La malattia tromboembolica venosa
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La malattia tromboembolica venosa
La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare A cura di Pietro F. Tropeano Presentazione Prof. Antonio Girolami P UBBLICAZIONI M EDICO S CIENTIFICHE 1 2 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare NOTA: L’Editore non si assume alcuna responsabilità per le affermazioni o le opinioni espresse in questo libro. Gli Autori e l’Editore hanno compiuto ogni ragionevole sforzo per assicurare che le terapie descritte siano accurate ed in accordo con gli standard accettati al momento della pubblicazione. Si consiglia tuttavia ai lettori di controllare che non siano intervenute variazioni riguardo i dosaggi o le controindicazioni relative alla somministrazione di farmaci. Questa raccomandazione riveste particolare importanza nell’uso di farmaci nuovi o di impiego poco frequente. L’Editore non si assume alcuna responsabilità, espressa od implicita, riguardo l’accuratezza delle informazioni contenute in questo libro e declina qualsiasi tipo di responsabilità legale rispetto ad eventuali errori od omissioni. Copyright © 2004 PMS P UBBLICAZIONI M EDICO S CIENTIFICHE Casella Postale 207 - 33100 Udine Tel 04 32 67 29 94 - Fax 04 32 64 28 68 Sito Web: pmslibri.com e-mail: [email protected] Prima Edizione: gennaio 2005 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del presente volume può essere riprodotta, memorizzata, trasmessa, diffusa od adattata in alcun modo, comprese le copie fotostatiche, anche ad uso interno o didattico, senza il precedente consenso scritto dell’Editore. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 3 Presentazione Durante le ultime decadi, diagnosticate ed inquadrate le malattie emorragiche, gli esperti in coagulazione hanno tentato di trovare la base biologica o molecolare della trombosi. In particolare della trombosi venosa in quanto la trombosi arteriosa, nelle sue forme più eclatanti, quali l’infarto del miocardio e l’ictus ischemico, ha già ricevuto particolare attenzione attraverso gli studi sulla funzionalità piastrinica. La trombosi venosa è stata sempre considerata come meno grave e meno importante. Data la limitatezza degli esami diagnostici, la marrior parte delle morti per embolia polmonare era attribuita ad infarto del miocardio o a morte elettrica. La prima dimostrazione dell’importanza della malattia tromboembolica venosa scaturisce da ricerche autoptiche. Negli anni ’50 e ’60, infatti, vari studi anatomo-patologici hanno richiamato l’attenzione sulla frequenza con cui, all’autopsia, vengono trovati emboli in arteria polmonare. Questo avviene tanto in persone decedute per varie cause e che avevano presentato nell’ultimo periodo della loro vita trombosi venosa agli arti, tanto in pazienti senza apparenti manifestazioni trombovenose note. In seguito si è visto che l’embolia polmonare è presente il circa il 30-40% dei pazienti con TVP. Inoltre è stato visto che circa il 20-30% delle embolie polmonari si manifesta in pazienti senza TVP clinicamente apparente. Un grande ostacolo alla corretta diagnosi della TVP scaturiva dal fatto che molti medici erano restii a far eseguire una flebografia, unica procedura diagnostica disponibile e gravata da numerose complicanze. 4 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Negli anni ’80, con la grande diffusione delle procedure ecografiche e pletismografiche la flebografia è passata in secondo piano. La non invasività e la semplicità di queste procedure hanno permessola loro estensione ad un numero sempre maggiore di pazienti. Allora si è iniziato a vedere la reale frequenza del fenomeno trombotico pari a circa 1/1.000 persone per anno. Una diagnosi precoce ha portato ad una terapia più mirata con una riduzione della morbilità e mortalità. Sul versante della conoscenza delle cause predisponenti o scatenanti, congenite ed acquisite, della TVP esistono ancora dubbi. Infatti, nonostante l’individuazione di vari, più o meno gravi, difetti della coagulazione e nonostante le note cause di condizioni acquisite (traumi, immobilizzazione, farmaci, stasi, ecc.) circa il 30% di tutte le trombosi venose devono essere definite come idiopatiche o primitive. Si deve concludere pertanto che, pur avendo fatto grandi progressi, lo studio della malattia tromboembolica venosa necessita ancora di studi e conoscenze. Questo riguarda anche e soprattutto l’adeguata informazione del medico pratico. Un adeguato, pronto sospetto clinico, specie nel contesto di un paziente dispnoico, tachicardico e collassato, può portare ad una corretta diagnosi di embolia polmonare e ad una pronta ed efficace terapia. In questo contesto l’opera del Dott. Tropeano è encomiabile per la sua semplicità e perché, avvalendosi del contributo di esperti, può fornire una visione aggiornata in un contesto eminentemente clinico-pratico del problema della malattia tromboembolica venosa. Il manuale appare completo, semplice ed include anche aspetti, quali l’assistenza infermieristica ed i risvolti medicolegali, spesso trascurati anche nella trattatistica più voluminosa. Mi auguro che il volume possa avere l’accoglienza che merita e contribuire all’aggiornamento dei medici pratici ed anche dei medici ospedalieri delle varie specialità. Tale aggiornamen- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 5 to si tradurrà di conseguenza nella riduzione della morbilità e mortalità per malattia tromboembolica venosa. Questo deve essere, in fondo, l’obiettivo principe di un buon medico. Prof. Antonio Girolami Ordinario di Medicina Interna Università di Padova 6 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 7 Introduzione È con molto piacere che ho curato la nuova edizione del testo sulla Malattia Tromboembolica Venosa pubblicato, per la prima volta, alcuni anni fa. L’occasione mi è stata fornita dal Corso di Aggiornamento sulla tematica tromboembolica, giunto ormai al suo IV° appuntamento, organizzato dall’ambulatorio di Emostasi e Trombosi della nostra Azienda Ospedaliera. In sintonia con il Corso, il manuale, vuole fornire un approccio multidisciplinare e pratico nella gestione del tromboembolismo venoso, una condizione medica frequente, subdola e trasversale, responsabile di un elevato costo socio-economico sia per la notevole prevalenza nella popolazione generale, sia perché gravata da complicanze potenzialmente fatali o invalidanti. Negli ultimi anni si è osservato un aumento costante dell’incidenza di questa patologia legato all’allungamento della vita media, alla prolungata sopravvivenza dei pazienti affetti da neoplasie e malattie croniche, all’aumento della patologia traumatica, all’estensione degli interventi chirurgici a fasce di età superiori, all’utilizzo sempre più frequente di cateteri venosi centrali e alla diffusione della terapia estrogenica sia sostitutiva che contraccettiva. Questo manuale è rivolto ai Medici Ospedalieri, ai Medici di Medicina Generale, agli Infermieri Professionali e alle varie figure specialistiche sempre più coinvolte nella gestione di una patologia considerata spesso “non di propria competenza” e proprio per questo, a volte, non adeguatamente valutata e trattata. Debbo ringraziare per la disponibilità dimostrata nell’accogliere il mio invito e per la consueta padronanza scientifica degli argomenti trattati i Relatori ed Autori dei vari capitoli di cui 8 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare si compone il testo: i cari amici Prof. Paolo Prandoni, Prof. Gualtiero Palareti, Prof. Domenico Prisco, Dott.ssa Anna Falanga, Dott. Gianluigi Scannapieco, Dott. Giovanni Del Ben, Dott. Gianni Segalla e la Signora Lucia Basso. Un sentito ringraziamento va al Dr. Valter Donadon, Capo Dipartimento di Medicina I e al Dr. Luigi Virgolini Responsabile dell’Unità Operativa di Medicina II per aver contribuito alla realizzazione dell’ambulatorio di Emostasi e Trombosi all’interno della nostra Azienda Ospedaliera. Ed infine un grazie per la consueta competenza e professionalità alla Casa editrice PMS Pubblicazioni Medico Scientifiche che ha curato la parte grafica-editoriale del testo. Pordenone, Novembre 2004 Pietro F. Tropeano La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Collaboratori Lucia Basso Dipartimento di Medicina I, A.O. “Santa Maria degli Angeli”, Pordenone Benilde Cosmi U.O. di Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli” Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna Giovanni Del Ben Direzione Sanitaria, Centro di Riferimento Oncologico, Aviano PN Anna Falanga Divisione di Ematologia, Ospedali Riuniti di Bergamo Gualtiero Palareti U.O. di Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli” Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna Paolo Prandoni Istituto di Clinica Medica II, Università di Padova Domenico Prisco Dipartimento di Area Critica Medico-chirurgica, Centro Trombosi, A.O.U. Careggi, Firenze Gianluigi Scannapieco U.O Medicina I, Comitato per la Malattia Tromboembolica Ospedale “Cà Foncello”, Treviso Gianni Segalla Medico di Medicina Generale ASS n° 6 “Friuli Occidentale” Pietro F. Tropeano Unità di Emostasi e Trombosi, Dipartimento di Medicina I A.O. “Santa Maria degli Angeli”, Pordenone 9 10 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 11 Indice Presentazione ......................................................................... 3 Introduzione ........................................................................... 7 Collaboratori .......................................................................... 9 1. La diagnosi della malattia tromboembolica venosa ........ 15 1.1 Diagnosi della trombosi venosa profonda ................. 17 Flebografia degli arti inferiori ................................... 17 Ecotomografia a compressione seriata ..................... 18 Ecografia con compressione e D-dimero ................... 21 Ecografia con compressione e probabilità clinica ..... 22 D-dimero e probabilità clinica .................................. 24 1.2 Diagnosi dell’embolia polmonare .............................. 25 Diagnosi clinica e probabilità clinica ........................ 25 Iter diagnostico nei pazienti con sospetta EP ........... 28 Possibilità diagnostiche alternative .......................... 33 1.3 Bibliografia consigliata ............................................. 35 2. La terapia della malattia tromboembolica venosa .......... 41 2.1 Anticoagulazione ....................................................... 43 Limiti della eparina non frazionata ........................... 44 Vantaggi del trattamento con EBPM ......................... 46 L’uso delle EBPM per la terapa delle TEV ................. 48 Controllo di laboratorio della terapia con EBPM ...... 49 2.2 Il trattamento domiciliare della MTEV ...................... 50 2.3 Trattamento dei pazienti con cancro e MTEV ........... 54 2.4 Nuovi farmaci antitrombotici nel trattamento del tromboembolismo venoso ................................... 56 2.5 Bibliografia consigliata ............................................. 57 12 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 3. Il ruolo del Medico di Medicina Generale nella gestione della malattia tromboembolica venosa ............. 61 3.1 Il management della MTEV ed il MMG ...................... 63 3.2 La profilassi della MTEV sul territorio ...................... 68 3.3 Bibliografia consigliata ............................................. 71 4. La gestione integrata del paziente con trombosi venosa profonda ............................................................. 73 4.1 Il sospetto diagnostico di trombosi venosa profonda ................................................................... 75 4.2 Score di probabilità clinica di malattia tromboembolica venosa ....................................................... 77 4.3 Trattamento domiciliare del paziente con trombosi venosa profonda ........................................ 84 Scheda personalizzata di diagnosi e cura ................. 88 4.4 Il trattamento domiciliare della tromboflebite superficiale ............................................................... 93 4.5 Bibliografia consigliata ............................................. 94 5. Profilassi e terapia della malattia tromboembolica venosa nel paziente oncologico ....................................... 97 5.1 La profilassi del tromboembolismo venoso nel paziente oncologico ................................................. 100 Chirurgia ................................................................ 100 Cateteri venosi centrali ........................................... 101 Chemioterapia ........................................................ 102 5.2 La terapia del tromboembolismo venoso nel paziente oncologico ................................................. 104 5.3 Conclusioni ............................................................. 105 5.4 Bibliografia consigliata ........................................... 106 6. La malattia tromboembolica venosa in ostetricia e ginecologia ................................................................. 109 6.1 La malattia tromboembolica venosa in gravidanza . 111 Quando sospettare una condizione di trombofilia? 115 Quali test usare per la ricerca dei polimorfismi del fattore V? .......................................................... 117 6.2 Profili di rischio per MTEV in gravidanza e tromboprofilassi ................................................... 120 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 13 6.3 Rischio tromboembolico e tromboprofilassi in chirurgia ginecologica ......................................... 124 6.4 Tromboembolismo venoso acuto in gravidanza e nel puerperio: diagnosi e terapia .......................... 125 6.5 Anestesia spinale/epidurale e profilassi antitrombotica ........................................................ 129 6.6 Tromboembolismo venoso e terapia estroprogestinica ............................................................ 130 6.7 Bibliografia consigliata ........................................... 132 7. La profilassi della malattia tromboembolica venosa in medicina interna ...................................................... 137 7.1 Il rischio di tromboembolismo in medicina interna 139 Scompenso cardio-circolatorio ............................... 141 Infarto miocardico .................................................. 141 Ictus cerebrale ........................................................ 142 Insufficienza respiratoria ........................................ 143 Malattie infiammatorie croniche intestinali ............ 143 Sindrome nefrosica ................................................. 143 Cateteri venosi centrali ........................................... 144 7.2 La profilassi del tromboembolismo venoso in medicina interna ................................................ 144 7.3 La profilassi del TEV nei pazienti cronicamente allettati ................................................................... 148 7.4 Raccomandazioni della SISET per la profilassi del TEV in medicina interna ................................... 151 7.5 Raccomandazioni dell’ACCP per la profilassi del TEV in medicina interna ................................... 152 7.6 Bibliografia consigliata ........................................... 153 8. Nursing e malattia tromboembolica venosa ................. 159 8.1 Individuare il rischio tromboembolico nei pazienti ospedalizzati .............................................. 162 8.2 Rilevare le eventuali manifestazioni di complicanze tromboemboliche e legate alla terapia .................... 163 8.3 Misure di profilassi non farmacologiche della MTEV ............................................................. 165 14 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 8.4 La gestione infermieristica della terapia eparinica e anticoagulante orale ............................. 167 8.5 Come attuare l’educazione sanitaria ...................... 167 8.6 Conclusioni ............................................................. 168 8.7 Bibliografia consigliata ........................................... 169 9. Nuovi farmaci antitrombotici per la profilassi e la terapia del tromboembolismo venoso .................... 171 9.1 Inibitori del complesso fattore VIIa/TF ................... 174 9.2 Inibitori del fattore Xa ........................................... 176 9.3 Inibitori diretti della trombina (Fattore IIa) ............ 181 9.4 Altri farmaci antitrombotici .................................... 188 Inibitori dei Fattori Va e VIIIa ................................. 188 Derivati eparinici .................................................... 188 Eparinoidi ............................................................... 189 9.5 Conclusioni ............................................................. 189 9.6 Bibliografia consigliata ........................................... 191 10. Aspetti medico-legali della malattia tromboembolica venosa .......................................................................... 195 10.1 La responsabilità professionale ............................ 197 10.2 Bibliografia consigliata ......................................... 201 Glossario ............................................................................ 203 Indice analitico ................................................................... 205 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 15 1. LA DIAGNOSI DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA 16 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 1. 17 LA DIAGNOSI DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Paolo Prandoni Istituto di Clinica Medica II, Universit‡ di Padova Numerosi studi compiuti negli ultimi decenni hanno dimostrato che il sospetto clinico di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP) è confermato da indagini obiettive solo nel 30-50% dei pazienti. Alla raccolta delle informazioni cliniche compete pertanto il solo compito di indurre il sospetto di TVP, ponendo così l’indicazione per l’esecuzione dei test obiettivi destinati a confermarla o ad escluderla. 1.1 DIAGNOSI DELLA TROMBOSI VENOSA PROFONDA Flebografia degli arti inferiori Per molti anni la flebografia degli arti inferiori ha rappresentato lo standard di riferimento per la diagnosi di TVP. Tale indagine fornisce una dimostrazione diretta della trombosi e consente la più completa delineazione della sua estensione nel vivente (Figura 1). Essa è l’unica metodica in grado di identificare con accuratezza la trombosi isolata delle Figura 1. Flebografia dell’arto inferiore. Trombosi delle vene del polpaccio (frecce). 18 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare vene muscolari del polpaccio, dove ha quasi sempre insorgenza la TVP. Tale indagine presenta però numerosi inconvenienti: è infatti costosa ed invasiva; inoltre la sua esecuzione ed interpretazione richiedono considerevole esperienza. Per tale motivo la ricerca degli ultimi 20 anni si è indirizzata verso metodiche alternative. Tra queste, quelle che hanno ricevuto i più ampi consensi a motivo di una elevata accuratezza, praticità di esecuzione ed ampia disponibilità sono indicate di seguito. Ecotomografia a compressione seriata L’approccio più collaudato e praticabile ai pazienti con sospetta TVP è oggi rappresentato dall’ecotomografia real-time (ETG), applicando il criterio della compressibilità dei vasi venosi(1). Se la vena esaminata è pervia, una lieve pressione esercitata direttamente su di essa con la sonda ecografica determina il completo collasso del lume; quando invece il lume è occupato da un trombo, il suo calibro non si modifica, o si modifica solo parzialmente con la compressione (Figura 2). Di ogni arto in esame vengono esplorate la vena femorale comune all’inguine in decubito supino e la vena poplitea nel cavo omonimo in decubito prono. Tale modalità di approccio consente la rapida e agevole identificazione di tutti i casi in cui la trombosi venosa interessa il distretto prossimale (coinvolgente cioè la vena poplitea e/ o vene profonde più prossimali), dato che l’uno o l’altro dei due punti di repere sopra indicati sono pressoché costantemente interessati dall’affezione(2). La straordinaria accuratezza di tale metodica per la diagnosi di TVP prossimale è stata ben dimostrata(1,3). Il limite di tale metodica è rappresentato dalla difficoltà di valutare le vene sottopoplitee. È stato però dimostrato che lasciare indiagnosticata la trombosi distale isolata non è pericoloso per i pazienti, a condizione che la vena poplitea sia indagata in modo estensivo fino alla sua triforcazione nelle vene distali, e l’esame strumentale venga ripetuto dopo una settimana in pazienti con test ba- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 19 Figura 2. Ecografia con compressione della vena femorale comune (scansione trasversale). La vena femorale risulta totalmente comprimibile (assenza di TVP). sale negativo, allo scopo di cogliere i rari casi in cui la trombosi si estende prossimalmente(4,5). L’ETG può essere combinata con Doppler pulsato nel cosiddetto “Duplex scanning”, che consente di variare la profondità del segnale Doppler e di misurarlo con precisione in corrispondenza dei vasi visualizzati nell’immagine ecografica. Tale valutazione selettiva del flusso venoso elimina ogni confusione con segnali provenienti da eventuali circoli collaterali e migliora ulteriormente le possibilità diagnostiche dell’ETG. Negli ultimi 10 anni si è affermata una tecnica di esecuzione che accoppia nella medesima immagine le informazioni dell’ETG real-time ad un mappaggio colorimetrico delle velocità di flusso ottenuto dalla elaborazione di segnali Doppler pulsati (colorDoppler). Il color Doppler consente perciò una rappresentazione diretta sia della parete venosa che del flusso all’interno del 20 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare lume; l’immagine risultante può essere considerata una vera e propria “flebografia ecografica” simile per certi versi alla flebografia (Figura 3). La TVP acuta si rende evidente come un’assenza di colore (difetto di flusso) all’interno del lume, di ecogenicità diversa a seconda dell’età del trombo (Figura 4). I dati disponibili in letteratura nella valutazione diagnostica dei pazienti con sospetta TVP indicano che il color Doppler non migliora i già eccellenti risultati dell’ETG con compressione nella diagnosi delle trombosi prossimali(6-8). Un potenziale vantaggio è rappresentato dalla possibilità di visualizzare con maggiore accuratezza le vene della gamba. Tuttavia tale requisito richiede il conforto di indagini rigorose, capaci di identificare e validare estensivamente criteri di diagnosi semplici, riproducibili e dotati di elevata specificità, che non sono state ancora eseguite. A tutt’oggi un solo studio ha dimostrato la sicurezza dell’astensione della Figura 3. Ecocolordoppler della vena femorale comune (scansione longitudinale). La vena femorale, identificata dal colore blu, risulta totalmente comprimibile (assenza di TVP). La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 21 Figura 4. Ecocolordoppler della vena poplitea. Il lume della vena poplitea è ingrandito ed occupato da materiale ipoecogeno. Il flusso è assente (assenza di colore). Rilievo compatibile con TVP. terapia anticoagulante in pazienti con normale indagine colorDoppler dell’intero asse venoso profondo(9). Resta poi da valutare l’implicazione della diagnosi sistematica di una TVP distale isolata: il riconoscimento di tale condizione ha infatti la potenzialità di esporre un gran numero di individui ai costi ed ai rischi di un trattamento anticoagulante probabilmente destinato a pochi. Ecografia con compressione e D-dimero La strategia diagnostica testè descritta (ETG con compressione seriata) presenta un evidente inconveniente, quello cioè della necessità di ripetere il test dopo una settimana in tutti i pazienti con il sospetto diagnostico dell’affezione per identificare quei pochi (2-5%) in cui un’eventuale trombosi distale si estende 22 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare prossimalmente rendendosi riconoscibile. La ricerca di questi ultimi anni si è pertanto indirizzata verso l’identificazione di parametri, clinici o laboratoristici, in grado di selezionare, tra i pazienti sintomatici con test non invasivo negativo, quelli che non necessitano di ripetizione dell’esame strumentale nei giorni successivi. Dato che da numerosi anni erano disponibili informazioni che suggerivano un’elevata sensibilità (associata ad un elevato valore predittivo negativo) della ricerca del D-dimero nei confronti del tromboembolismo venoso (10), due ricerche recenti hanno testato la sicurezza di un approccio combinato che risparmiasse la ripetizione dell’ETG in pazienti con test basale negativo combinato con un D-dimero negativo: in una è stato impiegato un test semiquantitativo rapido su plasma (Instant I.A.)(11), nell’altra un latex-test eseguibile con rapidità al letto del paziente su sangue intero ottenuto con puntura del dito(12). La ripetizione dell’ETG veniva invece mantenuta nei pazienti con D-dimero positivo. In entrambe le ricerche, secondo un disegno ben collaudato, i pazienti con ETG negativa furono osservati per tre mesi in assenza di anticoagulazione, registrando eventi tromboembolici con frequenze oscillanti tra 0.2 e 1.0%, che sono del tutto confrontabili con quelle registrate negli studi che avevano utilizzato l’ETG seriata. In considerazione dei risultati di tali ricerche, percentuali oscillanti dal 70 al 90% dei pazienti che giungono all’osservazione con i sintomi di TVP possono oggi ricevere una diagnosi pro o contro l’esistenza di una TVP acuta in prima giornata, analogamente a quanto si verifica con l’impiego della flebografia, ma in totale assenza degli inconvenienti di tale metodica invasiva. Ecografia con compressione e probabilità clinica pre-test Negli ultimi anni è stato suggerito e validato un secondo approccio, basato sulla combinazione di una ETG negativa con una bassa probabilità clinica “a priori” di TVP. In una prima parte della ricerca furono identificati i parametri clinici associati La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 23 con differenti probabilità di malattia. La ricerca di tali parametri venne effettuata in un’ampia coorte di pazienti sintomatici, assegnando ad ogni paziente il grado di probabilità che conseguiva dall’applicazione dei criteri indicati in Tabella I prima dell’esecuzione di una flebografia (13). Nella seconda parte della ricerca i pazienti con ETG negativa, applicando il criterio della compressibilità dei vasi venosi, e bassa probabilità clinica pretest dell’affezione furono congedati come esenti da trombosi, mentre la ripetizione dell’ETG veniva mantenuta in pazienti con probabilità intermedia; nei rari casi di discordanza tra ETG (negativa) e probabilità clinica (alta) veniva raccomandata l’esecuzione della flebografia. I pazienti con ETG negativa furono osservati clinicamente per tre mesi, registrando una bassa incidenza di eventi tromboembolici sintomatici (0.6%)(14). Tale strategia diagnostica si affianca pertanto a quella precedentemente descritta che contempla l’esecuzione del D-dimero, indicando un approccio valido e sicuro per tutte quelle circostanze in cui tale test di laboratorio non sia ottenibile in tempi rapidi. Tabella I. Modello clinico per la determinazione della probabilità clinica pre-test di TVP. Cancro in fase di attività Paralisi, paresi od ingessatura di un arto inferiore Recente allettamento e/o chirurgia maggiore Tensione localizzata lungo la distribuzione del sistema venoso profondo Rigonfiamento generalizzato dell’arto Aumento della circonferenza del polpaccio (> 3 cm rispetto al lato sano) Edema improntabile dell’arto sintomatico Vene collaterali superficiali (non varicose) Diagnosi alternativa Calcolo della probabilità: Alta Moderata Bassa >3 1-2 <0 1 1 1 1 1 1 1 1 -2 24 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare È interessante il rilievo che uno studio recentissimo ha testato con successo un approccio che incorpora nello stesso algoritmo entrambe le strategie sopra descritte(15). In un gruppo di 811 soggetti con sospetta TVP l’ETG basale degli arti inferiori non è stata ripetuta non solo in pazienti con bassa probabilità clinica pre-test, ma nemmeno in coloro che, pur avendo una probabilità clinica medio-alta, avevano un D-dimero negativo, registrando una scarsissima incidenza di eventi clinici nel follow-up dei pazienti congedati con una sola ETG. D-dimero e probabilità clinica pre-test Ulteriori semplificazioni dell’approccio diagnostico a pazienti con sospetta TVP sono state recentemente proposte e validate. Esse prevedono la totale soppressione di ogni test diagnostico strumentale in pazienti con bassa probabilità clinica e D-dimero negativo (16-20). Con l’ausilio di tale approccio percentuali vicine al 50% dei pazienti che giungono all’osservazione con il sospetto di TVP possono ricevere una corretta interpretazione diagnostica senza l’ausilio di test diagnostici. Al di là del fatto che tale strategia possa giocare un ruolo tutt’altro che trascurabile in contesti geografici di scarsa accessibilità a strutture diagnostiche, non ci sentiamo di raccomandare agli operatori l’impiego routinario di tale approccio, che potrà tutt’al più essere utilizzato in circostanze (come ad esempio le ore notturne od i giorni festivi) in cui non sono disponibili indagini strumentali: nell’attesa che queste possano essere eseguite, molti soggetti potranno essere esentati con sufficiente sicurezza da costosi e pericolosi provvedimenti anticoagulanti “d’attesa”. Uno studio ha anche testato la sicurezza di congedare come non aventi TVP soggetti con D-dimero negativo, prescindendo dalla probabilità clinica a priori(21). Va tuttavia segnalato che il successivo follow-up condotto nei pazienti in cui la TVP era stata in apparenza esclusa ha segnalato una frequenza di eventi tromboembolici nei tre mesi successivi (2.6%) decisamente più La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 25 alta di quella riscontrata impiegando le strategie precedentemente descritte, cosicché tale approccio non sembra raccomandabile. 1.2 DIAGNOSI DELL’EMBOLIA POLMONARE La diagnosi dell’embolia polmonare (EP) rimane ancor oggi uno dei problemi clinici più comuni e al tempo stesso più difficili da risolvere. La totale aspecificità dei sintomi e dei segni clinici dell’EP, comunemente presenti anche in numerose affezioni cardiache e polmonari, ostacola la corretta formulazione del sospetto clinico, in modo particolare nei soggetti anziani, cosicchè l’incidenza di tale affezione è clinicamente sottostimata con l’aumento dell’età dei pazienti. Come dimostrato da numerosi attendibili studi autoptici, l’EP viene correttamente diagnosticata nel vivente in meno della metà dei casi, e l’accuratezza scende a valori inferiori al 30% nella popolazione anziana. La mortalità per EP rimane molto elevata in assenza di un adeguato trattamento; tuttavia la mortalità nei pazienti che siano sopravvissuti almeno un’ora all’insulto embolico scende da circa il 32% nei pazienti non diagnosticati a circa l’8% nei casi in cui la malattia viene riconosciuta e adeguatamente trattata (22). Data la natura proteiforme dell’EP e le differenti modalità cliniche di presentazione, la diagnosi clinica richiede pertanto un alto indice di sospetto e l’avvio dell’appropriato iter diagnostico per consentire una sicura definizione tutte le volte che si formula il sospetto clinico. Diagnosi clinica e probabilità clinica pre-test La sintomatologia dell’EP è quanto mai variabile ed aspecifica, essendo correlata sia con l’entità delle alterazioni emodinamiche, a loro volta dipendenti dal numero e dal volume degli emboli, sia con le preesistenti condizioni dell’apparato cardiore- 26 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare spiratorio. Nei soggetti senza precedenti affezioni cardiache o polmonari gli emboli di piccole dimensioni sono nella maggior parte dei casi clinicamente del tutto silenti. Nelle Tabelle II e III sono elencati i principali sintomi e segni presenti all’esordio dell’EP, ricavati dai risultati di un importante studio multicentrico statunitense (UPET) del 1973, ripartiti tra forme massive (cioè con riduzione della vascolarizzazione polmonare documentata angiograficamente > 50%) e forme submassive(23,24). Nessuno dei sintomi o segni obiettivi riportati nelle tabelle, sia considerati separatamente che in varia associazione fra loro, è pato- Tabella II. Frequenza dei principali sintomi clinici di embolia polmonare (da studio UPET). Sintomi dispnea dolore toracico ansia tosse emottisi sudorazione sincope EP massiva % EP submassiva % 79 62 61 50 27 27 22 83 84 56 60 44 24 4 Totale 81 72 59 54 34 26 14 Tabella III. Frequenza dei principali segni obiettivi di embolia polmonare (da studio UPET). Segni rantoli aum. T2 polmon. segni di TVP 3°-4° tono cianosi tachipnea tachicardia febbre EP massiva % EP submassiva % Totale 50 60 42 47 28 - 57 44 21 17 6 - 53 53 33 34 18 87 44 42 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 27 gnomonico dell’EP. Essi sono infatti condivisi da moltissime comuni cardiopatie e pneumopatie sia acute che croniche. Questo spiega l’elevata incidenza di diagnosi sbagliate, in modo particolare nell’età avanzata, data la più frequente concomitanza di affezioni cardiache o polmonari croniche di altra natura, i cui sintomi di esordio sono spesso indistinguibili da quelli dell’EP. Nei pazienti anziani, soprattutto se affetti da preesistente insufficienza cardiorespiratoria, la diagnosi di EP è particolarmente difficile perché la sintomatologia può essere mascherata dal substrato clinico dell’affezione di base. In alcuni casi l’embolia può manifestarsi semplicemente come improvviso aggravamento delle condizioni cliniche, come un aumento della dispnea, la comparsa di un’insufficienza ventricolare sinistra o di una fibrillazione atriale. La diagnosi dell’EP richiede pertanto un alto indice di sospetto e l’avvio di un appropriato iter diagnostico includente la richiesta di scintigrafia polmonare ogni qual volta i rilievi clinici abbiano suggerito la possibilità di un’embolia. Una ragionevole eccezione è rappresentata da pazienti con bassa probabilità clinica “a priori” dell’affezione e concomitante negatività del D-dimero. Sulla base infatti dei rilievi di recentissimi studi prospettici, in tali pazienti la diagnosi può essere scartata immediatamente(25-28). Per probabilità pre-test si intende l’arbitraria assegnazione del paziente ad una tra tre differenti categorie (bassa, intermedia o alta probabilità di EP) da formulare fin dal tempo della iniziale osservazione del paziente tenendo conto dei seguenti fattori: maggiore o minore tipicità della presentazione clinica, presenza o assenza di uno o più fattori di rischio per malattia tromboembolica venosa, presenza o assenza di affezioni concomitanti o preesistenti che possono entrare in diagnostica differenziale. È generalmente accettato che essa possa essere formulata dopo aver acquisito anche le informazioni provenienti da indagini che sono abitualmente ottenibili con rapidità: l’ECG, la radiografia del torace e l’emogasanalisi. Allo scopo di agevolare l’applicazione di tale criterio, è stata recentemente propo- 28 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare sta e validata una classificazione semplificata (Tabella IV), che consente l’assegnazione dei pazienti con sospetta EP a due sole classi di probabilità, bassa e alta(26). Nel caso di un D-dimero negativo e di una bassa probabilità clinica pre-test (score < 4 applicando i criteri della Tabella IV), si potrà evitare il ricorso alla scintigrafia polmonare, da riservare invece a tutte le altre circostanze. Iter diagnostico nei pazienti con sospetta embolia polmonare La mancanza di specificità dei criteri clinici di diagnosi dell’EP e l’intrinseca pericolosità dei farmaci anticoagulanti impongono il ricorso a test obiettivi per confermare od escludere la presenza dell’affezione. L’arteriografia polmonare è l’unico metodo in grado di identificare con sicurezza emboli polmonari, anche di piccole dimensioni, o di escluderne la presenza ai fini pratici (Figura 5). Essa non può però essere impiegata come metodo di screening sia per la sua invasività che per motivi di costo, di praticità e di disponibilità. Si rende pertanto indispensabile selezionare i pazienti candidati a tale indagine attraverso il ricorso ad una appropriata sequenza diagnostica. Tabella IV. Modello clinico per la determinazione della probabilità clinica pre-test di EP. Segni e sintomi di TVP Alternativa diagnostica meno probabile dell’EP Frequenza cardiaca > 100/min Immobilizzazione o chirurgia nelle precedenti 4 settimane Precedente TVP/EP Emottisi Cancro in fase di attività Calcolo della probabilità: Alta Bassa >4 <4 3 3 1.5 1.5 1.5 1 1 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 29 Figura 5. Arteriografia polmonare destra. Evidenti difetti di riempimento. Alcuni vasi risultano bruscamente interrotti. Rilievo compatibile con embolia polmonare. Una volta formulato il sospetto clinico è necessario procedere con rapidità ad un prelievo di sangue venoso per la determinazione di alcuni test ematologici (esame emocromocitometrico, PT e APTT) e del D-dimero, prediligendo un metodo ad elevata sensibilità. I primi hanno lo scopo di escludere l’esistenza di alterazioni coagulative, congenite o acquisite, che controindicano l’impiego dell’eparina e di ottenere i valori di riferimento per il controllo successivo della terapia anticoagulante. Quanto al D-dimero, l’elevato valore predittivo negativo di tale test può consentire di escludere con ragionevole probabilità la diagnosi, orientando verso patologie alternative, soprattutto nei casi a scarsa probabilità clinica(21,29). Va effettuato inoltre senza indugio un prelievo di sangue arterioso in aria ambiente per la determinazione dell’emogasanalisi, che in alcuni casi consente di acquisire preziose informazioni a sostegno del sospetto clinico. 