Anno XXXIII, n. 1 RIVISTA DI STUDI ITALIANI Giugno 2015 863

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Anno XXXIII, n. 1 RIVISTA DI STUDI ITALIANI Giugno 2015 863
Anno XXXIII, n. 1
RIVISTA DI STUDI ITALIANI
Giugno 2015
INEDITI
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
I
l “verde” Vermont, the green State dell’estremo nord statunitense, si
estende dal Massachusetts fino ai confini col Canada, segnati da
un’impervia catena montuosa, I Monti Hadirondack, ai cui piedi si stende,
come un coccodrillo addormentato, il lago Champlain, luogo della battaglia
del 1814 tra inglesi e americani per il possesso del Québec. Lungo le placide
rive del vasto specchio d’acqua che si tinsero di rosso per il sangue versato dai
due eserciti, sorgono oggi deliziosi cottage in stile rustico, ma dotati di ogni
possibile comfort, immersi nel verde delle betulle e circondati da prati
sgargianti che risplendono al sole come i green dei campi da golf. Al principio
dell’estate i facoltosi membri della upper class statunitense (ex uomini
d’affari e capitani d’industria sull’orlo o dell’infarto o della demenza senile),
dopo aver svernato al caldo della Florida, si trasferiscono a nord, sulle fresche
sponde del lago, per godere i benefici della verdeggiante natura cavalcando,
praticando qualche hobby sportivo o passando semplicemente il tempo in
braccio alle comode sedie di legno indiane, le vermontine, ad ammirare il
suggestivo panorama montuoso.
Queste sedie apparentemente spartane, costruite in legno massiccio e dipinte
di verde per confondersi con una vegetazione estiva particolarmente
rigogliosa, come se la natura volesse prendersi una rivincita sul gelido inverno
e la morsa di neve che da queste parti risultano particolarmente rigidi,
rappresentano invece una trappola per chi decide di riposarsi
abbandonandovisi per qualche attimo. Altro che attimo! Il design delle
vermontine è studiato per far assumere al corpo una postura che dìa la
sensazione dell’assenza di peso. Lo schienale è volutamente allungato così da
poter appoggiarvi la testa, il sedile leggermente obliquo per tenere le
ginocchia alzate quanto basta per favorire la circolazione del sangue. Inoltre
sono eccezionalmente robuste, progettate per sorreggere il peso di una persona
obesa, senza lamentarsi scricchiolando. Una pacchia per chi vi si siede:
dimentico dello scorrere del tempo, con lo sguardo rivolto verso i picchi
innevati ed il cielo cristallino, persa la cognizione del peso corporeo e della
propria terrestrità, chi cerca un momento di sosta e refrigerio rischia di
rimanere incastrato o prigioniero, vittima di un vago senso di smarrimento del
proprio essere e del tempo.
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ENRICO BERNARD
Ah, dimenticavo: sullo schienale delle vermontine è stampata una scritta
bianca che è tutta un programma: “keep Vermont weird” ossia “mantieni il
Vermont pazzo”. Non “pulito”, ma “pazzo”: come la maggior parte dei ricchi
ed estroversi ospiti che popolano questo splendido habitat sa appunto di
essere.
Mr. Chomsky, un ricco ed anziano uomo d’affari ritiratosi al culmine del
successo nell’idilliaco e perturbante ambiente, è uno di questi esemplari
umani che ha avuto tutto dalla vita… tutto, sì, tranne una cosa: la libertà di
viverla senza orari, senza impegni, senza lo stress del businnes, insomma in
maniera totalmente “weird” cioè folle o eccentrica, alternativa ‒ che dir si
voglia. Ha così deciso che di soldi ne ha fatti fin troppi, ma che invece di
libertà assoluta, svincolata da qualsiasi genere di condizionamento e di brighe,
ne ha invece goduta col contagocce. Trascorre dunque le sue giornate
cercando di non affaccendarsi in nulla che non sia il soddisfacimento dei suoi
bisogni primari: non si rade se non una volta alla settimana ‒ tanto non deve
incontrare nessuno. Indossa sempre una vistosa e ormai consunta vestaglia
rossa, perché va a fare la spesa solo il venerdì quando si infila in un paio di
vecchie braghe di fustagno marrone e una camicia di flanella a scacchi; di
giorno e di notte non fa, poi, che ascoltare musica classica al massimo del
volume, tanto la casa più vicina dista una dozzina di miglia.
La ricerca della pace dei sensi, della quiete totale lontano da tutto e da tutti, lo
ha portato alla rinuncia (parziale) dei piaceri sessuali. Ai quali, per altro,
dedica una giornata al mese tanto per non perdere quella vecchia, dolce
abitudine che diventa sempre meno impellente, sotto il profilo fisiologico, ma
che continua ad essere necessaria a livello psicofisico per un vegliardo che
non vuole ancora consegnarsi al letto di pietre, come si dice da queste parti:
cioè alla tomba. Egli si fa venire a prendere da una limousine con autista, di
solito l’ultimo sabato del mese, per farsi portare in un paio d’ore oltre
frontiera, a Montréal nel vicino Québec, dove le prostitute sanno che il
“nonnino” – così lo chiamano affettuosamente le signorine di vita del distretto
portuale francofono – non bada a spese. Le visite alla città portuale francofona
dell’attempato miliardario si sono comunque diradate da quando, durante uno
di questi “sabati del piacere”, come li definiva scherzosamente Mr. Chomsky,
dimentico non dolo del proprio status sociale ed economico ma avendo anche
perduto un po’ la bussola, finì per vagare tra le banchine del porto senza
ricordare più nulla. Fu soccorso da una pattuglia della polizia quando
inciampò maldestramente in una gomena sul molo e cadde battendo la testa.
Trasportato all’aspedale a sirene spiegate fu ricoverato per una lieve
commozione cerebrale. Occorsero tre giorni di riposo e di cure affinché
riprendesse conoscenza e ricordasse il suo nome. Così, interrogato sulle
medicine che aveva assunto nei giorni precedenti il malore, accennò al fatto
che aveva ingurgitato una pillolina blu, per tenersi “in gamba”, disse proprio
così, con le ragazze. I medici stabilirono che assumendo una forte dose di
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Viagra contemporaneamente ad un trattamento contro l’ipertensione, di cui
soffriva da anni, si era scatenata nelle sue vene una battaglia tra le sostanze
chimiche che aumentano la pressione sanguigna, per far affluire il sangue in
fretta dove richiesto, e quelle che, in antagonismo, la abbassano per scaricare
dall’ipertensione il sistema cardiovascolare: due principi attivi e contrastanti,
come i due poli di una carica elettrica il cui contatto produce una pericolosa
scintilla, che avevano minato la stabilità fisica e mentale del ricco nonnino.
Mr. Chomsky smise così di frequentare i bassifondi di Montréal e rinunciò ad
ogni attività sessuale, cancellandone dentro di sé non solo il pensiero, ma lo
stesso remoto ricordo. Tuttavia la rinuncia provocò un ulteriore decadimento
del suo equilibrio psicofisico: perso il contatto col mondo, quel contatto che
era rimasto acceso, aperto, tramite “l’antennina del diletto” (parole sue, ndr.)
che sempre più di rado gli prudeva tra le gambe, il vecchio andò smarrendo
anche il gusto della vita e il piacere della compagnia di altre persone, finendo
per rinchiudersi in una prigione dorata.
Attualmente l’unico essere umano che vede quotidianamente è il ragazzino
dai capelli rossicci e il berrettino, girato con la visiera sulla nuca, che arriva
sparato in bicicletta per consegnare di prima mattina i giornali porta‒a‒porta.
Ma l’imberbe – come lo ha ribattezzato Mr. Chomsky ‒ è tanto ingenuo da
ignorare che se si fermasse a scambiare due chiacchiere con lui, alias col
burbero “nonnino”, potrebbe buscarsi una generosa mancetta, forse
equivalente o addirittura superiore alla paghetta mensile.
Bah! I giovani d’oggi, commenta Mr. Chomsky tra sé e sé, non hanno il senso
degli affari e delle potenzialità economiche delle loro attività. Tirano dritto
per la loro vita fatta di buche e pozzanghere fangose dove affondano le ruote
della loro grama esistenza terrena. In fin dei conti la ricchezza, lui almeno ne
è convinto, è una sorta di dono divino: chi ne è predestinato dal Signore sarà il
primo sulla terra e il primo, in barba alla condanna evangelica, anche nel
Regno dei Cieli.
E su quel giornale che gli viene gettato quotidianamente sull’uscio trova
puntuale conferma del suo concetto (che poi si riallaccia ad un convinzione
religiosa che accomuna la tradizione ebraica col protestantesimo, la ricchezza
come segno della benevolenza di Dio e della predestinazione), seconda la
quale chi è fortunato è anche baciato dal Cielo. Non si dice forse che la
fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo? Una verità banale quanto
evidente, un luogo comune che trova conferma nel fatto che la sua ricchezza
continua ad aumentare, un giorno dopo l’altro, moltiplicandosi a dismura,
raggiungendo cifre da capogiro, come i numeri della distanza dalla terra ai
confini della galassia, ‒ e tutto senza che lui muova un dito o alzi la cornetta
del telefono per dare disposizioni o ordini di transazioni finanziarie.
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Falliscono le banche… e lui ci guadagna! La crisi colpisce gli stati
nazionali… e lui ci guadagna! Scoppiano le guerre… e lui ci guadagna!
Chiudono migliaia di attività commerciali e lui ci guadagna anche senza
prendersi l’impiccio di commissionare vendite e acquisti di edge fund, stock
option e di tutto quel ben di Dio che chiamano “finanza drogata”.
Morale della favola, nonostante la crisi del capitalismo, lui il Capitalista, ci
guadagna sempre. Non si sa come ‒ a lui stesso sfugge la legge matematica
del misterioso fenomeno ‒ ma è così: chi ha i soldi, ci guadagna sempre, da e
con tutto, anche se crolla il mondo. Anzi, più si avvicina la fine del mondo,
più il capitale aumenta – ed è meglio sorvolare sui problemi etici e morali, ma
anche filosofici e ideologici, che questa amara verità purtroppo solleva.
All’interno del suo lussuoso cottage che occupa un rigoglioso promontorio
sullo specchio d’acqua che riflette i picchi delle montagne dirimpetto, l’arzillo
vecchietto, ancora in vestaglia nonostante il sole sia già alto nel cielo, si dà da
fare in cucina per prepararsi la colazione americana a base di uova al bacon.
Ma non può fare a meno di commentare ad alta voce le proprie azioni, come
accade a chi deve fare i conti coi primi sintomi dell’incipiente Alzheimer.
‒ Pensare ad alta voce anche mentre cucino... altrimenti dimentico tutto. ‒
Cosa non devo dimenticare? Certo, non devo dimenticare di pensare ad alta
voce per non dimenticare... che cosa? Di non dimenticare cosa, porco
demonio?!
Il poveretto (si fa per dire, perché il suo patrimonio personale ammonta a
svariate centinaia di milioni di dollari) scrolla le spalle desolato.
‒ Bah, mi verrà in mente prima o poi...
Ma ecco che realizza all’improvviso:
‒ Le uova! Ecco che cosa non devo dimenticare... di comprare le uova, queste
sono le ultime... Maledetta vecchiaia che passa come un rullo compressore sui
neuroni del cervello!... Per questo non devo dimenticare di pensare ad alta
voce: i pensieri volano ad una certa età, se non vengono espressi verbalmente.
Infatti sono proprio i suoni percepiti ad imprimersi nella corteccia cerebrale
come una lama arroventata nel burro... La verità, vecchio mio, è che ti sei
rincoglionito... Fortuna che dalla cintola in giù c’è il rimedio, quella magica
pillola azzurrina capace di aprirti le porte del paradiso dei sensi... ma dalla
cintola in su il disastro è inevitabile... dimentico sempre tutto... A proposito,
che cosa ci sto a fare in cucina?
E si risponde da solo come colto da un lampo di genio:
‒ Imbecille, ed uno che ci sta a fare in cucina se non a prepararsi la colazione
con le ultime uova rimaste nel frigo perché ti sei dimenticato di comprarle?...
Non devo dimenticarmi perché mi trovo in cucina... mi trovo in cucina
evidentemente per cucinare... che cosa? Le uova... appunto... Però non me le
devo dimenticare sul fuoco... metto la sveglia... così quando suona mi ricordo
che non mi devo dimenticare... che cosa?...
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Finalmente, dopo un attimo di riflessione durante il quale fissa il vuoto
davanti a se con la bocca semiaperta come un merluzzo che sta per abboccare
all’amo:
‒ Che ora è, perdiana! Dimenticarsi l’ora sarebbe catastrofico... perché? Forse
perché ho qualcosa sul fuoco... ma certo, le uova... con la sveglia mi sento
sicuro... un salto sotto la doccia… driin, suona la sveglia... e mi vesto... No,
cretino, sono pronte le uova, ti vesti dopo aver spento le uova... sveglia‒uova
sul fuoco. Intesi? Sveglia‒Uova sul fuoco....
Il vecchietto barcolla sulle scale di legno massiccio per raggiungere il bagno
al primo piano del cottage continuando a bofonchiare il promemoria mentale
che, ahilui!, perde, strada facendo, ogni significato nella sua coscienza. Poco
dopo si ode il rumore della doccia e la voce di Mr. Chomsky che canticchia
sotto il getto d’acqua. Trascorsi i tre minuti programmati per la suoneria,
irrompe la sveglia col suo assordante trillo, senonché Mr. Chomsky continua
imperterrito a cantare sotto la doccia. Peggio per lui perché le uova sul fuoco
non lo stanno certo ad aspettare e cominciano, dopo una rapida fase di frittura,
ad imbrunirsi sempre di più fino a trasformarsi in carbone incommestibile. La
cucina è invasa dal fumo che lentamente si propaga ovunque.
Ad evitare la catastrofe è un vero e proprio angelo sceso dal cielo nelle
sembianze di una ragazza, giovane e bella, che bussa alla porta, peraltro
socchiusa, del cottage:
‒ Mr. Chomsky?… Hello, c’è qualcuno in casa?
Cheryll, graziosa fanciulla fin troppo elegantemente conciata per un posto di
campagna, bussa più forte con le nocche e la porta si apre da sola, proprio
mentre Mr. Chomsky in accappatoio accorre ai fornelli dai quali si leva una
colonna di fumo che sembra ormai indomabile. La scena paralizza Cheryll
sull’uscio, sembra una scultura di sale, immortalata col pugno in aria pronto a
bussare ancora, ed un idiota sorriso stampato in faccia.
‒ Dio santissimo, ‒ impreca Mr. Chomsky ‒ le uova, si stanno bruciando.
Quella fottuta sveglia non ha suonato... o sono io che non l’ho sentita?... me la
sono dimenticata in cucina, cribbio!, invece di portarla con me nel cesso...
Togliendo la padella fumante dai fornelli si accorge finalmente della presenza
di Cheryll sempre immobile nella posizione col pugno alzato, come una
riproduzione in carne ed ossa della statua della Libertà.
‒ E lei che ci fa impalata? ‒ l’apostrofa il vecchietto agitandole
pericolosamente sotto il naso la padella fumante ‒ Sembra una scimmia che si
è infilata una banana nel... lasciamo perdere.
‒ Mr. Chomsky? – balbetta la ragazza.
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‒ Abbassi il pugno chiuso, non sono Karl Marx, anzi... Se non glielo hanno
ancora detto, è caduto pure il Muro di Berlino... non ricordo, l’anno scorso o
dieci anni fa?
‒ Sorry, Mr. Chomsky... – si ricompone Cheryll abbassando il braccio.
‒ Lasci perdere le scuse... ormai la frittata è fatta...
‒ Dev’esserci un malinteso, Mr. Chomsky.
‒ Lo chiama un malinteso un principio d’incendio?
‒ Non volevo provocarla col saluto comunista, ecco tutto.
A questo punto l’arzillo nonnino si accorge delle fattezze dell’angelica
presenza che gli sta di fronte. In particolare il suo sguardo cade nella
scollatura, prima di scivolare sul ginocchio scoperto e finire l’ispezione sui
tacchi a spillo e le delicate caviglie da cerbiatta. La paradisiaca visione ha su
di lui un effetto immediato che gli fa cambiare registro dal tono burbero e
autoritario ad un mellifluo scioglilingua:
‒ Ci mancherebbe, signorina...? Come si chiama?
Cheryll gli tende ingenuamente la mano delicata e diafana come una scultura
di Benvenuto Cellini, senza sapere di metterla in bocca ad un diavolo:
‒ Cheryll... Cheryll Shannon della Daniel & Black Investment...
Mr. Chomsky è tuttavia impacciato dalla padella ancora fumante che non sa
se tenere con la destra o con la sinistra. Alla fine decide di non porgere alla
dolce visitatrice nessuna delle due scheletriche mani.
‒ Al diavolo i convenevoli... mi aiuti ad aprire le finestre se non vuole finire
affumicata! – fa risoluto.
Solo a questo punto la ragazza si dà una scossa:
‒ Oh sì, certo Mr. Chomsky…
‒ Arieggi, arieggi! – dice gettando la padella fumante da una finestra.
‒ Sto arieggiando... Ma cosa ci ha messo nella padella per fare tutto questo
fumo?
L’uomo si blocca come colto da un improvviso ritorno di fiamma di
Alzheimer:
‒ Non lo so, non me lo ricordo...
‒ Sembrerebbero uova al bacon… ‒ suggerisce Cheryll.
‒ Da che lo deduce?
‒ Dalla puzza.
Mr. Chomsky sembra compiaciuto dall’arguzia della sua interlocutrice.
‒ Lei dovrebbe fare l’analista dei mercati, sa? Ha un ottimo fiuto, brava.
‒ Veramente lo sono… ‒ tiene a precisare con una punta di comprensibile
orgoglio.
