Ora et labora

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Ora et labora
AP
animismo
ortodossia
Ora et labora
2011
Enrico Casale
«C
onciliare l’attività lavorativa con gli incarichi
pastorali è pesante. In
alcuni momenti, soprattutto quando sono molto stanco, mi prende lo
sconforto. Penso di non farcela. Lo
scorso anno ho fatto una settimana
di ferie dopo tre anni in cui non ho
“staccato” neppure per un giorno».
L’archimandrita Atenagora Fasiolo,
parroco della chiesa greco-ortodossa
di Livorno (che appartiene al patriarcato ecumenico di Costantinopoli)
e rettore del convento femminile di
Montaner (Tv), riassume così le dif44 Popoli agosto-settembre 2011
L’afflusso di immigrati dell’Est ha convinto le
Chiese orientali a inviare in Italia religiosi per
curarne l’assistenza spirituale. I patriarcati però
non hanno i mezzi per sostenerli e molti sono
costretti a lavorare. Le storie di alcuni preti
ortodossi divisi tra parrocchia, ufficio e famiglia
ficoltà che incontra nel conciliare la Vladimir Zelinskij, parroco a Brescia
sua vocazione sacerdotale e il lavoro della chiesa dell’esarcato russo del
in una società di trasporto pubblico patriarcato ecumenico di Costantia Udine.
nopoli - è relativamente nuova ed
Ma tra i monaci e i sacerdoti ortodos- è cresciuta negli ultimi anni per efsi in Italia non è l’unico a dovere af- fetto dell’aumento dell’immigrazione
fiancare un’occupazione
dall’Est Europa. Per sodlavorativa alla funzione «Il lavoro si
disfare le esigenze spipastorale. Nella mag- armonizza con
rituali dei propri fedegior parte dei casi non la mia vocazione. li, i patriarcati inviano
si tratta di una scelta, Anche per i
monaci e sacerdoti dai
ma di una necessità. «La monaci ortodossi propri Paesi. Ma spesso
né i fedeli (che in magrealtà delle Chiese orto- vale la regola:
dosse in Italia - osserva ora et labora.
gioranza sono immigrati
Il nostro rapporto
con Dio si fonda
su spiritualità
e operatività»
in condizioni economiche non certo
floride) né gli stessi patriarcati hanno
le risorse per mantenere i religiosi.
Quindi questi, per vivere, devono
trovarsi un lavoro».
Così, negli anni, molti religiosi si
sono trasformati in operai, muratori, impiegati, ma anche dirigenti
d’azienda. E non va dimenticata la
necessità di conciliare il tutto con la
vita familiare: molti sacerdoti ortodossi infatti sono sposati.
STORIE DIVERSE
Padre Gheorghe Vasilescu, romeno, è
uno dei decani dei sacerdoti ortodossi
lavoratori. Arrivato in Italia nel 1978
con una borsa di studio come ricercatore presso il dipartimento di Scienze
religiose dell’Università Cattolica di
Milano, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale un anno dopo. «Nei primi
anni - ricorda - il patriarcato ci dava
un sostegno economico. Una cifra
poco più che simbolica. Ma in quei
tempi, eravamo nel pieno del regime
socialista di Nicolae Ceausescu, il patriarcato non poteva detenere valuta
estera. Così era costretto a cambiare
la valuta locale in dollari e poi in lire
attraverso gli uffici di cambio statali.
Negli anni Ottanta, però, il regime ha
accusato la Chiesa di sostenere con
quei fondi gli esuli, perciò ha vietato
le operazioni di cambio. Di fronte
all’impossibilità di inviarci l’assegno,
il patriarca ha chiesto a ognuno
di trovarsi un lavoro. I sacerdoti
all’estero hanno preso questa decisione come la volontà della Provvidenza
e si sono messi a lavorare». Padre
Vasilescu ha fatto un po’ di tutto:
muratore, operaio e, infine, impiegato in una società autostradale.
Diverse invece le storie di padre Teofilo Barbieri, ieromonaco della Chiesa
ortodossa del patriarcato di Mosca a
Milano, e di Atenagora Fasiolo. Entrambi di origine italiana, lavoravano
già prima di essere ordinati sacerdoti.
«Il lavoro - osserva l’archimandrita
Atenagora - è una costante della mia
vita. La mia famiglia non era ricca
e io per poter studiare e viaggiare
senza pesare sulle casse familiari,
ho iniziato a lavorare fin da giovane. Per me quindi è stato naturale
continuare anche dopo l’ordinazione.
