Francesco Massoni, Pasquale Ricci, Pierluigi

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Francesco Massoni, Pasquale Ricci, Pierluigi
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto
Editor in chief: Carlo Casonato
Steering Committee: Ro erto Bi , A to io D’Aloia
Scientific Committee:
Roberto Andorno, Vittorio Angiolini, Charles H. Baron, Alberto Bondolfi, Paolo Benciolini, Patrizia Borsellino, Roger
Brownsword, Massimiano Bucchi, Stefano Canestrari, Cinzia Caporale, Paolo Carrozza, Fabio Cembrani, Lorenzo
Chieffi, Ricardo Chueca Rodríguez, Roberto Conti, Roberto Dias, Frédérique Dreifuss-Netter, Gilda Ferrando, Francesca
Giardina, Stefano Guizzi, Stéphanie Hennette-Vauchez, Sheila McLean, Laura Palazzani, Barbara Pezzini, Cinzia
Piciocchi, Alessandra Pioggia, Anna Poggi, Carlo Alberto Redi, Fernando Rey Martinez, Stefano Rodotà, Carlos Maria
Romeo Casabona, Amedeo Santosuosso, Stefano Semplici, Paula Siverino Bavio, Mariachiara Tallacchini, Chiara
Tripodina, Gianni Tognoni, Paolo Veronesi, Umberto Veronesi, Paolo Zatti.
Associate Editors: Lucia Busatta, Marta Tomasi
Editorial Boards:
Trento: Simone Penasa, Elisabetta Pulice, Antonio Zuccaro.
Ferrara: Lucilla Conte, Patrizio Ivo D'Andrea, Gianmario Demuro, Anna Falcone, Pietro Faraguna, Margherita
Fiorentini, Andrea Lollini, Roberto Perrone.
Parma: Stefano Agosta, Giancarlo Anello, Lucia Brusco, Simone Gabbi, Gabriele Maestri, Valeria Marzocco, Erika Ivalù
Pampalone, Lucia Scaffardi, Michele Tempesta, Paola Torretta.
Email: [email protected]
Website: www.biodiritto.org/rivista
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June 2015
ISSN 2284-4503
© Copyright 2015
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century b.C., on permission nr. 15/2014 by
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Cover design: Marta Tomasi
th
Table of contents
Table of contents
Editorial ............................................................................................................
1
Cinzia Piciocchi
FORUM
IL NUOVO CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA
Introduzione .....................................................................................................
7
Elisabetta Pulice
Intervista ..........................................................................................................
17
Ivan Cavicchi
Forum ...............................................................................................................
27
Francesca Giardina, Andrea Nicolussi, Silvio Garattini, Sara Patuzzo, Paolo
Benciolini, Lorenzo d’Ava k, Davide Mazzon e Al erto Giannini, Maurizio Benato
Conclusioni. L’autono ia del edico e il rischio dell’eterodeterminazione. A proposito del nuovo Codice di Deontologia Medica .............................
47
Antonio Da Re
ESSAYS – SAGGI
In merito alle procedure che permettono di correggere le anomalie mitocondriali del nascituro: questioni etiche e prospettive giuridiche.................
61
Maurizio Balistreri
Mitochondrial Dna Transfer. Some Reflections From The United Kingdom .
81
Sheila A.M. McLean
La maternità surrogata: tra gestazione altruistica e compravendita
internazionale di minori ..................................................................................
89
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Marco Rizzuti
Frontiere del corpo, frontiere del diritto: intersessualità e tutela della
persona.............................................................................................................
109
Anna Lorenzetti
Medical decision-making on behalf of a patient who lacks capacity when
treat ent is dee ed to e futile : who ought to determine that a
treatment is futile, and how ought this decision to be made? ......................
Gregory Dollman
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
129
Contents
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto
n. 2/2015
Contents
Table of contents
Considerazioni sull’uso terapeutico di canna is o delle ragioni della
compassione ....................................................................................................
163
Vitulia Ivone
Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento .............
193
Stefano Rossi
PERSPECTIVES – PROSPETTIVE
Tutela della salute e sanità pubblica: il contributo del Codice di Etica
dell’Istituto “uperiore di “anità.......................................................................
217
Alberto Maria Gambino e Carlo Petrini
Le cure di fine vita in Italia: il problema e la sua possibile soluzione nella
prospettiva dei clinici .......................................................................................
227
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
A Reply to John Keo n’s Criticism of the Effectiveness of the Assisted
Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon ..........................................
235
Matteo Orlando
COMMENTARIES – NOTE E COMMENTI
La ayuda médica a morir como derecho fundamental. Comentario crítico
de la sentencia de la Corte Suprema de Canadá de 6 de Febrero de 2015,
asunto Carter v. Canadá ..................................................................................
245
Fernando Rey Martínez
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata: la parola
alle sezioni unite ..............................................................................................
261
Lucilla Conte
Le nozioni di emissione deliberata, immissione in commercio e coltivazione di ogm: commento critico alla direttiva 2001/18/CE alla luce della
direttiva 2015/412/UE .....................................................................................
273
Eugenio Caliceti
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Di una malintesa idea di libertà, per un rinnovato senso di responsabilità
Cinzia Piciocchi
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N
ella definizione del rapporto tra diritto e
scienza, emergono spesso gli spazi di lie tà ga a titi all’i dividuo.
Parlamenti e giudici si debbono occupare dei confini della libertà di scelta delle persone in rapporto a ciò che la scienza rende possibile, individua do e defi e do gli spazi all’i te o dei uali
si esercita la scelta su come curarsi, come procreare, come morire, come intervenire sul proprio corpo, ad esempio con un mutamento di sesso o di carattere estetico.
Alcune di queste libertà seguono un percorso simile: la scienza apre nuove possibilità, i Parlamenti spesso non intervengono ed i giudici sono
chiamati ad individuare la disciplina di situazioni
che concretamente accadono, a fronte delle lacune giuridiche. La giurisprudenza anticipa principi, che saranno poi talvolta accolti dalle leggi
successive, interpretando le norme giuridiche esistenti – talvolta risalenti nel tempo – per garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali
in gioco. Questo fenomeno accade in diverse occasioni: ad esempio in relazione ai nuovi legami di
filiazione resi possibili dalle tecniche di procreazione medicalmente assistita, a fronte di famiglie
che si costituis o o all’este o g azie a egole diverse da quelle italiane e che in Italia poi tornano,
rappresentando una realtà che rivendica un riconoscimento giuridico.
A volte, il cambiamento di fronte al quale il diritto
è chiamato a rispondere non è provocato dalla
scienza, ma è di natura sociale: ne sono stati tipici
ese pi i iflessi dell’e a ipazio e fe
i ile i
tema di diritto di famiglia, di lavoro e di autodeterminazione in ambito procreativo. In questi casi
non si chiede al diritto di colmare una lacuna, ma
di recepire il cambiamento sociale e di farsi interprete delle nuove sensibilità, che richiedono
l’i dividuazio e e la tutela di di itti e li e tà. Anche in queste ipotesi la risposta giurisprudenziale
a ti ipa talvolta uella legislativa, o ’è a aduto nelle diverse pronunce delle Corti costituzionali degli a i ’7 he, i p ospettiva o pa ata,
hanno aperto la strada alla legalizzazione
dell’a o to.
L’i dividuazio e della violazio e di situazio i giuridiche tutelate può poi condurre ad un vero e
proprio mutamento di fisionomia delle leggi,
quando queste non si siano fatte sufficientemente carico del bilanciamento dei diritti in gioco o,
in alcuni casi, della loro stessa tutela (tipicamente: la salute). Il secondo numero del 2014 di questa Rivista ha reso evidente tale percorso con riferimento alla legge n. 40 del 2004, rispetto alla
uale si è assistito ad u ’ope a de olito ia ondotta dalla giurisprudenza di merito e costituzionale, anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte europea di Strasburgo secondo un tracciato
che, ad oggi, non è ancora terminato.
In questi ambiti, i parametri utilizzati
ell’i dividuazio e dei di itti e delle li e tà i gioco e della loro eventuale violazione si costruiscono attraverso il riferimento costante alla scienza,
che rappresenta un territorio con il quale il diritto
dialoga, definendone i confini esterni, costituiti
dall’episte ologia su ui essa si fo da, ma affidando la determinazione dei contenuti interni a
regole sue proprie, di fronte alle quali il diritto si
arresta.
Sono determinati dalla scienza (sebbene in modo
non esclusivo) i parametri che intervengono nella
definizione di che cosa integri tutela della salute,
o di che cosa ide tifi hi l’effi a ia di u a te apia,
individuando quindi ciò che il servizio sanitario è
tenuto a dispensare, e che cosa invece si trovi al
di fuori di tali concetti.
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Editorial
Di una malintesa idea di libertà, per
un rinnovato senso di responsabilità
1
Editorial
2
Cinzia Piciocchi
I confini di questo territorio devono essere allora
chiaramente riconoscibili, per un motivo tanto
semplice quanto importante: di fronte ad essi il
potere legislativo è tenuto ad arrestarsi, secondo
quanto affermato dalla Corte costituzionale a
partire dalla nota sentenza n. 282 del 2002.
L’i lusio e di dis ipli e fo date su episte ologie diverse (e talvolta anche di difficile individuazione) rispetto a quella scientifica, infatti, compo te e e u ’alte azio e dei o fi i he deli itano il potere legislativo, prima ancora di definire
il circuito sanitario.
In questo dialogo articolato – tra diritto, scienza e
società – il principale elemento di complessità è
spesso individuato nella rilevanza etica delle questioni in gioco, che è assunta alla base
dell’i possi ilità di t ova e norme giuridiche
compatibili con tutte le diverse posizioni, specie
se queste siano tra di loro antitetiche o percepite
come tali.
Lo scontro politico, sociale e giudiziario che ha
accompagnato molte delle vicende sorte in ambiti eti a e te se si ili o più se si ili degli alt i,
visto che risulta difficile a pensare ad una tematica totalmente sguarnita di implicazioni morali) e
l’a pio di attito sorto, specialmente riguardo alla fine della vita, certamente non smentiscono
questo dato.
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Le medesime vicende, però, offrono anche una
chiave di lettura ulteriore, che nasce da un conflitto più sotterraneo e forse anche più profondo,
rispetto a quello talvolta u lato dello s e ario
pubblico.
Il rapporto tra diritto e scienza pare profondamente influenzato dalla dimensione collettiva dei
diritti e delle libertà che, pur garantiti singolarmente, hanno ricadute non solamente individuali
ed il cui riconoscimento può porsi in contraddizione con i diritti stessi in una prospettiva genera-
le. Queste due dimensioni, individuale e collettiva, coesistono, ma la loro percezione si pone su
piani diversi, talvolta disallineati.
L’espe ie za della alattia ad esempio, sia che
incida sulla nostra salute, sia che coinvolga i nostri affetti, è qualcosa di personalissimo, che viviamo secondo dinamiche differenti, talvolta
drammatiche e dirompenti e che possono finire
pe asso i e l’i te o f a
e to di te po della
nostra vita he s’i te se a o la o dizio e patologica.
Quando questo ac ade, o ’i te essa sape e se
la partecipazione alla sperimentazione di un farmaco potrà essere utile su larga scala, o per qualcun altro dopo di noi, né se le informazioni acquisite con la nostra eventuale partecipazione potranno essere preziose per iniziare un altro studio. Speriamo – quasi sempre – che sia utile per
noi, per il nostro caso personale, che ci consenta
di nutrire una speranza che rappresenta essa
stessa u ’esige za, talvolta anche indipendentemente dalla sua plausibilità: può non essere così
rilevante sapere se servirà, o se si rivelerà una
speranza effimera o uno spreco di denaro pubblico.
Nelle scienze della vita e nelle scelte di politica
sanitaria la prospettiva è invece diversa, poiché le
due dimensioni coesistono e si presuppongono.
Da u lato sussiste l’atte zio e pe la pe so a,
che va non solo curata, ma anche accompagnata
nel percorso della malattia, secondo itinerari che
possono essere diversi, nel rispetto della biografia di og i si golo i dividuo. Ma ’è a he u a
dimensione più ampia, in cui si guarda alle malattie ed alle cure in una prospettiva collettiva per
studiarle, capirle e, auspicabilmente, curarle.
Le sperimentazioni, ad esempio, guardano ai numeri (più o meno grandi), secondo percorsi codificati che debbono avere come punto di partenza
presupposti scientifici, elementi insomma che
non hanno a che fare con la speranza ma con la
s ie za, o o l’e otività a o la azio alità
e che potrebbero non rivelarsi utili direttamente
al singolo, ma in prospettiva generale, permettendo di acquisire dati preziosi su larga scala.
Le scelte di politica sanitaria sono improntate a
uesti ite i, i pa ti ola e ell’allo azio e delle
risorse.
Queste due prospettive, l’u a i dividuale e l’alt a
collettiva, possono fondare percezioni diverse di
ciò che sia utile perseguire, di ciò a cui andrebbero destinate le risorse ed anche di ciò che dovrebbe costituire diritto (o meglio pretesa) o libertà.
La distinzione tra questi due concetti, in particolare, diventa cruciale poiché al riconoscimento
della libertà di costruire la propria personale concezione di salute e di cura in relazione a discipline
o fo date sull’episte ologia s ie tifi a, può
o o segui e l’i lusio e di esse nel circuito
sanitario, che non è tenuto a dispensare né a sostenere economicamente scelte di questo tipo.
Libertà e pretesa possono quindi non coincidere,
e uesto avvie e ell’i te esse ge e ale: non si
tratta di paternalismo ma di scelte necessitate.
È vero che il riconoscimento di una libertà merae te egativa si passi la se plifi azio e) può
finire per svuotarsi di significato, rivelandosi
sguarnita di effettività se le scelte compiute dagli
individui non trovino poi riconoscimento nel servizio sanitario nazionale, con un sostegno economico o con la possibilità stessa di reperire metodi e p ofessio isti, he sia o alt i ispetto alla
scienza.
Ma così non può che essere, poiché se ognuna di
quelle libertà individuali fosse riempita di conteuto positivo – ed è questo il punto – le ricadute sarebbero anche collettive, andando ad incidee sia sull’allo azio e delle iso se, sia su uei
confini che presidiano il territorio scientifico ed al
o te po e app ese ta o la agio d’esse e,
della propria autonomia e soprattutto del limite
che essi pongono al potere legislativo.
La scienza fornisce il raccordo tra quella dimensione individuale che bene abbiamo presente e la
dimensione collettiva che si scorge forse con più
difficoltà, specie quando il nostro orizzonte si restringe sulla nostra condizione personale (né,
spesso, potrebbe essere altrimenti).
Quando i circuiti giuridico e politico non riescono
a farsi carico della discrasia tra queste due dimensioni, la loro diversa percezione può determinare ciò che la Corte costituzionale ha ben des itto ella se te za elativa al aso “ta i a
come «particolare situazione fattuale», «anomalo
contesto», «circostanze peculiari ed eccezionali»,
di ui l’o di a e to deve o unque farsi carico
ex post.
Queste considerazioni non valgono però solo nel
caso del diritto alla salute o specificatamente del
diritto alle cure, cioè di quei diritti che palesee te osta o ; poi h anche diverse libertà
posso o ave e u
osto .
Penso ad esempio alle recenti controversie in tema di obiezione di coscienza da parte dei professionisti sanitari in cui, a fronte dell’ese izio di
una libertà legittima e costituzionalmente tutelata – la libertà di coscienza – si rivendica
l’este sio e ad atti he si ollo a o ate ial ente sempre più lontano dalle pratiche eticamente
controverse. Questo percorso a ritroso, invocato
in nome della propria libertà, trascura che la contiguità t a l’atto oggetto di o iezio e e la p ati a
ritenuta eticamente inaccettabile serve a garantire quei confini che mantengono la riconoscibilità
del rapporto tra regola (obbligo giuridico) ed eccezione (obiezione di coscienza), cioè di quei crite i he e do o soste i ile l’ese izio della li ertà di coscienza stessa, anche alla luce della posizione dei terzi coinvolti (in particolare: le donne
he i o o o all’i te uzione volontaria di gravidanza).
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3
Editorial
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Di una malintesa idea di libertà, per un rinnovato senso di responsabilità
Editorial
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Cinzia Piciocchi
Ancora una volta, le rivendicazioni che si collocano nella propria personale concezione di libertà
possono finire per rivelarsi contraddittorie in una
prospettiva più generale, poiché la sostenibilità
rappresenta una garanzia di entrambe le dimensioni: sia di quella individuale, sia di quella collettiva.
Queste due dimensioni si presuppongono a vie da e, ua do uest’aspetto è t as u ato, i
pare si rientri in una malintesa idea di libertà in
ui l’aspi azione, il desiderio, la speranza ambiscono a sostanziarsi in pretesa.
Si costruisce allora una semantica della libertà
dissociata da un senso di responsabilità collettiva,
che imporrebbe invece di accettare che – come
ricorda Sheila McLean – scelte, diritti e libertà
possano non coincidere, ell’i te esse generale.
Una parola aleggia alle spalle di queste considerazioni, ma è abusata. Eviterò quindi di parlare di
solidarietà.
Può però essere opportuno richiamare e promuovere l’idea di u it ovato se so di espo sabilità collettiva, che si collochi in un orizzonte anche culturale.
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Si tratta allora di un discorso culturale più ampio
e non solo giuridico: il diritto da solo non basta.
La consapevolezza della necessità di una responsabilità collettiva si costruisce lavorando su fronti
diversi, a partire dai professionisti che operano
ell’a ito sa ita io e dai i uiti – istituzionali e
politici – che concorrono nelle scelte in materia.
Mi pare che i contributi raccolti in questo secondo numero del 2015 del BioLaw Journal-Rivista di
BioDiritto gua di o o u ’atte zio e ua to ai
opportuna agli strumenti di tale percorso, in una
prospettiva corale che considera il rapporto tra i
diversi attori: i professionisti sanitari, il contesto
so iale, il i uito politi o, l’a ito giu idi o.
“op attutto, si gua da all’i dividuazio e degli
strumenti che non risiedono solo nei canali politi-
ci di formazione delle norme giuridiche, ma anche
nelle fonti che danno voce ai diversi attori coinvolti.
Strumenti delicati, difficili da maneggiare, eppure
preziosi.
Questo numero della Rivista è ampiamente dediato ad al u i di essi, i pa ti ola e all’eti a ed
alla deontologia professionale, sulle quali si confrontano il contributo relativo al codice di etica
dell’Istituto Superiore di Sanità (2015), ed il Forum iniziale, interamente dedicato al codice di
deontologia medica, approvato nel corso del
2014. Diversi sono i pareri emersi in relazione a
uest’ulti o, osì o e diffe e ti so o le potenzialità e le problematiche oggetto di considerazione, ma è possibile individuare anche alcune
chiavi di lettura comuni, che sembrano rimandare
– in modi diversi – all’idea sop a a ennata di una
riflessione corale, più ampia rispetto ai singoli attori coinvolti, in un orizzonte di responsabilità
condivisa. In tale orizzonte, la deontologia assume un ruolo cruciale, che il Forum – pur nelle diverse prospettive avanzate – bene evidenzia: dalla definizione di atto medico a quella di relazione,
sino a giunge e alla ozio e stessa di
alato .
Nessuna di queste definizioni presenta una connotazione esclusivamente medica, etica o sociale,
ma ognuna di esse è la risultante di elementi diversi, la cui convergenza è talvolta di difficile individuazione. Le medesime definizioni, poi,
s’i te se a o i evita il e te
o
il te a
dell’allo azio e delle iso se, dal uale o si può
p es i de e, pu ella o sapevolezza he azioalizzazio e e azio a e to sono due concetti
distinti.
La radice di tale consapevolezza mi pare riconducibile principalmente proprio alla deontologia
professionale.
“i il e te può esse e i te p etata l’atte zio e
dedicata – sia nei contributi raccolti nel Forum,
sia negli articoli – alle definizioni, alla loro importanza, nella piena coscienza del peso delle parole.
A più ip ese e e ge l’atte zio e alla vale za ulturale del diritto che alle volte può servire per
«dire mai più» (come nel caso degli OPG), o per
o t i ui e a defi i e u ’idea di ispetto della
persona, capace di contrastare il concetto di necessaria «normalizzazione del corpo» (come nel
aso dell’i te sessualità).
L’atte zio e agli i te essi i gio o passa poi pe la
definizione di concetti come il «best interest» dei
pazienti, il «posthumous interest» ell’a ito
della donazione degli organi, o la genitorialità nelle sue trasformazioni.
Ed ancora, diritti e libertà possono dipendere dal
contenuto con cui si riempie la definizione di «futility» dei trattamenti, o dalla capacità
d’i dividua e la disti zio e i po ta te) t a il
concetto di «eutanasia» e quello di «limitazione
terapeutica». Sono termini la cui comprensione
passa spesso per un processo contrastivo, poiché
il sig ifi ato att i uito all’u o dipe de
dall’este sio e dei o fi i dell’alt o ed alla lu e
della loro interazione si comprende poi in che cosa consistano, a loro volta, termini ulteriori ed alt etta to i po ta ti, o e l’eve tuale di e sioe pate alisti a dell’agi e edi o.
La medesima attenzione non si riscontra spesso
nel linguaggio comune in cui, alle volte, i termini
nascono con connotazioni tanto precise quanto
fuorvianti, lontani dai concetti ai quali essi sono
riferiti, falsandone la percezione e, prima ancora,
il momento del ragionamento dal quale le definizioni hanno origine (ad esempio: chi potrebbe
sentirsi con la coscienza a posto mettendo al
mondo quello che larga parte della dottrina persiste el defi i e o e bébé médicament ?).
Gli i te p eti del di itto, gli ope ato i dell’a ito
sanitario e più in generale gli attori coinvolti non
possono riproporre queste dinamiche, poiché tale superficialità non è loro concessa.
Con grande attenzione, invece, i contributi raccolti i uesto u e o a o ta o u ’attualità, he
è complessa e spesso di difficile decifrazione,
spe ie pe hi s’i peg i osta te e te in un dialogo interdisciplinare, in cui rinunciare alla comprensione di ciò che è altro da sé non è mai un
ali i e eppu e u ’opzio e.
La medesima cura si riscontra anche nel lavoro
della redazione trentina, responsabile del presente numero; attenta e competente in questa come
in tante altre occasioni: approfitto di
quest’edito iale pe i g azia la.
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Di una malintesa idea di libertà, per un rinnovato senso di responsabilità
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
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Elisabetta Pulice
Assegnista di ricerca in diritto pubblico comparato, Università di Trento
Le scelte, così come i silenzi, di un codice deontologico sono destinati ad avere risonanza e implicazioni tanto più grandi, quanto più ampia è
la sfera di diritti, interessi e attori sui quali
l’attività p ofessio ale he si i te de egola e
può incidere. A maggior ragione se si tratta di
u a fo te alla uale l’o di a e to giu idi o iconosce, direttamente o indirettamente, rilevanza anche al di fuori della categoria professionale di riferimento. Ancora di più in ambiti
che, per loro natura e intrinseca complessità,
i hiedo o l’appo to di più o po e ti o ative e di saperi diversi.
La deontologia medica racchiude certamente in
sé queste potenzialità e, tra le deontologie delle
professioni liberali, è forse quella il cui codice
suscita attualmente maggiore attenzione critica
da parte delle diverse sensibilità e discipline
che, a vario titolo, convergono sul suo stesso
te e o: la egola e tazio e dell’attività edica.
È alla luce di questi aspetti e dei dibattiti che ha
sollevato l’adozio e del uovo odi e di deo tologia medica, che la Rivista di BioDiritto ha deciso di dedicare un intero Forum alla riflessione
interdisciplinare sui profili di maggiore novità
del nuovo testo, anche in riferimento alle versioni precedenti.
Se, in termini generali e in molti ambiti, il rapporto tra diritto e deontologia è caratterizzato
da numerose interazioni e reciproche influenze,
nel più specifico intreccio di fonti che caratterizza la disciplina delle scienze della vita, il codice
di deontologia medica ricopre infatti una posizione del tutto particolare, in ragione sia delle
spe ifi ità dell’oggetto del iodi itto1, sia delle
peculiarità che la fonte deontologica ha assunto, soprattutto nella sua più recente evoluzione.
“e e può dis ute e l’a piezza, il o te uto, la
concreta portata e la stessa opportunità, ma un
dato è innegabile in tale evoluzione: la progressiva estensione degli ambiti di intervento e la
contestuale apertura alla tutela dei diritti fondamentali della persona assistita. Il codice di
deontologia medica ha infatti cominciato a dare
risposte ad alcune delle questioni più controverse dal punto di vista etico, professionale, ma
anche giuridico e, parallelamente, ha ampliato
l’atte zio e alla tutela della pe so a assistita e
posto, almeno sul piano formale, al centro di
olte sue o e l’allea za te apeuti a. Il odice deontologico è così progressivamente uscito
da una dimensione meramente interna alla categoria professionale e, accanto alle funzioni
tradizionali della deontologia medica, ha assunto nuovi potenziali ruoli come fonte di disciplina
ell’a ito del iodi itto. No a aso è es ente l’atte zio e che la giurisprudenza italiana, sia
costituzionale sia di legittimità, riconosce
all’auto o ia p ofessio ale e alla dis ipli a
deontologica. Inoltre, nel silenzio o nei ritardi
del legislatore italiano, il codice di deontologia
medica ha rappresentato, e tuttora rappresenta, insieme ai principi costituzionali, una delle
poche discipline di riferimento, anche in questioni particolarmente delicate e spinose.
Alla luce di queste potenzialità, la norma deontologica presenta, da un lato, una maggiore
flessibilità e duttilità nel coordinare, nel caso
concreto, la tutela dei diritti della persona assistita o l’auto o ia e espo sa ilità del edico, chiamato ad agire in base del suo convincimento etico e professionale. Inoltre, la norma
1
C. CASONATO, Evidence Based Law. Spunti di riflessione sul diritto comparato delle life sciences, in BioLaw Journal, 1, 2014, 179 ss.
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Forum
Introduzione
7
Forum
8
Introduzione
La p ospettiva offe ta dall’a alisi della ifo a
presenta quindi un duplice vantaggio.
Permette innanzitutto di mettere in luce le difficoltà di intervento, anche a livello deontologico,
su alcuni temi eticamente e professionalmente
sensibili; e da questo punto di vista, proprio
l’i te dis ipli a ietà ed ete oge eità dei o t ibuti al Forum consente di cogliere i vari profili di
criticità che le diverse sensibilità e professionalità mettono in rilievo, in maniera non necessariamente univoca. La valutazione della riforma
offre inoltre la possibilità di analizzare in prospettiva dinamica un ambito in cui la complessità delle tematiche e delle risposte normative
alle scienze della vita si interseca con le peculiarità delle relazioni tra il codice deontologico e le
altre fonti del diritto e con le specificità dei rapporti tra Stato e professione.
A tal fine è però importante tratteggiare almeno
nelle linee essenziali il ruolo che il codice deontologico può avere nel sistema delle fonti del
diritto italiano ed evidenziare, attraverso uno
sguardo anche ad altri ordinamenti europei, i
punti di forza e le debolezze del modello italiano, alla luce dei quali contestualizzare i rilievi
critici e le potenzialità del nuovo testo, sottolineati dai contributi.
Benché il rapporto tra normativa deontologica e
(bio)diritto sollevi questioni simili in molti ordia e ti giu idi i, l’a alisi o pa ata ivela infatti l’esiste za di u a va ietà di soluzio i e odelli molto diversi dal punto di vista sia formale
sia sostanziale, soprattutto con riferimento alla
natura giuridica dei codici deontologici e al loro
ingresso nel complessivo sistema delle fonti del
diritto, in ragione della diversa evoluzione storica, culturale, professionale, legislativa e giurisprudenziale che interessa i rapporti tra la dimensione statale e la professione medica2.
2
Pe u ’a alisi o pa ata del uolo della deo tologia, si permetta il rinvio a E. PULICE, Il ruolo della
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giuridica, in particolare quella legislativa, può
intervenire in termini generali e astratti ed è
proprio dove il diritto non può arrivare che
spetta alla deontologia precisare e definire ulteriormente, nel concreto, i doveri del professioista. Dall’alt o lato, pe ò, la deo tologia è, e
rimane, espressione di una sola delle prospettive che interagiscono nella relazione di cura e
nella dis ipli a dell’attività edi a: uella della
categoria professionale. Il rischio può quindi dive i e uello dell’auto efe e zialità o della
chiusura corporativistica. Gli spazi lasciati alla
normativa deontologica trovano inoltre nel
principio democratico un limite sia sostanziale
sia formale. Ancora più complessa è infine la ricostruzione dei rapporti tra codice deontologico
e diritto (ampiamente inteso, comprensivo
quindi di tutte le sue componenti, dalla legge,
alla Costituzione, dalla normativa sovranazionale e internazionale, alla giurisprudenza).
Da questo punto di vista, il momento della riforma del codice, scelto come occasione per il
Forum, offre una prospettiva di analisi particolarmente interessante.
Le modifiche al codice di deontologia medica
as o o i fatti dall’esige za di adegua e il
contenuto ai mutamenti che interessano la
scienza e la professione medica e che possono
scaturire tanto dal progresso tecnico-scientifico,
ua to dall’evoluzio e del o testo ultu ale e
normativo. Nonostante la competenza completamente interna alla categoria professionale, la
riforma del codice è quindi inevitabilmente influenzata sia da elementi esterni alla professione, tra i quali un ruolo importante è svolto
dall’evoluzio e – o mancata evoluzione – della
normativa di riferimento; sia dalle scelte interne
alla professione in relazione non solo ai contenuti delle singole norme, ma anche al ruolo da
assumere rispetto al diritto e alle nuove sfide in
ambio medico.
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deontologia edica nel siste a delle fonti: un’analisi
comparata. Le rôle de la déontologie médicale dans
les sources du droit : Analyse comparée, TrentoNanterre, 2014, tesi di dottorato in via di pubblicazione sul sito http://www.theses.fr/2014PA100101,
da cui sono tratte molte delle considerazioni che seguono.
3
Per un approfondimento di veda, ad esempio, V.
CABROL, La codification de la déontologie médicale, in
Revue générale de droit médical, 2005, vol. 16, 103123.
4
Per la distinzione tra déontologies étatiques e déontologies extra-étatiques si rimanda a J. MORETBAILLY, Les déontologies, PUAM, 2001.
stessa posizione nella gerarchia delle fonti del
diritto5.
In altri ordinamenti invece la valenza giuridica
del codice deontologico rimane confinata, almeno formalmente, all’a ito del di itto p ivato. In Svizzera, ad esempio, il codice deontologico dei medici è adottato dalla Fédération des
médecins suisses, appu to u ’asso iazio e di
diritto privato6.
Rispetto agli ese pi he e e go o dall’a alisi
comparata, nell’o di a e to italia o la uestione della natura giuridica o meno della norma deontologica risulta quindi più problematica
e per alcuni aspetti ancora controversa. Non
esistono infatti norme che espressamente indichino la forma giuridica che il codice deontologico deve assumere, o che ne definiscano la posizione nella gerarchia delle fonti, come avviene, ad esempio, in Francia o in Germania. Nella
legislazione professionale, inoltre, non compare
nemmeno un espresso riferimento al compito
degli ordini professionali di elaborare ed emanare un codice deontologico, bensì solo un generico riferimento alla loro funzione di vigilare
sul de o o e l’i dipe de za della p ofessione.
Dal punto di vista strettamente formale, la
deontologia rimane quindi uno strumento interno alla categoria professionale e infatti in base all’orientamento tradizionale della Corte di
Cassazione, espresso ad esempio anche nella
sentenza n. 10842 del 2003, «le disposizioni dei
5
Si veda, tra gli altri, R. RATZEL, H.-D. LIPPERT, Kommentar zur Musterberufsordnung der deutschen Ärzte (MBO), Fünfte Auflage, Springer, 2010.
6
Il codice deontologico è reperibile al seguente indirizzo:
http://www.fmh.ch/fr/de_la_fmh/bases_juridiques/
code_deontologie.html. Cfr., inoltre, « Bases juridiques pour le quotidien du médecin», 2° ed., 2013,
edito a u a dell’Académie Suisse des Sciences Médicales e dalla Fédération des médecins suisses
(http://www.fmh.ch/files/pdf12/Rechtliche_Grundla
gen_2013_F.pdf).
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Forum
In alcuni ordinamenti è la legge statale a prevedere espressamente la forma giuridica che il codice deontologico deve assumere e quindi la
sua posizione tra le fonti del diritto.
In Francia, ad esempio, il codice di deontologia
medica è adottato sotto forma di décret en Conseil d’Etat ed è attualmente integrato nella parte regolamentare di un codice statale, il code de
la santé publique3, venendo così classificato dalla dottrina tra le deontologie definite étatiques
(statali)4.
In altri ordinamenti il riferimento a una fonte
statale non porta però necessariamente alle
stesse conseguenze sulla natura giuridica del
codice deontologico. In Spagna, ad esempio, il
codice di deontologia medica è semplicemente
richiamato negli Estatutos generales del Consejo General de Colegios Oficiales de Médicos ,
allegati a una fonte statale, il real decreto.
Nell’o di a e to tedes o, i og i Land il codice
professionale medico (ärztliche Berufsordnung)
è adottato, sulla base della rispettiva legislazione professionale, con la forma della fonte tipica
(Satzung) degli enti di diritto pubblico cui appartengono gli ordini professionali (Körperschaften
des öffentlichen Rechts), assumendone così la
9
Introduzione
Forum
10
codici deontologici predisposti dagli ordini (o
dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non hanno né la natura
né le caratteristiche di norme di legge»7; esse
sarebbero infatti «precetti extragiuridici ovvero
regole interne alle catego ie e o già […] atti
normativi»8.
Ciò nonostante, come già accennato, è innegabile che anche in Italia la funzione del codice di
deontologia medica non possa più essere confinata a quella tradizionalmente propria degli
strumenti di autoregolamentazione che esauris o o la lo o ileva za all’i te o della atego ia
professionale.
Per richiamare brevemente le ipotesi più salienti a conferma del fatto che il codice di deontologia medica debba essere più correttamente
inteso come un corpus di norme che supera la
connotazione meramente corporativistica, va
innanzitutto ricordato che esso può trovare effettività nei giudizi di responsabilità professionale. Le norme deontologiche possono infatti
assumere rilevanza giuridica attraverso la concretizzazione di clausole generali e come parametri di valutazione della colpa. Per quanto riguarda la responsabilità professionale del medico, le norme del codice deontologico possono
e t a e ell’o di a e to giu idi o att ave so,
ad ese pio, l’i dividuazio e giudiziale della
condotta diligente e della correttezza professionale9.
Cass. Sez. un. 10 luglio 2003, n. 10842.
Cass. Sez. III civ. 10 febbraio 2003, n. 1951.
9
Cfr., fra gli altri, E. QUADRI, Il codice deontologico
medico ed i rapporti tra etica e diritto, cit., p.933 e
ss.; Id., Codice di deontologia medica, in G. ALPA e P.
ZATTI (a cura di), Codici deontologici e autonomia privata, Milano, Giuffrè, 2006, 74 e ss; G. IADECOLA, Le
norme della deontologia medica: rilevanza giuridica
ed autonomia di disciplina, Riv. It. Med. Leg., 2, 2007,
551.
8
10
C. MAIORCA, voce Colpa civile (teoria generale), in
Enciclopedia del diritto, vol. VII, Giuffrè, pp. 536-613,
611.
11
Il te zo o
a dell’a t.
.p. e ita infatti: «Il delitto […] è olposo, o o t o l'i te zio e ua do l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente
e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o
imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline». In questa prospettiva è
stato sottolineato, ad esempio, da A. PIZZORUSSO in Il
codice etico dei agistrati italiani, in L. ASCHETTINO,
D. BIFULCO, H. EPINEUSE, R. SABATO (a cura di) Deontologia giudiziaria, Il codice etico alla prova dei primi
dieci anni, Jovene Editore, Napoli, 2006, 62, che
«non sembra possibile escludere che norme come
quelle comprese in un codice etico possano rientrare
fra quelle la cui violazione può costituire (o concore e a ostitui e) la olpa, ai se si dell’a t. , .p.,
laddove esso pa la di i osse va za di leggi, egolae ti, o di i o dis ipli e ».
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7
A titolo esemplificativo, in ambito civile ai sensi
del se o do o
a dell’a t. 7 . . (diligenza
ell’ade pi e to) « ell’ade pi e to delle
o ligazio i i e e ti all’ese izio di u ’attività
professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla atu a dell’attività ese itata» ed è
stato ritenuto che tale principio debba essere
applicato «alla luce delle norme che disciplinao i ge e ale il appo to […], egole e o suetudi i he si p opo go o ell’a ito di og i ategoria professionale (il cosiddetto Codice
deontologico, nella professione medica e nella
professione forense)»10. Analogo è il ragionamento che può essere fatto per la funzione delle norme deontologiche nella concretizzazione
della clausola della correttezza professionale.
In ambito penale, potrebbe essere inoltre rilevante il ruolo, sostenuto da parte della dottrina,
delle regole deontologiche di natura cautelare o
precauzionale come discipline la cui violazione è
fonte di colpa specifica11.
Per quanto specificatamente riguarda il profilo
della natura giuridica del codice deontologico,
risposte più chiare, ancorché non sempre univoche, arrivano dall’evoluzio e della giurispru-
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te principio di diritto: «le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative
integrative di precetto legislativo, che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale
appa te e te all’o di a e to ge e ale dello
Stato, come tali interpretabili direttamente dalla corte di legittimità».
Tornando al focus di questo Forum, però, più
he sugli aspetti fo ali elativi all’i e to apporto tra codice deontologico e complessivo si12
È inoltre la stessa Corte di Cassazione a richiamare
la sua giurisprudenza al fine di sostenere la natura
giuridica delle norme deontologiche anche di altre
professioni, ad esempio nella sentenza n. 16145 del
5 marzo 2008, in materia di codice deontologico dei
gio alisti. T a l’alt o, u a delle se te ze alla ase
del mutamento giurisprudenziale, la n. 13078 del 14
luglio, riguarda la professione di geometra.
stema delle fonti del diritto italiano, è utile soffermarsi su alcuni profili che caratterizzano sul
piano sostanziale il modello italiano di deontologia medica, al fine di valutare in prospettiva
critica gli elementi di maggiore novità della recente riforma.
Va inoltre tenuto conto che, se da un lato alcuni
modelli offrono maggiore certezza nei rapporti
t a di itto e deo tologia, dall’alt o lato o ecessariamente una determinata definizione del
ruolo normativo del codice deontologico mette
al riparo da incoerenze e contrasti tra la dimensione giuridica e quella deontologica, né è sempre garanzia di forme proficue di integrazione
tra esse. Ciò in ragione della complessità dei
rapporti tra deontologia, diritto e realtà sociale
he i hiede, pe l’effi a e gestione del potenziale conflitto, il coordinamento e il dialogo tra
una molteplicità di attori.
Considerato il ruolo che, direttamente o indirettamente, la deontologia medica è chiamata ad
ave e e ell’attesa di u a ifo a he defi is a
meglio la natura dei rapporti tra il codice deontologico e il resto del diritto, varrebbe quindi
intanto la pena di valorizzare e, anzi, di incrementare, nelle evoluzioni del codice le potenzialità del modello italiano di deontologia, cercando di arginarne i profili di criticità.
Per quanto riguarda il primo aspetto, della
maggiore flessibilità, attenzione ai diritti fondamentali e capacità di dare risposte efficaci
anche supplendo a un legislatore spesso assente o in ritardo, si è già detto. Il codice italiano di
deontologia medica ha quindi le potenzialità di
interpretare in una prospettiva attenta ai diritti
fondamentali della persona assistita le nuove
istanze di disciplina e tutela che caratterizzano
l’attività edi a. Ne so o u a testimonianza,
almeno fino alla versione del 2006, le costanti
riforme della normativa codicistica.
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Forum
denza della Corte di Cassazione. Benché si tratti
di sentenze pronunciate prevalentemente in riferimento al codice deontologico forense,
l’a alisi delle argomentazioni della Corte e le
analogie strutturali tra la legge professionale e il
sistema ordinistico in ambito medico e in ambito forense permettono di ritenere estendibile
tale evoluzione giurisprudenziale anche al codice di deontologia medica12.
Nella sentenza n. 8225 del 6 giugno 2002, ad
esempio, la Corte di Cassazione qualifica per la
prima volta le norme del codice deontologico
come « o e giu idi he vi ola ti ell’a ito
dell’o di a e to di ategoria», precisando che
esse costituiscono specificazione delle clausole
generali contenute nella legge professionale
(similmente a quanto sarà poi affermato nelle
successive sentenze del 2004 e, in particolare,
nella sentenza della Sezioni Unite del 23 marzo
2004, n.5776 e nella sentenza della III sezione
civile, la n.13078 del 14 luglio).
Va i olt e e zio ata l’i po ta te se te za del
2007 in cui le Sezioni Unite affermano il seguen-
11
Introduzione
Forum
12
Significativa è, ad esempio, la progressiva evoluzione dell’a ti olo elativo al o se so,
all’esito della uale il ful o delle de isio i è diventata l’allea za te apeuti a e la comunicazione del medico deve tenere conto delle capacità
di comprensione del paziente «al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte
de isio ali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche»13.
Un
aspetto
strettamente
collegato
all’evoluzio e della iflessio e deo tologi a e
indicativo delle concrete potenzialità fino ad ora
mostrate dalla deontologia italiana riguarda le
numerose consonanze tra le s elte dell’eti a
professionale razionalizzate nel codice deontologico e i principi costituzionali.
Tra gli ambiti in cui le sintonie sul piano dei contenuti concreti tra diritto e deontologia emergono con più evidenza, possono ricordarsi il riconoscimento dei diritti fondamentali, del diritto alla salute, del cd. consenso informato e del
di itto all’autodete i azio e, la tutela dei soggetti più fragili, l’auto o ia e espo sa ilità
professionali14.
Proprio le consonanze tra le norme deontologiche e le posizione più avanzate espresse dal diritto costituzionale, europeo e internazionale
so o all’origine di peculiari profili di rilevanza
giuridica che, quanto meno a livello giurisprudenziale, sono riconosciuti alla deontologia medica italiana, anche in questioni eticamente
sensibili.
Da questo punto di vista basti ricordare che se-
Art. 33 del Codice di deontologia medica del 2006.
I ge e ale, sull’evoluzio e del odi e di deo tologia
medica si veda, ad esempio, P. BENCIOLINI, La deontologia dai galatei ai codici deontologici, in La professione. Medicina, scienza, etica e società, 2010, 261.
14
C. CASONATO, E. PULICE, Diritto e deontologia, in M.
Ferrari, Il codice deontologico dei fisioterapisti. La
responsabilità professionale nella relazione di cura,
Verona-Cortina, 2014, 77-110.
15
G. M. FLICK, La salute nella Costituzione italiana, in
Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e
Odontoiatri (a cura di), Cento anni di professione al
servizio del Paese, FNOMCeO, 2010, 30. In questa
prospettiva sottolineato che espliciti riferimenti ai
principi del codice di deontologia medica sono contenuti anche in più recenti decisioni giurisprudenziali
sulla PMA (ad esempio la decisione del 14 agosto
2014 con la quale il Tribunale di Bologna ha accolto il
ricorso di una coppia che chiedeva di essere ammessa alla PMA eterologa. La decisione è reperibile sul
sito www.biodiritto.org).
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13
condo la Corte costituzionale la garanzia dei due
diritti fondamentali della persona malata, quello a essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’a te edi a e quello a
essere rispettato come persona, nella propria
i teg ità fisi a e psi hi a, all’i o io dei uali si
pone la pratica terapeutica viene assicurata non
solo dagli o di a i i edi dell’o di a e to, ma
a he «dai pote i di vigila za sull’osse va za
delle regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della professione» (sentenza
282/2002 della Corte costituzionale). Inoltre
proprio l’auto o ia e la responsabilità del medico (che opera le scelte basandosi sullo stato
delle conoscenze a disposizione e con il consenso del paziente), e non il legislatore, devono essere considerati di norma «la regola di fondo»
nello stabilire quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni.
Un altro esempio di «spazio incomprimibile di
autonomia e responsabilità del medico»15
emerge anche nella sentenza n. 151/2009 con
cui la Corte costituzionale è intervenuta sulla
legge n. 40/2004, sottolineando la necessità di
lasciare spazio a valutazioni mediche che, caso
per caso, tengano conto delle acquisizioni scientifiche e delle specifiche condizioni soggettive
della donna.
Più in generale, la giurisprudenza costituzionale
e di legittimità richiamano la normativa deontologica sia in riferimento al dovere del medico di
agire a tutela dei diritti della persona assistita,
sia sottolineandone il ruolo nel dare contenuto
concreto al circuito informativo tra medico e
paziente, che si pone alla base del consenso informato, il quale è a sua volta condizione di lieità dell’i te ve to edico.
Per quanto riguarda invece i profili di criticità,
oltre alle incertezze relative alla natura del codice e alla sua posizione nel sistema delle fonti
del diritto, possono essere fatti almeno tre rilievi.