‒ Cosa? – lui sembra aver già dimenticato tutto.
‒ Analista di mercati.
‒ Davvero? – si stupisce Mr. Chomsky.
‒ Gliel’ho appena detto, sono della Daniel & Black Investment.
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‒ Me lo ha detto? … Scusi, sono un po’ smemorato, ma dalla cintola in giù
mi ricordo benissimo come funziona. – E ciò dicendo si apre l’accappatoio per
mettere in mostra la sua raccapricciante dotazione sessuale.
Cheryll vorrebbe scoppiare a ridere, ma decide rapidamente di mostrarsi
scandalizzata e un po’ in imbarazzo:
‒ Prego?
‒ Lo stomaco, porto i pantaloni all’antica col cavallo alto... – si complica
allora la vita lui cercando di ricomporsi. E cambia discorso riallacciandosi
l’accappatoio:
‒ Lei va a cavallo, signorina...come si chiama?
‒ Cheryll. No, non vado a cavallo.
‒ Gioca a golf?
‒ Neppure. Però gioco a tennis. Lei gioca a tennis, Mr. Chomsky?
‒ Che razza di domande, ‒ s’inalbera, ‒ certo che ci gioco a... – ma si blocca
in preda all’ennesimo vuoto di memoria. ‒ Cosa? A poker? Cosa stavo
dicendo?
‒ Lo stomaco... Stava parlando del suo stomaco… ‒
Come una macchina che si rimette in moto dopo un calo di tensione sbotta:
‒ Ah sì, ora ricordo. Grazie per la precisazione. Lo stomaco funziona quando
uno ci mette qualcosa dentro. Per questo stavo cucinando, perché avevo fame.
‒ Mi dispiace di averla disturbata ad ora di colazione, ma... – si rammarica
inutilmente Cheryll. Inutilmente perché il suo interlocutore sembra non sapere
che ora sia del giorno o della notte:
‒ Perché, che ora è?
‒ Ora di colazione.
‒ Me ne ero scordato.
‒ No, visto che stava cucinando.
Mr. Chomsky digrigna i denti al colmo dell’irritazione:
‒ Odio essere contraddetto signorina... come si chiama?
‒ Cheryll.
‒ Vuole beccarsi una querela, Cheryll? – la minaccia.
‒ Certo che no! – risponde lei intimorita dall’aggressività di quello che aveva
appena cominciato a considerare un pacifico ed innocuo vecchietto, forse un
po’ confuso, ma proprio per questo alquanto simpatico, almeno all’apparenza.
Ora invece l’uomo comincia a tirar fuori tutto il suo ostico, ruvido carattere.
‒ Allora chiuda immediatamente quella maledetta finestra, vuol farmi
prendere una broncopolmonite? Ma lo sa quanti gradi fanno lì fuori?
‒ 20 gradi, Mr. Chomsky. – sorride la ragazza non riuscendo a prenderlo
troppo sul serio.
‒ Sotto zero?
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‒ Ma siamo in primavera inoltrata!
‒ Inoltrata? Davvero?
‒ Sì, davvero! – conferma ingenuamente la ragazza.
‒ Comunque non si aprono le finestre a casa degli altri senza chiedere il
permesso.
‒ Me lo ha chiesto lei di aprire le finestre, Mr. Chomsky.
‒ Ah…! E perché lo avrei fatto?
‒ Per il fumo.
La parola “fumo” sembra far sovvenire un confuso ricordo nella mente di Mr.
Chomsky:
‒ Dove c’è fumo c’è arrosto. Stavo forse cucinando?
‒ Esatto.
‒ E stavo bruciando tutto?
‒ Purtroppo sì…‒ conferma Cheryll.
‒ Ora ricordo. Le uova, la sveglia, il fumo... disastro... è andata a fuoco la
casa? –sembra disperarsi il potente uomo d’affari dal cervello ridotto ad una
poltiglia, almeno all’apparenza.
‒ Niente di grave, Mr. Chomsky, dovrà solo buttare la padella.
‒ Buttare la padella? – si lamenta l’ex tycoon dell’alta finanza con la vocina di
un bambino che ha rotto il vaso contenente le ceneri del nonno appena
cremato ‒ E poi comprarne un’altra? Posso permettermelo?
‒ Ma lei è un plurimiliardario, Mr. Chomsky... – lo rincuora Cheryll. ‒ Senza
contare che la fabbrica di padelle, tra tante altre cose, è di sua proprietà.
La buona notizia, che la fabbrica di padella gli appartiene, produce in lui una
sorta di metamorfosi, di rinascita, come un’Araba Fenice che risorge dalle sue
stesse ceneri:
‒ Questo cambia le carte in tavola. Significa che posso bruciare quante padelle
voglio? Che ne dici, Cheryll? – le strizza l’occhio.
Però Cheryll comincia a dubitare della serietà della conversazione.
‒ Il mio nome se lo ricorda bene... Mi sta prendendo forse in giro?
Lui ammicca.
‒ Sì e no: un po’ ci sono e un po’ ci faccio. Scusami, Cheryll, ho abusato
della tua pazienza... non sono così scemo come sembro... Un po’ smemorato,
per via dell’età, questo sì, ma le cose importanti me le ricordo bene... come il
tuo nome ad esempio.
‒ Ah sì? E come mi chiamo? Sentiamo… ‒ e incrocia le braccia in attesa
della risposta come una maestrina al primo giorno di scuola.
‒ Il tuo nome, il tuo bellissimo nome è.... è.... Cheryll!
‒ Cheryll, e poi? – incalza lei.
‒ Pretendi un po’ troppo dalla mia memoria.
‒ Cheryll Shannon della Daniel & Black Investment.
‒ Lascia perdere l’arcangelo Daniele e quella specie di Re Magio di Samuel
Black che si intende di investimenti quanto un ubriaco alla guida di una
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Fuoriserie appena rubata... Se non ti ho ancora sbattuta fuori a schioppettate è
solo perchè sei Cheryll, il resto non conta una sega, perdona qualche burbera
espressione di un povero vecchio rincoglionito che talvolta non sa quel che
dice, ma che sempre, ripeto sempre, dice quel che pensa. ‒
‒ Chiarezza e sincerità sono le doti che prediligo in un uomo.
Sentendosi definire “uomo” e non “povero vecchio”, seppure ricco sfondato,
gli fa gonfiare il petto.
‒ Facciamo un patto, Cheryll? – la guarda dritto negli occhi, tanto che lei è
costretta ad abbassarli, non per timidezza, intendiamoci, come vuole illudersi
il vecchio, ma perché dalla sua bocca esce un fiato che sa di dentiera non
risciacquata. Cioè, merda.
‒ Sono qui per questo.
‒ D’ora in avanti anche tu dirai solo ciò che pensi veramente. E quando dico
veramente intendo proprio veramente.
E lei accetta la sfida della sincerità:
‒ D’accordo, Mr. Chomsky.
Mr. Chomsky fa accomodare la ragazza sul divano e si siede accanto a lei con
un saltino da un cuscino all’altro per sembrare agile come un giovanotto, se
non fosse per il ginocchio che gli scrocchia come uno stantuffo arrugginito.
‒ Chi è ha scritto che ciò che si dice non è che l’ombra di ciò che si pensa, ciò
che si pensa non è che l’ombra della nostra anima e l’anima non è che
l’ombra di un’ombra?
‒ Shakespeare? – si azzarda a rispondere Cheryll.
‒ Di certo non il Wall Street Journal! – la ridicolizza il multimiliardario che in
realtà non ha mai perso l’antico vizio di tendere trappole al prossimo per
affermare la propria superiorità intellettuale.
‒ Lei ne sa una più del diavolo… ‒ è costretta ad ammettere Cheryll.
‒ A saperle… le so, ma non me le ricordo tutte, questo è il problema. Mi
sfugge sempre qualcosa dalla porta di servizio della mente. A volte faccio lo
scemo per autocommiserazione... anzi mi faccio più scemo di quello che sono
per poi dimostrarmi meno rimbambito di quello che sembro... è un trucco per
recuperare credibilità agli occhi di chi pensa: beh, in fin dei conti questo
povero vecchio non è così scemo come sembra. Come si suol dire nel
linguaggio sportivo, mi salvo in corner...!
‒ Ma no, Mr. Chomsky, lei neanche prima mi sembrava così... un po’ sfasato,
forse, ma comunque sempre tutto d’un pezzo, una roccia, insomma!
L’eccessiva arrendevolezza della ragazza in minigonna, che si alza ben sopra
al ginocchio mostrando un paio di cosce da capogiro, fa sorgere qualche
dubbio nella mente dell’attempato imprenditore abituato a vederne e sentirne
di tutti i colori.
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‒ Ti ricordo il nostro patto, Cheryll. Vuoi già passare dalla parte
inadempiente? Devi dire sempre e solo ciò che pensi! Altrimenti mi arrabbio,
ecco.
‒ Va bene se le dico che lei è un vecchio marpione?
‒ È quello che pensi veramente di me?
‒ Veramente.
‒ Allora va bene... anzi, va benone: vecchio marpione non me lo aveva
ancora detto nessuno. Nessuno prima di te ha mai avuto il coraggio di
dirmelo: ho citato gente in giudizio per milioni di dollari per impertinenze
molto meno gravi.
Cheryll sembra preoccupata da quelle neanche tanto velate minacce.
‒ Spero che...
‒ Non temere, non posso citarti, in quanto la parte inadempiente in relazione
al contratto verbale tra noi intercorso, dire ciò che si pensa veramente, sarei
io. Perderei la causa e tu potresti controquerelarmi portandomi via le mutande.
Le mie mutandone di lana da nonnino freddoloso, tanto per intenderci!
‒ Allora vecchia volpe, oltre che vecchio marpione.
Ridono insieme di cuore.
‒ Benissimo, benissimo. Credo che stiamo instaurando i presupposti per
un’ottima collaborazione. Se il buon giorno si vede dal mattino... la buona
sera si vedrà dal tramonto. Dico bene?
‒ Altro che! E poi è un vero un piacere trattare con lei: si fa pure insultare
senza offendersi.
‒ Anzi, ti confesso che ad una certa età gli insulti di una bella ragazza come
te fanno pure piacere.
‒ Contento lei... – sospira.
Un breve silenzio indica chiaramente che lui sta tramando qualcosa. Si
avvicina ancora di più a Cheryll e le posa quasi come se fosse un gesto
casuale la mano giallastra, piena di macchie scure, sulla gamba nuda.
‒ Ora passiamo alla fase due... Sei d’accordo?
Cheryll accetta solo per qualche istante quel contatto che la fa rabbrividire,
poi scosta la mano impertinente del cascamorto.
‒ Non saprei, Mr. Chomsky. Non sono a conoscenza neppure di una fase uno.
L’attempato damerino non si da per vinto e non rinuncia alla sua opera di
seduzione, per la serie “la speranza è dura a morire”:
‒ Allora te lo spiego io. Fase uno: si aprono le finestre per fare uscire il fumo
e far entrare aria fresca. Fase due: si richiudono le finestre per non far entrare i
moscerini. Chiaro?
‒ Chiarissimo. Avrei dovuto capirlo al volo. Però non mi intendo di molto di
economia domestica.
‒ Macchè domestica, ragazzina! – s’inalbera il magnate che sente di aver
portato la preda sul suo terreno di caccia. ‒ Che ti hanno insegnato alla Daniel
& Black specializzata in investimenti di pedoni e merchandising di burattini!?
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Tutta l’economia di mercato funziona così. Se il mercato si surriscalda
producendo effetti inflattivi, cioè facendo più fumo che arrosto tanto per
restare in argomento, si prendono provvedimenti, nel nostro caso si
spalancano le finestre. Ma una volta che il fumo è uscito, salvato il salvabile
dell’arrosto, si richiudono le finestre, ci si rimbocca le maniche e si cucina un
pranzo sperando che non si bruci di nuovo. Mi sono spiegato?
‒ Si è spiegato benissimo! – si arrende la ragazza.
Quella resa incondizionata al primo attacco sferrato con decisione quasi
commuove il vecchio riccone che sente rinascere dentro l’antico spirito
battagliero, quello spirito che l’ha sempre condotto in porto dopo tante
tempeste in alto mare. Così decide di mostrarsi mangnanimo e più
comprensivo offrendo una tregua, peraltro dovuta da un gentiluomo ad una
rappresentante del sesso debole.
‒ Facciamo pace, Cheryll?
‒ Ma non abbiamo litigato.
‒ Solo perché tu non vuoi e non puoi litigare con me. Se fossi stato tuo padre
o tuo nonno (ahimé) mi avresti già mandato a fare in culo… da un pezzo.
‒ Però, nell’ambito del nostro patto, potrei mandarcela.. in quel posto!, senza
che lei si offenda.
Lui strabuzza gli occhi, sembra fingere sorpresa. O è veramente sorpreso?
‒ Patto? Ohibò! Quale patto?
‒ Quello di dire sempre e solo quello che si pensa veramente... Non mi dica
che se lo è dimenticato!?
‒ Verba volant, carta canta, come si dice in latino. Il che significa, non per far
sfoggio di erudizione...
‒ Conosco il latino ‒ lo interrompe Cheryll, ‒ ad Harvard mi hanno fatto una
testa così col diritto romano.
‒ La tua parola contro la mia, Cheryll… Come la mettiamo?
La ragazza percepisce di essere messa alla prova, alla quale decide di sottrarsi:
guai se rispondesse in termini legali, poiché Mr. Chomsky riuscirebbe a
rivoltarle la frittata in mano in un batter d’occhio!
‒ Mi sta facendo l’esame del primo anno?
Lui sospira, è evidente la sua delusione: la preda si è accorta del cacciatore in
agguato nel buio.
‒ Queste cose le studiate già al primo anno? Ai miei tempi c’era solo la
primordiale legge della Jungla. Bisognava avere la pelle dura per
sopravvivere, oggi è tutto molto più facile...
‒ Perché?
‒ Ora avete i computer, i telefonini ed internet, mentre prima era tutto affidato
all’intuito e all’improvvisazione, insomma alle capacità del singolo, al suo
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ENRICO BERNARD
istinto di sopravvivenza... oggi invece o si va a fondo tutti o si galleggia tutti
insieme... perché siete tutti collegati, connessi, in rete uno con l’altro... in
un’orgia bestiale di finanza virtuale. ‒ E dopo una pausa, come a sottolineare
il doppio senso della battuta, aggiunge quasi buttandola lì: ‒ A proposito di
orge...
‒ Mr. Chomsky! – lo redarguisce.
‒ Non farmi la reprimenda prima ancora di conoscere le mie reali intenzioni.
Parlando di orge, cioè di piaceri della carne, mi sono ricordato che non ho
ancora fatto colazione... E tu?
‒ No, anch’io non ho ancora fatto orge, ‒ s’impapera simpaticamente la
fanciulla per poi correggersi subito ‒ cioè colazione.
‒ Allora potremmo fare un’orgiastica colazione insieme – propone Mr.
Chomsky. ‒ Sarai senz’altro affamata...
‒ In effetti… non posso negare che un certo languorino… Sono partita
stamattina presto da Manhattan per non trovare traffico... ed invece l’ho
trovato. Ormai è sempre rush hour a New York... La Fifth Avenue bloccata
per una manifestazione di immigrati che reclamano il diritto alla Carta Verde,
la Sesta intasata perché stanno girando un film con Nicole Kidmann. Al
Tribeca c’è il filmfestival intenazionale dove presentano un film scritto e
diretto da un nuovo autore italiano che si è portato dietro duecento persone a
spasso nella Grande Mela...
‒ Spiacente – la interrompe Mr. Chomsky annoiato ‒ ma la mia cultura
cinematografica si ferma alla Loren. Mastroianni e Sofia Loren, non vado
oltre a proposito di cinema italiano.
‒ A me piace anche il genere degli Spaghetti-western.
‒ Solo perché hai fame.
‒ Oh sì, una fame da lupo.
‒ E allora balla coi lupi, o meglio con questo vecchio lupo solitario! – e
scherzando scherzando le si butta nuovamente addosso.
‒ Il fascino del lupo grigio non le manca! – si divincola gentilmente Cheryll.
‒ Hai detto bene, ‒ batte momentaneamente in ritirata ‒ il fascino di una
natura pulita e incontaminata! Del resto, io vivo nella massima libertà, non ho
orari: mangio, bevo e dormo quando voglio. Mangio insomma quando ho
fame...
‒ Beato lei ché può permetterselo! – sospira Cheryll.
‒ È una scelta di vita, non solo una questione economica… Basta rinunciare a
qualcosa, a qualche comodità, al lusso, adattarsi ad un’esistenza spartana...
‒ Lasci perdere Sparta, a me basta l’inferno in cui vivo: New York City!
Conosce la canzone "life in New York is not easy"…? ‒
‒ Lo so! ‒ Voi della Grande Mela state sempre al chiodo e se saltate un pasto,
il classico quarto d’ora del lunch, non potete rifarvi a merenda, dovete correre
come forsennati fino a quando non si stacca la spina. E dalle parti di Times
Square ormai nessuno stacca più la spina, gli uffici sono accesi anche di notte,
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
non c’è più tempo per un pasto regolare... i pochi attimi di libertà residui
dovete impegnarli per un sonnellino, sennò scoppiate...
Cheryll s’incupisce come se nei suoi occhi si presentassero le tristi scene di
miseria e disperazione degli homeless, dei senza tetto e dei vagabondi costretti
a dormire sulle panchine e sotto i cartoni, esposti al gelo e ai pericoli delle
notti a Central Park.
‒ In effetti è così, lei dipinge un quadro crudele ma realistico. Ogni tanto ci
perdiamo per strada un collega, un incidente stradale per un colpo di sonno,
un infarto da stress, qualche suicidio e molti casi di burn out...