Oggi lavoro nell’ufficio del personale
di una società di trasporto pubblico
e mi occupo dell’organizzazione di
400 autisti. Questo è di grande aiuto
al patriarcato di Costantinopoli, che
non ha i fondi per mantenere tutti i
sacerdoti. Il mio vescovo quindi non
solo accetta, ma vede di buon occhio
il mio impegno lavorativo». «Sono 15
anni che servo la mia Chiesa - gli fa
eco padre Teofilo -, prima come laico, poi come diacono e, infine, come
monaco-sacerdote. È stato un cammino lungo, nel corso del quale ho
sempre lavorato. In realtà, l’attività
lavorativa (è impiegato in banca, ndr)
si armonizza alla perfezione con la
mia vocazione monastica. Anche per
i monaci ortodossi vale la regola: ora
et labora (prega e lavora). Il nostro è
un rapporto personale con Dio che
si fonda su spiritualità e operatività.
Semmai è il servizio ai fedeli che è
complementare all’attività monastica. Com’è possibile allora conciliare
il monachesimo con il servizio pastorale? Con grandi rinunce personali».
E, infatti, gli orari e gli impegni professionali non sempre si «incastrano»
alla perfezione
con quelli lega«In ufficio non
ti agli impegni
ho mai nascosto
pastorali. Ciò
il mio essere
comporta sasacerdote
crifici da parte
ortodosso. Tra
dei
sacerdol’altro come potrei
ti che, spesso,
visto la barba che
sono costretti a
porto? Per tutti
rinunciare alle
io sono padre
proprie ferie o a
Giorgio: prete,
togliere tempo
collega e amico»
alle famiglie.
«La giornata è sempre piena - spiega padre Vasilescu -. Al mattino
mi reco al lavoro. Verso le 18,30
esco dall’ufficio e arrivo nella mia
comunità (che è una delle due parrocchie ortodosse romene di Torino).
Qui ogni giorno ho un impegno
diverso: vespri, letture bibliche, catechesi, messe, battesimi e funerali.
ESPERIENZE
Preti cattolici in fabbrica
A
nche nella Chiesa cattolica sono presenti sacerdoti lavoratori, sebbene si tratti di
un’esperienza diversa rispetto a quella delle Chiese ortodosse. Nel 1943 in Francia
viene pubblicato La France, pays de mission?, un libro-inchiesta nel quale l’autore, l’abate
Godin, mette in evidenza la progressiva scristianizzazione del Paese e, in particolare,
della classe operaia. Da questo libro nasce una profonda riflessione che coinvolge anche
l’arcivescovo di Parigi, Emmanuel Suhard, che fonda la «Missione di Francia», un’organizzazione nata per avvicinare alcuni settori della società alla Chiesa cattolica. Nell’ambito
di essa, il card. Suhard concede ad alcuni sacerdoti di lavorare nelle fabbriche ed entrare
così in contatto con il mondo operaio.
Il movimento dei preti operai si estende gradualmente anche in Belgio, Gran Bretagna,
Germania Ovest e Italia. Ma nel 1954 papa Pio XII, sollecitato da una parte delle gerarchie ecclesiastiche, ordina ai preti operai di tornare alle loro attività pastorali o alle loro
comunità religiose. Il pontefice ritiene quell’esperienza rischiosa per l’integrità della fede
e del ministero sacerdotale. Solo dopo il Concilio Vaticano II, papa Paolo VI riabilita i
preti operai e favorisce l’ingresso di sacerdoti nei luoghi di lavoro.
In Italia, il movimento prende piede soprattutto negli anni Sessanta e Settanta. Il primo
prete operaio è don Sirio Politi, che lavora al porto di Viareggio. Ma è Torino che conta
il più elevato numero di sacerdoti in fabbrica, anche perché è lo stesso vescovo, card.
Michele Pellegrino, a promuovere l’esperienza. Nel tempo, il movimento si ridimensiona e,
sebbene non sia scomparso del tutto, oggi sono ormai pochissimi i preti lavoratori, almeno nel senso di persone stipendiate e impegnate secondo regole simili a quelle dei laici.
Diverso, ovviamente, è il caso di sacerdoti impegnati in attività direttamente connesse al
loro ruolo, come l’amministrazione delle parrocchie, la direzione di uffici diocesani, ecc.
agosto-settembre 2011 Popoli 45
ortodossia
L’archimandrita Atenagora Fasiolo, parroco
della chiesa greco ortodossa di Livorno e
rettore del convento femminile di Montaner.
Gli impegni si moltiplicano poi in
occasione del Natale e della Pasqua.