Il primo, indipendente dalla riforma del codice,
è legato all’attività legislativa e i pa ti ola e
alla scarsa attenzione rispetto alla normativa
deontologica che spesso la caratterizza, anche
ei setto i i ui l’appo to di alt e dis ipli e isulta fondamentale, a differenza di quanto, come visto, emerge sul piano giurisprudenziale.
Incoerente rispetto al potenziale ruolo della
deontologia sembra essere inoltre la scarsa percezione del valore pratico del codice deontologico da parte di molti professionisti e, parallela e te, l’i adeguata o oscenza di esso al di
fuori della categoria di riferimento. Sono questi
forse sintomi di un codice la cui elaborazione è
ancora troppo legata al ristretto ambito delle
strutture ordinistiche. Se la possibilità di una
piena adesione e valorizzazione del codice
all’i te no della categoria professionale è elemento imprescindibile per una sua valutazione
e per una sua concreta efficacia, anche per
quanto riguarda i suoi riflessi sulla realtà esterna è però quanto meno di scarsa utilità che i pote ziali desti ata i dell’attività medica, quindi
coloro i cui diritti hanno trovato crescente spazio nella formulazione del codice deontologico,
non abbiano spesso nemmeno una corretta
consapevolezza di tale strumento. Inoltre, no-
osta te l’evoluzio e positiva he ha a atte izzato negli ultimi anni il codice di deontologia, la
complessità della egola e tazio e dell’attività
medica richiederebbe uno sforzo ulteriore per
ila ia e l’esse ziale auto o ia della iflessione deontologica con la necessaria apertura alla
pluralità di istanze ed esigenze che provengono
ta to dall’i te o ua to dall’este o della ategoria professionale.
Va i fi e te uto p ese te he l’effettività e la
stessa legittimazione del codice deontologico
passano anche dalla sua credibilità – non solo
interna, ma anche esterna – nel momento di
una sua violazione. In questa prospettiva un ulteriore rilievo critico del modello italiano che
e e ge dall’a alisi o pa ata è legato alla po a
trasparenza dei procedimenti disciplinari e alla
diffi oltà di i ost ui e, dall’esterno, la giurisprudenza o di avere percezione dei principali
settori di intervento dello strumento disciplinare, che rimane, almeno per quanto riguarda il
primo livello di giudizio, completamente interno
alla struttura ordinistica.
Alla luce di questi due profili – potenzialità e criticità – del modello italiano ci si deve chiedere
se, e in che misura, la recente riforma del codice
deontologico vada nella direzione di valorizzare
le prime e dove invece abbia accentuato, o rischi di accentuare, le seconde.
In questa prospettiva possono quindi essere lette le due principali linee di riflessione sottoposte ai giuristi, filosofi, medici e bioeticisti intervenuti nel Forum.
In particolare è stato chiesto loro di rispondere
– congiuntamente o alternativamente – alle seguenti due domande, mettendo in rilievo gli
aspetti che ritenessero più salienti in ragione
delle rispettive sensibilità e professionalità:
- quali sono i profili che più ha apprezzato
della riforma?
- quali quelli su cui vede più aspetti pro-
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13
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Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Forum
14
Introduzione
ruolo che il codice di deontologia medica può e
deve avere nel porsi come credibile guida
dell’attività p ofessio ale e tutela dei di itti della persona assistita.
Sembrano emergere però anche dei passi indietro o quanto meno delle occasioni mancate sia
nella p o ozio e dell’auto o ia della pe so a
assistita nella relazione di cura, sia nella risposta
alle nuove sfide che la medicina moderna pone
alla categoria professionale e alla stessa figura
del medico.
I profili di criticità spesso rivelano la difficoltà di
giungere a un consenso su questioni eticamente
complesse e di bilanciare le necessarie esigenze
di certezza con le caratteristiche e le potenzialità che dovrebbero essere proprie della normativa deontologica, quindi la maggiore flessibilità
e attenzione alle specificità del caso concreto,
nel rispetto dei diritti fondamentali. Emblematica è da questo punto di vista la norma sulle dichiarazioni
anticipate
di
trattamento.
L’i e tezza del uad o giuridico ha inevitabile te u ’i flue za i po ta te. Tali difficoltà
non sembrano però poter giustificare delle tendenze che la recente riforma del codice mette
in luce.
I a zitutto u ’ela o azio e delle egole deontologiche che, da un lato, non tenga adeguatamente in considerazione istanze e osservazioni
che giungono sia da esperti di altre discipline,
sia dal o do edi o, a he dall’alt o, o
riesca ad esprimere una compiuta assunzione di
responsabilità da parte della categoria rispetto
agli scopi più autentici della professione.
Se è vero che, come mostra la riflessione di
questo Forum, è difficile un incontro su posizioni univoche, è però anche vero che il codice
deontologico, alla luce della rilevanza che può
assumere, non dovrebbe esimersi né da un confronto interdisciplinare, né dalla ricerca di
u ’a pia o divisio e nel mondo medico e so-
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blematici?
Le isposte so o p e edute da u ’i te vista del
prof. Ivan Cavicchi che offre un efficace quadro
della molteplicità di problematiche, esigenze,
criticità, obiettivi e responsabilità che interessano la riforma del codice di deontologia medica e
che devono quindi essere presi in considerazione per valutarne la qualità.
Al fine di permettere il più ampio confronto tra
diverse prospettive di analisi e punti di vista che
possono intersecarsi o confliggere in tale valutazione, il Forum ospita non solo interventi interdisciplinari, ma tra i contributi provenienti
dal mondo medico tiene conto tanto delle diverse professionalità e proposte di riforma,
ua to dell’espe ie za interna alla Federazione
Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri (FNOMCeO), la cui prospettiva
chiude – prima delle conclusioni complessive
affidate al prof. Antonio Da Re – la riflessione
sul nuovo codice.
Gli aspetti affrontati nei contributi sono molti e
igua da o sia i o te uti dell’attuale testo, sia
il ruolo stesso della deontologia e del codice.
Trasversali rispetto a questi due profili sono le
considerazioni di natura terminologica a cui più
interventi fanno cenno. La scelta di una parola,
infatti, non è mai neutra, ma rivela, a seconda
dei casi, il livello di sensibilità maturato su determinate tematiche, il grado di coerenza tra le
norme del codice deontologico e i concetti di
altre discipline in esse utilizzati o richiamati, la
scelta relativa alla concreta portata di un dovere
o del ruolo stesso del codice e della responsabilità disciplinare.
Come emergerà più dettagliatamente dalla lettura dei contributi, nel nuovo codice deontologico ci sono sicuramente modifiche e nuove
o e i li ea o l’evoluzio e positiva he ha
caratterizzato le precedenti versioni del codice,
in sintonia con i principi costituzionali e con il
p attutto dall’adozio e di o e i g ado di garantire in maniera ragionevolmente adeguata il
pluralismo valoriale interno alla categoria professionale. Ma lo deve fare provando a porsi in
dialogo con il diritto, valorizzando e non appiatte do l’auto o ia della iflessio e deo tologi a
rispetto a quelle stesse scelte o silenzi legislativi
che in molte occasioni ha mostrato di poter integrare o supplire in maniera adeguata, tanto
da acquisire la richiamata rilevanza sul piano
giurisprudenziale.
La tendenza a fare un passo indietro sembra invece trasparire non solo dal nuovo testo del codi e deo tologi o, a a he dall’eli i azio e
nel Giuramento dell’i iso i
ase al quale il
medico si impegnava ad osservare le norme giuridiche «che non risultino in contrasto con gli
scopi della [...] professione».
Proprio alla luce dello sforzo di riflessione e di
adeguamento delle proprie norme ai principi
bioetici affermati anche a livello internazionale,
dimostrato dalla categoria medica attraverso un
costante rinnovamento del codice deontologico, tale atteggiamento è forse uno degli aspetti
più preoccupanti della riforma dal punto di vista
del rapporto tra deontologia e diritto. Il rischio è
infatti quello di perdere la proficua dialettica tra
le due dimensioni senza avere al contempo una
definizione dei rapporti tra codice deontologico
e sistema delle fonti del diritto che garantisca la
necessaria certezza normativa. In questa prospettiva, diventano ulteriori elementi di complessità le incertezze terminologiche e
l’i adeguatezza dei ife i e ti a fo ti giuridiche
presenti nel nuovo testo.
Inoltre, un aspetto che certamente rischia di
rendere poco efficace la normativa deontologica è la contraddittorietà di alcune disposizioni.
A fronte della difficoltà di un giudizio sulle singole s elte i te i i positivi o egativi , il
principio di non contraddizione rimane un crite-
rio fondamentale per un codice deontologico,
che voglia avere un valore pratico credibile nella
egolazio e dell’attività p ofessio ale.
Per quanto riguarda infine la violazione del codice deontologico, formulazioni tendenti a restringere la portata dello strumento disciplinare
o che non valorizzino adeguatamente il ruolo
dei doveri deontologici rischiano di non risponde e all’esige za di edi ilità a ui si è fatto iferimento e di non porsi in sintonia con i profili
di rilevanza del codice deontologico sul piano
dell’o di a e to giu idi o. Ciò vale sia pe la
sfera di interessi e diritti sui quali la deontologia
medica incide16, sia per il suo rapporto con il sistema delle fonti del diritto17.
Si tratta quindi di modifiche o silenzi in grado di
ostacolare gli sforzi di progressivo miglioramento del codice di deontologia medica a cui il processo di riforma dovrebbe essere preordinato.
Alla luce di tutti questi profili, il Forum si propone come occasione e stimolo per ulteriori riflessioni interdisciplinari funzionali ad una costante
evoluzione del codice di deontologia medica tesa a valorizzarne e incrementarne i punti di forza, in sintonia con le esigenze della realtà sociale, con le posizione più avanzate espresse dal
diritto costituzionale, europeo e internazionale
e con gli scopi più autentici della professione
medica.
16
Si pensi, ad esempio, al citato passaggio della sentenza 282/2002 della Corte costituzionale.
17
Si pensi al riferimento fatto dalla Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulla natura del codice deontologico, al suo ruolo rispetto ai principi della legislazione professionale, proprio in ambito di potestà disciplinare.
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15
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Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Ivan Cavicchi
Professore di Sociologia delle organizzazioni sanitarie
e Filosofia della medicina, Università Tor Vergata,
Roma.
Come valuterebbe la qualità di un codice deontologico?
Per valutare un codice deontologico ci vuole un
criterio. Potremmo ricor e e al
ite io di perti e za ioè valuta e se il odi e è p ag aticamente adeguato alla realtà del medico. Quindi pe ti e za o e validità vale a di e: assumere la realtà del medico, cioè i suoi problemi,
limiti, contraddizioni, possibilità, quindi tutti i
fenomeni che lo riguardano, come pietra di paragone e confrontarli con gli articoli del codice.
Il codice è pertinente se risponde ai problemi
che sono sul tappeto, cioè se li spiega deontologicamente, quale realtà e se tenta di risolverli.
Ma il codice vale quindi solo per la professione
interessata?
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No. Il codice e gli ordini hanno senso come
st u e ti he si ivolgo o all’ute te fi ale, he
è il cittadino titolare di diritti. Il postulato di
fondo di un codice che è anche quello che giustifi a l’esistenza degli ordini è la difesa dei diritti dei malati attraverso la garanzia dei doveri
professionali. Quindi un codice va valutato come mezzo attraverso il quale i doveri garantiscono i diritti. Laddove i doveri professionali
non sono garantiti si suppone che vi possa essere un danno per i malati.
Da dove partire?
Partirei dai presupposti del codice dai quali sono
dedotte le sue regole, con una doppia finalità:
valutare se il codice è coerente con i suoi presupposti, valutare se i presupposti sono pertinenti sia nei confronti della professione e attra-
verso la professione nei confronti del malato.
Questi presupposti sono sostanzialmente due:
la sua premessa strategica, la sua definizione di
deontologia.
Quindi inizierei dalla premessa strategica.
Quella di hia ata dalla F o eo è di aggio ae le egole del p e ede te odi e deo tologio
). Il suo s opo ui di o è ifo a e
a è
iglio a e , ioè iedita e i fo a aggiornata il codice precedente, che a sua volta ha
migliorato e ha rieditato quello ancora prima,
ecc, come si fa con i trattati di medicina che si
aggiornano ma senza mutarne mai il modello.
Si tratta quindi di capire: se il codice riesce a fare un buon lavoro di aggiornamento, se
l’aggio a e to del odi e è pe ti e te, se asta aggiornare per avere la pertinenza desiderata.
E lei come valuta questo lavoro di aggiornamento?
Il lavoro di aggiornamento del codice, valutando
tutti i cambiamenti importanti della medicina e
della sanità, risulta essere, lacunoso e contraddittorio.
Lacunoso perché ignora tante cose, cioè è disattento nei confronti dei tanti cambiamenti della
realtà sociale, medica, e sanitaria. Un esempio
per tutti: ignora il fenomeno più significativo
che ha investito la medicina dei nostri giorni vale a di e la femminilizzazione della professione . Contraddittorio soprattutto perché: da una
parte traslano sui comportamenti professionali i
valo i tipi i dell’e o o i is o di uesti a i
anche se essi sono stati il più formidabile fattoe di o dizio a e to dell’auto o ia del medi o a t
); dall’alt a esalta o il valo e
dell’auto o ia uale valo e i o dizio a ile
(art 3, 4,13, 79).
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
Intervista
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Forum
18
Ivan Cavicchi
La Fnomceo si è spaccata per la prima volta
ella sua sto ia sull’a t. 3 he se o s aglio
riguarda quello che lei fa intendere essere una
contaminazione economicistica.
“i è dis usso olto sull’a t , a p oposito del is hio di o dizio a e le attività del edi o
o le i ovazio i o ga izzative e gestio ali ,
(il che se fosse evolutivo di professionalità non
sarebbe un problema), ma il vero nodo è
ell’a t , dove l’i te dipe de za t a p ofessione e gestione è apertamente dichiarata. In questo articolo gli atti della professione sono vincolati all’uso otti ale delle iso se, ai p i ipi
dell’app op iatezza e a uelli dell’effi a ia, che
sono principi in quanto tali inconfutabili, ma che
agiti nelle realtà aziendali diventano tutto e il
o t a io di tutto. Oggi dopo l’i tesa “tato egioni questi principi a proposito di falsa appropriatezza si rivelano un autogol. Ormai siamo
alla medicina amministrata cioè a regole prefissate di prescrizione che il medico deve osservare pena la sanzione economica per lui e per il
ittadi o. L’auto o ia del edi o di ui pa la il
codice è diventata praticamente una petizione
di principio. Un medico senza autonomia è un
danno per i malati e una compromissione della
professione. I medici rischiano di essere delle
trivial machine.
Ma secondo lei quali sono a questo proposito
gli errori del codice?
E pe ua to igua da la defi izio e di deontologia (art 1) cosa ci dice?
È necessario valutare se le premesse dalle quali
essa è dedotta sono pertinenti con la realtà. Le
Dove è il problema?
P op io la uestio e edi a , ioè l’i sie e
dei problemi professionali in tutta la sua eteroge eità, è la di ost azio e he i p i ipi e i
valo i tautologi i, de t o o testi fi a zia iamente complessi, sono fortemente condizionanti le autonomie professionali. Inevitabilmente un codice che non si rapporta ai problemi dei
medici e dei malati finisce per essere irrealistico
e rituale. Con ciò non sto dicendo che nel codice
non si debbano definire principi e valori, ma solo che non basta enunciarli, serve cioè accompag a li o dei o dizio ali he e ga a tis o o l’uso e l’appli azio e azio ale e agio evole. I p i ipi pe di più, a he uelli dell’eti a
medica, enfatizzano per loro natura i fini presupponendo una cosa che oggi in sanità non
può più esse e data, ioè he i fi i giustifi a o i
ezzi . La uestio e edi a di ost a esattamente il contrario, vale a dire, che nella pratia o di a ia oggi so o i ezzi he giustifi a o i
fi i . Oggi i p i ipali p o le i dei edi i ascono dal fatto che la loro autonomia, è subordi ata all’i piego dei ezzi dispo i ili.
È questo che lei intende quando sottolinea la
contraddizione tra autonomia professionale e
economicismo?
Sì proprio così. Oggi partire dai principi e non
dai problemi è una operazione discutibile anche
perché si pensa che la deontologia sia una, cioè
quella che corrisponde a certi principi, ma oggi
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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Sono principalmente due: assumere questi valori in modo decontestualizzato cioè acriticamente, e non subordinarli a regole deontologiche
precise
ed
efficaci
di
salvaguardia
dell’auto o ia p ofessio ale.
premesse della definizione per essere pertinenti
dovrebbero riferirsi ai problemi dei medici e dei
malati ma in realtà esse si riferiscono a principi
tautologi i. Il odi e ide tifi a le egole ispirandosi ai p i ipi di eti a edi a he dis iplia o l’ese izio p ofessio ale del edi o a t
1). In questo modo la definizione di deontologia
che ci viene proposta è teorica e in quanto tale
fuori dalla realtà e quindi non pertinente.
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Cosa avrebbe dovuto fare il codice?
Avrebbe dovuto abbozzare una idea/ideale di
medico per il terzo millennio, delegare alla sua
autonomia la mediazione tra i principi e la realtà, tra fini e mezzi, tra etica, scienza e economia, e condizionare con precisione la sua autonomia a dei ite i di azio alità e di agio evolezza i g ado e t a i di ga a ti e ta to il
aggiu gi e to del giusto fi e
ua to
l’i piego del giusto ezzo .
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Lei da te po ei suoi s itti i siste o l’idea di
edi o uale auto e , e la vuole spiega e?
L’idea di auto e , he tutti ost a o di app ezzare in teoria, è una idea nuova di medico, un
ideal tipo, calibrata sul terzo millennio, che in
cambio di autonomia assicura responsabilità facendosi valutare sui risultati. Il medico autore
può riprendersi l’auto o ia pe duta p opo endosi quale mediatore ragionevole tra i principi, i
valori e la realtà, tra i fini della medicina e i
ezzi della sa ità, t a l’azie da e la so ietà. “e
non sarà sua la mediazione essa sarà di altri...
cioè egli sarà suo malgrado mediato. Oggi dopo
il def e sop attutto dopo l’i tesa “tato Regio i
stiamo affermando la medicina amministrata
dove le mediazioni necessarie non è più il medio a fa le a è l’a
i ist azio e he pe fa le
pensa di etero guidare le prassi mediche con un
pericoloso e rigido proceduralismo. Cioè regole
presumibilmente scientifiche usate in modo burocratico predefinite di erogazione delle prestazioni.
Una questione del codice che ha fatto discutere
è stata la defi izio e di alato, pazie te e/o
pe so a .
Il lessico del codice, a questo proposito, è vario
con alterni significati di base e alterni significati
contestuali, ma il significato medio che prevale
è assistito . Nel odi e uesto te i e è ipetutamente usato sia come sostantivo che come
attributo. Si tratta di un vecchio concetto di malato e che oggi è stato radicalmente rivisitato
dalle teorie del nursing e che rientra negli ambiti concettuali e operativi delle scienze infermieristiche.
Il problema di come definire il malato, non è
banalmente nominalistico perché chiama in
causa i rapporti complessi tra semantica, deontologia e realtà. Mi spiego meglio con una domanda: i significati che il codice attribuisce al
malato, nelle sue varie denominazioni, sono
pertinenti nei confronti del malato reale? Premetto che a mio parere, come ho detto tante
volte, la uestio e edi a si spiega p i ipal e te olt e he, o l’i g esso sulla s e a
del limite economico, anche con quella di una
figura culturalmente e socialmente nuova di
alato, il fa oso esige te .
Entrambi i fenomeni, anche se in modo diverso,
o dizio a o l’auto o ia p ofessio ale del
medico e interagendo hanno un effetto finale
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
è olto iduttivo pa la e di deo tologia al
singolare perché i fenomeni che interessano il
medico e il malato sono tanti al punto da sollecitare più eti he deo tologi he . “e uesto è
vero, allora il difficile è trasformare questo insieme in un sistema di regole non contraddittorio. Per armonizzare le regole tra loro ci vuole
questa volta una idea/ideale di medico che
coordini in modo evolutivo l’ela o azio e deontologica. A partire da questa idea/ideale di professione si tratta di convocare e armonizzare
tutte le etiche che ci servono per scopi deontologici. Nel codice questa nuova idea/ideale non
’è. Cosa fa il odi e? Assu e i pli ita e te
quella del medico di ieri aggiornandola, non
quella del medico di domani, cioè riformandola,
cioè assume una idea tradizionale di professione che proprio perché tradizionale è rispetto ai
mutamenti in essere inevitabilmente regressiva.
19
Forum
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Ivan Cavicchi
spiazza te. L’esige te, è u a etafo a di iò he
è alt o dal pazie te, e pe il edi o ostituisce un problema perché è un rilevante cambiamento antropologico, sociale e politico della sua
o t opa te di uolo he si e a ipa dal suo
ve hio status di e efi ia io e he hiede al
medico di essere un altro genere di medico, un
rilevante cambiamento ontologico della sua
premessa cognitiva dalla quale prende forma il
ragionamento clinico e che chiede al clinico di
essere un altro genere di clinico.
In sostanza lei dice che un codice deontologico
per essere pertinente non può ignorare ciò che
chiede il malato, è così?
Quindi lei mi sta dicendo che il codice è come
se accettasse in pieno la logica della medicina
difensiva, è così?
Sì è così. Il codice accetta quella cosa che viene
defi ita esilie za apa ità dei etalli di esistere agli urti), rinunciando all’u i a osa se sata che si potrebbe fare che è quella non solo di
att ezza si legal e te pe esiste e al o tenzioso legale, ma anche di costruire una nuova
relazione culturale con il malato e quindi con la
società per prevenire il contenzioso legale. La
o segue za di uesto s ivolo e è he l’u i o
articolo dedicato alla relazione di cura (art. 20)
è, ife e dosi all’assistito, i dis uti il e te eg essivo. Il odi e, hia a elazio e , uella
he da se oli è u a giustapposizio e t a uoli
diversi, del medico e del paziente, nella quale si
parla di libertà di scelta, di condivisioni ma in
odo o t o sta te ioè elle ispettive au-
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Il codice perseguendo solo uno scopo di aggiornamento e non di riforma e quindi escludendo
dai suoi explananda la ridefinizione culturale di
malato si preclude qualsiasi possibilità di essere
pertinente. Il suo paradosso è che il malato
nuovo, indipendentemente da come chiamarlo,
non è tra gli explananda che definiscono la
deontologia. Il codice quindi è come se ignorasse i cambiamenti che riguardano il malato, limita dosi a hia a e il alato assistito e dedicandogli in questo senso pochi articoli, nulla di
più. Al contrario, il malato non può che essere il
primo explanandum di un moderno codice
deontologico, per almeno due ragioni: perché
rappresenta il bisogno, la domanda e quindi il
fine della medicina, perché come ontologia egli
è la premessa di qualsiasi cognizione, atto,
comportamento, del medico. Se la premessa è
uella dell’assistito , ui di u lassi o paziente i
a e ed ossa ioè o u a o tologia
bio-clinico-organicista, è inutile chiamarlo persona, come è inutile parlare di relazioni, di
umanizzazione, di personalizzazione, di centralità del malato... perché la cognizione clinica prima e gli atti clinici poi, saranno dedotti tutti da
questa premessa... e tutto si ridurrà ad una
sciatta e banale amabilità paternalistica. Pur-
troppo il codice si riferisce ad un malato che
o ’è più pe ui esso è visi il e te o pertinente. Il codice poi non si limita a ribadire il
ve hio o etto di assistito a este de uesto concetto costruendo una figura per certi
ve si i edita di assistito assistito ioè di u
soggetto sottoi teso pe h assistito da u
app ese ta te legale . Questa figu a di assiste te legale dell’assistito o è o pleta ente nuova, essa era già presente nel codice del
2006 ma in quel caso richiamata per questioni
strettamente legali, quali la sfiducia, il consenso
relativo a minori e incapaci, il trattamento dei
dati (articoli 12, 28, 37). Con il nuovo codice il
app ese ta te legale dell’assistito e p e de
addirittura il posto, chiamato in causa su questioni di informazione, comunicazione, consenso, dissenso, rappresentanza (titolo 4) ma anche
su questioni che attengono le procedure diagnostiche e gli interventi terapeutici (art. 16), il
rapporto fiduciario (art. 28), i doveri del medico
nei confronti dei soggetti fragili (art. 32).
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Pur tuttavia a me pare che il codice dica delle
cose interessanti a proposito di comunicazione
con il malato.
Il codice pa la spe ifi ata e te di te po della
o u i azio e sotto i te de do he il te po
pe i fo a e il alato è te po di u a ioè
olt e il te po della u a ’è u te po pe informare sulla cura. In una vera relazione di cura
il malato e il medico sono inter-relati, sussistendo tra loro un rapporto di implicazione stretta,
per cui non esiste un tempo per curare e un
tempo per informare, esiste una relazione che
i fo a i tutti i se si l’i te o p o esso di ura. In una società che si fonda sulle relazioni, le
interconnessioni, le reti, i net work con un malato-esigente fortemente relazionale (empowerment) il codice ripropone sostanzialmente una
medicina, senza relazioni con la società, cioè,
giustapposta e o t o sta te. L’u i a elazio e
che il codice definisce con il malato è quella legale.
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Ma lei cosa intende per deontologia?
La deontologia (professional ethics) riguarda i
comportamenti degli operatori e quindi le facoltà, i doveri e le responsabilità proprie ai loro
status professionali. Essa rientra in quel genere
di eti he defi ite se o do il uolo , e he defiis o o la fa osa ide tità p ofessio ale o
due funzioni: per la società indica i doveri da attribuire ad una professione; per gli operatori indica delle regole da seguire per risolvere i loro
problemi pratici. Oggi, con buona pace di Kant, i
p i ipi o asta o a defi i e u ’eti a p ofessionale. Oggi i codici deontologici in ragione
dei problemi pratici che hanno gli operatori sono sollecitati a regolare i comportamenti professionali sulla base delle utilità, come le chiamava Bentham, nel senso che la misura etica
degli atti professionali si dovrebbe basare sul
valo e effettivo he uesti ha o di p o uovere utilità per i malati e per gli operatori. Oggi
in sanità le utilità da promuovere sono tante,
comprendono cioè tutto ciò che concorre alla
cura e alla produzione di salute. Il compito della
deo tologia lette al e te iò he si deve fae ) è assi u a e i ase ai isultati di utilità auspicati una linea di condotta professionale pertinente con la realtà medico-sanitaria. Un codice se non è pertinente con i problemi pratici dei
medici e dei malati non produce utilità, cioè è
inutile.
Ma oggi se o do lei i osa o siste
deve fa e ? Cioè il dove e?
iò he si
Questa è una domanda cruciale. Oggi per un
operatore quello che dovrebbe fare dipende
olto da iò he l’ope ato e può fa e ui di
da come è formato, da come è organizzato, dai
rapporti con le altre professioni, dai metodi che
usa, dai contesti in cui lavora, dai limiti che lo
condizionano, dal genere di malato che ha di
f o te. Ciò he si può fa e dipe de p ag atia e te da iò he si è i g ado di fa e pe
ui la deo tologia o è più iò he si deve fae , ioè uella he si dedu e dai p i ipi di etica medica ma diventa la condizione di base per
i di a e iò he si pot e e fa e se... ... se....il
codice fosse pertinente con la realtà... allora il
medico pot e e... . Cioè la deo tologia he
oggi ci serve non è quella che ci propone il codice, ma quella nuova dei valori, delle utilità e dei
condizionali. La deontologia è la prima utilità e il
p i o o dizio ale pe la p ofessio e. Co dizio ale i te i i p ati i vuol di e he u
edico è relativo a ciò che lo esprime e lo permette.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
to o ie e espo sa ilità . Il odi e i olt e pa la
di allea za di u a ig o a do he o ai la eciproca fiducia i
olti edi i e olti ittadi i
o ’è più e he il
utuo ispetto è stato
scalzato ormai diffusamente con il contenzioso
legale.
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Forum
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Ivan Cavicchi
E come è espresso il medico dal codice che
stiamo esaminando?
È espresso in modo retroverso per cui
l’aggio a e to pe
uesto odi e o siste
ell’aggiu ge e al ve hio solo ual osa di più,
di ribadire qualcosa che è a rischio, di difendere
delle prerogative. Ma se nel terzo millennio vale
la logica condizionale il edi o sa e e tale
se... come si fa a riproporre quella del secondo
ille io, il
edi o è i ua to tale ? La ve a
operazione è ribadire la titolarità del medico att ave so l’att i uzio e delle es lusive e spe ifiche compete ze a ti oli , , , ) o e se
questa titolarità fosse in pericolo. Ma oggi la titolarità o la centralità, che dir si voglia, non passa per le competenze, comunque ribadite dagli
ordinamenti e comunque oggetto di forti conflitti tra le altre professioni, e meno che mai
passa per il codice che resta norma secondaria e
volontaria. Oggi secondo me, se puntiamo a risolve e la uestio e edi a , la titola ità passa
per altre strade: per una idea nuova di professione, su una idea nuova di autonomia e di responsabilità più che di centralità, e su nuovi
rapporti cooperativi tra autonomie con le altre
p ofessio i. Cioè passa pe l’auto e , ioè pe
un altro genere di medico.
Ci vuole spiegare meglio la questione dei rapporti tra professioni?
I fi e ’è u altro aspetto del codice che mi
sembra valga la pena di considerare e cioè i
rapporti tra deontologia ed epistemologia.
“e la deo tologia è iò he si deve fa e
l’episte ologia è o e fa e iò he si deve fae . “e il edi o, o e di e il odi e, è l’insieme
delle sue competenze (art. 3) il problema di come il medico usa le competenze è un problema
epistemologico. Il codice ispirandosi alla logica
del restyling e non a quella del rebuilding, anche
in questa circostanza è indubbiamente regressivo. I fenomeni che ho riassunto con
l’esp essio e uestio e edi a olt e he porre problemi deontologici pongono anche grossi
problemi epistemologici. Ma il codice nei loro
confronti si mostra incomprensibilmente indifferente. Esso si limita a richiamare logore episte ologie asate sulle evide ze s ie tifi he
dispo i ili, sull’uso otti ale delle iso se,
sull’effi a ia li i a te e do o to delle li ee
guida diag osti he te apeuti he , dei p oto olli diagnostico-te apeuti i e dei pe o si li ico-assistenziali a t. ) ig o a do he, sop attutto g azie all’idea di alato o plesso e alle contraddizioni economiche che certo evidenzialis o ha o p ovo ato, le li ee guida, l’E ,
e tutto il resto sono di fatto in ridiscussione.
Lei i sta di e do he l’E
me si supponeva?
o è credibile co-
Non esattamente. Non si tratta sia chiaro di
mandare al macero le procedure basate
sull’evide za, a di a etta e l’idea he il p oceduralismo al quale esse si ispirano non è più
considerato, per fortuna, una garanzia assoluta
di pe ti e za li i a.
a i fa, pu li ai la
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Pe e l’idea di fondo da perseguire è la coevoluzione delle professioni. In medicina le professioni sono embricate come le tegole di un tetto.
Separarle significa scoprire il tetto. Colpisce che
nel momento in cui una storica divisione del lavoro e una storica forma di cooperazione tra
professioni, è in via irreversibile di ridiscussione
grazie alle riforme che altre professioni hanno
introdotto nei loro ordinamenti professionali
(penso in particolare agli infermieri), il codice
dedichi ai rapporti intra e interprofessionali tra
olleghi e due titoli
, ) e t e ai apporti con le altre professioni uno striminzito articolo di circostanza (art. 66). Questo è un altro
esempio di come il codice sia retroverso e quindi poco pertinente con la realtà che muta.
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Qui di il valo e dell’evide za ua do è valida
resta ma deve vedersela con la relazione quale
setting di conoscenza, cioè come modo diverso
di conoscere il malato e non la malattia?
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Proprio così l’evide za deve fa e i o ti o la
relazione, quindi con la situazione, la contingenza, la specificità del malato. A proposito di evidenza nel codice vi è una contraddizione esemplare, tra art. 13 e art. 15 cioè tra un articolo
che subordina tutte le pratiche mediche alle
evidenze scientifiche disponibili, e un articolo
he dà la possi ilità al edi o di p ati a e la
edi i a o o ve zio ale
a se za sottoporla al vincolo delle evidenze scientifiche disponibili per vincolarla unicamente al rispetto
del de o o e della dig ità del ittadi o .
E lei come rimuoverebbe questa contraddizione?
Da sempre sono convinto che disporre di più
scuole di medicina sia una ricchezza, faccio solo
ota e he: se vale l’a t.
le edi i e omplementari non essendo validate dalle classiche
evidenze scientifiche non dovrebbero essere
a ettate; se vale l’a t. è i utile s ive e l’a t.
13 perché le medicine complementari hanno
altri generi di evidenze.
Come uscire dalla contraddizione?
Semplice: se il codice accoglie come è giusto
che faccia le medicine non convenzionali ne deve accettare anche le loro rispettive epistemologie (olistica, relazionale, personalizzata, biotipale, e .). I uesto aso l’a t.
dov e e,
oltreché riferirsi alle evidenze scientifiche, accogliere anche altri generi di evidenze... come
ad esempio quelle relazionali e ricomporre a
beneficio del malato una epistemologia molto
più ricca.
Lei a proposito di codice deontologico dei medici ha scritto al presidente della Fnomceo una
lettera aperta che ha fatto molto discutere e
riflettere, cosa diceva in quella lettera?
Il presidente a cui lei si riferisce al tempo della
lettera aperta era Amedeo Bianco un mio vecchio amico al quale ho scritto più che come presidente proprio come amico.
All’a i o ho detto diverse cose anche dure:
che il codice era privo di quelle basilari
garanzia di pertinenza che ne avrebbero dovuto
fare uno strumento, insieme ad altri strumenti,
di governo della realtà particolarmente problematica del medico;
he la uestio e edi a sta progressivamente accentuandosi degenerando sempre
di più in una pericolosa delegittimazione senza
ritorno e che se un codice deontologico non è
pertinente con la realtà del medico, è inutile... e
proporre ai medici di servirsi di uno strumento
inutile per risolvere i loro problemi è come abbandonarli alla loro difficile condizione professionale;
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Forum
edi i a della s elta e de u iai il pe i olo
della medicina amministrata, fui attaccato come
un eretico da tutte le parti; oggi finalmente grazie alla presa di coscienza sulla complessità in
gioco ho la soddisfazione di vedere che
l’episte ologia ella ealtà li i a si sta spostando, come io proponevo, sempre di più dal
valo e della p o edu a alla apa ità e
all’a ilità, alla agio evolezza, di hi p o ede.
Insomma la tendenza è rimettere al centro, di
uovo, il soggetto he ope a ui di dell’auto e
e dell’age te. Del esto se le elazio i, o e io
credo, non sono solo banalità deontologiche ma
nuovi modi epistemologici per conoscere, giudicare, agire, come si fa a non ridiscutere la vecchia epistemologia proceduralista fondata sulla
negazione delle relazioni?
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Ivan Cavicchi
Forum
24
che il codice è diventato un rito formale
interno del sistema ordinistico funzionale prima
di tutto alle necessità dei suoi apparti;
che ritenere che la deontologia sia un
affai e es lusivo di u a o
issio e di edi i
impreparati ormai è un grave errore. Oggi la
deontologia è per antonomasia complessità filosofica scientifica organizzativa, economica e i
medici non hanno rispetto a tale complessità
una formazione adeguata;
-
che non si scrive o si riscrive un codice
deo tologi o se za u p ogetto di edi o ;
che in questi anni abbiamo assistito su
molte questioni primariamente deontologiche
quasi ad un disi peg o dell’o di isti a, e al escere di fatto di una sorta di sindacalizzazione
della deo tologia a he se la uestio e edia esta p i a ia e te uestio e deo tologica;
he l’atteggia e to da pa te di olti
medici nei confronti del codice deontologico, è
spesso nichilista, nel senso che lo percepiscono
per lo più come uno strumento senza nessun
valore pratico.
Insomma in pratica gliene ha dette di tutti i colori...
A quali pericoli si riferisce?
Dalla mia analisi emerge:
che la strada che si sta imboccando è
uella dell’adatta e to della p ofessio e inseguendo un pericoloso ideale compatibilista;
-
che i doveri del medico, cioè i fondamenti della sua deontologia, sono sempre più
definiti in modo extra o para deontologico cioè
fuori dagli ambiti ordinistici;
che se le deontologie saranno definite
oltre gli ordini che senso ha per un medico paga e dei o t i uti pe u o di e he o ’è
più?
Pe evita e uesti he lei hia a pe i oli
all’ulti o o g esso azio ale dell’A aoo (19
giugno 2014) cioè del maggiore sindacato dei
medici ospedalieri, lei ha invitato i medici a
mettere in pratica la disobbedienza civile richiamandosi a Thoreau... ma connotando la
natura della disobbedienza... in senso deontologico... cioè lei ha proposto la disobbedienza
deontologica. Stesso invito ci risulta sia stato
fatto agli infermieri. Ci vuole spiegare che cosa
è la disobbedienza deontologica?
Oggi gli operatori, quindi medici e infermieri, a
causa di molti impedimenti, restrizioni, e in funzione di una sempre più esagerata flessibilità
del lavoro, spesso non sono più in condizione di
adempiere ai propri doveri come professioni.
Questo vuol dire che sta saltando il postulato
hiave della deo tologia, vale a di e l’allea za
etica tra doveri e diritti. Se le professioni non
sono più in grado di adempiere ai loro doveri
allora il sistema non è più in grado di assicurare
alle persone i loro diritti. Oggi le diverse misure
adottate contro il lavoro in sanità non si limitano a svalutarlo dal punto di vista salariale quindi
contrattuale, o dal punto di vista organizzativo
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Ma a fi di e e e o
olto affetto. L’a alisi
del codice ci dice soprattutto dei problemi
dell’o di isti a italia a. “o o o vi to he i
problemi strutturali dei medici richiedano un
pensiero riformatore, non basta più fare manutenzione. A parte questo mi sembrava mio dovere segnalare al presidente della Fnomceo dei
pericoli.
che il codice accetta di stare nel conflitto tra deontologia/economia/società/scienza,
non di superarlo;
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U ’idea al ua to o igi ale o ’è du io, a
fuori dalle logiche tradizionali della rivendicazione professionale... in genere le manifestazioni si fanno per i diritti...
Ha ragione. Per il sindacato è più facile rivendicare diritti che doveri, stessa cosa seppur paradossalmente anche per gli ordini e i collegi. Nella storia tanto dei sindacati che degli ordini e
dei collegi i doveri sono sempre stati considerati
molto impliciti nei diritti e visti soprattutto come obbligazioni in antitesi alle libertà delle professioni. Io propongo di organizzare la disobbedienza deontologica per proporre i doveri professionali quale prima garanzia dei diritti di salute delle persone. Per chi lavora il dovere consiste sempre in qualcosa da fare o non fare, permesso o vietato. Oggi sempre più cose vietano
agli operatori di fare il loro mestiere. Oggi il lavoro in sanità è considerato un costo e non più
un valore, questo vuol dire che i doveri professionali sono solo dei costi che per ragioni di
compatibilità finanziaria vanno contenuti. Il costo zero o il blocco dei contratti ci dice solo che
per il governo lo scambio diritti/doveri alle condizioni date, non è più conveniente.
La disobbedienza deontologica quindi ha lo
scopo di ridare al dovere il valore perduto per
far si che esso continui ad essere la prima garanzia per i diritti delle persone...
Si proprio così. Il punto è come riuscire a far diventare i nostri doveri più convenienti per tutti
e quindi cambiare le condizioni dello scambio
contrattuale. Ma prima dovremmo preliminarmente ridiscutere un punto ed è quello che ritiene che basti descrivere il lavoro in una norma
per attivare dei doveri (atto medico, L. 42,
comma 566 ecc). Per Hume questa sarebbe una
pretesa normativa priva di credibilità: dire ciò
che è il lavoro non significa garantire ciò che esso deve essere. Tra la descrizione di un dovere e
la sua messa in pratica vi è per intero tutto il
travaglio professionale dei medici e degli infermieri, per limitarci alle due figure più importanti
del sistema di cura. Se ha ragione Hume, la mia
proposta è di partire non dalle descrizioni formali del dovere cioè dalle descrizioni formali del
lavoro (compiti, competenze, funzioni ecc) atti
a dal dove e p ofessio ale ioè dal dove
esse e degli ope ato i... uali age ti... o lo
s opo di egozia e il lo o pote esse e ... ioè
delle uove possi ilità di lavo o. Questa tesi l’ho
presa in prestito da Kant: fare della deontologia
la premessa di ogni prassi lavorativa implica che
il dove e o po ti u pote e. Pe Ka t il dove
esse e , igua da e to gli atti da o pie e a
più p e isa e te gli atti possi ili ioè il lavo o
che è possibile fare e che inevitabilmente implia la possi ilità da pa te di hi lavo a di pote
esse e .
Quindi i medici e gli infermieri dovrebbero organizzare la disobbedienza deontologica per
pote esse e uello he dov e e o esse e...
e ifiuta si al dove esse e per forza il loro
contraddittorio... cioè dei doveri minimi... o dei
doveri limitati...
Proprio così. Le spiego il postulato del mio ragionamento: se un medico deve adempiere al
suo dovere allora vuol dire che lui può fare tutto
quello che lo mette in pratica, per fare quello
che deve fare...deve per forza diventare in un
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
quindi degli organici, o dal punto di vista del
mercato del lavoro riducendo i livelli occupazionali, ma ormai puntano a mettere in discussione
la base della sua legittimazione sociale, vale a
dire, i doveri professionali quali garanzie dei diritti di cittadinanza. Per queste ragioni ho proposto la disobbedienza deontologica anzi a dire
il vero in più circostanze ho proposto di organizzare una manifestazione nazionale di tutte le
p ofessio i i difesa del dove e di u a e .
25
Forum
26
Ivan Cavicchi
certo modo. In conclusione: dover essere e poter essere è la stessa cosa.
Quello che propone quindi è partire dai doveri,
quindi dalle deontologie per definire un diverso
modo di essere degli operatori.
P i a pa lava o di edi i uali auto i. L’idea di
auto e o è alt o he u ope ato e he onsidera i propri doveri come il proprio capitale
prima ancora dei diritti.
Mi faccia qualche esempio di cosa vuol dire disobbedire deontologicamente per ripensare i
doveri.
La ringrazio per questa intervista.
Quindi la sua idea di disobbedienza deontologica... non è solo uno slogan ad effetto.... ma
da uel he apis o è u ’idea di st ategia, di
riforma di cambiamento?
Veda vorrei sottolineare un paradosso: oggi lo
dico alle rappresentanze mediche, a forza di ri-
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Sul piano generale se ripartissimo dai doveri saremmo in grado di sconfiggere il cinismo di
quelle politiche che usando in modo neoliberistico la crisi vogliono liquidare la sanità pubblica. Potremmo educare la popolazione di un
Co u e a ispetta e il dove e della salute
cioè a diventare comunità di salute; avremmo
più salute e i tagli lineari sarebbero inutili.
Avremmo la possibilità di combattere la corruzione, il mala affare, le diseconomie, le incompatibilità, e quindi avremmo altre risorse per i
cittadini. Sul piano specifico se solo potessimo
ripensare i doveri potremmo legare le autonomie di chi lavora alle loro responsabilità e ai risultati prodotti e quindi avremmo risorse sufficienti per fare i contratti e pagare come si deve
chi lavora, potremmo azzerare il contenzioso
legale in sanità tra medici e malati i cui costi sono relativamente incalcolabili e cancellare la
medicina difensiva una cosa che ci costa circa
ld l’a o.
vendicare il rispetto dei diritti di chi lavora... chi
lavora non ha più diritti... per avere i diritti ai
quali abbiamo diritto... non resta che prendere
la strada della rivendicazione dei doveri. Rivendicare doveri politicamente significa disobbedienza deontologica. l neoliberisti sostengono
che i diritti sono insostenibili e che vanno rinegoziati, potrebbero dire la stessa cosa dei dovei? L’idea politi a he p opo go è se pli e: da
iò he sia o esse e) e dov e
o esse e
dove esse e) do ia o passa e a iò he
possia o esse e pote essere). Questo significa sul piano pratico che dal dovere quale obbligazione si deve passare al dovere quale possibilità. Ha ragione Kant i doveri sono potere. Noi
dobbiamo imparare a servircene. Questa è la
disobbedienza deontologica.
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Francesca Giardina
Professore ordinario di Diritto privato, Università di
Pisa
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Quali sono i profili che più ha apprezzato della
riforma?