30 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Infatti una ipossiemia arteriosa, in presenza di tensione parziale della CO2 normale o ridotta, è pressoché costante nell’EP, ed è inversamente proporzionale all’estensione del processo embolico. Dopo la copertura con eparina, indispensabile per proteggere fin dalle fasi iniziali i pazienti con EP, l’iter diagnostico prevede l’esecuzione dell’ECG e della radiografia del torace. A que- Figura 6. Scintigrafia perfusoria con normale distribuzione del mezzo di contrasto. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 31 sti test compete principalmente il compito di escludere affezioni che possono entrare in diagnostica differenziale. La loro normalità, infatti, non esclude la possibilità dell’EP. La scintigrafia di perfusione rappresenta l’elemento chiave della diagnosi strumentale di EP per la sua elevata sensibilità ai difetti di perfusione causati dalle ostruzioni emboliche. Essa dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti con sospetta EP che presentino un D-dimero positivo e/o un’alta probabilità clinica (score > 4 applicando i criteri della tabella IV), che non si trovino in condizioni così critiche da far preferire il ricorso immediato all’angiografia polmonare. Nei pazienti con scintigrafia di perfusione negativa si può praticamente escludere la presenza di un’EP angiograficamente dimostrabile e non sono necessari ulteriori test diagnostici (Figura 6) (30-32). In tutti gli altri casi è giustificato il ricorso alla scintigrafia ventilatoria (Figura 7) (Ta- Figura 7. Scintigrafia ventilo-perfusionale dei polmoni. Ventilazione sostanzialmente conservata nei segmenti ipoperfusi. Rilievo ad alta probabilità di embolia polmonare. 32 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare bella V: PIOPED). L’elevato valore predittivo positivo della presenza di uno o più difetti di perfusione segmentari o più grandi in aree in cui la scintigrafia ventilatoria è normale è stato confermato anche da recenti studi prospettici(33-35). In tali pazienti l’arteriografia polmonare è per lo più ritenuta superflua ed esistono sufficienti indicazioni al mantenimento della terapia anticoagulante, i cui rischi sono considerati più accettabili delle possibili complicazioni e del costo di un’angiografia di conferma. Tabella V. Studio PIOPED - Criteri scintigrafici per la diagnosi di EP. Probabilità Reperti scintigrafici e radiografici Nessuna Perfusione normale Bassa Intermedia Alta 1) Piccoli difetti di perfusione, indipendentemente dal loro numero e dai risultati di SV e RT 2) Difetti di perfusione sostanzialmente più piccoli di una corrispondente alterazione radiologica 3) Difetti di perfusione con corrispondente SV normale in < 50% di un polmone o < 75% di una zona polmonare; RT normale o quasi normale 4) Singolo “medio” difetto di perfusione con RT normale (SV irrilevante) 5) Difetti di perfusione non segmentari Anormalità che non possono essere definite né ad “alta” né a “bassa” probabilità di EP 1) Due o più difetti di perfusione grandi; SV e RT normali 2) Due o più difetti di perfusione grandi, sostanzialmente più estesi delle corrispondenti anormalità SV e/o RT 3) Un difetto di perfusione grande + due o più difetti di perfusione medi; SV e RT normali 4) Quattro o più difetti medi; SV e RT normali Legenda: SV = scintigrafia da ventilazione; RT = radiografia del torace; zona = un terzo di un polmone diviso in senso cranio-caudale. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 33 Le opinioni più contrastanti riguardano il comportamento da adottare nella frequente eventualità di una scintigrafia ventiloperfusionale non diagnostica. In tutti questi casi appare giustificato il ricorso ad un test diagnostico non invasivo a carico degli arti inferiori (ETG od ecocolor-Doppler). La diagnosi di EP è generalmente accettata in presenza di una TVP documentata obiettivamente, che pone comunque l’indicazione all’instaurazione o al mantenimento della terapia anticoagulante. Nel caso di un test negativo è consigliabile il ricorso all’arteriografia polmonare, i cui inconvenienti e rischi sono considerati inferiori a quelli del mantenimento della terapia anticoagulante. Possibilità diagnostiche alternative Possibilità alternative sono oggi fornite dalla ripetizione seriata del test non invasivo a carico degli arti inferiori, dalla risonanza magnetica nucleare, dalla tomografia spirale del polmone, dall’ecocardiografia e dalla misurazione dei livelli ematici della troponina. Il primo approccio è scarsamente praticabile(36), il secondo si scontra con i costi attualmente proibitivi della risonanza magnetica(37,38). Un giustificato ottimismo è stato recentemente suscitato dai brillanti risultati ottenuti con l’impiego della modernissima tomografia spirale e dal loro confronto con l’angiopneumografia in pazienti con sospetta EP severa (39,40). Ricerche su larga scala hanno dimostrato la reale utilità diagnostica di tale indagine, che si prospetta con caratteristiche tecnologiche tali da lasciarne prevedere un diffuso impiego, in considerazione anche della rapidità di esecuzione di tale test sprovvisto di ogni invasività(4144) (Figura 8). La tomografia spirale sia da sola(41,42) che combinata con negatività dell’ETG degli arti inferiori e/o bassa probabilità clinica pre-test(43,44) ha escluso la diagnosi di EP in studi in cui tale rilievo diagnostico è stato confortato dal successivo follow-up clinico dei pazienti che erano stati esentati dalla terapia anticoagulante. È opinione dello scrivente che fin d’ora la tomo- 34 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Figura 8. TAC spirale dei polmoni. Difetto ipodenso ben evidente a carico dell’arteria lobare inferiore destra e di alcuni rami segmentari (frecce). Rilievo compatibile con embolia polmonare. grafia spirale possa essere richiesta come primo test diagnostico (invece della scintigrafia polmonare) in pazienti anziani, o con cardio-pneumopatie preesistenti, o con importanti anormalità radiografiche, dato che la frequenza di scintigrafie non diagnostiche in tali contesti è inaccettabilmente elevata. La scarsa sensibilità della tomografia spirale per i piccoli emboli subsegmentari impone però un approfondimento diagnostico per lo meno nei casi in cui la negatività di tale indagine si associa con un’alta probabilità clinica pre-test e/o la positività del D-dimero. Un discorso a parte merita l’ecocardiografia (convenzionale o transesofagea), oggi comunemente eseguita nel sospetto diagnostico di EP. Il solo rilievo ecocardiografico che consente la diagnosi di EP con elevatissimo grado di accuratezza è la diretta La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 35 visualizzazione di trombi nell’atrio, nel ventricolo destro o all’interno delle arterie polmonari. Tra gli altri rilievi, il solo che ha dimostrato una elevata specificità, anche se è risultato scarsamente sensibile, è la combinazione della dilatazione del ventricolo destro con rigurgito tricuspidale > 2.7 m/s(45). Tutti gli altri rilievi (dilatazione dell’atrio e del ventricolo destro, aumento del rapporto tra le dimensioni del ventricolo destro e quelle del ventricolo sinistro in telediastole, ecc.) sono scarsamente specifici, essendo di comune rilievo anche in pazienti con cardiopneumopatie di altra natura(46,47). Recenti segnalazioni attribuiscono ad alcuni rilievi dell’ecocardiografia (dilatazione del ventricolo destro, ipocinesia del ventricolo destro, sbandieramento del setto interventricolare) ed alla valutazione della pressione arteriosa polmonare che essa consente in molti casi un così elevato valore ai fini della prognosi dei pazienti con EP, ed in modo particolare ai fini della identificazione di coloro che sono maggiormente esposti al rischio di morte ed a quello di sviluppare la temibile ipertensione polmonare cronica post-tromboembolica(48-51), da giustificarne l’esecuzione in tutti i pazienti in cui la diagnosi di EP sia stata posta applicando l’iter appena descritto. Per finire, va ricordato che le recentissime segnalazioni di una elevazione dei livelli della troponina (sin qui considerata virtualmente diagnostica di infarto miocardico acuto) in molti pazienti con EP, soprattutto in coloro che presentano le forme clinicamente più impegnative, consente da una parte di promuovere un ulteriore elemento di sospetto diagnostico (per lo meno nei casi in cui i rilievi clinici ed elettrocardiografici abbiano escluso l’infarto miocardico), dall’altra di formulare un criterio prognostico di severità dell’episodio embolico(52-55). 1.3 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Lensing AWA, Prandoni P, Brandjes D, et al. Detection of deepvein thrombosis by real-time B-mode ultrasonography. N Engl J Med 1989; 320: 342-5. 36 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 2. Cogo A, Lensing AWA, Prandoni P, Hirsh J. Distribution of thrombosis in patients with symptomatic deep vein thrombosis. 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Il trattamento si basa sull’immediata anticoagulazione con eparina (ENF) o suoi derivati, eparine a basso peso molecolare (EBPM), seguita da un trattamento a lungo termine con terapia anticoagulante orale (TAO). Altri approcci terapeutici possono includere, in casi particolari, la somministrazione di agenti trombolitici o il posizionamento di filtro cavale. 2.1 ANTICOAGULAZIONE Un’adeguata e immediata anticoagulazione riduce il rischio di recidiva di TEV di circa l’80% (1), mentre il rischio di embolia polmonare fatale si riduce fino allo 0,4%(2). Alcuni autori(3), ma non tutti(4), hanno inoltre osservato che il livello di anticoagulazione con eparina deve essere adeguato sin dall’inizio del trattamento, altrimenti si darebbe origine ad una condizione di predisposizione ad una maggior incidenza di recidive di TEV anche tardive. Il livello idoneo di anticoagulazione deve inoltre essere raggiunto rapidamente in quanto è stato visto che l’incidenza di recidive era più alta (23% rispetto a 4-6%) se livelli terapeutici adeguati erano raggiunti solo dopo 24 ore(5). 44 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Un adeguato trattamento anticoagulante implica la somministrazione immediata e a dosi adeguate di ENF o EBPM e la contemporanea somministrazione di un anticoagulante orale per almeno 5 giorni; il trattamento eparinico potrà essere interrotto dopo almeno 5 giorni e dopo 2 giorni consecutivi con un International Normalized Ratio (INR) > 2.0(6). La TAO dovrà essere continuata, con un range terapeutico di 2.0-3.0 INR, per almeno 3 mesi. Sebbene tuttora la durata ottimale di trattamento sia ancora discussa ed è dipendente da specifici fattori di rischio presenti in ciascun paziente e dalla natura dell’evento trombotico (idiopatico, secondario a fattore non rimuovibile o secondario a fattore rimuovibile), in linea generale viene raccomandata una durata di tre mesi per le TEV secondarie a causa rimuovibile, di almeno 6 mesi per quelle idiopatiche e a tempo indefinito per quelle associate a fattori di rischio permanenti quali ad esempio la presenza di tumore o particolari condizioni trombofiliche (6). Che un iniziale trattamento eparinico sia assolutamente necessario è stato dimostrato da un recente studio (7) il quale ha fatto registrare un’elevata incidenza di TEV quando l’anticoagulazione iniziale consisteva nella sola somministrazione di anticoagulanti orali. Limiti della Eparina Non Frazionata Una porzione variabile ma importante delle molecole di Eparina Non Frazionata (ENF) in circolo si lega in modo aspecifico a una serie di proteine plasmatiche, alcune della fase acuta e a cellule ematiche o endoteliali(8). Questa caratteristica farmacocinetica spiega perché la risposta anticoagulante della ENF non è prevedibile e perché i pazienti richiedono quantità diverse di eparina e addirittura lo stesso soggetto ne richieda quantità che variano nel tempo. L’ENF non può pertanto essere somministrata a dosi standard, ma secondo l’effetto anticoagulante che produce e che deve essere accertato mediante test ematici ai quali deve seguire un’opportuna regolazione della dose da sommini- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 45 strare. È solitamente accettato che sia necessario un livello plasmatico di eparina compreso tra 0,2 e 0,4 UI/ml (mediante titolazione con solfato di protamina) per contrastare efficacemente il processo trombotico(9). Tuttavia, il test più usato per monitorare la terapia con ENF è il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT), test globale della coagulazione influenzato da vari fattori oltre l’eparina stessa. È stato dimostrato che valori di aPTT < 1.5 (rapporto tra tempo del soggetto in esame e tempo del controllo) erano associati ad un più alto rischio di recidive (20-25 %)(10). Per evitare valori di aPTT inferiori a 1.5 o superiori a 2.5 (associati questi ultimi ad un più alto rischio emorragico), la somministrazione di ENF, sia per infusione continua che per via sottocutanea, deve essere regolata mediante l’impiego di nomogrammi che regolano la quantità somministrata di ENF sulla base dei valori di aPTT ottenuti serialmente(11,12). Altre limitazioni del ENF includono la possibile comparsa di complicanze cliniche importanti quali la trombocitopenia indotta da eparina (HIT) e l’osteoporosi. La HIT si associa molto spesso a gravi trombosi arteriose e venose, complicanze che compaiono in più del 20% dei pazienti che presentano questa alterazione e con alta mortalità(13). Di solito la HIT comincia dopo 5-15 giorni di trattamento con eparina; tuttavia può avvenire più precocemente nei soggetti che siano già stati esposti all’eparina stessa. L’incidenza di questa alterazione è stata riscontrata in circa il 3% dei soggetti esposti all’eparina in un recente trial randomizzato. Fratture ossee associate ad osteoporosi sono riportate in circa il 2-3% dei pazienti trattati con ENF per un periodo superiore a 3 mesi(14). Occorre inoltre considerare che il trattamento delle TEV mediante infusione in pompa di ENF si associa a rilevanti problemi pratici ed organizzativi che conferiscono a tale trattamento aspetti indaginosi, potenzialmente fonte di numerosi possibili errori dovuti alla preparazione della soluzione di eparina da infondere, al prelievo per il monitoraggio dello aPTT, alla velocità d’infusione e agli aggiustamenti della dose conseguenti ai con- 46 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare trolli ematici(15). In uno studio recente in più del 60% dei pazienti trattati il livello di anticoagulazione era o eccessivo o insufficiente entro le prime 24 ore dall’inizio del trattamento(16). Vantaggi del trattamento con Eparina a Basso Peso Molecolare Le Eparine a Basso Peso Molecolare (EBPM) sono ricavate dall’ENF per depolimerizzazione chimica o mediante tecniche enzimatiche. Si ottengono frammenti che sono di grandezza circa un terzo quella dell’ENF, con un peso molecolare medio di 4.000-6.000 daltons. Si tratta di prodotti diversi, sia come peso molecolare che per meccanismi di attività anticoagulante; infatti, mentre l’ENF si lega all’antitrombina modificandone la conformazione e permettendole così di legarsi molto più rapidamente ai fattori della coagulazione Xa e Trombina che vengono in questo modo inattivati. Per essere inattivata, dunque, la trombina deve formare un complesso terziario con l’eparina legata all’antitrombina; mentre il fattore Xa, per essere inattivato, necessita solamente del legame con la molecola antitrombinica che ha cambiato conformazione. La maggior parte delle catene di EBPM è di lunghezza insufficiente per legarsi sia all’antitrombina che alla trombina per cui viene inattivato selettivamente solo il fattore Xa (Figura 1). La composizione delle diverse EBPM commerciali è varia; tutte contengono il pentasaccaride, che è indispensabile per il legame con l’antitrombina III e attraverso questa con il fattore X attivato; inoltre possono contenere una serie di unità saccaridiche in numero vario. Se il totale delle unità saccaridiche (compreso il pentasaccaride) è uguale o supera le 18, la molecola può legarsi alla trombina ed avere un effetto anticoagulante diretto (effetto anti-IIa). Nei prodotti commerciali sono presenti il 25-50% di molecole di questo genere; per il rimanente, le molecole contengono meno di 18 unità e non possono unirsi alla trombina. Tutte però agiscono sul fattore Xa (effetto anti-Xa) in quanto, come già detto, il legame con questo La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 47 Figura 1. L’eparina standard (ENF) si lega all’antitrombina modificandone la conformazione e permettendole così di legarsi molto più rapidamente ai fattori della coagulazione Xa e trombina che vengono, in questo modo, inattivati. Per essere inattivata, la trombina deve formare un complesso ternario con l’eparina e l’antitrombina. Il fattore Xa, invece, per essere inattivato deve soltanto legarsi all’antitrombina legata all’eparina. Le catene più corte dell’eparina a basso peso molecolare (EBPM) sono quindi parimenti efficaci nell’inattivare Xa rispetto alle catene più lunghe che caratterizzano l’eparina standard non frazionata. si realizza tramite l’antitrombina. Conseguentemente, mentre la ENF ha un rapporto tra effetto anti-Xa e anti-IIa di 1:1, le EBPM commerciali hanno un diverso rapporto che può variare da 4:1 a 2:1 a seconda della distribuzione del peso molecolare delle molecole che le compongono. 48 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Rispetto all’ENF le EBPM presentano i seguenti vantaggi: 1) il legame non specifico con proteine plasmatiche, cellule ematiche e cellule endoteliali è di gran lunga minore e conseguentemente è maggiore la prevedibilità dell’effetto anticoagulante rispetto alla dose somministrata ed è minore la variabilità individuale; 2) il tempo di emivita è maggiore e la biodisponibilità dopo somministrazione sottocutanea è molto elevata; 3) l’incidenza di HIT è minore(13) così come quella dell’osteoporosi (Tabella I). Un vantaggio fondamentale per il trattamento della TVP consiste nel fatto che non è necessario un monitoraggio di laboratorio per regolare la dose indicata, che è invece calcolata sulla base del peso del paziente e somministrata per via sottocutanea due volte o anche una volta al giorno. Infine va tenuto presente che la via di somministrazione sottocutanea è sicuramente più facile per i pazienti e per il personale sanitario e meno soggetta ad errori rispetto a quella infusionale. L’uso delle EBPM per la terapia delle TEV Numerosi studi di livello 1 e metanalisi hanno confrontato l’efficacia e la sicurezza dell’impiego di EBPM per il trattamenTabella I. Caratteristiche delle eparine a basso peso molecolare (EBPM) rispetto all’eparina non frazionata (ENF). EBPM ENF Attività anti-fattore Xa/attività anti fattore IIa 4:1 Assorbimento per via sottocutanea +++ Legame con le cellule endoteliali + Emivita lunga Effetto sulla lipoproteinlipasi + Potenziamento della fibrinolisi ++ Interazione con le piastrine + Passaggio trans-placentare Antigenicità + Neutralizzazione della protamina + 1:1 + +++ breve ++ + ++ + + ++ La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 49 to della TVP rispetto alla ENF(17-25). Tutti questi studi hanno concluso che le EBPM erano almeno altrettanto efficaci della ENF. Qualche autore ha anche segnalato un minor rischio di emorragie maggiori, di recidive di TEV e persino una riduzione della mortalità(26). La non necessità di eseguire indagini di laboratorio per monitorare il trattamento e la via di somministrazione sottocutanea una o due volte al dì sono aspetti fondamentali dell’impiego delle EBPM che hanno reso possibile il trattamento domiciliare di molti pazienti con TVP ed anche con embolia polmonare (EP). Controllo di laboratorio della terapia con EBPM È noto che l’eparina a basso peso molecolare viene somministrata in Unità per Kg di peso corporeo e non in base al suo effetto su un test di laboratorio. Quindi per questo tipo di terapia eparinica non è necessario alcun controllo di laboratorio(27). Solo in alcune specifiche condizioni è indicato l’impiego di un test di laboratorio, che in questo caso sarà un dosaggio cromogenico (in genere è utilizzato il metodo che impiega il fattore Xa): a) in caso di pazienti con grave insufficienza renale; b) in pazienti con peso corporeo inferiore a 50 Kg o superiore a 100 Kg; c) durante una terapia per TEV acuta in gravidanza. Durante e alla fine di un trattamento eparinico è consigliabile controllare il numero di piastrine al fine di diagnosticare tempestivamente la rara, ma possibile, insorgenza della “heparin induced thrombocytopenia” – HIT – che come già detto rappresenta una grave complicanza del trattamento eparinico. Essa compare dopo almeno 7-10 giorni di trattamento, ma anche più precocemente se vi è stata una precedente somministrazione di eparina, e spesso provoca la comparsa di gravi complicanze trombotiche, soprattutto arteriose(13). Il meccanismo consiste nella comparsa di anticorpi (IgG) diretti verso il complesso eparina-PF4 che inducono un’attivazione piastrinica attraverso il legame del complesso IgG-eparina-PF4 a recettori piastrinici. Il 50 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare rischio di comparsa di HIT è minore se vengono usate le EBPM invece che la ENF(13). Tuttavia, poiché è alta la probabilità di una immunizzazione crociata con le EBPM, si deve considerare che una volta comparsa la piastrinopenia da eparina l’impiego di EBPM non solo non è affatto raccomandabile, ma è addirittura controindicato (probabilità di reazioni crociate > 90% in vitro) con un rischio di fallimento terapeutico clinico stimato tra il 25 e il 50%(28). È buona norma quindi, durante un trattamento eparinico, specie se prolungato, eseguire un controllo del numero delle piastrine (basale, ogni 4-7 giorni e alla fine del trattamento). Poiché in caso di HIT è indispensabile sospendere completamente il trattamento sia con ENF che con EBPM occorre la sicurezza della diagnosi di HIT e pertanto è necessario avere la possibilità di eseguire un test specifico per l’identificazione degli anticorpi anti-PF4(29). 2.2 IL TRATTAMENTO DOMICILIARE DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Sia in ospedale che a domicilio il trattamento della Trombosi Venosa Profonda (con o senza embolia polmonare) è costituito dalla somministrazione di dosi adeguate di eparina, embricando questo trattamento con gli anticoagulanti orali. Vi sono alcune specifiche condizioni nelle quali è ancora obbligo l’uso della ENF. Queste condizioni sono rappresentate sostanzialmente da: a) pazienti in cui la presentazione clinica sia costituita da una embolia polmonare clinicamente importante, e b) soggetti con controindicazioni all’uso di EBPM (pazienti con insufficienza renale, obesi, donne in gravidanza in prossimità del momento del parto, e quando siano previste manovre chirurgiche o invasive). È evidente che l’impiego di ENF richiede necessariamente l’ospedalizzazione del paziente. L’impiego di EBPM è invece raccomandabile nella maggior parte dei pazienti con TEV e, grazie alle loro caratteristiche, consente un trattamento domiciliare, infatti esse: a) sono somministrate due volte al gior- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 51 no (od anche una sola) sottocute invece che per infusione endovenosa continua e b) non richiedono aggiustamenti posologici sulla base di ripetuti test di laboratorio. Il trattamento domiciliare dei pazienti con TVP può essere o immediato e completo, oppure essere rappresentato da una dimissione precoce dopo un breve ricovero iniziale (24-48 ore, invece della media attuale di 7-9 gg), con monitoraggio della terapia a domicilio per i primi 7 gg dopo la diagnosi. Questo avanzamento delle possibilità terapeutiche può risultare estremamente vantaggioso, sia per i pazienti che per le strutture sanitarie, grazie alla riduzione dei giorni di ricovero ed al conseguente notevole risparmio di spesa. È stato calcolato che, rispetto al trattamento ospedaliero con infusione di eparina, quello domiciliare con EBPM comporta un sostanzioso risparmio di spesa, valutato intorno al 5060%(30-32). La diminuita ospedalizzazione fa ridurre il rischio di complicanze iatrogene ed è in genere gradita dai pazienti migliorando sensibilmente la qualità di vita(23). La fase iniziale del trattamento della TVP non è esente da rischi, rappresentati dalla possibile comparsa di complicanze tromboemboliche (EP sintomatica), o emorragiche (secondarie alla terapia anticoagulante stessa). Gli studi clinici(22-24) che hanno esaminato l’efficacia e la sicurezza dell’impiego di EBPM somministrate s.c. nella fase iniziale della terapia della TVP in confronto alla infusione continua di eparina standard, hanno dimostrato che le prime sono almeno altrettanto efficaci (recidive di tromboembolie: 6,1 % verso 7,5%, rispettivamente) e sicure (emorragie maggiori: 1,3% verso 1,5%) di quest’ultima. Questi studi hanno anche dimostrato che l’incidenza di complicanze era la stessa, sia che il trattamento con EBPM fosse ospedaliero o domiciliare. Va comunque tenuto in considerazione che non è possibile escludere il verificarsi di eventi avversi proprio nei primi giorni del trattamento domiciliare. Sebbene ciò possa accadere nella stessa misura durante il ricovero ospedaliero o a domicilio, tuttavia non si può negare un maggior impatto psicologico (se non 52 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare di conseguenze cliniche) in quest’ultimo caso. Per questo motivo si ritiene indispensabile garantire ai pazienti il massimo di efficacia e sicurezza terapeutica e contemporaneamente le migliori condizioni di vita. Per conseguire risultati ottimali dal trattamento domiciliare sono necessarie quindi azioni coordinate, effettuate da operatori sanitari sia dentro che fuori dall’ospedale. Innanzitutto va effettuata una opportuna selezione dei casi (Tabella II) ed inoltre va garantito che siano messi in opera sia un’adeguata sorveglianza dei pazienti che i necessari servizi infermieristici domiciliari integrati con quelli ospedalieri. In ca- Tabella II. Controindicazioni al trattamento domiciliare. Condizioni che escludono il trattamento domiciliare Abitazione lontano dall’ospedale Sintomi importanti di embolia polmonare Emorragie in atto o malattie emorragiche note Emorragia intracranica entro 2 mesi Insufficienza renale marcata Malattie epatiche severe (PT di base < 50%) Piastrinopenia (< 100.000) Obesità > 120 Kg Phlegmasia e/o dolore intenso dell’arto Patologie associate rilevanti che richiedono terapia acuta Ulcera gastro-duodenale in fase acuta (ultime 4 settimane) Previsione di manovre invasive o intervento chirurgico a breve termine Condizioni che sconsigliano il trattamento domiciliare Gravidanza Trombosi cavale e/o iliaca Inaffidabilità o incapacità di applicare il trattamento (anziani soli, dipendenza da droghe, pazienti psichiatrici, alcoolisti se non accuditi da familiari responsabili) Condizioni di vita e abitative disagiate Stato terminale o condizioni generali molto scadute (se non richiesto esplicitamente da paziente/familiari) Diabete scompensato Ipertensione arteriosa non controllata La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 53 renza di queste condizioni il trattamento domiciliare può risolversi in un danno per i pazienti, con inadeguata applicazione delle terapie necessarie, peggioramento dei risultati terapeutici a breve (rischi tromboembolici accresciuti) e a lunga distanza (sindrome post-trombotica), necessità di spostamenti del paziente per gli indispensabili controlli di laboratorio e clinici e aumento del disagio e di spese sostenute da pazienti e familiari. Quali dunque i criteri per un adeguato trattamento domiciliare: a) Una adeguata selezione dei pazienti che possono essere trattati a domicilio è il presupposto indispensabile (vedere a questo scopo nella Tabella II la lista delle condizioni che controindicano o sconsigliano tale trattamento). b) Occorre verificare, con contatto telefonico o con invio a domicilio di infermiere specificatamente addestrato, che sia applicato il corretto standard terapeutico della TVP, e in particolare che l’EBPM sia somministrata s.c. correttamente due volte al dì o in monosomministrazione, alla dose/Kg di peso corporeo opportunamente stabilita da ciascuna ditta produttrice e prescritta al momento della diagnosi, e che sia assunto l’anticoagulante orale alla dose prescritta e facendo i necessari controlli periodici dell’INR. Il paziente deve indossare durante il giorno calza elastica a compressione graduata, classe di compressione I o II e deve muoversi evitando di rimanere troppo a letto. c) Occorre monitorare le condizioni cliniche dell’arto interessato e quelle generali per valutare la possibile insorgenza di complicanze. d) In caso di sospetto di complicanze è necessario che vi sia un chiaro punto di riferimento a livello ospedaliero e che il Medico di Medicina Generale possa indirizzare con urgenza il paziente per gli opportuni accertamenti utilizzando un canale di accesso privilegiato e diretto. e) È necessario assicurarsi che il paziente effettui le previste visite di controllo clinico, il monitoraggio della terapia antico- 54 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare agulante orale (TAO) e pratichi le misure atte a ridurre il rischio della sindrome post-trombotica. Dopo una TVP, a causa del danno dei sistemi valvolari delle vene profonde e di quelle perforanti, compaiono molto frequentemente i segni e sintomi dell’insufficienza venosa cronica dovuta alla cosiddetta sindrome-post-trombotica (edema, discolorazione cutanea, dilatazioni venulari specie in zona perimalleolare, rischio di lesioni trofiche cutanee). Per ridurre l’incidenza di questi disturbi è importante convincere il paziente ad utilizzare a lungo la calza elastica compressiva (solitamente si consiglia per oltre due anni) e a fare adeguata attività motoria. 2.3 TRATTAMENTO DEI PAZIENTI CON CANCRO E MTEV Il trattamento ottimale dei pazienti con cancro e MTEV acuta è controverso. Questi pazienti sono maggiormente propensi ad eventi ricorrenti rispetto ai soggetti senza cancro(33). Comorbidità, chemioterapia, difficoltà nell’accesso venoso e l’aumentato rischio emorragico possono rendere difficoltosa la terapia anticoagulante orale. L’uso dei cateteri venosi centrali aumenta il rischio di trombosi. In uno studio prospettico a coorte Palareti et al.(34) hanno valutato le complicanze del trattamento anticoagulante orale in 95 pazienti con neoplasia e MTEV in confronto con le complicanze osservate in 733 pazienti senza neoplasia e con MTEV. Durante un follow-up di 744 anni/paziente, la frequenza di emorragie maggiori (5.4% vs. 0.9%), minori (16.2% vs. 3.6%) e totali (21.6% vs. 4.5%) erano significativamente maggiori nei pazienti con cancro rispetto a quelli senza. Si è osservata anche una tendenza ad una maggiore frequenza di complicanze trombotiche in pazienti con cancro (6.8% vs. 2.5%; p = 0.058), ma la differenza non ha raggiunto la significatività statistica. Nei pazienti con cancro, la frequenza di emorragie era simile tra i differenti livelli di INR ed era indipendente dal valore di INR temporalmente associato all’emorragia. Al contrario, nei pazienti senza cancro la frequenza di emorragie aumentava solo in associazione a La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 55 valori elevati di INR (maggiori di 4.5). Questi dati indicano che i pazienti con TEV acuta e cancro attivo sono a maggior rischio di complicanze sia emorragiche che trombotiche durante il trattamento con anticoagulanti orali rispetto a quelli senza cancro. Un trattamento antitrombotico più sicuro ed efficace sarebbe necessario in questo gruppo di pazienti. Meyer et al.