‒ Una nuova malattia?
‒ Un male oscuro, più che una malattia nel classico senso del termine. Uno
casca per terra e non riesce più ad alzarsi. Apre gli occhi, parla, percepisce ma
non riesce più a muoversi... una specie di black out cerebrale causato da tanti
fattori... lo stress, la paura di perdere il posto di lavoro, l’ansia per la famiglia,
l’angoscia esistenziale... Quando uno è burn out è finito, come dice la parola:
bruciato, cioè irrecuperabile. Fottuto!
Il racconto di Cheryll sembra intristire il tycoon, sul cuore tenero del quale
tuttavia è meglio soprassedere. Infatti la sua replica è secca e non lascia adito
a dubbi:
‒ Per questo il mio motto è: meglio fottere che farsi fottere.
Lei non si aspetta altro:
‒ Facile a dirsi.
‒ Per fottere basta avere a disposizione la materia prima, tesoro. Un bel corpo
giovane (come il tuo) da usare, è un metafora s’intende, come materasso.
Cheryll non raccoglie la battuta esplicita.
‒ Stavamo parlando di cose serie, Mr. Chomsky.
‒ Appunto… Dicevo, a proposito di burn out, che anch’io divampo... anzi
avvampo… sono tutto un principio d’incendio… Spegnetemi!
‒ È il cuore a farle sentire queste vampate di calore.
‒ Un po’ il cuore e un po’ il coso, come si chiama… cazzo!, ché sono
connessi per via simpatica.
‒ Il nervo simpatico sta da un’altra parte! – precisa lei.
‒ Sì ma anche questo non è antipatico, al contrario.
‒ Lei ci scherza su, ma per la gente che finisce in questo stato è notte buia,
nera… Se ti salvi dall’infarto, piano piano puoi riprendere il lavoro. Ma chi è
colpito da burn out finisce in Florida a curarsi al sole, se ha fatto in tempo a
fare i soldi, oppure a riempire qualche scatola di cartone nei sottopassaggi
della Penn Station. Allora, spacciato per spacciato, fai prima a spararti... fanno
bene quelli che la fanno finita prima che arrivi il flash accecante...
‒ Su questo ho i miei dubbi... – ciò dicendo si alza e le si para davanti.
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ENRICO BERNARD
‒ Ti racconto una storia. Una volta, tanti anni fa quando ero ancora sulla
breccia, ho sentito improvvisamente il bisogno di staccare la spina. Mi sono
preso insomma una cosiddetta pausa di riflessione. Sono salito su un treno e
sono arrivato sulla spiaggia del New Jersey.
‒ Un bel posticino – commenta Cheryll.
‒ Sulla spiaggia – prosegue Chomky ‒ ho notato un barbone steso al sole con
la bottiglia di whisky a portata di mano. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto:
“perché non lavori?”. E lui con la bocca impastata di alcol, ma con una mente
straordinariamente lucida, mi risponde con un’altra domanda (il che è una
tecnica tipica, bada bene, di chi sa manipolare la conversazione): “E perché
dovrei lavorare?” Io allora gli ho posto un’altra domanda: “Perché, non ti
piacerebbe fare i soldi?” E lui: “E che dovrei farci coi soldi?” “Non vorresti
andare in pensione ad un certo punto?” “In pensione a far che?” mi fa lui.
Allora ho commesso l’errore di passare dal tono interrogativo a quello
affermativo: “Per goderti la vita, santo cielo!” E quello non si è lasciato
sfuggire l’occasione di impartirmi una bella lezione: “Ma io me la sto già
godendo senza bisogno di lavorare”. Quella è stata l’unica conversazione in
cui ho dovuto dar ragione al mio interlocutore. E come dargli torto?
Cheryll fa del sarcasmo:
‒ Allora finché c’è vita, c’è speranza.
‒ Non è questione di speranza, ma di qualità della vita. Fu allora che decisi di
ritirarmi qui nelle campagne del verde Vermont.
‒ A contare le pecore e a bruciare le uova?
‒ E a saltare con le galline da buon arzillo galletto, se permetti.
‒ Tutto qui?
Lo sguardo critico della ragazza fa tornare il vecchietto coi piedi per terra.
Nella foga del racconto gli è uscito un filino di bava da un angolo della bocca
che si ferma in una ruga scavata come un canyon dell’Arizona sopra il mento.
‒ E a perdere la memoria, è vero. Ma forse era proprio quello che volevo fare,
perdere la memoria, il ricordo di ciò che sono stato.
‒ Il suo patrimonio personale però non lo ha perso stando in campagna, anzi
lo ha decuplicato nel giro di pochi anni... – lo stuzzica Cheryll pungendolo sul
lato debole: i soldi.
‒ In effetti l’unica cosa che non ho perso è il fiuto, il sesto senso per gli
affari...
‒ E che fiuto! Secondo la classifica Newsweek è il decimo uomo più ricco
d’America.
‒ Nonché il primo tra i più affamati del mondo. Quindi se permetti, torno ad
esibirmi in cucina... ti vanno bene le uova al bacon?
‒ Veramente uova e bacon rappresentano un connubio micidiale per la salute.
Proteine e colesterolo cattivo...
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Più cattivo di me? Non posso crederci. E poi non sarà uno strappo alla
regola a mandare in tilt il tuo rapporto con la bilancia, quanto a me non sarà il
colesterolo a mandarmi all’altro mondo.
Cheryll non può fare a meno di cedere alle insistenze del corteggiatore.
‒ Vado allora per lo strappo.
Mr. Chomsky trionfante saltella come un grillo in una sera d’estate.
‒ Facciamo uno strappo con le uova strapazzate! Uova che, a parte lo
strapazzo o strapazzata, rappresentano in tutte le culture del mondo il simbolo
della fertilità, della procreazione e della relativa… copula.
‒ Meglio che faccia finta di non capire l’allusione politicamente scorretta, Mr.
Chomsky.
‒ Giusto, pensiamo a goderci la vita senza inutili grattacapi. Quindi…‒ e resta
in sospeso a bocca aperta come un merluzzo, lui che era definito lo squalo
dell’alta finanza, avendo nuovamente smarrito il filo del discorso proprio
come un vecchio rincoglionito.
‒ Quindi? – lo incalza Cheryll.
‒ Cosa? Ah sì! – torna lentamente in sé il vecchio. ‒ Devo ordinare la
consumazione, alimentare s’intende. Uova al bacon per due, Battista! ‒ urla
rivolgendosi alla cucina dove peraltro non c’è anima viva. ‒ Battista? Dov’è
il maggiordomo?... Dimenticavo, oggi è il suo giorno libero. Per questo ho
tentato di prepararmi la colazione da solo... beh, del resto se vuoi che una cosa
sia fatta bene, fattela da solo.
‒ Non direi, visti e considerati i precedenti tentativi… ‒ dubita lei.
‒ Qui sta il punto, cara Cheryll. I precedenti servono, sono necessari per
accumulare l’esperienza che permette di avere a disposizione il knowhow
indispensabile all’impresa... sia nella fase gestazionale che in quella
gestionale. Quale impresa?, mi starai per chiedere.
‒ Non glielo avrei chiesto, ma credo che lei mi risponderà comunque.
‒ Non ti offendere, ‒ fa lui bonario aggrottando un sopracciglio folto di peli
bianchi e neri arricciati come un cespuglio dopo una tormenta. ‒ Voi giovani
credete di sapere tutto per filo e per segno. In effetti, beati voi, avete
conoscenza di tante cose. Ad esempio sapete manovrare quei mostriciattoli lì,
i cosi come si chiamano...?
‒ PC.
Il suono di quelle due consonanti spaventano il povero miliardario.
‒ Partito Comunista?
Cheryll scoppia a ridere.
‒ Ma no! Dove vive, Mr. Chomsky? Volevo dire: Personal Computer…
Lui si tranquillizza.
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ENRICO BERNARD
‒ Meraviglioso: riesci a pronunciare queste due consonanti, PC, come se io
dicessi go fuck... solo che la mia è un’espressione volgare mentre la tua è alta
tecnologia. Comunque, io di fronte alla logica contorta di quelle bestiacce
senz’anima e tutta transistor non mi arrendo ma soccombo, semplicemente
soccombo come il generale Custer a Little Big Horn. Con ciò voglio dire che
voi giovani siete bravi a fare tante cose difficili per me, ma... – e lascia in
sospeso la frase.
‒ Scommetto che questo “ma” – si avventura in una spiegazione la ragazza ‒
carico di sottintesi è molto di più di una semplice constatazione, è la messa in
discussione di tutta una Weltanschauung con relativo strascico di conflitti
generazionali. ‒
‒ Beh, lasciati almeno dire che voi giovinastri non siete più capaci di vedere le
piccole cose della vita. Le inezie, i dettagli. Sai chi è l’industriale che ha fatto
più soldi nella storia? Quello che ha inventato lo stuzzicadenti, ecco la verità.
Qui casca l’asino… cioè qui inciampate voi giovani complicati dei Tempi
Moderni.
‒ Sentiamo! – lo sfida Cheryll. E lui naturalmente accetta la sfida, così parte
in quarta:
‒ Dominate alla grande, e chi lo nega?, il quadro generale, ma vi perdete in un
bicchier d’acqua quando si tratta di analizzare questioni che sembrano di
minor importanza, ma che invece sono il fondamento di ogni business.
Businnes che è tanto più redditizio quanto più risulta semplice, dettato da
piccole osservazioni ed esigenze: “elementare Watson!” diceva Sherlock
Holmes al suo assistente che, nell’analizzare un fenomeno, si perdeva sempre
in un panegirico tanto astratto quanto privo di fondamenta...
‒ Al contrario del grande investigatore che mirava sempre al sodo.
‒ Al sodo, appunto. E qui tornano in ballo le uova. Quando avrai imparato a
cucinarle, avrai anche capito come fare a venderle guadagnandoci sopra di
più...
‒ Dimenticavo la sua catena di ristorazione: lei brucia le uova sui fornelli per
imparare a venderle meglio.
Cheryll vorrebbe fare dell’ironia, sdrammatizzare quei discorsi che le suonano
alquanto campati in aria, ma pare che il vegliardo prenda tutto tremendamente
sul serio, ne fa addirittura una questione personale.
‒ Io brucio le uova – continua con aria accigliata ‒ perché non ho ancora
imparato a farle meglio. Ma quando avrò imparato, potrò dire ai miei cuochi
che cucinano da cani facendomi perdere clientela.
‒ Quindi ha tutta l’intenzione di ritentare l’impresa delle uova? – Cheryll non
smette di prenderlo velatamente in giro.
‒ Non sono certo il tipo che si arrende alle prime difficoltà.
‒ Purché abbia una padella di riserva: questa ormai è cancerogena.
‒ Mi sottovaluti Cheryll, sono o non sono il maggior azionista della fabbrica
di padelle?
878
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
Ciò dicendo spalanca un armadio e mostra trionfante un set completo di
padelle. Cheryll a sua volta spalanca il frigo illuminato all’interno come un
albero di Natale sulla Quinta strada, ma desolatamente vuoto, come la
dispensa di un povero eschimese sfrattato dal suo igloo per far posto alle
baracche delle compagnie petrolifere, ovviamente di proprietà di Mr.
Chomsky!
‒ Il diavolo fa le padelle, ma non i coperchi.
‒ Che diavolo vuoi dire, Cheryll?
‒ Che il frigo è vuoto... si è dimenticato di comprare le uova.
‒ Come ti ho confessato, con l’età avanzata sono diventato un po’ scordarello.
Del resto, nel business bisogna fare tesoro anche delle esperienze negative,
cioè delle uova bruciate.
‒ Come? ‒ si stupisce Cheryll.
‒ Quanto sei ingenua: riciclandole!
‒ Uova bruciate riciclate? Ah no, io non le mangio.
‒ Non per essere mangiate, per essere recuperate nel ciclo produttivo.
‒ Recuperarle… come, se fanno schifo?
‒ Mi deludi…‒ borbotta sconsolatamente il miliardario. ‒ Cosa contiene
secondo te il fumo di uova bruciate?
‒ Aria fritta, forse? – la ragazza arrischia una risposta.
‒ Niente “forse”… ‒ e prosegue sparato: ‒ Certo che il fumo contiene aria
fritta. Ma di cosa è fatta l’aria fritta? Di particelle, molecole che formano
l’odore, o meglio il profumo che si spande per le strade scatenando la reazione
ormonale della fame ogni volta che il messaggio viene trasmesso dalle papille
olfattive ai neuroni predisposti dei potenziali clienti.
Lei è perplessa:
‒ Sarà... non lo nego, ma a me la puzza delle uova bruciate fa vomitare.
‒ Anche a me farebbe vomitare, ‒ annuisce Mr. Chomsky. ‒ Se non fosse,
abracadabra, per il condizionamento pubblicitario. Noi tutti consumatori
sappiamo che le uova al bacon fanno male perché contengono il colesterolo
cattivo, sentiamo la puzza nauseabonda quando si bruciano...
‒ Non mi sembra una gran bella pubblicità.
‒ Ne convengo, ma… Non ti sei mai chiesta se non sia proprio questo “far
male” e “far vomitare” il segreto del loro successo?... Puzza e colestorolo
cattivo trasformano un ignobile piatto bruciato in una sorta di “frutto proibito”
che ha una macabra attrazione sulla mente umana che corre sempre sul filo
dell’autodistruzione rispettando quello che Freud definì il principio di
conservazione.
‒ Cioè la tendenza di ogni organismo a ristabilire lo stato di quiete che
precede la nascita, ovvero il nulla, la morte...
879
ENRICO BERNARD
‒ Brava! Si sente il tipico stile di Harward nella conversazione impegnata. ‒
‒ Quindi, secondo lei, la promozione di un prodotto deve sempre essere una
forma di pubblicità al suicidio?
‒ I giornali vendono buone notizie? Se volessi aprire una fabbrica di cattive
notizie farei soldi a palate... Purtroppo però...
‒ Purtroppo?
‒ I soldi a palate, a secchiate, a vagonate li ho già fatti e non c’è più gusto a
farne ancora. Magari sarebbe divertente perderli un po’ di soldi, anche tutti,
per poi ricominciare da zero e rifarsi colpo su colpo. A tutto c’è rimedio,
tranne che alla morte. Anche all’American Breakfast, quando mancano le
uova nella dispensa, c’è rimedio... sappilo!
‒ Vuol strapazzare le uova al bacon senza uova? E che frittata è?
‒ Sacrilegio! – s’inalbera Mr. Chomsky. ‒ Niente e nessuno riuscirà a farmi
spezzare il sacro connubio di bacon e uova. Il rimedio è semplicemente quello
di andare a fare la spesa... mi accompagneresti al Superstore con la tua
macchina?
Cheryll è perplessa. La richiesta del suo interlocutore le sembra un
contrattempo e cerca di sottrarsi.
‒ Veramente sono venuta per parlare di affari.
Ma lui parte deciso come un siluro:
‒ Ne parleremo dopo, se non ti dispiace. Del resto, devi strapparmi l’Ok per
un investimento di dieci milioni di dollari... una bazzecola per me, ma non per
te. Ti costerà una cena con un vecchio miliardario da spennare.
‒ Da spennare? Che dice?
‒ Da spennare, da spennare. Non essere ipocrita, so quello che passa nel tuo
cervellino. Ma non fa niente. Forse mi lascerò spennare. Come un pollo. Ma
non prima di averti spiegato come vanno le cose del mondo, anche per non
passare del tutto da deficiente ai tuoi begli occhi... il che significa che mi devi
concedere un po’ del tuo tempo prezioso di newyorkese che va sempre di
fretta e furia con la perenne ansia di far tardi.
‒ D’accordo, ‒ accetta a malincuore la proposta ‒ staccherò per un po’ la
spina, per farle piacere.
Mr. Chomsky gongola come se avesse vinto al lotto con un biglietto trovato
per terra:
‒ Quant’è bello andar a far la spesa con la donzelletta...‒ e fregadosi le
mani dalla prospettiva aperta dal riuscito adescamento aggiunge: ‒ Che gli
faccio io alle donne!
‒ Forse... Gli fa vedere il conto in banca, Mr. Chomsky? – replica acida
Cheryll.
‒ Effettivamente il conto in banca è un ottimo argomento sessuale, nonché
sentimentale. Ne convince più il vile metallo della freccia di Cupido.
‒ Dipende… ‒ avanza qualche dubbio.
880
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Mica tanto... – insiste il vegliardo. ‒ E ti parlo, come sempre, per esperienza
diretta. – Si blocca per l’ennesima volta come per rifare il punto della
situazione e riparte: ‒ Ma ora mi vesto ed usciamo. Vieni a prendermi sul
retro...
‒ L’avverto – dice Cheryll un po’ mortificata ‒ la mia macchina non è una
Cadillac e dentro c’è un vero e proprio casino.
‒ Casino? – s’illumina Mr. Chomsky.
‒ Sì, insomma, un bordello.
‒ Musica per le mie orecchie! – si compiace lui.
‒ Non come lo intende lei che è un birbantello, ma nel senso figurato del
termine.
‒ Figurati, io non mi scandalizzo davanti a niente… faccio in un attimo.
Mr. Chomsky apre la porta del vestibolo e si infila faticosamente camicia e
calzoni. La fretta gli fa dimenticare di chiudersi la cerniera lampo della patta e
quando esce dallo stanzino provoca un divertito grido di orrore da parte della
ragazza.
‒ Lei è davvero irrecuperabile, Mr. Chomsky.
‒ Irrecuperabile, ma non irreprensibile… ‒ risponde chiudendosi la cerniera.
‒ Forse se ne approfitta un po’ troppo di questa sua irreprensibilità da
impunito. ‒
‒ Lo so, Cheryll. Sono ricco e potente. E me ne approfitto. Noblesse oblige...
non è latino...
