?»
«Ero con un’amica ma è andata via… io sono rimasto qui»
« Meglio qui che a casa e?»
«Si, in fondo non ho nessuno ad aspettarmi»
«Nemmeno io, non più almeno»
«Problemi in famiglia?»
Alan mandò giù un nuovo sorso dal bicchiere appena riempito «Si, non è stato proprio un bel periodo ma…
è passato »
Dave rimase seduto a contemplare la superficie lignea del bancone, non gli capitava spesso di socializzare
con sconosciuti, i suoi pochi amici e Laura sarebbero stati fieri di lui «Bè se vuoi parlarne, dicono che
sfogarsi con qualcuno che non si conosce a volte aiuti»
Il professore rimase in silenzio qualche attimo prima di rispondere «Dicono anche di non fidarsi degli
sconosciuti e la mia è una storia così assurda che faticherai a crederci»
«Non credo…» fece una lunga pausa, poi disinibito dall’alcool, decise che forse parlare avrebbe fatto bene
anche a lui «Sa come faccio di cognome? Conrad»
Se ancora avesse potuto provare qualcosa, Alan avrebbe avuto un attacco di panico, ma non era più così. La
sua mente collegò immediatamente quel cognome a Laura «Conrad… non è il cognome della ragazza che è
stata massacrata?»
«Già, era mia sorella, quindi può capire come nulla possa stupirmi ora come ora»
«Come è piccolo il mondo» Alan sogghignò, al destino non mancava di certo il senso dell’umorismo «Non
credo che ti piacerò allora ragazzo»
Dave inarco un sopracciglio rimanendo spiazzato «E perché?»
In tv il Grande Fratello venne interrotto da un’edizione speciale del telegiornale:
“Interrompiamo i programmi per un annuncio importante, è stato poco fa identificato dalla polizia
l’assassino che ha colpito la città in questi giorni, si tratta di Alan Williams un professore di 44 anni,
chiunque abbia visto quest’uomo è pregato di telefonare alle autorità immediatamente”
Sullo schermo comparve una foto, il barista riconobbe il cliente seduto al suo bancone e subito si precipitò
al telefono.
«Tu? Sei… stato tu?» Dave sentì la rabbia esplodergli dal profondo e crescere, crescere sempre di più
«Lo avevo detto che non ti sarei piaciuto» Alan rimase insolitamente calmo, non si voltò e non fece
nemmeno la più semplice e istintiva movenza di fuga.
«Figlio di puttana» Serrò i pugni, ormai si era trasformato in un fascio di nervi «Perché? Voglio sapere il
perché?»
«Se vuoi sapere la verità, non ne ho idea nemmeno io, ero uno dei professori di Laura, mia moglie era
convinta che io la tradissi, cosa non vera e, lo era a tal punto che ha reso la mia vita un inferno, più o meno
nello stesso periodo ho conosciuto Laura, veniva spesso prima delle lezioni per chiedermi approfondimenti
all’inizio, poi pian piano da chiacchere riguardanti lo studio ci siamo spostati su altri argomenti, era
piacevole parlare con lei»
Più Alan parlava con quel suo tono tranquillo, più Dave sentiva la rabbia esplodere e crescere dentro di se,
cominciò a osservare le varie bottiglie dietro il bancone, immaginandosi mentalmente mentre le rompeva
e le usava per uccidere quel bastardo, la sua attenzione venne catturata infine dal rompighiaccio, li in bella
mostra e con aria invitante.
«La cosa andò avanti per diverso tempo, finché non saltò fuori l’idea di vederci a casa sua per discutere di
una delle ultime lezioni. C’era intesa tra di noi, inutile dire che entrambi sapevamo quali fossero le vere
intenzioni. Mi presentai da lei e come prevedibile finimmo a letto insieme. Avevo tradito mia moglie ma
stare con Laura mi aveva fatto sentire. Parlammo un po’ a letto, finimmo sul personale e le parlai di mia
figlia. Li la cosa degenerò.»
Dave allungò le mani verso il rompighiaccio, lentamente, senza dare nell’occhio.
«Le stava bene che io tradissi mia moglie, ma non appena saputo che avevo una figlia la cosa divenne
“troppo grande per lei”, mi disse che non si sarebbe più dovuto ripetere. Avevo trovato qualcosa di bello
finalmente e lei me lo voleva già portare via, che ragazzina. Litigammo e a un certo punto… è successo»
«Successo? Vuoi dire che l’hai ammazzata razza di psicopatico? Non è vero?»
«Non so cosa dirti Dave, non so spiegarmi nemmeno io cosa mi abbia portato a fare quello che ho fatto, ma
ora nonostante la mia prima reazione fosse stata ben diversa, posso dirti che… è stato bellissimo farle
quello che le ho fatto.»
Non ce la fece più e quello che fermentava dentro di se da svariati giorni esplose in un'unica azione di
pochi secondi: scattò in piedi, afferrò il rompighiaccio dietro al bancone e tenendolo con la mano destra
cercò di piantarlo con tutta la forza di cui era capace nel collo del professore.
Sfruttando il bancone come appoggio, Alan fece in tempo a spingersi indietro evitando il colpo. Cadde a
terra, rotolando poi su un fianco prima che il ragazzo gli si avventasse nuovamente addosso «Grazie Dave
ne avevo davvero bisogno» Il suo viso arrossì rapidamente mentre l’intero corpo prese a vibrare, un rivolo
di bava gli colò dalla bocca macchiando il pavimento. Dave arretrò a quella scena, la rabbia si era
trasformata in timore.