Devo ammettere che l’azienda per
la quale lavoro ha compreso il mio
ruolo e i dirigenti non mi hanno mai
negato permessi o ferie per funzioni
speciali. Quando ho potuto, ho cercato di sdebitarmi sostituendo colleghi
che avevano difficoltà». «La mia vita
è intensa - ammette padre Teofilo -,
ma finora sono riuscito a conciliare
tutti i miei impegni. Questo anche
grazie al fatto che la banca per la
quale lavoro mi ha concesso un orario che mi agevola (dalle 12,30 alle
20). Quindi riesco sempre a celebrare
la messa al mattino e ad aiutare il
mio parroco nel disbrigo delle pratiche burocratiche».
Alcuni sacerdoti lavorano come liberi professionisti o con contratti
a termine e quindi possono meglio
organizzare il loro tempo. È il caso di
padre Zelinskij,
che collabora
«Nel corso
con la biblioteca
della messa vedo
dell’Università
portare le offerte
Cattolica e svolall’altare da gente
ge contemporacon mani callose.
neamente un’inQuei calli sono
tensa attività
il simbolo delle
pubblicistica. «Il
loro fatiche. E io,
fatto di avere un
lavorando, sento
orario flessibile
di capire
- dice - mi agele loro difficoltà»
vola molto. Tra
l’altro ho anche un buon rapporto
con chi lavora con me e questo mi
dà serenità».
Il rapporto con i colleghi, nel tempo, diventa qualcosa di speciale.
«Con me - racconta l’archimandrita
Atenagora - lavorano un diacono
permanente cattolico e un diacono
evangelico. Nella nostra azienda si
respira un’aria ecumenica che si coniuga con un forte rispetto reciproco
a livello personale e teologico. Questo
atteggiamento ha attirato su di noi
l’ammirazione da parte dei colleghi».
Un rapporto che, in alcuni casi, si
trasforma in amicizia e confidenza.
«In ufficio - spiega padre Vasilescu 46 Popoli agosto-settembre 2011
non ho mai nascosto il mio essere sacerdote ortodosso. Come potrei visto
la lunga barba che porto? Per tutti io
sono sempre stato padre Giorgio, un
prete, un collega e un amico. E non
sono mai stato emarginato. Anzi, a
volte, durante la pausa pranzo ho
iniziato a dialogare con i colleghi
che mi sottoponevano i loro problemi
e mi chiedevano un parere come ortodosso, come romeno e come (fino a
poco tempo fa) extracomunitario».
IL VALORE AGGIUNTO
Il lavoro può avere ricadute positive sull’attività pastorale? I sacerdoti ortodossi sono convinti di sì:
un’occupazione non solo non è un
ostacolo, ma è un valore aggiunto.
«Per le Chiese ortodosse - spiega padre Teofilo - il sacerdozio è innanzi
tutto servizio. A noi sacerdoti viene
chiesto di servire la comunità in cui
viviamo e operiamo e non di essere
serviti da essa. Questo è il nostro
ideale di Chiesa. E questo ideale si
fonde alla perfezione con il nostro
impegno come operai, impiegati o dirigenti. Noi lavoriamo e con il nostro
lavoro sosteniamo la Chiesa senza
abusare delle sue risorse, peraltro
molto scarse».
Non si tratta però solo di un rispar-
mio per le casse dei patriarcati, ma di
qualcosa di più. Di una sorta di empatia con i propri fedeli, con i quali si
condividono fatiche e problemi. «Nel
corso della messa - osserva padre
Vasilescu - vedo portare le offerte
all’altare da gente con mani callose. Quei calli sono il simbolo delle
loro fatiche. Sono convinto che Dio
ami e comprenda profondamente chi
lavora. E anch’io, lavorando, sento
di capire meglio le loro difficoltà:
le problematiche con i colleghi e i
datori di lavoro, la precarietà e la
perdita del posto, il fatto che spesso siano derisi e maltrattati perché
stranieri. Molti vengono in canonica
e si confidano. Io li ascolto e cerco
di sostenerli, facendo anche scoprire
loro la forza della fede». «L’ambiente
di lavoro - sottolinea l’archimandrita
Atenagora - mi ha aiutato e mi aiuta
a comprendere a fondo i problemi che
le persone vivono oggi: dai problemi
familiari al disagio giovanile, per
non parlare dell’alcolismo e della
tossicodipendenza. Ho toccato con
mano queste situazioni e per me
non sono fenomeni astratti. Certo,
lo ripeto, conciliare lavoro e attività
pastorale non è semplice. Ma spesso
mi accorgo di fare il sacerdote più in
ufficio che fuori di esso».