‒ Conosco il francese: ho lavorato per tre anni alla borsa di Parigi.
‒ E che si dice a Parigi? Si fa ancora la rivoluzione?
‒ In periferia bruciano le automobili e fanno le barricate.
‒ E in centro? Che succede di bello?
‒ Niente di particolare. Si beve champagne e si mangiano ostriche. Come
sempre...
‒ E mi dici niente, sciocchina? Coraggio, andiamo a fare la spesa.
Il vecchio miliardario e la ragazza coi tacchi a spillo e un taillerino stile
working-woman di Manhattan si avviano nel piazzale antistante il cottage,
montano in auto e partono spediti direzione downtown alla ricerca di un super
o megastore dove fare la spesa per la loro cenetta a lume di candela.
All’interno del cottage le luci sono rimaste accese secondo la deprecabile
usanza americana di non spegnerle neppure quando non c’è nessuno in giro
per le stanze.
Lo squillo del telefono rompe il silenzio in cui, dopo tante chiacchiere, è
caduto l’interno lussuoso, fatto di tronchi d’albero e massi stondati secondo lo
stile country che impera da queste parti.
881
ENRICO BERNARD
Dopo alcuni ripetuti trilli scatta la segreteria telefonica in cui è registrata la
voce di Mr. Chomsky:
‒ Non ci sono o, se ci sono, non voglio rispondere. Perché no? Perché state
rompendo i coglioni. Non ho bisogno di nulla e di nessuno, tantomeno di
suggerimenti pubblicitari o proposte di investimenti finanziari. Tanto prima o
poi il mondo sparerà una scorreggia esalando l’ultimo respiro. Perciò fatevi i
cavoli vostri come io mi faccio gli affari miei. Capito? Andate a farvi fottere!
Comunque, se proprio non potete farne a meno, lasciate un messaggio… ma
non sperate di essere richiamati… né oggi né mai.
Una voce sconosciuta lascia il messaggio:
‒ Buongiorno Mr. Chomsky. Sono Samuel Black della Daniel & Black
Investment. Chiamo per avvertirla che c’è uno spiacevole contrattempo. La
signorina Cheryll Shannon che aveva un appuntamento con lei presso il suo
cottage, ha avuto una panne in autostrada e non potrà raggiungerla prima di
domani. Cercherà di contattarla per fissare un altro appuntamento. Ci scusi
ancora del disguido...
‒ Time out, andate a fare in culo! – è ancora la voce di Mr. Chomsky a
concludere la conversazione virtuale.
Intanto il vecchio un po’ claudicante e la bella ragazza che potrebbe essere la
sua nipotina si aggirano tra gli scaffali del superstore. Mr. Chomsky arraffa e
butta nel carrello alcune confezioni su cui è stampata a chiare lettere la parola
discount o special. Poi, una volta alla cassa, tira fuori il portafoglio e conta
tutti i nichelini che contiene fino a raggiungere la somma dello scontrino.
L’operazione prolunga i tempi di attesa degli altri clienti coi carrelli pieni
suscitando qualche mormorio di disapprovazione. Usciti dalla porta
scorrevole, Mr. Chomsky inaspettatamente si toglie il consunto cappello di
paglia per asciugarsi il sudore sulla fronte. E non fa in tempo a rimetterselo in
testa che una anziana signora dall’aria triste, dopo aver dato un’occhiata
all’aspetto dell’uomo che sembra un paesano senza lavoro con gli abiti
consunti e il barbone incolto, getta nel cappello un paio di dollari di
elemosina. Cheryll, alla scena piuttosto ridicola del multimiliardario che
riceve l’elemosina da una pensionata, scoppia a ridere, ma Mr. Chomsky,
invece di chiarire la situazione e il malinteso con la donna appena turlupinata,
le fa segno di tacere e mormora un “God bless you”, che Dio ti benedica, alla
generosa munificatrice. Perché toglierle il piacere di essersi resa utile ad un
povero bisognoso anche se lui non è né povero né bisognoso? Dirà poi alla
ragazza una volta risaliti in macchina per far ritorno al cottage carichi di spesa
a basso costo, in parte coperta dall’elemosina ricevuta.
Piove sempre sul bagnato! pensa Cheryll rodendosi il fegato per la rabbia.
‒ Ti assicuro – le fa Mr. Chomsky rientrando in cucina per riporre gli alimenti
in dispensa ‒ che il salmone fresco è ottimo in questa stagione. Un po’ caro,
caspita! 30 dollari al chilo, quasi quanto l’oro. Ma non voglio badare a spese
con te, anche perché l’allevamento dei salmoni è… indovina un po’… esatto,
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
di mia proprietà. Così oltre il 60% dei 30 dollari che ho speso tornano nelle
mie tasche. Mangio quasi a spese mie, capisci? E mi arricchisco da solo! Ecco
i miracoli del capitalismo… ‒ e perde il filo del discorso. ‒ Dicevamo?
‒ Il prezzo del salmone… ‒ sbuffa Cheryll.
‒ Ah sì, è andato alle stelle, è un anno di magra per la pesca… sai, i tagli dei
boschi, l’inquinamento… ‒ e ride, ride.
‒ Ma è terribile, Mr. Chomsky! Che c’è da ridere? – si ribella la ragazza.
‒ È un anno di magra per la pesca, ma non per me – precisa Mr. Chomsky.
‒ Certo, la fabbrica dei salmoni è sua! ‒ cerca di fare dell’ironia.
‒ Esatto. I poveri pescatori li pescano e io li confeziono e li vendo. Loro
muoiono di fame ed io mi faccio il risottino!
‒ Oh sì, fantastico!
‒ Appunto… lo dico anch’io. Senza contare che, come ti dicevo, dal salmone
che mi vendo, quando mi tocca andarlo a comprare, ci guadagno sopra e poi
risparmio il costo delle uova e del bacon, capisci? Quindi…‒
‒ Quindi? – Cheryll sta al gioco.
‒ Quindi… possiamo benissimo saltare le uova strapazzate e optare per un bel
risottino, tanto i costi mi rientrano... Ti va?
L’idea non va però molto a genio a Cheryll.
‒ Per il risottino ci vuole tempo, Mr. Chomsky.
‒ Non fare complimenti. E poi si tratta di una cena di lavoro. Mi dovrai
spiegare tutti i risvolti dell’investimento che mi proponete voi della Black &
Daniel...
‒ Daniel & Black, per l’esattezza…‒ lo corregge.
‒ Scusa. Mi sono confuso con la Black & Decker, l’azienda produttrice di
utensili per l’hobbystica di cui detengo il 25% del capitale azionario. Invece
qui stiamo parlando dell’arcangelo Daniele e di Samuel Black professionisti
nell’investire il prossimo, famosi per dare certe tranvate al prossimo...
‒ Le stiamo proponendo un ottimo affare, Mr. Chomsky. ‒
‒ Forse sì, forse no. Devi convincermi. Anzi, persuadermi. Sta a te fare la
mossa.
Cheryll sembra cadere dalle nuvole.
‒ Che mossa?
‒ La prima mossa… ‒ si spiega esplicitamente il vecchio plurimiliardario. ‒
Per esempio accettare il mio invito a cena. Approfittare poi del tono
confidenziale e della calda atmosfera di un dinner a lume di candela per
confondermi le idee.
‒ Ma io non voglio confonderle le idee! – si ribella.
‒ Io però desidero che tu me le confonda... – insiste Mr. Chomsky. ‒ Come la
mettiamo? Dieci milioni di dollari... il gioco vale la candela, non trovi?
883
ENRICO BERNARD
‒ Fino alla cena a lume di candela ci arrivo da sola, la metafora del gioco però
mi sfugge.
‒ I vecchi tornano bambini... e ai bambini piace giocare. Non ti va di giocare
con un povero miliardario?
‒ Povero miliardario, questa è bella! – Cheryll non può fare a meno di tirare
fuori per la prima volta il suo sarcasmo.
‒ Un ossimoro come dire “cime abissali” oppure “ghiaccio bollente”, una
licenza poetica per definire il mio stato dentro e fuori.
‒ Ricco fuori e infelice dentro?
‒ No. Direi piuttosto giovane dentro, cuor di leone in pectore e... decrepito
fuori, come una quercia colpita da un fulmine.
‒ Basta saper cogliere l’essenza delle cose... e delle persone, ovviamente.
‒ E tu ce l’hai questo dono di saper cogliere l’essenza delle cose e... delle
persone, ovviamente? – le fa eco Mr. Chomsky.
‒ In un certo senso, sì. Sono una brava analista finanziaria, Mr. Chomsky.‒
‒ Ed io sono un abile linguista.
‒ Faccia il bravo, non dica sconcezze.
‒ Doppio senso, nessuna volgarità. Sono un tipo all’antica, politically correct,
un gentiluomo, non volevo fare allusioni sessuali. Ma solo farti capire che la
tua abilità dialettica e analitica, linguistica appunto, dovrà stasera mettersi alla
prova con un osso duro. Molto duro... vecchio ma duro.
A questo punto Mr. Chomsky si avvicina a lei con fare equivoco senza
neppure aver posato le buste della spesa. Ma Cheryll lo stoppa mettendosi ad
urlare:
‒ Mi sta sgocciolando sul piede, Mr. Chomsky! Oh mio Dio, che imbarazzo!
‒ Cosa diamine...? – lui è sgomento. ‒ Non sono io a sgocciolare! Vecchio, sì,
rimbambito pure, ma non fino a questo punto...
‒ Non saprei... vedo solo che è roba bianca e appiccicosa.
‒ Il gelato, per la miseria, si sta squagliando! Fortuna che è fiordilatte e non
cioccolato, altrimenti mi avresti preso per un incontinente. Prematuro ancora
ancora, ma incontinente no, piuttosto mi ammazzo con le mie stesse mani
come il Dottor Stranamore. Lo metto subito nel freezer, altrimenti per dessert
ci sarà brodo di vaniglia anzichè torroncino semifreddo.
‒ Ha dei fazzolettini di carta?
‒ Certamente... sul tavolino in soggiorno, accanto al telefono.
‒ Grazie.
‒ Puoi dare un’occhiata se ci sono telefonate in segreteria?
‒ Sì, lampeggia... c’è una chiamata.
‒ Per piacere, premi il pulsante verde per farmela ascoltare... il pulsante verde,
mi raccomando, non quello rosso che altrimenti cancella...
Cheryll, colta da un irrefrenabile impulso che le imprime un tremolio sul
labbro superiore, spinge il pulsante sbagliato e la sua bocca si storce in un
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
sorriso mostruosamente soddisfatto mentre si sente il fruscio del nastro che si
riarrotola.
‒ Oh mio Dio, credo di essermi sbagliata.
Mr. Chomsky non si rompe troppo la testa per la notizia.
‒ Hai forse premuto il pulsante rosso?
‒ Temo proprio di sì. Non si arrabbi, Mr. Chomsky.
‒ Succede anche a me qualche volta, ‒ la rassicura il riccone ‒ . I pulsanti
sono troppo vicini, non si distinguono bene. Se la ditta che fabbrica questi
arnesi non fosse mia, l’avrei già citata per danni.
‒ C’è rimedio? Si può recuperare la chiamata? ‒ Cheryll è costernata.
‒ No, non si può. Altra bizzarria di questo affare che non tiene in archivio
neppure le ultime telefonate. Ormai è stata cancellata. Pazienza,
richiameranno se era importante...
‒ Sono proprio una stupida. ‒ Eh sì che lei me lo aveva detto chiaramente di
premere il pulsante verde e non quello rosso...
‒ Daltonica?
‒ Solo un po’ distratta... non mi succede quasi mai... chissà stasera dove ho la
testa... tutta colpa sua, Mr. Chomsky! – lo provoca Cheryll.
‒ Mia? – si stupisce lui.
Il volto di Cheryll si vela di imbarazzo:
‒ Me la fa girare con tutte le sue chiacchiere galanti.
Mr. Chomsky vorrebbe ruggire come un leone, saltare addosso a quella
graziosa e intrigante gazzella per baciarla direttamente in bocca. Ma preferisce
tenere ancora il profilo basso. Guardandola dritta negli occhi con la voce
bassa e cavernosa, per assumere un confidenziale, aggiunge:
‒ Ariel.
Cheryll resta in silenzio cercando di capacitarsi, di dare un senso alla parola
appena sentita, poi ingenuamente interroga:
‒ Ha un cane? Però non le ubbidisce. Non viene se lo chiama.
Mr. Chomsky non ha né tempo né voglia di offendersi.
‒ Veramente Ariel è il mio nome. Non ho e non sto chiamando un cane. Ti sto
solo chiedendo di chiamarmi per nome.
‒ Va bene, Mr. Chomsky. Come vuole lei.
‒ Ariel! – la corregge subito: ‒ Come lo Spirito alato della Tempesta di
Shakespeare.
‒ Va bene... Ariel! ‒ balbetta la ragazza apparentemente innocua e sottomessa.
Lui le prende la mano e se la porta al cuore con un gesto enfatico che suscita
un risolino imbarazzato da parte di Cheryll, reazione che però Mr. Chomsky
non coglie poiché il contatto con le morbide carni della fanciulla, per quanto
si tratti di una mano ossuta che ha poco di sinuosità femminile, lo conturba.
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ENRICO BERNARD
‒ Sappi che io non abbandono la lotta d’amore con un sospiro, come fece
invece un celebre personaggio che porta il mio nome. Se io incontro resistenza
da parte della donna che desidero, non desisto ma insisto... e conquisto!
‒ Non so che dire! – continua a trattenere a stento di scoppiare a ridere per
quella galanteria esagerata e fuori posto. Ma il vegliardo ha perso
completamente la testa, il profumo della donna poi lo manda in estasi, in
visibilio, come un angelo che si è infilato tra le vesti della Madonna.
‒ Tu non dire niente: lasciati desiderare, lasciami sospirare, lasciati
conquistare… ‒
È il momento per Cheryll di riportare lo spasimante coi piedi per terra. Non le
piace il ruolo della Dulcinea di turno per la rediviva demenza senile di
donchisciottesca memoria.
‒ Senti, Ariel, forse stiamo correndo un po’ troppo. Non trovi?
‒ Dolcissima! Se mi avessi detto che io ti dò l’impressione di correre un po’
troppo, mi sarei offeso. Invece hai usato il plurale, hai detto “noi” rendendo
esplicito il tuo coinvolgimento sentimentale.
Cheryll ritira cautamente la manina che lui continua a stringere come una
reliquia.
‒ Sentimentale è detto troppo, anche se non posso nascondere una certa
simpatia nei tuoi confronti.
‒ Parli seriamente o stai bleffando? ‒ è il primo dubbio che sorvola la mente
del ricco marpione.
‒ Perché mai dovrei bleffare?
‒ Per farmi cadere nel tuo trappolone.
‒ Nessuna trappola, Ariel. L’investimento è buono ed io sono una persona
pulita...
‒ Allora è la mia grande giornata! – sospira Mr. Chomsky. ‒ Un ottimo affare
portato da un angelo come te che mi ricopre d’oro e di dolci melodie. Che
meraviglia! Allegria!
Cheryll si accorge che la situazione rischia di complicarsi; e che per riuscire a
catturare la sua preda, deve a sua volta fingersi preda facile e poco
combattiva.
‒ Forse è meglio che stia zitta. Sento un’ombra di cinismo, anzi di sarcasmo
nelle tue parole.
‒ La vita mi ha reso cinico e l’esperienza mi ha reso sarcastico. Ormai sono
fatto così, un vecchio bilioso e collerico, un po’ rimbambito a cui basta una
sniffata di viagra per ritrovare il tempo perduto.
‒ È desolante.
‒ È la realtà ad essere desolante, io ne faccio solo parte di questo mondo reale
che ha tanti difetti, ma anche qualche pregio.
‒ Ad esempio?
Mr. Chomsky decide allora di confidarle i suoi crucci.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ad esempio, non è ingannatore. Magari filosofo, ma non ti prende in giro.
Sa quello che vuole da te e sa come chiedertelo: a muso duro, senza
cincischiare, senza frottole. Valla a contestare la realtà, valle a dire di essere
un po’ più tenera. La realtà è quello che è, è la sua natura, non può farci niente
se a volte, anzi spesso, risulta sgradevole. I soldi possono indorare la pillola,
ma non curare la malattia del tempo che passa. La realtà è lo specchio in cui ti
fai la barba e in cui vedi al fondo dei tuoi occhi il nulla che avanza come nel
romanzo di Michael Ende, il cui stesso nome, signicando “fine”, è tutto un
programma.
‒ Ora mi fai tenerezza, sembri così vulnerabile!
‒ Anche nel mio vecchio petto batte un cuore ardente! – risponde con un
ritorno di fiamma dell’orgoglio maschile.
‒ Quanto sei romantico.
‒ Sbaglio… o stai arrossendo?… ‒ fa lui teneramente prendendo sul serio la
manfrina della ragazza.
‒ Non saprei… certo che i tuoi discorsi…
Mr. Chomsky la squadra come se stesse esaminando un candidato ad una
posizione di responsabilità in una delle sue aziende.
‒ O forse sono io che vedo il fuoco là dove arde solo un timido cerino? A
proposito di timido cerino, sappi che una notte d’amore con me è una
tempesta di sentimenti, che vanno però un po’ sostenuti…
disinteressatamente, con la completa partecipazione di spirito e corpo, per il
solo piacere di non far disperare il Matusa, il campione di saggezza che cerca
una via erotica al compimento supremo… della serata. ‒ Ti faccio pena,
compassione o… cosa provi veramente per me?
‒ Una certa simpatia? – minimizza.
Mr. Chomsky assume un’aria soddisfatta, come di un esaminatore che ha
ottenuto la risposta giusta ad un colloquio di lavoro.