(35) hanno randomizzato 146 pazienti con MTEV e cancro a ricevere warfarin per 3 mesi o enoxaparina (1.5 mg/kg una volta al giorno) in uno studio in aperto. Dei 71 pazienti che hanno ricevuto warfarin, 15 (21.1%) hanno avuto MTEV ricorrente o emorragia maggiore rispetto a 7 pazienti (10.5%) nel gruppo che ha ricevuto enoxaparina (p = 0,09). Nel gruppo trattato con warfarin, 6 pazienti hanno avuto una emorragia fatale mentre nessuna emorragia fatale si è osservata nel gruppo trattato con enoxaparina. Nessuna differenza è stata osservata riguardo alla progressione del cancro o morte correlata al cancro. Anche se lo studio non ha raggiunto la potenza statistica per dimostrare una vera differenza, questi dati indicano come il trattamento prolungato con EBPM possa essere efficace quanto il warfarin e più sicuro nei pazienti con cancro e MTEV. Lee et al.(36) (studio CLOT) hanno randomizzato 672 pazienti con tromboembolismo venoso acuto (TVP o/e EP) a ricevere dalteparina alla dose di 200 IU pro kg per 5-7 giorni embricata e seguita da terapia anticoagulante orale per 6 mesi (INR target: 2.5) o dalteparina da sola per 6 mesi alla dose di 200 IU pro kg per un mese seguita dalla dose di 150 IU pro kg per 5 mesi. Durante i sei mesi di trattamento sono stati osservati 27 episodi ricorrenti (8%) nel gruppo trattato con la sola dalteparina e 53 recidive (15.8%) nel gruppo trattato con terapia anticoagulante orale (hazard ratio: 0,48; p = 0,002), senza differenze significative nella frequenza di emorragie o di mortalità. I risultati di questo studio indicano come la dalteparina sia più efficace della terapia anticoagulante orale nel ridurre il rischio di recidiva trombotica durante il trattamento senza far aumentare significativamente l’incidenza delle complicanze emorragiche. 56 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare I risultati dello studio di Meyer e dello studio CLOT inidicano come le eparine a basso peso molecolare siano più efficaci e almeno ugualmente sicure della terapia anticoagulante orale nei pazienti con cancro e MTEV. 2.4 NUOVI FARMACI ANTITROMBOTICI NEL TRATTAMENTO DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO Il pentasaccaride (fondaparinux) è un nuovo agente antitrombotico di sintesi costituito dalla sequenza con specifica attività anticoagulante tipica dell’eparina e rivolta verso il fattore X attivato. Lo studio MATISSE-PE(37) ha mostrato che il trattamento iniziale dei pazienti con embolia polmonare emodinamicamente stabile basato su un’unica somministrazione giornaliera per via sottocutanea di fondaparinux, a dose fissa secondo il peso corporeo, è altrettanto efficace dell’eparina non frazionata per via endovenosa, senza aumento delle complicanze emorragiche. Lo ximelagatran è un inibitore diretto specifico della trombina, attivo per via orale in dosi fisse senza necessità di monitorare l’attività anticoagulante. Per il trattamento della TVP acuta, con o senza EP, lo ximelagatran (somministrato alla dose di 36 mg per os 2 volte al giorno per 6 mesi) si è dimostrato altrettanto efficace quanto l’enoxaparina (alla dose di 1 mg/kg per 2 volte al dì per via sottocutanea embricata e seguita da warfarin - INR 2.0-3.0 - per 6 mesi) senza far osservare differenze significative per quanto riguarda la comparsa di complicanze emorragiche (studio THRIVE treatment; Francis et al. per ora pubblicato solo come abstract in Blood 2003). Nello studio THRIVE III(38) lo ximelagatran, somministrato alla dose di 24 mg 2 volte al dì per os per 18 mesi dopo 6 mesi di anticoagulazione standard in seguito ad un primo episodio di TVP e/o EP, si è dimostrato più efficace del placebo nel ridurre il rischio di recidive, senza provocare un significativo aumento del rischio emorragico. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 57 2.5 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Kearon C, Hirsh J. 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La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 61 3. IL RUOLO DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE NELLA GESTIONE DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA 62 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 3. 63 IL RUOLO DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE NELLA GESTIONE DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Gianni Segalla Medico di Medicina Generale ASS n∞ 6 ìFriuli Occidentaleî Al modello tradizionale di gestione della malattia tromboembolica venosa, caratterizzato da un ricovero ospedaliero piuttosto lungo (mediamente dai 7 ai 10 giorni), dal trattamento iniziale con eparina non frazionata e dalla dimissione del paziente già in terapia anticoagulante efficace si è sostituito, negli ultimi anni, un nuovo modello caratterizzato dalla cosiddetta gestione integrata o domiciliare della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. Tale modalità prevede sempre la conferma strumentale del sospetto diagnostico, l’impostazione terapeutica con l’uso di eparine a basso peso molecolare ed anticoagulanti orali e, in assenza di controindicazioni, la non ospedalizzazione o la dimissione del paziente dopo una degenza breve (48-72 ore). Studi convincenti hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di questo approccio(1,2,5) nonché il favorevole rapporto costi-benefici. 3.1 IL MANAGEMENT DELLA MTEV ED IL MEDICO DI MEDICINA GENERALE Un modello ideale di gestione domiciliare della malattia tromboembolica venosa (MTEV) deve prevedere un ruolo per il medico di medicina generale? La risposta non può che essere affermativa; è necessario che il medico di medicina generale (MMG) sia coinvolto nel management globale di questa patologia ed in particolare nelle fasi dell’identificazione dei soggetti a rischio, del sospetto diagnostico, del trattamento e del follow up. 64 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare I motivi di questa necessità sono: • epidemiologici – l’incidenza della MTEV in Italia è tale da farne la terza più comune malattia cardiovascolare dopo la cardiopatia ischemica e l’ictus cerebrale: 80 nuovi casi di embolia polmonare/100.000 abitanti per anno, 160 nuovi casi di trombosi venosa profonda per anno, oltre 250 casi/100.000 abitanti/anno di tromboflebite superficiale; la gestione di una patologia così comune, con modalità il più possibile omogenee, secondo le linee guida esistenti richiede l’integrazione dei pochi centri specialistici esistenti con la rete dei MMG, capillarmente distribuita sul territorio; • legati ad una visione globale del paziente - la MTEV spesso si verifica in pazienti già affetti da altre patologie, più o meno importanti, note o sconosciute (importante il significato paraneoplastico della TVP nel 30% delle forme idiopatiche); ciò rende fondamentale la conoscenza della storia familiare e personale, dell’ambiente e delle abitudini di vita, della personalità del paziente, nonché la continuità dell’assistenza, tutte caratteristiche proprie e peculiari della medicina generale; • derivanti dalla funzione di coordinamento gestionale che il MMG deve assumere nei confronti di pazienti con problematiche multifattoriali e su cui intervengono contemporaneamente o in successione più specialisti; una silenziosa sottrazione a questo compito, sicuramente accaduta in passato, sarà sempre più difficile (anche per possibili implicazioni medico legali). I compiti che spettano al MMG nella gestione domiciliare della trombosi venosa profonda sono: • valutare attentamente il rischo tromboembolico individuale (Tabella I); • formulare tempestivamente il sospetto diagnostico e validarlo utilizzando uno score di probabilità clinica; • avviare in urgenza più o meno differibile il paziente alla indispensabile conferma diagnostica strumentale (ecografia vascolare a compressione seriata o ecocolor-doppler); La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 65 Tabella I. Valutazione del rischio tromboembolico. Rischio basso: chirurgia minore in pazienti con età <40 anni, senza altri fattori di rischio tromboembolico Rischio moderato: chirurgia minore in pazienti con fattori di rischio addizionali chirurgia maggiore in pazienti con età <40 anni, senza fattori di rischio addizionali chirurgia non maggiore in pazienti con età 40-60 anni, senza fattori di rischio addizionali Rischio elevato: chirurgia non maggiore in pazienti con età >60 anni, o con fattori di rischio addizionali chirurgia maggiore in pazienti con età >40 anni, o con fattori di rischio addizionali Rischio molto elevato: chirurgia maggiore in pazienti con età >40 anni con neoplasia, o con pregresso TEV o con trombofilia; artroplastica dell’anca o del ginocchio; chirurgia per frattura di femore, gravi traumi • prescrivere correttamente le eparine a basso peso molecolare (EBPM), istruire il paziente e/o i familiari, controllare la correttezza della somministrazione; • controllare l’emocromo con piastrine al 5° e 10° giorno dall’avvio di una terapia con EBPM (rischio raro, ma presente, di piastrinopenia da eparina); • consigliare la deambulazione precoce e la contenzione elastica con l’adozione di calze elastiche a compressione graduata; controllarne l’uso corretto; • dare al paziente informazioni complete per una corretta esecuzione della terapia anticoagulante orale (TAO) con l’intensità e la durata necessarie al caso specifico; • dosare il warfarin in modo da mantenere il range di INR desiderato (INR compreso tra 2 e 3); 66 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare • valutare eventuali interferenze farmacologiche e/o condizioni non farmacologiche interferenti con la TAO; • stabilire la cadenza dei controlli dell’INR; • monitorare l’eventuale insorgenza di complicanze della patologia o della terapia; • eseguire, se indicati, e valutare gli accertamenti volti a stabilire l’eventuale espressione paraneoplastica della TVP (Rx torace - eco addome - esami ematologici con PSA e altri markers neoplastici e sangue occulto nelle feci); • eseguire, se indicati, gli accertamenti adatti a svelare condizioni trombofiliche ereditarie o acquisite (Tabella II); • prevenire e curare la sindrome post-trombotica (Figura 1). Queste attività devono essere svolte dal MMG mantenendo il contatto con il gruppo di esperti del problema più vicino logisticamente, concretizzando quell’integrazione funzionale (con condivisione di conoscenze e percorsi di cura) tra medicina generale e specialistica che è la risposta più efficace alla crescente complessità dei problemi assistenziali. Tabella II. Condizioni di trombofilia ereditaria ed acquisita. Eredofamiliari: deficit AT III deficit proteina C deficit proteina S mutazione R506Q: mutazione puntiforme del gene del fattore V di Leiden, in grado di conferire resistenza alla funzione anticoagulante di una proteina endogena, la proteina C (APC r) mutazione G20210A (protrombina) Miste: iperomocisteinemia aumento fattore VIII Acquisite: sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APA) lupus anticoagulant (LAC) La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 67 Figura 1. Sindrome post-trombotica. In questo contesto è fondamentale che venga elaborato un protocollo di management della malattia, strutturato, condiviso e rapportato alla realtà territoriale in cui deve essere applicato. Questa modalità di gestione deve essere condivisa dal paziente, opportunamente informato, e devono essere chiari i ruoli e i compiti di ciascuno (chi fa che cosa, con quale periodicità, chi interviene in caso di problema urgente). In Italia oggigiorno, anche in questo campo, la realtà è estremamente variegata, a macchia di leopardo; accanto a situazioni, poche purtroppo, in cui esiste già una buona integrazione e funzionalità ne esistono molte altre in cui fenomeni di deresponsabilizzazione, accentramento, incomunicabilità rendono la re- 68 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare altà del management della MTEV molto lontana dal modello ideale. I punti di maggiore criticità per la medicina generale nella gestione integrata della malattia tromboembolica venosa sono: • scarsa sensibilità e cultura della MTEV, • mancanza di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi da MMG e specialisti, • problema dei tempi di attesa per la conferma del sospetto diagnostico e l’inizio della terapia, • necessità di vie di contatto preferenziali legate al problema, • insufficiente familiarità con i problemi di gestione della TAO, • incertezza sulla validità effettiva e sulla migliore modalità di utilizzo dei coagulometri portatili. È innegabile d’altro canto che anche nella gestione globale di questa patologia il medico, sia di medicina generale che specialista, sente la pressione dovuta alla maggiore consapevolezza generale del paziente, alla necessità di utilizzare razionalmente le risorse, all’aumento dei rischi medico legali. Bisogna perciò trovare la volontà e il coraggio di mettere in discussione, tutti assieme, le abituali procedure alla ricerca di modelli gestionali che diano il massimo di efficacia ed efficienza. Dobbiamo riconoscere alle Società Scientifiche (SISET, SIAPAV e tante altre) che riuniscono gli esperti di questo settore una intensa opera, negli ultimi anni, di elaborazione e di divulgazione di linee guida sull’argomento, unita ad iniziative di formazione e aggiornamento delle componenti mediche più interessate al problema, come chirurghi, ortopedici, internisti e medici di medicina generale. 3.2 LA PROFILASSI DELLA MTEV SUL TERRITORIO Altro compito importante del MMG è quello della profilassi della MTEV sul territorio, attuabile spesso in un contesto di operatività integrata con lo specialista ospedaliero ma anche nell’ambito dell’attività autonoma del generalista. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 69 Le situazioni più frequenti ed importanti sono: • La gestione del paziente post chirurgico (chirurgia ortopedica maggiore, chirurgia generale, urologia, ginecologica maggiore, specie se oncologica, neurochirurgia). Numerose evidenze scientifiche convincenti hanno dimostrato che per gli interventi di chirurgia ad alto rischio, il passaggio da una profilassi “ breve “ (mediamente 7 gg.) ad una “prolungata” (30 gg.) determina una riduzione del 50% dell’incidenza di MTEV. Poiché in generale la degenza ospedaliera di questi pazienti non supera i 7–10 gg è compito dei MMG completare il trattamento profilattico sorvegliando la compliance del paziente, monitorando gli eventuali effetti collaterali o le complicanze, provvedendo alla prescrizione del farmaco e al suo corretto utilizzo. • L’artroscopia del ginocchio, la traumatologia “non maggiore” degli arti inferiori (fratturativa, contusiva, distorsiva), il politrauma comportante allettamento sono altre situazioni di integrazione tra specialista e generalista; questi pazienti oggi, il più delle volte, non vengono ricoverati, ma trattati in regime di day surgery o di pronto soccorso; la profilassi della MTEV viene quindi svolta quasi integralmente sul territorio per un periodo che va dalle 2 settimane fino alla completa mobilizzazione. • Pazienti internistici affetti da insufficienza cardiaca congestizia, insufficienza respiratoria, infezione acuta (broncopolmonite, broncopatia cronica riacutizzata, infezione urinaria), connettiviti sistemiche, patologia osteoarticolare degenerativa in fase di acutizzazione algica, decadimento psico-fisico e depressione nell’anziano quando comportanti riduzione importante della mobilità sono suscettibili di profilassi per MTEV. Esistono evidenze scientifiche (studio MEDENOX in primis) che ne dimostrano l’utilità, limitatamente però alla condizione di degenza ospedaliera; questi malati tuttavia subiscono ricoveri sempre più brevi, che spesso non esauriscono la condizione di 70 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare rischio o addirittura non vengono ricoverati ma trattati a domicilio o presso strutture “intermedie” (casa di riposo, residenza sanitaria assistenziale, ospedale di comunità); la loro gestione è quindi affidata al MMG. Obiettivo razionale deve essere in questi casi non una profilassi generalizzata, improponibile se non altro in termini di rapporto costi/benefici, ma personalizzata in base alla valutazione di una serie di parametri che, oltre alla patologia in atto, sono: • l’età, • l’aspettativa di vita, • la durata prevista dell’ipomobilità, • il peso, • le condizioni associate, • l’anamnesi. Anche il paziente oncologico tende a rientrare, sempre più spesso, in questo tipo di valutazione. Il MMG è il sanitario che assieme allo specialista ginecologo ed eventualmente all’ematologo esperto in patologie della coagulazione, gestisce l’indicazione, la prescrizione e il monitoraggio della contraccezione ormonale (CO) e della terapia ormonale sostitutiva (TOS); è documentato che entrambe queste pratiche aumentano il rischio di MTEV e che esistono delle condizioni, di tipo genetico e/o acquisito che incrementano ulteriormente questo rischio (vedi Tabella II). Sull’opportunità di ricercare o non eseguire uno screenig per possibili deficit della coagulazione si assiste alle più disparate modalità di comportamento pratico nonostante le indicazioni di molta letteratura internazionale; va pertanto ribadito che, ad oggi, non è giustificato eseguire uno screening trombofilico a tutte le donne candidate ad un trattamento estroprogestinico di tipo contraccettivo ed ancor meno sostitutivo; come non ha un razionale la ripetizione seriata di alcuni esami della coagulazione. Viceversa, appare evidente che un approccio olistico, personalizzato e non routinario alla contraccezione permette di individuare quel piccolo sottogruppo di donne con anamnesi fami- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 71 liare positiva che può avere una indicazione selettiva all’esecuzione degli accertamenti di trombofilia. Esistono situazioni particolari in cui è compito specifico del MMG intervenire per la prevenzione della MTEV; tali sono consigliare la sospensione della CO o della TOS prima di interventi di chirurgia maggiore in elezione ma anche di chirurgia minore ed interventi laparoscopici, dopo traumi o durante malattie intercorrenti comportanti immobilizzazione prolungata. 3.3 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Koopman MMW, Prandoni P, Piovella F. et al for The Tasman Study Group. Treatment of venous Thrombosis with intravenous unfractionated heparin administrated in the hospital as compared with subcutaneous low molecolar weight heparin administered at home. N. Engl. J. Med. 1996; 334: 682-7 2. Levine M, Gent M, Hirsh J et al. A comparison of low molecolar weight heparin administered primarily at home with unfractionated heparin administered in the hospital for proximal deep vein thrombosis. N. Engl. J. Med. 1996; 334: 677-81 3. Boccalon H, Elias A, Chalíe JJ et al. 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Minerva Cardioangiol. 2000; 48: 201-71 72 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 73 4. LA GESTIONE INTEGRATA DEL PAZIENTE CON TROMBOSI VENOSA PROFONDA 74 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 4. 75 LA GESTIONE INTEGRATA DEL PAZIENTE CON TROMBOSI VENOSA PROFONDA Pietro F. Tropeano Unit‡ di Emostasi e Trombosi, Dipartimento di Medicina I A.O. ìSanta Maria degli Angeliî, Pordenone L’estrema manegevolezza, l’ottima affidabilità ed efficacia dell’eparina a basso peso molecolare, confermate da una numerosissima letteratura internazionale hanno rivoluzionato l’approccio di tipo diagnostico e terapeutico nei pazienti sintomatici che si rivolgono al Medico di Medicina Generale ma anche al Medico di Pronto Soccorso e allo Specialista per un sospetto di malattia tromboembolica venosa(1-4). La gestione tutta ospedaliera di questi pazienti ha lasciato da alcuni anni spazio ad una gestione integrata territorio-ospedale e in molti casi ad una gestione tutta domiciliare del paziente con trombosi venosa profonda. 4.1 IL SOSPETTO DIAGNOSTICO DI TROMBOSI VENOSA PROFONDA Il primo momento, sia per pazienti ambulatoriali esterni che per coloro che giungono spontaneamente in Ospedale è la definizione del sospetto clinico di MTEV sia essa trombosi venosa profonda o embolia polmonare. Una corretta anamnesi e una attenta valutazione dei fattori di rischio e predisponenti la MTEV, la valutazione dei segni riscontrati e dei sintomi riferiti assieme ad una mirata diagnostica differenziale sono le basi su cui formulare la nostra ipotesi diagnostica (Tabelle I e II). 76 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella I. Fattori di rischio e predisponenti per la malattia tromboembolica venosa. Età >70 anni, fumo, obesità Familiarità per malattie tromboemboliche Pregressi episodi di TVP e/o EP Allettamento prolungato, apparecchio gessato Gravidanza, puerperio, terapie estroprogestiniche prolungate Stati di ipercoagulabilità ereditari (deficit di AT III, di proteina C, di proteina S, mutazione fattore V Leiden) o acquisiti (APA, LAC, iperomocisteinemia) Neoplasie in atto (pancreas, rene, polmone, apparato digerente e genitale femminile) Sepsi e gravi ustioni Utilizzo prolungato di cateteri venosi Interventi chirurgici con anestesia generale >30 minuti Politraumi Patologie croniche coesistenti (sindrome nefrosica, ictus, collagenopatie, scompenso cardiaco congestizio, malattie mielo e linfoproliferative) Tabella II. Diagnosi differenziale di TVP. Patologie muscolari e nervose Miopatie Stiramenti muscolari Distorsione Causalgie Patologie osteo-articolari Tendiniti Cisti di Backer Artriti Patologie cute e sottocute Celluliti Erisipele Linfangiti Linfedemi Patologie vascolari non trombotiche Compressione venosa Vasculiti Insufficienza venosa La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 77 4.2 SCORE DI PROBABILITÀ CLINICA DI MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Il nostro sospetto clinico iniziale va tuttavia verificato e stimato su alcuni scores, ormai internazionalmente validati, di probabilità clinica come quelli proposti da Wells (opportunamente completato da alcune nostre valutazioni aggiuntive) e Wiki e coll. (Tabella III, IV)(5-7). Lo score clinico iniziale, sia nell’ipotesi di una TVP o di una EP, deve essere sempre fatto sul paziente sintomatico ambulatoriale e serve a quantificare la probabilità clinica a priori che il nostro assistito abbia una patologia trombotica e/o tromboembolica (Figura 1). L’esecuzione di uno score iniziale condiziona Tabella III. Score di probabilità clinica di trombosi venosa profonda Neoplasia in atto ........................................................................ (1) Paralisi, paresi o recente ingessatura arti inferiori ..................... (1) Allettamento >3 giorni o intervento di chirurgia maggiore entro 4 settimane ....................................................................... (1) Dolorabilità localizzata lungo la distribuzione del sistema venoso profondo ......................................................................... (1) Edema generalizzato dell’arto ..................................................... (1) Edema del polpaccio (> 3 cm rispetto all’arto asintomatico) ....... (1) Edema improntabile (maggiore nell’arto sintomatico) ................. (1) Presenza di vene superficiali collaterali (non varicose) ............... (1) Diagnosi alternativa .................................................................. (-2) Probabilità clinica elevata >3 Probabilità clinica bassa <0 Probabilità clinica intermedia 1-2 Criteri aggiuntivi: Pregressi eventi tromboembolici, familiarità per malattia tromboembolica venosa, deficit accertati di fattori della coagulazione, uso di estroprogestinici, stato di gravidanza o puerperio, recenti interventi chirurgici minori (day surgery, artroscopici, laparoscopici). 78 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella IV. Score di probabilità per embolia polmonare: score di Wells e Geneva score a confronto. SCORE DI WELLS GENEVA SCORE Storia di Malattia tromboembolica venosa ................. 1.5 Storia di Malattia tromboembolica venosa .................... 2 Frequenza cardiaca >100 batt/min ................... 1.5 Frequenza cardiaca >100 batt/min ....................... 1 Recente intervento chirurgico o immobilizzazione ...... 1.5 Recente intervento chirurgico ........................................ 3 Segni clinici di trombosi venosa profonda .................... 3 Età 60-79 ..................................... 1 >79 ........................................ 2 Nessuna diagnosi alternativa all’embolia polmonare ....... 3 Saturazione di PaCO2 >36 mmHg ............................. 2 36-39 mmHg .......................... 1 Emottisi ................................ 1 Saturazione di PaO2 <4936 mmHg ......................... 4 49-60 mmHg .......................... 3 60-71 ..................................... 2 71-82 ..................................... 1 Neoplasia attiva ..................... 1 Rx Torace Immagini di atellettasie ......... 1 Emidiaframma sollevato ........ 1 Probabilità clinica di EP Bassa ................................. 0-1 Intermedia ......................... 2-6 Alta ..................................... >7 Probabilità clinica di EP Bassa ................................. 0-4 Intermedia ......................... 5-8 Alta ...................................... >9 % di EP correlate Bassa ............................... 12% Intermedia ....................... 40% Alta .................................. 91% % di EP correlate Bassa ................................ 13% Intermedia ........................ 38% Alta ................................... 67% La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare v. cava inferiore v. iliaca comune v. iliaca esterna v. femorale comune v. femorale superficiale v. poplitea v. tibiale posteriore v. tibiale anteriore v. peroniera Le vene del circolo profondo degli arti inferiori e della pelvi che possono essere fonte di trombosi venosa profonda Figura 1. Sistema venoso degli arti inferiori. 79 80 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ed influenza il successivo iter diagnostico e che risente nel paziente con sospetto di TVP di due momenti temporalmente distinti in relazione alla possibilità di effettuare subito l’esame ultrasonografico di conferma o differirlo nei giorni successivi. Ricordiamo che per una diagnosi definitiva di TVP è sempre necessario eseguire un test ultrasonografico di conferma e che sono considerati equivalenti i test come l’ecografia vascolare con compressione (CUS), l’indagine duplex o l’esame ecocolordoppler; in molte strutture ospedaliere non è possibile accedere durante tutti i giorni della settimana e/o durante tutte le ore del giorno a questo tipo di diagnostica, in particolare i periodi “non coperti” sono nella maggior parte dei casi il fine settimana, i giorni festivi e le ore notturne (Figura 2)(8). Ed è proprio quest’ultima situazione che deve prevedere una chiara e documentata programmazione, un iter clinico-diagnostico ben definito che tuteli il paziente e la buona pratica dei Figura 2. Ecocolordoppler. TVP vena femorale superficiale. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 81 medici; ciò assume maggiore rilievo anche in relazione alla necessità di una definitiva diagnosi che deve avvenire sempre in una struttura ospedaliera. Suggeriamo adesso alcuni schemi di comportamento per il paziente che accede in Ospedale con sospetto di TVP quando non è possibile effettuare immediatamente l’esame ultrasonografico di conferma (Tabella IV). È consigliabile in questa condizione che il paziente sintomatico sia inviato dal medico di medicina generale alla struttura ospedaliera di accoglimento con uno score di probabilità cliniTabella IV. Sospetto diagnostico di TVP: cosa fare? (in bianco, il percorso se CUS disponibile; in giallo, se CUS non disponibile). Paziente sintomatico ambulatoriale fattori di rischio segni e sintomi sospetto diagnostico di Trombosi Venosa Profonda score clinico di probabilità diagnosi alternative d-dimer test probabilità alta probabilità intermedia probabilità bassa CUS entro 24 ore trattenere in ospedale trattare con EBPM d-dimero non necessario CUS entro 24-48 ore d-dimero negativo dimettere con profilassi d-dimero positivo dimettere con terapia se d-dimero negativo programmare CUS su persistenza di sintomi se d-dimero positivo programmare CUS entro 24-72 ore CUS +: diagnosi di TVP CUS -: test seriati CUS +: diagnosi di TVP CUS -: test dopo 1 sett. CUS +: diagnosi di TVP CUS -: esclusa TVP 82 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ca. Allo stesso modo il Medico di Pronto Soccorso che accoglie il paziente sintomatico giunto spontaneamente deve iniziare la visita con uno score di probabilità associandolo, in entrambi i casi, al successivo dosaggio dei d-dimeri (Tabella V)(9,10,11,12). La valutazione successiva terrà conto dei risultati combinati del pretest clinico e di laboratorio nel seguente modo: 1. Score clinico di bassa probabilità e d-dimero negativo. È necessario escludere la possibile presenza di altre patologie, è indicato programmare l’esecuzione dell’esame ultrasonografico su persistenza dei sintomi e segni clinici; il paziente continua ad essere seguito dal medico curante senza alcuna terapia. 2. Score clinico di bassa probabilità e d-dimero positivo e Score clinico di intermedia probabilità e d-dimero negativo. È opportuno programmare l’ultrasonografia in tempi bre- Tabella V. Dosaggio dei d-dimeri. Il test permette di misurare la concentrazione plasmatica dei prodotti di degradazione della fibrina, che sono espressione della fibrinolisi endogena ed aumentano nei giorni successivi ad un evento trombotico. È opportuno accertarsi della sensibilità e specificità del test impiegato dal servizio immunotrasfusionale o dal laboratorio di chimica clinica (test al lattice, immunoenzimatico, test quantitativi tipo ELISA). È necessario standardizzare le metodiche usate a livello provinciale (il test ELISA ora disponibile anche per l’urgenza è quello che offre il migliore rapporto sensibilità e specificità). Nelle valutazione dei risultati dei d-dimeri è corretto valutare sempre il valore predittivo negativo del test (che in alcune metodiche può raggiungere il 96%) per la possibile presenza di condizioni di falsa positività (ematomi sottocutanei, ferite chirurgiche, estese lesioni cutanee, ustioni, ascite e versamenti pleurici o pericardici, angina instabile, gravidanza, neoplasie attive); anche se non si possono escludere condizioni di falsa negatività (inadeguata scelta dei valori di cut-off, condizioni di ipofibrinolisi, presenza di sintomi clinici datanti da più di 7-10 giorni, recente trattamento anticoagulante). La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 83 vi ed in ogni caso non oltre le 48-72 ore dalla prima visita; eventuale profilassi con EBPM. 3. Score clinico di intermedia probabilità e d-dimero positivo. È necessario programmare ultrasonografia in tempi brevi (24-48 ore). Iniziare trattamento a dosaggio aggiustato o terapeutico con EBPM e trattenere in osservazione o rinviare a domicilio il paziente dopo adeguato counselling. 4. Score clinico di alta probabilità (d-dimero non necessario). È necessario iniziare un trattamento con EBPM a dosaggio terapeutico, trattenere il paziente in ospedale fino a diagnosi ultrasonografica di conferma e comunque non oltre le 24 ore. Infine, va sicuramente ribadito che solo l’esecuzione della CUS o dell’ecocolordoppler può confermare o escludere la presenza di una trombosi venosa profonda. Tabella VI. Criteri di esclusione per un trattamento domiciliare della TVP. TVP prossimale con sospetto diagnostico o diagnosi di embolia polmonare. TVP prossimale bilaterale o estesa a più segmenti venosi (trombosi cavale e/o iliaca). TVP in pazienti con trombocitopenia. TVP in pazienti gravide o purpere. TVP in pazienti con miocardiopatie in labile compenso, grave insuff. renale, severa epatopatia, diabete scompensato, severa ipertensione. TVP in pazienti con anamnesi positiva per sanguinamenti (ulcere gastriche o duodenali recenti, varici esofagee, emorragia cerebrale, etc.). TVP in pazienti con recenti interventi chirurgici maggiori o traumi maggiori. TVP in pazienti con anamnesi positiva per disordini acquisiti o congeniti di stati di ipercoagulabilità. TVP in pazienti con scarsa compliance per disturbi del comportamento, alcolismo, senectus. Phlegmasia e/o dolore intenso all’arto sintomatico. 84 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Dopo l’avvenuta conferma della trombosi venosa profonda deve essere sempre valutata la possibilità di trattamento domiciliare del paziente (outpatient); a questo proposito è opportuno valutare attentamente la presenza di criteri che possano escludere tale possibilità (Tabella VI)(13-15). 4.3 TRATTAMENTO DOMICILIARE DEL PAZIENTE CON TROMBOSI VENOSA PROFONDA Al paziente che rientra a domicilio per una gestione della sua patologia trombotica acuta o che vuole essere seguito domiciliarmente dal proprio Medico Curante deve essere garantita una conferma diagnostica sempre in una struttura ospedaliera. Come abbiamo precedentemente visto, l’iniziale sospetto clinico deve essere inquadrato ambulatorialmente con score clinico pretest, e successivamente con un test laboratoristico e ultrasonografico ed in caso di conferma del sospetto iniziale con la valutazione dei criteri di esclusione per outpatients. Questo percorso garantisce efficacia e sicurezza al successivo trattamento che deve comprendere alcuni momenti ben precisi: • terapia con eparina a basso peso molecolare per almeno 5 giorni adattata al peso corporeo secondo schema allegato alla dimissione con controllo dell’emocromo con piastrine al 5° e 10° giorno dall’inizio della terapia e alla fine del trattamento; • terapia con warfarina sodica entro 48 ore dalla diagnosi per il raggiungimento precoce di un INR efficace compreso tra 2 e 3 (è consigliabile partire con 5 mg di warfarina e proseguire con tale dosaggio fino al raggiungimento del valore minimo previsto); dopo 48 ore di INR efficace è possibile sospendere la EBPM e continuare con il solo trattamento anticoagulante orale secondo criteri provenienti dalla letteratura internazionale e concordati con l’ospedale di riferimento (Tabella VII) (16,17); • precoce mobilizzazione(18); • calze elastiche a compressione graduata (classe di compres- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 85 sione I o II) fin dai primi giorni per permettere precocemente una deambulazione protetta(18); • nuovo controllo ultrasonografico se ingravescenza dei sintomi d’ingresso o al momento della sospensione della TAO per valutare l’avvenuta ricanalizzazione o la presenza, la sede e il diametro di eventuali residui trombotici(19); • eseguire in alcuni casi ben codificati uno screening per possibili deficit dei fattori della coagulazione(20)(Tabella VIII). La gestione domiciliare della TVP, ma anche una eventuale dimissione precoce dell’evento tromboembolico polmonare sono condizioni che prefigurano una necessaria gestione integrata territorio-ospedale e che devono essere supportate da alcuni momenti ben precisi: Tabella VII. Criteri per una corretta durata della TAO. Nei pazienti con un primo episodio di TVP secondaria a cause reversibili si consiglia almeno 3 mesi di TAO. Nei pazienti con un primo episodio di TVP idiopatica si consiglia almeno 6 mesi di TAO (anche se il rischio di recidiva rimane alto dopo i 6 mesi). Nei pazienti con TEV e neoplasie in fase attiva, portatori di deficit dei fattori della coagulazione (APA; proteina C e S, ATIII, fattore V Leiden, variante protrombinica) si consiglia TAO prolungata (soprattutto se TVP spontanea). Nei pazienti con TVP idiopatiche ricorrenti si consiglia TAO prolungata (>12 mesi). Tabella VIII. Condizioni che consigliano uno screening per trombofilia. Comparsa di TVP in età giovanile. TVP idiopatica (senza apparenti cause scatenanti). TVP recidivante. Trombosi venose in sedi non usuali. Storia familiare di malattia tromboembolica venosa. Associazione di TVP con perdita fetale. Necrosi cutanea indotta da TAO. Porpora fulminante neonatale. 