Tra i vari aspetti di novità, merita di essere segnalata la trasformazione del Titolo III, in
p e ede za desti ato ai appo ti o il ittadio e o a dedi ato ai appo ti o la pe so a
assistita . No si t atta di u a se pli e o ezio e del titolo: l’a t. 20 era, in passato, costruito sull’o ligo, pe il edi o, di ispetta e i diitti fo da e tali della pe so a e appa iva
come fondamentale regola di comportamento
dettata pe il soggetto p otago ista dell’attività
di cura. La nuova formulazione della norma
esprime una significativa attenzione per il paziente e introduce una diversa idea del trattae to edi o o e elazio e di u a , dove i
soggetti del rapporto assumono entrambi un
ruolo decisivo, condividendo scelte e responsabilità, dirette alla ri e a di u ’allea za fo data
sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei
valo i e dei di itti . I uesta uova prospettiva
paritaria e relazionale è indispensabile che
l’i fo azio e fo ita da hi sa a hi vuole
sape e sia o p e si ile e o pleta e che,
ell’i o t o t a edi o e paziente, trovi spazio
un significativo tempo della comunicazione e del
dialogo come parte irrinunciabile del tempo di
u a. “u uesta li ea si po e l’o ligo, pe il
edi o, di adegua e la o u i azio e alla apacità di o p e sio e della pe so a assistita
(art. 34, secondo comma).
È apprezzabile la più ampia indicazione
dei soggetti fragili ai uali il edi o deve p esta e pa ti ola e tutela. L’a t.
o si li ita
più ad i di a e il i o e, l’a zia o e il disa ile
come specifiche figure di soggetti particolarmente bisognosi di protezione: accanto al minoe o paio o la vitti a di ualsiasi a uso o
violenza e la persona in condizioni di vulnerabilità o fragilità psico-fisica, sociale o civile , o
una indicazione meno limitativa e più attenta
alle concrete esigenze della persona.
L’a t.
sostituis e la p e ede te ora dedi ata all’a a i e to diag osticoterapeutico con una disposizione più articolata
che impone al medico di non intraprendere né
insistere con procedure e interventi che, non
solo o dia o fo date aspettative di u
e eficio per la salute del malato e/o un miglioramento della ualità della vita , a he, i p i o
luogo, appaia o li i a e te i app op iati ed
eti a e te o p opo zio ati . Le innovazioni
sono degne di nota: è precluso non solo
l’a a i e to o osti azio e ), a a he iò
che poteva essere più controverso nel testo
precedente: l’inizio di una procedura o di un intervento, per il quale è nuovo e decisivo il criterio della proporzionalità etica. L’aste sio e da
un trattamento non proporzionato, inoltre, non
è i al u aso valutato o e o po ta ento fi alizzato a p ovo a e la o te del paziente, di cui al successivo art. 17: se ne deduce, in
virtù del necessario coordinamento interpretativo tra le due norme, che il medico deve accogliere la richiesta del paziente di non intraprendere o proseguire procedure e interventi eticamente non propo zio ati, a he se l’aste sio e
o l’i te uzio e può p ovocare la morte.
-
Quali quelli su cui vede più aspetti problematici?
La uova fo ulazio e dell’a t. , dedicato alle Dichiarazioni anticipate di trattamento, solo apparentemente attribuisce adeguata
importanza alla ricostruzione della volontà
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Forum
Forum: Il Nuovo Codice di Deontologia
Medica
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Forum
28
Francesca Giardina
espressa dal paziente. Nel disciplinare le DAT, la
nuova norma appare limitativa: sembra che il
medico debba tenere conto delle sole dichiarazio i esp esse i fo a s itta, sottoscritta e
datata da parte di persona capace e successive
a u ’i fo azio e edi a di ui esta traccia
do u e tale . La precedente disposizione, pur
non dedicata a definire dettagliatamente i termini e il significato di quelle che solo la rubrica
evo ava o e di ettive a ti ipate , appa iva
più flessibile e lasciava più ampio margine alla
possibilità di tenere conto della volontà precedentemente espressa dal paziente, purché maifestata i
odo e to e do u entato .
assunto, in virtù della l. 10 dicembre 2012, n.
219, nuova fisionomia, meno legata ad esigenze
di sostituzio e dell’i apa e e più ispettosa
della capacità di discernimento del figlio.
No o pa e più ell’a t.
l’o ligo,
pe il edi o di da e adeguate i fo azio i al
i o e e di te e e o to della sua volo tà ,
o pati il e te o l’età, con la capacità di
comprensione e con la maturità del soggetto .
Alla condizione del minore è ora dedicato
l’ulti o o
a dell’a t. , he i po e soltanto di ga a ti e al i o e ele e ti di i fo azio e utili a o p e de e la sua o dizione di
salute e gli interventi diagnostico-terapeutici
che lo riguardano: al medico viene richiesto di
oi volge e il i o e e o più di ispettare la
sua volo tà, a solo di te e e i adeguata
considerazio e le opi io i da lui esp esse a t.
35, ultimo comma).
Inadeguati sembrano poi i riferimenti
alla potestà dei genitori, istituto ormai sostituito, con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, dalla
responsabilità genitoriale che, ancor prima di
a ia e il o e dell’a ti o istituto, aveva già
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Appare in ogni caso troppo decisivo, nel
nuovo come nel vecchio testo del Codice, il ruolo attribuito al rappresentante legale, sia del
i o e he dell’i apa e, il ui o se so sembra, quanto meno in prima istanza, indispensabile (art. 33).
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Professore ordinario di diritto civile, Università Cattolica del S. Cuore, Milano
Per un codice di deontologia aperto alla coscienza e attento alla di ensione eticosociale della tutela della salute
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Rite go app ezza ile he l’o di e dei edi i o
la ve sio e defi itiva dell’a t.
a ia saputo
resistere al tentativo di un espianto, se così si
può dire, della coscienza del medico dal corpus
del codice di deontologia. Infatti, la proposta di
modifica (bozza 2012) non solo eliminava
l’a ti o ife i e to lessi ale alla os ie za, a
addirittura restringeva la facoltà di rifiuto di
prestazione professionale ai soli casi in cui vengano richiesti «interventi che contrastino con i
suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici, a
meno che questo comportamento non sia di
nocumento per la salute della persona assistita». Insomma, se questo tentativo fosse riuscito, persino quel che sarebbe rimasto della coscienza - i convincimenti etici - avrebbe avuto
bisogno della stampella dei convincimenti tecnico-scientifici, e – altra differenza rispetto al
codice attuale - gli uni e gli altri avrebbero potuto giustificare il rifiuto solo se esso non fosse
stato di nocumento per la salute della persona,
mentre nella codice del 2006, si richiedeva «un
grave e immediato nocumento per la salute della persona».
Una chiusura del codice deontologico alla coscienza sembra invero una contraddizione. Proprio come strumento di autoregolazione etica
della comunità professionale dei medici, esso
presuppone il rispetto della coscienza del singolo professionista. Altrimenti, il codice si priva di
quella tensione morale che lo dovrebbe alimentare e si indebolisce nella funzione di elemento
istitutivo della comunità professionale. Precisamente questo rapporto di integrazione tra
momento comunitario e coscienza dei singoli
giustifica, in una prospettiva costituzionale liberale e personalista (art. 2 Cost.), anche
l’auto o ia del odi e deo tologi o ispetto
alle leggi dello stato. Insistere sulla coscienza
significa, in ultima analisi, prendere posizione
rispetto al pericolo di una eterodeterminazione
legale della professione medica. Questo pericolo si rende sempre più concreto e attuale negli
ordinamenti contemporanei nei quali si assiste
a una tendenza del legislatore a imporre al medico funzioni esecutive e a ridurre correlativamente gli spazi di autoderminazione collettiva e
personale delle finalità (ends) della professione
medica. Non si tratta soltanto di leggi che impo go o l’o ligato ietà di e te p estazio i, le
quali possono confliggere con una certa interpretazione della tutela dei valori fondamentali e
degli scopi della medicina. Ma si è assistito anche, ad esempio, al tentativo imporre al medico
obblighi di denuncia nei confronti dei pazienti
non muniti di regolare permesso di soggiorno.
Questa tendenza, dal punto di vista costituzionale, sembra inserirsi funzionalmente in una più
generale operazione culturale il cui obiettivo è
di sterilizzare quelli che nella costituzione vengo o hia ati appo ti eti o-so iali e tra i
quali è collocato il valore della tutela della salute. In tale ottica decostituzionalizzante, la salute
viene separata dalla dimensione etico-sociale,
da intendere soprattutto in senso solidaristico,
e la disciplina delle prestazioni mediche viene
assoggettata al pote e es lusivo dell’auto ità
politica. Soggettivismo e autoritarismo nella
concezione della salute in tal senso finiscono
per risultare convergenti.
La questione assume particolare rilievo anche in
considerazione del continuo potenziamento
tecnologico della medicina e della crescente
dimensione organizzativa dei servizi sanitari che
sembrano favorire un depotenziamento della
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
Andrea Nicolussi
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Forum
30
Andrea Nicolussi
coscienza dei singoli e in generale la spersonalizzazio e dell’attività edi a. I tale s e a io la
rilevanza della coscienza nel codice deontologico è fondamentale, se non altro per mantenere
aperto uno spazio di discussione e di dubbio,
sebbene il codice di deontologia non possa esse e l’u i o st u e to pe evita e la iduzio e
del medico a individuo a una sola dimensione.
Ciò peraltro non significa che gli strumenti di tutela della os ie za, o e l’o iezio e e la lausola di coscienza, non possano essere organizzati in modo da mantenere una dimensione cooperativa e da non degradare a mezzi di sabotaggio. Per tali profili, che trascendono il codice di
deontologia, si rinvia qui al Parere del comitato
nazionale per la bioetica su Obiezione di coscienza e bioetica.
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Il Codice di Deontologia Medica (18 Maggio
2014) presenta una contraddittorietà per quanto igua da l’ese izio della medicina alternativa oggi defi ita
o ple e ta e . I fatti,
all’a t. si sta ilis e he il edi o fo da la p op ia attività sui p i ipi di effi a ia e di app opriatezza aggiornandoli alle conoscenze scientifi he … .
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Tale concetto è ribadito anche nell’a t.
i ui
si affe a di uovo il p i ipio di effi a ia li ia, di si u ezza e app op iatezza ed i olt e segue li ee guida diag osti o-terapeutiche aceditate da fo ti auto evoli e i dipe de ti .
Sembrerebbe quindi che vengano completamente accettati i principi che vogliono fondare
la edi i a sull’evide za. Tuttavia all’a t.
il
edi o può p es ive e e adotta e … siste i e
etodi … di u a o o ve zio ali ed a uesto s opo ga a tis e … la ualità della p op ia
fo azio e s ie tifi a … anche se non deve
sottrarre la persona assistita a trattamenti
scientificamente fondati e di comprovata efficacia.
dell’i te o Codi e Deo tologi o so o dovute
all’A o do di Te i he ha a ettato, all’i te o
degli Ordini dei Medici, gruppi di medici che
esercitano in modo sistematico tipi di medicina
o o ve zio ali: dall’o eopatia alla a u vetia, dall’agopu tu a ai fio i di Ba h.
Ci si può chiedere quale formazione sia possibile
quando si somministrino prodotti omeopatici
che, date le diluizioni, contengono il nulla. È
perciò importante sollevare il problema nella
speranza che vengano banditi dagli Ordini dei
Medici i professionisti che, di fatto, non accettano i principi di efficacia e di appropriatezza,
continuando a prescrivere terapie che non hanno alcuna base di evidenza scientifica.
È chiaro, senza la necessità di molti commenti,
che ci si trova di fronte ad una imbarazzante
forma di contraddizione. Infatti, se non si devono sottrarre interventi efficaci vuol dire che le
terapie non convenzionali non sono efficaci. Il
che in realtà è affermato anche dal recepimento
dell’ulti a Di ettiva eu opea sui fa a i
(2001/83/EC e successivi emendamenti) che
impone, ad esempio, di scrive e sull’eti hetta
dei p odotti o eopati i la f ase se za i di azio i te apeuti he app ovate .
La contraddittorietà di queste formulazioni e la
difficoltà ad entrare nel dettaglio da parte
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
Silvio Garattini
Direttore, IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri , Milano
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Forum
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Sara Patuzzo
Sara Patuzzo
Assegnista di Ricerca e Professore a contratto in
Bioetica, Deontologia medica, Logica e Filosofia della
scienza, Università degli Studi di Verona
Quali sono i profili che più ha apprezzato della
riforma?
Si rileva il tentativo di superare
l’esp essio e a a i e to te apeuti o , ossio o dato dall’asso iazio e del o etto di inte ve to
o
fi alità te apeuti a
o
l’a ezio e
egativa p ese te
ell’azio e
dell’i fie i e o osti azio e. Il o etto vie e
sostituito con quello di i te ve ti li i a e te
inappropriati ed eticamente non proporzionati
(art. 16).
L’idea
he il te po dedi ato
all’i fo azio e data al pazie te, alla quale soo fi al e te affia ati i o etti di o u i azio e e elazio e , si o figu i o e u tempo
di cura (art. 20).
Viene introdotto il tema della Pianificazione Anticipata delle Cure (PAC), ovvero
l’oppo tu ità di egist a e i a tella li ica il
piano degli interventi futuri in accordo con il paziente con malattia progressiva (art. 26).
A a to al o etto di f agilità psi ofisi a , vie e i t odotto uello di vul e a ilità
relativo ai soggetti che il medico è chiamato a
tutelare (art. 32).
In tema di sessualità e riproduzione,
viene eliminato il comma che sanciva la liceità
dell’atto edi o «u i a ente al fine di tutela
della salute» (art. 42).
Nei casi di responsabilità professionale,
si esplicita che non solo il medico legale è chiamato ad avvalersi delle competenze del medico
specialista, ma che anche il medico clinico è tenuto a farsi coadiuvare da un medico legale (art.
62).
Vengono inseriti nuovi temi bioetici,
come il biopotenziamento e la medicina estetica
(art. 76).
Viene inserito un articolo (approvato dal
Ministero della Difesa) per richiamare il dovere
del medico militare di rispettare, oltre ai propri
Codici militari quali norme di rango primario,
anche la deontologia professionale (art. 77).
Si cerca di disciplinare la questione della
medicina informatizzata (art. 78).
Quali quelli su cui vede più aspetti problematici?
Il mantenimento della struttura
dell’a ti olato he a volte av e e e essitato
di cambiamento anche in virtù dei nuovi inserimenti.
Il Codice entra troppo e sempre di più
nel dettaglio della casistica, rischiando di trasfo a si i u egola e to li i o e, t a l’alt o,
rendendosi di difficile traduzione per il pubblico
europeo.
Le regole previste rimangono di natura
descrittiva (e non normativa): invece di essere il
f utto dell’appli azio e di u
etodo di selezio-
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La aggio e atte zio e pe l’opi io e
espressa dal pazie te i o e d’età: a he se
per la legge si tratta di un paziente incompetent,
per il quale il consenso informato agli interventi
medici è prestato da coloro che esercitano la
potestà genitoriale, il nuovo Codice afferma il
dovere del medico di «adoperarsi affinché al
minore siano forniti elementi di informazione
utili a comprendere la sua condizione di salute e
gli interventi diagnostico terapeutici program-
mati», al fine di «coinvolgerlo nel processo decisionale» (art. 33) e quindi tenere in adeguata
considerazione le sue opinioni «in tutti i processi decisionali che lo riguardano» (art. 35).
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Il Codice insiste nel voler regolare « anche i comportamenti assunti al di fuori
dell’ese izio p ofessio ale ua do ite uti ilevanti e incidenti sul decoro della professione»,
a a do pe ò di p e isa e il o etto di deo o e o u ue po e do sullo stesso pia o
l’eti a p ivata e l’eti a p ofessio ale a t. ).
T a l’alt o a diffe e za di ua to i di ato dall’OM“, il Codi e li ita il o etto di salute alla dimensione fisica e a quella psichica
(art. 3), tralasciando quella sociale, ovvero interpretando questa solo come salute collettiva,
della so ietà a t. ). Ma la o po e te soiale è a he u fatto e ostitutivo del o etto individuale di salute, che richiama alla vita
biografica della persona e quindi al suo relazioa si o il o do e o l’alt o da s . Ad esempio, per alcune persone, pur essendo in salute
dal pu to di vista psi hi o e fisi o vita iologia ), o potersi più relazionare con il mondo e
o gli alt i vita iog afi a ) può o p o ettere la propria soggettiva valutazione di vivere
una vita di qualità
Il Codi e affe a il p i ipio di autoo ia del edi o a tt. , , , , , ,
69), tuttavia quella medica è una professione
riconosciuta dal Legislatore e, in quanto tale,
può correttamente pretendere la tutela della
propria indipendenza, ma non rivendicare il
concetto di autonomia, che invece si addice, nel
caso specifico, al paziente in quanto titolare del
diritto alla salute.
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-
I
ate ia di
edi i a e p ati he o
o ve zio ali , pe a e la egola he le o sidera atti medici (art. 15). Oltre alla decisiva
questione epistemologica, troppo a lungo elusa,
-
ci si chiede anche su quale base metodologica
sia possibile capire quali siano le pratiche non
convenzionali (dai documenti della FNOMCeO
sarebbero agopuntura, fitoterapia, omeopatia,
omotossicologia, medicina antroposofica, ayurvedica e medicina tradizionale cinese; per
l’a o do “tato-Regio i sa e e o solo agopuntura, fitoterapia e omeopatia…).
Nella nuova formulazione proposta per
l’e
a a i e to te apeuti o a t.
), la
mancata esplicitazione circa la valutazione dei
o etti di o app op iatezza eti a e di ualità della vita , uali posti i apo al pazie te
sulla base della propria soggettività morale, lascia di fatto la loro ascrizione al medico.
“e p e ella egola sugli i te ve ti linicamente inappropriati ed eticamente non
p opo zio ati a t. ), le volo tà esp esse dal
paziente sui trattamenti medici diventano non
più vincolanti, e ciò per altro in netta contraddizione anche con la stessa disciplina deontologica sul consenso/dissenso informato. Infatti, si
afferma che il medico non sia più chiamato a
rispettare le volontà espresse dal paziente (o
dal suo rappresentante legale), ma solo a tenerne conto.
Il Codi e sopp i e il divieto di euta asia , sostitue dolo o il divieto di o pie e
«atti finalizzati a provocare la morte», anche se
su richiesta del paziente (art. 17). Tale modifica
livella una formulazione tipicamente deontologica a quanto nello specifico previsto dal Legislatore con il reato penale di omicidio del consenziente (Codice Penale, art. 579). Si noti, tuttavia, l’appa te e za della p ati a euta asica
non alla normativa penale, quanto alla dimensione medica. Ciò detto, il divieto predisposto
dalla nuova edizione, caratterizzandosi già come
un reato penale e come un atto non esclusivo
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Forum
e i o os iuto dalla dis ipli a dell’eti a, so o il
risultato della rilevazione dei comportamenti
più diffusi messi in atto dai medici nella loro
professione.
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Forum
34
Sara Patuzzo
del edi o, isulta u ’espli itazio e evita ile, i
quanto pleonastica.
to ip oduttivo e o di appa ato p o eativo ).
La nuova edizione del Codice intende
leggere nella relazione di cura un incontro alla
pari tra due autonomie e le correlate responsabilità (art. 20), scotomizzando una realtà che è
profondamente diversa di fatto e di diritto. Inoltre, il Codice prevede così i comportamenti di
entrambi gli attori (medico e paziente), essendo
pe ò f utto del pe sie o di u ’u i a fonte.
Nonostante il conflitto con la normativa
A tit ust i te a di pu li ità l’Auto it ha
multato la FNOMCeO di euro 831.816,00, considerando il Codice deontologico di ostacolo al
legittimo ricorso degli iscritti medici alla pubbliità po e do i esse e u ’i tesa est ittiva della
concorrenza con il divieto di pubblicità compaativa e il ife i e to al de o o p ofessio ale
quale parametro vincolante di valutazione dei
messaggi pubblicitari), il nuovo Codice mantiene i medesimi vincoli (art. 55).
L’ave o se vato la egola deo tologi a
sul ifiuto dell’ope a p ofessio ale i aso di
contrasto con i propri convincimenti tecnicoscientifici o anche solo con la propria coscienza
morale (art. 22), presenta una prassi rischiosa.
Infatti, non essendo possibile definire in modo
assoluto quali siano i principi morali in grado di
giustificare il comportamento di rifiuto, in linea
di principio questo potrebbe trovare legittimazione a partire da qualunque convinzione valoriale.
Il Codice afferma in modo esplicito la
non vincolatività delle volontà anticipate di trattamento e le limita fortemente prevedendo che
vi esti t a ia do u e tale dell’i fo azio e
medica (art. 38).
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Il te i e fe o dazio e vie e sostituito o uello di p o eazio e
edi al e te
assistita (art. 44). Nonostante risulti apprezzabile il tentativo di individuare la pratica medica in
ate ia o e igua da te o solo l’assiste za
al momento fecondativo, ma an he l’i sie e
degli interventi (chirurgici, ormonali, farmacologici) che concernono il percorso che conduce a
u a uova as ita, il te i e p o eazio e
apre a una dimensione teologica che forse sarebbe stato opportuno evitare in favore del più
neutro e s ie tifi o ip oduzio e si veda ad
ese pio la o e latu a a ato i a di appa a-
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Professore ordinario di Medicina Legale, Università
degli Studi di Padova
Premessa: volutamente non intendo soffermarmi sui nuovi temi introdotti nel codice 2014
(medicina potenziativa, medicina militare, informatizzazione in sanità) così come su alcune
delle principali questioni (dall'eutanasia all'accanimento terapeutico, alle direttive anticipate)
sulle quali, almeno nelle più recenti edizioni, si è
concentrata l'attenzione dei commentatori. Ho
pensato di richiamare alcune formulazioni del
nuovo codice forse meno evidenti, almeno ad
una prima lettura, ma di indubbio rilievo sotto il
duplice profilo (apprezzamento positivo, problematicità) proposto dalla redazione della rivista.
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Per la prima volta viene riconosciuta e affermata l'importanza della competenza (e quindi della
relativa adeguata formazione) nelle "abilità non
tecniche" (artt. 3 e 19). Un medico, dunque, che
nell'esercizio professionale sia in grado di accostarsi a coloro che lo interpellano non solo con
gli indispensabili strumenti delle conoscenze
clinico-biologiche ma capace anche di una valida relazione interpersonale.
Si collega a tale prospettiva la ribadita insistenza
del nuovo codice sulla importanza di una "informazione comprensibile" e di una "comunicazione" adeguata alla "capacità di comprensione
della persona assistita" (art.33, nel quale peraltro ancora una volta manca il richiamo alla importanza dell' "ascolto", ben presente invece
nel codice degli infermieri). Ma, per rimanere
alle innovazioni di questa edizione, va accolta
con grande favore la nuova articolazione
dell'art.20 (ora intitolato "Relazione di cura") e
di essa con ancor maggior soddisfazione la precisazione che "il tempo della comunicazione"
deve essere considerato "quale tempo di cura".
C'è da augurarsi che venga compresa l'importanza quasi rivoluzionaria di questa affermazione che, al di là delle indicazioni al singolo medico, deve imporsi a livello dell'organizzazione
della sanità pubblica, consentendo tempi adeguati non solo per assicurare ai pazienti le prestazioni tecnico-specialistiche ma anche per garantire che le stesse si possano realizzare in una
contesto relazionale "fondato sulla reciproca
fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti".
Non può mancare una valutazione critica del
riaffiorare, in questa edizione, del termine "consenso informato". Si tratta di una questione ricorrente che ha visto alterne soluzioni nelle
precedenti edizioni, fino alla (si sperava definitiva) completa scomparsa dell'aggettivo in quella
del 2006 . Ora ,invece, esso è nuovamente presente, a partire dall'intitolato dell'art.35. Continuare a proporre una formula acriticamente ripresa dall' "informed consent", di fatto largamente e correntemente oggi ricondotta ad un
"modulo" da sottoscrivere significa, tradendo
l'ottica pedagogica che è propria di un codice di
deontologia, misconoscere il valore di un processo di comunicazione-relazione che trova nella (eventuale) sottoscrizione finale solo il suo
atto conclusivo. Mentre l'aggettivo ("informato") nulla può aggiungere al sostantivo ("consenso"), il valore della (eventuale) adesione del
paziente rimanda necessariamente, ed in una
fase ovviamente precedente, al sostantivo "informazione". Senza dimenticare il quasi lapalissiano rilievo della Cassazione: informato non
deve essere il "consenso" ma il paziente.
Dove, poi, la valutazione non può che essere
fortemente negativa è a riguardo della nuova
formulazione dell'art. 2 ("Potestà disciplinare").
Nell'indicare l'oggetto dei comportamenti suscettibili di sanzioni disciplinari, il nuovo testo
omette completamente il riferimento ad "ogni
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Forum
Paolo Benciolini
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Forum
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Paolo Benciolini
azione od omissione comunque disdicevoli al
decoro e al corretto esercizio della professione", testo invariato da molte edizioni e in grado
di estendere la potestà disciplinare degli ordini
ben oltre l'inosservanza o la violazione del Codice". Chi ha fatto esperienze in Commissioni disciplinari sa bene che non sempre condotte palesemente in contrasto con principi generali di
ordine etico-deontologico possono essere esattamente inquadrate entro una delle previsioni
testuali del Codice. Era stato da sempre riconosciuto come la formula ora richiamata consentisse di non attribuire al Codice di deontologia
medica quel carattere di "tipicità" o "tassatività
" che invece è proprio del Codice penale. La sua
scomparsa dal testo ora novellato non appare in
alcun modo giustificabile: né se dovesse risultare riconducibile a banale negligenza né, a maggior ragione, se fosse espressione di precisa volontà, finalizzata a restringere gli ambiti propri
della competenza disciplinare. Nella prima
eventualità dovremmo fortemente dubitare
della capacità dei redattori di comprendere il
significato della formula cancellata; nella seconda ci si dovrebbe seriamente interrogare sul
perché di tale eventuale intenzione. Non senza
ricordare agli autori di questo grave provvedimento che esso risulta palesemente in contrasto con quanto previsto (con la medesima testuale formulazione ora cancellata) dalla normativa istitutiva degli ordini delle professioni
sanitarie (art.38 DPR n.221 del 5 aprile 1950).
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Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Professore ordinario di filosofia del diritto, Università
di Roma Tre
Valga una premessa. In genere si ritiene che le
regole deontologiche del medico e degli operatori del settore, a fronte di una legittima autonomia della categoria, non debbano essere necessariamente conformi alla regola legislativa.
Tanto più che la tesi secondo cui gli scienziati,
una volta rispettata la norma, non siano eticamente responsabili delle conseguenze delle
proprie azioni oggi non appare più sostenibile. E
il ricercatore e il medico hanno il dovere di fare
uso della propria immaginazione etica nella
stessa misura in cui usano la propria immaginazione scientifica.
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Malgrado, dunque, le enormi difficoltà di tipo
casistico, gli operatori medici hanno una particolare responsabilità etica verso il paziente e
all’i te o di li iti e defi iti essi so o e dovrebbero essere attrezzati, in virtù della loro vocazione, conoscenze ed esperienze personali, a
proporre delle valide scelte tra diverse alternative morali che possano impegnare la tutela della salute.
Ciò p e esso, l’attuale odi e deo tologi o su
alcune vicende sanitarie più sensibili e delicate
sotto l’aspetto eti o se
a appiatti si sulla egola giuridica. Potrei portare diversi esempi, ma
emblematico è quanto si prevede in merito alla
PMA (art. 44). Nel precedente codice venivano
espressamente formulati divieti e p e isi anhe ell’i te esse del e e del as itu o . Di alcuni di questi divieti nella nuova formulazione
non vi è più traccia, come a pensare che per il
medico non rappresenti alcun problema etico
che si ricorra a una maternità surrogata o a pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce o per coppie omosessuali
o a forme di fecondazione assistita successive
alla morte del partner. Di fatto, non è possibile
conoscere la posizione etica della Categoria professionale in me ito a uesti p o le i e l’O di e
si t i e a diet o la fo ula
ei li iti
dell’o di a e to vige te .
I alt i asi, dove l’i di izzo legislativo el ostro
Paese è ancora carente, la terminologia usata
non fa luce sulla posizione deontologica della
Catego ia. U ese pio lo t ovia o all’a t. 7
dove la p e ede te defi izio e euta asia termine che riporta ad una fattispecie chiara nel
linguaggio comune- è sostituita o atti fi alizzati a p ovo a e la o te . Quest’ulti a è
espressione incerta, indefinita, che può suscitare più di un problema interpretativo, dato che
o dov e e sfuggi e all’O di e o e sia o
molteplici gli interventi terapeutici necessari per
non far soffrire il paziente terminale o per rispettare la sua volontà che potrebbero essere
letti come interventi destinati a provocarne la
morte.
Ancora, incerto cosa sia consentito al medico di
fa e o o fa e a f o te delle di hia azio i anti ipate di t atta e to a t. ). “e
ee e
es lusa l’ipotesi di u igido a atte e vi ola te
della volontà del paziente, manifestata ora per
allora, ma si potrebbe ancora pensare a un reupe o del pate alis o edi o , sto i a ente superato, a discapito del criterio
dell’auto o ia del pazie te. “a e e stato opportuno essere più chiari, eventualmente utilizzando quella terminologia, già fatta propria dalla Convenzione di Oviedo e dal CNB, che fa capie he l’o ligo del edi o è di o testualizza e
le dichiarazioni sotto il profilo tecnicoprofessionale, non allo scopo di non rispettare
la volontà del paziente, ma al fine di verificare la
sussistenza o meno delle condizioni cliniche e
delle valutazioni scientifiche che le hanno informate.
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Forum
Lorenzo d’A ack
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Forum
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Lo e zo d’Ava k
I
e ito al t apia to d’o ga i l’a t.
si li ita
a raccomandare che il medico non partecipi ad
attività di trapianto nelle quali la disponibilità di
o ga i a ia fi alità di lu o . Fo se è t oppo
poco a fronte del commercio di organi sempre
più diffuso proveniente dai Paesi poveri. Cosa
pe sa deo tologi a e te l’O di e ei o f o ti
del medico e della struttura medica che si prenderà cura del paziente una volta che questi abbia fatto ritorno nel nostro Paese? A sostegno di
una prestazione senza condizioni si può certo
i hia a e l’eti a edi a lassi a, asata sulla
tradizione ippocratica con la concezione della
responsabilità del medico a curare in scienza e
coscienza e a conservare il segreto professionale. Ma si potrebbe anche pensare, a fronte di
evidenti situazioni di traffico illegale di organi,
he l’o ligo deo tologi o del ispetto della p ivacy del paziente e la cura senza condizioni significhi per i medici assecondare chi commette
un reato, ritenuto u
i i e o t o l’u a ità.
stigio, della buona efficienza tecnica e relazionale della categoria.
Malgrado queste e altre possibili osservazioni
critiche, va, tuttavia, dato merito al nuovo codice deontologico di avere aperto la riflessione su
materie che sono oggetto di ricerca e sviluppo.
In specie la medicina potenziativa (art.76), la
medicina militare (art.77), le tecnologie inforati he a t. 7 ) e l’o ga izzazio e sa ita ia
(art. 79).
Infine, non possiamo non considerare nel valutare il nuovo Codice che trattasi pur sempre di
un testo di mediazione che affronta tematiche
di notevole difficoltà, non solo scientifiche, e
dove sono coinvolti valori, principi e culture diverse e contrastanti: basti pensare a quella visio e o t attualisti a dell’a te edi a he si
contrappone al rapporto paziente/medico prevale te e te i teso o e allea za di u a .
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Ancora, in via molto generale, dal punto di vista
eti ologi o o deo tologia s’i te de la oos e za dei dove i . Nel uovo testo, rispetto
a uello del
, il te i e deve te de i diverse situazioni a scomparire e in tal modo il
odi e si t asfo a i u a so ta di ge tle e ’s
ag ee e ts f a olleghi, di s a sa tutela pe il
paziente. Non si deve sottovalutare il rischio che
la deontologia medica, come quella di qualsiasi
professione, da mezzo per regolamentare la
condotta del medico possa diventare strumento
atto ad avallare privilegi monopolistici della professione stessa, a scapito dello Stato e dei pazienti. Il rischio è il fo a si di u ’eti a secondo
il ruolo, intesa come il riflesso di tutte quelle
posizioni professionali che inducono a formulare il giudizio etico non in funzione
dell’oggettività del o po ta e to, a i funzio e dell’utile salvagua dia del de o o, del pre-
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Direttore UO Anestesia e Rianimazione Ospedale di
Belluno e Dipartimento Chirurgico ULSS 1; Vicepresidente Comitato di Bioetica Regione Veneto; Presidente Comitato Etico per la pratica clinica ULSS 1 Regione Veneto
Alberto Giannini
I riferimenti per le nostre proposte di modifica,
sono contenuti nei seguenti documenti della
SIAARTI, approvati dal Consiglio Direttivo della
stessa:
Responsabile della Terapia Intensiva Pediatrica della
Fondazione IRCC“ Ca’ Granda – Ospedale Maggiore
Policlinico di Milano; Coordinatore Gruppo di studio
per la Bioetica della SIAARTI
Raccomandazioni
S.I.A.A.R.T.I.
per
l’a
issio e e la di issio e dalla T.I. e pe la
limitazione dei trattamenti in T.I. Minerva Anestesiol 2003; 69: 101-118.
L’articolo 8 del nuo o codice di deontologia
medica ha tenuto in scarsa considerazione la
realtà delle terapie intensive
Le u e di fi e vita e l’A estesistaRianimatore: raccomandazioni S.I.A.A.R.T.I. per
l’app o io al alato o e te. Mi e va A estesiol 2006; 72; 927-963.
Il contributo si articola con la illustrazione della
p oposta di odifi a dell’a t.
e o i ome to all’a ti olo 7 del Codi e di Deontologia
Medica (CDM) del 2014, dal punto di vista di chi
svolge la propria pratica professionale nel settore dell'Anestesia e Rianimazione. La proposta di
odifi a dell'a ti olo , i e e te le Di hia azio i a ti ipate di t atta e to DAT), è stata
fatta pervenire alla Commissione della
FNOMCEO da parte del Gruppo di studio per la
Bioetica della Società Italiana di Anestesia,
Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva
(SIAARTI) ma non è stata affatto accolta dalla
Commissione stessa.
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costruirne il sistema valoriale e rispettarne l'autonomia, non trovano menzione nemmeno una
volta.
In particolare, l'art. 38, nella sua versione entrata nel CDM del 2014, sembra addirittura richiamare nel primo periodo lo spirito del ddl Calabrò, connotato da contenuti illiberali, antiscientifici, antideontologici e anticostituzionali, che
fortunatamente non si è trasformato in legge
dello Stato. Inoltre, in questo articolo, come peraltro in tutto il CDM, l'unico riferimento alla rete di p ossi ità del pazie te i apa e è il app ese ta te legale , e t e i p ossi i o giu ti
ed i familiari del paziente incapace, con i quali i
curanti si rapportano ogni giorno anche per ri-
G a di I suffi ie ze d’o ga o E d“tage : Cu e I te sive o Cu e Palliative? Do umento Condiviso per una pianificazione delle
scelte di cura, 2013.
http://www.siaarti.it/informa/informa_leggi.ph
ppage=informa&id=171
PROPO“TA DI MODIFICA DELL’ARTICOLO
Dichiarazioni anticipate di tratta ento
8:
Si ritiene che la versio e dell’a ti olo
del
CDM inerente le DAT del 2006 sia ancora perfettamente coerente con:
l’a t della Co ve zio e Eu opea pe i
di itti dell’uo o e la io edi i a, e t ata
ell’o di a e to italia o o la legge °
del 28/3/2001;
il documento sulle DAT del 18/12/2004
approvato all’u a i ità dal Co itato Nazio ale
di Bioetica (CNB);
il recente documento del Consiglio Nazionale FNOMCEO sulle DAT (Terni, 13/6/2009)
i ui si fa ife i e to all’a t.
del CDM del
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Davide Mazzon
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Davide Mazzon e Alberto Giannini
2006 come espressione di opportuno bilanciae to t a il di itto all’auto o ia del ittadi o e
l’o ligo di ga a zia p op io del edico.
Riteniamo quindi sia da preferire il primo periodo della p e ede te ve sio e dell’a t.
e he,
i a o ia o le Ra o a dazio i ioeti he
o lusive del sovra citato documento sulle
DAT del CNB, le DAT assumono il più alto valore
dal punto di vista bioetico se espresse in forma
scritta e documentata, meglio se stilate con
l’assiste za di u
edi o, a he sia o o unque da tenere in considerazione le testimonianze certe di DAT pregresse, anche non formalizzate, riportate dai familiari.
Per tali motivi, la SIAARTI ha proposto la riscrittu a dell’a t. i uesta veste:
Art. 8: Dichiarazioni anticipate di tratta ento : proposta SIAARTI
Il edico si adopera affinché - ogniqualvolta
sia possibile - la pianificazione anticipata del
percorso di cura si espliciti in un documento di
dichiarazioni anticipate di trattamento, sottoscritto e datato da persona capace, testimoniando in tal modo scelte libere e consapevoli
circa le procedure diagnostiche e i trattamenti
terapeutici che si desidera o non si desidera
vengano attuati in caso di incapacità a esprimere volontà attuali.
Il medico, nel tenerne debito conto, contestualizza le dichiarazioni anticipate di trattamento al
fine di verificare - sulla base del progetto di vita
e dell’universo valoriale della persona - la sussistenza o meno delle condizioni cliniche e delle
valutazioni tecnico-scientifiche che le hanno informate.
Il medico coopera con il rappresentante legale
nel perseguire il migliore interesse del paziente.
Qualora il paziente sia incapace, il medico tiene
conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento e orienta i suoi atti diagnostici e terapeutici alla tutela della salute, al rispetto della dignità e della qualità della vita, evitando ogni
trattamento diagnostico e/o terapeutico clinicamente inappropriato ed eticamente non proporzionato.
A fronte della necessità di decisioni particolarmente complesse per una persona incosciente,
soprattutto verso la fine della vita, ove non vi sia
stata una tempestiva pianificazione anticipata
del percorso di cura, il medico, assieme agli altri
professionisti sanitari coinvolti nel percorso di
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Riteniamo inoltre ineludibile fornire al Medico
un principio di riferimento in quei numerosi in
casi in cui egli, non avendo a disposizione DAT
espresse in modo certo e documentato, deve
cercare comunque di operare ricostruendo la
personalità e il sistema valoriale della persona
incapace per discostarsene il meno possibile.
Quest’ulti a te ati a è esau ie te e te t attata ell’a ti olo Pe u di itto Ge tile i Medicina: una p oposta di idee i fo a o ativa ,
del P of. P. )atti, pu li ato su La uova Giu isp ude za Civile o
e tata del Ge aio
2013 che in questo modo individua il comportamento che il medico dovrebbe assumere in
tale circostanza: « Il medico che assista la persona incapace o non in grado di autodeterminarsi deve, anche in assenza di dichiarazioni anticipate, assicurare alla persona il pieno rispetto
di quanto caratterizza la sua identità e a tal fine
deve tenere in considerazione, come fondamento delle decisioni terapeutiche, ogni dichiarazione, manifestazione o condotta di cui si abbia certa conoscenza, che indichi in modo inequivoco le convinzioni e preferenze della persona stessa con riguardo al trattamento medico,
soprattutto nella fase finale della sua esistenza,
evitando ogni procedura diagnostica e/o trat-
tamento terapeutico clinicamente ed eticamente inappropriato».
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Come detto in premessa, la proposta della
SIAARTI non è stata accolta e l'articolo 38 stilato
dalla Commissione per la stesura del CDM della
FNOMCEO non ha subito alcuna modifica conseguentemente ad essa, rendendo tale articolo
pressoché inapplicabile nell'area delle Terapie
Intensive.
sia, è l'uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su sua richiesta … .
La uova ve sio e dell’a t. 7 po e i edio
all’uso i p op io e fuo via te del te i e EUTANA“IA , i uad a dolo fi al e te ell’u i a
fattispecie in cui esso può essere correttamente
applicato.
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COMMENTO ALL'ARTICOLO 1 : Atti finalizzati
a pro ocare la orte
Desideriamo esprimere la nostra piena approvazio e pe la sostituzio e, all’a t. 7, del teri e EUTANA“IA o l’allo uzio e Atti fi alizzati a p ovo a e la o te . “i t atta di u a
modifica necessaria in quanto nel nostro paese
la pa ola euta asia vie e usata o e u omello , sotto il uale ve go o fatte i ade e
tutte le odalità o
atu ali del o i e:
dall’euta asia i se so st etto, ovve o la soppressione intenzionale della vita di una persona
su sua richiesta, fino alla desistenza dai trattamenti clinicamente ed eticamente inappropriati
(il che non è affatto un atto eutanasico bensì un
comportamento eticamente, deontologicamente e clinicamente corretto), al legittimo rifiuto di
cure da parte del malato in grado di comprendere e decidere per sé, al rispetto delle DAT
quando esso comporta la interruzione di trattamenti, anche se questo può comportare la
o te del pazie te. Addi ittu a, il te i e Euta asia vie e talo a adottato pe defi i e gli
stermini o i singoli assassini perpetrati dalla
barbarie nazista. Invece, lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica aveva affermato già nel 1995
come fra le varie situazioni succitate … l'unica
a meritare propriamente la qualifica di eutana-
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Forum
cura e assistenza del malato, ricostruisce - per
uanto possi ile attraverso l’apporto dei fa iliari - il progetto di vita della persona e vi adegua le conseguenti decisioni cliniche .
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Forum
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Maurizio Benato
Maurizio Benato
Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri - Fnomceo
La rapida evoluzione e trasformazione del contesto sociale in cui si esercita la medicina ha richiesto un nuovo aggiornamento del nostro codice deontologico. La deontologia investe infatti
il medico per il suo ruolo sociale e relazionale e
non certo per la sua coscienza di individuo che
come ogni altro uomo, matura nella sua coscienza valori etici, li gerarchizza e li sottopone
al vaglio della sua ragione e della sua morale. È
proprio per questo ruolo che il medico deve saper confrontarsi con le mutate attese del paziente, il valore delle sue scelte personali anche
in questioni controverse che possono riguardare il corpo e la propria vita e he, t a l’alt o,
sempre di più i o fe a o he l’auto o ia
decisionale del cittadino sta diventando un valore assoluto. Ma non è certo solo un problema
di natura antropologica: oggi il medico è chiamato a rispondere ad ulteriori interrogativi che
riguardano i problemi delle risorse in sanità e la
stessa organizzazione sociale della medicina, il
rapporto con le altre professioni sanitarie
all’i te o del osiddetto gove o li i o , he
sottende formazione, pratica clinica basata sulle
prove di efficacia, su programmi di prevenzione
e gestio e dell’e o e i u a oevoluzio e p ofessionale gestionale.
Ripensare allora la deontologia per i medici significa entrare in tutte le articolazioni della tutela sanitaria con i suoi limiti amministrativi, nel
divario crescente tra risorse e domanda che impegna il medico a compiere delle scelte secondo
criteri condivisi, con i suoi limiti terapeutici che
impongono il rispetto dei valori soggettivi del
paziente, con i suoi limiti antropologici che richiamano costantemente a considerare la vita
come intrinsecamente finita, e che è premessa
per armonizzare il rispetto della sua sacralità
con la promozione della sua qualità.
Aggiornare i doveri significa allora recuperare il
senso più profondo di cura dove scienza, cultura, valori, sensibilità, utilità, modalità e soprattutto la personalizzazione permettono di accedere al malato quale persona per consolidare
l’allea za te apeutica.
Pertanto oggi il nuovo codice si presenta non
solo come un monito forte verso le istituzioni e
la società nel suo complesso ma anche come
una affermazione solenne e priva di equivoci sul
fatto che la professione è in grado di cogliere i
mutamenti di pensiero nella società che declina
la pratica medicina. Un monito al potere legislativo, in sintonia con la costante giurisprudenza
costituzionale, secondo il quale la regola di fondo dell’ese izio p ofessio ale poggia i dis utibilmente sulla autonomia nella responsabilità
del medico nonostante le tante prevaricazioni
politico-amministrative sulla realtà clinica degli
ultimi anni. Da medico che ha contribuito alla
nuova stesura, avrei preferito una impostazione
del
tutto
nuova
negli
enunciati
e
ell’a ti olazio e dei dove i, uova p op io pe
poter assicurare al Codice quella moderna valenza di strumento utile al medico che deve ci-
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Il medico deve prendere atto che si è ormai
o luso defi itiva e te il passaggio dall’eti a
alla bioetica, passaggio sostenuto da almeno tre
prerogative peculiari: sul piano filosofico morale
la fine del paternalismo medico e la conseguente affermazione del principio di autonomia; sul
piano scientifico la sbalorditiva e velocissima
convergenza di medicina, bioscienze e biotecnologie e sul piano organizzativo la divaricazione
sempre di più evidente tra contenuti della me-
dicina e il contenitore sanità nonostante che entrambe abbiano scopi interdipendenti, interconnessi e circolari.
mentarsi continuamente con valori e aspettative sociali spesso estranee alla sua formazione
culturale.
professionisti della salute, le farmacie e tutto il
settore farmaceutico, le società di servizi, le associazioni del volontariato e dei cittadini ecc.).