‒ È già qualcosa. Anzi è molto e te ne sono grato: quando mi guardo allo
specchio mi sorprendo ad emettere un grido di orrore. Come ci riduce questa
maledetta vecchiaia a cui non c’è rimedio, neppure coi soldi. Puoi ritardarla
certo, ma si tratta solo di un rinvio dell’appuntameno col destino, ahimé!
Cheryll non può nascondere un pizzico di compassione.
‒ Povero vecchio Ariel.
‒ Povero miliardario, dunque, sei d’accordo? – annuisce lui.
‒ Poverissimo! – scherza la ragazza.
‒ Comunque, non esageriamo con la povertà. E soprattutto non fasciamoci la
testa prima di essercela rotta. Come dice il proverbio, finchè c’è vita c’è
speranza, ed anche zoppicando si va avanti, sempre avanti, alla conquista...
‒ Alla conquista di che?
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ENRICO BERNARD
‒ Del tempo che resta da vivere, Cheryll! – esclama lui in uno slancio di
sincerità. ‒ Più lo vivi intesamente e più ne resta da vivere. Come Faust che si
eternò nell’attimo estremo del piacere; “fermati, sei bello!”.
E nel pronunciare il verso goethiano effettivamente Mr. Chomsky si blocca,
strabuzza gli occhi per poi fissarli nel vuoto, come assente.
‒ Quindi, tornando a noi... Ecco, ancora un segno di senilità... non mi ricordo
di che si stava parlando.
‒ Del tempo che ti resta da vivere, Ariel, e di quello che vuoi farci…‒
riassume Cheryll.
Mr. Chomsky cambia espressione e le getta uno sguardo di disapprovazione.
‒ Da quando in qua ci si da del tu, io e… lei?
‒ Da un po’... – si stupisce Cheryll. ‒ Sei stato tu ad avermelo chiesto, non
ricordi?
Mr. Chomsky scuote la testa desolato.
‒ No, purtroppo non ricordo niente di quanto è successo un attimo fa. Scherzi
della memoria in cui ‒ come niente ‒ riaffiorano antichi episodi d’infanzia,
ma che cancella il presente con un colpo di spugna, come se qualcuno
premesse continuamente il tasto rosso della segreteria telefonica eliminando i
messaggi più recenti.
‒ Se vuole, ricomincio a chiamarla Mr. Chomsky.
‒ No, no, per carità. Va bene così, chiamami Ariel e dammi pure del tu. –
Riprendendo fiato aggiunge facendo gli occhi del bovino spaesato: ‒ Perché
sei qui?
‒ Sono qui per conto della... non ricordi?
A questo punto lo sguardo spento del vecchio miliardario vittima
dell’Alzheimer si irradia di furbizia e malizia:
‒ Della Black & Decker? – e ride.
Cheryll si accorge di aver abboccato all’amo come un pesce azzurro a spasso
nel vasto Oceano ignaro dei pericoli.
‒ Stupido, mi stai prendendo in giro.
Lui si schernisce.
‒ Macché, è solo un flash che scatta ad intermittenza, l’onda lunga del
pensiero che di tanto in tanto fa affiorare sulla spiaggia della mente qualche
relitto più o meno ingombrante. È anche un modo, quello dell’amnesia, per
togliersi dal groppone qualche fardello che altrimenti peserebbe sulla
coscienza. Chi non sa o non ricorda può dormire sonni tranquilli...
‒ E tu riesci a dormire bene?
‒ Purtroppo no, perchè più svaniscono i ricordi a breve termine più riaffiorano
i sacchi di merda che ti sei lasciato alle spalle da un pezzo. Quelli non
affondano mai e continuano a puzzare come una discarica a cielo aperto.
È una sorta di recita dell’autocommiserazione che non commuove più di tanto
la ragazza che sa bene con che razza di “squalo” ha a che fare.
‒ Forse è meglio che me ne vada... – butta lì per provocarlo, riuscendovi.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ E la cena a lume di candela? – piagnucola lui.
‒ Non te la sei dimenticata? – fa Cheryll con tono di rimprovero.
‒ Non ci sperare... Fossi scemo a dimenticarmi di una cena a lume di candela
con te. Ci ho fatto un nodo al fazzoletto... Non ti sbarazzerai tanto facilmente
di me. Però mi sono dimenticato di comperare le candele. Niente paura. Credo
di averne una scorta giù in cantina. Aspettami qui, mi raccomando, non te ne
andare, anzi non ti muovere, stai ferma dove stai... torno subito...
Mr. Chomsky non aspetta la risposta della ragazza e si precipita in cantina
come se dovesse chiudere una finestra per non far volare via il canarino uscito
dalla gabbia. Rimasta sola, Cheryll si guarda in giro, compie un rapido giro di
perlustrazione, poi individua un quadro alla parete, un multiplo di Andy
Wahrol originale, quello con la bottiglia della Coca Cola. Allora estrae dalla
borsetta un cilindro metallico che si rivela essere una bomboletta di colore
spray rosso e sfregia il quadro con una scritta minacciosa.
SAVE THE WORLD,
KILL A CAPITALIST!
Nello scrivere lo slogan i suoi occhi sono carichi di rabbia, come se
improvvisamente il fiume in piena delle sue vere emozioni tracimasse dagli
argini per inondare il mondo. E prima che Mr. Chomsky faccia ritorno dalla
cantina dove è sceso per scegliere il vino d’annata per la serata galante,
Cheryll estrae dalla borsetta una pistola e comincia a stringerla forte nel
pugno indurito, quello stesso pugno col quale pocanzi aveva bussato
delicatamente alla porta del decrepito miliardario. Nei suoi occhi alberga ora
una luce nuova, misteriosa, come se la sua vita si fosse improvvisamente
arricchita di una forza dirompente, di un coraggio inaspettato. Le sue mani,
prima delicate e diafane come una scultura di Cellini, ora si sono irrobustite
come gli artigli di una tigre. Probabilmente l’atto vandalico a lungo covato,
trattenuto per non rivelare anzitempo le sue reali intenzioni, finalmente la
ricarica di energie fisiche e mentali. Forte così non solo di tacchi a spillo,
come un’inutile seduttrice da salotto, ma, da questo momento, anche di
un’arma che le dà sicurezza e potere di vita e di morte, la ragazza sembra
dunque ergersi monumentalmente in tutta la sua altezza fisica e statura
morale: un gigante con l’ombra proiettata all’infinito, mentre il sole al
tramonto viene improvvisamente oscurato dalle montagne del Vermont.
E di fronte ad un simile maestoso gigante, ‒ almeno nello spirito poiché
naturalmente la ragazza si sente cresciuta dentro, ma resta un delicato esserino
tra le cui mani perfino il peso di un’arma da fuoco da borsetta sembra
eccessivo, ‒ si trova Mr. Chomsky quando fa rientro trastullandosi con una
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ENRICO BERNARD
bottiglia di vino e una candela accesa, come un barcollante babbo Natale con
la barba appiccicata male che irrompe nella festa della Vigilia rivelandosi solo
un povero scemo agli occhi dei bambini che lo aspettavano invece a bordo di
una slitta trainata dalle renne.
‒ Ecco le candele, fortuna che ce ne era rimasto ancora un pacco. Gradisci un
po’ di musica? Mozart, va bene? Poi preparo da mangiare mentre tu
apparecchi e...
‒ C’è una novità Mr. Chomsky! – lo interrompe Cheryll.
Il vecchio marpione resta sbigottito quando si rende conto del gesto di
Cheryll: beh, non che gli importi molto di quella crosta di Wahrol di cui non
conosce, e sinceramente se ne frega, neppure il valore commerciale. Anzi, gli
avrebbe dato fuoco lui stesso a quella “cosa”, a quella presa in giro del
sistema capitalistico: figurarsi, l’arte che riproduce oggetti di consumo
riducendosi ad essere addirittura la riproduzione parossistica di una
riproduzione di un prodotto per un’infinità di consumatori e di potenziali
acquirenti! Piuttosto avrebbe appiccicato alla parete un volgare tramonto di
uno dei tanti imbrattatele che abbondano sui marciapiedi dei centri turistici,
piuttosto che mettersi in casa l’effige di una bevanda il cui marchio era
peraltro, probabilmente, nel suo cosiddetto portfolio, come avrebbe fatto
presto ad appurare dagli ultimi acquisti di stock option e le più recenti fusioni
che riguardavano i suoi interessi. Se un Andy Wahrol stava appeso alla sua
parete, era solo perché lui voleva dimostrarsi più giovane, aperto alla pop art e
alle nuove tendenze: tutta una messa in scena per non sembrare, agli occhi di
eventuali ospiti, un retrogrado, un matusa arretrato – come si usava dire ai
tempi della grande contestazione. Anzi, se Cheryll gli avesse prestato la
bomboletta spray o se glielo avesse chiesto “per piacere” o almeno “per
gentilezza” avrebbe scritto lui stesso, di suo stesso pugno, la parla MERDA
D’ARTISTA sul quel cazzo di quadro. Che però, essendo di sua proprietà,
non poteva essere deturpato, per giunta in casa sua, senza il suo permesso.
‒ Cos’è, uno scherzo? – la rimprovera con uno sguardo truce.
‒ No, è un gesto d’amore! – gli tiene testa la ragazza che ha smesso i panni
della docile preda e, ora che ha il coltello, ossia la pistola dalla parte giusta,
comincia ad esercitare il suo potere.
Mr. Chomsky, redendosi conto che la situazione è totalmente cambiata
passando nelle mani di quella che ai suoi occhi pareva essere un oggetto senza
volontà propria, un giocattolo della sua libidine, si lamenta come il cacciatore
inseguito dalla tigre che voleva abbattere prima che gli si inceppasse lo
schioppo:
‒ Adesso si chiamano “gesti d’amore” gli atti di vandalismo… Sei forse
arrabbiata con me? – Piagnucola. ‒ Sei gelosa del mio gatto di peluche? Mi
vuoi far pagare qualcosa? Si può sapere che significa questo “gesto d’amore”?
Lei è irremovibile:
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Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Non si tratta di un gesto d’amore nei tuoi confronti, vecchiaccio vanitoso,
ma nei confronti del mondo e dell’umanità.
‒ Anch’io faccio parte del mondo e dell’umanità.
‒ Quando ti fa comodo pensi all’umanità, ma solo per salvarti il culo.
‒ Salvarmi, io? E da cosa?
Cheryll si abbassa a fare da maestrina alla lavagna:
‒ Leggi bene: save the world... ‒
‒ Kill a capitalist... – realizza lui. ‒ È un nuovo modo di dire, uno slogan della
gioventù noglobal? Un po’ macabro, ma efficace, sotto un certo punto di
vista. Dà l’idea della rabbia che cova dentro. Ma tu, signorinella, non sei più
una ragazzina!
‒ L’età anagrafica non conta. Quando si è giovani si percepisce solo per via
intuitiva il malessere di un sistema che non funziona… o meglio – si corregge
dopo un attimo di riflessione ‒ che funziona benissimo, ma solo per pochi. Poi
il sistema ti risucchia come un vortice infernale e tu, illudendoti ingenuamente
di poter starci dentro senza sporcarti le mani, cerchi di convincerti che non c’è
alternativa, che “così” vanno le cose del mondo, ineluttabilmente. Invece, un
giorno ti accorgi che è tutto un sogno, un gigantesco imbroglio fondato su una
convenzione inaccettabile e truffaldina, secondo la quale un pezzo di carta
stampato ha un valore solo perché c’è scritta sopra una cifra… Cheryll a
questo punto cala un asso: ‒ Sai chi fu l’inventore della Carta Moneta?
‒ Il diavolo, probabilmente.
‒ Sei bene informato. L’economia moderna ‒ prosegue continuando a tenerlo
sotto tiro ‒ è un’invenzione diabolica di chi vuole la distruzione del mondo e
del genere umano: questa è la verità.
‒ Queste cose le hai imparate all’Università? Spero non ad Harvard!
Altrimenti mi sentiranno, gli revoco la donazione testamentaria a quei
proseliti del postcomunismo.
‒ Certe cose non si imparano sui libri, si vivono. Solo l’esperienza può farti
capire che quello che hai studiato non solo è inutile, ma dannoso, se non
tragico... Ho dovuto quindi vedere coi miei occhi le sofferenze, piangere le
lacrime di mille madri per rendermi conto che stavo sbagliando tutto.
Nel corso della conversazione Mr. Chomsky ha tenuto stretta in mano la
candela, agitandola come se fosse un lanciafiamme per scacciare lo spettro
della contestazione che gli si è parato improvvisamente davanti, in casa sua,
nel verde ma “weird” cioè pazzo Vermont, dove tutto come dice lo stesso
slogan può succedere di folle e di imprevedibile. Anche che le streghe
assumano sembianze di dolci fanciulle addobbate coi tailleurini attillati della
Quinta strada, prima di trasformarsi in mostri ideologici, come una spaventosa
Idra a tre teste.
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ENRICO BERNARD
‒ Quindi... dove vuoi arrivare? – prende tempo.
‒ L’ho appena scritto: save the world...
‒ Ho capito... Vuoi propormi di investire in una fabbrica di bombolette spray?
Perchè no, tanto io ho ancora pochi anni da campare e me ne frego delle
normative sulla produzione di gas serra.
‒ Tipico di voi ricconi sfondati… ‒ lo redarguisce agitando la canna della
pistola come se fosse un frustino sadomaso. ‒ Tutti come Faust che crepa da
vero capitalista: scavandosi la fossa con le sue stesse mani.
‒ Siamo tornati a Faust, il mio facsimile, la mia fotocopia, dunque. –
‒ Credi di essere capace solo tu di citazioni dotte?
La verità è che a questo punto Mr. Chomsky, nella sua proverbiale astuzia
accumulata in decenni di trattative commerciali, intuisce che se Cheryll si
mette a fare disquisizioni più o meno dotte, non ha intenzione di ucciderlo,
almeno per il momento. Così riprende fiato e un po’ di coraggio:
‒ La prima grande vittima del Dio Denaro e del suo inventore: Mefistofele!
Faust che muore illudendosi di poter salvare il mondo! In un certo senso il suo
destino somiglia al mio; anch’io voglio salvare il mondo.
‒ Lo vuoi salvare o comprare? – è il dubbio che sorge spontaneo nella mente
della ragazza che improvvisamente sembra essere cresciuta e invecchiata
proprio come una strega che scioglie l’incantesimo e si trasforma, da
principessa tutta rosa e fiori, in un fungo velenoso. Così almeno la vede Mr.
Chomsky, anche se la realtà è che l’azione e la motivazione dona a Cheryll
una profondità ideale, uno spessore morale ben distinto dalla sdolcinata e
affettata commedia che aveva interpretato all’inizio per intrufolarsi nel
castello dell’anziano capitalista. Al quale non resta che parare i colpi e
schivare le fiondate dialettiche lanciate dalla sua antagonista che, a questo
punto, sarebbe capace di tenergli testa anche senza impugnare l’arma.
‒ Quando entro in un’impresa è per farla funzionare, non per metterla in
liquidazione. Piuttosto lo salvo, io, questo mondo schifoso, dalla rovina e…
dal...
‒ Salvare il mondo? E da che? – lo sfida. ‒ Dal comunismo? Dall’islamismo?
Ecco, sì, giustissimo: dal terrorismo. Perfetto: voi salvate il mondo dal
terrorismo islamico... e come? Terrorizzando... distruggendo...
‒ A mali estremi... – dice come un pugile suonato che cerca di uscire
dall’angolo in cui è stato costretto dai colpi del suo avversario.
‒ Ma non quando i rimedi sono peggiori dei mali! – insiste Cheryll infierendo
sul suo malcapitato interlocutore. ‒ E soprattutto non quando i mali stessi
sono creati da voi per mettere in pratica i vostri rimedi.
‒ Ecco, siamo arrivati alla Strategia del Complotto! – tenta di ribellarsi lui.
‒Ma non ti sembra una pazzia, anzi una cazzata!, sostenere che l’11 settembre
non sia stato un atto terroristico imprevedibile, bensì una messa in scena
orchestrata dai servizi segreti e dalla Cia?
‒ Non entro nel merito.
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Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ecco, brava, non entrarci.
‒ Dico solo che il vostro sistema si autoalimenta col terrorismo, cioè con la
paura della gente, che altrimenti si ribellerebbe, non ci starebbe più. E a
questo punto a me non interessa sapere se il terrorismo di massa sia opera di
una setta o del fanatismo di una religione... dico solo che vi fa comodo questo
terrorismo, perché ci fate ottimi affari. Infatti, sale artificiosamente il prezzo
dell’energia, aumentano i profitti.. e siete tutti d’accordo da Wall Street alla
City londinese, da Piazza Affari ai salotti dei megagalattici yatch degli
sceicchi arabi vostri alleati. Siete tutti dalla stessa parte, siete tutti terroristi.
Dalle chiese cattoliche alle moschee e alle sinagoghe si sente solo una
preghiera, la preghiera al vostro Dio Unico: Holy Money, il Dio Denaro! Il
Grande e Unico Dio Terrorista!
A questa equiparazione Mr. Chomsky non ci sta e sbotta:
‒ Terrorista, io? E tu che scrivi quelle cose?
‒ Io le scrivo perché ci credo... ma il mio non è terrorismo.
‒ Ah no? E cos’è allora?
‒ È l’opposto del terrorismo. È, come ti dicevo, un atto d’amore per l’umanità.
Il terrorismo infatti colpisce alla cieca, nel mucchio. Al terrorista non interessa
sapere se chi viene ucciso dalla sua azione ha una qualche responsabilità, a lui
interessa solo diffondere paura e con la paura perpetuare il sistema di
ingiustizia che governa il mondo.
‒ Perpetuare come? – l’interrogatorio si svolge adesso a parti invertite: è
Cheryll a dover dare risposte, fornire alibi e spiegazioni.