86 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella IX. Test consigliati per uno screening di trombofilia. Antitrombina III Proteina C Proteina S Resistenza alla proteina C attivata (se alterata, ricerca della mutazione nota come fattore V Leiden) Mutazione G20210A del gene della Protrombina Ricerca degli anticorpi antifosfolipidi: Lupus Anticoagulant (LAC) e anticorpi anticardiolipina (ACA) Omocisteina sierica basale Tabella X. Indicazioni per la terapia anticoagulante orale in corso di interventi chirurgici. Quando sospendere la TAO Quando continuare la TAO (anche con range di anticoagulazione ridotto) punture e cateterismi di vene ed arterie superficiali punture sternali biopsie cutanee, piccola chirurgia dermatologica, biopsie di mucose facilmente accessibili ed esplorabili (cavo orale, vagina), piccola chirurgia oculistica esami endoscopici senza manovre chirurgiche estrazioni dentarie semplici in assenza di infezione e di incisioni chirugiche; in questi casi risultano utili gli emostatici locali, la sutura dei bordi alveolari e l’applicazione di sciacqui orali con soluzioni di acido tranexamico al 5% posizionamento di stimolatori cardiaci (PMCA) chirurgia maggiore elettiva generale o specialistica punture esplorative di cavità (toracentesi, paracentesi, rachicentesi) biopsie di tessuti profondi (fegato, rene, osso, anche TAC o ecoguidate) o di mucose (gastroenteriche, respiratorie, genitali) non accessibili ad una ispezione diretta anestesie peridurali/epidurali NOTA: va ricordato che in alcune condizioni di tipo medico o di pre- e post- chirurgia la TAO può essere efficacemente sostituita dall’EBPM. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 87 Tabella XI. Alimenti ad alto contenuto di vitamina K che diminuiscono l’effetto degli anticoagulanti orali. Cibo Fegato di bovino Fegato di maiale Tè verde Broccoli Cavolini di Bruxelles Cavolfiore Ceci Ravizzone Spinaci Cime di rapa Contenuto di vitamina K per porzione (ng) 118 100 1700 103 620-2320 191 264 151 144 490 • Fornire una adeguata educazione al paziente sulle tecniche di autosomministrazione dell’EBPM e sulle modalità di conduzione del trattamento anticoagulante orale, condizioni che potrebbero rientrare in un adeguato programma di nursing (Tabella X e Tabella XI); • Fornire sempre con la lettera di dimissione una scheda di istruzioni per il paziente in trattamento anticoagulante. • Garantire al paziente, comunque dimesso ed inviato al curante per una gestione domiciliare, una programmazione a breve della terapia anticoagulante orale ed una eventuale esecuzione programmata in ambiente ospedaliero dei primi controlli della TAO se ciò dovessere risultare di difficile attuazione domiciliarmente. • Garantire al paziente e al curante la rivalutazione immediata del caso in struttura ospedaliera se ingravescenza dei sintomi o segni d’ingresso o comparsa di complicanze. • Comunicare al curante la tipologia delle misure elastocompressive (grado di contenzione elastica e tipo di calza) da adottare nel paziente con TVP. • Comunicare al curante un adeguato programma di riabilita- 88 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare zione vascolare nelle sindromi postromboflebitiche e nelle insufficienze venose severe. • Comunicare al Curante il rientro a domicilio del paziente con TVP e/o con tromboembolia polmonare. Scheda personalizzata di diagnosi e cura Per garantire la sicurezza del paziente, il migliore rispetto di un percorso clinico-diagnostico-terapeutico condiviso da più medici, un possibile riscontro pratico e scientifico abbiamo creato una scheda che potesse racchiudere i momenti essenziali nella valutazione di un paziente sintomatico che si rivolge a noi – Medici di Medicina Generale, Medici Ospedalieri, Specialisti – per escludere una possibile patologia trombotica. La scheda, certamente da perfezionare ed adeguare alla struttura di appartenenza, dovrebbe sempre accompagnare il paziente ed essere completata dopo ogni valutazione(21). La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 89 Trombosi Venosa Profonda: percorso personalizzato di diagnosi e cura (da conservare e portare ad ogni controllo successivo) Data ingresso gg mese anno nome ................................................................data di nascita ................................ via ....................................................................citt‡ ................................................ tel ................................................................................................................................ altre informazioni ....................................................................................................... Sospetto di trombosi venosa profonda, score di probabilit‡ clinica Tempo di insorgenza dei sintomi: meno di 48 ore; 3-6 giorni; oltre 7 giorni; Caratteristiche cliniche Neoplasia in atto ............................................................................................... (1) Paralisi, paresi o recente ingessatura arti inferiori ............................................ (1) Allettamento >3 giorni o intervento di chirurgia maggiore entro 4 settimane .. (1) Dolorabilit‡ localizzata lungo la distribuzione del sistema venoso profondo .. (1) Edema generalizzato dellíarto .......................................................................... (1) Edema del polpaccio (> 3 cm rispetto allíarto asintomatico) .......................... (1) Edema improntabile (maggiore nellíarto sintomatico) ..................................... (1) Presenza di vene superficiali collaterali (non varicose) .................................... (1) Diagnosi alternativa ......................................................................................... (-2) Probabilit‡ clinica elevata > 3 Probabilit‡ clinica bassa < 0 Probabilit‡ clinica intermedia 1-2 Criteri aggiuntivi: Pregressi eventi tromboembolici, familiarit‡ per malattia tromboembolica venosa, deficit accertati di fattori della coagulazione, uso di estroprogestinici, stato di gravidanza o puerperio, recenti interventi chirurgici minori (day surgery, artroscopici, laparoscopici). 90 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Sospetto clinico confermato con CUS Ecocolordoppler Altro .................................................................................................................. esito ............................................................................................................................ ..................................................................................................................................... ..................................................................................................................................... Presenza di criteri di esclusione per trattamento domiciliare TVP prossimale con sospetto diagnostico o diagnosi di embolia polmonare. TVP prossimale bilaterale o estesa a più segmenti venosi (trombosi cavale e/o iliaca). TVP in pazienti con trombocitopenia (<100.000). TVP in pazienti gravide o purpere. TVP in pazienti con miocardiopatie in labile compenso, insufficienza renale, gravi epatopatie, severa ipertensione. TVP in pazienti con anamnesi positiva per sanguinamenti (ulcere gastriche o duodenali recenti, varici esofagee, emorragia cerebrale, etc.). TVP in pazienti con recenti interventi chirurgici maggiori o traumi maggiori. TVP in pazienti con anamnesi positiva per disordini acquisiti o congeniti di stati di ipercoagulabilit‡. TVP in pazienti con scarsa compliance per disturbi del comportamento, alcolismo, senectus. Phlegmasia e/o intenso dolore allíarto sintomatico. Altri suggerimenti Non Ë possibile al momento eseguire esame diagnostico strumentale di conferma, si presenti il ............................................... ora ............................................ in ................................................................. (e comunque non oltre 48-72 ore ). Si esegue diagnostica di laboratorio: d-dimeroÖ..Ö.ÖÖÖÖÖÖ. (metodicaÖÖÖ..................................................); INR.....................; aPTT ............................; Plt ................................; Hb.......................; altro .................................................................................. In caso di episodio idiopatico o recidivante valutare sempre un possibile deficit della coagulazione prima di iniziare la terapia con eparina o 20 gg. dopo la conclusione della TAO: proteina C, proteina S, Antitrombina III, omocisteinemia, resistenza alla proteina C attivata (se alterata ricerca della mutazione del gene del fattore V Leiden), anticorpi antifosfolipidi (APA), lupus anticoagulant (LAC). Test eseguiti in data .................................................................................................. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Si consiglia la seguente terapia Eparina a basso peso molecolare .................................................................... Eparina calcica ................................................................................................ Eparina sodica e.v. (solo in ospedale) ............................................................ Dose iniziale ..................................................data .........................ora ............. luogo di somministrazione ................................................................................... Dose iniziale ..................................................data .........................ora ............. luogo di somministrazione ................................................................................... Controindicazioni assolute alla terapia eparinica: grave episodio emorragico in atto, recente intervento neurochirurgico o recente emorragia a carico del sistema nervoso centrale, grave diatesi emorragiche congenite o acquisite; Controindicazioni relative: ipertensione arteriosa di grado elevato resistente alla terapia, trauma cranico recente, endocardite batterica, recenti episodi di sanguinamento gastrointestinale, piastrinopenia (plt <100.000). Nella diagnosi di TVP la terapia va proseguita per almeno 5 giorni e comunque fino a quando líINR non abbia raggiunto il range terapeutico voluto per due giorni consecutivi. Controllare in 5a-10a giornata líemocromo e la conta piastrinica. Prosegua con anticoagulazione orale a dosi profilattiche INR tra 2 e 3 Warfarina* ........... mg (.......... cpr) alle ore ............... data ................................; Ritorni in ..................................... per controllo laboratoristico ed aggiustamento terapeutico il .................................. ora (INR ........................). Warfarina* ........... mg (.......... cpr) alle ore ................ data ...............................; Ritorni in ......................................per controllo laboratoristico ed aggiustamento terapeutico il .................................. ora (INR ........................). Warfarina* ........... mg (.......... cpr) alle ore ............... data ................................; Ritorni in ..................................... per controllo laboratoristico ed aggiustamento terapeutico il .................................. ora (INR .........................). Controindicazioni assolute alla TAO: gravidanza, emorragia maggiore (<30gg.), mancata compliance o collaborazione del paziente. Alcune indicazioni in caso di sovradosaggio o di complicanze emorragiche: INR <6 senza emorragie: sospendere la TAO per alcuni giorni; INR >6 senza emorragie o con emorragie minori: vitamina K 5 mg. corrispondenti a 5 gocce da modulare in base ai maggiori valori di INR; emorragia maggiore con qualsiasi INR: ospedalizzare il paziente, uso di vitamina K parenterale.. *Si consiglia prendere il farmaco in unica dose alla sera. 91 92 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Altri consigli pratici Deambulazione precoce e normale; Usare calza elastica a compressione graduata; (classe di compressione ............................. mmHg .....................................); altro ................................................................................................................ ...................................................................................................................; In caso di riacutizzazione dei sintomi iniziali o comparsa di nuovi sintomi o comparsa di emorragie avvertire sempre il Curante. Contattare sempre il medico prima di assumere aspirina o antinfiammatori, iniziare terapie intramuscolo o eseguire estrazioni dentarie. Per qualsiasi consiglio o ulteriori informazioni telefonare al n∞ ......................... chiedere del dr. ..................................................................................................... Il medico --------------------------------- Il paziente (consenso informato) --------------------------------------- Comunicazioni ed osservazioni (richiesta di prima/ulteriore valutazione, effetti collaterali alla terapia in corso, mancata compliance del paziente, sospetta recidiva di TVP, altro). ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... ............................................................................................................................... La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 93 4.4 IL TRATTAMENTO DOMICILIARE DELLA TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE La tromboflebite superficiale (TFS) indica un processo occlusivo del sistema superficiale degli arti sia inferiori che superiori (Figura 2), e rientra nell’ambito delle malattie tromboemboliche venose trattate prevalentemente a domicilio. Mancano dati Grande Safena Inizia come prosecuzione della vena marginale mediale al bordo del malleolo tibiale. Si anastomizza tramite il reticolo della gamba (vene tibiali e peroniere) con la piccola safena. Raggiunge la radice della coscia e a 3 cm circa dal legamento inguinale si fa profonda e sbocca nella vena femorale. Figura 2. Sistema venoso degli arti inferiori. Piccola Safena Inizia come prolungamento della vena marginale laterale e si dirige verticalmente in alto. Raccoglie vasi del reticolo superficiale del polpaccio. Raggiunta la fossa poplitea sbocca nella sottostante vena poplitea, appartenente al circolo profondo. La piccola safena (o safena esterna) si estende dal collo del piede al cavo popliteo. 94 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare attendibili di tipo epidemiologico ma anche precise linee guida o schemi di comportamento internazionalmente condivisi. La diagnosi di tromboflebite delle vene superficiali è inizialmente clinica: la comparsa di un cordoncino palpabile, duro, dolente ed arrossato lungo il decorso di una vena superficiale rende facilmente diagnosticabile questa patologia. Importante è la localizzazione anatomica: vena grande safena, vena piccola safena, vene superficiali della piega del gomito, varicoflebite, il comportamente migrante, ricorrente e l’eventuale propagazione del processo trombotico. Una tromboflebite su vena sana, sia interessante la piccola o la grande safena, deve essere prontamente diagnosticata e trattata con dosi aggiustate o terapeutiche di eparina a basso peso molecolare per almeno due settimane per evitare una eventuale propagazione del processo trombotico nel sistema profondo o la comparsa di una complicanza tromboembolica polmonare descritta da numerosi Autori. Per questi motivi nel sospetto di propagazione del processo tromboflebitico e/ o di mancata risposta al trattamento farmacologico è consigliabile sempre eseguire una CUS o ecocolordoppler; infatti trovare una tromboflebite che aggetti anche per pochi mm in vena femorale comune o che sia a pochi cm dalla crosse safeno-femorale rende opportuno iniziare un trattamento come una patologia venosa profonda. Diversamente nel caso di interessamento di vene superficiale minori il trattamento può giovarsi di EBPM a dosaggi profilattici o aggiustati per 2 settimane circa. Importante inoltre considerare le tromboflebiti superficiali migranti o recidivanti come una possibile spia per patologie sistemiche occulte e dunque avviare sempre uno screening per trombofilia ed una ricerca per un eventuale processo neoplastico fino ad allora misconosciuto(22-24). 4.5 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Koopman MMW, Prandoni P, Piovella F et al. for The TASMAN STUDY GROUP. Treatment of venous thrombosis with intrave- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 95 nous unfractionated heparin administered in the hospital as compared with subcutaneous low molecular weight heparin administered at home. N Engl J Med 1996; 334: 682-687. 2. Levine M, Gent M, Hirsh J, et al. for The Canadian Study. A comparison of low-molecular-weight heparin administered primarily at home with unfractionated heparin administered in the hospital for proximal deep-vein thrombosis. N Engl J Med 1996; 334: 677-681. 3. Boccalon H, Elias A, Chalíe JJ et al. 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Can all patients with deep vein thrombosis receive LMWH in an outpatient setting? Haemostasis 1999; 29 (suppl.1): 84-88. 14. Sixth ACCP Consensus Conference on Antithrombotic Therapy. Chest 2001; 119(suppl. 1). 16. Prandoni P, Lensing AWA, Cogo A, et al. The long-term clinical course of acute DVT. Ann Intern Med 1996; 125: 1-7. 17. Van den Belt AGM, Sanson BJ, Simioni P, et al. Recurrence of venous thromboembolism in patients with familial thrombophilia. Arch Intern Med 1997; 157: 227-32. 18. Partsch H, Blatter W. Compression and walking versus bed rest in the treatment of proximal DVT with low molecular weight heparin. J Vasc Surg 2000; 32(5): 861-869. 19. SIAPAV, SISET, SIDV-GIUV, CIF. Linee guida per la diagnosi e il trattamento della trombosi venosa profonda. Minerva Cardioangiologica 2000; 48: 199-275. 20. Tripodi A, Mannucci PM. Laboratory investigation of thrombophilia. Clin Chem 2001:47;1597-1606. 21. Tropeano PF. 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PROFILASSI E TERAPIA DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO 98 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 5. 99 PROFILASSI E TERAPIA DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO Anna Falanga Divisione di Ematologia, Ospedali Riuniti di Bergamo La malattia neoplastica è una nota condizione di trombofilia acquisita. L’associazione tra trombosi venosa e cancro è stata messa in evidenza per la prima volta da Trousseau nel 1865; egli documentò l’elevata incidenza di trombosi venose in un gruppo di pazienti affetti da carcinoma gastrico (Figura 1). È stato stimato che circa il 15% di tutti i pazienti neoplastici va incontro a trombosi nel corso della propria malattia e che gli eventi tromboembolici influenzano sia la morbosità che la mortalità di questa malattia (1,2). Pertanto la profilassi e la terapia del TEV nel cancro costituiscono un problema clinicamente rilevante. È importante riconoscere che, anche in assenza di sintomi di trombosi manifesta, quasi tutti i pazienti neoplastici presentano anomalie di laboratorio della coagulazione, che configurano un quadro di attivazione subclinica o stato di ipercoagulabilità(3). Sono stati identificati diversi fattori patogenetici, che dimostrano come l’attivazione della coagulazione sia un fenomeno complesso, che coinvolge molti meccanismi del sistema emostatico (Figura 2)(4). A questo riguardo un ruolo importante viene riconosciuto ad alFigura 1. Trousseau, che per primo descrisse nel 1865 la sidrome della tromboflebite migrante associata a cancro. 100 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare cune proprietà intrinseche delle cellule tumorali, le quali producono propri fattori procoagulanti e fibrinolitici e stimolano le capacità protrombotiche di piastrine, monociti e cellule endoteliali. Recenti studi clinici prospettici dimostrano in modo chiaro che la trombosi venosa idiopatica può essere la prima manifestazione di una neoplasia non ancora diagnosticata. Pertanto i pazienti con TEV idiopatico hanno un rischio significativamente più elevato di avere una diagnosi di cancro rispetto a pazienti con TEV secondario a cause note (es. interventi chirurgici, trombofilia congenita, gravidanza, immobilizzazione, etc.)(5,6). Un altro aspetto ben dimostrato è che i pazienti con diagnosi nota di tumore sono a più alto rischio di sviluppare trombosi venose “secondarie” in condizioni scatenanti(7). Non vi sono evidenze, al momento, che vi sia un beneficio nell’attuare una profilassi antitrombotica su larga scala in tutti i pazienti neopla- Figura 2. Attivazione della coagulazione e cellule tumorali. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 101 stici, ma vi sono indicazioni ad attuare o valutare l’uso di tali misure in presenza di fattori di rischio aggiuntivi, quali: gli interventi chirurgici, l’uso di cateteri venosi centrali e la somministrazione di terapie antitumorali. 5.1 PROFILASSI DELLA MTEV NEL PAZIENTE ONCOLOGICO Chirurgia La profilassi antitrombotica in chirurgia si avvale di un maggior numero di conoscenze rispetto alle condizioni non-chirurgiche. In questi pazienti la profilassi peri-operatoria con basse dosi di eparina non frazionata (UFH), eg. 5.000 UI sottocute cominciate 2 ore prima e proseguite ogni 8-12 ore dopo l’intervento, è efficace nel ridurre significativamente l’incidenza di trombosi post-operatorie ed embolie polmonari fatali. Ugualmente efficaci si sono dimostrate le eparine a basso peso molecolare (EBPM) in monosomministrazione sottocute ogni 24 ore(8). Queste ultime presentano un migliore profilo di sicurezza dal punto di vista emorragico. Uno studio di paragone fra due dosi di EBPM (2.500 e 5.000 UI), in pazienti operati per cancro, ha dimostrato una riduzione significativa dell’incidenza di trombosi con la dose più alta (da 14.9% nel gruppo che riceveva le 2.500 UI a 8.5% in quello che riceveva le 5.000 UI, p < 0.001) senza incrementare le complicanze emorragiche(9). Nuovi orientamenti stanno emergendo anche per quanto riguarda la durata della profilassi post-operatoria. Un importante studio ha recentemente dimostrato che il prolungamento della tromboprofilassi in chirurgia oncologica fino ad un mese dopo l’intervento comporta un ulteriore e significativo vantaggio nel ridurre l’incidenza del TEV secondario post-operatorio (10). Tali dati sono stati confermati da un altro studio, denominato FAME, che è in corso di pubblicazione(11). Pertanto la profilassi prolungata è destinata a costituire un nuovo standard in questo tipo di chirurgia. 102 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Cateteri venosi centrali (CVC) La profilassi nelle condizioni non chirurgiche, come in corso di chemioterapia e/o in presenza di CVC, rimane un problema ancora aperto. L’inserzione di CVC, molto comune nei pazienti oncologici perché facilita la somministrazione delle chemioterapie, predispone alle complicanze trombotiche sia degli arti superiori che degli arti inferiori che, a loro volta, possono generare embolie polmonari(12). L’incidenza delle complicanze trombotiche da CVC nei pazienti neoplastici, tuttavia, non è ben stabilita: i dati differiscono sensibilmente in funzione del criterio diagnostico adottato (da 0.02 a 0.92 trombosi venose sintomatiche/1000 giorni catetere). Naturalmente le incidenze sono molto più alte negli studi in cui vengono rilevate le trombosi asintomatiche con metodi oggettivi, come la flebografia(12). Oggigiorno si può dire che i dati rimangono ancora incerti. Infatti, rispetto ai primi studi clinici che riportavano incidenze molto più alte e dimostravano un’efficacia della profilassi con dosi fisse di 1 mg/die di warfarina oppure con EBPM(13,14), i dati più recenti non confermano l’efficacia della profilassi e indicano valori decisamente inferiori di trombosi correlate ai CVC (incluse le occlusioni dei CVC su base trombotica). Questo è probabilmente dovuto a vari motivi, come il miglioramento delle tecniche chirurgiche di inserzione dei CVC, la minore trombogenicità dei nuovi materiali di costruzione utilizzati, la migliore manutenzione quotidiana e la sterilità nelle manovre di apertura e chiusura dei CVC. Comunque la profilassi va sempre tenuta in considerazione, eventualmente individualizzata, in relazione ai fattori di rischio nel singolo paziente. In questo caso le strategie di profilassi rimangono quelle citate: warfarina 1 mg/die (dose fissa) oppure le EBPM in unica dose giornaliera per 3 mesi. Nessuno studio ha valutato la profilassi oltre questo periodo. Chemioterapia Il ruolo della tromboprofilassi nei pazienti che ricevono che- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 103 mioterapia e/o ormonoterapia è ancora in corso di valutazione. Ciò è dovuto in gran parte alla mancanza di informazioni per quantificare in maniera precisa il rischio di trombosi durante questi trattamenti. Un’importante eccezione è costituita dal carcinoma della mammella. L’analisi degli studi clinici di efficacia delle terapie antitumorali in questa neoplasia, ha consentito di avere molte informazioni, raccolte in maniera prospettica, sull’incidenza delle complicanze trombotiche, in categorie di pazienti ben definite per stadio e stato menopausale. In sintesi: 1. In assenza di trattamenti, l’incidenza di complicanze trombotiche è bassa (0.2-0.9%). 2. La presenza di chemioterapia porta tale incidenza al 5-13%, con i valori più alti nei gruppi di pazienti in post-menopausa (età >50 anni). 3. Lo stadio avanzato della malattia incrementa ulteriormente il rischio trombotico, fino ad un’incidenza del 17.5% in pazienti sottoposte a chemioterapia per tumore metastatico. 4. L’aggiunta di tamoxifene alla chemioterapia aumenta il rischio trombotico rispetto alla chemioterapia da sola ed al tamoxifene da solo(1). In tutti i suddetti studi, gli eventi trombotici si sono verificati durante il periodo di somministrazione dei cicli di chemioterapia. Il ruolo causativo dei regimi di polichemioterapia convenzionale nel precipitare gli eventi trombotici nel carcinoma della mammella è stato ben stabilito dallo studio prospettico di Levine et al.(15), in cui venivano valutati gli eventi in due gruppi di pazienti, uno che riceveva la chemioterapia per 12 settimane e uno per 36 settimane. Tutti gli eventi si verificarono solo durante la somministrazione dei cicli chemioterapici (nelle 12 settimane nel primo gruppo e nelle 36 settimane nel secondo gruppo). Nessun evento era registrato dopo il termine della chemioterapia. Pertanto, il carcinoma della mammella è l’unica condizione in cui il rischio di trombosi in corso di chemioterapia è ben quantificato ed in cui è stato condotto uno studio di tromboprofilas- 104 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare si durante la chemioterapia(16). Tale studio ha dimostrato che basse dosi scoagulanti di warfarina (INR 1.3–1.9) sono efficaci e sicure nel ridurre l’incidenza di trombosi in donne con carcinoma della mammella metastatico (stadio IV) che ricevono chemioterapia, con una riduzione dell’85% del rischio relativo nel gruppo in profilassi (p = 0.03). In altri tipi di tumori, e rispettivi schemi di trattamento, non vi sono ad oggi livelli di evidenza paragonabili a quelli del carcinoma della mammella per quantificare il rischio di trombosi. Fra gli altri tumori diversi dal carcinoma mammario, che si associano verosimilmente ad un più alto rischio tromboembolico in corso di trattamenti anti-tumorali, vanno ricordati gli adenocarcinomi del retto e del pancreas e gli adenocarcinomi gastrointestinali in stadio avanzato. In alcune situazioni sono disponibili dati utili a quantificare con precisione tale rischio, come nel carcinoma ovarico, nei glioblastomi cerebrali, e nei linfomi non-Hodgkin(17). Per quanto riguarda la tromboprofilassi in oncologia medica, lo studio di riferimento, al momento, rimane quello delle minidosi di warfarina nel carcinoma mammario, sopra menzionato(16). Tuttavia date le difficoltà del monitoraggio, l’indicazione generale è quella di utilizzare questo tipo di profilassi solo nei casi ritenuti a rischio molto elevato. Più di recente, l’avvento delle EBPM ha suscitato molto interesse in questo settore. Vari studi clinici di tromboprofilassi durante la chemioterapia sono attualmente in corso. In attesa dei risultati di questi studi, negli altri tipi di tumori in presenza di altri fattori di rischio si può mutuare lo stesso tipo di schema con warfarina dal carcinoma mammario, oppure mutuare lo schema di profilassi con EBPM dal paziente medico ad alto rischio. 5.2 LA TERAPIA DEL TEV NEL PAZIENTE ONCOLOGICO La terapia anticoagulante del TEV nei pazienti con cancro comporta numerose difficoltà, poiché è gravata sia da un mag- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 105 gior numero di fallimenti (maggiore rischio di recidive tromboemboliche durante il trattamento con anticoagulanti), sia da un maggior rischio di emorragie, come ben dimostrato da uno studio prospettico recente(18). Il trattamento standard di un primo episodio di TEV consiste nella somministrazione di eparina (ENF o EBPM) nei primi 5-7 giorni, embricata con la terapia anticoagulante orale con warfarina (INR 2-3) prolungata per 3-6 mesi. Nei pazienti con cancro viene usato lo stesso approccio terapeutico dei pazienti senza cancro. Tuttavia vi sono delle particolarità in questi pazienti, che rendono il trattamento più difficile, come ad esempio la necessità di frequenti sospensioni per insorgenza di piastrinopenie o per l’esecuzione di manovre invasive (endoscopia, biopsie, ecc.). Inoltre le infezioni, la malnutrizione, la terapia antalgica, le disfunzioni epatiche possono causare imprevedibili cambiamenti della dose/risposta agli anticoagulanti orali, con importanti fluttuazioni dell’INR. Questo crea ulteriori difficoltà legate alla necessità di più frequenti monitoraggi dell’INR, e quindi più frequenti prelievi da accessi venosi spesso resi difficoltosi. Tutto ciò complica le decisioni nella pratica clinica quotidiana. Un ulteriore importante quesito riguarda la durata della terapia. Non è infatti chiaro quando sospendere l’anticoagulazione in questi pazienti e se i 3-6 mesi di trattamento, stabiliti per i pazienti non oncologici, sono sufficienti anche in questa situazione, in cui lo stimolo protrombotico (ad es., la neoplasia) può essere ancora persistente oltre tale termine. Nuovi studi clinici si stanno oggigiorno concentrando sulla valutazione dell’efficacia di nuovi farmaci anticoagulanti, in alternativa alla warfarina. Le EBPM sono state tra i primi farmaci ad essere valutati, come alternativa alla warfarina, per il trattamento del TEV a lungo termine (oltre la fase iniziale). Esse, infatti, presentano una serie di potenziali vantaggi, come: a) non necessità di monitoraggio di laboratorio; b) risposta anticoagulante più uniforme, poiché non subiscono interferenze da parte di fattori dietetici o altri farmaci concomitanti; c) maggiore 106 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare maneggevolezza in caso di interruzioni/ripristino della terapia anticoagulante. Inoltre evidenze preliminari indicherebbero un loro ruolo nel limitare la crescita tumorale. Recentemente lo studio clinico CLOT ha paragonato la terapia con la EBPM Fragmin per 6 mesi verso la terapia standard con dicumarolici per 6 mesi, per un primo episodio di TEV in pazienti oncologici. Tale studio randomizzato multicentrico internazionale ha reclutato circa 670 pazienti e i risultati hanno dimostrato una riduzione del 50% delle recidive trombotiche nel braccio trattato con EBPM(19). 5.3 CONCLUSIONI Attualmente si raccomanda, nei pazienti oncologici con TEV, nella fase acuta, il trattamento iniziale con ENF o EBPM secondo le modalità usuali (l’impiego delle EBPM potrebbe essere preferibile poiché si associa ad un beneficio sulla mortalità). Per la profilassi secondaria, a lungo termine, si raccomanda, in alternativa ai dicumarolici, la somministrazione di EBPM. Infine, per quanto riguarda la durata della profilassi secondaria con anticoagulanti orali, la raccomandazione attuale è quella di prolungare tale durata per tutto il tempo in cui la malattia neoplastica è considerata in fase attiva o vi siano terapie antitumorali in corso, a meno che non sussistano controindicazioni. Per ulteriori delucidazioni si rimanda alle Linee Guida della S.I.S.E.T. (Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi) recentemente pubblicate(20). 5.4 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Rickles FR & Levine MN. Epidemiology of thrombosis in cancer. Acta Haematol 2001; 106: 6-12. 2. Donati MB. Cancer and thrombosis: from phlegmasia alba dolens to transgenic mice. Thromb Haemost 1995; 74: 278-81. 3. Falanga A, Barbui T, Rickles FR, Levine MN. Guidelines for clotting studies in cancer patients. Thromb Haemost 1993; 70: 34350. 4. Falanga A & Rickles FR. Pathophysiology of the thrombophilic La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 107 state in the cancer patients. Sem Thromb Haemost 1999; 25: 173-82. Prandoni P, Lensing AWA, Buller HR, et al. Deep-vein thrombosis and the incidence of subsequent symptomatic cancer. New Engl J Med 1992; 327: 1128-33. Monreal M & Prandoni P. Venous thromboembolism as first manifestation of cancer. Sem Thromb Hemost 1999; 25: 131-6. 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LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA 110 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 6. 