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INFERNO
TOPOGRAFIA DELL’INFERNO
Un imbuto
rovesciato
L’inferno è immaginato da Dante come un’immensa cavità sotterranea: una voragine di forma conica, divisa in gradoni progressivamente più stretti (i cerchi), ciascuno
caratterizzato da circostanze ambientali particolari (uno o più “climi”) e riservato alla
punizione di un determinato peccato o gruppi di peccati.
Originatasi all’inizio dei tempi, con la caduta di Lucifero dal cielo e con il ritrarsi della terra
al suo passaggio, la cavità dell’inferno è per Dante il regno in cui il male regna ed è allo
stesso tempo recluso, il luogo in cui esso è strumento e oggetto di castigo insieme. Satana e i suoi demoni sono incaricati della punizione delle anime dei dannati e, allo stesso
tempo, sono essi stessi tormentati dall’inferno. L’ambiente è immerso nelle tenebre, a tratti infuocato, gelato in altre zone, flagellato da eventi atmosferici estremi: bufere di vento,
pioggia incessante, freddo da cui non c’è riparo. Allo stesso modo, il terreno è sempre caratterizzato da contorni aspri, intrinsecamente sterile e particolarmente nocivo all’uomo.
Le quattro zone
infernali
Lo spazio infernale è diviso in quattro grandi zone, segnate ciascuna da particolari
elementi fisici o architettonici. Le zone corrispondono alle “partizioni” morali indicate
da Virgilio nel canto XI:
■■ la prima è relativa ai peccati di incontinenza, che si estende per i primi cinque cerchi;
■■ la seconda è relativa ai peccati di violenza, ed è divisa in più gironi, a seconda dell’oggetto e del tipo di crimine commesso dai peccatori;
■■ la terza è delimitata dalla regione in cui si puniscono i peccati di frode, è divisa in
dieci fosse concentriche e digradanti, che Dante battezza Malebolge;
■■ la quarta coincide con il nono cerchio ed è l’ultima regione dell’inferno, quella ghiacciata del Cocito, in cui sono puniti i traditori.
Per marcare queste zone diverse la Commedia usa elementi sia fisici sia architettonici:
infatti, anche se l’inferno è un luogo essenzialmente “naturale” e non “costruito” (non
“antropizzato” si direbbe oggi), gli elementi architettonici non sono rari.
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Nel loro viaggio, Dante e Virgilio incontrano un arco di trionfo che divide l’inferno
vero e proprio dall’anti-inferno in cui si trovano gli ignavi (canto III), un castello in cui
risiedono le anime dei grandi personaggi dell’antichità pre-cristiana e del mondo noncristiano (canto IV), e una cinta muraria che divide la zona dell’incontinenza da quella
della violenza, punita all’interno della Città di Dite (canto IX). Vari corsi d’acqua, inoltre,
segnano il paesaggio infernale: l’Acheronte, il confine sempre permeabile tra il mondo
dei vivi e quello dei morti (canto III), lo Stige, il fiume impaludato che fa da corona alla
città di Dite (canto VIII), il Flegetonte, un fiume di sangue bollente in cui sono puniti i
tiranni e i banditi di strada (canto XII), il Cocito, il lago ghiacciato, formato dalle lacrime
del mondo che si raccolgono tutte al fondo dell’inferno, in cui sono puniti i traditori
(canto XXXII). Due dislivelli, infine, dividono la violenza dalla frode (canto XVII) e la frode dal tradimento (canto XXXI): sono due momenti in cui il paesaggio sottolinea con
degli inabissamenti improvvisi lo scarto “verticale”, il salto qualitativo a un nuovo tipo
di peccati.