Avrei preferito un articolato più snello corredato da note applicative più confacenti a modifiche veloci, in cui i valori della professione e i
principi della bioetica afferenti ai diritti della
persona umana, alle nuove modalità e strumenti organizzativi, avessero permesso al medico
una maggiore comprensione dei suoi doveri, facendogli anche intravvedere i nuovi scopi della
professione. È prevalsa invece una scelta prudente in linea con il passato limitando
l’aggio a e to ad alcune importanti novità
che affrontano il cambiamento dell’approccio
tradizionale alla cura.
Sono tutti soggetti che si muovono con il comune obiettivo di un reale coinvolgimento al fine
di una tutela di qualità della salute. L'estendersi
dell'informazione ad un maggior numero di persone (sanitari, tecnici, amministrativi) in
u ’attività di
uipe, il o segue te dilata si
delle persone inserite nella filiera della cura, da
un lato ha superato il rapporto dualistico medico-paziente, da sempre baluardo della tutela
della p iva , dall’alt o ha i dotto uovi fenomeni sociali legati agli inediti processi di condivisione e fruizione delle informazioni mediche
(o comunque inerenti alla salute) forniti dalle
applicazioni informatiche (WEB).
Le opportunità offerte dallo sviluppo di internet
stanno modificando radicalmente gli scenari
applicativi in sanità e medicina. Se fino a qualche tempo fa il focus delle applicazioni si concentrava solo sulla Information and Communication Technology - I&CT (telemedicina, eservice, e-government), oggi siamo di fronte alla
presenza di una rete informatica che trascina e
o dizio a l’i fo azio e su o di a dola alle
nuove esigenze di comunicazione e integrazione
in tutti i campi, configurando una compenetrazione tra assistenza sanitaria, tecnologie inforati he e de isio i ell’a ito della ura. È tale
la trasformazione che alcuni studiosi propongono una nuova categoria concettuale che, superando il concetto derivato dalle innumerevoli
applicazioni, possa ricomprendere il fenomeno
in termini onnicomprensivi: la CYBERMEDICINE.
Un concetto che esprime meglio la messa in rete di una vasta comunità di interessi in sanità e
medicina tra diversi soggetti sempre più interdipendenti e con la necessità di scambio comunicativo (istituzioni nazionali e locali, aziende
sanitarie pubbliche con le loro organizzazioni
territoriali, le organizzazioni sanitarie private, i
La nuova stesura del codice intercetta (art. 78 e
allegato appli ativo) l’uso di questi nuovi strumenti che arriva persino a modificare la stessa
cornice concettuale della medicina. Sono questi
strumenti che, saldandosi alle attuali tecnologie
biologiche, permettono di riproporre in termini
uovi il o etto di alato o la sua singolarità e specificità. L'origine della convergenza si
fonda a livello della nano-scala, ovverosia lo
studio dei fenomeni che interessano la materia
su una scala nell'ordine di un milionesimo di
millimetro, per cui sostanzialmente, si arriverà
ben presto a comprendere non solo il modo in
cui gli atomi si combinano in molecole, ma anche le leggi che regolano l'aggregazione molecolare in strutture polimeriche.
Ciò consentirà di manipolare la materia con le
conseguenze che costruiremo molecole artificiali ad hoc quali strumenti costitutivi necessari
per supportare la cosiddetta medicina personalizzata (personalized health care) che prospetta,
l’i dividuazio e di uovi age ti o solo te apeutici, non solo migliorativi ma potenziativi per
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Maurizio Benato
l’uo o. Ecco allo a l’i ovazio e p evista
ell’a ti olo 7 dal titolo edi i a pote ziativa . Con i progressi nel campo delle nanotecnologie,
dei
micro-elettro-meccanici,
dell’i geg e ia ge eti a, della o oti a, della
scienza cognitiva, della tecnologia dell'informazione, della farmacologia e di altri campi saranno possibili le costruzioni di organi o di tessuti
per il trapianto e la riparazione di funzioni senso iali o p o esse. Ma ’è u uovo dato importante: il passaggio dalla biotecnologia alla
biologia sintetica, supportata dalle nanotecnologie, o si uove più e t o l’otti a ipa ativa o
sostitutiva, ma si dirige speditamente verso una
vera e propria creazione di nuovi apparati biologi i o fu zio i pote ziative u a e. E allo a
dobbiamo chiederci dove si trovi il confine
dell’u a o, ioè fi dove possia o di e di uove i a o a all’i te o della spe ie u a a pe
legittimi fini migliorativi e quando invece siamo
decisamente usciti da essa verso il transumano
e olt e l’u a o.
Sono applicazioni che rendono molto labile il
confine tra la medicina e la manipolazione biologica e che comportano una voragine nella riflessione etica con tante, tantissime domande.
Mi limito ad alcune: in quale direzione incanalare il miglioramento? in modo collettivo o lasciando al singolo la propria autonomia? si deve
pe segui e l’ideale stati o di natura umana o
come dimostra la nostra storia evolutiva un
ideale di perfezione continua?
Negli ultimi anni la medicina militare è un tema
ricorrente nella riflessione morale italiana. La
Fnomceo ha voluto contribuire al dibattito proprio perché la professione militare e del medico
militare in particolare ha acquisito nella nostra
so ietà u ’i po ta za se p e più es e te,
dovendo rispondere ai bisogni sociali, economici e culturali della società e questo vale ancor
più ora, visto che chi tra i medici indossa oggi le
stellette lo fa per sua scelta e con una aspettativa di auto realizzazione professionale. In tutte le
istituzioni sta crescendo il bisogno di affinamento delle doti morali e di miglioramento del
comportamento individuale, perché da questi
aspetti dipendono la fiducia, la stima, la conside azio e o h l’app ovazio e da pa te dei
cittadini. Ecco allora la necessità di delineare
all’i te o del odi e di deo tologia edi a
(art. 77) un per o so o diviso o l’Ispetto ato
Generale Sanitario Militare che ha portato a definire alcune norme comportamentali – norme
che peraltro sono già assodate e di fatto applicate - in ambiti in cui queste tematiche non
hanno ancora raggiunto il rango di disposizione
normativa vincolante. È singolare e istruttivo
quanto afferma il Procuratore Generale Militare
dott. Antonio Sabino: « l’a t. 77 del uovo odice di deontologia medica costituisce una sorta
di monito finalizzato a ricordare al medico militare che egli è prima di tutto un medico e poi un
militare, … l’a t. 77 aggiu ge, elle o dizio i
date, un ragionevole punto di equilibrio, anche
se occorrerà ancora qualche coraggioso sforzo
non solo da parte della classe medica chiamata
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È i ovativa a he la ivisitazio e dell’a ti olo
sull’A ie te he sposta l’atte zio e dal odello di difetto della malattia ai potenziali di salute
correlati con gli ambienti sociali ed istituzionali
della vita di tutti i giorni. Il rapporto salute–
malattia, centrale oggi nella riflessione bioetica,
è visto al tempo stesso non solo come uno dei
processi più intimi della persona, ma anche come uno dei fenomeni più legati alla vita colletti-
va e obbiettivi di coesione sociale. A livello concettuale con questo articolo si stabilisce il supea e to dell’app o io alla salute focalizzandosi sull’i dividuo el suo ambiente naturale per
o side a e l’a ie te in maniera globale con
tutte le note influenze dei fattori di differenza
culturale, economica e politica.
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L’i ple e tazio e che ha fatto molto discutere
e che per la prima volta ha trovato una sua collocazione nel codice è la definizione di Atto
Medi o . Da tempo si era ravvisata
l’opportunità di avere una norma cui poter far
riferimento poiché manca una definizione da un
punto di vista giuridico. Il giudice, infatti, non
ritrova la definizione di atto medico racchiusa in
una espressa previsione normativa e pertanto
deve farla derivare da parametri normativi
esterni, come le leggi istitutive degli ordini professio ali o la dis ipli a o ativa dell’esa e di
abilitazione o degli studi universitari di medicina. La Suprema Corte ha tracciato nel passato
una lettura per così dire funzionale e finalistica
dell’atto edico, secondo la quale si dovrebbe
considerare atto medico ogni atto finalizzato
alla profilassi ed alla diagnosi delle malattie,
nonché alla prescrizione dei rimedi per curarle
anche se diversi da quelli tradizionali ed ordinariamente praticati. Nel criterio che discerne tra
atti tipici e riservati, e non, il concetto portante
però non fa riferimento alle finalità di diagnosi e
terapia della prestazione del medico ma al tipo
di attività praticata se di fatto rientra o meno,
tra le discipline oggetto di studio e di valutazioe ell’esa e di “tato. Alt e o side azio i portano alla conclusione che siamo di fronte ad una
catalogazione storica quindi non fissa ed intangibile, collegata alla evoluzione della scienza
medica, alle nuove acquisizioni tecnologiche, ai
nuovi modelli di organizzazione sanitaria ed allo
stesso mutamento di contenuto dei piani di
studio universitari e post-universitari. Pertanto
atti prima riservati al medico possono essere
trasferiti ad una categoria professionale sanitaria diversa , categoria che abbia acquisito la necessaria competenza per la loro corretta esecuzione previsione t a l’alt o presente nella legge
istitutiva della professioni sanitarie. Sono queste le considerazioni che hanno portato il Consiglio Nazionale degli Ordini a valutare
l’i se i e to el odi e deo tologi o della definizione indiretta di atto medico facendo riferimento alle attività svolte dal medico pur con
tutte le difficoltà e criticità di una tale definizione. Mi permetto una ulteriore considerazione
sul rapporto complesso tra codice deontologico
e diritto ovvero se il Codice deve anticipare o
seguire la legislazione argomento oggetto di discussione molto accalorata nei momenti che
hanno preceduto la nuova stesura del codice. È
pacifico che il Codice deontologico non rappresenti una fonte primaria di diritto, ma abbia carattere extra-giu idi o e pe ta to l’i osse va za
dei doveri in esso contenuti non dia luogo necessariamente a condotte colpose di rilevanza
penale o civile, ma solo discipli a e. D’alt o anto il codice, intervenendo nella disciplina
dell’ese izio p ofessio ale i u o testo so iale, non può essere avulso da influenze legislative, in quanto il medico recita un ruolo nel consorzio civile. Pertanto lo strumento disciplinare
non può porsi in antitesi con le leggi dello Stato,
pe ui l’o ie ta e to p ese te ella giu isp udenza circostanzia le norme del codice quali
p e etti e t agiu idi i e, ell’appli azio e i ordine alla responsabilità professionale, li classifica dopo le norme del codice civile o penale.
Questa forte limitazione degli ambiti di intervento del codice deontologico porta diversi autori a marginalizzare il significato della nostra
fonte, con affermazioni che si scontrano con la
realtà di tutti i giorni specialmente su temi deli-
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Forum
a regolamentare i profili deontologici della professione, ma anche da parte del legislatore nazionale che, nel momento in cui troverà il modo
di porre rimedio alle lacune e alle irrazionalità
esiste ti ell’attuale assetto o ativo, sop attutto per le missioni armate fuori area, dovrà
tener conto anche delle esigenze della medicina
militare».
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Forum
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ell’ese izio p ofessio ale come avveniva per
le epoche passate? Non mi addentro nella analisi e mi limito ad affermare che la validità di tale
collante tra mondi spesso lontani, come assistiamo spesso, nella relazione della cura sarà
tanto più valida quanto la norma deontologica
saprà interpretare le esigenze della contemporaneità.
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cati quali l’a a i e to te apeuti o o
l’euta asia, dove manca un accordo politico in
grado di assicurarci una norma per garantire il
massimo pluralismo. In queste condizioni che
t a l’alt o so o se p e più f e ue ti pe
l’i passe legislativo e lo sviluppo tumultuoso
della scienza biologica e delle sue sempre nuove
applicazioni, il codice deontologico può assumee u valo e he supe a il e o i sie e di dove i he o peto o al edi o ell’ese izio della sua p ofessio e pe dive ta e uno strumento in grado di delineare percorsi nuovi
ell’aff o ta e le uestio i poste dalle nuove
frontiere della medicina. È proprio per questo
motivo che ritengo che il codice resti appannaggio ella sua stesu a dell’autogove o della p ofessione mantenendo il suo carattere extragiuidi o. Ho affe ato all’i izio he la deo tologia
investe il medico per il suo ruolo sociale e relazionale e non certo per la sua coscienza di individuo anche se l’espa sio e della medicina nella
sua prassi non può mettere in secondo ordine i
problemi filosofici morali relativi al senso della
vita, al valo e dell’i dividuo u a o e non possono mettere, oggi più che mai, in secondo ordine quella scala assiologica che vede
l’i i u ia ile esse za dell’io al ve ti e delle
preoccupazio i del edi o L’eti a personale
o è si u a e te suffi ie te a, d’alt o a to,
non si deve nemmeno abusare del significato
della deontologia in tutte le sue accezioni come
voler mettere la deontologia al di sopra di tutto,
quando invece, la deontologia è l’ipote usa di
un triangolo che unisce la pratica e la teoria. È il
collante che coadiuva il medico nelle scelte da
operare e nei comportamenti da tenere nella
prassi; una funzione squisitamente coadiuvante
e mai di sostituzione del pensiero morale proprio del medico. Ecco allora il problema: può esserci una funzione intesa in tal senso se il soggetto non si relaziona più moralmente
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Antonio Da Re
Professore ordinario di filosofia morale, Università di
Padova
Premessa
Il codice di deontologia rappresenta per il gruppo professionale che lo adotta una sorta di carta
d ide tità, he defi is e i o piti e le fi alità di
chi esercita quella determinata professione.
Non solo: il codice si propone di enunciare i valori e i principi ai quali si ispirano i professionisti,
che nel contempo si impegnano, singolarmente
e collettivamente, a rispettare un insieme di regole e di doveri che loro stessi stabiliscono. Per
sua natura, dunque, e a differenza dei codici di
matrice legale (civile o penale), quello deontologico è un codice di autoregolamentazione: i
doveri che regolano i rapporti del professionista
con il destinatario della prestazione o con i suoi
colleghi sono quindi fissati e stabiliti dagli stessi
professionisti e la enunciazione di tali doveri
viene aggiornata nel tempo, quando lo si ritenga e essa io. No
lo spazio pe u a alisi
più approfondita di tali aspetti; qui basti solo
i o da e he l auto egola e tazio e i defi itiva trova la sua giustificazione nel fenomeno,
i t i se o all espe ie za p ofessio ale, dell asimmetria. Nella relazione professionale il ra pporto tra professionista e destinatario è di carattere asimmetrico: il paziente, per esempio, si
rivolge al professionista (il medico) proprio perché costui possiede determinate conoscenze e
competenze che egli non ha, se non parzialmente. Ed è proprio rispetto a tale condizione asimmetrica che la deontologia fa valere una sorta di riserva critica: il professionista potrebbe
facilmente abusare del suo status di superiorità,
per esempio divulgando inopinatamente informazioni sensibili di cui è venuto a conoscenza
du a te l attività p ofessio ale; pe evita e uesto possibile rischio, il professionista si impegna
a rispettare determinati doveri, che gli stesso si
è dato attraverso la comunità professionale di
cui fa parte. Le regole deontologiche sono in defi itiva poste a salvagua dia dell ele e to, vitale pe l espe ie za p ofessio ale e u a a i generale, della fiducia: il paziente deve potersi fidare del medico, delle sue conoscenze e competenze, della sua esperienza, della sua discrezione, e da parte sua il medico deve poter rassicurare il paziente riguardo a un rischio, che egli
ha ben presente ma che vuole evitare, dichiarando espressamente di volersi attenere a principi, valori, regole, stabiliti dalla comunità professionale.
Così intesa la deontologia professionale vive di
u a o ti ua os osi da u lato o l eti a e
dall alt o o il di itto. ‘ispetto alla p i a va
sottolineato che nessuna regolamentazione,
fosse anche quella deontologica, può per così
dire sostituirsi alla libera e personale scelta del
professionista: quando questi si trovi di fronte a
interrogativi di natura etica, se non a veri e propri conflitti di coscienza, potrà certo trarre ispirazione dalla norma deontologica e dai principi
che la animano, e tuttavia sarà chiamato lui
stesso a dover interpretare il caso concreto,
cercando di individuare la scelta maggiormente
giustificata da un punto di vista professionale (e
morale). Rispetto al diritto, specialmente se inteso nella sua dimensione di ordinamento legale, la deontologia si distingue non solo per il fatto che è una forma di autoregolamentazione, il
che non può valere ovviamente per le norme
del codice civile o penale; essa è anche una modalità normativa più leggera, più soft, perché fa
ampiamente ricorso a principi piuttosto che a
regole dotate di una precisa fattispecie e perché
Forum
Conclusioni.
L’auto o ia del edico e il ischio dell’eterodeterminazione. A proposito del nuovo
Codice di Deontologia Medica
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Forum
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Conclusioni
è dotata di un sistema sanzionatorio del tutto
particolare.
Non è facile attivare una dialettica virtuosa con
le agio i dell eti a e uelle del diritto e nel contempo far valere la specificità della deontologia.
Le sovrapposizioni, inevitabili, facilmente si
tramutano in confusioni. Vale la pena chiedersi
se il recente Codice di Deontologia Medica
(CDM) riesca a rendere conto di questa dialettica, complessa e impegnativa, con la dimensione
etica e quella giuridica, una dialettica che però
non deve far venir meno la peculiarità della deo tologia e l ista za di valo izzazio e dell autonomia professionale. Dal tipo di risposta che si
dà a questa domanda ovvero, per riprendere
li
agi e i iziale, da o e si p esenta la carta
d ide tità del odi e, dipe de a he il giudizio
più generale sui contenuti proposti. E la risposta
all i te ogativo posto
egativa, pe va ie agioni, che sia pure in modo parziale si cercherà
fra poco di elencare e argomentare. Va aggiunto
che al testo del 2014 si è giunti attraverso la
stesura di bozze provvisorie, per esempio quella
licenziata dal Comitato centrale della FNOMCeO
(Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici
Chirurghi e degli Odontoiatri) il 16.3.2013 o
quella discussa in un convegno della FNOMCeO
tenutosi a Terni nel 2014, pochi mesi prima
dell app ovazio e dell attuale versione e che
ispetto a uest ulti a p ese ta poche differenze. E e e, o
du io he l esito fi ale del
2014 sia migliorativo rispetto alla versione del
2013, che presentava diversi punti critici, alcuni
dei quali sono stati risolti (ma altri sono rimasti).
L i p essio e pe ò
he ispetto alla ve sio e
del 2006 quella attuale possa essere letta nei
termini di un arretramento, come la mancata
corresponsione a un obiettivo ambizioso che ci
si era prefissi, ma che non si è riusciti a raggiungere.
L o iettivo pot e
e esse e i dividuato
el i-
conoscimento e nella difesa dell autonomia professionale del medico, messa a repentaglio da
molteplici fenomeni. Mi limito a indicarne due,
tra i molti possibili: la burocratizzazione e la dipendenza da strutture organizzative sempre più
o plesse, elle uali l appo to pe so ale del
professionista si disperde; la rilevanza del criteio dell effi ie za e o o i a e del o te i e nto dei costi, rispetto al quale finiscono per essere svalutati requisiti importanti quali
l e elle za della p estazio e p ofessio ale, la
capacità di coltivare la relazione con il destinatario della prestazione, la collaborazione con gli
altri professionisti, tutti aspetti che richiedono
tempo ed energie che mal si conciliano con
l esige za di idu e la spesa. “i t atta di fe omeni così pervasivi, che tendono a imporre una
sorta di normatività autosufficiente (di tipo appunto burocratico, economico), alla quale il singolo è di fatto spinto a uniformarsi. Se questa è
la posta in palio, se in altri termini il rischio è
che il professionista – come temono, per motivi
differenti, Nicolussi e Cavicchi – sia eterodeteri ato, allo a il te a dell auto o ia va posto
in modo radicale, e senza alcun compiacimento
verso ricadute di tipo autoreferenziale e corporativistico, perché ne va della qualità e della libertà della professione del medico e indirettamente ne va della salute come valore di altissio a go, a he ostituzio ale: pe l art. 32 la
salute
fo da e tale di itto dell i dividuo e
i te esse della ollettività , o side ata o a
aso all i te o del Titolo II, Pa te I, sui rapporti etico-so iali . I so
a, la tutela dell autonomia professionale del medico dovrebbe anche
passare attraverso una valorizzazione della specificità della deontologia e della sua capacità di
inte agi e o l eti a e il di itto; iò dov e e
comportare anche una riflessione profonda che
investe la natura stessa della medicina contemporanea, i suoi scopi e le sue finalità. Un tale li-
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
U codice se z’a i a
Il CDM del 2014 accentua fortemente la valenza
tecnico-professionale, a scapito della valorizzazione della responsabilità personale e morale 1
del medico; forse è eccessivo parlare a tale proposito di una sorta di mansionario lavorativo,
sta di fatto che anche a livello lessicale è un codice – per così dire – se z a i a , la ui lettu a
con molta probabilità non sarà in grado di suscitare particolari emozioni nei giovani medici che
si apprestano a intraprendere un percorso professionale così impegnativo. Proprio il venir
meno di quella dialettica, di cui si diceva
po a zi, t adis e il a atte e asetti o, piuttosto
impersonale, del nuovo codice, nel quale il lega e della deo tologia o l eti a edi a si fa
più fle ile e i disti to, uasi fosse l ista za eti a
un ostacolo, e non invece una risorsa, per la rivendicazione della propria autonomia professionale. A riprova di ciò, ovvero del fatto che la
dimensione genuinamente etica viene sottodimensionata a favore di una forte caratterizza-
1
Utilizzo qui il sostantivo (e il corrispettivo aggettivo)
o ale o e si o i o di eti a , eti o . “o ene
che vi sono autori che stabiliscono, e con buoni argomenti, una differenziazione tra le due famiglie lessicali (basti pensare a un autore classico come Hegel,
che distingue tra Moralität - moralità e Sittlichkeit eticità). Ma vi sono anche buoni argomenti, primo
f a tutti uello eti ologi o, pe assu e e eti a e
o ale o e si o i i, e t a i de iva ti da u
termine (il greco ethos e il corrispettivo latino mos,
moris), che indica in ambedue i casi il modo di comportarsi, il costume, la consuetudine.
zione professionalizzante, si possono menzionare:
l art. 13: la ve sio e
pa la di esponsabilità p ofessio ale ed eti a , uella del
di o pete za del edi o ;
l art. 10, sul segreto professionale e
sull o ligo di ispetta lo a he ua do si dia il
aso est e o della a ellazio e dall al o, stabilisce ella ve sio e
he iò o esi e
moralmente il medico dagli obblighi del presente a ti olo ; el testo
, ove olt e alla ancellazione si considera opportunamente anche il
aso della sospe sio e, aduto l avve io oralmente ;
l art. 62 sulla figura del medico legale: la
versione 2006 parlava con molta precisione di
o ettezza o ale e di espo sa ilità eticogiu idi he e deo tologi he , esp essio i he
spa is o o el testo
, o u i terpretazione di nuovo molto asettica del ruolo del medico
legale.
Questo approccio riduttivo emerge chiaramente
in alcune scelte lessicali e concettuali, a mio parere molto discutibili:
u a di i uzio e d asti a di tutti i
te i i i o du i ili al sosta tivo eti a e la
cancellazione totale di quelli ife e tesi a o ale : il isultato u evide te appiatti e to della
deo tologia sul di itto vige te; a titolo d esempio: etica/eticamente/etico compare solo
all art. , dove si pa la di eti a edi a e di
p i ipi eti i ; all art. 16 a proposito di i terve ti … eti a e te o p opo zio ati ; elle
Disposizio i fi ali
ate ia di eti a e di deo tologia medi a . Cu iosa e te ual he i o e za
ulteriore si ha negli Allegati agli articoli 30, 47,
78, ma senza che venga infirmato il giudizio
poc a zi esp esso di u a più ge e ale te de za
Forum
vello di radicalizzazione e di approfondimento
non si scorge nel CDM del 2014; qua e là compaiono degli spunti che avrebbero potuto essere ulteriormente sviluppati e arricchiti; ma nel
complesso ci troviamo di fronte ad un testo che
si po e sulla dife siva e he o epis e l autonomia del medico in modo riduttivo.
49
Forum
50
Conclusioni
a limita e, e di olto, il lessi o dell eti a e a zi a
eliminare del tutto quello della morale;
scompare del tutto la locuzione tradizio ale s ie za e os ie za , he al di là di u a
qualche
enfasi
retorica
che
talvolta
l a o pag ava, aveva o u ue l i du io
merito di mettere in risalto la duplice connotazione della figura professionale del medico ovvero la sua competenza scientifica e tecnica da
un lato e la sua responsabilità eticodeo tologi a dall alt o; a dire il vero, tale locuzione in qualche misura potrebbe valere non solo per il medico ma per qualsiasi altra figura
professionale, in cui conoscenze e competenze
(la scienza) dovrebbero poter andare di pari
passo o l ese izio di u a atu a e auto o a
responsabilità etico-deontologica (la coscienza);
un termine così carico di significato quale uello di os ie za
uasi del tutto espunto; esso si presenta negli articoli dedicati
all o iezio e di coscienza e in un contesto del
tutto pa ti ola e, all art. 39, dove viene assunto
se o do u a ezio e e p e isa, pe h si sta
parlando della compromissione dello stato di
coscienza del malato. Con il significato più proprio di coscienza personale, morale, eticoprofessionale, esso è prese te solo all art. 22, e
si tratta comunque di una presenza importante,
come è stato rilevato da qualche commento
Ni olussi . L art. 22 concerne il rifiuto di prestazione professionale, che nella versione provvisoria del 2013 veniva giustificato quando il medico riteneva di dove fa vale e dei o vi imenti etici e tecnico-s ie tifi i . La ve sio e definitiva del 2014 ha opportunamente reintrodotto la disgiu zio e o p esente nel testo del
2006), con il risultato che sono sufficienti le motivazioni etiche per giustificare il rifiuto di una
prestazione da parte nel medico, mentre con la
o giu zio e e il ifiuto della p estazio e p ofessionale doveva essere motivato da ragioni sia
tecniche che etiche. Non solo, oltre a ripristinare la disgiunzione, il testo del 2014 è preferibile,
anche rispetto a quello del 2006, perché parla di
p estazio i i o t asto o la p op ia os ienza o con i propri convincimenti tecnicos ie tifi i . Tale fo ulazio e
di e to più
chiara ed efficace, ed è anche maggiormente
giustificata; purtroppo essa rimane isolata;
all art. , dedi ato ai dove i del edio ei o f o ti del soggetto f agile , e a opportu o i a esse l ese plifi azio e del Codi e
del 2006, che parlava espressamente di anziani
e di disabili, oltre che di minori. Il risultato è che
ell i te o testo del
, i lusi gli allegati, o
vengono mai citati gli anziani e i disabili. Di nuovo, si tratta di una scelta piuttosto discutibile: le
parole hanno un loro peso e un loro significato
e ignorarle potrebbe anche essere interpretato
come una disattenzio e ve so l età a zia a e la
disa ilità. “i u a e te o e a uesto l i te to
degli estensori, e tuttavia il codice assume a nche una valenza culturale e formativa, e non solo per coloro che già prati a o l attività edi a
o ancor più per coloro che si accingono, dalle
aule universitarie delle scuole mediche, a intrap e de e la p ofessio e; e l i
agi e del edico che affiora da questi articoli del Codice è
piuttosto sfuocata e rispondente a una comprensione – per così dire – minimalistica della
professione.
-
Luci e ombre
La scelta, evidentemente compiuta in modo
consapevole, di rinunciare ad un termine cruciale uale uello di euta asia o
e essa iamente va salutata con favore, perché anzi essa
può essere foriera di a mbiguità. Certo, hanno
ragione Mazzon e Giannini e lamentare come
tale termine, specie nel linguaggio comune e nel
dibattito pubblico, si carichi frequentemente di
significati impropri sino a comprendere tipolo-
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Maggiormente condivisibile è la decisione di espu ge e dal dettato del CDM la lo uzio e aca i e to te apeuti o , he i s isulta esse e
2
Parere del CNB, Questioni bioetiche relative alla fine
della
vita,
14.7.1995,
pp.
9
s.
http://www.governo.it/bioetica/pdf/18.pdf.
contraddittoria: difficile immaginare che
l a a imento come tale possa assumere una
concreta valenza terapeutica, benefica verso il
pazie te. “e
ai si dov e e pa la e di a ai e to li i o , pe sottoli ea e – come si legge in un parere del CNB – la sp opo zio e f a
l effi a ia e la g avosità delle cure praticate e i
benefici ottenibili nelle circostanze cliniche conete si pa la, a tale igua do, di u e futili 3.
La s elta di evita e u esp essio e di pe s a migua uale uella di a a i e to te apeuti o
può dunque essere fondata, anche se le prole ati he eti he e deo tologi he di p o edure diagnostiche e interventi terapeutici non
p opo zio ati art. 16) rimangono tutte, e per
segnalare la rilevanza di tali problematiche potrebbe tornar utile anche il ricorso alla forza evocatrice del te i e ac a i e to
li i o .
F a l alt o, ua do si aff o ta o uesti te i, solitamente si fa valere la preoccupazione, più che
legittima, che il medico sappia fermarsi di fro nte all eve tualità di i te ve ti sp opo zio ali e
così facendo rispetti la volontà del paziente;
l assu to i pli ito he si fa vale e
he il pazie te o voglia l a a i e to, e t e il edico possa essere tentato di praticarlo. Eppure
non è affatto raro che si diano delle situazioni,
non considerate né nel CDM del 2006 4 né in
quello del 2014, in cui siano i pazienti stessi o i
lo o fa ilia i a hiede e al edi o di fa e tutto
il possi ile , di i siste e, di o fe a si, p efigurando insomma una richiesta di accanimento.
Il medico si trova così posto di fronte a un con3
Parere del CNB, Rifiuto e rinuncia consapevole al
trattamento sanitario nella relazione pazientemedico, 24.10.2008, p. 6;
http://www.governo.it/bioetica/pareri_abstract/rifiu
to_rinuncia_consapevole_paziente_medico_241020
08.pdf.
4
Cfr. P. BENCIOLINI , Informazione e consenso agli atti
sanitari: il contributo della deontologia professionale, in C. VIAFORA, A. GAIANI (a cura di), A lezione di bioetica. Temi e strumenti, Milano 2012, pp. 154 s.
Forum
gie di atti che nulla hanno a che vedere con
l euta asia in senso stretto; e quindi è del tutto
condivisibile la loro tesi che il rifiuto e la rinuncia alle cure da parte del paziente o il rifiuto e la
sospensione da parte del medico di trattamenti
sproporzionali non configurino affatto degli atti
eutanasici, e del resto ciò emerge in modo piuttosto chiaro in diversi articoli del CDM. Ma allora, stante questa chiarezza concettuale
ell ide tifi a e tipologie di atti o ualificabili
come eutanasici, conveniva evitare la perifrasi
p oposta all art.
atti fi alizzati a provocare
la o te e a te e e il te i e euta asia ;
soprattutto sarebbe stato opportuno definirne
con più precisione il concetto, introducendo
l ele e to ualifi a te dell i te zio alità. Come si legge nel parere del CNB del 1995, opportunamente richiamato da Mazzon e Giannini,
«l'unica a meritare propriamente la qualifica di
eutanasia è l'uccisione diretta e volontaria di un
paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su sua richiesta» 2. In linea di principio
vale ui di l a go e to che vi è una differenza
o al e te ileva te t a l u ide e e il lasciar
morire (killing and letting die) e che il secondo
può essere pienamente giustificato, quando per
esempio si decide, per il bene del paziente, di
sospendere dei trattamenti medici ritenuti
sproporzionati; per inciso va aggiunto che il lasciar morire non sarebbe giustificato nel caso
dell a a do o te apeuti o, pe h i tale fattispecie ad essere propriamente intenzionata è
la morte del paziente e quindi ci si troverebbe
qui di fronte a un lasciar morire equiparabile,
sul pia o o ale, all u ide e.
51
Conclusioni
Forum
52
flitto tra due doveri, entrambi deontologicamente vincolanti per il CDM: il rispetto delle volo tà del pazie te da u lato e dall alt o il ifiuto
di dar corso a interventi non appropriati, perché
inefficaci, se non persino causa di sofferenze
aggiuntive. Potrebbe essere questa una possibile e chiara esemplificazione di quanto si diceva
sopra a proposito del dialogo tra deontologia ed
etica; ove la prima non riesca a sciogliere il conflitto sa à l i te ogazio e o ale e la espo nsabilità del soggetto a cercare di individuare una
auspi a ile via d us ita.
Naturalmente non mancano nel nuovo CDM anche delle novità interessanti. Apprezzabile è per
esempio la riproposizione, più precisa e consapevole di quanto non avvenisse nella versione
del
, del te a dei dete i anti fondae tali della salute i dividuale e ollettiva
(art. 5). Viene meno anche il riferimento, a dire
il vero più allusivo che esplicito, alla famosa definizio e dell OM“, he e a p ese te ell a t.
del CDM
la salute è intesa nell'accezione
più ampia del termine, come condizione cioè di
benessere fisico e psichico della persona ; o a
tale riferimento viene lasciato cadere, forse
perché si fa tesoro delle numerose critiche che
sul piano epistemologico sono state rivolte a
una concezione giudicata troppo ampia e generica5. Egualmente degni di nota sono gli articoli
dedi ati a i e a e spe i e tazio e
-50),
ben approfonditi e circostanziati. Probabilmente la novità maggiormente apprezzabile, che
non a caso è stata oggetto di una valutazione
positiva da parte di molti, inclusi i partecipanti
al forum di questa rivista (tra gli altri: Benciolini,
Patuzzo, Gia di a si t ova all art. 20 dedicato
alla elazio e di u a : si pa la delle ispettive
A titolo d ese pio si veda D. CALLAHAN, The WHO
Defi itio of 'Health’?, The Hastings Center Studies , vol. 1, n. 3, The Concept of Health (1973), pp.
77-87.
5
autono ie e espo sa ilità , ife i ili ui di sia
al medico che al paziente; si richiama la metafoa dell allea za di u a , la uale
fo data
sulla e ip o a fidu ia e sul utuo ispetto ; sop attutto si di hia a he il te po della o u iazio e va o side ato uale te po di u a .
La bozza preparatoria del 2013 al riguardo era
ancora più esplicita, stabilendo quanto segue:
il edi o deve dedi a e all i fo azio e, alla
comunicazione e alla relazione il tempo necessario quale tempo di cura ed esigere che questa
condizione sia rispettata in ogni situazione di
lavo o . Tuttavia a he la fo ulazio e, su inta, del 2014 lascia intravvedere un cambio di
prospettiva rilevante ovvero che il tempo e le
attenzioni dedicati dal medico alla comunicazione non costituiscono un optional, che può
esserci o meno a piacimento; al contrario: essi
sono a pieno titolo un elemento indispensabile
della relazione con il paziente e del suo stesso
processo di cura, come se presupposto per la
cura del paziente non fosse solo, per esempio,
la formulazione di una diagnosi corretta ma anche la comunicazione, in termini comprensibili e
in tempi adeguati, di essa. Questo cambio di
prospettiva non può essere certo lasciato alla
buona volontà del singolo medico: è evidente
che se si ritiene che il tempo della comunicazione sia fondamentale per lo stesso percorso di
u a, allo a l offe ta dei se vizi sa ita i a d e bbe ripensata e organizzata in modo da poter
concretamente rispettare questo dettame.
La deontologia giuridicizzata
L alle ta e to del ife i e to eti o, di ui si
detto sopra, si riflette parallelamente sul ra pporto con il diritto. La specificità della deontologia tende a venir meno e frequentemente si
nota un tendenziale appiattimento della norma
deontologica su quella giuridica. Come è rilevato efficacemente nel comme to di d Ava k, iò
e e ge i
odo pa adig ati o all art. 44 dedi-
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Questo passaggio, dalla sottolineatura dei divieti a una rimozione degli stessi, si spiega con ogni
probabilità con una sempre più marcata dipendenza della deontologia dal diritto: allora i divieti giuridicamente stabiliti dalla legge 40/2004
venivano rafforzati attraverso una stigmatizzazione di carattere etico-deontologico; ora, a
fronte anche della constatazione del progressivo svuotamento nelle sue parti più significative
della legge
, ad ope a dell i te ve to della
giurisdizione e della stessa Corte Costituzionale,
si preferisce mantenere un atteggiamento volutamente elusivo, in attesa magari di un nuovo
intervento legislativo che potrebbe anche permettere pratiche in precedenza vietate. In questo modo però la deontologia mostra di andare
a rimorchio del diritto, quando sarebbe auspicabile che, almeno entro certi limiti, avvenisse il
contrario (di ciò si dirà meglio nel paragrafo
successivo) 6.
“i veda a uesto p oposito l interessante saggio di
A. BONDOLFI , Le eti he professio ali ell’area ger a6
Si può immaginare che la ritrosia ad affrontare
questioni etiche spinose possa aver facilmente
indotto gli estensori del CDM ad accantonarle,
per evitare conflitti e divisioni; e tuttavia, a rigore sarebbe questo uno dei tipici ambiti dove pote ese ita e u auto o a espo sa ilità etico-deontologica, senza mostrare una forma di
sudditanza verso il diritto. Per esempio, rimae do se p e all i te o del Titolo VI del CDM
su “essualità, ip oduzio e, ge eti a , o si
pone particolare attenzione alla rilevanza del
counselling da parte del medico e alla delicatezza di come esso debba essere condotto 7. Le persone come singoli e come coppia, come genitori
attuali o potenziali, sono qui coinvolte in eventi
cruciali per la loro vita e la loro salute, intesa
secondo una prospettiva ampia che, oltre agli
aspetti biologici, interessa anche quelli psicologici e relazionali. In queste situazioni il compito
del medico non è solo di assicurare un intervento diagnostico e terapeutico adeguato; egli deve
anche poter offrire un sostegno psicologico, accompagnato dalle informazioni necessarie affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di giudicare la coerenza di quanto gli viene proposto
con la sua visione della vita e i principi che la
ofo a: il aso dell’eti a sa itaria, in T. FAITINI , L. GAL(a cura di), Etica e professioni sanitarie in Europa. Un dialogo tra medicina e filosofia,
Università degli Studi di Trento – Dipartimento di
Lettere e Filosofia, Trento 2014 pp. 79-87. In esso si
ricorda come nei paesi di lingua tedesca i gruppi professionali non siano delle semplici associazioni, ma
delle o po azio i di di itto pu li o . Co e tali esse hanno la possibilità di legiferare, almeno in parte,
con regole che valgono sia per i propri membri, attraverso il codice di autoregolamentazione, sia per
chi non appartiene al gruppo (corporazione).
7
Per le considerazioni che seguono, ho tenuto conto
di alcuni suggerimenti di Daria Minucci, presenti anche in suo saggio: D. MINUCCI , Psychological and Ethical Implications Related to Infertility, in International
Journal of Gynecology and Obstetrics, 123, 2013, pp.
S36–S38.
VAGNI , M. NICOLETTI
Forum
cato alla procreazione medicalmente assistita.
Anche qui troviamo un saggio di quella semantica fredda che contraddistingue il dettato del
CDM 2014: rispetto al 2006 viene meno
l affe azio e he il edi o dov à agi e ei
confronti dei soggetti coinvolti secondo scienza
e os ie za ; allo a i olt e i si appellava
all i te esse del e e del as itu o o e a u
principio etico fondamentale, e anche sulla base
di tale principio si vietavano espressamente
fo e di ate ità su ogata, fo e di fe ondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in
donne in menopausa non precoce, forme di feo dazio e assistita dopo la o te del pa t e .
Nel testo attuale, della specificazione di tali pratiche allora vietate, e dei riferimenti di principio
che ne giustificavano il divieto, non vi è traccia.
53
Forum
54
Conclusioni
guidano. Questo aspetto non è purtroppo chiaramente esplicitato dal CDM, eppure è di fondamentale importanza, se solo si pensi alle sofferenze che accompagnano in tali frangenti le
persone. Il CDM qui potrebbe anche spingersi
oltre, stabilendo che nella u a dell i fe tilità e
della sterilità la procreazione medicalmente assistita non dovrebbe rappresentare, per così dire, il punto di parte za,
l u i a ed es lusiva
modalità di intervento medico come di fatto las ia t aspa i e la lettu a dell art. 44. In altri termini, e proprio con la preoccupazione di tutelae l i teg alità della salute delle pe so e oinvolte, il medico assieme alla coppia dovrebbe
costruire un percorso nel quale prima si esperiscono le possibilità diagnostiche e terapeutiche
tradizionali e, quando queste si rivelino insoddisfacenti, si prende eventualmente in considerazione la possibilità della procreazione medicalmente assistita. Quest ulti a, al o t a io, ella
realtà concreta costituisce per lo più la prima (a
volte a he l u i a) proposta che viene fatta alla coppia e spesso attraverso la modalità concretamente disponibile nella struttura sanitaria
di riferimento, che non è detto sia anche la modalità più appropriata per quel singolo caso.
La uestio e dell’ete odete
i azio e
La rivendicazione della specificità della deontologia sulla base di una produttiva dialettica con
l eti a e o il di itto o
fi e a se stessa: essa
volta a salvagua da e l auto o ia sia del edico che della comunità dei medici. Una deontologia schiacciata sulla regolamentazione giuridica e impoverita di quella responsabilizzazione
eti a, la uale app ese ta u aute ti a iso sa,
e non certo un ostacolo, della relazione professionale, finisce con il mettere a repentaglio gli
spazi di autonomia sia del singolo che
dell i te o g uppo p ofessio ale. Il ischio è che
si produca una «eterodeterminazione legale
della professione medica» (Nicolussi), senza che
vi sia la necessaria consapevolezza della deriva a
ui le ta e te si sottoposti. U attività ete odeterminata si dà quando il soggetto svolge un
lavoro subordinato, nel quale spazi di autonomia, creatività e responsabilizzazione sono drasticamente ridotti. Non dovrebbe certo essere
questo il caso del medico, eppure qualcosa di
simile avviene quando egli si trova ad essere di
fatto un esecutore di direttive politico-amministrative decise altrove. Il coinvolgimento stesso,
ell i te ve to diagnostico-terapeutico, di una
pluralità di figure, sia di medici con differenti
specializzazioni, che di altre figure professionali,
rende maggiormente problematica la relazione
con il paziente che viene ad essere, per così dire, parcellizzata; anche la responsabilità personale viene in qualche misura compressa a fronte
di una condivisione con altri professionisti, che
inevitabilmente richiede di essere istituzionalizzata e regolata ma che facilmente finisce per
essere disciplinata secondo criteri di uniformità
e standardizzazione. Tuttavia non è solo una
questione organizzativa che rende la filiera della
cura (Benato) sempre più spersonalizzante, a nhe i fo za dell i t oduzio e assi ia delle
te ologie i fo ati he all utilizzo di ueste
non a caso il CDM dedica una parte innovativa,
l allegato all art. 78). Oltre a ciò, fenomeni rilevanti spingono verso appunto una progressiva
sottrazione di autonomia; li potremmo definire,
con una terminologia non particolarmente accattivante, i fenomeni della giuridicizzazione e
della giuristocrazia.
Il primo fenomeno è stato acutamente indagato
da Jürgen Habermas 8, il quale ha mostrato coJ. HABERMAS, Teoria dell’agire comunicativo (1981),
vol. II: Critica della ragione funzionalistica, trad. it. di
P. RINAUDO, Bologna, 1986, pp. 1030 ss. (al capitolo
i titolato La giu idifi azio e dello “tato i te ve tista . ‘ispetto al te i e p ese te ella t aduzione
italiana qui proposta, e che rende il tedesco Verre8
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Al fe o e o po a zi deli eato fa seguito uello della giuristocrazia (Juristocracy), termine coniato da Ran Hirschl per indicare come questioni di grande rilevanza politica diventino oggetto
chtlichung e, i alt i o testi, l i glese Judicialization,
p efe is o il te i e giu idi izzazio e .
9
Ivi, p. 1033.
10
Ivi, p. 1022.
di valutazione e di decisione giuridica ai diversi
livelli sino ai pronunciamenti della stessa Corte
Costituzionale. In questo modo, la politica si
trova ad essere fagocitata, perché le vengono
sottratti spazi di autonomia e di decisione che
un tempo erano suo appannaggio 11. L a alisi di
Hirschl potrebbe agevolmente trovare conferma nella realtà italiana, basti pensare alla recente sentenza della suprema Corte sul blocco
delle indicizzazioni delle pensioni o, per rimanere in tema, allo smantellamento progressivo da
parte di molteplici pronunciamenti giudiziari
della stessa legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Allargando però la visuale di
Hirschl, si potrebbe aggiungere che non è solo la
politica ad essere fagocitata; quando il livello
decisionale si co e t a sull ulti o a ello, uello giudiziario, allora vuol dire che la dinamica
sociale si contrae, comprimendo di molto
l ese izio dell auto o ia da pa te di soggetti e
realtà sociali intermedie. Si pensi a quanto è accaduto con il caso Stamina: nonostante la comunità scientifica si fosse espressa in modo unanime sulla inefficacia e anzi sulla potenziale
pericolosità del metodo proposto dalla Stamina
Foundation consistente nella manipolazione e
somministrazione di cellule staminali mesenchimali, sono state numerose le sentenze di
giudici che hanno accolto i ricorsi presentati da
parte di ammalati per poter accedere alla terapia.