111 LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA Pietro F. Tropeano Unit‡ di Emostasi e Trombosi, Dipartimento di Medicina I A.O. ìSanta Maria degli Angeliî, Pordenone Quando si parla di malattia tromboembolica venosa (MTEV) in ostetricia e ginecologia ci si riferisce a tre precise categorie di donne: • donne in gravidanza o nel puerperio; • donne sottoposte ad interventi di chirurgia addomino-pelvica; • donne in trattamento estroprogestinico a scopo contraccettivo (CO) o sostitutivo in postmenopausa (HRT); 6.1 LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA IN GRAVIDANZA La malattia tromboembolica venosa è la causa predominante di morbilità e mortalità durante la gravidanza ed il puerperio. L’incidenza esatta della TEV è difficile da stabilire, si stima che vari da 0,5 a 1,3/1.000 donne in gravidanza rispetto a 1/10.000 delle donne in età fertile(1). Il rischio di tromboembolismo venoso non varia significativamente nei trimestri della gravidanza ma è più alto nel post-partum(2). Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un notevole decremento della mortalità in gravidanza associata ad emorragia, eclampsia e sepsi; di contro la mortalità per embolia polmonare è rimasta invariata, al primo posto tra le cause più frequenti di mortalità materna. La gravidanza è un fattore di rischio per MTEV aumentando di circa 7 volte il rischio relativo rispetto ad una donna non gravida. Alcune don- 112 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ne hanno un rischio individuale ancora più alto in relazione alla presenza di fattori di rischio addizionali e/o di cause predisponenti (Tabella I). È importante in queste condizioni fornire un adeguato “counselling” nel periodo pre-gravidico e ottimizzare le scelte condivise di profilassi nel periodo della gravidanza. Nella genesi della MTEV in gravidanza sono coinvolti oltre ai fattori di rischio specifici visti in precedenza alcuni meccanismi fisiopatologici presenti in ogni gravidanza con precisi adattamenti posturali e strutturali: fattori meccanici (Tabella II, Figure 1 e 2), variazioni ormonali (Tabella III) e variazioni nei fattori della coagulazione che spostano la bilancia coagulativa in senso procoagulante (Tabella IV). La malattia tromboembolica venosa in gravidanza è dunque un disturbo multifattoriale che si innesca quasi sempre su alcune condizioni protrombotiche “acquisite” (Tabella V) permanenti o transitorie e su alcune condizioni di trombofilia “ereditaria” (Tabella VI). Non tutte le donne con trombofilia sviluppano MTEV in gravidanza; questo dipende dal tipo di trombofilia, dalle concause conosciute o ignote di tipo acquisito, dai fattori ambientali, dalla storia clinica e dalla presenza o meno di una adeguata profilassi. Tabella I. Fattori di rischio specifici per TEV in gravidanza Trombofilia ereditaria o acquisita • Pregressi episodi di TEV idiopatici e non • Storia di familiarità per TEV o per patologia gravidica • Trombofilia ereditaria o acquisita • Eta (> 35 anni) • Peso > 80 kg (BMI >30 Kg/m2) • Taglio cesareo • Multiparità (> 4) • Pre-eclampsia • Gravi patologie associate • Immobilità prolungata (> 4 giorni) • Grosse vene varicose • Recenti interventi addomino-pelvici • Infezioni ricorrenti, sepsi La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 113 Tabella II. Fattori meccanici coinvolti nella gravidanza normale • Modifica della postura con atteggiamento di iperlordosi (dal V mese), ipertensione venosa determinata dall’ostruzione al deflusso venoso profondo: • la vena cava inferiore viene compressa dai visceri dislocati in sede sottodiaframmatica; • la vena renale sx viene stirata ed appiattita nel suo passaggio ante-aortico; • la vena iliaca comune di sx viene ulteriormente compressa contro il rachide dall’arteria iliaca comune di dx; • le vene iliache esterna e comune sono dislocate lateralmente e compresse dall’utero. • La stenosi funzionale della giunzione reno-cavale determina l’inversione di flusso nelle vena ovarica sx. e dunque la comparsa di varici ovariche sx. • Il deflusso venoso del rene di sx trova nuovi meccanismi di compenso attraverso la comparsa di varici vaginali, di varici del plesso retropubico e della regione sopra-inguinale di dx (cavernoma inguinale dx). Figura 1. Compressione dell’utero sulla colonna vertebrale e sulla vena cava inferiore dal V° mese di gravidanza. Figura 2. Varici faccia anteriore di coscia (cavernoma inguinale dx). 114 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella III. Fattori ormonali coinvolti nella gravidanza normale. • Il progesterone, agendo sui recettori specifici presenti sui diversi tessuti, tra cui le fibrocellule muscolari della parete venosa, determina il loro rilasciamento con conseguente riduzione del tono venoso, aumento del diametro delle vene, favorisce l’ipertensione venosa e lo sviluppo di varicosità. • Gli estrogeni determinano vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, neovascolarizzazione, ed inoltre il rimaneggiamento della parete venosa in corrispondenza degli strati della media e dell’endotelio, riducendone la resistenza. Tabella IV. Fattori della coagulazione nella gravidanza normale. • Aumentata attivazione piastrinica. • Aumento dei livelli di fibrinogeno. • Aumento dei livelli dei fattori VIII e X. • Acquisita resistenza alla proteina C attivata (in assenza di F V Leiden). • Riduzione dei livelli di antitrombina III e di proteina S (proteina S libera). • Aumento dei livelli di PAI-1 e PAI-2 (ipofibrinolisi). Tabella V. Condizioni protrombotiche acquisite. • Anticorpi antifosfolipidi (APA), lupus anticoagulant (LAC), anticorpi anticardiolipina IgG-IgM (ACA). • Iperomocisteinemia (deficit di folati, vitamine B6 e B12). • Immobilizzazione. • Estrogenoterapia (pillola, terapia ormonale sostitutiva). • Stati post-chirurgici. • Traumi e politraumi. • Neoplasie attive. • Sindrome nefrosica. • Disturbi mieloproliferativi (policitemia vera, trombocitemia essenziale). • Emoglobinuria parossistica notturna. • Vasculiti sistemiche. • Chemioterapia. • Cateteri venosi centrali. • Trombocitopenia indotta da eparina (tipo II). La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 115 Tabella VI. Condizioni di trombofilia ereditaria. • • • • • • Antitrombina (ATIII,1965). Proteina C (1981), Proteina S (1984). Mutazione del Fattore V (fattore V di Leiden, 1994). Resistenza alla proteina C attivata (aPCR). Mutazione del fattore II (protrombina) G20210A (1996). Mutazione ciclo omocisteina (polimorfismo gene per MTHFR, 1995). • Alterazioni rare : disfibrinogenemia, displasminogenemia, aumento PA-I (ipofibrinolisi), aumentati livelli fattore VIII. Quando sospettare una condizione di trombofilia? Certamente quando si ha un’età giovanile di comparsa dell’evento tromboembolico in assenza o in presenza di cause acquisite transitorie o permanenti; in presenza di MTEV idiopatica o ricorrente indipendentemente dall’età; in presenza di tromboflebiti superficiali recidivanti e/o migranti; quando sono presenti trombosi venose in sedi inusuali (viscerali, cerebrali, retiniche); quando è presente familiarità per tromboembolie venose o tromboflebiti ricorrenti o migranti; se è presente trombofilia accertata in un familiare di primo grado; in donne sintomatiche per patologia gravidica intesa come comparsa di morte intrauterina oltre la 20a settimana, di due o più aborti spontanei consecutivi, di preeclampsia severa o di limitazione intrauterina di sviluppo (IUGR). Meno frequentemente vediamo una necrosi cutanea indotta da anticoagulanti orali o una porpora neonatale fulminante che devono comunque farci sospettare una trombofilia sottostante. Certamente importante nel definire uno screening di laboratorio nel sospetto di una condizione di trombofilia è l’epidemiologia dei singoli difetti nella popolazione sana e nella popolazione affetta da malattia tromboembolica venosa (Tabella VII). 116 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella VII. Trombofilia: prevalenza ed effetti. Difetto APC resistance Effetti Popolazione Popolazione sana con TEV Mutazione fattore V non inibito da proteina C attivata 2-6% 10-20% Fattore V Leiden vedi sopra 2-6% 10-20% Mutazione 20210 della protrombina Aumento della protrombina 2-4% 6-14% Antitrombina III No inibizione dei fattori IIa, Xa, XIa, XIIa No inibizione dei fattori Va, VIIIa No inibizione dei fattori Va, VIIIa 0.3% 3% 0.3% 3% 0.3% 3% Lupus anticoagulant (LAC) Anticorpi anticardiolipina (ACA-IgG, IgM) 2% 14% Danno endoteliale 5% 10-20% Proteina C Proteina S Anticorpi antifosfolipidi Iperomocisteinemia Mentre i deficit delle proteine anticoagulanti naturali (ATII, Proteine C e S) comportano, a livello di cascata coagulativa, una perdita di funzione venendo a mancare la “fisiologica” protezione anticoagulante, le mutazioni del fattore V e della protrombina comportano un guadagno di funzione accelerando la formazione di fattori procoagulanti. Il fattore V Leiden è la seconda più comune causa di trombofilia ereditaria in Europa e si riscontra nel 90% dei casi con resistenza alla proteina C attivata (aPCR). Normalmente l’aggiunta di aPCR causa un prolungamento dell’aPTT dovuto all’inibizione dei fattori V e VIII attivati, ciò non avviene in questa condizione trombofilica e l’anomalia osservata è stata denominata resistenza alla proteina C attivata ad indicare il comportamento del test di laboratorio. La causa risiede in una singola mutazione (adenina al posto di guanina) nel nucleotide 1691 del gene La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 117 che codifica per il fattore V, che in presenza della mutazione risulta avere una sostituzione aminoacidica (glutamina al posto di arginina) in posizione 506, proprio in uno dei siti di legame con la proteina C attivata. Il fattore V Leiden si riscontra in forma eterozigote ed omozigote con differenze notevoli di prevalenza e soprattutto di rischio trombotico (Tabella VIII). Ancora controversa la strategia ideale nei confronti delle donne gravide con fattore V Leiden eterozigote senza storia di pregresse trombosi o patologie gravidiche; sebbene alcuni autori raccomandino di iniziare una profilassi farmacologica anche durante la gravidanza, un comportamento condiviso da molti Centri italiani, compreso il nostro di Pordenone, è quello di usare la compressione elastica durante la gravidanza e una profilassi con eparina a basso peso molecolare + contenzione elastica nelle prime 4-6 settimane del puerperio. Quali test usare per la ricerca dei polimorfismi del fattore V? Ci sono comunemente due tipi di esami che servono a rivelare la presenza di una mutazione V Leiden: la resistenza alla proteTabella VIII. Prevalenza e rischio relativo delle mutazione V Leiden e Protrombina. Difetto Stato Prevalenza su popolazione sana Rischio relativo Fattore V Leiden eterozigote 1 su 25 5 Fattore V Leiden omozigote 1 su 625 10-80 Fattore II o protrombina eterozigote 1 su 50 4 Fattore II o protrombina omozigote 1 su 2500 ? Fattore V Leiden e protrombina Eterozigoti entrambi 1 su 2500 20 118 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ina C attivata (aPCR) e un secondo test di tipo genetico con tecniche di DNA molecolare. L’aPCR è un test molto comune di tipo funzionale che mette in relazione l’aPTT del paziente rispetto ad un’aPTT standard, ed il risultato è espresso come “ratio” tra i due valori. Il test genetico per il fattore V Leiden valuta direttamente il genotipo del paziente ed i risultati comprendono una condizione di omozigosi normale, di eterozigosi Fattore V Leiden o di omozigosi Fattore V Leiden. È consigliabile eseguire in prima battuta il test funzionale (eccetto in quelle condizioni che vedremo successivamente e che possono condizionarlo) e per bassi valori di ratio eseguire il test genetico di conferma. Non sempre la presenza di una resistenza alla proteina C attivata implica automaticamente la presenza di una mutazione V Leiden: sono infatti presenti alcune condizioni come l’aumento dei livelli di fattore VIII, la presenza di Lupus anticoagulante, la gravidanza stessa che causano resistenza alla proteina C attivata. Altro difetto, acquisito ma anche genetico, che va sicuramente valorizzato è l’iperomocisteinemia che può essere dovuta sia al deficit eterozigote di cistationina B sintetasi o ancora ad un deficit eterozigote od omozigote per la Metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR) e infine ad un deficit di folati o di vitamina B12. Resta tuttavia non ben chiaro il significato della cosiddetta “ligtht or mild hyper-homocysteinemia”, per valori di omocisteina compresi tra 16 nml/L e 80 nml/L, non infrequente nella pratica clinica e che si accompagna in alcuni casi come unico fattore di rischio all’evento trombotico vascolare sia esso venoso che arterioso, condizione sicuramente da profilassare con adeguate dosi di acido folico, vitamina B6 e vitamina B12. Dopo aver visto alcune condizioni genetiche e non di ipercoagulabilità e i test da eseguire nel sospetto di trombofilia analizziamo il “timing” di queste indagini rispetto ad alcune situazioni fisiologiche (gravidanza) e patologiche (trattamento eparinico o warfarinico in atto) che potrebbero alterarne i risultati (Tabella IX). In linea generale dunque è utile non eseguire uno screening per trombofilia durante la fase acuta di un evento trombotico, La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 119 durante la terapia anticoagulante in atto, durante il trattamento estro-progestinico, durante la gravidanza ed in presenza di gravi epatopatie; ciò naturalmente non è valido per i test di genetica molecolare che possono essere eseguiti in qualsiasi momento. Tabella IX. Screening della trombofilia: timing e condizioni che ne alterano i risultati. Test Effetto della gravidanza Effetto della eparina Effetto del warfarin Resistenza funzionale alla proteina C attivata Dosaggio funzionale per aPCR Alterato (aumentata resistenza a aPCR) Nessuno Alterato Mutazione Fattore V Leiden (95% di aPCR) Genetica molecolare per mutazione Fattore V Leiden (G1691A) Nessuno Nessuno Nessuno Mutazione del gene della protrombina 20210A Genetica molecolare per mutazione gene della protrombina (G20210A) Nessuno Nessuno Nessuno antitrombina III Proteina C Proteina S (carenza) Dosaggio antitrombina III Dosaggio funzionale proteina C Dosaggio funzionale proteina S Livelli di proteina S libera Ridotto Nessuno Alterato Nessuno Nessuno Alterato Ridotto Nessuno Alterato Ridotto Nessuno Nessuno Alterato Alterato Alterato Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Anticorpi antifosfolipidi Omocisteina Dosaggio Lupus anticoagulant aPTT -LA dRVVT KCT Elisa per anticorpi anticardiolipina neutralizzazione fosfolipidica esagonale Nessuno Omocisteina plasmatica a digiuno Genetica molecolare per mutazione del gene MTHFR Alterato (ridotto I e II trimestre) Nessuno 120 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 6.2 PROFILI DI RISCHIO PER MTEV IN GRAVIDANZA E TROMBOPROFILASSI Abbiamo identificato quattro profili di rischio a cui ricondurre la maggior parte delle concause che contribuiscono allo sviluppo di una patologia trombotica nel feto o nella madre. Comprendono un basso rischio inteso come una gravidanza non compli- Tabella X. Profilo di rischio moderato per tromboembolismo venoso in gravidanza e tromboprofilassi. Rischio moderato • • • • • • • • Tromboprofilassi nel rischio moderato a) precoce mobilizzazione ed idratazione b) profilassi pre-partum con EBPM a dosaggi profilattici (3000-4000 UI una volta al giorno) c) calze elastiche antitrombo d) calze elastiche a compressione graduata e) attenta sorveglianza clinica f) profilassi post-partum con anticoagulante orale o EBPM età >35 aa., obesità > 29 BMI (a,e) parità > 3 (a,e) infezioni ricorrenti, sepsi (a,e) grosse vene varicose (a,c,d,e) preeclampsia (a,c,d,e) immobilizzazione a letto >/= 4gg. (c,d,e) precedente chirurgia addominale (a,e) singolo precedente episodio trombotico associato con un fattore di rischio temporaneo (chirurgia, trauma) senza trombofilia (a,c,d,e,f) • trombofilia ereditaria (eccetto deficit di antitrombina III, omozigosi per il fattore V di Leiden o per il fattore II, defici combinati) in paziente asintomatica senza storia di MTEV con o senza storia familiare di MTEV (a,c,d,e,f) • patologie severe concomitanti (disturbi cardiaci o polmonari, neoplasie attive, sindrome nefrosica, rettocolite ulcerosa) (c,d,e,f) • parto cesareo non elettivo o cesareo elettivo con presenza di fattori di rischio (a,c,d,e) La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 121 Tabella XI. Profilo di rischio moderato-alto per tromboembolismo venoso in gravidanza e tromboprofilassi. Rischio moderato-alto • trombofilia ereditaria (deficit di antitrombina III, omozigosi per il fattore V di Leiden o per il fattore II, deficit combinati) in paziente asintomatica con o senza storia di MTEV • trombofilia ereditaria in paziente con storia di MTEV • storia di MTEV durante una precedente gravidanza, durante l’uso di pillola contraccettiva o in presenza di stabili fattori di rischio (età, obesità, grosse vene varicose) • pregresse patologie della gravidanza; storia di morte intrauterina del feto (>20a settimana), di ricorrente perdita del feto (>2), IUGR (intra uterine growth restriction) e di severa preeclampsia Tromboprofilassi nel rischio moderato-alto • EBPM 4000 UI (dose profilattica) durante tutta la gravidanza • calze elastiche antitrombo • calze elastiche a compressione graduata • profilassi post-partum con anticoagulante orale o EBPM per almeno 4-6 settimane dal parto cata con nessun fattore di rischio accertato con o senza un cesareo elettivo che può avvalersi di una precoce mobilizzazione e di una buona idratazione; seguono un rischio moderato, un rischio moderato-alto ed un rischio alto di evento tromboembolico venoso. Abbiamo cercato di fornire alcuni suggerimenti di tromboprofilassi da adottare nelle varie condizioni della gravidanza (Tabella X, XI, XII). Tutte le opzioni consigliate dovranno essere discusse e concordate con la paziente mediante un “counselling” preciso e con lo specialista ginecologo di fiducia. Dovrà essere ribadito, nel caso di una tromboprofilassi con EBPM, che il farmaco può essere usato con sicurezza in gravidanza poiché ha un ottimo profilo farmacocinetico: i rapporti tra dose iniettata, picco di attività anti Xa ed area sottesa sotto la curva sono 122 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella XII. Profilo di rischio alto per tromboembolismo venoso in gravidanza e tromboprofilassi. Rischio alto • >2 precedenti episodi di MTEV • donne in trattamento anticoagulante orale per recente episodio di MTEV • donne che hanno un episodio trombotico durante la gravidanza (rischio di recidiva) • donne che hanno un difetto confermato prima della gravidanza di antitrombina III con o senza storia di MTEV • donne con una sindrome confermata di anticorpi antifosfolipidi Tromboprofilassi nel rischio alto • EBPM 400 UI una volta die, 0.5-1.0 mg/Kg ogni 12 ore per tutta la gravidanza • aspirina 75 mg/die per tutta la gravidanza • ATIII concentrati in bolo e/o mantenimento • calze elastiche antitrombo • calze elastiche a compressione graduata • profilassi post-partum con anticoagulante orale o EBPM per 6-12-24 settimane dal parto o a tempo indeterminato lineari (Figura 3); non attraversa la placenta e non viene secreto nel latte materno; può comportare un pur minimo rischio di trombocitopenia immune (consigliabile dunque emocromi seriati al 5°, 10° e 20° giorno dall’inizio della profilassi) e di osteoporosi. Al contrario i farmaci antagonisti della vitamina K (warfarina e acenocumarolo) attraversano la placenta e sono assolutamente da non usare in gravidanza per il rischio di sanguinamento materno e fetale e di embriopatia fetale; non hanno effetto anticoagulante sul neonato allattato al seno e possono essere usati nel puerperio. Abbiamo visto in precedenza come le complicanze ostetriche legate ad un elavato rischio tromboembolico possono realizzare una trombosi placentare che è spesso la cause di gravidanze non La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 123 Figura 3. Livelli plasmatici di EBPM a vari dosaggi e tempi di dimezzamento. portate a termine per aborto al II trimestre, IUGR (difetto intrauterino di accrescimento), morte intrauterina del feto, severa preeclampsia. Per nostra fortuna non tutte le donne trombofiliche o portatrici di fattori di rischio tromboembolico sviluppano una trombosi placentare, ciò può essere messo in relazione al tipo di trombofilia, alla presenza di più fattori di rischio spesso sconosciuti presenti nello stesso momento, a fattori ambientali, alla storia clinica e alla presenza o meno di una adeguata e tempestiva tromboprofilassi. 124 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Altra situazione non ancora completamente chiarita è quella che vede protagoniste donne con anomalie trombofiliche candidate a induzione farmacologica dell’ovulazione tramite fecondazione assistita. Le condizioni di trombofilia ereditaria come l’eterozigosi per il fattore V di Leiden o l’eterozigosi per il fattore II possono avvalersi di una profilassi farmacologica con EBPM durante la fase di induzione “farmacologica” dell’ovulazione per poi proseguire con la sola contenzione elastica fino al parto e riprendere comunque con entrambe le misure nel puerperio, per almeno sei settimane. Le altre condizioni di trombofilia ereditaria (deficit di AT III, omozigosi per fattore V di Leiden o fattore II, difetti combinati) possono avvalersi di una profilassi farmacologica per tutta la durata della gravidanza e nel post-partum per almeno sei settimane. Di sicuro tra tutte le condizioni a rischio viste in precedenza non dobbiamo e non possiamo sottovalutare la positività confermata per gli anticorpi antifospolipidi (LAC e ACA) che si accompagnano in modo lineare ad un aumentato rischio di abortività nel primo trimestre. Infatti le gestanti con positività per LAC e ACA hanno una probabilità di aborto del 90% se non vengono prese misure terapeutiche di prevenzione. Di contro, il 15% delle donne con aborti ripetuti presenta positività per gli anticorpi antifosfolipidi. Quali dunque le raccomandazioni da consigliare nelle gravidanze a rischio per presenza di anticorpi antifosfolipidi? Sicuramente nel graduare la profilassi va valutata la storia clinica della gravida, la presenza di precedenti episodi di MTEV, il titolo anticorpale più volte confermato, la presenza di ulteriori fattori di rischio; tutta la durata della gravidanza e le prime sei settimane del puerperio dovranno essere “protette” con EBPM a dosaggi variabili tra il sub-terapeutico-aggiustato (0,5 mg/Kg due volte die) al dosaggio pieno 1,0 mg/Kg due volte al giorno a cui va aggiunta l’aspirina nel dosaggio di 75 mg/die. Il trattamento dovrà proseguire, in relazione alle condizioni anamnestiche, per 6, 12, 24 settimane dopo il parto (solo EBPM o anticoagulante orale) o, in alcuni casi, a tempo indeterminato. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 125 6.3 RISCHIO TROMBOEMBOLICO E TROMBOPROFILASSI IN CHIRURGIA GINECOLOGICA Nella chirurgia ginecologica, come in chirurgia generale, in assenza di profilassi si ha un’incidenza oscillante tra il 7% ed il 35% di eventi tromboembolici. La probabilità di sviluppare una complicanza tromboembolica dipende da alcuni fattori di rischio correlabili alla storia clinica della paziente (età, peso, neoplasia, precedente MTEV, trombofilia) ma anche al tipo di intervento (durata, tipo di anestesia, immobilità pre e post operatoria, chirurgia dopo laparoscopia, tipo di anestesia, sepsi intercorrenti). Abbiamo cercato di schematizzare e graduare i vari fattori di rischio coinvolti nella chirurgia ginecologica (Tabelle XIII e XIV) Tabella XIII. Profilo di rischio tromboembolico moderato in chirurgia ginecologica. Chirurgia ginecologica Rischio moderato • Chirurgia minore (<30 min) in pazienti con storia di MTEV con o senza trombofilia. Chirurgia maggiore (>30 min) • Chirurgia dopo laparoscopia • Obesità >29 BMI • Età >60 anni • Grosse vene varicose • Infezioni intercorrenti, sepsi • Immobilizzazione a letto (>4 giorni) • Patologie severe intercorrenti (patologie cardiache o polmonari, sindrome neforsica, rettocolite ulcerosa) Chirurgia ginecologica Rischio moderato Tromboprofilassi • Eparina non frazionata (calcica) 5000 UI preoperatoriamente ed ogni 12 ore postoperatoriamente per almeno una settimana • Eparina a basso peso molecolare 2000 UI (low dose) - 4000 UI al giorno da continuare per 1-2 settimane alla dimissione assieme alla calza elastica a compressione graduata, calze elastiche antitrombo o compressione pneumatica intermittente (IPG) intraoperatoriamente e postoperatoriamente per 24 ore 126 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare e presenti nella letteratura internazionale distinguendo, come fatto in precedenza per il profilo di rischio della paziente gravida, un rischio basso negli interventi di chirurgia minore (< 30 min) senza fattori di rischio aggiuntivi e negli interventi di chi- Tabella XIV. Profilo di rischio tromboembolico alto in chirurgia ginecologica. Chirurgia ginecologica Rischio alto • Presenza di >3 fattori di rischio moderato • Chirurgia maggiore (<30 min.) in pazienti con storia di MTEV con o senza trombofilia • Chirurgia pelvica o addominale per neoplasia ginecologica • Chirurgia d’emergenza in donne in trattamento estroprogestinico Chirurgia ginecologica Rischio alto Tromboprofilassi • Eparina non frazionata (calcica) 5000 UI preoperatoriamente ed ogni 8 ore postoperatoriamente per almeno una settimana, calze elastiche antitrombo o compressione pneumatica intermittente (IPG) intraoperatoriamente e postoperatoriamente, calze elastiche a compressione graduata alla dimissione • Eparina a basso peso molecolare 4000 UI al giorno preoperatoriamente e postoperatoriamente da continuare per almeno 4 settimane alla dimissione assieme alla calza elastica a compressione graduata, calze elastiche antitrombo o compressione pneumatica intermittente (IPG) intraoperatoriamente e postoperatoriamente per 24 ore rurgia maggiore (< 30 min) in donne con età inferiore ai 40 anni e prive di fattori di rischio aggiuntivi da trattare con precoce mobilizzazione ed idratazione, un rischio moderato ed un rischio alto e completando i profili di rischio con corrispondenti misure di tromboprofilassi. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 127 6.4 TROMBOBOEMBOLISMO VENOSO ACUTO IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO: DIAGNOSI E TERAPIA L’incidenza esatta della malattia tromboembolica durante la gravidanza è difficile da stabilire; si stima tra 0,7-1,3 ogni 1000 donne gravide verso il rapporto di 1/10.000 nelle donne non gravide in età fertile. Il rischio di MTEV non varia significativamente nei vari trimestri della gravidanza ma è più alto nel postpartum. L’embolia polmonare rimane comunque la causa più frequente di mortalità materna in gravidanza. La trombosi venosa profonda colpisce più frequentemente l’arto inferiore sinistro in relazione al problema meccanico valutato in precedenza e può essere iliaco-femorale ma anche interessare le vene pelviche ed ovariche rendendo difficile la diagnosi. Diagnosi già complessa per l’edema, la dilatazione del sistema venoso superficiale e per una componente algica a livello popliteo espressione di stasi venosa in assenza di fatti trombotici evidenti. L’ecografia vascolare e l’esame doppler sono indispensabili per fare diagnosi permettendoci di visualizzare il trombo, di dimostrare la non comprimibilità del segmento esplorato e l’assenza di dilatazione alle manovre di Valsalva con assenza di un flusso respiro-modulato. L’esame che ha una affidabilità del 100% (la normalità ci permette di escludere una diagnosi di TVP e viceversa) è pur sempre un test operatore dipendente e può non cogliere una trombosi ileo-cavale o una trombosi delle vene ovariche. Altri test non invasivi sono l’equilibrio acido-base il cui valore di gradiente alveolo-arterioso (A-a)* è poco sensibile nelle donne gravide e l’altro test di laboratorio comunemente usato, il dosaggio del D-dimero, poco affidabile perché i valori tendono ad aumentare con l’avanzare dell’età gestazionale. Sicuramente utile ai fini di una diagnostica differenziale e per la presenza di un sovraccarico ventricolare dx l’ECG e l’ecocardiogramma come pure * Il gradiente alveolo-arterioso “P(A-a)O2” si ricava con la seguente formula: 150-1,25(PaCO2-PaO2) espresso in mmHg (v.n. 20±4) 128 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare un RX torace. Ma quali sono gli esami sicuri per il feto che ci permettono di fare diagnosi di embolia polmonare in gravidanza? Certamente la scintigrafia perfusionale (o ventilo-perfusionale) a cui si è aggiunta recentemente, per affidibilità e sicurezza, la TAC spirale anche “multi-slice” che ci consente di ridurre ulteriormente l’esposizione stimata di radiazioni al feto (Tabella XV). La terapia dell’episodio acuto durante la gravidanza prevede l’uso dell’eparina a basso peso molecolare a dosaggi terapeutici (1 mg/Kg ogni 12 ore) per tutta la durata della gravidanza interrompendola e sostituendola con dosaggi profilattici in prossimità dell’induzione del travaglio o di un parto cesareo programmato con anestesia spinale o epidurale. In alternativa la fase iniziale può prevedere un bolo di eparina sodica non frazionata (ENF) (2.500-5.000 UI) seguito da un mantenimento 25.000 UI in 500 cc di S.F. impostando la pompa da infusione tra 2026 ml/h che corrispondono rispettivamente a circa 1.000-1.300 U/h di ENF. La durata di questo trattamento in infusione con- Tabella XV. Esposizione stimata del feto alle radiazioni nella diagnostica strumentale della MTEV. Scintigrafia polmonare di perfusione con Tecnezio (Tc99m MAA) • 3 mCi • 1.5 mCi Esposizione stimata in rad 0.018 0.009 Scintigrafia polmonare di ventilazione con • Xenon (Xe133) • Tc99mDTPA Tc99mSC 0.004-0.019 0.007-0.035 0.001-0.005 TAC spirale toracica 0.013-0.026 Rx torace 0.01 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 129 tinua non supera di solito 7 giorni, raggiungendo e mantenendo un valore ottimale di aPTT ratio verosimilmente compreso tra 2 e 2,5; sono necessari controlli seriati dell’aPTT ed aggiustamenti in corso d’opera (Tabella XVI). La terapia deve prevedere una embricazione con l’EBPM a dosaggi terapeutici e proseguire, come detto, per tutta la durata della gravidanza. Alcuni Autori consigliano di eseguire ogni due mesi controlli dei livelli di eparina (anti-factor Xa) eseguendo il test dopo 4-6 ore dalla prima delle due dosi giornaliere in modo da raggiungere livelli di anti-factor Xa tra 0,5 e 1,2 U/ml. Il trattamento con EBPM dovrebbe riprendere 6-12 ore dopo il parto iniziando possibilmente con un dosaggio profilattico. Dal terzo giorno è possibile iniziare l’embricazione con la terapia anticoagulante orale che va proseguita mantenendo l’INR tra 2 e 3 per almeno 6 mesi. 6.5 ANESTESIA SPINALE/EPIDURALE E PROFILASSI ANTITROMBOTICA Quali i possibili fattori di rischio di ematomi spinali durante una tromboprofilassi con EBPM? Possono essere correlati alla Tabella XVI. Schema di terapia con eparina non frazionata (ENF). Ratio aPTT Modifica infusione (ml/h) <1.5 1.6-1.9 2.0-2.5 2.6-3.0 3.1-3.8 >3.9* + 4 ml/h + 2 ml/h goal - 2 ml/h - 4 ml/h - 4 ml/h Altri interventi nuovo bolo e.v. stop infusione 30 min. stop infusione 60 min. Controlli aPTT dopo 6 ore dopo 6 ore al mattino successivo dopo 6 ore dopo 6 ore *Per valori >3.0 si consiglia di ripetere il prelievo da un’altra vena. 130 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare paziente (solitamente età avanzata), all’anestesia (traumatismi di posizionamento di ago/catetere, permanenza del catetere epidurale durante la somministrazione di EBPM) e alla profilassi farmacologica (somministrazione immediatamente pre-intraoperatoria, somministrazione immediatamente post-operatoria, doppia somministrazione giornaliera, somministrazione concomitante di antiaggreganti piastrinici ed anticoagulanti). È necessario, dunque, rispettare alcune regole: • Per dosi profilattiche (solitamente 3.000 UI-4.000 UI) il posizionamento o la rimozione del catetere dovrebbero essere ritardati di 8-12 ore dopo la somministrazione dell’ultima dose di EBPM. • Per dosi maggiori, terapeutiche (1,0 mg/Kg ogni 12 ore ) o aggiustate (0,5 mg/Kg due volte/die) il posizionamento o la rimozione del catetere dovrebbero essere ritardati di 24 ore dopo la somministrazione dell’ultima dose di EBPM. • La prima dose successiva dovrebbe essere somministrata non prima di 6 ore dopo la rimozione del catetere iniziando preferibilmente con un dosaggio profilattico. 6.6 TROMBOEMBOLISMO VENOSO E TERAPIA ESTROPROGESTINICA (CONTACCETTIVI ORALI E TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA) Nel 1960 vennero introdotti i contraccetivi orali (CO) nella pratica clinica e dopo alcuni mesi venne descritto il primo caso di embolia pomonare in una giovane donna in trattamento con CO. Negli anni successivi numerosi studi internazionalmente validati collegarono l’impiego di CO al rischio di sviluppare MTEV. In particolare veniva attribuito un rischio di MTEV maggiore di 3-4 volte alle donne che facevano uso di CO rispetto a chi non ne faceva uso. L’aumento del rischio si manifestava entro 3 mesi dall’assunzione, non veniva influenzato dalla durata dell’assunzione e cessava con la sospensione della pillola. La percentuale di rischio risultava maggiore in donne con altri La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 131 fattori di rischio concomitanti, in presenza di alterazioni trombofiliche e in relazione al tipo di contraccetivo usato. In particolare si è visto che il rischio relativo delle pillole contenenti progestinici di seconda generazione (levonorgestrel) era di circa 4, mentre il rischio relativo delle pillole contenenti progestinici di terza generazione (desogestrel, gestodene) era di circa 7. La MTEV non è, comunque, un evento frequente, nelle giovani donne che utilizzano i CO; si calcola una incidenza media di 3 eventi per 10.000 donne/anno. La concomitante presenza di fattore V Leiden ne aumenta l’incidenza a 25-30 eventi per 10.000 donne/anno. Nonostante ciò non vi è alcuna evidenza dimostrata della necessità di eseguire uno screening per il fattore V Leiden a tutte le donne che vogliano assumere la terapia estroprogestinica. È stato calcolato che, sulla base delle stime di incidenza attuale, per evitare una MTEV bisognerebbe sconsigliare l’uso della pillola a circa 350 donne trovate positive per il fattore V di Leiden, ma per diagnosticare tutte queste alterazioni genetiche bisognerebbe screenare oltre 12.000 donne. Lo screening potrebbe essere limitato a donne con una storia personale o familiare di MTEV (questo dato è stato recentemente messo in dubbio da alcuni Autori) o familiare di trombofilia o ancora storia di patologia gravidica. Tutto ciò ci porta a concludere come al momento della prescrizione di un CO sia necessario raccogliere un’anamnesi personale e familiare accurata e, in presenza di fattori di rischio, sia necessario un adeguato “counselling” da parte del medico curante e dello specialista del Centro Trombosi per valutare insieme alla paziente i possibili rischi/benefici e le possibili alternative ad un trattamento a volte “pericoloso” (Tabella XVII). Sicuramente meno ricca di dati bibliografici è la ricerca del rischio di MTEV in corso di trattamento ormonale sostitutivo (TOS). Studi anche metanalitici hanno comunque dimostrato un rischio relativo di circa 2-3 volte rispetto a chi non fa uso del trattamento. È interessante tuttavia notare come queste modificazioni avvengano in modo differente a seconda della via di 132 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella XVII. Il counselling e le indicazioni alla prescrizione di contraccettivi orali. Controindicazione alla prescrizione • Donne sintomatiche per TEV o tromboflefiti superficiali recidivanti con o senza trombofilia accertata. • Donne asintomatiche, con o senza storia familiare positiva per TEV o tromboflebiti superficiali, con trombofilia (a tipo difetto di ATIII, omozigosi per Fattore V Leiden o per Fattore II, difetti combinati). Controindicazione relativa, accurato counselling, eventuale uso di estroprogestici di seconda generazione • Donne asintomatiche senza trombofilia nota con storia familiare positiva per TEV o tromboflebiti superficiali. • Donne asintomatiche, con o senza storia familiare positiva per TEV o tromboflebiti superficiali e trombofilia, e portatrici a loro volta di una alterazione trombofilica (eccetto difetto di ATIII, omozigosi per Fattore V Leiden o per Fattore II, difetti combinati). Nessuna controindicazione alla prescrizione (dopo adeguata informazione) • “Mild” iperomocisteinemia (dopo adeguata correzione dei livelli basali con supplementi di folati). • Donne asintomatiche, con familiarità per TEV o trombofilia, senza deficit trombofilici accertati. somministrazione della terapia stessa ed in particolare l’uso di preparati transdermici sarebbe associato ad una minore frequenza di anomalie della coagulazione e questo potrebbe tradursi in un minor rischio protrombotico. 