‒ Perpetuare secondo una strategia precisa voluta dal Ponte di Comando,
quello che governa il mondo e che dice cosa deve succedere, quando e dove...
se serve la guerra o se invece bisogna terrorizzare la gente con false notizie di
improbabili epidemie. ‒
‒ E chi farebbe parte di questo Ponte di Comando? I Capi di Stato? – prosegue
il terzo grado della ragazza.
‒ I Capi di Stato sono solo marionette i cui fili sono tirati da chi detiene il
potere economico.
‒ Il diavolo, probabilmente?
‒ Probabilmente sì.
‒ E io sarei il diavolo?
‒ La tua ricchezza è sterminata, quindi diabolica.
‒ Perciò... mi vuoi eliminare? Per eliminare questo “impero del male” che io
rappresento e detengo, come Satana che spadroneggia sui dannati?
‒ Non mi dispiacerebbe premere il grilletto, nessuno sentirebbe la tua
mancanza, vecchio satiro.
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Lanciandogli un’offesa abbastanza pesante Cheryll pensa di chiudere il
discorso, ma Mr. Chomsky è furbo e coglie l’attimo come un pugile
all’angolo che sembra in difficoltà, sull’orlo del KO, prima di tirare fuori dal
cilindro il classico colpo a sorpresa che ribalta il match.
‒ Il mio maggiordomo sì, sentirebbe eccome la mia mancanza: perderebbe il
posto di lavoro. Questa sarebbe l’unica conseguenza del tuo grave atto. Se
ammazzi tutti i capitalisti, non ci sarebbero più posti di lavoro per
maggiordomi, ecco!
‒ Oppure non ci sarebbero più maggiordomi… né servi.
‒ Appunto, non ci sarebbe nulla. Si tornerebbe alla preistoria.
‒ E con questo? Ricomincerebbe la storia… su altre basi, si spera.
Il termine “speranza” non piace molto a tipi d’uomini come Mr. Chomsky
abituati al tutto e subito, alla concretezza della transazione immediata e,
poveretti loro!, del guadagno netto. La speranza poi apre le porte ad un altro
concetto aleatorio: il futuro. Guai, per chi vive di affari, pensare al futuro e
farsene condizionare: esiste solo il presente, l’ora e qui del contratto e del
conto in banca allo stato attuale. Speranza e futuro rappresentano due concetti
pericolosi che possono oltretutto far montare la testa alla gente che, smettendo
di vivere nello stato di necessità quotidiana, si tirerebbe fuori dalla “matrice”
dominante dell’esistenza: la condizione economica e la dipendenza dal
sistema. Così come uno spirito maligno sfiorato da uno schizzo d’acqua santa,
Mr. Chomsky cambia discorso per non dover affrontare la “questione
speranza”.
‒ Insomma, vuoi mandarmi all’altro mondo?
Cheryll nella sua ingenuità cade nella trappola tesagli dall’astuto capitalista
svelando buona parte dei propri nobili quanto astratti intenti.
‒ Ti ho detto che non sono una terrorista, non voglio uccidere nessuno. Il mio
è un un atto dimostrativo, educativo. Educane uno per salvarli tutti.
‒ Mi darai anche le tottò sul culetto? – ha l’ardire di sfotterla ormai certo di
avere ripreso il controllo della situazione.
Cheryll si avvede che deve a sua volta ribaltare i termini del discorso,
imponendo il proprio, insomma le proprie ragioni.
‒ Ti piacerebbe, eh? Invece no, niente sedutina sadomaso, ma una bella
indigestione di sana verità.
‒ Ma cosa vuoi ottenere con la tua verità?
La ragazza, stimolata dalle domande del suo ostaggio, continua a rispondere
non ricordando quanto il vecchio gli aveva raccontato a proposito del diverbio
col barbone sulla spiaggia del New Jersey. Non è forse vero che chi fa
domande, ha il controllo della situazione rispetto a chi è costretto a rispondere
e spesso a giustificarsi?
‒ Convincere la gente che si può dire di no, ci si può opporre, si può guarire
dal male che rende tutti uguali come e forse peggio che sotto i regimi
comunisti: tutti consumatori, tutti uguali davanti all’altare del Dio Profitto.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Stai cambiando le carte in tavola: siamo noi i difensori dell’individualismo,
il nostro sistema economico è fondato sul principio della proprietà personale e
della libertà individuale d’impresa. Non è così?
‒ Stai parlando di un mondo che non esiste più. Il vecchio capitalismo è stato
sostituito dalle holding che non hanno confini e non hanno credi religiosi o
ideologici... Per esempio, i guru del consumismo occidentale si sono alleati
con i residui di comunismo mondiale... – tira per un istante il fiato e poi si
accorge che anche lei potrebbe metterlo a sua volta sotto torchio: ‒ Sai cosa
succederà quando due miliardi di cinesi scenderanno dalla bici per accendere
il motore della loro nuova utilitaria, simbolo del consumismo comunista che è
talmente abile da far comparire Mao Tze Tung sulla bottiglia di Coca Cola?
‒ L’effetto serra? La catastrofe globale? – è furbo Mr. Chomsky a concludere
sempre le frasi con un punto interrogativo.
‒ Puoi scommetterci…‒ non può fare altro che ammettere Cheryll.
‒ Allora ci inventeremo una catastrofe locale, tanto per ridurre il numero dei
cinesi... che vanno in macchina. Lasceremo in vita solo quelli che girano in
bici, contenta? Ecco, farò produrre nei miei laboratori un virus che colpisca il
cinese in utilitaria... Cinese seduto morto, cinese che pedala vivo.
‒ Anche Faust usava il plurale: faremo, diremo, produrremo...
‒ Però, alla fine del poema di Goethe c’è l’intervento divino che salva tutti,
mondo compreso. L’happy end del consumismo. Ti pare poco?
‒ Secondo te bisogna allora aspettare l’intervento divino?
‒ Perché no? È già successo un volta, con Gesù, la salvazione... succederà
ancora, mi auguro. Beh, chi vivrà, vedrà… ‒ taglia corto ormai stremato.
Un silenzio teso. Il frusciare degli alberi. Lo starnazzare delle anatre di
passaggio. Insomma la natura si fa sentire, come se anch’essa elevasse una
protesta. Cheryll interrompe la pausa:
‒ Io invece non aspetto.
‒ E che cosa fai? Mi ammazzi sì o no ? Come pensi di risolvere il problema? –
insiste lui con gli interrogativi avendo intuito che più si chiacchiera e più tardi
si passa alle vie di fatto.
‒ L’omicidio non risolve i problemi, ‒ è più forte di lei, probabilmente nella
sua natura femminile, allungare le decisioni con le spiegazioni ‒ anzi li
aggrava. Se ti uccidessi scatenerei la repressione, la gente non capirebbe,
saresti il martire, la vittima di una povera pazza o peggio di una terrorista
assassina. Invece il pazzo agli occhi del mondo devi rappresentarlo tu. Tu sei
l’assassino. Io non ho bisogno di giudicarti, né di condannarti, tantomeno di
eseguire la sentenza. Tutti sanno da che parte è la verità...
‒ Dalla parte tua, scommetto. O no?
‒ Dalla parte dell’umanità.
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ENRICO BERNARD
‒ Non darti tante arie, ragazzina. Tu non sei e neppure rappresenti l’umanità.
Mi sbaglio?
‒ Non sono più tanto ragazzina. Potrei avere dei figli, ai quali vorrei dare un
futuro, col tuo permesso.
‒ Permesso accordato, mammina. Basta dargli la pappa ai marmocchi...
Attenta però a che uno non butti fuori dal nido le altre creature per riempirsi la
pancia da solo.
‒ Cheryll è un po’ monotona perché ha sempre una risposta pronta:
‒ Saprò educarli alla convivenza.
Mr. Chomsky sente puzza di retorica in quell’asserzione, che sa essere solo
un’astrazione come un fioretto imposto dal confessore.
‒ Saggio proposito. Ma la natura con le sue leggi sarà più forte della tua
educazione.
‒ Come fai a dirlo, non mi conosci. Non sai la forza che ho dentro.
‒ Oh, se lo so! Sei una gran rompiscatole, ecco chi sei, con le tue assurde
filippiche sul mondo che non va e su come dovrebbe andare. Il mondo va
come va, bisogna solo prendere atto del suo moto, senza interferire. Puoi forse
cambiare l’orbita del pianeta intorno al sole? Puoi forse dire al sole di
attenuare la potenza dei suoi raggi? No, cara, non puoi, così come non puoi
dire al capitalismo di smettere di far soldi. La natura è fatta così, la natura ‒
non solo quella dell’uomo ‒ è economica, numerica, rigidamente basata su
istinti primordiali e rapporti di forza. Non puoi cambiarla. Mors tua vita mea:
rassegnati.
‒ Allora è proprio vero che sei tu il terrorista! – lo accusa scandalizzata.
Mr. Chomsky prosegue senza battere ciglio:
‒ La mia è la semplice constatazione del fatto che quella del più forte è una
legge di natura.
‒ Ma la natura si autoregola, ‒ si ribella Cheryll, ‒ ad esempio facendo
estinguere i dinosauri quando diventano troppo forti per le altre specie.
‒ Il dinosauro della favola sarei io? Capitalisti accaparratori? La ricchezza
sarebbe un furto? Idee preconcette. Pregiudizi paleocomunisti sull’origine
della ricchezza...
‒ Con che astuzia usi la parola paleocomunisti, perché con i neocomunisti
cinesi ci state in affari! E poi i miei non sono pregiudizi…
‒ Certo che lo sono, perché vedi tutto il bene da una parte, la tua, e tutto il
male dall’altra, la mia.
‒ Non essere ridicolo… Risparmiami l’elenco dei crimini del Capitalismo.
Ora Mr. Chomsky ha gioco facile:
‒ E vieni a risparmiare proprio a casa mia, a casa di un capitalista di merda?
Coraggio, spara le cartucce… ma devono essere pallottole bum‒bum, a testata
esplosiva, perché io ho la pelle dura come un elefante…
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
Cheryll cerca di risalire la china. Si è perfino dimenticata di impugnare
un’arma, che potrebbe azzittirlo con un semplice lieve movimento del dito
incastrato come in un anello sul grilletto.
‒ Comincia col genocidio dei nativi Americani e arriva alla deportazione degli
schiavi... E tutto passa ancora sotto silenzio, come se non fosse avvenuto mai
nulla. Te ne racconta una: ero a cena a Montréal, una delle tante noiose cene
d’affari che mi sono dovuta sorbire prima di rovesciare il tavolo per sempre e
salutare l’allegra brigata, con un gruppo di industriali del Québec e alcuni
investitori Statunitensi. Qualcuno per fare un macabro scherzo ha tirato fuori
la sanguinosa battaglia del San Lorenzo in cui i Francesi riuscirono a fermare
gli Inglesi sulla riva del fiume. Allora anglofoni e francofoni hanno
cominciato con gli sfottò: c’eravamo prima noi in Nordamerica, ‒ no noi, ‒
sì ma noi vi abbiamo dato una bella legnata... Ad un certo punto non ne ho
potuto più e sono esplosa: scusate, e i Pellerossa che avete sterminato? Non
c’erano forse loro prima di tutti voi stronzi? ‒ Silenzio glaciale, di tomba:
avevo infranto un tabù, quello dell’origine omicida del capitalismo moderno.
E quando dico assassina penso ad un concentrato di cento, mille Hitler messi
insieme... Interi popoli sterminati, un intero continente sterilizzato, un
genocidio durato per secoli e ancora non terminato... – riprende un po’ di
fiato. ‒ E sai com’è finita? Il giorno dopo mi chiamano dall’ufficio, è Samuel
Black in persona.
‒ Il re Magio della Daniel & Black Investment?
‒ Proprio lui. E mi fa col suo slang da afroamericano newyorkese, povero
schiavo leccaculo e tirato a lucido, “Signorina, lei è licenziata. Vada a cercarsi
lavoro presso qualche tribù Pellerossa”… Che schifo!
‒ E qui scatta l’idea della vendetta…
‒ Comincia con la stessa sillaba ma si pronuncia: ve‒rità! – lo corregge.
‒ Io invece ‒ controbbatte lui ‒ penso che la continuazione dello sviluppo sia
l’unica garanzia di libertà.
‒ Libertà? ‒ s’indigna Cheryll al solo sentire quella nobile parola in bocca ad
un Arraffatore Totale, ad un Approfittatore Globale, ecco cosa pensa di lui se
non si fosse ancora capito, come Mr. Chomsky.
‒ Esatto. Se la “torta” dell’economia smetterà di crescere sta pur certa che non
vi sarà limite alle regressioni che ti faranno ingoiare sul piano della libertà,
della democrazia, del benessere, di tutto ciò che credevi consolidato e fuori
discussione. Senza sviluppo non c’è neppure più conservazione dell’esistente,
ma solo la perdita totale, di tutta la nostra civiltà: anche se molti aspetti di
questa può non piacerti, è però l’unica che possiamo offrirti. È l’alternativa al
burka e all’infibulazione...
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ENRICO BERNARD
‒ La tua è la civiltà delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, non
dimenticartelo.
‒ Che c’entro io con le atomiche? ‒ Mr. Chomsky ne sa una più del diavolo. ‒
Puoi pure incolparmi di tutti i mali del mondo, ma con l’atomica non c’entro...
Effettivamente, i missili a testata nucleare multipla sono prodotti da una
fabbrica di cui detengo un pacchetto azionario, ma non la maggioranza delle
azioni, lo giuro!, Eh, qui ti volevo, non la maggioranza delle azioni! Solo un
po’, ecco.
‒ Allora, ti senti la coscienza un po’ a posto? – lo provoca Cheryll.
‒ La coscienza, la coscienza! – lui sbotta come una pentola a pressione giunta
al punto di cottura. ‒ Se le bombe non le costruisco io, le costruisce qualcun
altro. E allora? Cosa cambia? Niente cambia.
‒ Senti! ‒ perde la pazienza ‒ Di argomenti contro il capitalismo ne ho portati
tanti. Non mi sembra che tu sia mai stato in grado di confutarne qualcuno. Se
ti mancano gli strumenti o la volontà di capire non è colpa mia. Vedi, restare
della propria idea non significa che altri non abbiano dato risposte....
‒ Le risposte che hai dato finora sono “non risposte”, nel senso che non
risolvono i problemi posti: li aggirano.
‒ Vuoi che ammetta la mia impotenza di fronte a tutti i problemi del mondo?
E sia: sono impotente. Impotente, sì... ma non me ne sto con le mani in mano:
faccio quello che posso. Non ho soluzioni in tasca, non ho rimedi, esprimo
unicamente la necessità di sbatterli in faccia a quelli come te questi problemi,
di sollevare il caso, il polverone, e forse anche di dare l’esempio a qualcun
altro... mi trovo perfettamente a mio agio nel ruolo di scintilla, ecco io sono
solo la scintilla di una protesta che è nell’aria e che non si aggrappa più ad
ideologie di destra o di sinistra, ma aspira solo ad accendersi e propagarsi
come un fuoco spontaneo.
‒ Vuoi la verità? Ce l’hai con me perché sono ricco. La tua non è vendetta, né
verita assoluta, ma invidia.
‒ Invidia di che? La ricchezza ai miei occhi è senz’altro un peccato, come
disse Gesù: è più facile che una fune entri nella cruna dell’ago, piuttosto che
un ricco vada in paradiso.
‒ Era una metafora, quella di Nostro Signore: non rigirarti le Sue parole come
ti pare e piace!
‒ Quando cacciò i mercanti dal tempio – prova lei a spiegare ‒ erano fatti,
non parole.
Mr. Chomsky scuote la testa:
‒ Dammi retta, non ti citerò per danni, sei giovane, carina, la vita ti sorride,
farò in modo che ti sorrida, ti sorrida sempre... rinuncia a questa pazzia.
‒ La pazzia ‒ insiste Cheryll ‒ è quella della società che ti ha permesso di
diventare ciò che sei.
‒ Allora prenditela con la società, io ho solo approfittato del sistema come
tanti altri.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Allora – gli fa eco la ragazza con la pistola ‒ cambiamo il sistema. Come?
Dando il buon esempio. Individualmente. Io sono solo l’inizio.
‒ Parola grossa, cambiare il sistema. E con che cosa lo vuoi cambiare? Con un
altro sistema ancor più sistematico? Con un supersistema? Abbiamo visto con
che risultati!... L’Unione Sovietica, la Cina... Bella roba! ‒
‒ Dicevo che non ho soluzioni, non ho sistemi perfetti, non ho mondi migliori
da proporre od imporre, tanto meno il socialismo reale che si è trasformato nel
miglior alleato del capitalismo.
‒ Allora, che cosa vuoi? Cosa vuoi fare? Si può sapere?
‒ Niente, e con questo “niente” intendo “tutto”. È uno strano paradosso, lo so,
come quello di Achille e la tartaruga che non riesce mai a raggiungere. Ma in
questa fase storica dell’umanità non ci sono Mondi Perfetti per cui immolarsi
sull’altare dell’ideologia. Io combatto per me stessa, per sentirmi meglio. Per
guardarmi allo specchio e potermi dire, così mi piaci, ora sei bella... Sono
egoista? Sì, ma il mio egoismo è fonte di salvezza. Perché lo faccio? Perché è
nobile, pulito, onesto, encomiabile... Capisci? Basta astrazioni, basta utopie.
Basta nuovi mondi. Io sono una persona concreta, educata ad Harvard, con
dottorati e masters in economia... Leggo Marx in tedesco, Prouhdon in
francese e Vico in italiano... Posso dirti che le loro analisi sono roba vecchia,
ammuffiti arsenali utopistici di un mondo che cambia solo se prende
coscienza del fatto che l’uomo è per sua stessa natura individualista e che la
rivolta, per essere efficace, deve soddisfare il suo individualismo egotistico:
essere bella, essere unica, per essere... sempre, eterna! L’Eterna Rivolta!