Una logistica
realistica
È importante notare come il testo insista sulla “realtà” narrativa di questi sbarramenti
topografici tra le diverse aree del mondo dei morti. Sarebbe stato semplice, se non addirittura naturale per un poema medievale trattare queste partizioni come puramente
simboliche, cioè come dei confini labili e astratti che il protagonista avrebbe potuto
percepire, di cui la guida avrebbe, al limite, potuto spiegare il significato e, senza alcuno sforzo, attraversare. Al contrario, Dante rappresenta questi attraversamenti come
irti di difficoltà logistiche: il protagonista, che la finzione ha dotato di corpo in questa
esperienza dell’aldilà, viene caricato dalle imbarcazioni infernali di Caronte (canto III) e
di Flegiàs (canto VIII), è costretto a salire in groppa al centauro Nesso per attraversare
il Flegetonte (canto XII), ad affidarsi al mostro aeromobile Gerione e al gigante Anteo
per superare il “burrato”, tra violenza e frode, ed essere infine calato sul letto del Cocito,
al fondo del “pozzo dei giganti”. Il passaggio culminante è forse quello che si ha nell’ultima fase della tratta infernale del viaggio, quando Virgilio si arrampica lungo il corpo
di Satana, portando Dante in spalla. Il “realismo” del poema dipende anche dal modo
in cui tratta la logistica del viaggio, con moduli narrativi che si ripeteranno – con diverse modalità, adattate ai diversi ambienti – anche sulla montagna del purgatorio e nei
cieli del paradiso.
LINGUAGGI ED EFFETTI
Una straordinaria
varietà di registri
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L’effetto di asperità del paesaggio infernale è costruito nel testo con mezzi poetici,
in particolare con l’adozione – progressivamente più marcata man mano che si discende verso il fondo ghiacciato dell’inferno – di uno stile caratterizzato dall’accostamento
dissonante di suoni nel verso e di parole-rima che evocano realtà dure, innaturali,
inorganiche. È lo stile “petroso”, che Dante aveva già usato in alcune canzoni dedicate
alla passione violenta e sensuale per una “donna-pietra”.
Ma quello petroso non è, l’unico livello linguistico e stilistico adottato nell’Inferno. Il
poema mobilita, infatti, una grande varietà di registri, da quello pianamente narrativo
o accuratamente descrittivo di molte zone di passaggio, a quello retoricamente elaborato dei dialoghi tra i personaggi, a quello comico-sarcastico con cui sono condite le
invettive affidate ad alcuni personaggi o alla voce del poeta stesso, a quello elevato,
con movenze bibliche, che caratterizza i passi “profetici”. Se il testo si definisce “comme-
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dia” è anche perché a quel genere il medioevo riconosceva la possibilità di incorporare
una grande varietà di tonalità di stile: mentre è sufficiente un elemento comico (realistico, corporeo, basso) per rompere il registro stilistico alto della tragedia la commedia
– si diceva – può innalzarsi e abbassarsi a contenere quasi ogni aspetto dell’esperienza
e del reale (anche quelli retoricamente più elevati). È per questo che si dice spesso che
il pluristilismo, la compresenza di diversi registri di poesia nel testo, è la cifra formale
del poema.
L’Eneide
modello della
rappresentazione
dell’aldilà
La Commedia eredita molti di questi elementi strutturali dal Libro VI dell’Eneide, la sezione del poema di Virgilio dedicata alla katabasis (la discesa al mondo dei morti) compiuta dal protagonista Enea. È proprio questo testo che rappresenta il modello letterario più ravvicinato al poema di Dante.
I prestiti virgiliani diretti sono più densamente distribuiti nei primi canti e vanno
dalla trasposizione in chiave cristiana di interi episodi alla ripresa di singoli personaggi,
al riuso di dettagli narrativi o descrittivi. Nel canto III, ad esempio, derivano direttamente da Virgilio sia il fiume Acheronte, presentato come barriera tra mondo dei vivi e dei
morti, sia Caronte, il primo dei guardiani infernali, che figura come traghettatore in tutti
e due i testi, sia la necessità di attraversare il corso d’acqua per accedere all’aldilà, sia le
modalità adottate per attraversarlo (con la descrizione del passaggio-ponte ricevuto
dal protagonista nel canto VIII). Nel canto IV sono virgiliani gli atteggiamenti di alcuni
personaggi (l’eleganza dei comportamenti e dei gesti misurati, ma anche la coazione
a ripetere, ormai senza frutto, gli atti che erano stati loro propri in vita) insieme ad alcuni dettagli di paesaggio (la luce, il verde dell’erba, a contrasto con il buio che domina
il resto del mondo dei morti) che incontriamo nel nobile castello, inserito nel Limbo.
Sono tutti dettagli che derivano dalla descrizione virgiliana dei Campi Elisi nell’Eneide.