6.7 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1. Toglia MR, De Swiet M. Thromboembolism during pregnancy. N Engl J Med 1996;335:108-114. 2. Martinelli I. Risk factors in venous thromboembolism. Tromb Haemost 2001;86:395-403. 3. Mc Coll M, Ramsay JE, Tait RC et al. Risk factors for pregnancy associated venous thromboembolism. Thromb Haemost 1997; 78:1183-8. 4. Lane DA, Mannucci PM, Bauer KA et al. Inherited thrombophilia: Part 1. Thromb Haemost 1996;76:651-62. 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LA PROFILASSI DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA IN MEDICINA INTERNA 138 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 7. 139 LA PROFILASSI DELLA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA IN MEDICINA INTERNA Gianluigi Scannapieco U.O Medicina I, Comitato per la Malattia Tromboembolica Ospedale ìC‡ Foncelloî, Treviso 7.1 IL RISCHIO DI TROMBOEMBOLISMO VENOSO IN MEDICINA Il tromboembolismo venoso (TEV) rappresenta una causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti ospedalizzati, compresi quelli con patologie internistiche acute. Studi autoptici suggeriscono che oltre il 10% delle morti osservate in ambiente ospedaliero sono attribuibili ad embolia polmonare(1). La frequenza degli eventi tromboembolici venosi è ben definita nei pazienti chirurgici, dal momento che sono stati condotti numerosi studi epidemiologici e di profilassi antitrombotica su non meno di 100.000 pazienti, che hanno permesso un’attendibile definizione dell’entità del rischio tromboembolico. Nei pazienti chirurgici è possibile stratificare il rischio di TEV in 4 categorie (basso, moderato, alto, altissimo), con prevalenze di trombosi venosa profonda prossimale ed embolia polmonare sintomatica che variano dallo 0,4% al 10-20% e dallo 0,2% al 410% rispettivamente (2). Nei pazienti chirurgici è stato ampiamente dimostrato l’effetto protettivo della profilassi antitrombotica, con una riduzione del rischio di TEV nei pazienti a rischio più elevato superiore al 50%(3). Nei pazienti di tipo internistico il rischio di TEV è meno ben definito, in quanto sono stati portati a termine un numero inferiore di studi, che hanno complessivamente coinvolto un numero molto minore di pazienti. Inoltre molti studi di efficacia del- 140 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare la profilassi con eparina contro placebo sono relativamente vecchi e hanno utilizzato metodi diagnostici inadeguati. Da questo deriva che le stime della frequenza di TEV nei pazienti internistici siano meno precise di quelle calcolate per i pazienti chirurgici e siano molto variabili da uno studio all’altro, anche in considerazione dell’estrema eterogeneità dei pazienti studiati. Dal 50 al 70% degli episodi di tromboembolia venosa sintomatica e dal 70 all’80% degli episodi di EP fatale si verifica nei pazienti acuti ospedalizzati con patologie non chirurgiche(1,4). Tuttavia, l’uso della profilassi nei pazienti internistici non è universalmente accettato o adottato, anche se questi pazienti presentano un elevato rischio di tromboembolia venosa: un recente studio(5) ha dimostrato che la profilassi nei pazienti internistici che in seguito avrebbero sviluppato un episodio di TEV non veniva praticata in circa il 60% dei casi. Inoltre, anche quando vengono adottate misure di profilassi, queste possono essere inadeguate a prevenire il TEV(5). Complessivamente i pazienti internistici (con eccezione dell’ictus e dell’infarto miocardico acuto), presentano un rischio basso-moderato di eventi TEV: l’incidenza della TVP asintomatica è del 15% usando il metodo del fibrinogeno radiomarcato(69) o la flebografia(10) e del 5-7% usando la compressione ultrasonografica(11) come metodiche di screening. In uno studio è stata osservata un’incidenza del 6%(12) in 234 pazienti screenati all’ingresso con metodica ecografica in una divisione di medicina interna; nel 90% dei casi la trombosi era limitata al polpaccio, l’incidenza era del 18% nei pazienti di età > 80 anni e nulla sotto i 55 anni; durante la degenza un 2% dei pazienti (tutti sopra i 70 anni) ha sviluppato una trombosi venosa profonda (Figura 1). Sono stati fatti vari tentativi di individuare i fattori di rischio per la TEV nei pazienti internistici ospedalizzati(10,13-15). I principali fattori di rischio sono rappresentati dallo scompenso cardiaco (classe III–IV NYHA), riacutizzazioni di broncopneumopatia cronica ostruttiva e sepsi; fattori di rischio aggiuntivi sono l’età avanzata, la storia di TEV, il cancro, l’ictus con paresi/plegia La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 141 Figura 1. Trombosi venosa profonda femoro-poplitea. degli arti inferiori, l’allettamento. Solitamente il tipico paziente internistico presenta fattori di rischio multipli(10). Vi sono alcune situazioni cliniche nelle quali l’incidenza di TEV è meglio definita. 1) Scompenso cardio-circolatorio Lo scompenso cardiaco è associato ad un aumento del rischio di TEV, anche se non vi sono studi prospettici che abbiano affrontato specificamente il problema. Nello studio MEDENOX(10), la maggior parte dei pazienti inclusi nello studio presentava scompenso cardiaco con classe NYHA III o IV: nel gruppo randomizzato a placebo la prevalenza di TEV è risultata del 14,9%. Il rischio di TEV sintomatico sembra essere inversamente proporzionale ai valori di frazione d’eiezione: in uno studio retrospettivo il rischio relativo globale di TEV nei pazienti con scompenso cardiaco era pari a 2,6, ma arrivava fino a 38,3 nei pazienti con frazione d’eiezione inferiore al 20%(16). 2) Infarto miocardico L’incidenza di eventi tromboembolici venosi è elevata, in quanto arriva fino al 20% ed è legata verosimilmente, oltre alla situazione clinica specifica, anche ad una serie di fattori asso- 142 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ciati, quali l’allettamento, lo scompenso cardiaco, l’età(2). I dati epidemiologici si riferiscono a studi di molti anni fa, prima dell’introduzione routinaria in cardiologia di strategie terapeutiche più aggressive basate sull’uso di trombolitici, anticoagulanti e antipiastrinici: è verosimile che l’impatto di queste terapie nelle sindromi coronariche acute sia rilevante, ma non sono stati condotti studi clinici per testare questa ipotesi. 3) Ictus cerebrale L’incidenza di TEV nei pazienti con ictus cerebrale può arrivare al 55%, soprattutto nei pazienti con paresi o plegia degli arti inferiori(2); le complicanze trombotiche si concentrano fra il 2° e il 7° giorno dall’evento acuto(17), coinvolgendo per lo più l’arto paralizzato e spesso sono clinicamente silenti. L’EP è una causa frequente di morbosità e mortalità nel paziente con ictus cerebrale ischemico: l’International Stroke Trial ha evidenziato un’incidenza di EP clinicamente evidente nel gruppo placebo pari allo 0,8%(18); un precedente studio retrospettivo su 697 pazienti aveva mostrato un’incidenza analoga di EP, pari all’1%(19). Si tratta in entrambi i casi verosimilmente di una sottostima in quanto questi studi non erano stati disegnati ad hoc. Un vecchio studio prospettico ha infatti stimato un’incidenza di EP del 13%(20). L’EP è responsabile del 13-25% delle morti precoci in questi pazienti(21). Un recentissimo studio (22) condotto su 102 pazienti con ictus acuto (in profilassi con acido acetilsalicilico e calze elastiche graduate) studiati con risonanza magnetica ha mostrato un’incidenza di TEV totale, TVP prossimale ed EP al 21° giorno di osservazione pari al 40%, 18% e 12% rispettivamente; tali dati di incidenza aumentavano al 63%, 30% e 20% rispettivamente nei pazienti più gravi (Barthel index <9); una TVP e un’EP clinicamente evidenti si osservavano complessivamente nel 3% e nel 5% dei casi, ma è verosimile che tale dato sia sottostimato perché i pazienti, sottoposti a screening sistematico, venivano trattati e quindi la storia naturale della TEV La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 143 subclinica veniva modificata dallo screening e dall’uso di anticoagulanti. L’alto rischio di TEV permane anche dopo la fase acuta nel periodo riabilitativo: uno studio condotto su 1.506 pazienti con ictus ischemico o emorragico ammessi in una struttura riabilitativa, ha dimostrato un’incidenza globale di TEV clinicamente evidente del 3,9%, con un rischio più alto nei pazienti con rischio più grave(23); un effetto protettivo nei confronti della TEV è stato dimostrato per l’uso degli anticoagulanti a dosi terapeutiche, ma non per gli antiaggreganti. I pazienti permanentemente allettati o in sedia a rotelle sono risultati a maggior rischio di complicanze: secondo i dati di un ampio studio di popolazione, con disegno caso-controllo, il rischio relativo di TVP in pazienti con paresi è di 3.0(24). 4) Insufficienza respiratoria Gli unici studi prospettici in questo ambito si riferiscono a pazienti ricoverati in terapia intensiva e quindi a rischio particolarmente elevato di complicanze TEV. Lo studio di Fraisse e coll. (25) ha evidenziato un’incidenza di TVP (diagnosticata con flebografia) del 28%. Questi dati, insieme a quelli dello studio MEDENOX(10)in cui erano presenti molti pazienti con BPCO riacutizzata, fanno ipotizzare una significativa incidenza di TEV, che va però confermata in studi prospettici. 5) Malattie infiammatorie croniche intestinali In questi pazienti è stimato un aumento del rischio di 3 volte rispetto a quello della popolazione normale(26), in particolare nei pazienti di età inferiore ai 40 anni. 6) Sindrome nefrosica La complicanza trombotica più frequente è la trombosi delle vene renali, con una prevalenza che varia dal 5 al 50% nelle for- 144 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare me asintomatiche(27). Non mancano manifestazioni trombotiche più tipiche quali la TVP o l’EP, sebbene con minore frequenza. 7) Cateteri venosi centrali Non esistono dati certi sul rischio di TEV e l’impiego di cateteri venosi centrali (CVC) poiché l’incidenza varia con il tipo di catetere impiegato, la sede, la metodica diagnostica alla quale veniva sottoposto il paziente, e la patologia sottostante. Heit et al. hanno riscontrato un rischio relativo di TEV aumentato di 6 volte(24) nei pazienti con inserzione di CVC. L’EP può complicare la trombosi su catetere nel 12% dei casi. Sono in corso studi prospettici, come lo studio ETHICS, che forniranno dati importanti sull’incidenza delle complicanze TEV in questi casi e sull’efficacia della profilassi con EBPM. 7.2 LA PROFILASSI DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO IN MEDICINA INTERNA Nessuno studio randomizzato ha valutato la prevenzione della TEV nei pazienti internistici con mezzi meccanici, anche se uno studio limitato(28) ha mostrato che l’uso di calze elastiche graduate ha ridotto la frequenza di TEV in pazienti con ictus. Sei studi su pazienti internistici hanno confrontato l’uso di eparina non frazionata (ENF) a basso dosaggio o eparina a basso peso molecolare (EBPM) con placebo(6-11): complessivamente, la profilassi con entrambi i tipi di farmaci ha ridotto il rischio di TVP (rilevata con il metodo del fibrinogeno radiomercato) di circa il 70% senza incrementare il rischio di emorragie. Nello studio MEDENOX(10) è stato confrontato l’uso di enoxaparina (20 o 40 mg) s.c. una volta al giorno con placebo in 1.102 pazienti internistici ospedalizzati, la maggior parte dei quali presentavano uno scompenso cardiaco congestizio, insufficienza respiratoria acuta, o un’infezione in fase acuta. L’incidenza di TVP evidenziata con flebografia o ecografia è risultata del 14,9% nei 288 pazienti trattati con placebo, del 15,0% nei 287 pazienti trattati La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 145 Figura 2. Studio Medenox: eventi tromboembolici venosi durante il trattamento. con enoxaparina 20 mg e del 5,5% nei 291 pazienti trattati con enoxaparina 40 mg (p < 0,001), senza un significativo aumento delle complicanze emorragiche e senza una differenza di mortalità (Figura 2). La protezione osservata con enoxaparina 40 mg si estendeva a ciascuno dei principali sottogruppi, compresi quelli con infezione acuta, scompenso cardiaco e insufficienza respiratoria(29). Lo studio PREVENT(11) ha confrontato l’efficacia e la sicurezza della profilassi con l’eparina a baso peso molecolare dalteparina, 5.000 u. sc. al dì per 14 giorni, con placebo in 3.706 pazienti internistici ospedalizzati, caratterizzati da un rischio moderato di TEV; end point dello studio era l’incidenza globale di TEV al 21° giorno, data dalla somma delle TVP sintomatiche (prossimali e distali), confermate obiettivamente, EP fatale o 146 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare non fatale sintomatica confermata obiettivamente, morte improvvisa (morte inspiegata entro 24 ore dall’insorgenza dei sintomi) e trombosi venose profonde prossimali documentate dalla ecografia con compressione al giorno 21; il follow up era di 90 giorni. La somministrazione di dalteparina ha ridotto l’incidenza di TEV dal 4,96% (73/1473 pazienti nel gruppo placebo) al 2,77% (42/1518 pazienti nel gruppo dalteparina), con una riduzione assoluta del rischio del 2,19% e una riduzione relativa del rischio del 45% (rischio relativo da 0,80 a 0,55 p< 0,0015); il beneficio osservato era mantenuto a 90 giorni. L’incidenza complessiva di emorragie maggiori è risultata complessivamente bassa ma maggiore nel gruppo dalteparina (9 pazienti 0,49%) rispetto al gruppo placebo (3 pazienti 0,16%; p=0,15). La popolazione studiata nello studio PREVENT presentava un rischio complessivo di TEV inferiore rispetto a quella studiata nel MEDENOX; inoltre nello studio MEDENOX l’incidenza globale di TEV era attribuita principalmente alla trombosi distale asintomatica, mentre nello studio PREVENT sono stati presi in considerazione gli eventi tromboembolici clinicamente sintomatici e le trombosi venose prossimali asintomatiche. Mentre lo studio MEDENOX ha dimostrato che un’eparina a basso peso molecolare può essere efficace in una popolazione medica ad alto rischio, lo studio PREVENT ha esteso quindi questa osservazione ad una popolazione a rischio inferiore e dovrebbe portare ad estendere l’applicazione delle misure di profilassi in una popolazione ancora più ampia. L’ENF e l’EBPM sono state confrontate direttamente in cinque studi clinici randomizzati(30-34). Quattro di questi studi non hanno mostrato differenze statisticamente significative nell’incidenza di TVP o complicanze emorragiche(30-32,34). In uno studio condotto su 877 pazienti con screening flebografico di routine(33), l’end point composito TEV o morte è stato osservato nel 22% dei pazienti randomizzati all’uso di ENF 5.000 U s.c. x 2 al dì e nel 15% dei pazienti randomizzati a enoxaparina 40 mg s.c. al dì (p = 0,04), senza differenze significative per quanto riguarda le emorragie maggiori. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 147 In una metanalisi (35) non è stata rilevata alcuna differenza significativa fra l’incidenza di TEV e mortalità nei pazienti trattati con ENF o EBPM, ma la terapia con EBPM è risultata associata ad una minore incidenza di emorragie maggiori (1,2% contro 0,4%). Una più recente rassegna sistematica(36) non ha però confermato la maggiore incidenza di emorragie maggiori nei pazienti trattati con ENF rispetto a quelli trattati con EBPM. Due studi clinici randomizzati hanno valutato l’effetto dell’ENF sulla mortalità(37,38). In entrambi i casi i pazienti, ospedalizzati per patologie internistiche, erano stati randomizzati a ricevere ENF 5.000 U s.c. x 2 o nessuna profilassi: nel primo studio(37) si è osservata una riduzione della mortalità nei pazienti trattati con ENF (dal 10,9% al 7,8%; p < 0,05); nel secondo caso(38) non si è osservata alcuna differenza in termini di mortalità, mentre è stata rilevata una riduzione degli eventi TEV non fatali nei pazienti trattati con ENF (p = 0,001). Tre studi clinici randomizzati hanno valutato l’effetto delle eparine a basso peso molecolare sulla mortalità(9,10,39): in nessuno dei tre è stata rilevata una riduzione statisticamente significativa della mortalità nei pazienti trattati con eparine a basso peso molecolare. Analisi di tipo farmaco-economico hanno concluso che la profilassi del TEV con ENF o eparina a baso peso molecolare rappresenta un intervento cost-effective nei pazienti internistici (40,41). Tra i nuovi farmaci antitrombotici impiegati in sperimentazioni cliniche (inibitori del fattore Xa, inibitori diretti della trombina, inibitori del fattore VIIa/TF), solo il pentasaccaride fondaparinux, inibitore del fattore Xa, è stato valutato nella profilassi antitrombotica del paziente medico. Nello studio ARTEMIS, recentemente presentato ma non ancora pubblicato(42), i pazienti sono stati randomizati a ricevere in doppio cieco fondaparinux (2,5 mg s.c.), oppure placebo per 6-14 giorni. L’end point primario era rappresentato dalla combinazione del riscontro flebografico di TVP asintomatica e degli eventi tromboembolici venosi 148 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare clinicamente rilevanti. L’incidenza complessiva degli eventi tromboembolici venosi è stata del 5,6% nel gruppo trattato con fondaparinux e del 10,5% nel gruppo placebo, con una riduzione statisticamente significativa (p=0,029; OR 0,49); anche l’EP fatale è stata ridotta significativamente nei pazienti trattati con fondaparinux (5 eventi nel gruppo placebo contro 0 eventi nel gruppo fondaparinux). L’incidenza delle emorragie è stata bassa e sovrapponibile nei due gruppi (0,2%). Un’ultima considerazione riguarda la durata ottimale della profilassi nei pazienti con patologie internistiche acute. I dati attualmente disponibili in letteratura suggeriscono l’opportunità di una profilassi prolungata in alcune categorie di pazienti chirurgici ad alto rischio TEV: i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia ortopedica maggiore(43) e i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia oncologica(44). In entrambi i casi è stato dimostrato che il prolungamento della profilassi per 4-5 settimane dopo l’intervento ha ridotto in modo significativo l’incidenza di eventi tromboembolici venosi. Non abbiamo ancora dati disponibili in tal senso per quanto riguarda i pazienti internistici. Già lo studio MEDENOX aveva evidenziato un’incidenza non indifferente di complicanze TEV nei tre mesi successivi alla sospensione della profilassi antitrombotica ed era stato ipotizzato che i 6-14 giorni di profilassi previsti dal protocollo fossero insufficienti in alcuni pazienti. Lo studio EXCLAIM (Extended Clinical Prophylaxis in Acutely Ill Patients), ancora in corso di svolgimento è il primo studio che si propone con disegno metodologico assolutamente rigoroso, di chiarire l’effettiva utilità della profilassi prolungata in un’ampia popolazione di pazienti con patologia medica acuta ad elevato rischio di TEV(45). 7.3 LA PROFILASSI DEL TEV NEI PAZIENTI CRONICAMENTE ALLETTATI L’esatta incidenza di TEV nei pazienti cronicamente allettati non è nota, come pure non vi sono studi sulla reale necessità e sulla durata ottimale delle misure di profilassi in questi pazienti La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 149 (ricoverati in Lungodegenza e Case di riposo, assistiti in regime di assistenza domiciliare integrata). D’altra parte, sono sempre più numerosi (e verosimilmente aumenteranno in futuro) i pazienti che, per patologie croniche, sono sottoposti a prolungati periodi di allettamento e sono quindi potenzialmente esposti al rischio di andare incontro ad eventi TEV; a prescindere da quelli fatali, tali eventi potrebbero complicare notevolmente la gestione di questi pazienti, causando o peggiorando problemi di compenso cardiaco e insufficienza respiratoria, come pure rendendo necessario instaurare terapie anticoagulanti a lungo termine, di gestione particolarmente difficile in questa tipologia di pazienti. I dati in letteratura sono limitati e per lo più derivano da studi che non avevano come end point principale la rilevazione delle complicanze tromboemboliche. Uno studio americano condotto su pazienti con ictus sottoposti a riabilitazione, ha evidenziato un incidenza di TEV del 5,2%, correlata al livello di disabilità(46). Uno studio italiano condotto su pazienti ricoverati in Lungodegenza ha rilevato un’incidenza di TEV del 4,9%(47). Recentemente è stato pubblicato uno studio multicentrico francese(48) condotto in 36 strutture di Lungodegenza su 852 pazienti di età > 64 anni, valutati con indagine ecografia sistematica (esclusi i pazienti con storia di pregressa TEV); lo studio era cross-sectional e non prevedeva follow up. L’incidenza di TVP prossimale è risultata del 5,9% e quella di TVP distale del 9,9%, per un’incidenza complessiva del 15,8%; la TVP era sintomatica solo nel 25,2% dei casi. La profilassi antitrombotica era stata utilizzata mediamente nel 56,1% dei casi e l’uso era tanto più frequente quanto più numerosi erano i fattori di rischio tromboembolico. Successivamente è stato pubblicato uno studio israeliano retrospettivo di coorte su pazienti ricoverati in casa di riposo, 348 deambulanti e 220 non deambulanti, con età media di 85 anni (49); sono stati rilevati solo gli eventi TEV clinicamente importante. L’incidenza di TEV è risultata del 5,2% nei pazienti deambulanti e del 3,6% nei pazienti non deambulanti (p=0,77). 150 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Uno studio preliminare retrospettivo, condotto nell’ospedale di Treviso su circa 900 pazienti(50), ha mostrato un’incidenza di eventi TEV clinicamente evidenti nei pazienti ricoverati in Lungodegenza di circa il 3%. Possibili fattori di rischio per la TEV sono risultati l’ictus, e la storia di pregressa TEV, mentre vi è solo una debole correlazione con l’età; in particolare, l’adozione di misure farmacologiche di profilassi della TEV non sembra ridurre in modo significativo l’incidenza di TEV. Questo può voler significare che le misure di profilassi non sono efficaci o, più verosimilmente, che alcuni pazienti sono sottoposti a misure di profilassi inadeguate, mentre altri probabilmente non richiedono alcuna profilassi. È quindi fondamentale arrivare ad una stratificazione del rischio TEV per poter predisporre adeguate misure di profilassi solo in chi effettivamente ne ha bisogno. Un altro dato rilevante emerso da questo studio è che, mentre durante il ricovero in Lungodegenza il 52% dei pazienti era sottoposto a qualche misura di profilassi farmacologica, alla dimissione solo al 21,4% veniva prescritta una profilassi farmacologica domiciliare, pur persistendo spesso le stesse situazioni di rischio. Va anche ricordato che la somministrazione cronica di eparina in questa particolare categoria di pazienti potrebbe essere gravata da rischi rilevanti (emorragie, trombocitopenia, osteopenia), oltre che associata ad implicazioni di carattere farmacoeconomico facilmente intuibili. Per poter procedere ad una corretta adozione di misure di profilassi in questa tipologia di pazienti, è fondamentale ricorrere ad uno studio prospettico coinvolgente un adeguato numero di pazienti, in modo da individuare con precisione i soggetti a rischio maggiore, ai quali riservare adeguate misure di profilassi. Tale dato risulterebbe prezioso anche per una corretta gestione dei pazienti cronicamente allettati a domicilio. Le implicazioni di carattere farmaco-ecomico in questo ambito sono ovviamente di estrema rilevanza. È attualmente in corso un’importante studio osservazionale prospettico multicentrico italiano, lo studio TERSICORE (ThromboEmbolic Risk Stratification in ChrOnically bedRidden patiEnts), patrocinato dalla FADOI La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 151 (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), i cui risultati potranno consentire di individuare con maggiore precisione i soggetti e il periodo a maggiore rischio trombotico, e di suggerire pertanto la migliore strategia di profilassi antitrombotica in questa categoria di pazienti. 7.4 RACCOMANDAZIONI DELLA SISET PER LA PROFILASSI DEL TEV IN MEDICINA INTERNA Vengono di seguito riportate integralmente le raccomandazioni recentemente pubblicate dalla SISET (Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e Trombosi) per la profilassi del TEV in medicina interna(51). Fra parentesi è indicato il grading della raccomandazione. • In pazienti di età > 60 anni allettati per patologia medica acuta (soprattutto per insufficienza respiratoria, infezioni e scompenso cardiaco) si raccomanda la somministrazione di EBPM o ENF sc per una durata di almeno 7 giorni (1A); sono attualmente in corso studi per valutare l’utilità di una profilassi prolungata fino a 4 settimane in questa categoria di pazienti. • Per le EBPM si raccomanda l’impiego di enoxaparina 40 mg/ die (1A), mentre la dose di ENF raccomandata per la tromboprofilassi in medicina interna è di 5.000 U. x 3 (2A). Le EBPM offrono un profilo di sicurezza migliore rispetto alla ENF per quanto riguarda le complicanze emorragiche (2A). • In pazienti con ictus ischemico acuto associato a paralisi di un arto inferiore, si raccomanda la somministrazione di ENF alla dose di 5.000 U. x 2 sc (2A) o enoxaparina 40 mg/die (1B). In caso di contemporanea somministrazione di aspirina si raccomanda ENF in dose non superiore a 5.000 U x 2 purché non sia presente un rischio emorragico elevato (2A). In presenza di controindicazione all’eparina si raccomanda l’impiego della compressione pneumatica intermittente o delle calze elastiche (1C). 152 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare • In pazienti con infarto miocardio acuto che non ricevano terapie antitrombotiche multiple che includano ENF o EBPM per il trattamento della trombosi coronaria, si raccomanda ENF alla dose di 5.000 UI x 3 (2A) o EBPM (dalteparina 5.000 U antiXa/die o enoxaparina 40 mg/die o nadroparina 3.800 U antiXa/die) (1C) per la prevenzione del TEV. • Nei pazienti in terapia intensiva il rischio di TEV è elevato ed una profilassi è raccomandata (1A). Se non sussistono controindicazioni legate ad elevato rischio emorragico si raccomanda ENF 5.000 UI x 2 sc (1A) o nadroparina (in dosi aggiustate in base al peso corporeo: 3800 U antiXa/die fino a 70 kg, 5.700 U antiXa/die oltre i 70 kg) (1C), che è stata valutata solo in pazienti affetti da broncopneumopatia sottoposti a ventilazione assistita. La profilassi con mezzi fisici è raccomandata in alternativa a quella con eparine per i pazienti a rischio emorragico elevato (1C). 7.5 RACCOMANDAZIONI DELL’ACCP (AMERICAN COLLEGE OF CHEST PHYSICIAN) PER LA PROFILASSI DEL TEV IN MEDICINA INTERNA Vengono di seguito riportate integralmente le raccomandazioni recentemente pubblicate dall’ACCP (American College of Chest Physician) per la profilassi del TEV in medicina interna(2). Fra parentesi è indicato il grading della raccomandazione. • Nei pazienti medici (internistici, non chirurgici) con patologie acute, ricoverati in ospedale per scompenso cardiaco congestizio o insufficienza respiratoria (patologie respiratorie gravi), o che sono allettati e presentano uno o più fattori di rischio aggiuntivi (come il cancro, precedente TEV, sepsi, patologia neurologica acuta, o malattia infiammatoria cronica intestinale), si raccomanda profilassi con ENF a basso dosaggio (Grado 1A) o EBPM (Grado 1 A). • Nei pazienti medici (internistici, non chirurgici) con fattori di rischio per TEV e nei quali c’è una controindicazione alla pro- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 153 filassi con farmaci anticoagulanti, si raccomanda l’uso di profilassi meccanica con calze elastiche graduate o compressione pneumatica intermittente (Grado 1C+). 7.6 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1) Sandler DA, Martin JF: Autopsy proven pulmonary embolism in hospital patients: are we detecting enough deep venous thrombosis? 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Il metodo utilizzato è il processo di nursing, ossia un insieme di azioni attuate per mantenere il benessere dell’utente e/o fornire la quantità e la qualità di assistenza infermieristica che la situazione richiede. L’attenzione che il mondo scientifico attualmente pone alla malattia tromboembolica e la sua pesante incidenza nella realtà clinica inducono alla necessità di identificare precisi e formalizzati itinerari operativi che accompagnino il paziente nel percorso spazio-temporale della malattia. A tale scopo l’approccio multidisciplinare appare essenziale nell’affrontare tale problematica. L’infermiere, attraverso l’applicazione del processo di nursing, assicura un piano coordinato di cure; contribuisce alla riduzione della variabilità nell’utilizzo delle procedure clinicoassistenziali; educa il paziente ed i suoi familiari sul percorso che li attende in ospedale e successivamente, al rientro a domicilio; migliora la comunicazione con i pazienti, riducendo l’ansia, le paure, le incertezze; è stimolo alla guarigione o alla gestione autonoma della malattia. Quale nursing quindi? Un nursing che esalti una competenza infermieristica caratterizzata dal “saper agire” ossia attivare tutte le risorse personali 162 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare per interpretare, comprendere i bisogni, scegliere e attuare interventi efficaci. Definita l’area di competenza infermieristica possiamo addentrarci nella parte più clinica dell’intervento in cui la malattia tromboembolica trova la sua espressione, fissando i principali obiettivi assistenziali e traducendoli in azioni. 8.1 INDIVIDUARE IL RISCHIO TROMBOEMBOLICO NEI PAZIENTI OSPEDALIZZATI La profilassi della MTEV nei pazienti ricoverati in ospedale con patologie internistiche è ancora troppo spesso disattesa o prescritta empiricamente ed in relazione ad una percezione soggettiva del rischio del paziente a sviluppare un evento tromboembolico. Goldhaber ha dimostrato che, in un gruppo di 384 pazienti con malattie mediche degenti o dimessi dal Brigham and Women’s Hospital che hanno sviluppato una MTEV, il 52% riceveva una profilassi a dosi inappropriate. Le moderne strategie di prevenzione della MTEV si basano sulla valutazione del livello di rischio dei singoli pazienti in presenza di fattori di rischio di MTEV e questo ci permette di stabilire quali siano i pazienti che necessitano di una profilassi per la MTEV nei reparti di Medicina. Già Autar nel 1996 aveva proposto una scala infermieristica di valutazione del rischio di TVP basata su alcuni fattori di rischio: età, peso, uso di contraccettivi orali, condizione di gravidanza o di puerperio, presenza di traumi, in attesa di interventi di chirurgia minore o maggiore, concomitante presenza di alcune patologie internistiche (rettocolite ulcerosa, policitemia, neoplasie, scompenso cardiaco, vene varicose, precedenti episodi di TVP o di accidenti cerebrovascolari) (Tabella I). Ad ognuno di essi veniva attribuito un punteggio che determinava le successive misure di profilassi. Lo sforzo di Autar e di molti altri suoi Colleghi è la proposta di un metodo che vede una valutazione iniziale infermieristica del rischio trombotico dei pazienti ricoverati nei reparti medici o chirurgici o specialistici, va- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 163 Tabella I. Scala di valutazione del rischio di trombosi venosa profonda (Autar, 1996). Anagrafica Nome__________________ Data di nascita_________ Reparto________________ Rischi particolari Contraccettivi orali 20-35 anni >35 anni Gravidanza/puerperio Score Gruppi per età 10-30 31-40 41-50 51-60 >60 Body Mass Index BDI 16-18 19-25 26-30 31-40 >41 Score 0 1 2 3 4 Mobilizzazione Score Deambulante 0 D. difficile 1 D. limitata 2 In sedia 3 Allettamento 4 Patologie a alto rischio Score Rettocolite ulcerosa 1 Policitemia, anemia emol. 2 Cardiopatia grave 3 IMA 4 Neoplasia 5 Grosse vene varicose 6 Pregressa TVP 7 Protocolli di rischio Nessun rischio <6 R. basso 7-10 R. moderato 11-14 R. elevato >15 Score 0 1 2 3 4 Interventi Score chirurgici Chir. minore <30 minuti 1 Chir. maggiore 2 Chir. emergenza 3 Chir. toracica 3 Chir. addominale 3 Chir. urologica 3 Neurochirurgia 3 Chir. ortopedica 4 1 2 3 Trauma risk Score Testa 1 Polmone 1 Traume spinale 2 Pelvico 3 Arti inferiori 4 lutazione che verrà inserita nella cartella clinica infermieristica all’atto del ricovero e che servirà al clinico per un trattamento di profilassi adeguato e personalizzato alle condizioni basali di rischio. 8.2 RILEVARE LE EVENTUALI MANIFESTAZIONI DI COMPLICAZIONI TROMBOEMBOLICHE E LEGATE ALLA TERAPIA Certamente la complicanza tromboembolica più pericolosa è l’insorgenza di un’embolia polmonare, evento che può seguire un evento trombotico degli arti inferiori o essere associata a traumi, chirurgia ortopedica, addominale, pelvica maggiore, scompenso cardiaco congestizio, stati di ipercoagulabilità e di immobilizzazione prolungata. 