L’eco del suo discorso sempre prolungarsi lungo le vallate e i canyon
circostanti, tuttavia il vecchio capitalista fa orecchie da mercante e commenta
sarcastico:
‒ Ecco una nuova categoria: la rivoluzione individualista!
‒ Certo, la rivoluzione si fa soprattutto per se stessi. Dapprima tutto ciò è
confuso, ma poi cominci a prendere coscienza. Prendi piacere dalla tua
condizione di ribelle perché, qui sta il punto cruciale, ti piaci. Più la tua rottura
è radicale, meglio è. Si è completamente impregnati dagli schemi di
comportamento tradizionali. Tutte le nostre azioni sono determinate da questi
schemi sociali. Ma se riesci ad uscire, a rompere questi schemi, a determinare
un’azione eccezionale al di fuori degli schemi, ti senti forte, potente. Per una
volta non sei dominato e in qualche modo si esprime la tua vera natura.‒
‒ E il mondo da salvare dal capitalismo assassino?
‒ Il mondo viene dopo... – minimizza lei suscitando un sorriso beffardo sul
volto rugoso del vecchio che sembra abbia improvvisamente battuto il record
di anzianità dello stesso Matusalemme. ‒ Bisogna infatti far prima scattare la
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ENRICO BERNARD
molla interiore, sviluppare un sano narcisismo, poi pensare al resto, ai
problemi, alle ingiustizie sociali.
‒ Quindi capitalisti e idealisti – sintetizza con spirito di praticità – sarebbero
manovrati da un’identica forma di individualismo borghese.
‒ Con la sola differenza che mio individualismo – è il sottile “distinguo”
proposto da Cheryll ‒ si rapporta al mondo in modo positivo, costruttivo,
mentre il tuo essere individualista cerca di appropriarsi dell’universo e, se non
ci riesce, lo distrugge.
Mr. Chomsky sospira irritato:
‒ Un altro paradosso?
‒ Finora gli idealisti, i teorici, i profeti di un mondo nuovo sono stati dipinti
come persone astratte, astruse, avulse dalla realtà. Corpi estranei di un mondo
apparentemente immutabile. Fissato per sempre dalle rigide regole
dell’economia. Ora, improvvisamente, è come se si fossero invertiti i ruoli;
siete voi difensori dell’economia di mercato ad arrampicarvi sugli specchi per
nascondere l’evidenza: il vostro sistema sta distruggendo il mondo. Mentre
noi idealisti ci siamo trasformati in persone concrete, pragmatiche, capaci di
vedere le cose come sono, di guardare in faccia la realtà, prendere atto dei
problemi e compiere azioni, magari simboliche, ma significative di una nuova
sensibilità.
‒ Vuoi dire… Azioni simboliche come imbrattarmi la casa e tenermi in
ostaggio? Potevi portarmi a letto e avresti sicuramente fatto qualcosa di più
utile sia per te che per il prossimo tuo, cioè per me… A proposito, mi sono
dimenticato di chiedertelo: mi stai tenendo in ostaggio? È carica? Saresti
capace di… ammazzarmi come un cane?
‒ Non sfidarmi. Speravo che tu avessi capito di trovarti di fronte non una
cretina qualsiasi, ma un gigante come te capace di tenerti testa! Ora vuoi
vedere se la è pistola carica... ma non ti basta il dito che ti sto puntando
contro?
Mr. Chomsky non si lascia intimidire e prosegue nella sua sfida.
‒ No, non mi basta.
‒ Come vuoi... ecco la pistola. Soddisfatto?
La canna puntata non lo intimorisce più di tanto.
‒ Lo sai usare quel ferrovecchio?
‒ Ti sconsiglio di mettermi alla prova.
‒ E se fossi armato anch’io? ‒ cerca di svicolare suscitando solo l’ironia di
Cheryll.
‒ Ariel, tu sei uno smemorato. Anche se tenessi da qualche parte un’arma, non
ti ricorderesti più dove l’hai nascosta.
‒ Ok, ok! Sono un vecchio rincoglionito. Volevi umiliarmi? Beh, ci sei
riuscita. Sei solo una femmina, e mi tieni a bada senza neppure impugnare la
pistola... ma chi cazzo sei? La Donna di Picche?
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ti sarei piaciuta di più come Donna di Cuori, scommetto. Ma non è andata
così, né cuori né fiori... solo picche.
‒ E ripicche. Mettici anche quelle, perché la tua è una semplice ripicca o
forse, ripeto, una vendetta... sei stata licenziata e te la prendi col padrone,
come il cane che non mangia da giorni e che azzanna il primo che passa.
Il paragone la fa inviperire.
‒ Io non lecco la mano del padrone. Non l’ho mai leccata, neppure quando mi
dava da mangiare riempiendomi come un uovo. Ho rinunciato a tutto, al
benessere, alle sicurezze di una carta di credito no limit, perché ero io a
sentirmi limitata... e impotente. Allora mi sono chiesta: vuoi continuare così, a
farti spremere dal sistema che ti butterà via come un limone non appena avrai
esaurito il succo, oppure vuoi dare un senso alla tua vita tagliandoti questi fili
che ti muovono come un automa? Hai visto il film di Woody Allen, La rosa
purpurea del Cairo? Ad un certo punto il personaggio del film si sente
prigioniero del suo ruolo borghese ed esce non solo dal ruolo, ma addiritura
scende dallo schermo e si trasforma improvisamente in un uomo in carne ed
ossa, cominciando a soffrire e ad amare come una persona vera. Ecco, dopo
aver tentato di farmi una ragione di un’esistenza che sentivo inutile e
artificiosa, anch’io ho deciso di rompere gli schemi, di uscire dal coro, di
diventare un essere umano partecipe dei drammi dell’umanità... Ma dopo aver
partecipato al dramma in qualità di spettatore, ho capito che dovevo
intervenire per cambiare il copione. E allora sono tornata sul palco e mi sono
detta: puoi scriverti da sola il tuo ruolo. Puoi fare qualcosa per cambiare la
trama del film... per intervenire sul finale.
‒ E anche la scenografia, a quanto pare, vuoi firmarla tu. Per la serie: Do it
yourself di e con Cheryll Shannon, o come cavolo ti chiami, regia dell’autore.
‒ Capisco la tua obiezione: come si fa a cambiare il mondo con un’azione
isolata, col rischio di passare solo per una povera pazza? – l’interrogativo non
resta sulle sue labbra senza risposta, anche se laconica: ‒ Non lo so, ma ci
provo.
Mr. Chomsky tamburella nervosamente con le dita sul tavolo. Che volentieri
rovescerebbe, vorrebbe farlo saltare perché quella trattativa non gli piace, non
gli piace essere messo in minoranza o in difficoltà, ma deve ancora
sopportare, non può arrischiare manovre brusche, gesti inconsulti.
‒ Forse te l’ho già detto, comunque te lo ripeto: perché non ci mettiamo
d’accordo? Vuoi fare qualcosa di buono? Ti aiuto io, ho un sacco di soldi da
spendere, tu dimmi solo come e dove... Aiutami... salvami! Approfitta di
questo mio istante di debolezza, di fragilità.
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ENRICO BERNARD
Lei è costretta a rifiutare l’offerta di pace. Finire in pareggio ora che a fatica
sta per avere la meglio? No, niente accordo, niente armistizio ma guerra totale
fino alla fine, costi quel che costi.
‒ No. Non credo che noi due potremo mai intenderci, Io seguo l’etica del
Guardiano e tu l’etica del Guadagno. Io cerco di difendere il mondo da quelli
come te che vogliono impadronirsene. Siamo su sponde opposte, guai se ci
incontrassimo a metà del guado. Sarebbe come se le acque chiare di una
sorgente cristallina venissero inquinate dalle acque nere degli scarichi
industriali...
‒ Naturalmente la fogna sarei io… Touché... Sai che ti dico? Il mio vecchio
stomaco accaparratore si sta facendo sentire. Mi è venuta fame. È ora che il
mondo cambi, secondo la tua ottica, ma è anche ora di cena secondo la mia.
Favorisci? No? Peggio per te... Chi mangia da solo si strozza, ma chi mangia
in tua compagnia temo che si strozzi con le sue stesse mani... Passami il
burro...
‒ Prenditelo da solo, non sono la tua serva. La schiavitù è stata abolita e le
donne hanno ottenuto il diritto al voto.
‒ Ed è successo tutto questo di recente? – la continua a punzecchiare.
‒ Smettila di fare lo scemo.
‒ Quanto sei suscettibile, ragazzina!
Si siede al tavolo sul quale sono posati i cibi confezionati e le buste dello
shopping. E per rendere ancora più esplicito il suo disappunto si porta il
mangiare alla bocca sguaiatamente con le mani, dopo aver strappato le
confezioni coi denti e sputato il residuo di plastica in terra. Cheryll lo osserva
con aria schifata, storce le labbra:
‒ Non prendo ordini da te, anche perché si dà il caso che abbia il coltello
dalla parte del manico.
‒ Allora sei un tagliagole e non un angelo, ‒ borbotta Mr. Chomsky con la
bocca piena, masticando. ‒ Perfino l’Angelo Vendicatore dell’Antico
Testamento non usa il coltello del malandrino, né la pistola del brigante, ma la
scintillante spada della giustizia.
‒ Spiacente di essermi presentata in abiti borghesi, col tailleirino della
domenica... la prossima volta mi travestirò direttamente da Samurai. O da
cavaliere della Tavola Rotonda, quelli in cerca del Santo Graal e della Verità
Assoluta.
Mr. Chomsky finalmente inghiotte il cibo per infornarne subito un altro carico
da novanta.
‒ La verità è che la mia ricchezza dà fastidio ai mediocri, a chi non sa che fare
della propria esistenza e prova invidia per coloro che riescono ad emergere in
qualche campo. Come John Lennon che è stato assassinato da un pezzente
invidioso del successo di un grande uomo.
‒ Non mischiare le pietre coi diamanti, tu non sei Lennon. Lui ha avuto il
coraggio di dire le cose che pensava.
902
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ad esempio?
‒ Immaginati un mondo senza Dio e senza il Diavolo, un mondo senza inferno
e paradiso...
‒ Che mondo sarebbe? Un mondo privo di speranza... nel premio finale.
‒ Ora che hai le spalle al muro e il plotone d’esecuzione schierato davanti
parli di speranza? Dovevi pensarci prima, ormai è troppo tardi, caro!
‒ Va bene, non sarò come Lennon.. Però sono un grande imprenditore che ha
fatto una fortuna impensabile. Questa ricchezza è naturalmente frutto delle
mie qualità e delle mie capacità imprenditoriali, della mia intelligenza...
‒ Naturalmente? È forse naturale far morire milioni di bambini solo per fare
affari? Non voglio entrare in esempi concreti che sono sotto gli occhi di tutti,
ma la cosiddetta “naturalità” della ricchezza smodata mi fa ridere. Questa è la
vera barzelletta che ci state raccontando.
‒ Tu non sarai mai in grado di fare quello che ho fatto io...
‒ E neppure ci tengo. Anzi, io combatto quello che tu hai costruito.
Il vecchio mastica, inghiotte e ricarica la fornace senza sosta.
‒ Siamo dunque i protagonisti dell’eterna lotta del bene contro il male. Tu
nella parte del bene ed io, senza possibilità di scampo, dalla parte del male.
Come se avessi stretto un faustiano patto col diavolo per diventare il Magnate
che sono, il Genio della Finanza, Io!
‒ Non sono superstiziosa, ma sono convinta che in ogni ricchezza spropositata
vi sia lo zampino di Satana.
‒ C’è aria di Inquisizione nelle tue parole. La mia fortuna non è frutto di un
patto con Belzebù, ma il risultato della mia...
‒ Mia, mia, mia! Non sai dire altro? – esplode Cheryll.
‒ Ad esempio?
‒ Nostra, nostra, nostra! – ripete quasi istericamente la donna.
Un silenzio breve. Mr. Chomsky continua a mangiare e a bere vino rosso.
‒ Quindi secondo te la proprietà sarebbe un furto? – riprende tra un boccone e
l’altro.
‒ Sì. La proprietà dell’acqua che serve a dissetare l’umanità è un crimine.
‒ E se ti dicessi che anch’io in un certo senso faccio parte dell’etica del
Guardiano? Se non avessi chiuso la proprietà col filo spinato, i cacciatori
sarebbero venuti a far strage di selvaggina, invece la mia Proprietà è servita ad
evitare il depauperamento ambientale.
‒ Puerili giustificazioni di un sistema economico obsoleto, – taglia corto
Cheryll.
Mr. Chomsky non crede alle sue orecchie, gli sembra di aver udito
un’oscenità culturale, una bestemmia storia:
‒ Obsoleto il capitalismo?
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ENRICO BERNARD
‒ La gente non lavora più, perché ormai il mondo del lavoro si è
automatizzato. La produzione non ha più bisogno di uomini ma di robot e
schiavi!
‒ E che significa?
‒ Significa che il capitalismo è in crisi: chi compra, se nessuno più guadagna?
... Sai che diceva Carlo Marx del Capitalismo?
‒ Peste e corna, scommetto.
‒ Che non ci sarebbe neppure bisogno di combatterlo, perchè prima o poi cade
da solo. A furia di moltiplicare i profitti, arriverà ad un punto di non ritorno
come una Supernova che collassa in un buco nero. Fino a divorare se stesso.
Il Capitale non ha più nome. Non ha più ideologia, tranne quella del profitto
astronomico, non ha più nemmeno una patria, tranne quella dei paradisi
fiscali... È come un gioco virtuale di un computer, una specie di gigantesco
Monopoli elettronico che si svolge sul gran teatro del mondo.
‒ Hai ragione: la globalizzazione è avanzata a tal punto che, tanto per fare un
esempio, la fabbrica che produce le magliette No Global o quelle con la scritta
“Hasta la victoria siempre” o col bellissimo volto dell’eroe romantico Che
Guevara, beh... questa fabbrica tessile ha sede in Indonesia, profitta dello
sfruttamento minorile e ‒ senti senti ‒ è di mia propretà. Voi idealisti ve le
comprate e arricchite il sottoscritto che si fa due risate alla faccia vostra.
Coraggio, bevici su, prosit! – conclude con aria trionfante come chi ha svelato
il Settimo e più importante Segreto di Fatima.
Ma Cheryll è preparata all’attacco:
‒ L’uomo ad una dimensione di Marcuse. Il Capitalismo che ingloba e sfrutta
economicamente anche la protesta anticapitalistica.
‒ E va bene… ‒ sbuffa il vecchio capitalista, ‒ prendiamo per oro colato,
scusa l’abbinamento dissacrante, le profezie del Signor Marx. Ma allora, che
senso avrebbe ostacolare il processo inarrestabile del Capitalismo verso il suo
declino e del Capitalista verso la sua fine? Lasciami morire in pace, di
indigestione, per conto mio, nel mio letto, cavolo! Di vecchiaia, dico, tanto
manca poco, no?, allo storico momento in cui sorge l’alba dell’avvenire. Il
futuro!
Ora che il Capitalista si sente in corso di rottamazione, l’ultimo capitalista che
vende la corda con cui sarà impiccato come dice Marx, tira fuori il futuro, già
solo ora perché gli fa comodo. Cheryll è costretta a deluderlo:
‒ Il futuro è solo un buco nero, io vivo nel presente. Al tuo bulimico carpe
diem, al tuo egoistico slogan arraffa‒arraffa, io contrappongo un anoressico,
semplice suggerimento esistenziale: fa che la tua vita abbia un senso oggi,
nell’istante che vivi.
Mr. Chomsky tracanna l’ennesimo bicchiere di vino ed emette un rutto
bestiale, schifoso, che si lascia dietro un odore di formaggio mal digerito dal
suo stomaco intasato di veleni.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ammetto che sei molto preparata filosoficamente, ma sei altrettanto
disarmata... a parte la pistola, o dito puntato che dir si voglia, intendo in senso
generale, ‒ ad affrontare la situazione.
‒ Cioè?
‒ Come uscire da questa forma di Capitalismo senza capitalisti, cioè senza
uomini, che, lo dimostra la Cina, funziona perfettamente anche nei regimi
comunisti?
‒ Sei tu il cuoco: hai qualche ricetta? Io non ne ho, io ho solo l’azione
pratica... Come dicevo, il risultato non conta, conta il valore simbolico del
gesto, sentirisi viva dando l’esempio, scoccando la scintilla che fa partire il
motore...
‒ O che fa divampare l’incendio, come quello delle mie uova al bacon che
abbiamo spento prima che andasse a fuoco la casa…
Diventa paonazzo come se il fuoco divampasse ancora sul suo volto. Tossisce,
ma non smette di mangiare prendendo avidamente il cibo con le mani come se
volesse appropriarsene bestialmente sottraendolo a chiunque ne avesse
bisogno.
‒ L’alba dell’avvenire – pontifica Cheryll ‒ non la vedremo mai, né io né tu.
L’avvenire è qualcosa di irraggiungibile, confuso, lontano nel tempo. Meglio
toglierlo completamente di mezzo, abolirlo d’ufficio dal nostro orizzonte degli
eventi. Del resto, mentre gli umanisti pensavano al domani, gli uomini come
te hanno distrutto il presente in maniera irreversibile avvelenando e
ipotecando con la catastrofe planetaria anche il futuro.
‒ Abolisci pure quello che vuoi, il sole del mattino, la rugiada, i Campi Elisi e
le Settanta Vergini... Io intanto sai che faccio? Mi godo la vita finché posso.
‒ Strafogarsi, ingozzarsi come un porco secondo te sarebbe dunque godersi la
vita?
