De Stefano
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De Stefano
ThyssenKrupp:il processo Vicenza 8.2.2017 L’incendio 7 lavoratori dell'acciaieria Thyssen di Torino perdono la vita a causa dell’incendio avvenuto il 6 dicembre 2007 sulla linea 5 - ricottura e decapaggio - per lo sfregamento del nastro contro la struttura metallica dei macchinari o (perché la causa certa non fu individuata fra le due ipotesi) contro residui di carta accumulati sul pavimento. I lavoratori recatisi sul posto con degli estintori a mano per spegnere l'incendio sono investiti da una vampata di fuoco (c.d. flash fire) prodotta di seguito alla rottura di un tubo contenente olio idraulico ad elevata pressione che si nebulizzava generando uno spray di vapori e goccioline di olio e si incendiava a contatto con l'incendio già in atto investendo in pieno i lavoratori e uccidendoli per le ustioni. Lo stabilimento Lo stabilimento di Torino all'epoca dei fatti versava in condizioni di pre-chiusura: il personale dipendente ridotto all'osso, elevato rischio di incidenti, sprovvisto del certificato di prevenzione incendi. Thyssenkrupp era perfettamente a conoscenza del fatto che quella linea produttiva era a rischio incendi perché l'anno prima, a giugno 2006, sulle linee di ricottura e decapaggio dello stabilimento tedesco della stessa Thyssen di Krefeld si verificò un disastroso incendio. L’incendio di Krefeld A Krefeld, dopo l'incendio, Thyssen fece installare un sistema di protezione antincendi per la rilevazione e lo spegnimento di incendi su quella linea di ricottura e decapaggio Non a Torino, nonostante la raccomandazione della società assicuratrice Axa (tre relazioni tecniche tra febbraio e luglio 2007) di dotarsi la linea di ricottura e decapaggio di sistema antincendio. L'assicurazione impose una franchigia specifica di 100 mln di Euro, superiore a quella precedente di 30 milioni e doppia rispetto a quella di 50 imposta ad altri tipi di impianti! Thyssen, pur di non spendere denaro in uno stabilimento in cui stava riducendo i propri investimenti per condurlo alla chiusura, preferì lavorare in condizioni di altissimo rischio per i lavoratori, accettando una franchigia di 100 mln di Euro sui danni che avrebbero potuto conseguire ad un più che possibile incidente su quella specifica linea. Il processo Gli imputati: L’ A.D. Espenham con delega alla produzione e sicurezza sul lavoro, personale, affari generali e legali; Il consigliere con delega per il commerciale e il marketing; Il consigliere con delega all'amministrazione, finanza e controllo di gestione, approvvigionamenti e servizi informativi; Il direttore dell'area tecnica e servizi (competenza nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio); Il direttore dello stabilimento; Il responsabile dell'area ecologia, ambiente e sicurezza . Il processo di primo grado Il procedimento di primo grado si apre davanti alla Corte d’Assise di Torino il 15 gennaio 2009. I legali dell'azienda indicano possibili colpe degli operai nel rogo dell'impianto, salvo poi smentirsi: gli addetti hanno compiuto «errori dovuti a circostanze sfavorevoli». Le testimonianze «Ci avvertivano delle visite della Asl due giorni prima, e solo allora si mettevano a pulire la fabbrica» «L'impianto si fermava solo per problemi alla produzione. Se i problemi intaccavano la qualità del materiale allora si bloccava l'impianto, altrimenti no e si interveniva a linea di movimento» «I colleghi subivano pressioni psicologiche dall'azienda per non premere il pulsante di allarme» «Gli incendi sulla linea 5 erano molto frequenti, anche uno o due al giorno venivano spenti dagli stessi operai» Il capoturno nella notte del disastro, responsabile delle squadre di emergenza, si dichiara assolutamente impreparato a fronteggiare i rischi della produzione. Le testimonianze Le assicurazioni Axa riferiscono che Thyssen rifiutò un impianto antincendio da 20mila euro. Gli ispettori della Asl1 di Torino, accusati di aver favorito la multinazionale con controlli annunciati e prescrizioni tardive, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il Comitato tecnico regionale, obbligatorio per legge, non fece controlli nel periodo 2005-2007. Dei 32 estintori sequestrati sulla linea 5, soltanto 18 avevano il cartellino previsto e 13 avevano le etichette illeggibili. La sentenza di primo grado L'amministratore delegato di ThyssenKruppTerniS.p.A.