164 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Può presentarsi con una sintomatologia aspecifica spesso fugace e transitoria, oppure con manifestazioni più definite quali: tachipnea, dispnea improvvisa, dolore toracico di tipo pleurico, irrequietezza, senso di oppressione, sudorazione, ipotensione, pallore e cianosi. L’intervento infermieristico è prevalentemente collaborativo con il medico e consiste nell’osservare attentamente il paziente a rischio di sviluppare questa temibile complicanza e nell’attivare misure di sostegno dello stato respiratorio e vascolare: somministrazione di ossigeno per alleviare l’ipossiemia e l’insufficienza respiratoria, esecuzione dell’emogasanalisi, predisposizione di un accesso venoso per l’infusione dei farmaci (dopamina per sostenere la pressione, trombolitici, ecc.), monitoraggio dei parametri vitali, posizionamento di catetere vescicale per il monitoraggio della diuresi, esecuzione di prelievi per esami ematochimici. Altra complicanza trombotica che può insorgere durante il ricovero è la trombosi venosa profonda; l’interessamento del sistema venoso profondo si manifesta solitamente con edema e tumefazione dell’arto interessato, dolenzia alla digitopressione, iperemia cutanea e, in rari casi, phlegmasia cerulea dolens. In caso di tromboflebite superficiale solitamente si può osservare eritema, calore e cordone venoso lungo il decorso della vena, con dolore localizzato. Altro momento importante delle attività infermieristiche è la rilevazione precoce di eventuali complicanze della terapia eparinica o con anticoagulanti orali in pazienti con episodio trombotico o embolico acuto. Tra queste ricordiamo la piastrinopenia da eparina, definita come un calo piastrinico superiore al 50% rispetto ai valori basali, o la comparsa di un nuovo evento trombotico nonostante la terapia in atto e si avvale, dove possibile, della dimostrazione di anticorpi anti-eparina/piastrina. Altre temibili complicanze sono le manifestazioni emorragiche, spesso minori e di relativa importanza (epistassi, ematuria, gengivorragie), ma più raramente severe, che necessitano di una La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 165 precoce individuazione e trattamento (emorragie sottofascialiileo-psoas in primis, emorragie cerebrali). 8.3 MISURE DI PROFILASSI NON FARMACOLOGICHE DELLA MTEV Una grande importanza riveste la conduzione delle misure di profilassi non farmacologica ad opera dell’infermiere professionale. Professionalità e conoscenza sono due momenti indispensabili nell’affrontare un percorso di questo tipo. L’infermiere può attivamente fare profilassi mettendo in atto misure idonee a promuovere il ritorno venoso e ad evitare la stasi. La mobilizzazione precoce dopo un intervento chirurgico, sia con esercizi a letto in maniera attiva o attiva assistita, sia in stazione eretta, assume una valenza importante nella prevenzione della MTEV. La sindrome post-trombotica costituisce una complicanza temibile e spesso invalidante della trombosi venosa profonda e si presenta con uno spettro di alterazioni che vanno dall’edema cronico alle ulcere flebostatiche recidivanti. La contenzione elastica, se correttamente e precocemente eseguita, è in grado di ridurre fino al 50% l’incidenza della comparsa di sindrome posttrombotica (Brandijes, 1997). L’utilità della contenzione elastica, con le classiche calze antitrombo o con le calze a compressione graduata si concretizza nella capacità di realizzare una spinta pressoria che si contrappone dall’esterno all’ipertensione e alla stasi venosa e che contribuisce a garantire la funzione di pompa dei gruppi muscolari al di sopra dei quali si realizza la contenzione. Importante a questo proposito la conoscenza della tipologia delle calze in commercio (Tabella II) e le modalità con cui prendere le misure e far indossare le calze (Figura 1). Anche le modalità di impiego di strumenti a compressione pneumatica che esercitano una pressione intermittente sulle gambe devono essere conosciute dal personale infermieristico. Queste misure fisiche sono un utile presidio in combinazione 166 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella II. Calze elastiche antitrombo (usate abitualmente nei reparti di chirurgia, ortopedia ed ostetricia-ginecologia della A.O. di PN). Classe di compressione mmHg CAT 2000 KKL 0 18 alla caviglia Thrombexin KKL 0 18 alla caviglia Struva 23 KKL 0-1 23 alla caviglia Struva 35 KKL 1-2 35 alla caviglia Le calze elastiche antitrombo o antiembolo (da 18 mmHg alla caviglia fino a circa 5 mmHg alla coscia) vanno indossate in pazienti a rischio costretti all’immobilità e dunque in condizioni di prevalente riposo (a letto). Classe di compressione mmHg coscia/caviglia KKL 1 20-30 KKL 2 30-40 KKL 3 40-50 KKL 4 50-60 Le calze elastiche a compressione graduata vanno indossate durante l’attività giornaliera e tolte durante il riposo notturno; in primis perché l’azione del tutore elastico è strettamente correlata con l’attività delle pompe muscolari (binomio compressione-deambulazione) e poi perché la calza elastica può definirsi un materiale ad allungamento lungo (>140% della lunghezza iniziale) e quindi esercita pressioni superficiali a riposo alte rispetto ai materiali ad allungamento corto o nullo (bendaggi rigidi) così da provocare possibili disturbi dolorosi nell’immobilità prolungata, specie in posizione clinostatica. Figura 1. Calze elastiche a compressione graduata La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 167 con mezzi farmacologici in pazienti a rischio trombotico elevato o come modalità unica di profilassi nei pazienti a rischio emorragico o con controindicazioni alla terapia antitrombotica. Altro ambito di intervento infermieristico è la gestione di eventuali lesioni trofiche in pazienti con insufficienza vascolare severa o sindrome post-trombotica avanzata. 8.4 LA GESTIONE INFERMIERISTICA DELLA TERAPIA EPARINICA ED ANTICOAGULANTE ORALE Esistono dei protocolli infermieristici di gestione e controllo della terapia e di sorveglianza dei possibili effetti collaterali? Nella maggior parte dei casi la risposta è negativa. La terapia con eparina sodica in pompa è sicuramente una terapia impegnativa dal punto di vista infermieristico: il raggiungimento di un aPTT ottimale implica frequenti variazioni del dosaggio e soprattutto frequenti controlli laboratoristici. Adottare un comune e condiviso nomogramma di valutazione degli aggiustamenti terapeutici e dei controlli di laboratorio può sicuramente ottimizzare il percorso terapeutico (Tabella III). Anche la conduzione della terapia con eparina a basso peso molecolare richiede alcuni accorgimenti come una buona conoscenza della tecnica di iniezione, da saper trasmettere al paziente o ai familiari nel caso di autosomministrazione a domicilio del farmaco, ed una buona conoscenza dei possibili effetti collaterali della terapia già visti in precedenza. 8.5 COME ATTUARE L’EDUCAZIONE SANITARIA Certamente di grande importanza è l’attività di educazione sanitaria che l’infermiere professionale può svolgere nel favorire la conduzione sicura ed efficace del trattamento anticoagulante orale. La somministrazione dell’anticoagulante orale richiede anche un’attività d’informazione ed educazione del paziente e dei “care giver” per la successiva gestione domiciliare della terapia. 168 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella III. Schema di terapia con eparina non frazionata (ENF). Ratio aPTT Modifica infusione (ml/h) <1.5 1.6-1.9 2.0-2.5 2.6-3.0 3.1-3.8 >3.9* + 4 ml/h + 2 ml/h goal - 2 ml/h - 4 ml/h - 4 ml/h Altri interventi nuovo bolo e.v. stop infusione 30 min. stop infusione 60 min. Controlli aPTT dopo 6 ore dopo 6 ore al mattino successivo dopo 6 ore dopo 6 ore *Per valori >3.0 si consiglia di ripetere il prelievo da un’altra vena. Questa potrebbe essere favorita dalla consegna ed illustrazione da parte dell’infermiere di opuscoli informativi che forniscano una guida per un sicuro ed efficace trattamento anticoagulante: caratteristiche del farmaco, possibili interazioni farmacologiche, interazione con i cibi, segni di sanguinamento anomali, gradazione dei controlli di laboratorio. La relazione con la persona ha anche l’obiettivo di renderla consapevole delle caratteristiche della malattia e del suo andamento, fornendo tutte le indicazioni utili ad una gestione autonoma, da quelle relative allo stile di vita: abitudini voluttuarie, dieta, attività fisica; alla gestione corretta della terapia e alla prevenzione delle complicanze della stessa, nonché della patologia di base e delle malattie spesso correlate. 8.6 CONCLUSIONI Concludendo, si può affermare che l’assistenza infermieristica al paziente con MTEV racchiude una vasta gamma di interventi che devono essere pianificati sulla base delle sue abilità residue, con tappe in cui l’intervento può essere completamente compensatorio, o parzialmente supplettivo, fino ad essere solamente istruttivo. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 169 Tutto ciò che l’infermiere attua nei confronti del paziente con MTEV ha successo tanto più è condiviso con le altre figure professionali che operano nel team assistenziale. Enfatizzare l’integrazione delle responsabilità e delle risorse è la condizione essenziale per migliorare l’efficacia degli interventi. 8.7 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1) Carpenito L.J. Diagnosi infermieristiche. Applicazione alla pratica clinica. Edizioni Sorbona, Milano, 1996. 2) Crafen R.F., Hirnle C.J. Principi fondamentali dell’assistenza infermieristica. Sostegno delle funzioni fisiologiche. Volume 2. CEA, Milano, 1998. 3) Autar R. Calculating patients’ risk of deep vein thrombosis. British Journal of Nursing, 1998. 4) Wallis M, Autar R. Deep vein thrombosis: clinical nursing management. Nursing Standard. Continuing Professional Development, 2001. 5) Cavicchioli A., Canova M., Casson P., Pomes A., Tromca A., Zanella G. Elementi di base dell’Assistenza infermieristica. CEA, Milano, 1994. 6) Brandijes D.P.M., Buller H.R., et al. Randomized trial of effect of compression stockings in patients with symptomatic proximalvein thrombosis. Lancet, 1997; 349:759-62. 7) Goldhaber S.Z., Dunn K., MacDougall R.C. New onset of venous thromboembolism among hospitalized patients ad Brigham and Women’s Hospital is caused more often by prophylaxis failure than by withholding treatment. Chest, 2000; 118:1680.4. 170 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 171 9. NUOVI FARMACI ANTITROMBOTICI PER LA PROFILASSI E LA TERAPIA DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO 172 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 9. 173 NUOVI FARMACI ANTITROMBOTICI PER LA PROFILASSI E LA TERAPIA DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO Domenico Prisco Dipartimento di Area Critica Medico-chirurgica, Centro Trombosi, A.O.U. Careggi, Firenze Da oltre 50 anni la profilassi farmacologica e la terapia del tromboembolismo venoso (TEV) si avvalgono di due classi di farmaci: l’eparina e gli anticoagulanti orali (AO). All’eparina non frazionata (ENF) usata per prima, si sono affiancate, per poi spesso sostituirla, le eparine a basso peso molecolare (EBPM). I classici farmaci anticoagulanti hanno però una serie di problemi nel loro impiego clinico tali da essere ben lungi da poter essere considerati soddisfacenti, nonostante l’impiego delle EBPM abbia costituito un significativo avanzamento. Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati numerosi nuovi farmaci anticoagulanti. Per la maggior parte questi nuovi antitrombotici possiedono bersagli specifici a differenti livelli della cascata coagulativa e ciò deriva dalla premessa che una miglior selettività dovrebbe garantire un miglior controllo della terapia stessa. Valuteremo dunque i composti che sono in fase di sperimentazione clinica più avanzata e che in alcuni casi hanno già trovato una loro indicazione nell’ambito della terapia antitrombotica. Per schematicità distingueremo i nuovi farmaci antitrombotici in quattro grandi categorie: gli inibitori del complesso fattore VIIa/fattore tissutale, gli inibitori del fattore Xa, gli inibitori diretti della trombina (fattore IIa) ed infine gli altri farmaci antitrombotici (inibitori dei fattori Va e VIIIa, derivati eparinici ed eparinoidi) (Tabella I, Figura 1). 174 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Tabella I. Nuovi farmaci antitrombotici. Molecola Via Stato Indicazione Fattore VIIa/TF TFP VIIai NAPc2 IV SC SC Fase II Fase II Fase II Sepsi PTCA Prevenzione TEV chirurgia del ginocchio Fattore Xa Pentasaccaride SC Fase III Prevenzione TEV chirurgia ortopedica maggiore, terapia TEV, profilassi secondaria TEV Fattore IIa Irudina Melagatran Ximelagatran IV SC Orale Approvato Fase III Irulog Argatroban IV IV HIT Prevenzione TEV chirurgia ortopedica maggiore, terapia TEV, profilassi secondaria TEV o della FA Approvato HIT, PTCA Approvato HIT Proteina C attivata Trombomodulina IV Fase III SC Fase II Bemiparina SC Fattore Va/VIIIa Derivati eparinici Eparinoidi Dermatansolfato Danaparoid IM SC Sepsi Prevenzione TEV chirurgia d’anca Approvato Prevenzione TEV in chirurgia e terapia TEV Fase III Prevenzione TEV in chirurgia Approvato Prevenzione TEV in chirurgia, HIT 9.1 INIBITORI DEL COMPLESSO FATTORE VIIA/TF Gli inibitori della via del fattore tissutale (TF) agiscono su uno stadio precoce della via estrinseca della coagulazione, inibendo il complesso Fattore VII attivato/Fattore Tissutale. Ciò contrasta il momento iniziale della cascata della coagulazione, ma potrebbe avere un impatto minore sulla sua amplificazione. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 175 Sedi d’azione dei nuovi farmaci anticoagulanti Cascata della coagulazione Avvio TF/VIIa FVIIai TFPI NAPc2 + + VIIIa APC Xa Pentasaccaride IIa Fibrinogeno + DX9065a II Attività trombinica + Va TF = fattore tissutale FVIIa = fattore VIIa attivo bloccato II = protrombina IIa = trombina TFPI = inibitore della via del fattore tissutale NAPc2 = peptide anticoagulante nematodico APC = proteina C attivata a = attivato + IXa + Propagazione + + X Farmaco Tappe nella coagulazione Fibrina Irudina Bivalirudina Argatroban Ximelagatran Figura I. Sito d’azione dei nuovi farmaci antitrombotici. Al momento tre farmaci sono stati valutati nei trials clinici. Il TFPI è un inibitore naturale, bivalente, che modula l’avvio della coagulazione inibendo il complesso fattore VIIa/TF. Il TFPI prima lega e inibisce il fattore Xa ed il complesso che ne deriva inibisce il VIIa. Al momento è stato valutato in due trial di fase due nella sepsi. Il fattore VIIai è un inibitore che compete con il fattore VIIa per il legame con il TF. Al momento è stato utilizzato con risultati deludenti in un trial di fase due in pazienti sottoposti a PTCA. Il NAPc2 è uno dei nuovi farmaci provvisto di documentazione clinica nel TEV, ma che non sappiamo se vedremo mai in Italia. È la forma ricombinante di un anticoagulante derivato da un Nematode (Ancylostoma caninum). Esso si lega a un sito non 176 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare catalitico situato sia nel fattore Xa che nello zimogeno e forma un complesso che inibisce il fattore VIIa sito nel complesso fattore VIIa/fattore tissutale. Ha somministrazione parenterale, buona biodisponibilità (90%), lunga emivita (50 ore dopo somministrazione sc,con la possibilità di una somministrazione ogni 48 ore). Ha dimostrato buona efficacia nella profilassi del TEV in uno studio aperto di dose-finding di fase II in 293 pazienti sottoposti a chirurgia maggiore del ginocchio. NAPc2 era somministrato da 1 a 12 ore dopo l’intervento e poi a dì alterni per un massimo di 4 dosi. La massima efficacia era raggiunta alla dose di 3 microg/kg iniziata un’ora dopo l’intervento. 9.2 INIBITORI DEL FATTORE Xa I pentasaccaridi sono i concorrenti più avanzati delle EBPM, che costituiscono tuttora lo standard di riferimento nella profilassi e nel trattamento del TEV. Il pentasaccaride fondaparinux è stato confrontato con le EBPM in quattro studi di fase III in pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore, dimostrandosi significativamente più efficace. È perciò interessante confrontare il meccanismo d’azione e la farmacocinetica di queste due classi di farmaci. Le EBPM sono ricavate da preparazioni di ENF di origine estrattiva animale, sono dirette contro diversi fattori della coagulazione (IIa, IXa e Xa) e la loro azione è mediata dal legame con l’antitrombina (ATIII). Il fondaparinux è interamente ottenuto per sintesi chimica. Mostra alta affinità per l’ATIII che possiede uno specifico sito di legame per il pentasaccaride. Questo legame determina la inibizione selettiva del fattore Xa mediata dall’ATIII. Il fattore Xa gioca un ruolo centrale nella cascata della coagulazione e la sua inibizione comporta una forte inibizione della formazione di trombina e della crescita del coagulo. Tra la dose di fondaparinux e l’inibizione della generazione di trombina attraverso le vie intrinseca ed estrinseca della coagulazione esiste una correlazione lineare. Studi di fase I su volontari sani hanno mostrato una cinetica essenzialmente lineare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 177 sia nei giovani che negli individui anziani. La biodisponibilità di fondaparinux è completa per somministrazione sc, con rapida insorgenza di azione e bassa variabilità di efficacia. L’emivita del fondaparinux è più lunga di quella dell’EBPM: 15-20 ore contro circa 4-6 ore. In profilassi, una sola dose quotidiana di fondaparinux assicura un completo effetto antitrombotico per 24 ore. Di conseguenza, allo scopo di dimostrare un miglior rapporto rischio/beneficio nei confronti delle EBPM, una singola dose quotidiana di fondaparinux è stata scelta per gli studi di fase II e III nella profilassi del TEV in chirurgia ortopedica maggiore. Attraverso un ampio programma di studi di fase I e II, il fondaparinux è stato valutato in una grande varietà di situazioni cliniche ed in un’ampia gamma di profili di pazienti. Il programma di fase II ha stabilito la efficacia e la sicurezza della molecola in prevenzione e trattamento acuto del TEV e della malattia tromboembolica arteriosa. Per quanto riguarda la prevenzione del TEV in ortopedia, una somministrazione quotidiana di 2,5 mg di fondaparinux, con inizio post-operatorio, è stata scelta per gli studi di fase III di profilassi in chirurgia ortopedica maggiore. A tutt’oggi sono stati completati quattro studi di fase III di prevenzione del TEV in pazienti sottoposti a protesi elettiva d’anca (due studi, 4.584 pazienti), protesi elettiva di ginocchio (uno studio, 1.049 pazienti), e in pazienti operati per frattura d’anca (uno studio, 1.711 pazienti). Questo programma è stato completato in 24 Paesi, coinvolgendo più di 7.000 pazienti. Gli studi, prospettici, randomizzati, in doppio cieco, comparativi, per gruppi paralleli, hanno utilizzato lo stesso dosaggio di fondaparinux per tutti i pazienti in tutte le procedure chirurgiche descritte, ed un unico farmaco di confronto (enoxaparina). In tutti i quattro studi la verifica primaria di efficacia si basava sulla flebografia bilaterale. I risultati hanno inequivocabilmente dimostrato la maggiore efficacia del fondaparinux rispetto al comparatore nella preven- 178 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare zione del TEV in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per frattura d’anca ed in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico di protesi elettiva d’anca o di ginocchio, con una riduzione globale del rischio a favore del fondaparinux del 55.3%, statisticamente altamente significativa. Una superiore efficacia nei confronti della EBPM è stata dimostrata in tutti i tipi di chirurgia oggetto degli studi. Questo vantaggio rimane consistente in tutti i sottogruppi di pazienti, senza relazione con l’età, il sesso, il tipo di anestesia, l’uso del cemento e la durata dell’intervento chirurgico. La superiorità nei confronti del comparatore in termini di efficacia è stata raggiunta senza un aumento significativo del rischio di emorragia clinicamente rilevante (emorragia fatale, emorragia in organi critici, emorragia che porta al re-intervento). Infine, la mortalità è risultata molto bassa in entrambi i gruppi degli studi. Nel 2003 è anche apparso lo studio PENTHIFRA PLUS che ha paragonato fondaparinux somministrato per una sola settimana con fondaparinux somministrato per quattro settimane dopo intervento per frattura di femore evidenziando una notevole differenza nella efficacia relativa (- 96% di Riduzione del Rischio Relativo con la profilassi prolungata). Fondaparinux è stato anche studiato in profilassi nella chirurgia addominale ad alto rischio (studio PEGASUS) e nei pazienti medici (studio ARTEMIS). Il PEGASUS ha paragonato il fondaparinux con dalteparina (iniziata preoperatoriamente) nella profilassi del TEV in pazienti sottoposti a chirurgia addominale ad alto rischio (in gran parte oncologica). Sono stati arruolati 2.927 pazienti di età superiore a 60 anni oppure con età superiore a 40 anni ma con almeno un fattore di rischio addizionale per TEV. I pazienti erano randomizzati a dalteparina (2.500 UI 2 ore prima dell’intervento, 2.500 UI la sera dell’intervento e poi 5.000 UI sc al dì) o fondaparinux 2.5 mg sc/die (iniziando 6 ore dopo l’intervento) per 7+2 giorni. L’end-point primario (TVP flebografica fra il 5° ed il 10° giorno + La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 179 TEV sintomatico nei primi 10 giorni) era raggiunto nel 6.1% e nel 4.6% dei pazienti con una differenza non significativa. In un’analisi post hoc limitata ai pazienti oncologici (circa il 70% del totale) si osservava invece una differenza significativa (7.7% vs 4.7%). Nessuna differenza in termini di emorragie maggiori (2.4% vs 3.4%) o mortalità (1.4% vs 1%). Ovviamente sono necessari nuovi studi disegnati ad hoc per valutare la consistenza di questa osservazione. Nello studio ARTEMIS, recentemente presentato ma non ancora pubblicato, sono stati arruolati 849 pazienti di età superiore ai 60 anni, ospedalizzati per scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, malattie infettive o infiammatorie acute richiedenti un periodo di immobilizzazione superiore ai 4 giorni. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere in doppio cieco fondaparinux (2.5 mg/die s.c.) oppure placebo per 6-14 giorni. L’end-point primario era rappresentato dalla combinazione del riscontro flebografico di TVP asintomatica al termine del periodo di trattamento e degli eventi tromboembolici venosi clinicamente importanti (embolia polmonare, TVP). L’incidenza complessiva degli eventi tromboembolici venosi è stata del 5.6 % nel gruppo trattato con fondaparinux e del 10.5 % nel gruppo placebo, con una riduzione statisticamente significativa (p = 0.029; OR 0.49). L’incidenza delle emorragie maggiori è stata bassa e sovrapponibile nei due gruppi (0.2%). Un esteso programma di sviluppo clinico si è rivolto anche alla terapia del TEV. Tale programma è stato completato con due ampi studi di fase III che avevano lo scopo di verificare l’efficacia e la sicurezza del fondaparinux nel trattamento della TVP (studio MATISSE DVT) e nel trattamento dell’embolia polmonare (studio MATISSE PE). In tali studi, pubblicati nell’ultimo anno, fondaparinux si è dimostrato almeno equivalente all’enoxaparina. Nel MATISSE DVT 2.205 pazienti con TVP acuta sintomatica sono stati randomizzati a ricevere fondaparinux 7.5 mg sc/die (5 mg nei pazienti < 50 kg e 10 mg in quelli > 100 kg) o enoxaparina 1 mg/kg sc x 2 per almeno 5 giorni fino a che la terapia 180 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare con AO non portava l’INR a valori superiori a 2. A 3 mesi il 3.9% dei pazienti trattati con fondaparinux contro il 4.1% di quelli trattati con enoxaparina avevano avuto una recidiva di TEV. Anche l’incidenza di emorragie maggiori (1.1% e 1.2%) e quella di morte (3.8% e 3%) erano simili nei due gruppi. Nel MATISSE PE 2.213 pazienti con embolia polmonare acuta sintomatica sono stati randomizzati a ricevere fondaparinux 7.5 mg sc/die (5 mg nei pazienti < 50 kg e 10 mg in quelli > 100 kg) o un’infusione endovenosa continua di ENF, aggiustata per mantenere il PTT a valori fra 1,5 e 2,5 volte il valore di controllo, per almeno 5 giorni fino a che la terapia con AO non portava l’INR a valori superiori a 2. A 3 mesi il 3.8 % dei pazienti trattati con fondaparinux contro il 5% di quelli trattati con enoxaparina avevano avuto una recidiva di TEV. Anche l’incidenza di emorragie maggiori (1.3% e 1.1%) e quella di morte (5.2% e 4.4%) erano simili nei due gruppi. Fondaparinux è l’unico fra i nuovi farmaci anticoagulanti già in commercio in Italia, sia pure per uso ospedaliero e con indicazione limitata alla profilassi del TEV in chirurgia ortopedica maggiore. Un pentasaccaride analogo del fondaparinux, l’idraparinux, che ha una lunga emivita (130 ore) che ne permette la somministrazione settimanale, sempre per via sc, è stato impiegato con successo in uno studio di fase II nella profilassi secondaria del TEV in confronto con gli AO. Nello studio PERSIST, 659 pazienti con TVP prossimale venivano randomizzati, dopo 5-7 giorni di trattamento con enoxaparina, a ricevere 2.5, 5, 7.5, o 10 mg di idraparinux sc una volta la settimana o warfarin con un target di INR di 2-3 per 12 settimane. L’outcome di efficacia primario era composito: modificazione della massa trombotica (mediante ecografia venosa e scintigrafia polmonare) alla 12° settimana + eventi clinici di TEV. I tassi di normalizzazione o peggioramento erano simili per i diversi dosaggi di idraparinux e per il warfarin. Per le emorragie maggiori c’era un chiaro effetto dose-risposta per l’idraparinux. Per la dose di 2.5 mg le emorragie maggiori erano meno numerose rispetto al trattamento con La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 181 warfarin. Tale dose dunque sembra una valida alternativa alla classica terapia con dicumarolici nella prevenzione secondaria della TVP. È in corso uno studio di fase III con idraparinux nella terapia del TEV (Studio Van Gogh). Gli altri inibitori del fattore X sono assai più indietro dei pentasaccaridi nello sviluppo clinico. Il DX-9065a è un derivato argininico non peptidico che lega il sito attivo del Xa. È stato valutato nella cardiopatia ischemica ma non nel TEV. Il razaxaban (DPC 906) è un agente orale che è stato confrontato con l’enoxaparina (30 mg x 2/die) in uno studio di dosefinding di fase II condotto in 656 pazienti sottoposti a chirurgia maggiore del ginocchio (25, 50, 75 e 100 mg x 2/die). Un effetto dose risposta è stato documentato sia per l’efficacia che per la sicurezza. La bassa dose (25 mg) era quella più sicura ed era comunque più efficace dell’EBPM. L’YM466 monomesilato è un inibitore selettivo diretto non peptidico del fattore Xa. Si somministra per os due volte al giorno. In uno studio ancora non pubblicato, multicentrico, aperto, di dose-escalation, YM466 è stato somministrato a 138 pazienti sottoposti a chirurgia elettiva dell’anca a 3 dosaggi (25, 50 e 100 mg x 2) iniziando 8 ore dopo l’intervento. 109 pazienti erano valutabili. La somministrazione iniziava in oltre il 90% dei pazienti fra 6 e 12 ore dopo la chirurgia e si protraeva per 5-6 giorni. Il tasso di TVP flebografiche era 39%, 22% e 4% nei tre gruppi mentre quello di emorragie maggiori era rispettivamente 0%, 5% e 7%. 9.3 INIBITORI DIRETTI DELLA TROMBINA (fattore IIa) Gli inibitori diretti della trombina, come l’irudina, agiscono direttamente sulla trombina (senza necessità di legame con l’ATIII), bloccando la sua attività ed il meccanismo di feed-back legato alla trombina stessa. 182 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare L’irudina, un polipeptide di 65 amminoacidi prodotto dalle ghiandole salivari di una sanguisuga medicinale (Hirudo medicinalis, Figura 2) rappresenta il più potente anticoagulante presente in natura. Viene attualmente prodotta mediante la tecnica del DNA ricombinante e si è dimostrata in alcuni studi più efficace della EBPM nella prevenzione della TVP dopo chirurgia ortopedica (protesi elettiva d’anca) e può essere utilizzata efficacemente nei pazienti affetti da piastrinopenia da eparina. Sono state di recente commercializzate due irudine ricombinanti, la lepirudina e la desirudina. L’irulog è anch’esso un inibitore bivalente della trombina e ne è stato recentemente approvato il suo uso in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica. L’argatroban è un diretto inibitore della trombina il cui uso è stato approvato nei pazienti affetti da piastrinopenia da eparina. Farmaci forniti di ampia documentazione ma non ancora in commercio in Italia sono melagatran ed il suo precursore xi- Figura 2. Hirudo Medicinalis. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 183 melagatran, antitrombinici diretti. Il melagatran è un potente inibitore selettivo diretto e reversibile della trombina. Ha un rapido onset/offset d’azione e non necessita di monitoraggio routinario. Viene somministrato per via sottocutanea. Ha un effetto altamente prevedibile ed una scarsa variabilità individuale. È attivo nei confronti sia della trombina libera che di quella legata al trombo. La sua azione è indipendente dalla AT e dai fattori che neutralizzano l’eparina. Esso costituisce il maggior metabolita dello ximelagatran, un profarmaco somministrabile per via orale. Lo ximelagatran viene assorbito senza interferenza con il cibo e rapidamente trasformato in melagatran dopo assunzione orale. Ximelagatran raggiunge il picco di concentrazione plasmatica a circa 2 ore dalla somministrazione orale. Ha una biodisponibilità del 20%, un legame alle proteine plasmatiche inferiore al 15%, un’emivita nei pazienti di 4-5 ore ed una eliminazione prevalentemente renale. Ne deriva una farmacocinetica prevedibile che spiega il fatto che non sia necessario un monitoraggio dell’azione anticoagulante ed un aggiustamento terapeutico Negli ultimi anni questo inibitore della trombina è stato valutato in numerosi studi clinici di fase II e III su prevenzione e trattamento della TVP, della trombosi arteriosa e della fibrillazione atriale. Ximelagatran, somministrato per via orale, è stato studiato nella profilassi del TEV in chirurgia ortopedica maggiore (eventualmente preceduto da 1 o 2 somministrazioni iniziali per via parenterale di melagatran), nella terapia della fase acuta e cronica del TEV e nella profilassi secondaria prolungata del TEV. In tutte queste indicazioni si è mostrato equivalente o superiore all’EBPM e agli anticoagulanti orali. L’interesse di questo farmaco è legato essenzialmente alla sua somministrazione orale. L’efficacia del melagatran sottocute seguito da ximelagatran per os in chirurgia ortopedica maggiore è stata valutata in 4 trial europei mentre l’efficacia di un trattamento solo con ximelagatran orale è stata valutata in cinque trials americani. 184 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare In uno studio di dose-ranging europeo, melagatran iniziato preoperatoriamente alla dose di 3 mg x 2/die sc seguito da ximelagatran orale 24 mg x2/die è risultato più efficace di dalteparina 5.000 UI/die nella prevenzione del TEV in pazienti operati di protesi d’anca o di ginocchio (METHRO II). In un altro studio (METHRO III) non c’erano differenze significative nella prevenzione del TEV fra melagatran (3 mg somministrati sc dopo la chirurgia e seguiti da ximelagatran 24 mg x 2 per os) versus enoxaparina 40 mg/die. Rispetto all’enoxaparina, erano osservati tassi significativamente minori di TVP prossimale e/ o embolia polmonare e di episodi di TEV somministrando il melagatran (2 mg) prima e (3 mg) dopo l’intervento seguito dalla consueta dose orale di ximelagatran (studio EXPRESS). Tre studi americani di fase III hanno confrontato ximelagatran iniziato dopo l’intervento alla dose di 24 o di 36 mg/die con warfarin nella prevenzione del TEV in pazienti operati di protesi d’anca o ginocchio. Il Platinum-knee trial che valutava la dose 24 mg x 2 mostrava una sostanziale equivalenza con il warfarin. Nello studio EXULT-A che valutava sia la dose 24 mg x 2 che 36 mg x 2, quest’ultima dose era più efficace del warfarin con analogo tasso di complicanze emorragiche. Lo studio EXULT B che valutava solo la dose di 36 mg x 2 confermava i risultati di cui sopra. Ximelagatran da solo o dopo melagatran era generalmente ben tollerato in termini di emorragie o necessità di trasfusioni rispetto al trattamento di paragone. In un’analisi post-hoc il numero di trasfusioni era minore con ximelagatran che con enoxaparina. Una metanalisi dei 3 principali studi europei di fase 3 (METHRO II, METHRO III, EXPRESS) presentata da Cohen al Congresso dell’ISTH del 2003 indica che un buon bilancio fra efficacy e safety si ottiene con lo schema che prevede 2 mg sc di melagatran preoperatorio seguito da 3 mg postoperatorio e poi dallo ximelagatran. In realtà la recente registrazione in Germania di ximelagatran (Exanta®) per l’indicazione profilassi del TEV in ortopedia è stata La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 185 fatta secondo lo schema dello studio METHRO III privilegiando la safety alla efficacy. È ragionevole che in questa indicazione il farmaco sarà disponibile in Italia nel 2005 (il nome commerciale sarà Exarta per problemi sulla registrazione in Italia del nome Exanta). Una serie di studi clinici hanno valutato lo ximelagatran nel trattamento del TEV acuto. Come nei trial di profilassi lo ximelagatran è stato somministrato per os a dose fissa senza monitoraggio di laboratorio dell’effetto anticoagulante né aggiustamento della dose. Due studi pilota hanno usato la progressione/ regressione del trombo o nuovi episodi embolici come end-point. In uno studio dei dose-finding (THRIVE I), randomizzato, controllato, multicentrico è stata valutata l’efficacia e la tollerabilità di ximelagatran nei confronti di dalteparina seguita da warfarin, nel trattamento della TVP degli arti inferiori. 