All’inizio del Canto V, invece, è traslato dall’Eneide solo il personaggio di Minosse, giudice infernale in Dante come in Virgilio, che però viene in Dante reso più bestiale, degradato al ruolo di un semi-animale e semi-meccanico smistatore del traffico sotterraneo.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma più che insistere sull’intensità dei rimandi è
forse più importante notarne l’estensione e ricordare che i rapporti che il testo continua a stabilire con quello di Virgilio non si interromperanno né con la fine dell’inferno
né con la stessa scomparsa della guida dal poema a Purgatorio XXX. Sopravvivono elementi dell’aldilà virgiliano ancora nel purgatorio e nel paradiso.
INTERAZIONI CON I PERSONAGGI
La memorabilità
degli incontri
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Accanto alle interazioni del protagonista con i luoghi fisici, la Commedia si costruisce
grazie a una serie di incontri memorabili con le anime di vari personaggi in luoghi diversi dell’aldilà. L’aggettivo memorabile è usato qui non come giudizio di valore, ma in
senso tecnico. La memorabilità di tanti episodi nel poema è infatti il frutto dell’effetto
combinato della costruzione di uno spazio suddiviso in luoghi ben distinti e connotati
moralmente e con l’invenzione di immagini dal forte impatto emotivo. Questa interazione tra luoghi e immagini non è un effetto casuale, ma un procedimento che Dante
eredita dalla cultura classica, in particolare quella retorica latina, e sviluppa in nuove
direzioni. Per favorire la memorizzazione di un contenuto intellettuale, infatti, gli antichi avevano sviluppato un’arte particolare, la mnemotecnica, che si basava proprio sul
coordinamento nell’immaginazione di loci certi (luoghi mentali ben distinti) e imagines
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agentes (immagini che agiscono sulla mente). In questo senso, dunque, gli incontri nel
poema non solo sono costruiti, per ricevere massimo rilievo, con immagini che colpiscono, ma sono poi anche coordinati tutti in un’architettura morale e narrativa, i luoghi
della memoria del poema, che è facile ripercorrere mentalmente.
Il segmento di dannati che Dante incontra nell’inferno e con cui interagisce è degno
di nota, in particolare per il suo carattere inclusivo. Il poema accosta, infatti, personaggi
di almeno tre provenienze culturali, attingendo altrettanto largamente dal passato
classico (soprattutto, ma non esclusivamente, dal mondo latino), dalla tradizione biblica (pre- e post-cristiana) e dal mondo contemporaneo (alternando personaggi di larga
notorietà, regnanti o alti prelati, ad altri francamente oscuri, la cui memoria è sopravvissuta sostanzialmente solo grazie al poema). Mentre i primi due gruppi di personaggi consacrati dalla Storia non destano molte sorprese, dato il carattere esemplare che
hanno assunto nella tradizione come simbolo di particolari vizi, il terzo gruppo formato
da personaggi dal profilo sostanzialmente locale è più interessante.
L’interesse
per la
contemporaneità
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L’accostamento dei tre gruppi non è certo esclusivo a Dante: in altre visioni medievali
dell’aldilà gli autori inserivano personaggi politici o ecclesiastici del presente accanto
ai grandi del passato. Nella Commedia, tuttavia, sia lo spazio sia l’energia poetica
che vengono dedicati al presente sono esponenzialmente maggiori. La differenza
quantitativa è così grande da divenire indice di una differenza anche qualitativa. Pensiamo, ad esempio, al canto V, quello dedicato ai lussuriosi, che è esemplare dell’interesse di Dante per il presente, a contraltare, se non addirittura a scapito, del passato.
Dopo che Virgilio ha chiarito di fronte a quale gruppo si trovi Dante e dopo che gli
ha mostrato da lontano le anime dei dannati più nobili e noti (da Paride a Tristano, da
Semiramide a Cleopatra) e nonostante, si potrebbe dire, la sicura autorità culturale di
queste figure, Dante sceglie di parlare a due personaggi non citati dalla guida, a due
anime “minori” e “private”, Francesca da Rimini e il suo amante e cognato Paolo Malatesta. Il resto del canto è dedicato non ai grandi esempi dell’antichità, che pure si presterebbero a veicolare gli stessi contenuti morali (la passione amorosa come prevaricazione del desiderio sulla razionalità), ma alla dettagliata ricostruzione della vicenda di
questi due quasi-contemporanei e al dialogo con loro che il protagonista intavola su
questioni di etica ed estetica amorosa. Una conferma di questa tendenza viene data, a
distanza, da un episodio che sembrerebbe fare eccezione. Anche laddove sia un grande personaggio dell’antichità a dominare un segmento di testo, come nel canto XXVI,
dedicato a Ulisse e alla sua ultima avventura per mare, la possibilità di creare nuovi miti
esemplari a partire da materiali tratti dal presente spinge Dante ad affiancargli un equivalente moderno e locale, il condottiero Guido da Montefeltro, a cui è affidato un ruolo
centrale nel canto immediatamente successivo.