‒ Forse non sarà il massimo... ma è un modo come un altro per esorcizzare la
morte.
‒ Dai troppa importanza alla vita e, di conseguenza, temi troppo la morte.
‒ La vita è bella, per questo le dò importanza. Ci sono i suoni, i colori, le
forme... ci sono le donne... ci sei anche tu...
‒ E ci sono i soldi.
‒ I soldi non contano.
Cheryll a questo punto ha la netta sensazione che il vecchio stia bleffando.
‒ E sei proprio tu a dirlo!
‒ Lo so, è una contraddizione vantarsi di essere un ricco capitalista e sostenere
che i soldi non sono importanti, non sono tutto.... Prima viene il piacere e poi
tutto il resto. Ma per potersi godere pienamente la vita, ecco che tornano in
ballo i soldi. Senza i soldi non si fa niente e tantomeno si gode... Perché il
905
ENRICO BERNARD
tempo è denaro: solo il denaro concede la possibilità di avere il tempo per il
piacere, il godimento, l’estasi.
‒ Il piacere sarebbe dunque per pochi eletti, una specie di oligarchia del
sublime, un club di gaudenti... povero vecchio pazzo!
‒ Non ti intenerire. Vacci giù dura con me! – la incita Mr. Chomsky. ‒ Ormai
sono quasi arrivato al punto di non ritorno... sai quando l’aereo ha preso
velocità sulla pista e non può più frenare per interrompere il decollo, oppure
quando le rapide di un torrrente sono troppo forti per essere contrastate in
prossimità della cascata? Arriva un momento in cui si intuiscono i veri valori,
le vere priorità. E questo momento è arrivato anche per me.
‒ Lacrime di coccodrillo o storico annuncio in arrivo?
‒ Prendo solo il toro per le corna. Schiatterò, visto che è stabilito che schiatti,
strafogandomi di cibo... ‒ e scoppia a ridere.
‒ Non sei mai sazio?
‒ Deformazione professionale, mon cheri! Sono all’apice della catena
alimentare capitalistica.
‒ Allora la formula magica potrebbe essere quella di rovesciare la piramide.
Tu tiri la carretta e gli altri fanno baldoria.
‒ Le piramidi sono fatte per stare come sono, se le rovesci crollano.
‒ E allora si ballerà su un cumulo di macerie.
Continua il botta e risposta.
‒ Ci sarà sempre ‒ fa lui ‒ chi allunga una mano e si appropria di qualche
pietra per costruirsi la casetta a scapito degli altri approfittando del bene
comune.
‒ E noi gli taglieremo la mano! – è la drastica soluzione di Cheryll.
‒ Noi, chi?
‒ Io, tu, lui... noi… ‒ spiega la donna. ‒ Tutti coloro che vorranno farsi carico
di questo problema.
‒ E se fossero tutte le mani ad allungarsi? – è il lecito dubbio sollevato da Mr.
Chomsky.
‒ Noi le taglieremo tutte! ‒ è la salomonica conclusione che non convince il
vecchio uomo d’affari.
‒ Non ci è riuscita nemmeno la Rivoluzione Francese a ghigliottinare tutte le
teste... alla fine ha partorito un topolino come Imperatore.
‒ Ma quel topolino ha diffuso gli ideali di Libertà...
‒ Libertè, fraternitè, egalitè!... perepé! – è la celia del vecchio ormai
completamente ubriaco.
Ma Cheryll va avanti come un treno che può arrestare la sua corsa perché si
sono rotti i freni.
‒ Non c’è libertà senza eguaglianza. L’acqua è di tutti perché tutti hanno sete,
la terra è di tutti perché tutti hanno fame e bisogna nutrirsi tutti per
sopravvivere... Si chiama proprietà naturale e limita il tuo concetto di
proprietà privata.
906
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Ma la fame può essere più o meno grande, come la mia ad esempio che è
grandissima, rasenta la voracità... è la mia natura, che posso farci se sono
fatto così? Prenditela con madre Natura!
‒ Sei fatto così semplicemente perché la tua natura non è stata educata.
‒ Grazie, signora Maestra, ma ... Fai prima ad ammazzarmi... sono refrattario
alle cure ideologiche, politiche e morali...
Mr. Chomsky tossisce violentemente e smette finalmente di bere e mangiare.
Un silenzio lungo. Poi Mr. Chomsky versa due coppe di champagne e ne
porge una a Cheryll.
‒ Brindiamo?
‒ Non lo so se ho voglia di brindare con te. A che cosa vorresti brindare?
‒ All’amore, se non ti dispiace.
‒ Il tuo amore è a senso unico: tu ami soltanto i soldi.
‒ Forse ti sbagli... Forse sono ancora capace di provare qualcosa... magari
grazie al Viagra.
‒ È un chiodo fisso! Possibile che per voi uomini il sesso sia l’unico piacere
della vita?
‒ Non l’unico, ma... il principale.
Cheryll non riesce ad esimersi dall’impartirgli l’ultima lezione di vita.
‒ Le religioni monoteiste sono appunto espressioni dell’aggressività sessuale
maschilista e dello spirito accaparratore del capitalismo. Nelle società
matriarcali le divinità da venerare erano tutte positive, la Natura, la Madre
Terra... poi siete venuti voi al potere e avete fatto di Dio ‒ a partire da Zeus ‒
una specie di eiaculatore unico, addirittura santificando la procreazione del
figlio. Come se anche i cani non avessero lo sperma! E la lotta per lo
spargimento del seme ha scatenato le guerre che si fondano sul vostro sistema
economico. Avete creato un Mostro nell’Alto dei Cieli e questo mostro si
chiama: Il Dio Denaro.
‒ Allora brindiamo al Dio Denaro... Holy Money.
‒ No, abbasso il Dio Denaro... A morte il Dio Denaro.
‒ Ti prendo in parola… infatti sto morendo…
Cheryll è spiazzata dall’annuncio.
‒ Che c’è? Ti senti male?
Mr. Chomsky stenta a tenersi in piedi.
‒ Ho il diabete. In casa non c’è insulina, mi sono sempre curato con una dieta
strettissima. Ora invece mi sono strafatto di cibo. Tra poco entrerò in coma
diabetico. Sono fottuto. Aiutami a stendermi sul divano.
Cheryll lo aiuta a muovere qualche passo come farebbe una giovane badante
con un nonnino da accudire.
‒ Perché? ‒ domanda.
907
ENRICO BERNARD
‒ Per rovinarti il piacere di farlo tu: alla conclusione ci saresti arrivata
comunque. Sei qui per questo, no? Per vendicare il mondo, altro che storie!
Beh, mi sono tolto lo sfizio da solo, godendo per giunta di un’ottima tavola e
di una bella compagnia, anche se un po’ rompicoglioni...
‒ Detto da te, devo prenderla per una cortesia.
‒ Te lo meriti, lo dico in tutta sincerità. Sei in gamba, mi hai fregato... e
fregare me non è facile. Bisogna sempre riconoscere le qualità dell’avversario.
Dirò di più... e saranno le mie ultime parole... Se avessi avuto una figlia,
l’avrei fatta come te. Sei una grandissima stronza, saresti stata tutto tuo padre.
‒ Apprezzo l’autocritica finale.
‒ Ora puoi dirmi il tuo nome, il tuo vero nome.
‒ Il mio vero nome è Nessuno. Che vuol dire anche Tutti.
Mr. Chomsky ha ancora voglia di scherzare:
‒ Sembra il nome del rappresentante legale del consiglio di amministrazione
del genere umano...
‒ Il dinosauro obsoleto continua a sputare sentenza anche nel momento
supremo dell’estinzione.
‒ Ti prego. Un bacio... ‒ dice porgendole la fronte. ‒ Come a un vecchio
padre... per morire contento... in pace, forse non con se stesso, forse non col
mondo, ma almeno con te, ora che è venuto il mio turno...
Lei si china su di lui per stampargli un bacio sulla fronte:
‒ Sì, come ad un vecchio padre.
‒ Però non ti lascio un dollaro.
‒ Fottiti.
Cheryll non è stupida e naturalmente nutre qualche fondata riserva sul fatto
che la salute di Mr. Chomsky sia effettivamente a rischio. Ma ormai ha
comunque raggiunto il suo obiettivo, che era quello di “dare una lezione” al
vecchio capitalista. Nella foga del dibattito ha perfino dimenticato di essere in
possesso di una rivoltella che, come per magia, ricompare improvvisamente
tra le mani di Mr. Chomsky che, da moribondo, sembra tornare a vivere
gongolando come un gatto dalle sette vite.
‒ Cheryll... – la chiama puntandole la pistola. ‒ Sorpresa, non sono morto.
Oppure sono risorto. Perché io sono eterno, immortale, io sono il Dio Denaro,
Holy Money. Io sono io... e nessuno è all’infuori di me...
Nella campagna del verde e “weird”, cioè pazzo, Vermont rimbomba uno
sparo che a questo punto dovrebbe porre fine alla storia.
Tuttavia, le strade del Signore sono, come dice il proverbio, infinite. Ed
anche in questo caso, il Padreterno non vuole contraddire il vecchio adagio
“non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” che ha finora caratterizzato e
condizionato lo scambio continuo di ruoli, da preda a cacciatore e viceversa,
dei personaggi di questa storia. Per capirlo dobbiamo fare un piccolo salto
temporale in avanti; ed aggiornare la vicenda, quella del rapimento del
908
HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
miliardario conclusosi con uno sparo contro la rapitrice, all’anno successivo in
cui essa si è svolta.
Siamo ancora nel verde e sempre più “weird”, pazzo Vermont. Le colline,
dopo il rigido inverno e la coltre di neve che si è disciolta per riversarsi nel
lago solo alla fine del mese di aprile, sono tornate a risplendere del loro verde
sgargiante stile campo da golf. Il giardino del cottage di Mr. Chomsky è pieno
di fiori che sbocciano da stupende piante che prima non c’erano. È come se
una mano femminile avesse dato pochi ma sostanziali ritocchi all’idilliaco
quadretto montano che ora potrebbe tranquillamente finire su qualche
cartolina turistica.
Il vecchio riccastro è sprofondato in una vermontina, con un plaid sulle
ginocchia, un buffo cappellino di lana in testa e un grosso termometro infilato
in bocca. È visibilmente contrariato: per un po’ agita con la lingua lo
strumento che ha in bocca, non riuscendo a capire di cosa si tratti.
‒ Rose... Rose! Che ci faccio qui, in questa casa? Dove sono? E soprattutto
chi sono! E perché mi hai messo quest’affare in bocca... Cristo!, è da
mangiare o è da succhiare? Io adesso lo mordo... come ti chiami? Ah sì, come
il fiore... come la rosa... Rose!
Colpo di scena, peraltro abbastanza prevedibile per un attento lettore, compare
Cheryll che, smesso il nome di battaglia con cui si era presentata in minigonna
e pistola nascosta nella borsetta all’incauto e bavoso riccastro, si chiama
proprio come lo splendido fiore primaverile che ella stessa eguaglia in quanto
a bellezza e pericolosità delle spine.
‒ Non fare il vecchio bacucco, ‒ gracchia come se il vecchio la avesse
contagiata con la sua senilità ‒ non sei così scimunito da non sapere chi sei e
come ti chiami.
Mr. Chomsky ha lo sguardo ebete e fisso sul termometro che stringe tra due
dita della mano rugosa:
‒ Me lo mangio?
‒ Sei matto? Vuoi finire come un tonno al mercurio? È un termometro per
misurarti la febbre, tesoro.
‒ A me sembra un ciuccio.
‒ Esatto: serve a misurarti la febbre e a farti star buono per un po’. Tieni la
bocca chiusa.
‒ Non posso, è un termometro enorme.
‒ Hai la febbre dell’oro, caro. Ci vuole un supertermometro.
‒ Cristo, non sono in vena di scherzi!
‒ Ciuccia in silenzio, ti prego. Io ora devo fare due conti con l’Africa.
‒ Esatto – annuisce Cheryll, cioè Rose. ‒ Stiamo cercando di salvare l’Africa,
caro.
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ENRICO BERNARD
Il vecchio scuote la testa grigia e semicalva: ‒ Non ti ho sposata per questo.
‒ E perché allora mi avresti sposata? – lo sfida la ragazza.
‒ Per fare sesso, del volgarissimo sesso.
La provocazione non giunge a buon fine, poiché Rose, o Cheryll che dir si
voglia, scoppia in una risata sarcastica: ‒ Il sesso lo farai con la governante, la
paghiamo apposta il doppio perché tu possa allungare le mani, quando avrai
salvato l’Africa.
Mr. Chomsky sembra cadere dalle nuvole: ‒ Accidenti, non ti sembra di
esagerare? In fin dei conti abbiamo già salvato St. George!
‒ St. George è un piccolo villaggio di pastori. Gli abbiamo costruito una
fontana per fare abbeverare il bestiame.
‒ E che mi dici di… come si chiama.. Vattelappesca! – obietta lui.
‒ Non conosco Vattelappesca.
‒ Hai capito benissimo.
‒ Sì, lo so, ‒ ammette Rose. – Abbiamo costruito un ospizio per i pescatori di
perle del Pacifico. Ed anche un campo di calcio per i bambini del Tibet…
‒ Caspita , abbiamo spianato anche l’Everest!
‒ Tutte sciocchezzuole che non risolvono il problema centrale.
‒ E quale sarebbe questo problema centrale?
‒ L’Africa.
‒ Quella enorme macchia verde che sulle cartine geografica sta tra l’Atlantico
e l’Indiano?
‒ Effettivamente il progetto Africa invece è un po’ più grande di quelli che
abbiamo finora realizzato. Ma impegnando un po’ di risorse…
‒ Quanto ci costa il progetto Africa? – si preoccupa lui.
‒ Tutto, caro – risponde candidamente la fanciulla con un sorriso dal quale
l’uomo si sente incastrato come una rondella tra due bulloni.
‒ Che? Si può sapere quanto è grande questa cacchio di Africa?
‒ Oh, non tanto, non ti preoccupare.
‒ Quanto? – si allarma Mr. Chomsky come una gazzella che sente il passo
della tigre alle sue spalle.
‒ Circa un quinto delle terre emerse.
‒ A livello mondiale? Cacchio!
‒ Sì, ma abbiamo ancora un sacco di soldi da spendere.
‒ Questa è una buona notizia.
Ma le sorprese per Mr. Chomsky non sono ancora finite:
‒ Dipende… per il progetto Africa dovremo fare qualche sacrificio.
‒ Cioè?
‒ Niente di che… venderci qualche quadro, forse tutti, e ipotecarci la casa…
vuol dire che arrederemo le nude pareti con tutte le ipoteche che riusciremo a
fare per salvare il mondo… sai che bello?!
‒ Ohibò, dovremo impegnarci anche le mutande…? ‒ si preoccupa il
vecchietto ormai annichilito dalla notizia ferale.
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HOLY MONEY
Racconto di
ENRICO BERNARD
Dalla sua omonima commedia
‒ Non ti preoccupare, caro, nessuno ti sfilerà il pannolone dal sedere!
‒ Piuttosto, ho la strana sensazione che qualcuno mi stia infilando qualcosa
nel sedere… ‒ bofonchia lui con un ultimo slancio di orgoglio.
‒ È il termometro: te lo sei infilato da solo…tipica regressione infantile alla
fase anale. È proprio vero che i vecchi tornano bambini.
‒ Porco mondo, perché ti ho sposato? Non ricordo... Per farti spendere i miei
soldi? Per farmelo mettere in culo anche da vecchio, il termometro?
‒ Veramente mi hai prima sparato. Ma la pistola era carica a salve, perché io
non volevo farti alcun male ma solo darti un esempio, sbatterti in faccia la
realtà con tutte le sue contraddizioni tipicamente borghesi. Allora, preso dal
rimorso...
‒ Rimorso? Io non ho morso un accidente: non ho nemmeno la dentiera…
‒ Te l’ho tolta mentre dormivi per non farti mordere la lingua. E poi, che cosa
vorresti addentare, caro?
‒ Una tetta, una zinna, una mammella, un cocomero in piena di latte
materno…
‒ Per ora devi accontentarti del termometro.
‒ Il termometro adesso me lo ficco in culo per davvero – è l’ultima forma di
protesta che gli rimane.
‒ Fai pure ‒ minimizza lei ‒ tanto sei tu che dovrai rimettertelo in bocca
domani. ‒
‒Tu mi freghi sempre. Da quando sei entrata in questa casa mi hai solo
fregato. Ero un capitalista senza scrupoli, un famelico squalo della finanza!…
Invece ora sono un marmocchio costretto ad elemosinare la paghetta mensile,
mi hai rigirato come un pedalino. Nelle tue mani sono diventato… a
proposito, come mi chiamo? Dove sono? In ospedale? È casa mia? E tu, chi
sei? La mia infermiera? Posso permettermi tutto questo? Sono un morto di
fame? Posso morire con la consolazione che la mia vita ha sempre fatto schifo
e che quindi andarmene non è un peso per me?
‒ Caro, quanto sei caro quando fai il povero per farmi felice!
All’improvviso squilla il telefono. Parte la segreteria telefonica con la voce
registrata di Cheryll‒Rose:
‒ Non ci siamo o, se ci siamo, non vogliamo rispondere. Perché? Volete
sapere il perché? Perché state rompendo i coglioni. Non abbiamo bisogno di
nulla e di nessuno, tantomeno di suggerimenti pubblicitari o proposte di
investimenti finanziari. Tanto prima o poi il mondo sparerà una scorreggia
esalando l’ultimo respiro. Perciò fatevi i cavoli vostri come noi ci facciamo i
nostri. Capito? Andate a farvi fottere! Comunque, se proprio non potete farne
a meno, lasciate un messaggio… ma non sperate di essere richiamati… né
oggi né mai. Baci!
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