Non si può qui in poche battute liquidare una
vicenda estremamente complessa, e dolorosa,
11
Si vedano R. HIRSCHL, Towards Juristocracy: The
Origins and Consequences of the New
Constitutionalism, Cambridge (MA) – London 2004;
ID., The Judicialization of Politics, in G.A. CALDEIRA,
R.D. KELEMEN, K.E. WHITTINGTON (eds), The Oxford
Handbook of Law and Politics, consultabile al sito
http://www.oxfordhandbooks.com/view/10.1093/ox
fordhb/9780199208425.001.0001/oxfordhb9780199208425-e-8
Forum
me numerose attività, in precedenza regolate in
modo informale, siano state progressivamente
assunte e disciplinate in maniera sempre più
circostanziata dal diritto; si tratta di attività che
hanno attinenza con la sfera della libertà personale, con la tutela sociale, con la stessa vita familiare, la scuola, il lavoro, le professioni. La
tendenza a una crescente – per così dire – presa
in carico di tipo giuridico ha per un verso corrisposto, almeno inizialmente, a esigenze di salvaguardia degli i dividui g azie all i te ve to sia
del diritto privato, che di quello pubblico; per
un altro verso però ha prodotto degli «attesi effetti collaterali» ovvero «burocratizzazione e
monetarizzazione dei nuclei dei mondi vitali» 9. Il
fe o e o ha se z alt o i vestito anche la regolazione del rapporto professionale e può essere
indirettamente interpretato come un ridimensio a e to dell ele e to fidu ia io, he i vece
– come si affermava in precedenza – costituisce
l ele e to ualifi a te della spe ifi ità deo tologico-p ofessio ale. L alla ga e to degli spazi
di codificazione giuridica, ai vari livelli istituzionali e secondo modalità molteplici, non esclusa
uella pe ale, ostituis e u a so ta di olo izzazio e dei o di vitali 10, che nel caso specifico colpisce anche la realtà professionale. A tale
p oposito asti solo a e a e a uell i sie e
di pratiche diagnostiche e terapeutiche, non
appropriate, che va sotto il nome di medicina
difensiva e che per esempio in Italia ha un costo
annuo di oltre 10 miliardi di euro, pari al 10,5%
della spesa sanitaria nazionale.
55
Conclusioni
Forum
56
che per giunta sin da subito si era trasformata in
evento mediatico: come dimenticare che la battaglia per accreditare la validità della terapia
Stamina era iniziata con un potente battage
pubblicitario promosso dalla trasmissione televisiva Le Iene, e che a sostegno del valore della
terapia si era espresso, sulla prima pagina di
uno dei più prestigiosi quotidiani italiani, Il Corriere della Sera, all epo a di etto da Fe u io
de Bortoli, il noto scienziato e farmacologo Adriano Celentano? Ma tralasciando questi aspetti, se si vanno a scorrere le motivazioni che
accompagnano le sentenze dei giudizi di accoglimento dei ricorsi, emerge in modo abbasta nza etto o e l atte zio e ise vata ad al u i
fondamentali requisiti, richiamati dal DM
. .
sulle te apie a osiddetto uso ompassio evole , risultasse nella valutazione del
caso specifico molto parziale 12. E si tratta di requisiti che chiamano in causa la competenza
della comunità scientifica o il parere del Comitato Eti o, esp essio e di u auto o ia he i
una corretta dinamica sociale andrebbe salvaguardata e valorizzata 13. A he l auto o ia
12
Sul tema è intervenuto recentemente il Comitato
Nazionale per la Bioetica con un Parere così intitolato: Cura del caso singolo e trattamenti non validati
(c.d. uso o passio evole ), approvato il 27.2.2015;
http://www.governo.it/bioetica/pareri_abstract/cur
a_del_singolo_trattamenti_non_validati.pdf.
13
L art. 1, comma 4, lett. a, del DM 5.12.2006 subordi a l uso della te apia a uso o passionevole, su
singoli pazienti, in assenza di alternative terapeutiche efficaci e in presenza di pericolo di vita o di grave
danno per la salute, alle seguenti condizioni: a siano disponibili dati scientifici, che ne giustifichino l'uso, pubblicati su accreditate riviste internazionali; b)
sia stato acquisito il consenso informato del paziente; c) sia stato acquisito il parere favorevole del Comitato etico di cui all'art. 6 del decreto legislativo 24
giugno 2003, n. 211, con specifica pronuncia sul rapporto favorevole fra i benefici ipotizzabili ed i rischi
prevedibili del trattamento proposto, nelle particolai o dizio i del pazie te . Il testo del de eto e di
altri riferimenti normativi è pubblicato all i te o del
professionale del medico è chiamata in causa:
v da hiede si o e essa possa effettiva e te
esprimersi quando un giudice ordina ai medici
degli Spedali Civili di Brescia di riprendere immediatamente la somministrazione della terapia Stamina e di proseguirla senza interruzione,
p e isa do he l eve tuale ifiuto, aga i - aggiungo - per motivazioni scientifiche o ragioni
etico-p ofessio ali, ostitui e e u o issio e
tale da configurare «delle gravi forme di responsabilità penale» 14.
A fronte di queste spinte molto forti a limitare
l auto o ia de isio ale del si golo, o pito
della comunità professionale dovrebbe essere
proprio quello di preservare tale spazio di autoo ia, vigila do sul is hio dell eterodeterminazione. Ciò richiede chiarezza di intendimenti,
da esplicitare anche attraverso il proprio codice
di autoregolamentazione, e autorevolezza da
far valere nello spazio pubblico, mantenendo la
barra dritta sulle finalità che qualificano la pratica medica. È un compito certo impegnativo,
ma non impossibile, almeno a giudicare dalla
presa di posizione già assunta dal mondo medico, quando nel 2009, in una prima versione del
osiddetto Pa hetto “i u ezza dell allo a Mi istro degli Interni, Roberto Maroni, si intendeva
i t odu e l o ligo pe i edi i di de unciare
all auto ità giudizia ia i soggetti la desti i ino t ati ell ese izio delle p op ie fu zio i. Le
numerose proteste provenienti dalle realtà mediche e la contrarietà manifestata dalla stessa
FNOMCeO fecero sì che tale obbligo venisse
meno nella formulazione finale del provvedie to. Allo a la salvagua dia dell auto o ia
sito di Biodiritto dell U ive sità di T e to. “i veda i
particolare il ricchissimo Dossier Stamina, che tra
l alt o ipo ta le dive se o di a ze dei giudi i he si
sono
espressi
in
merito
(http://www.biodiritto.org/novita/news/item/330dossier-staminali).
14
Tribunale di Marsala, Ordinanza 11.04.2014.
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Il ripensamento degli scopi della medicina
Nel o testo attuale, l ete odete i azio e può
anche assumere sembianze diverse rispetto a
quelle di tipo giuridico-statuale po a zi evo ate e declinarsi attraverso la richiesta di contenere i costi delle prestazioni sanitarie. Proprio una
si ile i hiesta, p ese te all art. 6 16, attestereb15
Fondo questo giudizio critico a partire da un raffronto tra le due versioni, considerando per entrame le attute i iziali dell art. 3. Mentre il testo del
2006 si sforza di identificare le diverse possibili forme di discriminazione (età, sesso, etnia, religione,
nazionalità, condizione sociale, ideologia), quello del
2014 mantiene un profilo molto più distaccato. A riprova di ciò, ecco il testo del CDM 2006, art. : Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza
nel rispetto della libertà e della dignità della persona
umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di
religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali
che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle
uali ope a . Ed e o i ve e la ve sione del CDM
, se p e all art. : Dove i del edi o so o la
tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel
rispetto della libertà e della dignità della persona,
senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera .
16
CDM 2014, art. : Il edi o, i og i a ito opeativo, pe segue l uso otti ale delle iso se pu lihe e p ivate salvagua da do l effi a ia, la si u ezza
e l u a izzazio e dei servizi sanitari, contrastando
og i fo a di dis i i azio e ell a esso alle u e.
Da notare comunque che anche nel CDM 2006 si rihia ava il e uisito dell uso app op iato delle iso se .
be secondo Cavicchi la presenza di un principio
economicistico che mina alla radi e l auto o ia
del medico, obbligandolo ad attenersi a regole
predeterminate di prescrizione per contenere i
costi. La questione sollevata da Cavicchi è rilevante, perché non vi è dubbio che una possibile
eterodeterminazione può passare anche attraverso un controllo ferreo e circostanziato dei
osti; d alt o a to isaputo he olte p estazioni di carattere diagnostico-terapeutiche non
sono giustificate e vengono fornite per esigenze
di alt o ge e e di uovo to a l ese plificazione della medicina difensiva). Qui in effetti sarebbe importante si aprisse un confronto sia sul
piano della ricerca scientifica e biomedica, no nché della riflessione bioetica, sia sul piano del
dibattito pubblico concernente le politiche sanitarie. Un tale confronto dovrebbe ovviamente
coinvolgere in primis il mondo medico e interrogarsi su quali siano i compiti della medicina
contemporanea, per rimanere fedele alla sua
finalità universalistica di prendersi cura di ogni
essere umano, individuando gli obiettivi prioritari, quelli che tali non sono e quelli che pur non
essendo fondamentali possono a determinate
condizioni essere presi in considerazione. Riproporre la contrapposizione tra gli stereotipi di
una medicina appropriata, ma spendacciona, e
u a
edi i a su u e dell e o o i is o,
quindi inappropriata e alla fine profondamente
iniqua, non porta molto lontano.
Un tentativo interessante nel dibattito bioetico
contemporaneo di mettere a fuoco tali problematiche, senza cadere negli stereotipi di cui si
di eva po a zi, stato se z alt o pe seguito da
Daniel Callahan, fondatore di uno dei primi centri di ricerca al mondo dedicato allo studio della
ioeti a, l Hastings Center (Garrison, New York).
Anche in tempi recenti egli ha invitato a pro-
Forum
professionale, rivendicata non certo su basi
o po ative, a a pa ti e dall i te zio alità u iversalistica della medicina rivolta ad ogni essere
umano, senza discriminazione alcuna, riuscì ad
arginare il tentativo, palese, di eterodeterminazio e legale. L auspi io he iò possa a ade e
a he i futu o, o osta te l attuale fo ulazio e dell art. 3 del CDM risulti essere assai più
modesta e di basso profilo di quella del 2006 15.
57
Conclusioni
Forum
58
uove e u a
edi i a soste i ile 17. L espressione chiaramente allude al famoso rapporto
della Commissione Bruntland (1987), del Progra
a delle Nazio i U ite per l’a ie te. In
esso si pa lava di sviluppo soste i ile , ovvero
di uno sviluppo economico capace di rispettare
sia i li iti posti dall a ie te atu ale he al uni fondamentali esigenze di equità sul piano sociale, in modo da poter assicurare un adeguato
soddisfacimento dei bisogni alle generazioni f uture, oltre che a quelle attuali. Applicata alla saità, la soste i ilità i pli a he l offe ta sa itaria debba essere appropriata, efficace, compatibile con le risorse economiche pubbliche disponibili, socialmente accettabile ed equa
ell allo azio e delle iso se. Pe aggiu gere
tali obiettivi, Callahan elenca una serie di proposte, alcune delle quali possono risultare anche provocatorie; esse hanno comunque il pregio di prendere le mosse da una disamina molto
realistica della medicina presente, nella sua duplice e tradizionale connotazione di attività di
ricerca scientifica da un lato e di pratica volta
alla cura del pazie te dall alt o.
Il pu to d avvio dell a alisi di Callaha
ostituito dalla constatazione che nei paesi sviluppati è
drasticamente diminuita la mortalità causata da
malattie infettive mentre è considerevolmente
aumentata la mortalità dovuta a malattie croniche; questa seconda condizione comincia a presentarsi anche nei paesi in via di sviluppo, dove
però continua a persistere una notevole mortalità provocata da malattie infettive. Il combinato
di questi fattori fa sì che, specie nei paesi più
sviluppati, si assista a un progressivo invec17
Cfr. D. C ALLAHAN , Medical Progress and Global
Chronic Disease: The Need for a New Model, «Brown
Journal of World Affairs», 20(1), 2013, pp. 35-46; ma
il tema della medicina sostenibile si trova già in False
Hopes, del 1998 (ed. it., La medicina impossibile. Le
utopie e gli errori della medicina moderna, Milano
2000).
chiamento della popolazione, con evidenti riflessi sull o ga izzazio e dell offe ta sa itaria e
sulla stessa pratica medica 18. A fronte di ciò,
Callahan invita a ridefinire gli scopi (goals) della
medicina 19, affinché essa possa essere effettivamente sostenibile sia per i paesi ricchi che per
quelli poveri; il punto di partenza della sua analisi è costituito dal rifiuto di una medicina onnipotente, come se la nostra natura non conoscesse dei limiti biologici. Per questo egli propo e, t a l alt o, di adotta e u uovo o etto
di progresso medico, che certamente va promosso attraverso la ricerca scientifica e che tuttavia non può essere considerato come inarrestabile e privo di qualsiasi limitazione, anche di
tipo economico. Grazie a una nuova idea di prog esso le atte zio i ise vate all au e to
dell aspettativa di vita dov e e o esse e pe
Callahan modeste, ma ciò verrebbe compensato
dallo sforzo volto a migliorare la qualità di vita,
che per esempio può essere fortemente compromessa da gravi malattie mentali; il progresso
medico inoltre andrebbe indagato nella prospettiva della salute della popolazione, piuttosto che della salute individuale. Ciò porta a stabilire anche delle priorità nella ricerca scientifica, che dovrebbe concentrarsi sulla salute dei
bambini e, a seguire, in forma subordinata, su
quella dei giovani e degli adulti e, in forma a ncor più subordinata, su quella degli anziani. Certamente la ricerca medica dovrà continuare a
indagare sulle patologie della fas ia d età superiore agli anni 80, ma per Callahan ciò dovrebbe
avvenire in modo ridotto, se non altro perché
raggiunta una tale età si può ben dire di aver
vissuto pienamente la propria vita; nel contempo la priorità della ricerca dovrebbe indirizzarsi
alle fasce più giovani della popolazione (vale la
18
Cfr. D. CALLAHAN, Medical Progress and Global
Chronic Disease, pp. 35-37.
19
Ivi, pp. 40-44.
Forum – Il Nuovo Codice di Deontologia Medica
Oltre che nella ricerca vanno individuate delle
priorità anche nelle politiche sanitarie e
ell ese izio della pratica medica. Callahan immagina una struttura piramidale che nella parte
inferiore, quella più vasta, sia indirizzata alla
promozione della salute e alla prevenzione dalle
malattie; ad un livello superiore dovrebbe trovare posto la medicina di base, assicurando le
cure fondamentali e quelle di emergenza; quindi, allo stadio superiore, il ricovero ospedaliero,
limitato nel tempo, dovrebbe farsi carico delle
malattie acute; ad un livello ancora superiore
una cura altamente tecnologizzata dovrebbe
occuparsi delle malattie croniche. Gli standard
per accedere ai più alti livelli dovrebbero essere
rigorosi, sostenuti dalla ragionevole aspettativa
di un possibile, effettivo miglioramento delle
condizioni del paziente con costi accessibili (si
po ta ui l ese pio del costo molto elevato di
alcuni farmaci contro il cancro e si sollevano
delle perplessità sulla somministrazione di tali
farmaci quando essi siano in grado di prolungare la vita solo per un brevissimo periodo).
L a alisi di Callahan continua ricordando come
un approccio profondamente diverso, qual è
quello che egli auspica, richiederebbe di intervenire anche sulla preparazione dei medici, nelle aule universitarie, e in seguito sul loro a ggiornamento. Decisiva dovrebbe anche essere
una più ampia formazione ivolta all i te a popolazione, attraverso i media, dalla quale emerga una percezione dei limiti della medicina, al di
là di og i fa ile eto i a sulle sue
ag ifi he
so ti e p og essive .
Nell i te to di Callaha uesta idefi izio e dei
compiti della medicina dovrebbe riuscire a tutela e o dizio i di aggio e e uità ell a esso
al bene salute. Ora, si può più o meno condivi-
dere le sue proposte o eccepire riguardo alla
plausi ilità dell u a piuttosto he dell alt a, a
non è questo il punto. Al di là delle possibili vie
d us ita i di ate, e t ale la tesi di u a edicina che deve coniugarsi in termini di sostenibilità. Ed è qui che si pone la questione della possibile, e auspicabile, compatibilità tra efficacia
della prestazione medica e uso responsabile di
risorse che notoriamente non sono infinite.
L auto o ia del edi o si isu a a he, e to
non solo, dalla capacità di riuscire a rispettare
una simile compatibilità; ma oltre alla respo nsabilità del singolo, vi è quella di una intera comunità di professionisti chiamata a interrogarsi
su quali debbano essere le priorità della medicina oggi. La difesa o la riappropriazione
dell auto o ia pe duta passa a he di ui, i
un ruolo attivo da esercitare nello spazio publi o. L o asio e poteva già esse e sfruttata
con il CDM 2014, che dedica per la prima volta
u a ti olo, il . , alla
edi i a pote ziativa
ed esteti a , o
olte osse vazio i o divisi ili, ma senza – come dire – spi ge e l a eleratore sino in fondo, chiedendosi se tra un intervento di potenziamento e un intervento più strettamente terapeutico non si debba stabilire una
chiara gerarchia, specie in un sistema di sanità
pubblico. E secondo chi scrive, tale gerarchia
p evede he l i te ve to st etta e te te apeuti o a ia se z alt o la precedenza, sulla base di
un principio di sostenibilità, la cui valenza non è
in primis di tipo economicistico, ma volto a garantire a tutti e specialmente a chi ne ha più bisog o, e uità ell a esso alla salute.
Forum
pe a te e e p ese te he all epo a della publi azio e del suo saggio l auto e aveva
a nni).
59
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
Maurizio Balistreri
ON PROCEDURES FOR RECTIFYING THE UNBORN’S MITOCHONDRIAL ANOMALIES: ETHICAL ISSUES AND
LEGAL PERSPECTIVES
ABSTRACT: Women can produce eggs with a high load of abnormal mtDNA. Those who
know they have a disease caused by anomalies in the mtDNA can opt for preimplantation genetic diagnosis and select for the implantation the embryos without
mutations in mtDNA or with the lowest proportion of abnormal mtDNA. Another option is to have a baby using donated eggs. The UK House of Commons recently approved two methods for replacing abnormal mtDNA: maternal spindle transfer and
pro-nuclear transfer. In maternal spindle transfer (MST), the genetic material in the
u leus of a egg is e oved f o the i te ded othe ’s egg a d t a sferred into an
egg from a donor that has had its maternal spindle removed. The reconstituted egg
would then be fertilised by the inte ded fathe ’s spe a d the e ly fo ed embryo implanted into the intended mother. In pronuclei transfer (PNT), the pronuclei
from the donor embryo are transferred into the donor embryo, which has had its
pronuclei removed. The essay will discuss the main moral objections against the various types of nuclear transfer to prevent mitochondrial DNA (mtDNA) disorders: the
risks for the baby and for the future generations, the problem related to changing of
the germ line and the use of similar techniques for other purposes. Our conclusion is
that the two main developed methods for replacing abnormal mtDNA are morally
approvable because they allow the child who will be born to have a better quality of
the life.
KEYWORDS: Bioethics; genetic engineering; human cloning; germ line; mitochondrial
disease.
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ISSN 2284-4503
SOMMARIO: 1. Perché correggere le anomalie del DNA mitocondriale? – 2. La questione dei rischi per il nascituro
e le generazioni future. – 3. La questione della legittimità degli interventi sul genoma umano. – 4. Il pericolo del
pendio scivoloso. – 5. È sbagliato distruggere un ovocita con due pro-nuclei? – 6. Conclusioni.

Ricercatore t.d. di Filosofia orale, Diparti ento di Filosofia e “cienze dell’Educazione, Università di Torino.
Scritto sottoposto a doppio referaggio anonimo.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
In merito alle procedure che permettono di correggere le anomalie
mitocondriali del nascituro: questioni etiche e prospettive giuridiche
61
Maurizio Balistreri
Essays
62
1. Perchè correggere le anomalie del DNA mitocondriale?
S
i possono presentare situazioni in cui un bambino nasce con gravissime patologie e disturbi
a causa della presenza di anomalie genetiche a livello di DNA mitocondriale1. Queste anomalie genetiche possono essere il risultato della ricombinazione genetica che si realizza al
o e to della fe o dazio e dell’ovo ita da pa te dello spe atozoo, a possono anche essere trasmesse a chi viene al mondo dalla cellula uovo della madre, in quanto il DNA mitocondriale (mtDNA)
viene trasmesso al nascituro soltanto dalla donna2. Studi morfologici condotti su roditori3, bovini4 e
cellule umane hanno mostrato, senza alcun ombra di dubbio, che il mtDNA degli spermatozoi viene
espulso su ito dopo la fe tilizzazio e, ella fase i ui l’e
io e allo stadio t a due e uatt o ellu5
le . Una donna che, dopo un test genetico, scopre che i propri ovociti presentano anomalie genetiche
a livello di mtDNA potrebbe convincersi che, se vorrà avere un figlio, la cosa più giusta da fare è ricore e all’ovo ita di u a do at i e, pe h i uesto odo evite à he il as itu o a ia u a vita seg ata da gravi malattie e sofferenze6. Negli ultimi decenni gravissime patologie sono state associate ad
anomalie del mtDNA7: i loro sintomi comprendono cecità, crisi epilettiche, deterioramento mentale,
difficoltà nella coordinazione dei movimenti muscolari, perdita della visione notturna e periferica,
ipotrofia muscolare, atassia cerebellare, emorragia cerebrale, encefalomiopatia, acidosi lattica, miaste ia, assa statu a, i fa to a dia o, epilessia fo ale e so dità eu ose so iale, l’oftal oplegia p ogressiva esterna, la miopatia, la cardiomiopatia mitocondriale adulta, infantile e fetale e, infine, forme di diabete e di sordità. Per prevenire la nascita di bambini affetti da gravi anomalie mitocondriali
recentemente la House of Commons ha approvato alcune modifiche allo Human Fertilisation and
Embryology Act8 che consentono alle coppie, che vogliono avere un figlio biologico senza trasmettergli anomalie mitocondriali, di ricorrere a due9 nuove procedure10. La prima procedura prevede11 –
1
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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ISSN 2284-4503
R. TAYLOR and D. TURNBULL (2005), Mitochondrial DNA mutations in human disease, in Nature Reviews Genetics,
2005, 6(5), pp. 389–402.
2
U. GYLLENSTEN et al., Paternal Inheritance of Mitochondrial DNA in Mice, in Nature, 352, 1991, pp. 255-257.
3
J.I. HIRAOKA, Y-h HIRAO, Fate of Sperm Tail Components After Incorporation into the Hamster Egg, in Gamete
Research, 19, 1988, pp. 369-380. R. SHALGI, A. MAGNUS, R. JONES, D.M. PHILLIPS, Fate of Sperm Organelles During
Early Embryogenesis in the Rat, in Molecular Reproduction and Development, 37, 1994, pp. 264-271.
4
F. SUTOVSKY, C.S. NAVARA, G. SCHATTEN, Fate of the Sperm Mitochondria, and the Incorporation, Conversion, and
Disassembly of the Sperm Tail Structures During Bovine Fertilization, in Biology of Reproduction, 55, 1996, pp.
1195-1205.
5
F. ANKEL-SIMONS, J.M. CUMMINS, Misconceptions about Mitochondria and Mammalian Fertilization: Implications
for Theories on Human Evolution, in Proceedings of the National Academy of Sciences Usa, 93, 1996, pp. 1385913863.
6
Per una discussione di un caso simile, A.L. BONNICKSEN, Transplanting Nuclei between Human Eggs: Implications for Germ-Line Genetics, in Politics and the Life Science, 17, 1, 1998, pp. 3-10. Ma si veda anche A.
BREDENOORD, W. DONDORP, et al., PGD to reduce reproductive risk: the case of mitochondrial DNA disorders, in
Human reproduction, 2008, 23(11), pp. 2392-2401.
7
Per una lista aggiornata delle malattie di origine mitocondriale N. HAITES, R. LOVELL-BADGE, Scientific review of
the safety and efficacy of methods to avoid mitochondrial disease through assisted conception, Report provided
to the Human Fertilisation and Embryology Authority, aprile 2011, Annex A.
8
HUMAN FERTILISATION AND EMBRYOLOGY (MITOCHONDRIAL DONATION), REGULATIONS 2015.
9
PARLAMENTARY OFFICE OF SCIENCE AND TECHNOLOGY (House of Parliament), Preventing Mitochondrial Disease, Number 431 March 2013, Updated October 2014, pp. 1-4.
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
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10
Gli emendamenti sono stati approvati nella seduta della House of Commons il 3 febbraio 2015 con 382 voti a
favore e 128 contro.
11
D.S. RUBENSTEIN et al., Germ-Line Therapy to Cure Mitochondrial Disease: Protocol and Ethics of in Vitro Ovum
Nuclear Transplantation, in Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 4, 3, 1995, pp. 316-339.
12
M.D. BACCHETTA, G. RICHTER, Response to Ger -Line Therapy to Cure Mitochondrial Disease: Protocol and Ethics of In Vitro Ovum Nuclear Transplantation , in Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 5, 1996, pp. 450457.
13
J. COHEN, R.T. SCOTT, T. SCHIMMEL, J. LEVRON, S.M. WILLADSON, Birth of Infant After Transfer of Enucleate Donor
Oocyte Cytoplasm into Recipient Eggs of a Patient with Recurrent Poor Embryo Development and Failed Implantation, in Lancet, 350, 19 giugno 1997, pp. 186-187.
14
J. COHEN, art. cit., p. 186.
15
J.A. BARRITT, C.A. BRENNER, H.E. MALTER, J. COHEN, Mitochondria in Human Offspring Derived from Ooplasmic
Transplantation: Brief Communication, in Human Reproduction, 16, 3, 2001, pp. 513-516.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
come primo intervento – che il DNA nucleare della cellula uovo della donna venga trasferito in
u ’alt a ellula uovo, privata del DNA nucleare, messa a disposizione da una donatrice (in vitro ovum
nuclear transplantation – IVONT – o, come ormai viene chiamata maternal spindle transfer –MST). La
cellula uovo viene quindi fertilizzata in vitro dallo spe atozoo e su ito dopo t asfe ita ell’ute o della donna, come in un normale intervento di riproduzione assistita. In tal modo, il nascituro ereditee e il DNA ito o d iale dalla do at i e dell’oo ita, e, allo stesso tempo, sarebbe figlio biologico
della donna affetta da mutazioni mitocondriali, da cui erediterebbe parte del suo DNA nucleare
l’alt a pa te, i ve e, sa e e data dal o pag o o, o u ue, da hi ette a disposizio e gli spermatozoi).12 La seconda procedura approvata dalla House of Commons prevede il trasferimento del
ate iale ge eti o o p i a, a dopo la fe o dazio e dell’ovo ita. L’ovo ita o a o alie itocondriali viene fecondato e, poi, i pro-nuclei vengono trasferiti in un ovocita che non presenta anoalie ge eti he, fe o dato e ui di p ivato, i
a ie a spe ula e all’alt a p o edu a, dei p o-nuclei
(pronuclear transfer o PNT). Anche in questo modo, chi viene al mondo non soffrirà di alcuna anomalia mitocondriale. Le procedure approvate dalla House of Commons dovranno essere ora approvate
dalla House of Lords, al termine di una consultazione pubblica di tre mesi. Considerato che si prevede
che anche la House of Lords app ove à le p o edu e des itte,
olto p o a ile he, e t o l’a o, il
Regno Unito diventerà il primo Paese al mondo a permettere interventi che modificano il genoma dei
gameti destinati alla riproduzione.
ìo o, o u ue, più di ve t’a i he si lavo a pe p eve i e le a o alie del tDNA. I u a ti olo
apparso nel giugno 1997 nella rivista Lancet, Jacques Cohen e Richard Scott13 hanno dato notizia della as ita di Ba y E
a, a seguito di u p e ede te i te ve to di i iezio e di itoplas a ell’oo ita
della madre. Emma avrebbe ereditato il mtDNA soltanto dalla madre, in quanto il mtDNA della donat i e sa e e stato espulso dall’e
io e p i a della sedi esi a setti a a di gestazione14. Tuttavia,
il mtDNA di altri bambini nati con questa stessa tecnica è risultato eteroplasmico: presenta, cioè, due
diverse popolazioni di DNA mitocondriale. U a t as essa dalla do at i e dell’ovo ita, l’alt a dalla
donna il cui oocita è stato fertilizzato15. A quanto risulta, questi sarebbero i primi bambini che alla nascita presentano il codice genetico di tre diverse persone: con precisione, due donne ed un uomo.
Nel 2001, comunque, la Food and Drug Administration ha vietato questa procedura fino a quando
non verrà dimostrato che essa non presenta rischi per chi nasce. Da allora interventi di questo tipo,
63
Maurizio Balistreri
Essays
64
almeno negli USA, non sono più stati praticati16. A he se l’a u io di Cohe ha sollevato u e ose
reazioni17, i bambini nati attraverso questa tecnica – sarebbero circa trenta – non avrebbero alcuna
malattia18. Interventi di trasferimento di citoplasma a fini riproduttivi sono stati praticati anche in Italia da Alessandro Di Gregorio, ma solo in un caso avrebbero condotto alla nascita di un bambino19.
La possibilità di correggere le anomalie genetiche mitocondriali solleva importanti questioni morali.
La maggiore preoccupazione è che queste procedure possano risultare dannose per il nascituro e,
ui di, o da a lo a u a vita di soffe e ze. Ma ’ a he il ti o e he, i dipe de te e te dalla loro efficacia e sicurezza, gli interventi sul mtDNA comportino una moltiplicazione delle figure genitoriali e producano, pertanto, per chi viene al mondo una situazione nuova e difficile. Non appare etico
che il desiderio di genitorialità di una coppia venga soddisfatto attraverso una procedura che, creandogli una molteplicità di referenti esistenziali diversi, se non conflittuali, tenderebbe ad indebolire
l’ide tità pe so ale del figlio. Ve go o esp essi, poi, du i i a la possi ilità di giustifi a e o almente un intervento che – per prevenire alcune malattie – modifica il codice genetico del nascituro.
Quello che si paventa, poi, è che le procedure che correggono il mtDNA manipolino, insieme al geo a, a he l’ide tità della pe so a he ve à al o do. No vie e, i fi e, t as u ata la possi ilità
che queste procedure possano migliorare la condizione di chi nascerà, ma danneggiare, indirettamente, altre persone. Le persone maggiormente a rischio sarebbero quelle che presentano disabilità
ge eti he, il ui valo e ve e e di i uito dallo sfo zo della so ietà di p eve i e l’esiste za. Ma anche le donne potrebbero essere penalizzate da procedure che, comportando il passaggio di DNA da
u ovo ita ad u alt o, i hiedo o l’ovodo azio e. La fo za di ueste dive se o iezio i ve à valutata
nelle prossime pagine. Anticipiamo che la conclusione a cui arriveremo sarà che – dal nostro punto di
vista – nessuna di queste obiezioni è veramente capace di mostrare che sia sbagliato intervenire sul
DNA mitocondriale del nascituro per correggere quelle anomalie responsabili di gravissime malattie.
Le nuove possibilità di correggere le anomalie del mtDNA che le biotecnologie offrono sono in linea
o uell’attitudi e pe ulia e della spe ie u a a di i peg a si affi h la di e sio e della as ita
sia, il meno possibile, lasciata al caso. Dopo aver mostrato che nessuna delle obiezioni considerate è
in grado di presentare argomenti convincenti contro il trasferimento del DNA da un ovocita ad un altro, esamineremo, infine, le modifiche che dovrebbero essere introdotte nella legge 40/2004 sulla rip oduzio e assistita pe o se ti e uest’i te ve to anche nel nostro paese.
2. La questione dei rischi per il nascituro e per le generazioni future
Nel p ossi o futu o gli i te ve ti di MìT e di PNT pot e e o esse e usati ell’a ito della edi i a
riproduttiva per prevenire la trasmissione al nascituro di un gran numero di malattie di origine mitoE. DUSI, L’intervista. Han Brunner. Capo della società europea di genetica, in La Repubblica, 4 febbraio 2015,
p. 21.
17
A. FERRIMAN, First Cases of Human Germline Genetic Modification Announced, in British Medical Journal, 322,
2001, p. 1144; E. Negrotti, Bimbi «modificati», smentite e polemiche, in Avvenire, 6 maggio 2001, p. 15.
18
R. LEVY, K. ELDER, Y. MENEZO, Cytoplasmic transfer in oocytes: Biochemical aspects, in Hum. Reprod. Update,
10, 2004, pp. 241–250.
19
R. POLATO, E a Torino nascerà un bambino con due mamme, primo caso in Europa, in Il Corriere della Sera, 4
febbraio 1999, p. 3.
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16
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
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ISSN 2284-4503
20
M. BALISTRERI, Ingegneria genetica e clonazione umana, in F. RUFO, C. BOTTI (a cura di), Bioetica: discipline a
confronto, Roma, 2002, pp. 111-121. A.L. BREDENOORD, P. BRAUDE, Ethics of mitochondrial gene replacement:
from bench to bedside, in British Medical Journal, 2010, 341, doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.c6021 (Published 08 November 2010); NUFFIELD COUNCIL ON BIOETHICS, Novel techniques for the prevention of mitochondrial
DNA disorders: an ethical review, 2012.
21
S. GRAUMANN, H. HAKER, Some Conceptual and Ethical Comments on Egg Cell Nuclear Transfer, in Politics and
the Life Sciences, 17, 1, 1998, pp. 16-18.
22
PARLAMENTARY OFFICE OF SCIENCE AND TECHNOLOGY (House of Parliament), Preventing Mitochondrial Disease, cit.,
p. 3.
23
I cambiamenti apportati sulla linea germinale, infatti, possono essere trasmessi anche alle generazioni future.
24
NUFFIELD COUNCIL ON BIOETHICS, Novel techniques for the prevention of mitochondrial DNA disorders: an ethical
review, p. 59.
25
H. JONAS, Il principio responsabilità (1979), Torino 1991, p. 40.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
condriale. Tuttavia, contro queste procedure sono state sollevate importanti obiezioni etiche20. Queste obiezioni riguardano almeno tre diversi complessi di questioni morali: il primo gruppo di questioni è quello relativo alle conseguenze per le persone interessate. Le procedure, infatti, dovrebbero
p eve i e l’i so ge za di g avissi e alattie ausate dalle a o alie ito o d iali, a ’ il is hio di
danni maggiori e imprevedibili. Un secondo gruppo di questioni riguarda, invece, la legittimità morale
di interventi finalizzati a modificare il mtDNA e quindi il genoma della persona che nascerà, indipende te e te dagli effetti pe le pe so e he as e a o. All’ulti o g uppo, i fi e, appa te go o le
questioni collegate al timore che le procedure di correzione delle anomalie mitocondriali possano
avere conseguenze negative non per coloro che verranno al mondo, ma per altre persone che, con lo
sviluppo di queste tecniche, potrebbero essere discriminate o penalizzate.
Co side ia o, i a zi tutto, le uestio i elative ai is hi he e e go o dall’i piego delle uove
tecnologie. Per quanto riguarda le questioni relative alle conseguenze che possiamo con ragione
aspettarci dal trasferimento del materiale genetico da un ovocita ad un altro21, la maggiore preoccupazione è che il nascituro venga al mondo con popolazioni diverse di mtDNA (una ereditata dalla mad e, l’alt a dalla do at i e e he uesta ete oplas ia ito o d iale possa ausa e alattie i portanti nel bambino22 e nelle generazioni future23. C’ , pe , a he la pau a he ueste te i he di t asferimento del materiale genetico – ma il discorso vale per qualsiasi intervento di ingegneria genetica
– possa o odifi a e l’esp essio e dei ge i del DNA u lea e, o effetti devastanti che emergerebe o o l’età e he, pe ta to, o sa e e o i
ediatamente riconoscibili24. Anche per questo, gli
interventi sulla costituzione genetica potrebbero innescare un processo che non soltanto sarebbe difficile da fermare, ma i cui effetti non possiamo nemmeno prevedere. In questo senso le intenzioni
he spi go o ve so l’i geg e ia ge eti a posso o esse e a he o ili e, tuttavia, la odifi azio e del
corredo genetico sarebbe, dal punto di vista morale, inaccettabile, perché non potremmo escludere
che, avviando questi interventi, si debba poi fare i conti con una catastrofe biologica. Il rischio di trovarci di fronte ad uno scenario così drammatico non lascerebbe, di conseguenza, alcun dubbio circa
l’atteggia e to da te e e ei o f o ti delle nuove opportunità scientifiche e tecnologiche. Dato
che in gioco è la nostra stessa sopravvivenza, dovremmo dare «un peso maggiore alla minaccia che
non alla promessa» ed essere perciò disposti a lasciarci sfuggire importanti benefici e vantaggi25. Soltanto in questo modo daremmo prova di essere veramente responsabili e di riuscire a considerare gli
interessi ed i bisogni non soltanto dei nostri contemporanei, ma anche delle generazioni future, la cui
65
Maurizio Balistreri
Essays
66
26
H. JONAS, Perché la tecnica oderna oggetto dell’etica, ID. in Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio
responsabilità (1985), Torino, 1997, pp. 30-31.
27
H. JONAS, Il principio responsabilità, cit.
28
M. TACHIBANA et al., Mitochondrial gene replacement in primate offspring and embryonic stem cells, in Nature, 461 (7262), 17 settembre 2009 367–372. doi:10.1038/nature08368.
29
M. TACHIBANA et al., Towards germline gene therapy of inherited mitochondrial diseases, in Nature, 493, 31 gennaio
2013, pp. 627-631. doi:10.1038/nature11647 (pubblicato online 24 ottobre 2012).
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ISSN 2284-4503
esistenza sarà influenzata massicciamente da quello che decidiamo in questo momento di fare:
«Mettiamo ipoteche sulla vita futura – scrive Hans Jonas – per vantaggi e bisogni presenti e a breve
termine, e a questo riguardo per lo più per bisogni creati da noi stessi. Forse non possiamo evitare
del tutto di agire in questo modo o in modo analogo. Ma se è così, dobbiamo porre estrema attenzione a farlo con lealtà verso i posteri, e cioè in modo tale che le loro chance di sciogliere questa ipoteca non siano compromesse in anticipo»26.
Prestare attenzione ai pericoli connessi alle biotecnologie è più che legittimo. Tuttavia mentre è giusto agire con precauzione – valutando i pro e i contro –, non è invece ragionevole assumere un atteggiamento pregiudiziale ed assoluto contro ogni intervento che potrebbe avere conseguenze pericolose. Non è possibile, infatti, agire in condizioni di completa assenza di rischi. Se prima di agire cercassimo sempre di avere un sistema compiuto di previsione e di azzeramento dei rischi, ci voteremmo
alla completa paralisi, in quanto ogni azione può avere conseguenze negative e comunque imprevedibili per le altre persone. Così facendo, poi, – cosa ancora più grave – rischieremmo di perdere quei
benefici che non sono raggiungibili attraverso condotte meno rischiose. In questo modo si risponde a
coloro che sostengono che, in condizioni di incertezza, sia sempre doveroso dare un peso maggiore
alla minaccia rispetto alla promessa di beneficio27. Se è vero, infatti, che possiamo pensare a tante situazioni in cui sembra giusto assumere qualche rischio per compiere azioni che possono produrre
importanti vantaggi, allora è soltanto confrontando i rischi con i possibili benefici che possiamo valutare – nella maniera più appropriata – la correttezza delle nostre scelte. Queste considerazioni valgono anche per la valutazione degli interventi di correzione del DNA mitocondriale. Nel caso delle proedu e he o se to o di odifi a e il tDNA dell’ovo ita, a t a e va taggio sa a o le pe so e
che vogliono avere un figlio biologico, ma senza condannarlo a una vita di sofferenze, a causa di
anomalie mitocondriali. I benefici maggiori, però, andranno alla persona che nascerà che – se non
fosse possibile ricorrere al MST o al PNT – o non nascerebbe mai (perché i genitori forse rinuncerebbero ad un figlio biologico) o nascerà, ma – a causa delle anomalie genetiche – soffrirà di gravissimi
p o le i. Pe hi as e, ve o, ’ se p e il pe i olo he p o edu e o e il MìT e il PNT i ve e he
o egge e le a o alie ito o d iali dell’ovo ita, le e da o a o a più gravi, con le conseguenze
che possiamo facilmente immaginare per la salute e per il benessere della persona che verrà al mondo. Tuttavia, questo rischio non appare particolarmente significativo se consideriamo le sperimentazioni più recenti condotte sugli animali e sugli embrioni, che sembrano confermare la sicurezza di entrambi gli interventi. Nel 200928 è stato dimostrato, per la prima volta, che la tecnica di correzione del
DNA mitocondriale potrebbe essere utilizzata con successo a fini riproduttivi. In uell’o asio e, dopo il trasferimento DNA nucleare di ovociti di primati in altri ovociti precedentemente enucleati, è
nata una prole perfettamente sana. In seguito, questo modello di ricerca è stato applicato agli ovociti
umani, con risultati positivi29. Dei 106 ovociti umani donati per la ricerca, 65 sono stati sottoposti a
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
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ISSN 2284-4503
30
D. CYRANOSKI, DNA-swap technology almost ready for fertility clinic, in Nature, 24 ottobre 2012, doi:
10.1038/nature.2012.11651. HUMAN FERTILISATION AND EMBRYOLOGY AUTHORITY, Scientific review of the safety and
efficacy of methods to avoid mitochondrial disease through assisted conception, aprile 2011:
http://www.hfea.gov.uk/docs/2011-04-18_Mitochondria_review_-_final_report.PDF.
31
D. PAULL et al., Nuclear genome transfer in human oocytes eliminates mitochondrial DNA variants, in Nature,
2013, 31;493(7434), pp. 632-7.
32
HFEA, Third scientific review of the safety and efficacy of methods to avoid mitochondrial disease through assisted conception, 2014 update, June 2014.
33
K. EINHARDT, D.K. DOWLING, E.H MORROW, Mitochondrial Replacement Evolution, and the Clinic, in Science, 341,
2013, pp. 1345-1346.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
interventi di trasferimento di DNA nucleare, mentre 33 sono stati utilizzati come gruppo di controllo.
La percentuale di fecondazione degli ovociti sottoposti a trasferimento di DNA nucleare è stata simile
(73%) a quella ottenuta con il gruppo di controllo (75%). Una porzione importante di zigoti ottenuti
dalle cellule uovo ricostruite presentavano anormalità importanti dovute a un irregolare numero di
pronuclei (52%). Comunque, degli embrioni normali, il 62% ha raggiunto lo stadio di blastocisti e nel
38% dei casi è stato possibile ottenere dalle blastocisti cellule staminali embrionali: un risultato – anche questo – comparabile a quello raggiunto con il gruppo di controllo30. In uno studio successivo,
dopo la sostituzio e del DNA u lea e, la fe o dazio e dell’ovo ita o sa e e avve uta pe ezzo
di gameti, ma per partenogenesi31. Anche in questo caso, però, è stato mostrato che – se
l’attivazio e degli ovo iti vie e o t ollata – il t asfe i e to del DNA o o p o ette
l’i teg ità
ge eti a dell’e
io e
i pedis e all’e
io e di aggiu ge e lo stadio di lasto isti. Gli auto i affermano che la percentuale di DNA mitocondriale trasferito con il DNA nucleare era inizialmente al di
sotto dell’ %, di i ue do elle lasto isti e elle li ee ellula i sta i ali e
io ali a livelli o ilevabili e rimanendo non rilevabile dopo più di un anno, dopo la riprogrammazione cellulare per ottenere cellule iPì. L’a o su essivo – nel 2014 – il gruppo di ricercatori guidato da Shoukrat Mitalipov
della Oregon Health and Science University ha reso noto che i macachi portati alla luce nei precedenti
interventi di trasferimento di nucleo avevano raggiunto i cinque anni di età e non mostravano segni
di anormalità genetiche32. Il g uppo di i e a dell’U ive sità di Ne astle, guidato da Doug Tu ull
(direttore del Wellcome Trust Centre for Mitocodrial Research dell’U ive sità di Ne astle), ha testato, i ve e, l’effi a ia della te i a di t asfe i e to dei pro-nuclei. Nel 2014 il gruppo di Newcastle ha
aggio ato l’HEFA degli ultimi risultati ottenuti, affermando che, dopo il trasferimento dei pro-nuclei
da u a ellula uovo ad u ’alt a, gli e
io i i ostruiti sarebbero in grado di raggiungere lo stadio di
lasto isti. I o asio e di u app ofo di e to o dotto dall’auto ità i glese pe la ip oduzio e assistita sulle tecniche di prevenzione delle malattie legate ad anomalie mitocondriali, è stato presentato da questo gruppo anche un manoscritto con una descrizione accurata delle ricerche condotte
che dovrebbe presto essere pubblicato. Per verifica e la si u ezza e l’effi a ia della te i a, il g uppo
di Newcastle avrebbe, poi, analizzato il make-up cromosomico degli embrioni, il numero di cellule
presenti, i marcatori cellulari e, infine, il DNA mitocondriale. È vero, inoltre, che alcuni scienziati ritengono che la procedura non sia stata ancora sufficientemente testata e che nei topi e in altri animali possa provocare gravi problemi di respirazione, cognizione e fertilità33. Turnubull, tuttavia,
esp i e du i i a l’atte di ilità di uesti espe i e ti he, usa do a i ali da la o ato io i o iati,
non sarebbero veramente indicativi e ricorda che è possibile fare riferimento ad altri importanti studi
di sostituzio e ito o d iale he atteste e e o la si u ezza dell’i te ve to pe la pe so a he a-
67
Maurizio Balistreri
Essays
68
sce34. Per altro, il rischio di danni per il nascituro collegato a queste procedure di correzione del
mtDNA potrebbe essere ulteriormente ridotto conducendo analisi ge eti he sull’e
io e, p i a e
dopo il trasferimento in utero. Dopo il trasferimento, in assenza di anomalie genetiche, la donna potrebbe continuare la gravidanza fino alla nascita. In presenza, invece, di irregolarità nel codice genetico, ella potrebbe scegliere di interromperla.