Come sono varie le provenienze culturali dei dannati con cui Dante dialoga, così
anche i modi in cui questi interagiscono con il protagonista variano su di una scala
che va dallo scontro aperto e dal disprezzo (riservato spesso agli avversari politici)
alla meraviglia e all’ammirazione, espresse di fronte alla collocazione infernale degli
interlocutori e, a volte, a dispetto di questa (personaggi antichi e moderni si trovano
accomunati come oggetto di queste reazioni).
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DINAMICA E RETORICA DELLA NARRAZIONE
Una narrazione
mobile e articolata
Ad accrescere il senso di varietà che si ricava dalla lettura del poema contribuisce anche la costante variazione che Dante introduce ogni volta nelle articolazioni interne
dell’incontro-dialogo con i vari personaggi. Il modello base di questi incontri prevede all’inizio una descrizione di un gruppo di anime, poi l’emergere da quel gruppo di
un’individualità, seguito dal riconoscimento o dalla presentazione verbale del momentaneo co-protagonista, dal riassunto delle vicende salienti della sua esistenza (e delle
sue colpe), a cui si aggiunge come conclusione la descrizione della reazione di Dante
stesso, della sua guida o delle altre anime circostanti.
Anche solo le possibili variazioni sul tema della nominazione possono dare una
misura della non meccanicità con cui vengono svolte le scene di incontro nella
Commedia. Ma anche il modo in cui le vicende personali dei vari individui vengono presentate può variare: possono essere accennate in voce di narratore, spiegate a
Dante da Virgilio, adombrate da altri dannati, lasciate da narrare ai personaggi stessi.
Analogamente, anche le reazioni finali del protagonista possono variare da espressioni
drammatiche a semplice indifferenza. Si spiegano così i molti pianti e svenimenti del
protagonista, ma anche la soddisfazione per l’operato della giustizia divina affidata a
escalamazioni o riflessioni del protagonista o dell’autore. Specularmente, anche il silenzio con cui è espresso il distacco da un peccatore o da un peccato – ad esempio,
quello che Virgilio impone al protagonista di fronte agli ignavi «non ragioniam di lor,
ma guarda e passa» (Inf. III, 51) – è spesso il segnale eloquente di una reazione negativa
da parte del sistema morale del testo alla vicenda di qualche dannato.
Personaggi
“fatti di parole”
I personaggi e i dialoghi del poema sono definiti, dunque, non solo attraverso le circostanze in cui si trovano, «il modo della pena» lo chiamerà Dante a Inferno X, 64, ma
anche per il profilo biografico e morale che ne viene tracciato.
I personaggi danteschi sono personaggi doppiamente verbali: sono fatti, cioè, di
parole in due sensi successivi e complementari. Come tutti i personaggi letterari, naturalmente, essi esistono solo sulla pagina del libro che stiamo leggendo; e questa è la
loro “verbalità” primaria. Più che in altri testi letterari, tuttavia, i personaggi della Commedia rivelano la loro natura in parole proprie, parlando in prima persona, piuttosto
che subendo una descrizione in voce d’autore. In questo senso, dunque, sono fatti di
parole una seconda volta e a un livello più profondo.