350 pazienti con TVP acuta hanno ricevuto diverse dosi di ximelagatran per os (24, 36, 48 o 60 mg x 2/die) o dalteparina (200UI/kg/die) seguita da warfarin (INR 2-3) per 2 settimane. La valutazione flebografica di confronto (14 gg vs basale) disponibile in 295 pazienti mostrava la regressione del trombo nel 69% sia dei pazienti trattati con ximelagatran che con dalteparina con simili modificazioni dello score di Marder. Simile anche la riduzione del dolore e dell’edema mentre rari e bilanciati erano gli episodi emorragici che rendevano necessaria la sospensione del trattamento. In uno studio aperto di coorte 12 pazienti con embolia polmonare (THRIVE IV) venivano trattati con ximelagatran alla dose di 48 mg x 2 per 6-9 gg e successivamente con eparina/warfarin. Un buon risultato clinico era ottenuto in tutti i pazienti senza complicanze emorragiche. Il quadro scintigrafico peggiorava solo in un paziente con neoplasia. Non ancora pubblicato in extenso è il THRIVE treatment study, comunicato nel 2003 all’ISTH ed all’ASH. In questo studio randomizzato, doppio cieco, 2.491 pazienti con TVP acuta, 37% dei quali avevano un’embolia polmonare confermata, venivano randomizzati a ricevere ximelagatran 36 mg x 2 per os per 6 186 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare mesi o enoxaparina 1 mg/kg x 2 sc per almeno 5 gg seguita da warfarin (target INR 2-3) per 6 mesi. Tutti i pazienti avevano una CUS bilaterale ed una scintigrafia polmonare di ventilazioneperfusione basali. Lo scopo dello studio era dimostrare la non inferiorità del trattamento in esame nei confronti di quello di controllo. La scelta di un trial di non inferiorità deriva dalla non eticità di un trial contro placebo. End-point principale erano episodi di TEV ricorrente. Altri end-point la mortalità e le emorragie. Ximelagatran era somministrato a 1.241 pazienti mentre 1250 ricevevano enoxaparina e warfarin. I gruppi erano ben bilanciati. Per nessuno degli end-point considerati (recidiva di TEV, mortalità totale, emorragie maggiori, recidiva di TEV e/o emorragia maggiore) si osservavano differenze fra i due gruppi. ALT elevate (> 3 volte il limite superiore normale) erano trovate nel 9.8% dei pazienti trattati con ximelagatran e nel 2% dei pazienti del trattamento di controllo. Tali alterazioni si osservavano essenzialmente fra il secondo ed il terzo mese di trattamento. Come in altre esperienze col farmaco, queste alterazioni non si accompagnavano a sintomi e regredivano spontaneamente sia che il trattamento fosse interrotto sia che fosse proseguito. Un trend favorevole per ximelagatran era osservato per le emorragie maggiori e la mortalità all’analisi intention-to-treat. Interessante notare che il tasso di mortalità all’analisi on treatment era invece molto basso in entrambi i gruppi (0.6%). L’ipotesi del THRIVE treatment study era più “radicale” di quella di altri studi in quanto esso valuta la possibilità di sostituire non solo il warfarin ma anche l’eparina fin dall’inizio del trattamento e per tutto il periodo di sei mesi di profilassi secondaria. Questi dati dimostrano un’equivalente protezione rispetto al trattamento standard senza i suoi problemi e le sue limitazioni. In un trial internazionale (18 paesi), multicentrico (142 centri) in doppio cieco pubblicato lo scorso anno, il THRIVE III, ximelagatran è stato utilizzato per la prevenzione secondaria prolungata del TEV. 1.233 pazienti con TEV (di cui il 15% con em- La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 187 bolia polmonare isolata) che avevano completato un periodo di 6 mesi terapia anticoagulante orale standard, venivano randomizzati a continuare la profilassi con ximelagatran 24 mg x 2/ die o placebo per altri 18 mesi. I pazienti eseguivano all’inizio una ecografia venosa bilaterale degli arti inferiori ed una scintigrafia polmonare di perfusione. 1.223 pazienti furono inclusi nell’analisi intention-to-treat. La durata media del trattamento fu di 505 giorni e la compliance di circa il 90%. Fra i 612 pazienti trattati con ximelagatran solo 12 ebbero una recidiva sintomatica di TEV, contro ben 71 dei 611 trattati con placebo (HR 0,16, IC 95% 0.09-0.30). Tutte le recidive venivano verificate con metodica oggettiva. Ridotto era anche l’end-point composito recidiva di TEV + mortalità. Non differivano fra i due gruppi né la mortalità totale (6 e 7 pazienti nei due gruppi) né le emorragie maggiori (solo 6 e 5 rispettivamente e nessuna fatale) e minori (queste ultime particolarmente frequenti: 128 e 106). I tassi di emorragie totali erano 23.9% e 21% nei due gruppi senza differenze significative. Un incremento delle transaminasi superiore a 3 volte il valore superiore normale, anche se generalmente asintomatico e reversibile, era osservato nel 6.4% dei pazienti trattati con ximelagatran contro l’1.2% del gruppo placebo. Colpisce in questo trial la frequenza delle emorragie minori ma va detto che si trattava di qualunque evento che non rientrava nella definizione di emorragia maggiore e dunque anche i numerosi eventi assolutamente privi di rilevanza clinica. Va ricordato che la standardizzazione delle definizioni di emorragia già imperfetta per quelle maggiori è assai variabile da trial a trial per quelle minori. Interessante notare che il 7% dei pazienti trattati con ximelagatran (contro il 9% di quelli trattati con placebo) assumevano anche farmaci antipiastrinici (soprattutto aspirina) senza che questo si sia associato ad un evidente aumento delle emorragie. Da notare che il tasso annuo di emorragie maggiori di circa l’1% è inferiore a quello osservato negli studi con warfarin a dose piena (3-4%) e simile a quello degli studi con warfarin a basso dosaggio. 188 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 9.4 ALTRI FARMACI ANTITROMBOTICI Inibitori dei fattori Va e VIIIa La maggior parte delle ricerche nell’ambito di farmaci che aumentano l’attività anticoagulante endogena si è recentemente concentrata sulla Proteina C attivata. Un aumento della proteina C attiva può essere ottenuto dalla somministrazione nella sua forma ricombinante o di trombomodulina solubile. La proteina C attivata attualmente disponibile sotto forma di derivati plasmatici o di agente ricombinante, è stata approvata per l’uso nelle coagulopatie indotte da sepsi sulla base di uno studio di fase III, mentre non esistono esperienze nel TEV. La trombomodulina solubile si lega alla trombina e induce modificazioni del suo sito attivo che la rendono un potente attivatore della proteina C. Un analogo ricombinante della porzione extracellulare della trombomodulina solubile, che ha un’emivita di 2-3 giorni dopo somministrazione sc, è stato valutato in uno studio di dose-escalating di fase II in 312 pazienti sottoposti a chirurgia elettiva d’anca. Derivati eparinici Molti sono i derivati eparinici in studio ma si farà cenno qui soltanto ad una nuova EBPM di prossima uscita in Italia, la bemiparina. Bemiparina è un’EBPM derivante dalla mucosa intestinale suina. Si ottiene in forma di sale sodico per frazionamento mediante depolimerizzazione per β-eliminazione in mezzo non acquoso. La struttura chimica conferisce alcune qualità e caratteristiche che differenziano la bemiparina da tutte le altre EBPM e fanno sì che possa essere considerata una nuova eparina di seconda generazione di EBPM. Bemiparina ha un peso molecolare (PM) medio di 3.600 Daltons (D), il minore delle EBPM attualmente commercializzate. La percentuale di frammenti con PM superiore a 6.000 D è molto minore rispetto alle altre EBPM, La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 189 e la maggior parte dei frammenti è al di sotto della lunghezza critica. Come conseguenza, il rapporto attività anti-FXa/attività anti-FIIa è di 8:1. La sua biodisponibilità è pressoché completa (96%). In studi di farmacocinetica è stato osservato che può essere ottenuto un adeguato effetto anticoagulante per almeno 18 ore dopo la somministrazione sottocutanea. La sua emivita di eliminazione (5,3 ore) è la più lunga tra tutte le altre EBPM. Esistono al momento numerosi studi su profilassi e terapia del TEV condotti con bemiparina. Eparinoidi Tra gli eparinoidi accenneremo al Dermatansolfato e al Danaparoid. Il dermatansolfato è un glicosaminoglicano naturale estratto anch’esso dalla mucosa intestinale suina, che induce un effetto antitrombotico principalmente attraverso l’attivazione del cofattore II dell’eparina. Alcuni studi hanno valutato la sua efficacia clinica nella prevenzione delle TVP post-operatorie e nei pazienti neoplastici sottoposti a vari interventi di chirurgia generale. Il Danaparoid è un eparinoide a basso peso molecolare contenente una miscela di eparansolfato (80%), dermatansolfato (10-15%) e condroitinsolfato (5%) estratto dalla mucosa intestinale suina e capace di interagire sia con l’antitrombina III che con il cofattore eparinico II inibendo la formazione di fibrina. È stato valutato nella profilassi della TEV dopo interventi di chirurgia generale ed ortopedica, in pazienti con ictus cerebrale ed inoltre si è dimostato efficace in corso di piastrinopenia da eparina. Non è in commercio in Italia. 9.5 CONCLUSIONI Le EBPM e (con qualche riserva, almeno in Europa) gli AO sono farmaci sicuri ed efficaci per la profilassi del TEV in chi- 190 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare rurgia ortopedica maggiore. Fondaparinux rappresenta una nuova alternativa a questi farmaci ed è approvato in questa indicazione. Gli studi disponibili hanno dimostrato che fondaparinux riduce in maniera importante le TVP flebografiche rispetto ai trattamenti classici ma non gli episodi di TEV sintomatico, peraltro rari sotto EBPM. Tale effetto, la cui rilevanza clinica è stata lungamente dibattuta, può avere un impatto importante sulla riduzione della sindrome postrombotica a distanza di tempo. Anche ximelagatran è almeno equivalente ai farmaci classici in questa indicazione ma al momento ha iniziali approvazioni in Europa e dovrebbe essere disponibile in Italia nel corso del 2005. Per quanto riguarda la profilassi prolungata (4-5 settimane) ormai divenuta uno standard in chirurgia ortopedica maggiore, fondaparinux è risultato efficace nei pazienti operati per frattura d’anca nello studio PENTHIFRA-PLUS mentre non esiste una simile documentazione al momento per ximelagatran. Le alternative sono dunque, laddove si inizi il trattamento con i nuovi farmaci, o quella di passare a EBPM per tutto il periodo a rischio o, nel caso di fondaparinux, di proseguirlo per 35 giorni. Molto attraente per alcuni pazienti l’ipotesi di proseguire ximelagatran per via orale, ma questo dovrà essere suffragato dai dati provenienti da trials in corso. Le EBPM sono anche efficaci e sicure per il trattamento iniziale del TEV acuto. I due trial MATISSE, pubblicati recentemente, hanno dimostrato che fondaparinux è efficace e sicuro in tale indicazione con risultati equivalenti a quelli ottenuti con eparina standard in pompa e con EBPM. Comunicati ma non pubblicati sono invece al momento gli analoghi dati di confronto per ximelagatran che mostrano anche in questo caso una equivalenza anche se non esiste uno studio per embolia polmonare solido come il MATISSE PE del fondaparinux. Ma il vero interesse clinico in questo campo riguarda la profilassi secondaria a lungo termine e la possibilità di sostituire gli anticoagulanti orali con i nuovi farmaci. In questo campo è in corso uno studio con il pentasaccaride idraparinux, un analogo di fondaparinux La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 191 a lunga emivita che ne permette la somministrazione per via sottocutanea una volta la settimana. Tale studio si basa sui dati promettenti dello studio di fase II PERSIST. Sono necessari peraltro diversi anni prima di avere, in caso di efficacia, disponibilità di tale farmaco in clinica per questa indicazione. Più breve sembra invece il percorso per la disponibilità di ximelagatran, che, in base ai risultati degli studi THRIVE, si presenta come alternativa efficace al warfarin nella prevenzione secondaria del TEV a medio e lungo termine. Da definire ancora l’impatto clinico delle alterazioni degli enzimi epatici sull’utilizzo pratico di questo farmaco. Per entrambi i farmaci restano poi da valutare: • l’impatto economico e le decisioni circa la rimborsabilità che saranno prese dalle agenzie regolatorie, • i problemi di compliance in rapporto alla mancanza di un controllo di laboratorio in grado di svelarla, • la tossicità e gli effetti indesiderati a lungo termine, • il rischio di uso inappropriato per la semplificazione eccessiva della terapia. Infine, è presumibile che bemiparina, per le sue caratteristiche innovative, conquisti una fetta del mercato delle EBPM, anche se al momento le indicazioni restano quelle delle altre molecole. 9.4 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA Agnelli G., Bergqvist D., Cohen A A randomized double-blind study to compare the efficacy and safety of fondaparinux with dalteparin in the prevention of venous thromboembolism after high-risk abdominal surgery: the PEGASUS study. J Thromb Haemost 2003; Suppl: OC006. Buller HR, Davidson BL, Decousus H, Gallus A, Gent M, Piovella F et al for the MATISSE Investigators. Fondaparinux or enoxaparin for the initial treatment of symptomatic deep vein thrombosis. Ann Intern Med 2004; 140: 867-873. Cohen AT, Gallus AS, Lassen MR et al. Fondaparinux vs placebo for the prevention of venous thromboembolism in acutely ill medical 192 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare patients (ARTEMIS). J Thromb Haemost 2003; Suppl: P2406. 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La malattia tromboembolica venosa risulta essere, dopo l’infarto miocardico e l’ictus cerebri, la terza più comune malattia cardiovascolare; negli ultimi trent’anni l’incidenza delle complicanze non si è ridotta, al tavolo autoptico, nonostante le altre vasculopatie siano diminuite: l’incidenza varia dal 10 al 25% dei riscontri autoptici. Certamente una grande importanza riveste la bassa specificità della diagnosi clinica che determina una buona percentuale di casi misconosciuti di trombosi venose profonde “silenti”. D’altra parte, per lo stesso motivo, la TVP può essere confusa con altre patologie non trombotiche in fase di diagnostica differenziale. Importante è la valutazione dei fattori di rischio predisponenti già ampiamente visti in precedenza. Tra questi sicuramente gli interventi chirurgici ed in particolare la chirurgia ortopedica rappresentano una condizioni a notevole rischio trombotico, basti pensare che, nell’artroprotesi d’anca, l’incidenza di TVP in assenza di profilassi è intorno al 50% e con la profilassi eparinica l’incidenza si riduce al di sotto del 10%. 10.1 LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE Generalmente il coinvolgimento del medico legale in ambito di patologia tromboembolica venosa riguarda la responsabilità 198 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare professionale del sanitario ed avviene quando i problemi sono già in atto. L’esperienza insegna che difficilmente si passa indenni in un processo derivante da ipotesi di lesioni personali, ma più spesso per ipotesi di omicidio colposo, come più volte appare sulla stampa nazionale (Figura 1). A questo proposito i criteri indicati dalla Cassazione in tema di valutazione della responsabilità civile del medico specialista sono molto chiari (Figura 2). Quindi un richiamo specifico alla diligenza, intesa come perizia professionale ovvero conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata professione. In quest’ottica la professione medica si è trasformata da “obbligazione di mezzi”, quale era, in “obbligazione di risultato”. Il paziente che non vede realizzata la quarigione, si può rivolgere al giudice chiedendo i danni subiti a causa dell’evento lesivo e della cui possibilità che si potesse verificare non era stato adeguatamente reso edotto. Viane così ribadito il concetto di “consenso informato” come momento di grande importanza nella relazione medico-paziente. Figura I. Rischi medico-legali legati alla MTEV. La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 199 “...Nell’adempimento delle sue prestazioni professionali il medico è tenuto ad una diligenza che non è quella cosiddetta del “buon padre di famiglia” (art. 1176, 1° comma del Codice Civile), ma quella specifica del cosidetto “debitore qualificato” (cioè del soggetto tenuto ad effettuare la prestazione richiesta), come previsto dall’art. 1176, 2° comma del Codice Civile, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, compreso l’obbligo di sorveglianza della salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria”. Cassazione Civile, Sezione III, sent. n° 342 del 2.5.2002 Figura 2. Responsabilità civile: gli ultimi orientamenti della Cassazione. I giudizi del magistrato, ma anche del medico legale incaricato di sostenere le ipotesi accusatorie, sono condizionati dalla conoscenza che gli eventi sono andati clinicamente male. In un’esperienza giudiziaria ventennale, l’accusa ha sempre avuto facile gioco; la difesa, anche se strenua e puntigliosa, usualmente fallisce in quanto non sostenuta da adeguata prova di impegno professionale per prevenire o trattare la trombosi venosa profonda o la sua complicanza più grave costituita dall’embolia polmonare, talora fatale. In ambito ospedaliero sono pochi i clinici che non s’imbattono nella problematica diagnostica o terapeutica e/o di profilassi della trombosi venosa profonda; i medici di medicina generale – e anche quelli di continuità assistenziale – possono essere sfavorevolmente coinvolti in processi per esito fatale di embolia polmonare. Nei trattati di patologia speciale medica o chirurgica si definiva come “grande simulatrice” l’embolia polmonare e l’esperienza ci conferma che le cose, spesso, stanno proprio così. L’approccio del medico nei confronti della malattia tromboembolica venosa deve tener conto di alcune caratteristiche: 200 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare • Malattia prevedibile. • Malattia prevenibile. • Malattia diagnosticabile anche precocemente. • Malattia curabile. • Effetti collaterali della terapia e/o della profilassi. Ma anche: • Malattia con complicanze note e prevedibili. • Malattia con complicanze prevenibili. • Malattia con complicanze diagnosticabili anche precocemente. • Malattia con complicanze curabili. Quando il medico legale è chiamato, a posteriori, a ricostruire un fatto esitato in danno, ricostruisce il percorso relativo alla prevedibilità (in relazione ai vari e molteplici fattori di rischio), alla prevenibilità (approccio farmacologico differenziato e individualizzato, uso di presidi o procedure meccanico-pneumatico, qualità assistenziale anche infermieristica), alla diagnosticabilità precoce (sintomi, segni clinici e/o di laboratorio e/o strumentali; osservazione) e alla terapia (farmacologica, interveniva, ecc.). Ciò che è stato detto per la malattia vale, a maggior ragione, per le complicanze. La documentazione sanitaria dovrà essere esaustiva; per presunzione ciò che non è indicato nella cartella clinica è stato omesso. Qualche possibilità di uscire indenni da una “sventura” penalistica per danni da malattia tromboembolica venosa sta nelle annotazioni – se adeguate e giustificate - in cartella clinica circa la ricerca metodica ed esplicita dei sintomi e dei segni di assenza/presenza della malattia e/o delle sue complicanze. Possiamo fare altre considerazioni: • ci sono medici che si comportano ancora in modo empirico: “facciamo quello che si è sempre fatto e che è andato bene” piuttosto che in modo scientifico; • ci sono medici che non parlano con i pazienti, non li informano, non li coinvolgono nel processo di prevenzione/diagnosi La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 201 e/o cura e non li rendono edotti del rapporto rischio-beneficio dei trattamenti intrapresi; • ci sono medici che ritengono che occuparsi della malattia tromboembolica venosa “competa” agli altri medici che partecipano al processo di cura e/o di continuità assistenziale. Per preparare questa breve relazione ho richiamato alla mente i casi nei quali ho svolto attività peritale accusatoria e/o nei quali la difesa è stata vana: tutti appartenevano ad una delle categorie appena citate. Ecco allora che gli aspetti medico-legali, d’interesse per i Colleghi Clinici coinvolti nella cura dei pazienti, si compendiano in una esortazione: fate sì che la vostra professione vi faccia essere destinatari di stima e di fiducia da parte dei pazienti (e dei loro familiari) e rifuggite da comportamenti che danneggiano il rapporto medico-paziente preparando così un terreno fertile a problematiche medico-legali. 10.2 BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA 1) Angus GB, Belcaro G, Gensini F. Trombosi, Malpractice e Medicina Legale. Edizioni Minerva Medica 1999. 2) Belcaro G, Cesarone MR. Linee guida e consensus conferences: strumenti scientifici e di tutela. Edizione Minerva Medica. 1999. 3) Norelli GA, Gabrielli M. La tromboembolia post-traumatica: considerazioni medico-legali da una rassegna casistica. Arch Med Leg Ass 6,164: 1984. 4) Lo Terzo G, Sciacca G. Profilassi delle trombosi venose profonde post-chirurgiche e responsabilità professionale. Zacchia 62, 13.1989. 5) Palareti G, Genovese U, Marra A: Profilassi del tromboembolismo venoso in ortopedia: aspetti clinici e medico-legali. Passoni Editore, 2003. 6) Corte di Cassazione, sez. III, sent. n° 342, 2.5.2002. 202 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare Glossario ACA ACCP AO APA aPCR aPTT AT III BMI CO CUS CVC EBPM ECG ENF EP ETG HIT HRT IgG IgM INR IUGR Kg mg MMG MTEV MTHFR PAI-1/2 anticorpi anti-cardiolipine American College of Chest Physicians anticoagulanti orali anticorpi anti-fosfolipidi proteina C attivata tempo parziale di tromboplastina attivata antitrombina III Body Mass Index contraccezione orale ecografia vascolare con compressione catetere venoso centrale eparina a basso peso molecolare elettrocardiogramma eparina non frazionata embolia polmonare ecotomografia trombocitopenia indotta da eparina trattamento sostitutivo in menopausa immunoglobuline G immunoglobuline M international normalized ratio limitazione intrauterina di sviluppo chilogrammo milligrammo medico di medicina generale malattia tromboembolica venosa metilenetetraidrofolato reduttasi inibitore dell’attivatore del plasminogeno 203 204 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare PF4 PIOPED PSA SIAPAV SISET TAO TEV TF TFS TOS TVP UI UPET platelet factor 4 Prospective Invastigation of Pulmonary Embolism Diagnosis prostate specific antigen Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi terapia anticoagulante orale tromboembolia venosa fattore tissutale tromboflebite superficiale terapia ormonale sostitutiva trombosi venosa profonda unità internazionali Urokinase Pulmonary Embolism Trial La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 205 Indice analitico A acenocumarolo ............................................................................ 122 Ancylostoma caninum ................................................................. 171 anestesia spinale/epidurale ......................................................... 129 angiopneumografia ........................................................................ 33 anticoagulanti orali ................................................................ 44, 169 anticoagulazione ............................................................................ 43 antitrombina .................................................................................. 46 argatroban ................................................................................... 178 arteriografia polmonare ................................................................. 28 B bemiparina .................................................................................. 184 C cateteri venosi centrali ........................................................ 101, 141 chemioterapia .............................................................................. 102 color-Doppler ................................................................................. 19 compressione pneumatica intermittente ...................................... 161 condizioni protrombotiche acquisite ............................................ 112 consenso informato ...................................................................... 194 contenzione elastica ..................................................................... 161 contraccettivi orali ....................................................................... 130 D d-dimeri, dosaggio dei .................................................................... 81 D-dimero ........................................................................... 21, 24, 29 Danaparoid .................................................................................. 185 dermatansolfato ........................................................................... 185 desogestrel ................................................................................... 130 Doppler pulsato ............................................................................. 19 DPC 906 ...................................................................................... 177 Duplex scanning ............................................................................ 19 DX-9065a .................................................................................... 177 206 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare E ecocardiografia ........................................................................ 33, 34 ecocolordoppler .............................................................................. 80 ecografia con compressione ..................................................... 21, 80 ecotomografia a compressione seriata ............................................ 18 real-time ...................................................................................... 18 embolia polmonare ............................ 17, 25, 43, 64, 75, 137, 159 criteri scintigrafici ....................................................................... 32 diagnosi della .............................................................................. 25 iter diagnostico ............................................................................ 28 sintomatologia ............................................................................. 25 emogasanalisi ................................................................................ 27 eparina ................................................................................. 43, 169 a basso peso molecolare .............................................................. 75 non frazionata ..................................................................... 44, 169 eparine a basso peso molecolare ............................................ 46, 169 caratteristiche ............................................................................. 48 F fattore II o protrombina ................................................................ 117 fattore V Leiden ............................................................................ 116 VIIai .......................................................................................... 171 fibrinogeno radiomarcato ............................................................. 138 filtro cavale .................................................................................... 43 flebografia .................................................................................... 138 degli arti inferiori ......................................................................... 17 ecografica .................................................................................... 20 fondaparinux ........................................................................ 56, 172 G gestione domiciliare della TVP ........................................................ 85 gestodene ..................................................................................... 130 H heparin induced thrombocytopenia ............................................... 49 Hirudo medicinalis ....................................................................... 178 I ictus cerebrale ............................................................................. 139 idraparinux .................................................................................. 176 infarto miocardico ........................................................................ 139 Instant I.A. ..................................................................................... 22 insufficienza cardiorespiratoria ..................................................... 27 respiratoria ............................................................................... 141 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 207 ipertensione polmonare cronica post-tromboembolica ................... 35 irudina ......................................................................................... 178 irulog ........................................................................................... 178 L levonorgestrel .............................................................................. 130 lupus anticoagulante ................................................................... 118 M malattia tromboembolica venosa .................................................... 75 in gravidanza ............................................................................. 111 terapia della ................................................................................ 43 malattie infiammatorie croniche intestinali .................................. 141 melagatran ................................................................................... 178 mobilizzazione precoce ................................................................. 161 MTEV, profilassi della sul territorio ................................................ 68 N NAPc2 .......................................................................................... 171 nursing ........................................................................................ 157 O osteoporosi .................................................................................... 45 P patologia trombotica ...................................................................... 77 pentasaccaride ................................................................ 46, 56, 172 polimorfismi del fattore V ............................................................. 117 probabilità clinica pre-test di TVP .................................................. 23 profilassi antitrombotica in chirurgia ........................................... 100 della MTEV ................................................................................ 158 non farmacologica ..................................................................... 161 progestinici di seconda generazione ............................................. 130 di terza generazione ................................................................... 130 proteina C attivata .............................................................. 116, 184 R radiografia del torace ..................................................................... 27 razaxaban .................................................................................... 177 responsabilità professionale ......................................................... 193 risonanza magnetica nucleare ....................................................... 33 S scintigrafia dpolmonare ................................................................. 27 perfusionale .............................................................................. 127 208 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare ventilatoria .................................................................................. 31 ventilo-perfusionale .................................................................... 33 scompenso cardiaco ..................................................................... 139 score clinico di probabilità ............................................................. 77 screening di trombofilia, test consigliati ......................................... 86 per trombofilia ............................................................................. 85 sindrome nefrosica ...................................................................... 141 post-trombotica ............................................................ 53, 66, 161 solfato di portamina ....................................................................... 45 T tamoxifene ................................................................................... 102 terapia anticoagulante .......................................................... 51, 104 anticoagulante orale .................................................................... 65 estroprogestinica ....................................................................... 130 ormonale sostitutiva .................................................................. 130 TFPI ............................................................................................ 171 tomografia spirale del polmone ...................................................... 33 trattamento domiciliare, controindicazioni .................................... 52 criteri di esclusione ..................................................................... 83 trombina ........................................................................................ 46 trombo ........................................................................................... 18 trombocitopenia indotta da eparina ............................................... 45 tromboembolismo venoso ........................................ 22, 43, 137, 169 trombofilia ................................................................................... 115 acquisita ..................................................................................... 99 ereditaria ................................................................................... 112 ereditaria ed acquisita ................................................................. 66 tromboflebite superficiale ........................................................ 64, 93 trombolitici .................................................................................... 43 trombomodulina solubile ............................................................. 184 tromboprofilassi in oncologia medica ........................................... 103 trombosi distale isolata ............................................................ 17, 18 trombosi venosa profonda ................................... 17, 43, 75, 64, 160 diagnosi di ................................................................................... 17 diagnosi differenziale ................................................................... 76 score di probabilità clinica .......................................................... 77 sospetto diagnostico .................................................................... 75 troponina ....................................................................................... 33 U ulcere flebostatiche ...................................................................... 161 La malattia tromboembolica venosa Approccio multidisciplinare 209 V varicoflebite ................................................................................... 94 vena femorale comune ................................................................... 18 poplitea ....................................................................................... 18 vene sottopoplitee .......................................................................... 18 W warfarina ......................................................................... 65, 84, 122 X ximelagatran ......................................................................... 56, 178 Y YM466 ......................................................................................... 177