Pave ta o u da o dive so pe il as itu o olo o he i hia a o l’atte zio e sul fatto he hi verrà al mondo erediterà il proprio genoma non da due, ma da tre persone35. In questo caso, la paura è
che gli interventi di sostituzio e del tDNA dell’ovo ita possa o alte a e la atu a della as ita e,
moltiplicando le figure genitoriali, porre la persona che nascerà in una situazione completamente
nuova e psicologicamente difficile. I sostenitori della procedura, cioè, possono anche minimizzare la
rilevanza del DNA mitocondriale nel make-up genetico di un individuo, ma ci saranno comunque tre
adulti geneticamente connessi con il bambino36. Tuttavia, è ancora da dimostrare che ricevere il proprio DNA mitocondriale o il proprio codice genetico da un numero di persone diverso da due comporti per coloro che vengono al mondo necessariamente un danno37. No ’ , io , al u a o t addizione nel pensare che una persona possa venire al mondo grazie al contributo genetico di tre persone e, allo stesso tempo, avere una vita piena di soddisfazioni e felice. Per quanto ne sappiamo il benessere e, di conseguenza, la qualità della vita del nascituro dipenderanno più dalla capacità degli
adulti di prendersi cura di lui (o di lei) che dal numero di persone che parteciperanno alla formazione
del suo codice genetico. A conferma di questa ipotesi si aggiunga che è difficile immaginare che interventi di questo tipo possano creare per chi nascerà una moltiplicazione delle figure genitoriali. La
persona che, infatti, partecipa alla formazione del mtDNA del nascituro con la donazione di un ovocita, non può essere considerato il suo genitore – una sorta, cioè, di seconda madre –, in quanto non
soltanto non le può essere ascritta alcuna responsabilità per la nuova vita, ma non concorrerà nemmeno alla sua educazione e alla formazione del suo carattere. Soltanto coloro che riducono la persona al proprio codice genetico possono pensare che sia sufficiente contribuire al genoma di una persona per diventare genitore. Una volta che si abbandona questa concezione riduzionistica della persona diventa più difficile percepire la donatrice del mtDNA come un terzo genitore del nascituro. Dicendo questo, comunque, non vogliamo sminuire il contributo della donatrice, ma più semplicemente affermare che una cosa è essere genitore altra cosa è aiutare una donna o una coppia ad avere un
figlio che non soffrirà di gravissime malattie. Valgono, cioè, per la donazione di DNA mitocondriale le
stesse considerazioni che possiamo avanzare nei confronti della donazione degli organi: entrambe
34
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ISSN 2284-4503
P.F. CHINNERY et al., Correction: The Challenges of Mitochondrial Replacement, in PLoS Genetics, 10, e1004315
(2014), pubblicato online il 2 giugno 2014 (doi: 10.1371/journal.pgen.1004472).
35
J. ANTON, Ethical issues of new techniques to avoid mitochondrial disease, Ethics and Law Advisory Committee
(HFEA), 8 giugno 2011, paper number ELAC (06/11)1, pp. 1-13.
36
F. TAYLOR, Three-parent embryos for mitochondrial disorders, in Christian Medical Fellowship Files, 51, Summer 2013, http://www.cmf.org.uk/publications/content.asp?context=article&id=26082; F. BAYLIS, The ethics of
creating children with three genetic parents, in Reproductive BioMedine Online, 26, 2013, pp. 531-534.
37
Natu al e te, olt e alla uestio e elativa agli effetti dell’eve tuale oltipli azio e delle figu e ge ito iali, si
dovrebbe verificare che la combinazione di genomi differenti, seppure in percentuali minime, non crei danni
biologici, soprattutto nel medio e lungo periodo. Come dicevamo, però, un rischio di questo tipo non sembra
particolarmente significativo, in considerazione sia delle ricerche finora condotte che delle alternative che il nascituro ha.
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
3. La questione della illegittimità intrinseca degli interventi sul genoma umano
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Riguardo, poi, alla questione relativa alla illegittimità intrinseca degli interventi finalizzati a correggere il mtDNA, quello che si considera inaccettabile è soprattutto la manipolazione del genoma che essi
produrrebbero39. Affermare, però, che questi interventi manipolano il genoma del nascituro significa
già esprimere un giudizio negativo circa il cambiamento che essi realizzano, senza spiegare le ragioni
di uesta valutazio e. ìi assu e o e u assio a he o ’ isog o di di ost a e he «la spe ie
umana debba essere lasciata fuori da qualsiasi intervento, considerando la sua natura biologica stabile, acquisita e fissa e dunque intangibile»40. Non è chiaro, però, perché il semplice fatto di prevedere
u a ia e to del tDNA dell’ovo ita dov e e e de e l’i te ve to i
o ale. Nel o so dei illenni la specie umana è passata attraverso così tanti processi che hanno modificato sia il contesto
culturale che la propria costituzione biologica che essa si presenta come una specie in continuo cambiamento e auto-cambiamento. Intervenire sul proprio DNA per correggere eventuali anomalie mitocondriali appare, pertanto, in linea con quella tendenza a rimodellare la propria natura – in un processo di continuo ricrearsi – che caratterizza da sempre la nostra evoluzione41. I olt e, l’a etta ilità
o ale delle te i he he ettifi a o il tDNA dell’ovo ita dov e e esse e valutata o ta to sulla
base delle conseguenze che esse hanno sul codice genetico della persona che verrà al mondo quanto
piuttosto sulla base degli effetti prevedibili che esse avranno sulla sua esistenza. Se queste tecniche
permettono al nascituro di avere una migliore qualità della vita, non sembrano esserci ragioni per
considerarle inaccettabili da un punto di vista morale. Possiamo anzi sostenere a) che abbiamo un
38
A. MURDOCH, IVF and the prevention of mitochondrial DNA disease: the moral issues, in Bionews, 3 maggio
2011, ultima visita online 10 aprile 2015, http://www.bionews.org.uk/page_94023.asp; J. ANTON, Ethical issues
of new techniques to avoid mitochondrial disease, cit., pp. 7-9.
39
PARLAMENTARY OFFICE OF SCIENCE AND TECHNOLOGY (House of Parliament), Preventing Mitochondrial Disease, cit.,
p. 4; P.F. CHINNERY et al., Correction: The Challenges of Mitochondrial Replacement, cit.
40
E. LECALDANO, Bioetica. Le scelte morali, Roma-Bari 2005, p. 214.
41
J. HARRIS, Enhancing Evolution: The Ethical Case for Making Better People, Princeton, 2010; J. SAVULESCU, N.
BOSTROM (a cura di), Human Enhancement, Oxford University Press 2009; B. RÄHME, L. GALVAGNI, A. BONDOLFI (a
cura di), Enhancement umano: un dibattito in corso, in L’arco di Giano, 80, 2014, pp. 5-164.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
producono benefici importanti – che trasformano la vita delle persone che li ricevono – senza, con
questo, creare nuove relazioni di parentela. Per altro, proprio il riferimento alla donazione di organi
ci permette di realizzare che non è la prima volta che, grazie agli interventi di correzione del mtDNA,
un individuo può ricevere il materiale genetico da una terza persona. Anche coloro che hanno ricevuto il trapianto di midollo spinale guariscono grazie al fatto che le cellule, che provengono da una terza
persona, si sono integrate nel proprio organismo. Dopo il trapianto, essi hanno un materiale genetico
che deriva da tre diversi individui38. Si può, allora, immaginare il debito di riconoscenza che i genitori
e la persona che verrà al mondo sentiranno nei confronti della donna che donerà il proprio ovocita. E
si può anche comprendere il sentimento di gratitudine che essi proveranno nei confronti di chi – con
la sua scelta – permetterà al nascituro di avere una vita migliore. Sarebbe un errore, però, confondere questo sentimento con quello che un individuo può provare nei confronti delle persone che si occuperanno di lui.
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Maurizio Balistreri
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obbligo morale di rettificare quelle anomalie genetiche che determinano condizioni di vita dannose
per coloro che verranno al mondo e b) che sarebbe irresponsabile – in nome di un presunto diritto
all’i teg ità ge eti a ed a u ge o a o manipolato – condannare gli individui che esisteranno a
patire gravissime malattie42.
Una preoccupazione diversa è quella espressa da coloro che temono che attraverso gli interventi geeti i sul DNA dell’ovo ita si possa odifi a e l’ide tità del as itu o43. A questo proposito, possiamo
distinguere due tipi di identità: quella numerica e quella qualitativa44. L’ide tità u e i a
uella
he u a osa o u a pe so a ha o se stessa. L’ide tità ualitativa, i ve e, uella esiste te t a ose
o persone che si assomigliano perfettamente e che, di conseguenza, sono qualitativamente identiche
ma numericamente differenti. Un individuo, ad es., può cambiare qualitativamente, perché il suo caatte e si odifi a, a o u e i a e te, pe h , pe l’appu to, alg ado le trasformazioni del
carattere, resta ancora la stessa persona. Nel caso degli interventi di ingegneria genetica su una cellula uovo o su u ovo ita fe o dato o i p eg ato, sop attutto ua do l’o iettivo
uello di o eggere anomalie che sono causa di gravissi e alattie, ve o he l’i dividuo he as e à av à u a iografia diversa da quella che altrimenti avrebbe avuto. Per quale motivo, però, questo semplice fatto
dovrebbe rendere quegli interventi intrinsecamente sbagliati? Non soltanto facciamo un grande sforzo pe odella e l’ide tità ualitativa delle ge e azio i più giova i e ite ia o di ave aggiu to u
isultato i po ta te se sviluppia o i lo o u ’avve sio e si e a al ale. Ma se ti e
o fo se anche di mancare ai nostri doveri ed alla nostra responsabilità se non lo facessimo, in quanto, intervenendo sulla loro identità, assicuriamo loro una condizione di vita decisamente migliore45. Si può dis ute e, poi, se la pe so a he ve à al o do a seguito dell’i te ve to di i geg e ia ge eti a sa à
anco a la stessa ispetto a uella he, i asse za dell’i te ve to di o ezio e, sa e e ve uta al
o do. Tuttavia, la valutazio e o ale dell’i te ve to di o ezio e delle a o alie ito o d iali
non cambia, a prescindere da quale posizione si preferisca assumere riguardo alla questione
dell’ide tità u e i a. Noi a ia o assu to, i fatti, he le p o edu e di o ezio e delle a o alie
del DNA mitocondriale siano giustificate in quanto permettono di migliorare la condizione di benessere della persona futura. A ive e
o pe alla stessa o lusio e a he se egassi o l’ide tità
numerica della persona che nascerà. Da un punto di vista morale, infatti, sembra giusto portare al
mondo, tra le persone possibili, soprattutto quelle che avranno una migliore qualità della vita o, comunque, un migliore avvio alla vita e una scelta di questo tipo sembra richiesta anche dalla responsabilità che portiamo nei confronti delle persone esistenti46.
42
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ISSN 2284-4503
M. LOI, Giustizia e Genetica, Milano 2011; A. BUCHANAN, D. W. BROCK, N. DANIELS, D. WIKLER, From Chance to
Choice. Genetics & Justice, Cambridge, 2000.
43
A. L. BREDENOORD et al., Ethics of modifying the mitochondrial genome, in Journal of Medical Ethics, febbraio
2011, 37, 2, pp. 97-100.
44
D. PARFIT, Ragioni e persone (1984), Milano 1989; D. DE GRAZIA, Human Identity and Bioethics, Cambridge
2005.
45
M. BALISTRERI, Ingegneria genetica e clonazione umana, cit., p. 117; E. LECALDANO, Bioetica. Le scelte morali,
cit., p. 244. P.N. OSSORIO, Inheritable Genetic Modifications: Do We Owe Them to Our Children?, in A. R. CHAPMAN, M. S. FRANKEL (a cura di), Designing our Descendants. The Promise and Perils of Genetic Modification, Baltimore and London, pp. 252-271.
46
R. M. HARE, Essays on Bioethics, Oxford, 1993.
Possia o ifiuta e, i olt e, l’a go e to di olo o he i te do o o testa e al MST e al PNT il fatto
che consenta di predeterminare il DNA mitocondriale del nascituro. Di qualsiasi persona che nasce,
infatti, possiamo programmare il mtDNA, in quanto esso viene trasmesso, nella riproduzione, soltanto dalla madre. Se non è sbagliato far nascere una nuova persona, allora non è nemmeno sbagliato
correggere il mtDNA. Inoltre, la programmazione del mtDNA non comporta alcuna limitazione
dell’auto o ia del as itu o he av à u futu o ape to e o dete i ato dal ate iale ge eti o he
erediterà a livello di DNA mitocondriale. Si aggiunga, inoltre, che il MST e il PNT non implicano necessariamente una predeterminazione del mtDNA. Se, cioè, il problema è la possibilità di programmare il
mtDNA del nascituro, il trasferimento del DNA nucleare può essere effettuato in ovociti che non presentano anomalie genetiche, ma di cui si ignorano le altre caratteristiche. Contro, poi, il trasferimento di ate iale ge eti o da u ovo ita ad u alt o, o fu zio a e
e o l’a go e to se o do il
quale qualsiasi tipo di potenziamento è sbagliato. Il problema non è tanto che gli interventi sul
mtDNA non possono essere migliorativi. Non si può escludere, infatti, che il mtDNA svolga un ruolo
importante nei processi di invecchiamento47: di conseguenza, un intervento capace di allungare la vita media modificando il mtDNA, non sarebbe terapeutico, ma migliorativo. Il punto piuttosto è che
non si comprende perché le trasformazioni migliorative per via culturale sarebbero sempre moralmente accettabili, mentre quelle realizzabili con interventi di ingegneria genetica sarebbero, a priori,
inammissibili48.
Anche questo tipo di obiezione, relativa alla presunta illegittimità morale degli interventi sul DNA mitocondriale, lascia in questo modo emergere la difficoltà di fare i conti con le nuove possibilità biote ologi he. L’e o e più f e ue te he si o
ette ua do si aff o ta o le uestio i he e e gono con lo sviluppo scientifico e tecnologico è pensare che sia possibile ogni volta e per ogni questione
assumere un punto di vista oggettivo e valutare le cose senza lasciarsi condizionare dai pregiudizi e
dalla mancanza di esperienza. Quando ci confrontiamo con questioni morali nuove la possibilità
dell’e o e se p e p ese te pe h la ovità i e aviglia e pu o fo de i. Co l’affe a si delle
biotecnologie si aprono nuovi scenari e interrogativi a cui rivolgiamo la nostra attenzione alla ricerca
delle soluzioni più corrette. Pensiamo di vedere con chiarezza il problema e di essere capaci di ponderare in maniera adeguata i va taggi e gli sva taggi, i p o e i o t o ed, i ve e, al e o all’i izio, –
indipendentemente dagli sforzi facciamo –, ci possono sfuggire aspetti importanti. La nostra percezione non è a fuoco o, comunque, non ancora preparata a cogliere le diverse sfumature del mosaico
che compone la questione che dobbiamo giudicare. Quando appare qualcosa di nuovo, del resto, la
sorpresa può trasformarsi in paura e, quindi, perdiamo la capacità di assumere uno sguardo oggettivo sulle cose49. Senza aspettare di poterne esaminare la natura, e vedere se essa sia buona o cattiva,
o ludia o i
ediata e te he l’oggetto he si p ese ta
e essa ia e te u
ale. A ia o
bisogno di tempo per guadagnare familiarità con il problema morale e possiamo diventare giudici autorevoli in materia soltanto facendo esperienza.
47
H. C. LEE, Y. H. WEI, Mitochondria and aging, in Advances in Experimental Medicine and Biology, 942, 2012, pp.
311-327; A. BRATIC, N.-G. LARSSON, The Role of Mitochondria in aging, in The Journal of Clinical Investigation,
123, 3, 2013, pp. 951-957.
48
A. BUCHANAN, Beyond Humanity, Oxford, 2011; A. BUCHANAN, Better Than Human. The Promise and Perils of
Enhancing Ourselves, Oxford, 2011.
49
D. HUME, Trattato sulla natura umana, in ID., Opere filosofiche, a cura di E. LECALDANO, vol. I, Roma-Bari, 1987.
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4. Il pericolo del pendio scivoloso
L’ulti o g uppo di o iezio i he o side ia o ette l’a e to sul pe dio s ivoloso he gli i te ve ti
di modificazione del DNA mitocondriale sarebbero destinati a produrre. Da questa prospettiva, cioè,
non ci sarebbe nulla di moralmente discutibile nel correggere le anomalie genetiche a livello di
mtDNA, ma interventi di questo tipo aprirebbero inevitabilmente la strada a procedure o atteggiamenti eticamente non accettabili50. La principale preoccupazione che viene espressa è legata alla
possibilità che le procedure di rettifica del DNA mitocondriale rendano più difficile opporsi agli interventi di ingegneria genetica sul DNA nucleare del nascituro. Permettendo gli interventi di modificazione del mtDNA si passerebbe, in altri termini, il Rubicone, in quanto poi non sarebbe più possibile
giustificare una posizione di principio contro gli interventi sul genoma. Tuttavia, come abbiamo spiegato, gli interventi di ingegneria genetica vanno valutati soltanto sulla base delle conseguenze che
esse producono sulla persona che nascerà ed, eventualmente, sulle altre persone interessate. Se
possiamo prevedere che avranno conseguenze negative, sarà più che ragionevole non permettere il
loro uso. Ma se questi interventi saranno capaci di migliorare la vita delle persone che nasceranno,
allora non dovremmo avere paura che malattie importanti vengano prevenute attraverso una modifica del codice genetico.
Discorso non molto diverso possiamo avanzare nei confronti di coloro che sostengono che gli interventi di MST e di PNT sono da valutare negativamente perché renderebbero presto molto più facile
la clonazione umana51. I a zi tutto, hi affe a l’a etta ilità o ale delle p o edu e he odifi ano il mtDNA, non può – allo stesso tempo – sostenere che la clonazione umana a fini riproduttivi sia
sempre eticamente ingiustificabile. Particolari disordini genetici mitocondriali, ad esempio, potrebbero essere corretti, praticando un intervento di trasferimento di nucleo da uno zigote (o embrione) a
una cellula uovo precedentemente enucleata. Si tratterebbe di una particolare forma di clonazione,
quella embrionale, che potremmo moralmente giustificare perché, come le procedure che abbiamo
considerato, permetterebbe di rettificare importanti anomalie52. Si potrebbe, tuttavia, sostenere che
le procedure descritte fanno problema non tanto perché aprono le porte alla clonazione embrionale,
quanto piuttosto perché permettono il perfezionamento della clonazione somatica. Una cosa, infatti,
sarebbe la clonazione embrionale che potrebbe essere utilizzata per aiutare lo sviluppo di quegli embrioni che presentano anomalie mitocondriali, altra cosa, invece, la clonazione somatica che è intrinsecamente immorale, in quanto fa nasce e u uovo i dividuo dal odi e ge eti o di u ’alt a pe sona. Non sembra, però, che il MST e il PNT possano essere considerate moralmente discutibili solo per
questo. Per prima cosa, se la clonazione somatica viene considerata moralmente inaccettabile, si potrebbero adottare misure per proibirla o eventualmente limitarla, lasciando praticare gli interventi
sul DNA mitocondriale. Inoltre, coloro che ritengono che la clonazione umana riproduttiva sia sempre
L.R. KASS, La sfida della bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità umana, Torino, 2002.
PARLAMENTARY OFFICE OF SCIENCE AND TECHNOLOGY (House of Parliament), Preventing Mitochondrial Disease, cit.,
p. 4; A. BREDENOORD, W. DONDORP, et al., PGD to reduce reproductive risk: the case of mitochondrial DNA disorders, cit.. La questione viene discussa anche da A. BONNICKSEN, cit.
52
Il trasferimento di blastomero (blastomere transfer) è stato già proposto da A.L. BREDENOORD et al., Nuclear
transfer to prevent mitochondrial DNA disorders: revisiting the debate on reproductive cloning, in Reprod Biomed Online, febbraio 2011, 22 (2), pp. 200-7.
51
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50
Correggere le anomalie mitocondriali: questioni etiche e prospettive giuridiche
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53
Per una discussione delle questioni morali della clonazione umana, M. BALISTRERI, Etica e clonazione umana,
Milano, 2004; si veda anche K. Lynn MACINTOSH, Human Cloning: Four Fallacies and Their Legal Consequences,
Cambridge, 2012.
54
J. HABERMAS, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale (2001), Torino 2002.
55
D. MIETH, Probleme der Ethik in der Biomedizin am Beispiel der Klonierungsdebatte, in C. RUNTENBERG, J. S. ACH,
G. BRUDERMÜLLER (a cura di), Hello Dolly? Uber das Klonen, Berlin, 1998, pp. 156-174.
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moralmente inaccettabile sembrano esprimere, nei confronti di questa tecnica, non una posizione
ragionata ma proprie idiosincrasie. È vero che la clonazione riproduttiva, malgrado i progressi, si presenta ancora come una tecnica poco efficiente e sicura, ma ciò non implica che essa non potrà essere
perfezionata o u ’adeguata spe i e tazio e53. La clonazione (come, del resto, il MST), poi, non
soltanto non può manipolare il patrimonio genetico del nascituro, essendo un intervento volto a
crearlo, ma non può nemmeno limitare la sua autonomia (renderlo schiavo dei desideri dei genitori54), in quanto la personalità e il carattere di un individuo non sono predeterminati dal suo codice
ge eti o, a so o il isultato di u a o ti ua i te azio e o l’a ie te. Lo di ost a a he il fatto
che i gemelli monozigoti, pur avendo lo stesso genoma, hanno personalità diverse. Inoltre, anche i
otivi he posso o spi ge e a i hiede la posso o esse e app ova ili. No ’ , i alt i te i i, al u a
evidenza che la clonazione verrebbe richiesta solo per determinare certe caratteristiche somatiche
del nascituro55. Ad ese pio, la lo azio e app ese ta u ’alte ativa alla ip oduzio e esoga i a, i
ua to pe ette di ave e u figlio se za isog o di u do ato e este o. L’i te ve to i di ato soprattutto a quelle coppie che non hanno ga eti oppu e ga eti utilizza ili. I uest’ulti o aso, la
lo azio e pot e e esse e d’aiuto a uelle pe so e he pot e e o t as ette e al as itu o a o alie ge eti he a livello di DNA u lea e. L’i te ve to potrebbe rappresentare una valida soluzione per
le coppie che presentano geni recessivi per malattie come, ad esempio, la talassemia e la fibrosi cistia o alle pe so e he soff o o di alattie legate a ge i do i a ti, o e ad es. l’a od oplasia u a
forma di nanismo), la malattia di Huntington e la distrofia muscolare. A seconda del problema della
oppia si posso o i
agi a e soluzio i dive se. ìe, ad ese pio, l’uo o he p ese ta a o alie geeti he t as issi ili al as itu o, pe la lo azio e si use a o sia l’ovo ita he la ellula so ati a
della don a. ìe, i ve e, le a o alie so o i elazio e al DNA u lea e della do a, l’i te ve to pot à
esse e p ati ato o la ellula so ati a dell’uo o e l’ovo ita della do a. Co la lo azio e so atica, poi, due uomini potrebbero avere un figlio biologico. I uesto aso, pe , l’i te ve to dov e e
prevedere la fusione degli embrioni, prodotti per clonazione nucleare dalle cellule somatiche di ciascun partner. Anche le coppie lesbiche potrebbero avere un figlio biologico per clonazione. Un modo
è quello di creare un embrione clonato con il DNA nucleare di una donna e il DNA mitocondriale
dell’alt a att ave so u i te ve to di lo azio e so ati a. U alt o odo
uello di a i a e alla
lo azio e la fusio e di e
io i. Quest’ulti a p o edu a sa e e la soluzione migliore per quelle
coppie che non hanno cellule uovo (o che hanno ovociti con anomalie a livello di DNA mitocondriale
o nucleare) in quanto permette a entrambe le donne di avere un legame biologico con la prole. La
clonazione somatica, poi, potrebbe essere richiesta anche dalle coppie o dalle persone che desiderano avere un figlio con un particolare codice genetico nucleare. Possiamo immaginare, ad esempio, il
caso in cui una donna chiede di clonare il figlio perso in un incidente stradale nel quale è morto anche il compagno. Ma la clonazione potrebbe permettere anche il concepimento di un figlio con un
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56
J. HARRIS, Is Gene Therapy a Form of Eugenics?, in H. KUHSE, P. SINGER (a cura di), Bioethics. An Anthology, Oxford, 1999, pp. 165-170.
57
Il Pa la e to i glese ha sti ato he i G a B etag a gli i te ve ti sa a o ell’o di e delle decine per anno
piuttosto che delle centinaia. PARLAMENTARY OFFICE OF SCIENCE AND TECHNOLOGY (House of Parliament), Preventing
Mitochondrial Disease, cit., p. 4.
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codice genetico uguale o simile a quello di una persona che ha bisogno di un trapianto di cellule o di
particolari tessuti.
U ’alt a p eo upazio e he p o edu e o e il MìT e il PNT possa o idu e l’a etta ilità oppu e
il valore morale delle persone con problemi o anomalie genetiche. Il rischio, cioè, sarebbe che
all’i te o della so ietà si affe i l’idea he la vita di al u e pe so e doveva essere prevenuta perché
non è degna di essere vissuta. Non è, però, mettendo da parte qualsiasi programma di correzione dei
p o le i ge eti i he iglio ia o l’a ettazio e delle pe so e he soff o o di alattie ge eti he,
ma promuovendo politiche che favoris o o a l’a oglie za dell’alt o e del dive so e u a aggio e
se si ilità ei o f o ti dei e o fo tu ati. No ’ , i fatti, al u a o t addizio e el i o os e e la
dig ità di ueste pe so e e, allo stesso te po, dife de e l’utilità degli i te ve ti di ingegneria genetica. Una cosa è sostenere che un disordine genetico non è una condizione desiderabile, altra cosa è
affermare che le persone con abilità diverse non hanno valore56. Si può, in altri termini, riconoscere
che determinate malattie genetiche rappresentano una condizione drammatica per la persona che le
vive e per i suoi familiari e, di conseguenza, valutare positivamente gli sforzi per prevenirle oppure
curarle, senza con questo essere meno capaci di essere vicino ed empatizzare con chi soffre. Possiamo anzi sostenere che quanto più riusciamo ad immaginare la condizione e le sofferenze di coloro
che hanno avuto la sfortuna di nascere con malattie genetiche gravissime tanto più siamo capaci di
apprezzare il valore di quegli interventi che permettono sempre più di assicurare alle persone che
nascono una dotazione genetica sana.
Pe le do e, i ve e, il is hio aggio e he si pave ta st etta e te legato all’au e to della ichiesta di ovociti che gli interventi di MST e di PNT produrrebbero. A questo riguardo, vengono
espresse le stesse paure che troviamo nel dibattito sulla riproduzione assistita, quando si prende in
considerazione la donazione di cellule uovo. Il timore è che alcune donne potrebbero essere costrette a vendere i propri ovociti, sottoponendosi anche più volte a cicli ormonali che potrebbero compromettere la loro salute. Tuttavia, è prevedibile che la richiesta di ovociti per questi interventi sarà
sempre molto bassa, almeno in rapporto a quella che troviamo nella fecondazione assistita57. Anche
per questo i rischi di sfruttamento delle donne potrebbero essere minimizzati, incentivando la donazione degli oociti in vivo e di quelli crioconservati. Possiamo prevedere, del resto, che le donne mostreranno la stessa propensione alla donazione a favore delle coppie e delle donne che vogliono avere un figlio biologico sano di quella che mostrano oggi a favore di quelle donne che ricorrono alla feo dazio e assistita. U ’attitudi e di uesto tipo
atu al e te app ezza ile e e ita di esse e incoraggiata in considerazione degli importanti benefici che arreca alle persone coinvolte. Non possiamo, ad ogni modo, escludere a priori come moralmente non approvabili eventuali politiche che, al fine di aumentare la disponibilità di ovociti, prevedessero una qualche forma di retribuzione economia pe le do e he edo o ovo iti. L’a etta ilità o ale di uesti i te ve ti a d à, tuttavia, valutata caso per caso, tenendo conto soprattutto delle conseguenze che essi producono sulla vita delle
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5. È sbagliato distruggere un ovocita con due pro-nuclei?
U ’ulti a uestio e, st etta e te legata alla p o edu a di PNT, riguarda la rilevanza morale da riconoscere alla cellule uovo fecondate, in cui sono presenti i due pro-nuclei. In occasione, infatti, della
votazione del Parlamento inglese su questa procedura, è stato affermato che il trasferimento di pronuclei da un ovo ita all’alt o o sa e e o al e te a
issi ile pe h o po te e e la dist uzione di un embrione umano. Non è necessario qui stabilire se la distruzione di una cellula uovo fecondata in cui sono ancora presenti i due pro-nuclei equivalga o meno alla distruzione di un embrioe. A he se, i fatti, o edia o he l’ovo ita fe o dato o due p o u lei sia u e
io e, la sua
distruzione sembra comunque moralmente giustificata in considerazione degli importanti vantaggi
che essa arrecherebbe alla persona che nascerà. Del resto, il fatto che la cellula uovo fecondata possa dare origine ad un individuo adulto non sembra sufficiente per riconoscerle una particolare rilevanza morale, in quanto anche le cellule somatiche possiedono queste stesse caratteristiche e, tuttavia, non pensiamo che esse vadano trattate come persone o con un particolare riguardo. È vero, cioè,
che da una cellula uovo fecondata può svilupparsi un nuovo individuo; ma, come dimostrano le ricerche sulla clonazione nucleare, anche le cellule somatiche, in presenza delle giuste condizioni, possono dare origine a nuovi individui. A questo si aggiunga che le ricerche più recenti sembrano mostrare
che, con trattamenti mirati, le cellule somatiche possono diventare quasi indistinguibili da quelle
embrionali, per cui potrebbe esserci in futuro la possibilità di impiegarle direttamente a fini riproduttivi, senza bisogno di trasferire il nucleo come accade oggi con la clonazione. Questi studi, pertanto,
confermano ulteriormente la nostra ipotesi che dal punto di vista morale non è possibile distinguere
le cellule somatiche dagli embrioni. Dobbiamo scegliere se trattare le cellule somatiche con lo stesso
rispetto che alcune posizioni riconoscono alle cellule uovo fecondate oppure trattare le cellule uovo
fecondate come materiale biologico che, in determinate situazioni, possiamo utilizzare.
L’u i a soluzio e he a ia o pe o s ivola e i o lusio i pa adossali – per difendere le quali
dovremmo riconoscere piena rilevanza morale alle nostre cellule somatiche – è quella di riconoscere
he l’uso degli e
io i pu esse e o al e te giustifi ato. ìop attutto se uesto
e essa io pe
risparmiare sofferenze importanti a chi nascerà, la distruzione di un embrione umano appare, da un
punto di vista morale, a etta ile. Pe alt o, l’ovo ita he – a ausa dell’i te ve to di PNT – sarà distrutto viene fecondato solo per correggere le anomalie genetiche della persona che verrà al mondo.
Anche se, pertanto, per ragioni morali gli interventi di PNT non venissero permessi, non verrebbe sal-
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
donne. Mentre in alcuni contesti la cessione degli ovociti potrà sembrare compatibile con un passaggio di denaro sia nella forma di rimborso che di pagamento per la prestazione effettuata, in altri, invece, lo scambio di denaro potrà risultare più problematico e immorale, in quanto potrebbe limitare
ulte io e te la li e tà e l’auto o ia delle do e. Dov e
o o side a e, io , sia il va taggio diretto che le donne potranno avere dalla possibilità di ricavare una retribuzione dalla vendita delle loro cellule uovo, sia il rischio che importanti politiche sociali a favore delle donne più svantaggiate non
vengano attuate con il pretesto che esse hanno delle risorse che potrebbero vendere. In prospettiva,
comunque, lo sviluppo di gameti producibili a partire da cellule staminali embrionali o da cellule pluripotenti indotte (quelle ottenute dalle cellule somatiche) potrebbe ovviare al bisogno di ovociti.
75
Maurizio Balistreri
Essays
76
vato dalla distruzione alcun embrione e questo perché non ci sarà alcun embrione che verrà prodotto
pe ettifi a e le a o alie del DNA ito o d iale. Chi, io , i o e degli i te essi dell’e
io e itica gli interventi di PNT ava za u ’a go e tazio e a di po o st a a, i ua to pe dife de e
l’i te esse di ual u o p ete de he ve ga o attuate isu e he, di fatto, e i pedis o o
l’esiste za. No av e e se so, pe alt o, affe a e he pe l’e
io e sa e e o u ue eglio
non essere prodotto piuttosto che essere prodotto per essere destinato alla distruzione. Per
l’e
io e, i fatti, u a o dizio e o pu esse e iglio e dell’alt a, pe h o
i g ado
di
percepire cosa accade né di provare sentimenti. Soltanto dal nostro punto di vista uno scenario può
appa i e iglio e dell’alt o. Da uesta p ospettiva, pe , se
a agio evole fe o da e u a ellula
uovo e poi distruggerla, in quanto si consente alla persona che nascerà – che altrimenti sarebbe condannata ad avere una vita di sofferenze – di avere una vita migliore.
6. Conclusioni
58
LEGGE 19 FEBBRAIO 2004, N. 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, in Gazzetta Ufficiale
n. 45 del 24 febbraio 2004.
59
C. TRIPODINA, Il diritto a procreare artificial ente in Italia: una storia e le atica tra legislatore, giudici e
Corti, in Biolaw Journal-Rivista di Biodiritto, 2, 2014, pp. 67-87; S. AGOSTA, L’anabasi (tra alterne fortune) della
fecondazione eterologa a dieci anni dalla l. n. 40/2004, in Biolaw Journal-Rivista di Biodiritto, 2, 2014, pp. 89110.
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Le considerazioni precedenti ci permettono di concludere che non esistono ragioni veramente convi e ti pe o pe ette e l’a esso alle p o edu e di o ezio e del tDNA a uelle oppie he
deside a o ave e u figlio se za t as ette gli a o alie ge eti he. L’app ovazio e da pa te della
House of Commons del MST e del PNT sembra non soltanto legittima, ma anche eticamente doverosa
in considerazione soprattutto dei benefici che potrebbero venirne alle persone che nasceranno. Alla
luce di questa conclusione si può legittimamente auspicare che anche nel nostro paese queste proedu e ve ga o p esto auto izzate e dive ti o a essi ili. La G a B etag a ed l’Italia ha o sto ie
molto diverse per quanto riguarda non soltanto la riproduzione assistita ma anche le ricerche o le
spe i e tazio i he o po ta o l’uso o la eazio e di e
io i u a i, pe ui o
auto atico, né immediato un orientamento del nostro paese in quella direzione. Tuttavia, le recenti modifiche alla legge 40/200458 sulla riproduzione medicalmente assistita introdotte dalla Corte Costituzionale lasciano pensare che cambiamenti di questo tipo siano effettivamente possibili59. Finora il maggiore ostacolo agli interventi di correzione del mtDNA era rappresentato soprattutto da quelle parti
della legge /
he pe etteva o l’a esso alla ip oduzio e assistita solta to alle oppie ste ili.
Mi ife is o evide te e te sop attutto al o
a dell’a ti olo
he affe ava he «Il i o so alla
procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». Chi, del resto, può trasmettere anomalie mitocondriali al nascituro non è sterile e, di conseguenza, non avrebbe avuto diritto ad accedere alle tecniche
di riproduzione assistita. La sua condizione, cioè, è simile a quella di quelle coppie che possono avere
figli ma non vogliono riprodursi sessualmente per paura di arrecare un danno a chi nascerà. Negli ultimi anni ci sono state alcune sentenze importanti che hanno accolto il ricorso delle persone a rischio
di trasmissione di alterazioni genetiche. Per due volte, ad esempio, il Tribunale di Salerno (con ordi-
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60
M. D’AMICO, M. CLARA, La cicogna e il codice, Roma, 2010; P. BORSELLINO, Bioetica tra orali e diritto, Milano,
2009.
61
La Co te Costituzio e ha di hia ato l’illegitti ità ostituzio ale di uelle pa ti della legge
he o o sentono il ricorso alla tecniche di riproduzione medicalmente assistita «alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche t as issi ili, ispo de ti ai ite i di g avità di ui all’a t. 6, o
a , lette a , della legge
aggio
1978, n. 194, accertate da apposite strutture pubbliche». Comunicato della Corte Costituzionale del 15 maggio
2015.
62
P. BORSELLINO, Bioetica tra orali e diritto, cit., p. 260.
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Essays
nanza del luglio 2010) ha riconosciuto il diritto di accedere alle tecniche di fecondazione assistita a
coppie non sterili, in deroga a quanto p evisto, pe l’appu to, dalla legge 40 del 200460. Soltanto, però, con la recente pronuncia della Consulta (15 maggio 2015) il diritto delle coppie portatrici di malattie genetiche alla riproduzione assistita è stato pienamente sancito61. La sentenza della Corte Costituzionale va incontro alla richiesta di queste coppie di poter accedere alla riproduzione assistita per avvalersi della diagnosi genetica pre-i pia to «e, ui di, di pote si sott a e all’alte ativa, esistenzialmente drammatica, di mettere al mondo un figlio malato o di procedere alla scelta abortiva»62.
Tuttavia, è ragionevole pensare che il diritto riconosciuto dalla Corte possa valere anche per quelle
situazio i he i hiedo o u i te ve to di odifi azio e del tDNA dell’ovo ita p i a o dopo la fecondazione. Il principio che, infatti, sembra affermato è il diritto delle persone e delle coppie a rischio
di trasmissione di gravi malattie di servirsi delle straordinarie opportunità che le scienze biomediche
ormai aprono proprio per avere maggiori possibilità di accertare il codice genetico della persona che
ve à al o do. Che, poi, uesto possa avve i e att ave so ad u a diag osi ge eti a dell’embrione
prima del suo trasferimento in utero o con un intervento di correzione del DNA mitocondriale non
sembra fare alcuna differenza. Quello che conta è che sono entrambi interventi che consentono di
avere una discendenza in salute, promuovendo in questo modo, come abbiamo ricordato, sia gli interessi dei genitori che quelli del nascituro.
Per quanto riguarda, invece, la necessità di ricorrere agli ovociti delle donatrici, dopo la sentenza della Co te Costituzio ale he ha di hia ato l’illegitti ità della norma della legge 40 che vieta il ricorso a
un donatore esterno di ovuli o spermatozoi, ci dovrebbero essere ancora meno problemi a disporre
di cellule uovo. Se, infatti, prima di questa sentenza della Corte Costituzionale erano disponibili soltanto quelle crioconservate e non più utilizzate per interventi di riproduzione assistita, dopo la sentenza della Corte Costituzionale si può ricorrere, per un eventuale intervento di correzione del
mtDNA, anche a quelle donate. Resta il divieto di commercializzazione dei gameti, ma questo non
dovrebbe rappresentare un ostacolo al reperimento di cellule uovo, che sono necessarie per gli interventi terapeutici considerati, in quanto, comunque, il numero di ovociti richiesto sarà sempre molto limitato. Si può supporre, inoltre, – come ricordavamo – che le donne mostreranno la stessa propensione alla donazione a favore delle coppie che vogliono avere un figlio sano che mostrano oggi a
favore di quelle donne che ricorrono alla fecondazione assistita.
Per praticare il trasferimento di DNA nucleare da un ovocita ad un altro (MST) non ci sarebbe neme o isog o di odifi a e l’a ti olo he igua da la spe i e tazio e sugli e
io i, i ua to il
o
a
dell’a ti olo
pe ette espli ita e te la possi ilità di p ati a e i terventi sui gameti
che hanno finalità terapeutiche: «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei
gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite
77
Maurizio Balistreri
Essays
78
63
G. BALDINI, Riflessioni di biodiritto, Roma, 2013, p. 73.
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procedimenti artificiali, siano diretti ad alte a e il pat i o io ge eti o dell’e
io e o del ga ete
ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diag osti he e te apeuti he, di ui al o
a del p ese te a ti olo». ìe l’ovo ita i p eg ato dallo
spe atozoo o vie e o side ato e
io e, l’a ti olo , o
a , pe ette a he il t asfe imento dei pro- u lei. ìe, i ve e, si gua da all’ovo ita fe o dato e he p ese ta i p o-nuclei come
embrione, allora per praticare il trasferimento dei pro-nuclei (PNR) si dovrebbe modificare non solta to il o
a dell’a ti olo e il o
a dello stesso a ti olo «La i e a li i a e spe i e tale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente
terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo
dell’e
io e stesso, e ualo a o sia o dispo i ili etodologie alte ative» , a a he l’a ti olo
he vieta la dist uzio e dell’e
io e: «È vietata la io o se vazio e e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194» (comma 1, articolo 14).
Dove il divieto di i e a e di spe i e tazio e sull’e
io e isulta pie a e te oe e te più he alla
lette a dell’a t. della legge o l’i te zio e del legislato e di o side a e l’e
io e u soggetto
debole – pari al minore – e, di conseguenza, bisognoso di particolare cura e protezione da parte
dell’o di a e to. ìolo uesto, i fatti, spiega «u a disposizio e he o a
ette essu compromesso e non consente nessuna sintesi fra le diverse esigenze espresse dagli interessi in campo, prevede do se p e e o u ue la p evale za dell’auto o o e attuale di itto alla salute, allo sviluppo e
alla vita di questo rispetto ai corrispondenti interessi degli altri»63. Nel aso, i ui, pe ta to, l’ovo ita
impregnato fosse considerato embrione, è prevedibile che una procedura come quella di trasferimento dei pro-nuclei potrebbe essere praticata soltanto se la ricerca e la sperimentazione sugli embrio i ve isse pe essa. Il he o po te e e p evedi il e te a he u a odifi a dell’a ti olo ,
che afferma che la legge assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. Ma sop attutto la odifi a del o
a a dell’a ti olo
he vieta la produzione di embrioni a fini di ricerca o di sperimentazione o diversi da quelli riproduttivi (è vietata «la produzione di embrioni umani a
fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge»).