Di alcune grandi figure dell’Inferno la Commedia ci dà un ritratto essenzialmente
retorico. Lo stesso vale anche per molti personaggi minori anche se, in questo caso, il
testo agisce con una maggiore economia verbale, dati i più stretti spazi narrativi. Personaggi come Francesca da Rimini (canto V), Farinata degli Uberti (canto X), Brunetto Latini (canto XV), Ulisse (canto XXVI), parlano con moduli linguistici e stilistici che Dante
inventa per loro, ma che presenta anche come specificamente appropriati a ciascun’anima. Il procedimento non è puramente retorico, non tende, cioè, solamente a creare
personaggi che si esprimano con “realistica” coerenza al loro profilo socio-culturale. Sicuramente è anche per questo che la Commedia è un testo che si distacca dalla letteratura epica della classicità: per la capacità di incorporare diversi livelli di linguaggio e diverse voci. Tuttavia, al di là e in aggiunta al ‘”realismo’” verbale che conferisce al poema,
la libertà di parola concessa ai personaggi dell’Inferno risponde a un’esigenza morale.
Nella Commedia le parole che i vari personaggi pronunciano sono, infatti, un indice
del loro profilo etico e, per il lettore, una via d’accesso privilegiata per la comprensio-
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ne della loro natura spirituale. Il modo in cui si esprimono ne rivela, cioè, l’essenza più
profonda: i loro “tic” linguistici, le scelte lessicali che compiono, le strategie retoriche
che adottano sono tutti fenomeni passibili di interpretazione etica. In un certo senso,
i personaggi dell’Inferno, nonostante la libertà con cui il testo li “lascia parlare” e in fondo proprio grazie a questa disponibilità, si condannano da soli, con le proprie parole. Il
principio sembrerebbe esclusivamente letterario, ma è in realtà evangelico. In Matteo
12, 37 si legge, infatti: «Ex verbis enim tuis iustificaberis; et ex verbis tuis condamnaberis» (“Saranno le nostre parole a salvarci e le nostre parole, alla fine, a condannarci”).
LE INTERAZIONI CON VIRGILIO
Un ultimo fattore da tenere in considerazione nell’esame delle componenti narrative
dell’inferno è la dialettica delle interazioni del protagonista con la sua prima guida. A
Virgilio è affidato il ruolo non solo di dirigere il movimento della vicenda attraverso
lo spazio dell’inferno, incitando il protagonista a superare gli ostacoli, ma anche di intervenire puntualmente indicando particolari dannati o spiegando situazioni. La sua
competenza è particolarmente alta nel caso di temi, personaggi e situazioni del mondo classico, ma al poeta latino sono affidate anche le spiegazioni di argomenti più vasti
(lo stato dei corpi dei dannati dopo la resurrezione o il ruolo della fortuna nell’esistenza
umana…). Una terza funzione è di servire da contraltare al protagonista per misurarne la crescita morale. Anche se Virgilio non ha una competenza assoluta (una limitatezza, la sua, che è particolarmente sensibile di fronte alle realtà del cristianesimo), i
suoi commenti servono comunque da cartina tornasole delle reazioni di Dante di fronte alla varie situazioni a cui è esposto nel viaggio.
I modi in cui la guida fa sentire la propria vicinanza al poeta protagonista sono diversi: lo incita a superare gli ostacoli sul cammino, corregge, per quanto gli è possibile,
le sue reazioni psicologiche, e lo sostiene nella sua determinazione a rifiutare il male.
Queste tre modalità di intervento corrispondono ai tre momenti del ciclo paura / pietà
/ fermezza che si ripete più di una volta nell’Inferno.
Quando vediamo Virgilio che loda animatamente la reazione di giusta ira del protagonista verso Filippo Argenti (canto VIII), siamo all’ultima fase del primo ciclo: il progresso morale del protagonista, che ha ormai fatto esperienza di tutta la zona dell’incontinenza, lo ha portato a superare tanto la paura (che aveva caratterizzato i primi canti,
segnati dall’impatto con la dimensione mostruosa dell’aldilà) quanto la pietà (espressa
in maniera più evidente con Francesca nel canto V) e ad assumere qui un chiaro atteggiamento di fermezza. Uno dei ruoli narrativi della guida, insomma, è di essere un punto di riferimento su cui si misura l’emancipazione etica e logistica del protagonista.
Nel purgatorio, un ambiente in cui Virgilio – come personaggio – sarà ancor meno a
proprio agio di quanto lo sia nell’inferno, questo processo di emancipazione del protagonista si radicalizzerà, così come si accentuerà il processo di correzione del modello
che caratterizza il rapporto dell’autore della Commedia con l’autore dell’Eneide.
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