- Herald Espenhahn condannato alla pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio volontario plurimo, incendio, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro aggravata dall'evento. Gli altri cinque imputati, amministratori e dirigenti condannati per omicidio colposo plurimo (art.589commi1,2e3c.p.) e incendio colposo(art.449,inrelazioneall'art.423c.p.) aggravati dalla previsione dell'evento (pene da tredici anni e sei mesi di reclusione a dieci anni e dieci mesi) Responsabilità ex lege 231 La TKAST risponde dell’illecito di cui all’art. 25 septies legge 231/2001 perché due amministratori apicali sono stati ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo plurimo commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente. La società non sostenne gli oneri relativi ai costi di installazione dei sistemi antincendio, destinandoli alla sede di Terni e raccolse gli utili della prosecuzione della produzione Responsabiltà ex lege 231 La società non ha provato che il suo C.d.A. avesse adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, Modelli di Organizzazione e Gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Non ha affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza di tali modelli e di curare il loro aggiornamento ad un Organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo. Sanzioni ex lege 231 • • condanna della società ThyssenKrupp Terni S.p.A. ai sensi dell'art.25 septies del d. lgs.231/2001 alla sanzione pecuniaria pari ad un milione di euro. all’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi pubblici per la durata di mesi 6. • divieto di pubblicizzare beni o servizi per la stessa durata. • confisca del profitto del reato per una somma di 800mila euro. • pubblicazione della sentenza sui quotidiani di diffusione nazionale Diniego dell’attenuante La Corte ha negato l’applicazione dell’ attenuante di aver adottato e reso operativo il Modello di organizzazione, gestione e controllo prima dell’apertura del dibattimento. Dopo l’infortunio la società ha formalmente implementato il proprio Modello con l’introduzione della parte relativa ai reati in tema di sicurezza e infortuni ma tale modello è stato ritenuto inadeguato Motivo : la nomina nell’Organismo di Vigilanza del Responsabile del Settore Ecologia Ambiente e Sicurezza; secondo la Corte è una violazione dell’art. 6 comma 2 D.Lgs. 231/01 che, nel tratteggiare le caratteristiche dell’Organismo di Vigilanza, prescrive che esso debba essere dotato di “autonomi poteri di iniziativa e controllo”; il fatto che uno solo dei componenti difetti di tale requisito vale a privare l’intero organismo di quell’attitudine alla vigilanza ed al controllo richiesta dal D.Lgs. 231/01. Le ragioni della condanna La Corte osserva che, almeno a partire dalla metà del 2006,nelle acciaierie Thyssen di Torino le condizioni della sicurezza sul lavoro , della sicurezza antincendio in particolare presentavano gravissime carenze strutturali e organizzative: la mancanza del certificato di prevenzione incendi, la riduzione degli interventi di manutenzione e di pulizia sulle linee, frequenti incendi di varie proporzioni, il mero affidamento alla "mano dell'uomo" delle operazioni di rilevazione e spegnimento incendi, senza dotare i lavoratori di indumenti ignifughi e adeguata formazione. Le ragioni della condanna La disastrosa situazione fu il risultato di due precise scelte aziendali, la decisione di trasferire gli impianti torinesi presso il polo di Terni, e dedicare alla nuova sede tutti gli interventi di fire prevention, evitando così "inutili investimenti"; dall'altro lato la scelta, di continuare il più a lungo possibile la produzione torinese, fino cioè alla definitiva chiusura dello stabilimento. Sintesi Quali erano gli obblighi che dovevano adottarsi? Anzitutto, l’obbligo di installare un impianto di rilevazione e spegnimento automatico sulla linea, in secondo luogo, la previsione di una procedura operativa che indicasse ai lavoratori di azionare, in caso di incendio, il cd. pulsante di emergenza. I vertici ed i dirigenti della Thyssenkrupp avrebbero dovuto valutare il “rischio’’ incendio nello stabilimento di Torino, prevedere ed apprestare le idonee misure tecniche per ridurlo Sintesi Gli imputati erano tutti titolari di posizioni di garanzia. La Thyssenkrupp era dotata di un organo collegiale (il board), al quale erano sottoposte tutte le questioni attinenti la direzione, la gestione e l’organizzazione dell’azienda. Spettavano al board e non al solo amministratore delegato tutte le decisioni aziendali di ordinaria amministrazione, nonché il compito di scegliere: 1) quanto, dove e come investire il “budget” di cui disponeva; 2) quanto, dove e come investire in “sicurezza sul lavoro” e in “prevenzione antincendi”. Sintesi L’amministratore delegato deve rispondere di omicidio volontario: ha indicato due fattori sui quali confidava che nulla accadesse: 1) la presenza sulla linea 5 di Torino di un impianto antincendio a protezione della sala pompe; 2) la capacità dei suoi collaboratori di Torino. Secondo i giudici , il primo fattore non è accettabile alla luce della profonda conoscenza dell’a.d. delle condizioni di lavoro nello stabilimento; anche l’altro fattore è privo di fondamento atteso che la preparazione dell’a. d impedisce di ritenere che potesse razionalmente “confidare” nelle capacità dei suoi collaboratori di Torino che non disponevano di alcun potere decisionale, autonomo. Il processo di appello L’appello si è aperto il 28 novembre 2012 ; il 28 febbraio 2013 la Corte d’assise d’appello di Torino ha ridotto le pene ai sei imputati ed escluso il dolo riconosciuto in primo grado per l’amministratore delegato. I giudici d’appello non ravvisano l’omicidio volontario con dolo eventuale per l’Amministratore Delegato, bensì quello colposo aggravato dalla colpa cosciente. “Espenhahn era perfettamente informato e pienamente consapevole del processo di lavorazione sulla linea 5” Il datore di lavoro era consapevole del fatto che un intervento di prevenzione incendi andasse effettuato sulla linea 5 . Espenhann pensava che su quella linea non potesse avvenire un incidente di grossa portata e che, seppure fosse accaduto, sarebbe stato domato attraverso l’impianto antincendio e grazie alla capacità degli operai di tenere sotto controllo la situazione, qualora si fosse presentata. Le condanne I giudici di appello condannano a 10 anni di reclusione l’ex Amministratore Delegato 9 anni al dirigente con funzioni di direttore e competenza negli investimenti 8 anni al responsabile del servizio prevenzione e protezione, (ritenuto “dirigente di fatto” per i compiti organizzativi, operativi e decisionali svolti); 8 anni e mezzo al responsabile dello stabilimento; 7 anni ciascuno ai membri del Comitato esecutivo. La sentenza delle Sezioni Unite 24.4.2014 Si afferma la responsabilità degli imputati e della società in ragione dell’inefficienza e l’inidoneità dei meccanismi di emergenza dello stabilimento a svolgere le loro funzioni, “la situazione dell’impianto era di grave degrado’’ i lavoratori “non avevano ricevuto alcuna formazione professionale per mettersi in salvo dal rischio del flash fire in una struttura in cui gli incendi erano quotidiani”. Confermata la responsabilità di tutti gli imputati per il reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell’evento L’appello bis del 29.5.2015 La pena più alta è di 9 anni e 8 mesi inflitta all'ad Harald Espenhahn, quella più bassa, di 6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci e Gerald Priegnitz. Condannati inoltre gli altri dirigenti Daniele Moroni a 7 anni e 6 mesi, Raffaele Salerno a 7 anni e 2 mesi e Cosimo Cafueri a 6 anni e 8 mesi. Risarcimento: € 12 milioni 970 alle 29 persone offese ( i congiunti degli operai deceduti) € 4 milioni alle parti civili. I profili di interesse Si configura la “colpa di organizzazione” dell’ente ogni mancanza propria dell’organizzazione produttiva complessa (l’assenza del documento di valutazione dei rischi, della strumentazione tecnica, la carente selezione del personale e delle deleghe, nonché l’inidonea gestione dell’orario di lavoro dei dipendenti ecc.) In Italia manca ancora una diffusa coscienza sulla sicurezza. Non esiste una reale cultura della prevenzione. Le aziende sono più concentrate sugli aspetti formali per tutelarsi rispetto alle normative e alle conseguenze di un evento dannoso, piuttosto che sull’implementazione di veri e propri programmi di Risk Management. L’obiettivo di riduzione dei costi, soprattutto in un contesto socioeconomico particolarmente difficile come quello attuale, induce, molte aziende a considerare eventuali interventi preventivi come onerosi e addirittura superflui, anziché uno strumento che può salvare la vita delle persone e preservare l’azienda da una eventuale sospensione dell’attività. La cultura del rischio richiede lo sviluppo di una consapevolezza e un processo di coinvolgimento ampio. Particolare attenzione deve essere posta sui rischi connessi a controlli omessi o ad inadeguate azioni preventive che possono comportare incidenti rilevanti e/o la sospensione dell’attività con conseguenti danni economici (sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive) e d’immagine per l’azienda. GRAZIE PER L’ATTENZIONE !