Naturalmente non è facile prevedere quando anche nel nostro paese il divieto di ricerca sugli emio i ve à i osso e ua to uesto divieto li ite à l’app ovazio e delle p ati he di o ezio e del
mtDNA. A prescindere, comunque, da questa questione è immaginabile che il trasferimento del materiale genetico da un oocita ad un altro si affermi presto come una pratica che permette di promuove e gli i te essi del as itu o. È ve o he oggi uest’i te ve to sus ita u a e ta app e sio e e o
sembra naturale. Ma quello che in un certo periodo appare qualcosa di innaturale ed estraneo alla
natura umana può apparire qualcosa di profondamente umano nel periodo successivo. Questo è un
aspetto che a volte si dimentica quando si discute di questioni bioetiche. La riflessione degli ultimi
decenni ci insegna che i paradigmi possono cambiare e che può diventare normale e del tutto naturale ciò che prima non appariva tale. È successo con la riproduzione assistita, potrebbe succedere anhe o alt i i te ve ti he, pe l’appunto, al momento appaiono come una pratica moralmente discutibile, ma che domani potrebbe diventare una scelta possibile per chi vuole riprodursi. La riflessione morale non dovrebbe mai perdere di vista che abbiamo sia la capacità di sorprenderci e spa-
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BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
venta i ua do si p ospetta all’o izzo te ual osa di uovo, he uella di t asfo a e le ovità i
qualcosa che è sempre stata parte del nostro mondo e senza le quali, pertanto, perderemmo una
parte della nostra umanità. Nel dibattito bioetico è facile partire dall’idea he esista o o to i he
sono propri della natura umana che le scienze e le biotecnologie ci mettono, per la prima volta, nella
condizione di stravolgere completamente e senza prestare attenzione alle conseguenze. Critiche di
questo tipo sono frequenti sia quando si discute delle nuove tecniche riproduttive che quando ci si
o f o ta, ad ese pio, o le te ologie iglio ative. I u aso e ell’alt o la p e essa se p e la
stessa ovve o he possia o des ive e ual l’esse za della atu a u ana e indicare, facendo riferimento ad essa, quali sono gli interventi che potrebbero mettere in pericolo o compromettere la sua
autenticità. In realtà, le questioni sono più complesse di come a prima vista possono apparire. Non
sappiamo, infatti, quali siano i contorni più autentici della natura umana e ancora meno conosciamo
ual l’esse za he ostituis e la ost a più ve a u a ità. No solta to le ost e disposizio i po tao l’i p o ta della ost a eatività, a le ost e apa ità, a he se posso o sembrarci naturali, sono il risultato di un lungo processo di civilizzazione che ha cambiato profondamente le nostre potenzialità, mettendoci nella condizione di fare cose che un tempo ci sembravano inimmaginabili. Come
’ u a li ea di o ti uità suffi ie temente visibile tra gli interventi migliorativi della natura umana
che le biotecnologie permettono di realizzare e gli sforzi fatti dalle generazioni passate per creare
o dizio i di vita e di sviluppo se p e più soddisfa e ti. Cos ’ u a li ea di o ti uità tra quello
che le tecnologie riproduttive ci metteranno presto in condizione di fare e quello che le passate generazioni hanno prodotto per permetterci di realizzare con più facilità e in maniera più efficace i nostri progetti riproduttivi. Gli esseri umani, del resto, hanno da sempre cercato di intervenire sulla loro
fertilità sia ricorrendo a mezzi che permettono di controllare le capacità riproduttive sia facendo rio so a st u e ti e soluzio i he isolvo o u ’i apa ità ip oduttiva. No a ia o ai considerato
la nascita un evento che è giusto o, addirittura, doveroso lasciare alla natura, ma, consapevoli dei
possibili rischi, abbiamo sempre fatto il possibile affinché questa dimensione fosse il meno possibile
lasciata al caso. Le nuove possibilità di correggere le anomalie mitocondriali che le biotecnologie off o o so o i li ea o uest’attitudi e he ha a atte izzato da se p e la spe ie u a a. Pe sa e
che sia possibile fermare il progresso e lo sviluppo tecnologico o immaginare che la storia possa finire
con noi, grazie alla resistenza che opporremo al cambiamento, sembra più espressione della difficoltà
di accettare il passare del tempo che il risultato di una seria considerazione delle questioni che le biotecnologie sollevano.
79
Mitochondrial Dna Transfer. Some Reflections From The United Kingdom
Sheila A.M. McLean
MITOCHONDRIAL DNA TRANSFER. SOME REFLECTIONS FROM THE UNITED KINGDOM
ABSTRACT: Recent medical advances and subsequent law reform in the United Kingdom have reignited debate about the ethics of mitochondrial DNA donation and
transfer. The potential personal and societal benefits of permitting such practices
must be considered against the ethical issues raised by them. It is argued that each
objection is defeasible, assuming that safety and efficacy issues can be resolved. A
brief description of the new provisions in the UK is provided.
KEYWORDS: Mitochondrial DNA donation and transfer; reproductive liberty; genetic
identity; law reform
SUMMARY: 1. Introduction. – 2. Some Ethical Considerations. – 3. The UK Position. – 4. Conclusion.
1. Introduction
A
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s genetic medicine continues to advance, therapeutic developments, while sometimes
lagging behind our capacity to identify genetic problems, nonetheless become increasingly feasible. One area of increasing contemporary relevance relates to the human toll generated by disease that can be directly linked to mitochondrial DNA (mtDNA). Mitochondria «are small
structures present in cells that produce much of the energy required by the cell. They contain a small
amount of DNA that is inherited exclusively from the mother through the mitochondria present in
he eggs. Mutatio s i this ito ho d ial DNA…. a ause a a ge of a e ut se ious diseases, hi h
can be fatal»1. While relatively rare, it is still estimated that around 3,500 people in the United Kingdom are affected by mitochondrial disease2. Equally, it has been said that «[a]round 1 in 6500 children is thought to develop a serious mitochondrial disorder. There is no cure and our current treatments only focus on managing the symptoms»3.

Emeritus Professor of Law and Ethics in Medicine, University of Glasgow. Invited contribution.
Third scientific review of the safety and efficacy of methods to avoid mitochondrial disease through assisted
conception: 2014 update. Report provided to the Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), June
2014, p. 3.
2
K. ELVIDGE, Why we should back a law change to allow mitochondrial transfer into the clinic, in BioNews 644,
available at http://www.bionews.org.uk/page_124860.asp (accessed 28/04/2015).
3
Wellcome Trust (London), Q&A: Mitochondrial donation, available at
http://www.wellcome.ac.uk/stellent/groups/corporatesite/@policy_communications/documents/web_docum
ent/wtp057782.pdf (accessed 28/04/2015).
1
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
Mitochondrial Dna Transfer.
Some Reflections From The United Kingdom
81
Sheila A.M. McLean
Essays
82
While relatively small numbers may be involved, the severity of mitochondrial disease and the human suffering associated with it means that therapeutic progress has the capacity to reduce the
overall costs – both human and financial – of mere management of symptoms, where that is even
possible. In 2008, scientists at the University of Newcastle announced a potential breakthrough that
holds out the possibility that mitochondrial disease could become a thing of the past.
There are two different techniques that could ensure that in the future, where intending parents are
aware of the potential that the mother may pass on faulty mtDNA to her offspring, they can, in conjunction with the use of in vitro fertilisation (IVF) choose to avoid this. Essentially, the techniques are
designed to replace the faulty mtDNA by using mitochondria from an unaffected donor to replace
the mtDNA of the woman intending to become pregnant. These techniques are known as maternal
spindle transfer and pronuclear transfer. The former, as the Wellcome Trust explains:
….i volves e ovi g the u lea DNA hi h a ou ts to 99.9% of the total ell DNA f o the
donor egg, leaving the part of the cell containing the healthy mitochondria. The nuclear DNA
f o the othe ’s egg is the i se ted i to this ell. The healthy egg is fe tilised a d is the
i pla ted i to the othe ’s ute us i the sa e ay IVF is a ied out al eady4.
The latte , «i volves fe tilisi g the othe ’s egg ith the fathe ’s spe fi st a d the t a sfe i g
the nuclear DNA to the donor egg containing healthy mitochondria, which has had its nuclear DNA
e oved. The healthy fe tilised egg is the i pla ted i to the othe ’s ute us i the sa e ay as i
maternal spindle transfer»5. It should be noted here that pronuclear transfer is arguably the more
controversial of these options, given that it involves the creation, and potential destruction of embryos. For some, this is sufficiently ethically troubling that no further debate is necessary. However,
i
ost al eit ot all ou t ies he e IVF is pe itted, spa e e
yos – that it those not destined, for whatever reason, for implantation – will, after a period of time, be destroyed, so this is not
novel to pronuclear transfer. The UK legislation also permits the creation of embryos specifically for
research, and these too will inevitably be destroyed6.
While positive results have been obtained in animal experiments in the laboratory, the possible successful translation of either of these techniques into human medical practice has proved to be, as
one commentator puts it, «immediately controversial»7. Few advances in reproductive medicine
have proved to be anything else. Forty years ago, debate raged about the ethics – and even the propriety – of IVF. Now, it is widely accepted as essentially standard medical practice, albeit often controlled by a legislative framework which builds in procedural safeguards. Despite the promise of
these new techniques, it is unsurprising that a fierce debate has been generated, with polarised posi4
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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Wellcome
Trust
(London),
Q&A:
Mitochondrial
donation,
available
at:
http://www.wellcome.ac.uk/stellent/groups/corporatesite/@policy_communications/documents/web_docum
ent/wtp057782.pdf (accessed 28/04/2015), para 7.
5
Wellcome Trust, op cit.
6
It is o th oti g that the UK did ot sig up to the Cou il of Eu ope’s Co ve tio fo the p ote tio of
human rights and dignity of the human being with regard to the application of biology and medicine:
convention on human rights and biomedicine (1997) precisely because it prohibits the creation of embryos for
research. The Convention is available at http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/html/164.htm
(accessed on 23/04/2015).
7
K. ELVIDGE, op. cit.
Mitochondrial Dna Transfer. Some Reflections From The United Kingdom
2. Some Ethical Considerations
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At a more philosophical level, concern relates to the extent to which manipulating DNA may have an
effe t o the o
hild’s ide tity. The assumption here is that, because additional genetic material
will be present in the child, this will affect the child in ways that prima facie threaten his or her identity. Murdoch, however, argues that while substitution of faulty by healthy mitochondrial DNA will
affe t a futu e hild’s health e efi ially , this will not «i flue e a pe so ’s ha a te isti s»11. Rather, a different child is born – one without disease. An argument along similar lines concerns what is
known as denial of an ope futu e . O this a gu e t, y deli e ately a ipulati g the hild’s genetic makeup we are denying in some way the opportunity for that child to make free, authentic
choices in the future. Of course, the same could be said of any selection procedure – whether it is as
simple as a choice of mate to co-parent a child, or the use of preimplantation genetic diagnosis (PGD)
8
The statutory body which regulates assisted reproduction in the United Kingdom, established by the Human
Fertilisation and Embryology Act 1990.
9
Third scientific review of the safety and efficacy of methods to avoid mitochondrial disease through assisted
conception: 2014 update: Report provided to the Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), June
2014, p. 4.
10
Novel techniques for the prevention of mitochondrial DNA disorders: an ethical review, London, Nuffield
Council on Bioethics, 2012, p. xv.
11
A. MURDOCH, IVF and the prevention of mitochondrial DNA disease: the moral issues, in Bionews 605, available
at http://www.bionews.org.uk/page_01423.asp (accessed 28/04/2015).
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Essays
tions adopted on each side. Interestingly, there are clear echoes of the very same debate that surrounded IVF in its early days, and by and large those opposing the introduction of these techniques
tend to be those who also argued against many of the other advances in reproductive medicine. This
is not to malign or denigrate their position, but rather to show how fundamental moral or ethical
concerns do not disappear simply because we have become more tolerant of some innovations.
Broadly, the concerns expressed by those who either oppose the further development of these techniques, or who urge extreme caution, involve matters of both a practical and a philosophical type.
Practically, there are concerns about the safety of the procedures. Manifestly, were there risks to the
future child as a result of the application of these techniques then a powerful argument could be
made that they should not be attempted. It could, and possibly should, be argued that we have an
obligation not deliberately or knowingly to generate such a risk, potentially causing more harm to future children than their mitochondrial disease would. However, this position makes some assumptions that are susceptible of challenge. First, and arguably convincingly, a number of reviews – including one highly commended series of reports from the Human Fertilisation and Embryology Authority
(HFEA)8 concluded that «[a]t each review, the panel has reached a view that the evidence it has seen
does ot suggest that these te h i ues a e u safe. That e ai s the pa el’s u e t vie »9. Second,
even if some level of risk were identified, it would be necessary to balance that against the certainty
of the suffering caused by mitochondrial diseases which «are progressive and can cause a wide spectrum of severe health problems including heart and other major organ failures, stroke, dementia,
blindness, deafness and premature death»10.
83
Sheila A.M. McLean
Essays
84
12
A.L. BREDENOORD, W. DONDORP, G. PENNINGS, G. DE WERT, Ethics of modifying the mitochondrial genome, in J.
Med. Ethics, 2011, 37, 97-100, at p. 100.
13
K. ELVIDGE, op. cit.
14
Ethical issues of new techniques to avoid mitochondrial disease, Human Fertilisation and Embryology
Authority, ELAC (06/11)1, June 8 2011, para 6.1.
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to select healthy embryos for implantation. In addition, as Bredenoord, Dondorp, Pennings and De
Wert argue, «[a]s health is a sine qua non for many plans in life, modification of the mtDNA would establish a more open future»12.
I a elated o e , it is a gued that the i t odu tio of a thi d pa ty’s genetic make-up into the future child is likely to be confusing for the child; effectively, it is said, we are creating 3-parent families. Several points can be made about this concern. First, and although for some people knowledge
of o e’s ge eti i he itance is a matter of great concern, the amount of fo eig DNA introduced is
tiny and scarcely likely to cause confusion. O ly a out . % of the hild’s DNA ould o e f o the
donor, and «these genes would only be involved in energy production via the mitochondria, and
nothing else»13. In any event, it is not solely techniques like this that can introduce third party DNA.
As has been said, «[c]omparisons have been made between the genetic significance of donated mito ho d ia o a pe so ’s ide tity to that of receiving a kidney or bone marrow transplant»14.
One further aspect of this objection relates to the fact that, as some newspaper headlines would
have it, use of the procedures would result in the creation of «3-parent families». However, in a
world in which the nuclear family is no longer necessarily the norm – with same sex couples using
donated gametes to build families, for example – even if the mitochondrial donor actually made a
major cont i utio to the hild’s DNA hi h e have al eady see is ot the case) – the law is wellequipped to negotiate the question of parentage even where much more of a genetic contribution is
made.
As ever, questions about consent are also raised. Given the uncertainty – particularly in the early
days of human trials – as to the safety and/or efficacy of the new techniques, is it possible that a
true, informed consent could actually be given? Obviously, were uncertainty of outcome a barrier to
the provision of a legally valid consent, then ex hypothesi clinical research would grind to a halt; a
conclusion that is manifestly not only a threat to medical advance, but counter-intuitive for those
ho defe d a i dividual’s ight to ake authe ti hoi es fo the selves. Of course, taking this argument a little further, it might be argued that while adult human beings have the right to make decisions for themselves, even if they are harmed as a result, they do not have a similar right to make
such decisions on behalf of someone else – in this case, their prospective child. Leaving aside the
complex question as to whether or not it makes sense to talk about non-conceived future children as
having rights or interests worthy of protecting (and some would argue that they do), manifestly parents of born children make innumerable decisions on their behalves on a daily basis, some of which
(however inadvertently) cause harm, yet we do not – except in extreme circumstances – remove decision-making authority from them.
Perhaps inevitably, when reproductive medicine is combined with genetic science, the spectre of eugenics raises its ugly head. For example, oppo e ts of PGD a gue that p efe i g healthy to affected embryos is a form of negative eugenics and will affect not only the social order but also the self-
Mitochondrial Dna Transfer. Some Reflections From The United Kingdom
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15
T. SHAKESPEARE, Losing the plot? Medical and Activist Discourses of Contemporary Genetics and Disability, in
Sociology of Health and Illness, 1999, 21(5), 681. For further discussion of this issue, see S.A.M. MCLEAN, L.
WILLIAMSON, Impairment and Disability: Law and Ethics at the Beginning and End of Life, Abingdon, 2007.
16
For a more in-depth discussion of reproductive liberty see S.A.M. MCLEAN, Modern Dilemmas: Choosing
Children, Edinburgh, 2006.
17
Buck v Bell 274 US 200 (1927), at p. 207.
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Essays
esteem and sense of worth of those who live with genetic difficulties. To take the latter example first,
this is a view often posited by some of those in the disability rights lobby who fear that making it
possible to screen out those who would otherwise be born with a genetic predisposition to or actual
disability both demeans the entire disabled population and adds further stigmatisation to the already
existing lack of concern and compassion. This is an argument not easy to dismiss, based as it is in the
reality that people with disabilities are often unequally treated and sometimes ignored when important social decisions are made. For example, without legislation to enforce it, how many architects would design buildings which are user-friendly for wheelchair users? However, while it is deplorable that people with disa ilities ay e t eated as se o d lass citizens, this does not necessarily translate into an argument to prevent intending parents from making decisions that avoid suffering for future children and exercising their reproductive autonomy. Interestingly while it is often
the case that spokespersons for the disability community condemn selection based on disability,
ìhakespea e, o e of the disa ility ights lo y’s ost e pe t a d thoughtful o
e tato s, a epts
that «there are reasons to want to prevent the birth of a child affected by impairment which do not
efle t dis i i atio agai st disa led people….»15.
On the former point, the i pa t of sele tio o the so ial o de is arguably a hangover from the
negative eugenics most dreadfully espoused by Nazi Germany, but also endorsed in a more limited
version by countries such as the USA and others16. It must, however, be borne in mind that one of
the most offensive aspects of (negative) eugenic policies was that it was mandated state policy; not
the free choice of individuals to make authentic decisions. In no way can individuals exercising free
reproductive choices be compared to the policies of hatred and genocide.
This leads in this necessarily brief tour of some of the ethical issues raised by this medical advance to
one important consideration; namely, that of reproductive liberty. There are few values of more importance to individuals and couples than the right to make free and authentic decisions about reproduction. In the 20th Century in particular, this became an issue of overwhelming concern for many,
given not only the egregious compulsory sterilisation programmes in Nazi Germany, but also programmes conducted on a lesser scale in countries such as the United States where, in authorising the
compulsory sterilisation of one Carrie Buck, Judge Oliver Wendell Holmes famously remarked that
«three generations of imbeciles are enough»17. Recognition of the importance of choice in human
reproduction is a direct challenge to eugenic or discriminatory policies and is, therefore, important
not just for individuals but also for the moral tone of society as a whole. Naturally, no right is absolute and the claims made for reproductive liberty do not require supporting any choice; rather, they
mandate the default position as being liberty. Evidence of harm may negate the presumption in favour of freedom, but absent that we should be as free as possible to fulfil our reproductive aspirations whether they be to reproduce or not to do so. Permitting mtDNA donation and transfer would
85
Sheila A.M. McLean
Essays
86
support reproductive liberty in that this «would offer women who carry such disorders, or who are
affected by them, the chance to have healthy children who are also genetically related to them»18.
There are potentially endless arguments surrounding the novel techniques proposed to eradicate the
suffering caused by the transmission of faulty mtDNA, but perhaps the one that differentiates this
debate from those that arise in other areas of reproductive medicine concerns the fact that the
treatment can be defined as involving germ-line rather than somatic therapy. While somatic treatment is designed to target a particular symptom without modifying the individual’s DNA, ge -line
therapy «introduces new genetic material into the gametes. The genetic change would be reproduced in each cell of the developing individual as well as in each subsequent generation»19.
It is the fa t that the i dividual’s DNA ould e odified a d that this odifi atio ould e p ese t
for all future descendants that raises the major concern about the proposed techniques. Either of the
two methods referred to earlier would result in permanent genetic modification. For the moment,
we do not fully know or understand what the consequences of this would be. Might we, for example,
lose something beneficial by wiping out certain genetic traits? For example, it is known that people
with Tay-Sachs have an inherently higher resistance to malaria. What if similar protections are provided by otherwise harmful genes? As with many medical advances, of course, the answer to this
question will only become clear after use and experience.
However, we must also balance the possible risk of losing beneficial protection from something else
with the known and often acute harms caused by mitochondrial disease. As the Wellcome Trust has
said:
It is never possible to answer every safety question before new medical procedures are used in
people, but the scientific evidence suggests that any risks of mitochondrial donation are proportionate to the severity of mitochondrial disease and the well-recognised significant risk that
children will continue to be born who will die in infancy if these techniques are not used20.
Nonetheless, germ-line treatment has been and remains controversial if not outright banned. For exa ple, The Cou il of Eu ope’s Co ve tio fo the p ote tio of hu a ights a d dig ity of the human being with regard to the application of biology and medicine: convention on human rights and
biomedicine (1997) states at Art.13: «An intervention seeking to modify the human genome may only be undertaken for preventive, diagnostic or therapeutic purposes and only if its aim is not to introduce any modification in the genome of any descendants»21. Although this Convention has been ratified by many European jurisdictions, the UK is not a signatory which, in light of what has recently
taken place in the UK, is of more than passing interest.
UNEìCO’s I te atio al Bioethi s Co
ittee also disapp oves of hat it alls predetermining the
genes of future children, calling in aid the principle of intergenerational justice, saying that genetic
Nuffield Report, op. cit., at p. 52, para 4.1.
D.S. RUBENSTEIN, D.C. THOMASMA, E.A. SCHON, M.J. ZINAMAN, Germ-Line Therapy to Cure Mitochondrial Disease:
Protocol and Ethics of In Vitro Ovum Nuclear Transplantation, in Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics,
1995, 4, 316-339, at p. 317.
20
Wellcome Trust, loc. cit.
21
Available at: http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/html/164.htm (accessed on 23/04/2015).
19
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18
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3. The UK Position
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In February 2015, the United Kingdom became the first country to legislate to permit – under careful
regulation by the Human Fertilisation and Embryology Authority – mtDNA replacement. Interestingly,
given the controversial nature of the subject, the votes in both Houses of Parliament were not as
close as might have been anticipated. In the House of Commons (the elected House), the voting was
328 in favour to 128 against; in the House of Lords, the vote recorded was 280 in favour, with 48 opposed26. The Human Fertilisation and Embryology (Mitochondrial Donation) Regulations 2015 will
come into effect on 29 October 2015. Under the present legislation (the Human Fertilisation and Embryology Act 1990, as amended in 2008), no licence could be issued to perform mitochondrial donation. However, following the passing of these regulations, it will now be possible for such procedures
to be carried out, provided that the HFEA determines that there is a risk that a particular woman may
have mitochondrial abnormalities in her eggs (where the technique contemplated is maternal spindle
transfer). Where pronuclear transfer is contemplated, a similar finding has to be made in respect of
the embryo. Finally, as the Explanatory Note to the regulations states, «[t]he HFEA must also be satisfied that there is a significant risk that a person with these abnormalities will have or develop serious
mitochondrial disease».
22
Report of the IBC on Pre-implantation Genetic Diagnosis and Germ-line Intervention, (SHS-2003/WS/26),
Para 97 (2003).
23
Para 81.
24
A.L. BREDENOORD et al., op. cit., at p. 100.
25
See http://www8.nationalacademies.org/cp/projectview.aspx?key=49648 (accessed on 27/04/2015).
26
See Z. KMIETOWICZ, UK becomes first country to allow mitochondrial donation, in BMJ, 2015,350, h1103.
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Essays
technologies should not «become instruments for intergenerational tyranny»22. Indeed, the Committee believed that «the most elementary prudence requires that germ-line intervention should not be
u de take o the asis of the p e autio a y p i iple »23. However, both science and, to an extent, evidence have changed since this recommendation was made, coming as it did at a time when
research into the possibility of germ-line interventions was at best in its infancy. Since then, we must
ask whether the precautionary principle should or does apply. Successful animal experiments seem
to demonstrate both the likely safety and efficacy of the procedures under consideration here. Indeed, some would argue that «….the fa t that u lea t a sfe ith the ai of p eve ti g the t a smission of mtDNA disease would involve germ-line modification cannot convincingly be construed as
a categorical moral objection against the possible use of this technology»24.
Times and attitudes move on. In its survey of public attitudes to mtDNA transfer, the HFEA found
that there was broad public support for its carefully regulated use. Nor is the United Kingdom alone
in re-evaluating its approach to mtDNA replacement therapies. In the United States, for example, an
ad hoc committee of the Institute of Medicine is currently undertaking a project entitled «Ethical and
Social Policy considerations of Novel Techniques for Prevention of Maternal Transmission of Mitochondrial DNA Diseases». The project is sponsored by the Food and Drug Administration and is expected to report some time in 201625.
87
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Essays
88
It was explained earlier that questions as to genetic identity/parenthood have also concerned some
commentators. In this respect, the Regulations make it clear that the donor is not legally related to
any subsequent child, nor is the donor entitled in law to apply for a parental order in respect of that
child. To further distinguish children born following mtDNA transfer and donors, the regulations
modify the provisions of the 1990 Act (as amended) in respect of the obtaining of identifying information about the donor. While the UK has adopted an approach that allows for the identification of
gamete donors, the Regulations specifically permit children or donors only limited, non-identifying
information, thus further emphasising the almost total lack of genetic relationship between child and
donor.
4. Conclusion
27
R. MUNSON, L.H. DAVIS, Germ-Line gene Therapy and the Medical Imperative, in Kennedy Institute of Ethics
Journal, 1992, 2(2), 137-158, at p. 139.
28
R. MUNSON, L.H. DAVIS, op. cit., at p. 155.
29
A. MURDOCH, op. cit.
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The HFEA is widely regarded as an efficient and effective regulatory body and doubtless it will continue to regulate in this novel area with its customary diligence. Meantime, research will continue in
order to evaluate the safety and efficacy of each of the proposed methods to effect the eradication
of mitochondrial disease through the generations. For individuals who risk having children suffering
from such conditions, and who wish to have a child genetically related to them, this is surely preferable to the options currently available, which include remaining childless or undergoing IVF with preimplantation genetic diagnosis.
Without being overly optimistic, it is certainly plausible that if any residual safety and efficacy concerns can be removed by further research «hundreds of genetic diseases might be eliminated from
families»27. And it is here that we see one critical reason why germ-line therapy might, in fact, be
preferable to somatic therapy, at least in these cases. Simply put, rather than waiting to treat generation after generation for recurring problems, at a stroke they can be eradicated. Further, for some,
the question is not so much whether we should use such therapeutic options; rather, this is an «ideal
that medicine is obligated to pursue»28. Murdoch further argues that «[l]ike PGD, preventing mitochondrial DNA disease falls within the good medical practice of preventing serious illness, not eugenics»29.
This short discussion has attempted to evaluate some of the issues surrounding mtDNA donation and
transfer, and has briefly explored the radical changes recently made in the United Kingdom. While
the UK position is currently unique, doubtless it will be watched with some interest by other countries primed to tackle this complex subject. While it may never be possible entirely to convince
doubters of the ethical probity of mtDNA transfer, even if safety and efficacy can be reliably assured,
it can be argued that – while free to continue to express their concerns – their views cannot, and arguably should not, pre-empt the interests and rights of those who are willing to support what may
tu out to e a othe
edi al i a le ; the avoidance of the predictable suffering of future generations and the emotional pain for potential parents.
Maternità surrogata: tra gestazione altruistica e compravendita internazionale di minori
Marco Rizzuti
SURROGATE MOTHERHOOD: BETWEEN ALTRUISM AND INTERNATIONAL CHILD-SELLING
ABSTRACT: Taking as starting point two, seemingly opposite, recent decisions of the
ECtHR and of the Italian Corte di Cassazione, in cases of international surrogacy, the
paper analyses the difference between what can be considered as a proper surrogacy
contract and what is nothing more than child-selling. In the first hypothesis, even if
surrogacy contracts are prohibited and void in the most part of Europe, the genetic
parental relationship between the child and at least one of the commissioning parents has to be recognized; in the other one, there is no parenthood at all, but the
child will have the right to preserve a degree of contact with the persons however involved in his/her familial life.
KEYWORDS: gestational surrogacy; global trade; public policy; filiation; parental responsibility
SOMMARIO: 1. Premesse e contesto. – 2. Genitorialità genetica e surrogazione. – 3. Surrogazione e acquisto del
minore. – 4. Il diritto del minore a mantenere i rapporti familiari più significativi.
1. Premesse e contesto
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S
ul tema della surrogazione di maternità si sono recentemente espresse la Corte di Cassazione e la Corte Europea dei Diritti Umani, schierandosi, almeno a prima vista, su posizioni
diametralmente opposte. Da un lato, infatti, i nostri giudici supremi hanno definitivamente
confermato il provvedimento che aveva dichiarato adottabile un bambino nato da una madre surrogata ucraina sostanzialmente irreperibile, ritenendo che la sua consegna ai committenti italiani integrasse gli estremi dello stato di abbandono, mentre costoro non potrebbero in alcun modo essere
considerati genitori né vantare, quindi, diritti di sorta con riguardo al minore1. Dall’alt a pa te, l’Italia
è stata condannata in sede europea per un provvedimento, assunto in un caso fondamentalmente
identico, relativamente ad un bambino nato da madre surrogata russa, che è stato ritenuto irrispettoso del principio di proporzionalità e ragionevolezza, in parte qua dispo eva l’allo ta a e to definitivo del minore dai committenti, ai quali, dunque, è stato riconosciuto il diritto ad un risarcimento
del danno patito2. Le due decisioni, come vedremo, vanno ad inserirsi in un dibattito fra le Corti Supreme europee che si sta facendo sempre più intenso con riguardo al delicatissimo tema in esame,

Assegnista di ricerca, Università degli Studi di Firenze. Scritto sottoposto a doppio referaggio anonimo.
Cass., 11 novembre 2014, n. 24001, in Foro It., 2014, 3408, con nota di G. CASABURI, Sangue e suolo: la
Cassazione e il divieto di maternità surrogata.
2
CEDU, 27 gennaio 2015, Paradiso et Campanelli c. Italie, ric. 25358/12.
1
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internazionale di minori
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Marco Rizzuti
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pericolosamente oscillante fra i due poli che abbiamo indicato nel titolo: quello dell’atto sup e o di
generosità e quello dell’est e o a uti e to della pe so a idotta a osa.
Ci se
a, pe , oppo tu o p e isa e he l’attualità del p o le a o de iva, i ealtà, da u suo
nesso con sviluppi particolarmente recenti delle tecnologie biomedi he. I p i o luogo, l’idea di pore i edio alla ste ilità di u a do a, o il i o so ad u a su ogata e o l’utilizzo di st u e ti giuridici volti a costituire un rapporto parentale più o meno artificioso, è antichissima. Se ne rinvengono
tracce riferibili ai diritti del Vicino Oriente antico, con particolare riguardo al mondo mesopotamico
ed ai primordi di quello ebraico biblico3; si hanno, altresì, notizie di arcaiche prassi, legittimate dai diritti greci, ed indoeuropei in genere, ivi compreso quello romano, la cui eco giunge sino a noi grazie
ad u a lo o pe ulia e ip esa posta i esse e da a ie ti o se vato i sul fi i e dell’età epu li ana4; si possono, persino, scoprire, grazie alla scienza antropologica, istituzioni proprie di remoti popo-
3
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In più occasioni, le spose dei Patriarchi biblici, al fine di porre rimedio alla loro sterilità, offrono al marito una
propria schiava che costui feconderà e che poi partorirà il nato fra le gambe della padrona, di modo che tale rituale lo fa ia isulta e giu idi a e te figlio di uest’ulti a: f . Gen., 16, 1-2, per la più nota vicenda di Abramo, Sara e Agar; Gen., 30, 1-3, per quella analoga di Giacobbe, Rachele e Bila; nonché Gen., 30, 9, per
l’ulte io e episodio he oi volse il edesi o Gia o e, l’alt a oglie Lia e óilpa. Pe ta to, del figlio os p odotto si poteva dire, con terminologia che, se non avessimo presente il contesto, parrebbe modernissima, che
«natus est ex semine viri, et non utero, sed solo placito uxoris» (AUGUSTINUS, In Evangelium Iohannis tractatus,
12,4). Più di recente, si è osservato che le mogli in questione erano tutte di origine mesopotamica, e perciò in
una qualche misura estranee al culto yahwista, e che, ad Ismaele e agli altri figli nati grazie a questo rimedio
umano per la sterilità, si contrappongono, nella narrazione biblica, quelli che, in seguito, la padrona stessa riesce a generare grazie al risolutivo intervento divino, destinati ad un ruolo ben più importante, quali Isacco e
Giuseppe (cfr. A. GOLDMAN-AMIRAV, Behold, the Lord hath restrained me from bearing, in Reproductive and Genetic Engineering: Journal of International Feminist Analysis, 1988, 1, 3 ss.). Potremmo, infine, riflettere su come ancora oggi i discendenti di Ismaele e quelli di Isacco si contendano aspramente il possesso della Terra di
Canaan, promessa a suo tempo ad Abramo.
4
L’episodio più oto
uello di Catone Uticense il quale, volendo rinsaldare i legami amicali e politici con Ortensio, la cui moglie non gli aveva dato figli, e non ritenendo opportuno dargli in sposa la figlia Porcia, già coiugata o Bi ulo, p efe ede gli, o l’a o do del di lei padre Filippo, la propria amata consorte Marzia,
probabilmente già gravida (PLUTARCHUS, Cato Minor, 25, 1-12), salvo poi riprendersela «   », cioè
«co e se l’avesse prestata», se o do l’i asti a esp essio e di APPIANUS, Bellum Civile, II,99,413. Poco più tardi,
la riconciliazione fra Tiberio Claudio Nerone, esponente di punta delle grandi famiglie schieratesi con i cesaricidi
s o fitti, e l’ast o as e te di Ottavia o si sa e e ealizzata g azie alla essio e a uest’ulti o di Livia D usilla,
moglie del primo e già palesemente incinta (CASSIUS DIO, Historia Romana, 48.44). In tal modo, i più conservatori
f a i politi i o a i, ed il più su dola e te eve sivo f a i lo o avve sa i, i ava o a ipo ta e i auge u ’antica
usanza, fatta risalire ad una lex Numae, in forza della quale, per mantenere ed accrescere la potenza demografica, e quindi bellica, della comunità cittadina, chi avesse già avuto figli poteva cedere la moglie a chi non ne
avesse avuti, in modo da non sovraccaricare di bocche da sfamare la stessa casa e da non sprecare la preziosa
capacità riproduttiva della donna, creando al contempo legami più stretti fra le varie famiglie. Gli storici antichi
riferiscono, peraltro, che pratiche similari erano contemplate dal diritto spartano (POLYBIUS, Historiae, XII, 6b.8;
PLUTARCHUS, Comparatio Lycurgi et Numae, 3.1.1-3), e da quello di certe popolazioni iraniche (STRABO, Geographia, XI, 9,1). Si vedano al riguardo E. CANTARELLA, Marzia e la locatio ventris, in Vicende e figure femminili in
Grecia e a Roma (Atti del Convegno Pesaro, 28-30 aprile 1994), a cura di R. RAFFAELLI, Ancona 1995, 251 ss., e M.
DE SIMONE, “ulle tracce di un’antica prassi: la c.d. cessione della oglie, in Annali del Seminario giuridico
dell’Università degli “tudi di Paler o, 2010-2011, 9 ss.
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5
P esso i Nue , ell’odie o ìud ìuda , al u e do e di pa ti ola e pote za o i hezza poteva o otte e e, i
deroga al sistema patriarcale imperante, il riconoscimento di uno status pari a quello degli uomini, il che conse tiva lo o a he di sposa e alt e do e, fa le fe o da e da a a ti auto izzati, e dive i e pad i dei figli he
esse avrebbero partorito, in modo da trasmettere a questi il nome, il rango ed i beni, secondo le regole patrilineari vigenti. Cfr. E. EVANS-PRITCHARD, Kinship and Marriage among the Nuer, Oxford, 1951.
6
Co ’ oto, Louise B o , la p i a pe so a ve uta al o do t a ite fe tilizzazio e in vitro,
ata ell’o ai
lontano 1978.
7
Cfr. K. TRIMMINGS, P. BEAUMONT, International Surrogacy Agreements: Legal Regulation at the International Level, Oxford, 2013; Y. ERGAS, Babies without Borders: Human Rights, Human Dignity, and the Regulation of International Commercial Surrogacy, in Emory International Law Review, 2013, 117 ss.
8
Una chiara descrizione del fenomeno si legge in questo obiter della Supreme Court of India, Baby Manji Yamada vs. Union of India & Anr, 29 settembre 2008: « Co
ercial surrogac is a form of surrogacy in which a
gestational carrier is paid to carry a child to maturity in her womb and is usually resorted to by well off infertile
couples who can afford the cost involved or people who save and borrow in order to complete their dream of
being parents. This medical procedure is legal in several countries including in India where due to excellent medical infrastructure, high international demand and ready availability of poor surrogates it is reaching industry
proportions. Commercial surrogacy is sometimes referred to by the emotionally charged and potentially offensive ter s o s for rent , outsourced pregnancies or a far s ». In dottrina, si possono leggere le considerazioni di K. BRUGGER, International Law in the Gestational Surrogacy Debate, in Fordham International Law
Journal, 666 ss., con riferimento allo sviluppo di un «global trade in wombs».
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li africani con cui si consentiva la costituzione di rapporti che potremmo qualificare in termini di paternità femminile5.
Ovvia e te, tutto i o toglie he uove st ade sia o state ape te dall’i teg azio e f a il fe o eno della surrogazione e quello della procreazione medicalmente assistita, omologa o eterologa, ma
o o e à i o da e he tali te ologie so o dispo i ili da uasi ua a t’a i6 e che le vicende alla
base dei casi di cui oggi si discute sarebbero state tecnicamente possibili già allora. Ciò che, invece,
negli ultimi tempi è profondamente cambiato, e tuttora sta evolvendosi in maniera impressionante,
attie e alla di e sio e e o o i a ed i te azio ale dell’appli azio e di ueste te i he. I fatti, el
nostro mondo globalizzato ed informaticamente connesso, si è potuta strutturare una vera e propria
industria della surrogazione di maternità, con committenti occidentali che forniscono i propri gameti,
o magari acquistano quelli occorrenti grazie a cataloghi online, per la produzione di embrioni che verranno impiantati nel grembo di donne dei Paesi meno sviluppati, reclutate e organizzate da cliniche
presso le quali le stesse si guadagnano da vivere portando a termine tali gravidanze.
Un fenomeno del genere ha necessariamente dimensioni internazionali7, non solo perché una parte
dei Paesi da cui provengono i committenti benestanti vieta e persegue tali pratiche, ma anche e sop attutto pe h , ella esta te pa te dell’O ide te, sa e e eve tual e te possi ile t ova e al une donne disposte altruisticamente a surrogare la maternità di proprie strette parenti, ovvero disposte a farlo pure per delle estranee in uno spirito di volontariato sociale o addirittura per profitto. Non
si t ove à, pe , uell’ese ito fe
i ile p oleta io e ai il te i e fu più appropriato, dato che si
tratta, appunto, di persone che possono mettere sul mercato solo la loro capacità di generare prole),
che possa essere organizzato nelle forme industriali cui si faceva cenno, in maniera tale da rendere
efficiente e redditizio l’i te o i lo delle g avida ze delo alizzate, allo stesso odo di ua to già
successo con le produzioni manifatturiere ad alta intensità di lavoro, nonché di quanto sta sempre
più ampiamente accadendo per numerose attività del settore dei servizi8. Inve o, l’i dividuazio e dei
Paesi di destinazione di questo flusso non dipende in via prevalente dalle scelte consapevolmente
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Marco Rizzuti
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compiute dai diversi ordinamenti giuridici: norme di favore per la surrogazione si possono rinvenire
nelle legislazioni di alcuni Stati americani, il che determina anche fenomeni di turismo procreativo9,
ma non certo nelle modalità industriali cui stiamo facendo riferimento. Queste interessano, invece,
soprattutto Paesi in cui sia possibile rinvenire il necessario materiale umano a basso costo, benché il
contesto giuridico sia incerto, se non caratterizzato addirittura da regolamentazioni volte in qualche
modo a limitare o ad arginare il fenomeno, destinate però ad essere sopraffatte o eluse, di fronte alla
forza dei rapporti economici10.
Il gi o d’affa i di ui pa lia o si egge, i fatti, su di u a do a da glo ale he o si spiega e to o
riferimento a vicende episodiche, ma sta assumendo i contorni di un fenomeno sociale di vaste proporzioni. Le coppie committenti, che abbiamo definito occidentali ma che possono anche essere
espresse dalla fascia più benestante degli stessi Paesi in via di sviluppo, possono dunque ricondursi a
varie tipologie. La surrogazione, omologa o eterologa, offre il rimedio più radicale alla sterilità femminile, anche di fronte a quelle situazioni di carattere patologico in cui il mero utilizzo delle tecniche
di procreazione medicalmente assistita non potrebbe portare ad alcun risultato11, oltre che a tutte le
p o le ati he o esse se pli e e te all’età se p e più avanzata in cui sta divenendo normale
i via e la ate ità el ost o o do. ìi sta già p ofila do u o testo i ui l’utilizzo della su ogazione, a prescindere da patologie vere e proprie, può consentire a donne di elevata condizione sociale di evitare gli incomodi ed i rischi della gravidanza, così come in un non troppo remoto passato si
evitava o u ue l’allatta e to, a he ualo a o fosse fisi a e te i possi ile, i o e do a ontratti di baliatico. Con ogni probabilità, molto meno significative sul piano numerico, sono invece le
9
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ìi seg ala o, i pa ti ola e, l’Illi ois, o il Gestational Surrogacy Act del 2004, e la California, in cui un app o io surrogacy-friendly stato dapp i a ela o ato dalla giu isp ude za, a pa ti e dai asi Johnson vs. Calvert, Cal. Sup. Ct., 5 Cal4th 84, 851 P.2d 776 (1993), ed In re Marriage of Buzzanca, 61 Cal. App. 4th 1410, 72
Cal. Rptr.2d 280 (Ct. App. 1998), e poi codificato con il California Assembly Bill 1217 del 23 settembre 2012.
Occorre, comunque, ricordare che per molti altri Stati il riferimento rimane quello al leading case della New
Jersey Supreme Court, In re Baby M, 537 A.2d 1227,109 N.J. 396 (N.J. 02/03/1988), che sancì la nullità dei contratti di surrogazione per contrasto con la public policy (ordine pubblico).
10
Il primato mondiale spetta al Gujarat (cfr. C. SARACENO, Dalla coppia alla genitorialità delle persone dello stesso sesso, in GenIus,
, ,
, ed i ge e ale all’I dia, dove la li eità dei o t atti di su ogazio e si deduceva se pli e e te dall’asse za di u a o ativa al igua do, e t e la giu isp ude za aveva avuto po he o asioni di interessarsi del fenomeno, comunque per aspetti estrinseci ed amministrativi, quali il rilascio di passaporti indiani ai nati da madri surrogate (Supreme Court of India, Baby Manji Yamada cit.; High Court of Gujarat,
J. Balaz vs. Anand Municipality & 6, 11 novembre 2009). Di recente, però, una nuova regolamentazione indiana, su cui cfr. T. MAHAJAN, (Mis)regulation – the case of commercial surrogacy, in Indian Journal of Medical
Ethics,
, ss., ha li itato l’a esso alla su ogazio e i favo e delle sole oppie ete osessuali egola ente sposate, il che ha dirottato una parte dei flussi in esame verso la Thailandia, dove però, agli inizi del 2015, è
stato approvato un provvedimento volto ad impedire il ricorso alla surrogazione da parte degli stranieri.
In ambiti geograficamente più vicini a noi, si deve segnalare la posizione della Russia, il cui ordinamento permette la surrogazione purché non via sia alcun legame genetico fra la gestante ed il nato (mentre in caso contrario si configurerebbe un tentativo di elusione, duramente sanzionato, della normativa sulle adozioni), ma
che comunque consente alla partoriente di prevalere sui genitori genetici, qualora ella, per qualunque ragione,
rifiuti di consegnare loro il figlio: cfr. Corte Cost. Federazione Russa, 15 maggio 2012, n. 880-O. Parzialmente
più favo evole alla su ogazio e l’o di a e to dell’U ai a, i ui la ge ito ialità ge etica può comunque
p evale e, ai se si dell’a t.
del Codi e della Fa iglia, se p e he vi sia o stati la p evia stipula di u ont atto e l’osse va za di tutta u a p o edu a edi a ed a
i ist ativa.
11
ìi pe si all’ipotesi est e a di u a do a he a ia subito un intervento di isterectomia.
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Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Foro It., 2014, 2324, con nota di G. CASABURI, nel dichiarare
l’illegitti ità ostituzio ale del divieto di i o e e alla fe o dazio e ete ologa, p evisto dalla legge 9 fe raio
, . , ha o u ue voluto p e isa e he i o to a i ulla l’alt o divieto, spe ifi a e te ife ito alla
surrogazione di maternità.
13
In Olanda la surrogazione altruistica parrebbe autorizzata sulla base di atti regolamentari ministeriali e di linee guida delle competenti società scientifiche, ma non ci sono norme di legge che regolino i fondamentali profili ivilisti i della uestio e. L’u i o pu to fe o il divieto, pe al e te sa zio ato, di i o e e alla su ogazione commerciale.
14
In Gran Bretagna i contratti di surrogazione altruistica sono validi a livello sostanziale, ma processualmente
unenforceable, per cui il nato è comunque considerato figlio della partoriente, ma successivamente, con
l’osse va za di u a p o edu a giudizia ia volta ad accertare la serietà e persistenza del consenso di lei, nonché
l’asse za di paga e ti o auto izzati, pu esse e e esso u parental order, ai sensi della section 54 dello
Human Fertilisation and Embryology Act 2008, al fine di trasferire la genitorialità in capo ai beneficiari
dell’a o do. I G e ia, la p o edu a i uestio e a ti ipata al pe iodo p e ede te l’avvio della g avida za,
per cui il nato avrà da subito lo status di figlio dei genitori genetici. Ulteriori legislazioni che ammettono, secondo dive se va ia ti, la sola su ogazio e alt uisti a so o, al di fuo i dell’a ito eu opeo, uelle di Ca ada, ìudafrica e vari Stati australiani.