Eccolo, il mostro
Alan balzò su di lui facendolo capitolare a terra, strinse le mani intorno alla sua gola, era questo quello che
voleva, si sentiva nuovamente vivo, nuovamente potente, il vedere quel ragazzo dimenarsi nel tentativo di
liberarsi lo inondava di piacere. Il barista del pub, scavalcò il bancone per prestare aiuto ma bastò un gesto
della mano per farlo finire contro uno degli sgabelli.
Dave approfittò di quel momento per allungarsi verso il punteruolo che poco prima era caduto a terra. Lo
prese e poi lo piantò con quanta forza gli era rimasta nel fianco della bestia.
Non avvertì reazioni, lo estrasse e lo colpì nuovamente e poi ancora. Sentì il sangue caldo colargli sulla
mano, ma la forza di Alan nella sua presa non diminuiva e nessuna smorfia di dolore gli marchiava il viso .
La vista cominciò ad offuscarsi e i rumori divennero sempre più ovattati.
Uno scoppio attraversò l’etere, poi un altro.
Il giovane sentì le dita che lo cingevano alla gola, allentare la presa. Alan crollò su di lui a peso morto.
Il mondo riacquistò pian piano concretezza, il sangue riprese ad affluire al cervello.
Con le sue ultime forze Dave, si scrollò il corpo di dosso. Alan era morto. Il sangue usciva copioso dai due
fori di proiettile, uno alla schiena l’altro alla nuca. Un ultimo barlume delle sinapsi gli fece balenare nella
testa il ricordo del primo giorno di lavoro come professore, percepì l’agitazione di quel momento,
l’emozione, la voglia di tornare a casa dalla sua famiglia, da sua moglie e dalla bambina appena nata. La
rabbia era sparita, non c’era più la furia, il dolore, il freddo, non c’erano mai stati. Andava tutto bene.
Elisabeth aiutò Dave a rialzarsi, il barista aveva avvertito la centrale e la centrale aveva avvertito loro.
Lei e Ben erano arrivati appena in tempo.
«Tutto bene?»
Dave si alzò tossendo, era finita.
LUNEDÍ
«Si ricomincia Margheritina» Ben era seduto dietro la sua scrivania come al solito, davanti a lui una scatola
di clinex pronta all’uso, l’influenza non era passata ma era questione di tempo. Presto o tardi anche quella
lo avrebbe lasciato libero.
«Si sa qualcosa sul movente dei vari omicidi?»
«No e sinceramente credo non ci fosse »
«Un uomo non fa a pezzi la sua famiglia perché si è alzato male»
«Quel tipo aveva evidentemente dei problemi, le cose non hanno sempre una spiegazione. “Un uomo ha
massacrato la sua famiglia”, non è il primo e non sarà di certo l’ultimo»
Elisabeth rimase seduta a fissare la punta delle proprie scarpe, forse era davvero tutto qui « Abbiamo finito
allora»
«Si, il caso riguardante Alan Ajvide Williams almeno, possiamo considerarlo chiuso»
«Ajvide?»
«Si è il secondo nome, pare che la madre fosse Svedese o qualcosa di simile»
«…non è possibile» scoppiò a ridere portandosi una mano alla fronte, Ben poté solo restare li a fissarla
sbigottito, come uno che si è perso un pezzo della storia.
*
Dave aprì la porta di casa, aveva passato la nottata in ospedale sotto osservazione, per fortuna non c’erano
state lesioni, solo qualche livido e difficoltà a parlare. Visti i precedenti gli sarebbe potuta andare
nettamente peggio. Arrancò fino al divano esausto. Era finita, l’assassino era morto ma il tutto, anziché
soddisfazione, gli aveva lasciato l’amaro in bocca. Cercò di non pensarci, col tempo sarebbe passata, era
tempo di voltare pagina. Osservò la segreteria telefonica, segnava dodici messaggi. Tra una cosa e l’altra
aveva tagliato ogni contatto telefonico nei giorni precedenti, ma presto sarebbe dovuto tornare anche a
lavoro, era il momento volente o nolente di rimettersi in pari. Premette play e cominciò ad ascoltare le
registrazioni dalle più vecchie fino alle ultime.
“Ehi Dave domani a lavoro non riuscirò a esserci, puoi coprirmi? richiamami appena puoi e grazie.”
“Tesoro sono la mamma, io e tuo padre stavamo pensando: perché Mercoledì sera non facciamo una cena
in famiglia tutti insieme? Più tardi telefono anche a Laura, tu fammi sapere presto, un bacio.”
“Ehi ciao fratellone, ascolta, so che Giovedì sei a casa, ti va se passo da te? Si lo so che vuoi stare tranquillo
ma volevo parlarti, so già anche che non sarai d’accordo ma da un po’ ho preso ad andare molto
d’accordo… con uno dei miei professori, oggi viene a casa mia. Scusami se non ti ho detto niente in questi
giorni, nemmeno io so cosa sto facendo, spero che ti vada tutto bene. La notizia ti avrà mandato su tutte le
furie, ma avrai tutto il tempo di sgridarmi Giovedì , quindi per quando lo farai, ricordati che ti voglio bene.”