15
CGUE, 18 marzo 2014, cause C-167/12 e C-363/12, ha ritenuto infondata la pretesa che la madre committente possa godere dei congedi per maternità ed allattamento, ai sensi della direttiva CE 92/85.
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ipotesi, forse maggiormente rappresentate nel dibattito mediatico e politico, del ricorso alla surrogazione da parte di singoli o di membri di coppie omosessuali maschili, che non hanno evidentemente
altro mezzo per procreare figli cui sia trasmesso il loro patrimonio genetico.
Li ita do lo sgua do al o testo dell’U io e Eu opea, possia o agevol e te ota e he le legislazioni, ivi compresa la nostra12, sono quasi tutte orientate nel senso di una proibizione, e di una repressione anche penale, più o meno severa, del ricorso alla surrogazione. Non mancano, tuttavia,
contesti in cui la normativa è meno chiara13 e si danno anche due importanti eccezioni in cui, con
odalità piuttosto dive se, l’istituto a olto ell’o di a ento giuridico, anche se solo nella variante
altruistica14. Pe ueste agio i, a a he e sop attutto pe h , al e o ell’attuale o ti ge za, i
Eu opa o ide tale o vi so o le o dizio i e o o i he pe lo sviluppo di u ’i dust ia p o eativa
come quella ui a ia o fatto ife i e to, i Paesi di uest’a ea so o tutti luoghi di p ove ie za di
u e ose oppie o
itte ti, he si ivolgo o ad alt e pa ti del o do, e t e l’ipotesi he i essi
la maternità surrogata venga praticata è di modesta importanza, ei po hi Paesi he l’a
etto o, e
pressoché scolastica in quelli che la vietano. A livello comunitario, poi, non esiste una posizione cou e e la ate ia sfugge, del esto, alle attuali o pete ze dell’U io e, il ui di itto ha avuto e entemente modo di sfiorarlo solo con riguardo alle ricadute in ambito lavoristico, senza comunque pervenire, nemmeno a tali limitati fini, ad alcuna forma di effettivo riconoscimento15.
Tutto ciò non toglie che un problema, relativo alla giuridicità degli status personae che si costituiscoo all’este o t a ite la su ogazio e, o si po ga se p e più spesso a he ei Paesi eu opei, p oprio in quanto sempre più ingente sembra il numero delle persone che fanno ricorso a tali tecniche
attraverso i canali offerti dalla procreazione delocalizzata. Di fondamentale importanza appare, dunue, l’app odo i te p etativo ui pe ve uta la Co te di ìt as u go ell’estate del
. Di f o te a
genitori genetici che chiedevano il riconoscimento degli atti di nascita, legalmente redatti nel rispetto
delle norme di Paesi che ammettono la surrogazione, ed attestanti lo status filiationis dei loro bami i pa to iti all’este o, la Co te ha ite uto i a etta ile il totale di iego f apposto, i
o e
93
Marco Rizzuti
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94
dell’o di e pu li o, dagli ìtati di p ove ie za16. Be i teso, i o o po ta l’illegitti ità dei divieti vigenti nei vari Paesi europei e nemmeno quella delle relative sanzioni penali, ma attiene solo al
profilo del prevalente interesse del minore, cui non potrà comunque essere impedita la costituzione
di uno status conforme alla verità genetica ed alle leggi vigenti nel luogo di nascita, anche laddove
uesto o po ti u i di etto i de oli e to dell’appa ato sa zio ato io. Le esige ze ep essive devono, infatti, arretrare di fronte al principio di tutela del benessere del minore e soprattutto non possono farne la vittima innocente delle colpe dei genitori.
Naturalmente, tali principi, cui si è prontamente adeguata la giurisprudenza degli altri principali Paesi
europei17, valgono anche per quegli Stati non direttamente interessati dalle decisioni in questione: se
e pot a o, ad ese pio, agevol e te dedu e l’illegitti ità dell’atteggia e to assu to po o p i a
dalla suprema magistratura spagnola18 ed, al contrario, la piena convalidazione della posizione assunta dalle corti austriache19. Sulla stessa linea accolta dai giudici europei sembrano, peraltro, essersi già
collocati quelli inglesi i quali, anche se nel contesto di un Paese che ammette la surrogazione, si confrontano di frequente, per le ragioni economiche strutturali già richiamate, con ipotesi realizzate in
altri Paesi, a condizioni che non sarebbero ammissibili in patria, ma che non sono state ritenute tali
da poter condurre ad un diniego di riconoscimento, in quanto ciò avrebbe compromesso il fondamentale interesse del minore20.
2. Genitorialità genetica e surrogazione
I ve o, a he l’atteggia e to assu to si o a dalla giu isp ude za italia a o i se
a da valuta e
i te i i di adi ale o t asto o i p i ipi e u leati a ìt as u go. L’i fluenza esercitata da queste
si è, infatti, dispiegata con riguardo agli orientamenti penalistici volti a criminalizzare le condotte poste in essere al fine di ottenere il riconoscimento dello status filiationis ostituito all’este o pe ezzo
16
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Cfr. CEDU, 26 giugno 2014, Mennesson c. France, ric. 65192/11, e Labassee c. France, ric. 65914/11, nonché
CEDU, 8 luglio 2014, D. et autres c. Belgique, ric. 29176/13.
17
Bundesgerichtshof, XII ZB, 463/13, 10 dicembre 2014; cfr. anche Cour de Cassation, 22 settembre 2014, avis
n. 1470007.
18
Tribunal Supremo, 6 febbraio 2014, n. 835/2013.
19
Verfassungsgerichtshof, B 13/11-10, 14 dicembre 2011, e Verfassungsgerichtshof, B 99/12 UA, 11 ottobre
2012.
20
Si sono, così, potuti emettere i parental orders non solo in caso di mancato rispetto dei termini procedurali
previsti dalla normativa inglese, come nel caso X (A Child) (Surrogacy: Time Limit) [2014] EWHC 3135 (Fam), ma
anche laddove non constasse il consenso della irreperibile gestante indiana, come nel caso D and L (Surrogacy)
[2012] EWHC 2631 (Fam), nonché autorizzando ex post il pagamento di corrispettivi che non sarebbero ammessi dalla legislazione britannica, come nei casi Re X and Y (Foreign Surrogacy) [2008] EWHC 3030 (Fam); Re X
and Y (Parental Order: Retrospective Authorisation of Payments) [2011] EWHC 3147 (Fam); J v G [2013] EWHC
1432 (Fam); Re C (A Child) [2013] EWHC 2413 (Fam). Infatti, come ammettono chiaramente i precedenti citati,
una volta assunto il benessere del minore come criterio prevalente, risulterà «almost impossible to imagine a
set of circumstances in which, by the time an application for a parental order comes to court, the welfare of any
child, particularly a foreign child, would not be gravely compromised by a refusal to make the order»; cfr. K.
HORSEY, S. SHELDON, Still hazy after all these years: the law regulating surrogacy, in Medical Law Review, 2012,
67 ss. Le medesime soluzioni si sono affermate, peraltro, anche nel non dissimile contesto australiano: cfr. M.
KEYES, Cross-border surrogacy agreements, in Australian Journal of Family Law, 2012, 28 ss.
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21
Trib. Varese, GUP, 8 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, consultato il 01.12.2014, ha richiamato le decisioni europee sui casi Mennesson e Labassee, pe a iva e alla o lusio e he la i hiesta di t as ive e l’atto di as ita
straniero, assumendo la qualità di genitori del nato da gestante surrogata, integra o ai u ’ipotesi di falso ino uo, o sosta ziale elisio e dell’a tigiu idi ità. ìi supe a o os o solo l’o ie ta e to più igo isti o he
ravvisava in tali ipotesi il delitto di alterazione di stato ex art. 567 c.p. (Trib. Brescia, 26 novembre 2013, in
www.penalecontemporaneo.it, consultato il 22.11.2014), ma anche quello intermedio che riteneva comunque
appli a ile la e o g ave sa zio e di ui all’a t. 9 .p. T i . Mila o,
ge aio
, i Foro It., 2014, 371;
Trib. Milano, 8 aprile 2014, in Dir. Fam. Pers., 2014, 1474).
22
P i a dell’e t ata i vigo e della legge
del
, pu pa te do da p e esse opposte, o ve geva o su
questo punto Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Giur. It., 1990, 5 con nota di G. PALMERI, Maternità surrogata :
la prima pronuncia italiana, e Trib. Roma, 17 febbraio 2000, con nota di M. SESTA, La maternità surrogata tra
deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. Giur., 2000, 4, 483.
Per il periodo successivo, cfr. App. Bari, 13 febbraio 2009, in Fam. Min., 2009, 50, sulla riconoscibilità di un parental order inglese; Trib. Napoli, 1 luglio 2011, in Foro it., 2012, 3349, e Trib. Forlì, 25 ottobre 2011, in Dir.
Fam., 2013, 532, sulla trascrizione di atti di nascita, rispettivamente, americani e indiani; nonché Trib. Min. Milano, 6 settembre 2012, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, 712. In dottrina cfr. S. TONOLO, La trascrizione degli atti di nascita derivanti da maternità surrogata: ordine pubblico e interessi del minore, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc.,
2014, 81 ss.
23
Certamente un ostacolo di non poco momento è rappresentato dal fatto che il padre naturale non può prouove e l’azio e di dis o os i e to, se il figlio
ato da do a sposata, a i o toglie he l’esito o
quello di un blocco totale, della stessa specie che in passato aveva riguardato i figli adulterini ed incestuosi, in
ua to la possi ilità he l’azio e sia p o ossa, e ui di il i o os i e to possa segui e, oggettiva e te sussiste.
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della surrogazione21, ma non sembra tale da incidere con riguardo agli esiti già attinti dalla giurisprudenza civile con riguardo al valore intrinseco di tali status. In particolare, non si era mai ritenuto che il
divieto della surrogazione comportasse un assoluto divieto di riconoscimento dei figli nati col ricorso
ad essa, o di trascrizione del relativo certificato straniero, e, da questo punto di vista, possiamo anhe ota e u a sosta ziale o ti uità f a gli o ie ta e ti affe atisi p i a e dopo l’e t ata i vigo e
delle sanzioni di cui alla legge 40 del 200422.
Del esto, l’ipoteti a p etesa di ost ui e i via i te p etativa u a uova atego ia di figli i i o os i ili, sulla ase di u a deduzio e dal divieto, pe al e te sa zio ato, dell’utilizzo delle te i he ip oduttive con cui gli stessi sono stati procreati, incorrerebbe in svariate obiezioni anche alla stregua del
diritto interno. Già la stessa eventualità che conseguenze così gravi per lo status personae degli interessati possano essere individuate praeter legem dovrebbe apparire per se inaccettabile, ma soprattutto si deve o side a e he l’esito i pa ola isulte e e p ofo da e te o t asta te o i p i ipi
portanti del sistema.
I p i o luogo, o si pu fa e a e o di ota e he l’i i o os i ilità assoluta non esiste più, dopo
he el 9 e a o dive uti i o os i ili i figli adulte i i, e t e o l’ulti a ifo a del
lo sono divenuti, anche se con una procedura particolare, pure quelli incestuosi. Nemmeno ci sembra che
si possa parlare di irriconoscibilità assoluta con riguardo a chi abbia già lo status di figlio altrui, dato
he l’osta olo o , appu to, assoluto, a elativo: se pe i figli i estuosi o o e p evia e te otte e e u ’auto izzazio e giudiziale, ui o o e à he sia p evia e te p o ossa l’azio e di dis o oscimento o di impugnazione del riconoscimento23. Più in generale, si sono create le premesse per la
p og essiva fa ilitazio e dell’a e ta e to della pate ità atu ale, i u o testo di es e te valorizzazione del favor veritatis, reso possibile dallo sviluppo dei moderni mezzi di indagine genetica, e
95
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divenuto socialmente accettabile per la progressiva scomparsa di ogni discriminazione fra figli nati
all’i te o o all’este o del at i o io24. A he se e te s elte dell’ulti a ifo a della filiazione
hanno in parte ridimensionato le possibilità di accertamento della verità, ma non quando ad agire sia
il figlio stesso, bensì allo scopo di contrastare eventuali atteggiamenti abusivi degli altri soggetti coinvolti25, le stesse non ci sembrano, comunque, tali da rimettere radicalmente in discussione i predetti
orientamenti, specie se consideriamo che proprio quella riforma ha avuto come motivo conduttore
p op io l’eli i azio e di og i esidua disti zio e f a i dive si status filiationis.
D’alt o de, a he fi h la atego ia dell’i i o os i ilità ha avuto ittadi a za el ost o o di amento, e quindi anche dal punto di vista di chi volesse rintracciarne tuttora le vestigia in qualche istituto vigente, non si è mai affermato un principio per ui l’i a
issi ilità del i o os i e to de a
necessariamente correlarsi alla rilevanza penale, od almeno ad una rilevanza penale particolarmente
g ave, del fatto p o eativo alla ase della filiazio e i dis o so. Be i teso, l’adulte io e a eato e
l’i esto lo tutto a, a l’i i o os i ilità si p odu eva a he elle ipotesi p ive di ilievo pe ale,
uali, o ’ oto, dete i ati adulte i del a ito o i asi di i esto se za pu li o s a dalo. D’alt a
parte, nessuna irriconoscibilità deriva, né è mai de ivata, dall’ipotesi i ui la p o eazio e sia stata la
conseguenza di uno stupro o di un rapporto sessuale mercenario coinvolgente una minorenne, reati
o pa ativa e te e più g avi dell’adulte io o dell’i esto, al e o pe la se si ilità ode a. ìi
comprende agevolmente che una simile previsione avrebbe, peraltro, avuto un paradossale effetto di
deresponsabilizzazione del reo, che il legislatore non ha certamente mai voluto determinare, né ci
sembra di poter negare che lo stesso ragionamento debba valere anche per la surrogazione.
Infatti, postulando un divieto assoluto di instaurazione del rapporto giuridico di filiazione, dovremmo
t a e a he l’i possi ilità pe il figlio di agi e pe la di hia azio e giudiziale della pate ità, o di ichiedere egli stesso la trascrizione del certificato straniero, il che ne limiterebbe le possibilità di tute24
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Corte Cost., 22 aprile 1997, n. 112, in Giust. Civ., 1997, I, 2071, affermò con chiarezza che non può esservi
contrasto fra favor veritatis e favor minoris, o ife i e to al te a dell’i pug azio e del i o os i e to. Tale dictum fu, poi, ripreso dalle successive sentenze costituzionali in tema di disconoscimento: Corte Cost., 14
maggio 1999, n. 170, in Giust. Civ., 999, I, 9 9, he ha di hia ato i ostituzio ale l’a t.
. ., in parte qua
non prevedeva che il termine per agire decorresse dalla conoscenza della condizione di impotentia generandi
anziché dalla nascita del figlio (mentre già Corte Cost., 6 maggio 1985, n. 134, in Giur. It., 1985, I, 1, 1153, lo
aveva dichiarato illegittimo, in parte qua non prevedeva che il termine decorresse dalla conoscenza
dell’adulte io a zi h dalla as ita ; e sop attutto Co te Cost., 6 luglio
6, . 66, i Giur. It., 2007, 6, 1381,
he ha di hia ato i ostituzio ale l’a t.
. ., in parte qua p evedeva he la p ova dell’i o pati ilità ge etica fosse subordinata all’avve uta di ost azio e dell’adulte io. ìulla stessa li ea si su essiva e te ollo ata anche Corte Cost., 25 novembre 2011, n. 322, in Giur. It., 2012, 10, 2016, con nota di M. RIZZUTI, Azione di disconoscimento e incapacità, che ha ampliato le ipotesi di sospensione del termine decadenziale di cui al predetto art. 244 c.c.
25
Il ife i e to all’i t oduzio e di u
eve te i e p es izio ale pe l’ipotesi i ui il dis o os i e to o
l’i pug azio e del i o os i e to o sia o p o ossi dal figlio, ai sensi dei nuovi artt. 244 e 263 c.c., come rifo ulati dal de eto legislativo di e
e
, .
. Già i passato, le possi ilità di su esso di u ’azio e
opportunistica di disconoscimento, o di impugnazione del riconoscimento, erano state limitate col ricorso
all’a go e to dell’a uso del di itto o del divieto di venire contra factum proprium: cfr. Cass., 16 marzo 1999, n.
2315, in Giur. It., 2000, 275, con nota di F. CAGGIA, Fecondazione eterologa e azione di disconoscimento di paternità intentata dal arito: un’ipotesi di a uso del diritto i ui si ip e de u ’i tuizio e he pu fa si isali e
ad A. TRABUCCHI, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur. It., 1957, 217 ss.), nonché Trib. Roma, 5
ottobre 2012, in Giur. It., 2013, 849.
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La stampa internazionale ha dato grande rilievo al caso di una coppia australiana che nel luglio 2014 ha rifiutato un bambino affetto da sindrome di Down, noto come Baby Gammy, per loro partorito da una gestante
surrogata thailandese (che per rispetto dei suoi principi buddhisti aveva rifiutato di abortire), assieme ad una
ge ella sa a he i ge ito i ha o, i ve e, a ettato. Co l’o asio e, e e so, alt es , o e o si fosse t attato di una vicenda senza precedenti.
27
Corte Cost., 23 febbraio 2012, n. 31, in Giur. Cost.,
, 6 , ha di hia ato i ostituzio ale l’a t. 69 .p., in
parte qua prevedeva che la condanna per il delitto di alterazione di stato comportasse automaticamente la
perdita della potestà genitoriale, senza consentire una valutazio e i o eto dell’i te esse del i o e.
28
Il ife i e to all’a t.
, o
a , . .
29
Co ’ oto, a he dopo la ifo a del
, lo status di filiazione matrimoniale si costituisce automaticamente in capo al marito della madre, mentre quello di filiazione extramatrimoniale presuppone il riconoscimento da parte del padre naturale. Evidentemente in un caso del genere non è possibile generalizzare il meccanismo originariamente previsto per i figli legittimi, perché non si saprebbe chi presumere come padre in assenza di un legame certificato, benché sia comunque possibile ipotizzare di seguire la strada inversa per unificare definitivamente gli status filiationis, rendendo sempre necessaria una dichiarazione di riconoscimento.
30
Questa è, ad esempio, la etta posizio e he si evi e dall’a t.
, o
a , del Codi e della Fa iglia u aino. Invece, la ricordata normativa californiana esige che anche il marito della gestante presti il proprio consenso perché il nato possa considerarsi figlio dei genitori genetici.
31
Fo da e tal e te a aloga , ad ese pio, la posizio e e e te e te i adita dall’I la da: f . Supreme
Court, M.R. and D.R [2014] IESC 60,
ove
e
, he ha o fe ato l’i possi ilità giu idi a di i se i e el
certificato di nascita il nome della madre genetica, anche se erano pacifici sia la relazione di costei con il nato,
sia il consenso della gestante.
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la el aso, ie t’affatto s olasti o, i ui il o
itte te a ia ite uto di ifiuta e il p odotto, perché difettoso in ragione di qualche handicap, o comunque non rispondente ai propri desiderata, ovve o se pli e e te pe ave utato d’avviso ispetto al se vizio p e ede te e te o
issio ato26.
Infine, bisogna rilevare che, qualora un ipotetico principio di necessaria correlazione fra rilevanza penale del fatto procreativo e irriconoscibilità del figlio dovesse essere affermato dal legislatore, o dalla
giurisprudenza, esso finirà, con ogni probabilità, per cadere sotto la scure della Corte Costituzionale,
la quale, con riguardo a materie affini, ha già avuto modo di sanzionare simili automatismi27.
Insomma, nel diritto italiano vigente non vi è nulla che impedisca al padre genetico di riconoscere il
figlio a lui partorito da una madre surrogata, o di richiedere la trascrizione del certificato straniero
che ciò attesti, né al figlio di promuovere la correlativa azione di accertamento della paternità o di
t as ive e a sua volta il p edetto e tifi ato. D’alt o de, a he l’eve tuale opposizio e al i o os imento da parte della donna partoriente, che appaia quindi come madre del nato, potrebbe, se del
caso, risultare superabile in sede giudiziaria, sempre alla luce del prevalente interesse del minore,
che di norma non sarà certo quello di non avere un padre28. L’u i o osta olo o eta e te avvisabile consisterebbe allora, almeno nella teorica ipotesi di nascita avvenuta in Italia, nello status che si
sia ostituito auto ati a e te, fi ta to h pe siste à uest’ulti a disti zio e f a figli at imoniali
ed extramatrimoniali29, i apo all’eve tuale o iuge della su ogata. Lo stesso potrebbe, invero, accadere anche in altri ordinamenti in cui vigano principi simili, ma occorre considerare che alcuni dei
Paesi maggiormente interessati dalle pratiche di surrogazione consentono, invece, di costituire direttamente lo status in capo al padre genetico, senza dare rilievo decisivo alla posizione del marito della
gestante30.
Più o plessa appa e, i ve e, la posizio e della ad e ge eti a, i ua to l’o di a e to italia o,
come molti altri del resto31, non ha uno strumento giuridico capace di inquadrare una maternità di-
97
Marco Rizzuti
Essays
98
versa da quella della partoriente (mater semper certa est)32. Ciò non toglie che sia possibile riconoscere uno status del genere, laddove esso sia stato legittimamente costituito da un ordinamento
straniero, come, già pri a dell’i te ve to della CEDU, la ost a giu isp ude za aveva a
esso33, e
come è stato a fortiori i o fe ato all’i do a i di esso34. D’alt a pa te, ell’ipotesi o a i esa e
gio he à u uolo dive so l’eve tuale opposizio e della pa to ie te, he, isulterebbe, alla stregua
dell’o di a e to italia o, i supe a ile. No
detto, pe , he si t atti di u
e a is o da valuta e
i te i i egativi, i ua to p odu e l’effetto di evita e u a i di etta e surrettizia enforceability dei
contratti di surrogazione, nulli per illiceità, il che può spiegare anche perché le recenti riforme della
filiazione non hanno portato ad una qualche attenuazione di un principio apparentemente arcaico e
superato dalla tecnica.
D’alt a pa te, o sia o e ti he tale p i ipio o potrebbe andare effettivamente incontro ad una
parziale erosione35, o ta to ell’a ito della ve a e p op ia ate ità su ogata, a o iguardo
ad u ’ipotesi si o a, e o ea e te, o side ata s olasti a, a he el
ha fatto i uzio e ella
cronaca e nel dibattito, non solo giuridico. Si intende alludere alla fattispecie dello scambio di emio i desti ati all’i pia to p esso u a li i a ip oduttiva, he, el oto aso, si ve ifi ato olposamente ed ha avuto conseguenze drammatiche, poiché solo una delle coppie coinvolte è stata in
grado di portare a termine la gravidanza36, ma di cui possiamo immaginare anche ulteriori varianti.
Quantomeno, andranno considerati il caso in cui entrambi gli embrioni scambiati si sviluppino regolarmente sino al parto, o h uello di u o s a io doloso, ovve o dell’i possessa e to a usivo
di embrioni altrui da parte di una delle aspiranti madri. Dovrebbe, dunque, sorgere qualche dubbio
sulla ragionevolezza di un ordinamento che, in ogni caso, impedisca di restituire a ciascun nato il rappo to o la sua fa iglia ge eti a, a he laddove tutti i soggetti oi volti fosse o d’a o do, o e si
può immaginare sarebbero quasi sempre, soprattutto in caso di evidenti differenze fenotipiche,
tranne che nel caso, appunto verificatosi, in cui si sia avuta una sola nascita e sia sorto, quindi, un
o flitto pe il figlio ta to deside ato. D’alt o de, a he el aso dell’app op iazio e a usiva, fo ti
perplessità potrebbero sorgere di fronte ad una soluzione che vada sempre e comunque a premiare
la partoriente, anche laddove ella abbia posto in essere siffatta condotta, di certo immeritevole di tutela. I tutti i asi o so o e, a ost o avviso, l’a alogia o la su ogazio e,
uella o la fecondazione eterologa. Non si è, infatti, evidentemente avuto alcun contratto di surrogazione, per cui
un problema di trattamento della fattispecie riprovata in termini tali da evitare una sua indiretta attuazio e o si po e eppu e. A o a e o sig ifi ativo i pa e l’a osta e to o la fe ondazione
eterologa, perché chi ha subito lo scambio tutto può essere considerato, ma non un donatore di ga32
Nel ost o o di a e to il p i ipio i dis o so positivizzato dal disposto dell’a t. 69, o
a , . .
Trib. Napoli, 1 luglio 2011, cit.
34
App. Torino, 29 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, consultato il 07.012015, con riferimento alla genitorialità di
una coppia lesbica sposata in Spagna, ha ritenuto trascrivibile il certificato straniero che attribuisce la maternità
a he alla do a he ha fo ito gli ovo iti he so o stati i pia tati ell’ute o dell’alt a o iuge, dopo esse e
stati fe o dati fa e do i o so all’i se i azio e ete ologa.
35
Cfr. S. STEFANELLI, Procreazione eterologa e azioni di stato, in Diritto mercato tecnologia, 2014, 3, 46 ss.; G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Riv. Dir. Civ., 2005, 104; A. GORASSINI, Procreazione artificiale
eterologa e rapporti parentali primari, in Dir. Fam. Pers., 1987, 1251.
36
Il celebre caso è stato deciso da Trib. Roma, 8 agosto 2014, in Foro It., 2014, 2934, su cui cfr. M. G. CABITZA,
Scambio di embrioni: errore medico e scissione delle figure genitoriali, in Rivista di BioDiritto, 2014, 2, 197 ss.
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37
Al quale, dunque, si applicherebbe la o a di ui all’a t. 9, o
a , della legge
del
, o la o seguente impossibilità di acquisire un rapporto giuridico parentale con il nato.
38
Il riferimento è agli artt. 239 e 240 c.c.
39
Vi fa chiaramente riferimento il Prof. C. Flamigni nella Postilla al parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, intitolato Considerazioni bioetiche sullo scambio involontario di embrioni, 11 luglio 2014.
40
CEDU, 16 settembre 2014, X and Y vs. Italy, ric. 41146/14, ha rigettato il ricorso dei genitori genetici contro la
citata ordinanza del Tribunale di Roma, ma solo perché gli stessi, palesemente, non avevano ottemperato
all’o e e del p evio esau i e to dei i edi i te i.
41
Cfr. App. Firenze, 12 aprile 1949, in Foro It., 9 9, I,
, sul aso di u figlio della gue a di pelle e a, ato da una donna bianca coniugata con un uomo bianco. Il presunto padre non ottenne il disconoscimento perh , pu ave do di ost ato l’adulte io ed il ela e to della g avida za, e pu esse do ovvia e te i g ado di
dimostrare che il figlio non era suo, non aveva provato che gli fosse stata celata anche la nascita. La sentenza
provocò un vivo dibattito e fu criticata da A. CICU, Impugnativa di paternità di figlio mulatto, in Riv. Trim. Dir.
Proc. Civ., 1950, 246 ss., mentre u deputato giu se addi ittu a a p opo e l’i t oduzio e di u ’ulte io e ipotesi
di disconoscimento, per il caso di diversità razziale, così da allargare il tassativo elenco codicistico (proposta di
legge del 20 luglio 1949, n. 705). Il caso può sembrare estremo, ma è bene ricordare che, sino al ricordato intervento della Corte Costituzionale nel 2006, le argomentazioni dei nostri giudici non si sono nella sostanza allo ta ate da uelle di allo a, i ua to la p ova dell’i o pati ilità ge eti a f a p esu to padre e figlio non era
sufficiente, qualora non fosse stato prima dimostrato il verificarsi di uno dei casi previsti dal Codice: cfr. A. RENDA, Provata la non paternità non può dirsi provato l’adulterio:
ulatto di Toscana redivivus?, in Familia, 2003,
4, 1107 ss.
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meti37, dato che parliamo di embrioni, e non già di meri gameti, e soprattutto considerando che egli,
o ella, non voleva affatto donare, né altrimenti cedere alcunché.
D’alt o de, o
i p o a ile he si ili i ide ti possa o uova e te ve ifi a si, ed a he he si
siano già verificati senza che nessuno se ne accorgesse, per cui presto o tardi un qualche ripensae to si i po à all’atte zio e degli i terpreti. La via più ragionevole ci pare quella di ipotizzare
u ’este sio e, i via i te p etativa o a alogi a, dell’a ito appli ativo della o a sulla sostituzio e
dei neonati, che invero regola una fattispecie assai similare38. A e vede e a h’essa stata sostanzialmente il prodotto di uno sviluppo della tecnica medica, già compiutosi in un passato, del resto,
o os e oto: fi h i pa ti avve iva o ell’a ito do esti o, l’eve tualità di u o s a io e a di
pressoché impossibile verificazione, salvo andare ad ipotizzare complicatissime macchinazioni, ma,
o l’affe a si dei pa ti ospedalie i, essa dive uta u ’eve ie za, patologi a a o i ileva te,
della vita dei reparti di ostetricia39. Se poi si ritenesse che un intervento su principi di tale importanza
sia o u ue p e luso all’i te p ete o di a io, i a à se p e la via della uestio e di ostituzio alità o del giudizio in sede europea40. Anche qui, occorrerebbe, infatti, riflettere su altre vicende, ed in
particolare sullo sviluppo che ha portato a dichiarare incostituzionali una serie di limiti
all’a e ta e to della pate ità atu ale, he o aveva o più se so u a volte affe atesi le oderne tecniche di indagine genetica41. In fondo, anche alla luce dei fondamentali canoni di eguaglianza formale e sostanziale, non si vede perché il rapporto materno dovrebbe essere trattato secondo
principi totalmente diversi.
Ad ogni modo, perché possa pervenirsi ad un riconoscimento della paternità, od anche della maternità, ge eti a di u figlio ato all’estero per surrogazione, occorre evidentemente, in primo luogo, che
il legame genetico in questione sussista davvero. Dunque, qualora la surrogazione si sia accompagnata all’utilizzo di te i he di p o eazio e assistita di tipo o ologo, si pot à pe ve i e, secondo i percorsi sin qui delineati, alla costituzione di un rapporto di genitorialità in capo ai committenti. Più
99
Marco Rizzuti
Essays
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o plessa l’ipotesi i ui le te i he sia o state di tipo ete ologo, utilizza ili laddove u o dei embri della coppia non sia in grado di produrre i gameti occorrenti, come può accadere in varie ipotesi:
o
e to a o he le situazio i, o esse a patologie, all’età o ad alt i fatto i he i pedis o o alla
do a di soste e e la g avida za, si ifletta o a he sull’ovulazio e; pu a he da si che sia, invece,
la controparte maschile ad avere problemi di infertilità assoluta; necessariamente eterologa sarà,
poi, la fecondazione che debba precedere la surrogazione commissionata da una coppia omosessuale
o da una persona singola. In tali casi, tutto quanto esposto sinora potrà valere solo per un membro
della oppia e l’alt o o av à titolo a i o os e e il figlio, o a i hiede e la t as izio e del elativo
certificato straniero. Non si tratta, dunque, di frapporre un ostacolo assoluto di ordine pubblico a riconoscere lo status del nato, quanto piuttosto di consentire il riconoscimento soltanto di una situazione che esista realmente sulla base del fatto procreativo.
Ciò non toglie che si potrà costituire una posizione di genitorialità sociale, con piena efficacia anche
el ost o o di a e to, a solo i ase alle o e sull’adozio e, he app ese ta o il a ale u i o
ed inderogabile per chi voglia, appunto, porre in essere uno status filiationis diverso da quello che
trova fondamento nella realtà materiale della procreazione. Invero, anche così opinando non si frappone un ostacolo insuperabile al diritto alla bigenitorialità del minore, in quanto possiamo ritenere
che, nella maggior parte dei casi, sussisteranno effettivamente tutti i presupposti perché si proceda
o u ’adozio e spe iale i favo e del o iuge del ge ito e atu ale42. Peraltro, non si pone nemmeno un problema di diritto antidiscriminatorio, considerando che la giurisprudenza più recente ha
a
esso he dell’adozio e spe iale possa avvalersi anche il partner di un genitore omosessuale43, in
u a fattispe ie i ui, pe alt o, la oppia isultava egola e te o iugata se o do l’o di a e to
spagnolo: un matrimonio, dunque, invalido per la legge italiana, ma, ciò nondimeno, giuridicamente
rilevante, secondo le indicazioni delle Corti Supreme che hanno riscritto la tradizionale teorizzazione
dottrinale dei requisiti di esistenza del matrimonio44. Nella stessa direzione vanno, del resto, anche i
progetti legislativi per una regolamentazione nazionale delle unioni omosessuali45. Infine, nel caso
della persona singola, è evidente che non ci sarà nessun soggetto ad affiancarsi al genitore genetico,
salvo che, in un successivo momento, non sopravvenga un matrimonio, od una unione civile, con tutti i suoi effetti, ovviamente anche per il profilo che ci riguarda. In ogni caso, ci sembra, dunque, che la
via aest a sia uella di u ’adozio e spe iale p o u iata dal T i u ale pe i Mi o e i o pete te,
42
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Il ife i e to all’a t. , o
a , lette a b, della legge
aggio 9 , .
: pe u ’ipotesi, o e e tissima, di applicazione della predetta norma in materia di surrogazione, cfr. App. Salerno, 25 febbraio 1992, in
Nuova Giur. Civ. Comm., 1994, I, 177.
43
Trib. Min. Roma, 30 luglio 2014, in Dir. Fam. Pers., 2014, 1533, ha ritenuto che tale ipotesi, pur non rientrando nella fattispecie di cui alla citata lettera b dell’a t. , pu o u ue i o du si all’a ito appli ativo della
successiva lettera d.
44
Recependo le indicazioni di Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 138, e CEDU, 24 giugno 2010, Schalk and Kopf vs.
Austria, ric. 30141/04, si è arrivati, con Cass., 15 marzo 2012, n. 4184, al definitivo superamento della tradizionale concezione (risalente almeno a K. S. ZACHARIAE, K. CROME, L. BARASSI, Manuale del diritto civile francese, Milano, 1907-1909, I, § 126, e III, §§ 419,421, ma già criticata da A. C. JEMOLO, Il matrimonio, in Tratt. Dir. Civ. Vassalli, Torino, 1961, 48-57), per cui l’ete osessualità sa e e u e uisito o solo di validità, a addi ittu a di
esistenza del matrimonio.
45
Il ife i e to all’a t. del uovo testo u ifi ato dei diseg i di legge . , 9 , 9,
, 9 9,
,
,
1316, 1360, 1745 e 1763, approvato dalla seconda Commissione permanente del Senato, in data 17 marzo
2015.
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3. Surrogazione e acquisto di minore
In ognuna delle fattispecie sin qui esaminate, sembrerebbe, dunque, di poter concludere che
l’assetto del di itto italia o, di uello vige te e di uello vive te, o si po e affatto i adi ale ontrasto con le indicazioni, pervenute da Strasburgo nel corso del 2014, circa la necessità di non denegare uno status al nato da surrogazione. Il vero punctum dolens app ese tato, i ve e, dall’assetto
he la vi e da pu assu e e i u ’ulte io e ipotesi, uella i ui essu o dei o
itte ti a ia apporti genetici col nato: proprio su queste fattispecie vertono le due controverse decisioni da cui abbiamo preso le mosse. Si tratta, in effetti, di casistiche di non rara verificazione, ed, almeno in certi
casi, riconducibili a scelte dei committenti. Può accadere, infatti, che le capacità riproduttive di entrambi i membri della coppia siano totalmente compromesse; può accadere, inoltre, che comunque
essi preferiscano selezionare le caratteristiche del nascituro attingendo dal catalogo dei gameti in
commercio per realizzare la combinazione più confacente alle loro aspirazioni, per quanto attiene al
is hio di t as ette e a o alie ge eti he o a he ad alt i aspetti più futili. D’alt a pa te, pu a adere, ed è anzi accaduto nei due casi di specie, che, più semplicemente, gli intermediari incaricati di
realizzare la surrogazione non si p eo upi o di fe o da e l’ovo ita da i pia ta e el g e o della
gestante proprio con il seme del committente, ma utilizzino altri gameti, o altri embrioni già prodotti,
a loro disposizione, senza che i committenti stessi possano, o vogliano, saperne nulla. Non dobbiamo
e
e o es lude e l’ipotesi he i te edia i se za s upoli se plifi hi o adi al e te il e a ismo, procurandosi direttamente un neonato, venuto al mondo nel più naturale dei modi, e facendolo
passare per il prodotto di una surrogazione mai realizzata46.
I tali asi, evide te e te, essu o dei o
itte ti pu i o os e e u appo to he o ’ , pe
ui l’eve tualità dell’adozio e spe iale da pa te del o iuge e
e o si po e. Nelle fattispe ie i
esame, infatti, la realtà materiale della procreazione manca completamente e verrebbe ad essere sostituita direttamente ed esclusivamente da un rapporto contrattuale. A questo proposito, sembra
necessario un chiarimento, che è in primo luogo di carattere lessicale. Nelle fattispecie precedentemente esaminate, alla realtà genetica della procreazione si affianca un rapporto contrattuale con la
gestante surrogata, la quale ospiterà nel suo grembo un embrione, e poi un feto, altrui, realizzando
dunque una struttura negoziale47, riconducibile alla locazione, o al comodato nelle ipotesi altruistihe, pe ui si pa la o e te e te di ute o i affitto . Nel aso o a i esa e, pe , o vi
ulla
della locazione, perché il committente non si avvale della surrogata per collocarvi qualcosa di proprio, ma semplicemente acquista un prodotto finito, dopo averne previamente indicate le caratteristiche, per cui, volendo anche qui ricorrere alla terminologia contrattuale, abbiamo una vendita,
46
U a vi e da del ge e e alla ase del p o edi e to pe ale i te tato ell’otto e
dalle auto ità i diane nei confronti di un sedicente specialista in medicina riproduttiva, K. T. Gurumurthy, che ha goduto di una
certa risonanza sulla stampa internazionale.
47
Si discute se sia più corretto utilizzare il termine contratto o ricorrere alla categoria del negozio giuridico familiare: cfr. A. LORENZETTI, Maternità surrogata (voce), in Digesto Disc. Priv., Torino, 2011.
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Essays
ma non vogliamo nemmeno escludere che, sussistendo tutti i requisiti prescritti, si potrebbe riconoscere come tale anche un provvedimento straniero, colà emesso come diretta conseguenza della surrogazione.
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Marco Rizzuti
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eventualmente mista ad appalto. Dunque, mentre nel caso della surrogazione si ha certamente una
minaccia alla dignità della donna gestante, comparabile a varie altre forme, non sempre illecite, di
utilizzo commerciale del corpo femminile, e comunque tale da giustificare il divieto vigente in buona
pa te dell’Eu opa, i ve e el caso della vendita si ha direttamente una reificazione del nato, oggetto
della cessione traslativa. Comparativamente, la seconda ipotesi è molto più grave: il fatto stesso di
fare oggetto di commercio una persona in quanto tale, e non già il mero utilizzo di alcune parti del
o po u a o, od a he uell’e tità o pie a e te ualifi a ile i te i i pe so alisti i he il d.
partenota48, va a ollide e o l’o di e pu li o, o solo i te o ed eu opeo, a, si di e e, o
quello di tutti gli ordinamenti che non ammettono più la schiavitù (ovvero, al momento ed almeno
sul piano formale, tutti gli Stati riconosciuti)49, oltre che con le espresse previsioni delle Convenzioni
internazionali sui Diritti Umani, e specialmente di quelle in materia di contrasto al traffico di minori50.
Non ci sembra, dunque, che si possa arrivare a consentire ad un soggetto di riconoscere un nato, o di
t as ive e il elativo atto st a ie o, ella ualità, sosta zial e te, di a ui e te dello stesso. L’u i a
ipotesi che consenta la costituzione di un rapporto di genitorialità sociale con un minore col quale
o si a ia al u lega e ge eti o pa e tale,
lo a ia il o iuge dell’i te essato, i ve o
l’adozio e o di a ia, i te a od i te azio ale, he pe egolata, o ’ oto, da principi e procedure radicalmente incompatibili con la figura di un acquisto, diretto o intermediato, del nato dalla
partoriente. Per raggiungere esiti differenti sarebbe necessario prendere esplicitamente in considerazione quella proposta, formulata nell’a ito della s uola o da e i a a di Law & Economics, seo do ui all’i effi ie te siste a delle p o edu e pu li isti he di adozio e a d e e sostituito u
li e o
e ato dei figli 51, un passo che, a quanto ci consta, nessun ordinamento giuridico statuale
48
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CGUE, 18 dicembre 2014, causa C- 364/13, ha ritenuto ammissibile la brevettabilità, e, quindi, lato sensu la
commerciabilità, degli ovociti umani sviluppati non tramite fecondazione, processo che porterebbe alla formazione dello zigote e quindi della spes hominis, ma tramite attivazione partenogenetica, che consente di mantee e il p odotto otte uto ell’a ito delle res.
49
Nella tradizione giuridica occidentale, i primi provvedimenti abolizionisti risalgono al Medioevo, con il Liber
Paradisus del Comune di Bologna del 1256 e con quanto stabilito dalla Repubblica di Ragusa nel 1416. Durante i
p i i se oli dell’età ode a, si affe
, i via pe lo più giu isp ude ziale, u a egola pe ui la s hiavitù e a
ammessa nei te ito i olo iali, a o i uelli et opolita i, al e o pe ua to igua dava l’Eu opa o identale, e t e i uella edite a ea, ivi o p esa la aggio pa te dell’Italia, il p i ipio a olizio isti o si sarebbe affermato solo in epoca napoleonica. Nel 1783 la Corte Suprema del Massachusetts dichiarò incostituzio ale la s hiavitù e, el o so del XIX se olo, l’istituto fu g adual e te a olito i tutti gli ìtati a e i a i, elle
colonie europee e negli imperi russo ed ottomano. Nel Novecento hanno accolto il principio antischiavistico anhe i esta ti Paesi asiati i ed af i a i: l’ulti a a olizio e uffi iale isulta esse e uella della Mau ita ia el
1981. Tutto ciò non toglie che esista tuttora un fiorente commercio illegale di schiavi a livello globale, e che talune entità statali internazionalmente non riconosciute, quali il sedicente nuovo Califfato, lo abbiano anche
nuovamente legalizzato.
50
Co ’ oto, già o il Co g esso di Vie a del
le Pote ze, a o a uasi tutte s hiaviste, si impegnarono
a proibire almeno la tratta, il che fu poi oggetto di tutta una serie di successivi accordi bilaterali o multilaterali.
La Convenzione firmata il 25 settembre 1926 a Ginevra, e quella supplementare del 1956, cui hanno poi aderito
pressoché tutti gli Stati riconosciuti, ha, quindi, impegnato le parti contraenti alla generale soppressione della
s hiavitù. I pa ti ola e, l’i peg o a o t asta e il fe o e o della ve dita di a i i stato i adito dal P otocollo addizionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo, firmato a New York il 25 maggio 2000.
51
Cfr. E. LANDES, R. POSNER, The Economics of the Baby Shortage, in The Journal of Legal Studies, 1978, 323 ss.; J.
R. PRICHARD, A market for babies?, in The University of Toronto Law Journal, 1984, 341 ss.; R. POSNER, The Regulation of the Market in Adoptions, in Boston University Law Review, 1987, 59 ss.; C. SHALEV, Nascere per contrat-
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to, a cura di G. AJANI e A. MAFFIODO, Milano, 1992; M. BRINIG, The effects of transaction costs on the market for
babies, in Seton Hall Legislative Journal, 1994, 553 ss.; K. ROOSVELT, The Newest Property: Reproductive Technologies and the Concept of Parenthood, in Santa Clara Law Review, 1998, 79 ss.; H. MCLACHLAN, J. K. SWALES, Babies, Child Bearers and Commodification: Anderson, Brazier et al., and the Political Economy of Commercial Surrogate Motherhood, in Health Care Analysis, 2000, 8, 1 ss.; E. ANDERSON, Why Commercial Surrogate Motherhood Unethically Commodifies Women and Children: Reply to McLachlan and Swales, in Health Care Analysis,
2000, 8, 19 ss.; M. GOODWIN, The Free-Market Approach to Adoption: the Value of a Baby, in Boston College
Third World College Law Journal, 2006, 61 ss.; C. SANGER, Developing markets in baby-making: In the matter of
baby M, in Harvard Journal of Law and Gender, 2007, 67 ss.; K. KRAWIEC, Altruism and intermediation in the
market for babies; in Washington and Lee Law review, 2009, 203 ss.; H. MCLACHLAN, J. K. SWALES, Commercial
Surrogate Motherhood and the alleged Commodification of Children: a Defense of Legally Enforceable Contracts, in Law and Contemporary Problems, 2009, 3, 91 ss.; E. SCOTT, Surrogacy and the Politics of Commodification, in Law and Contemporary Problems, 2009, 3, 109 ss.; M. JACOBY, The Debt Financing of Parenthood, in Law
and Contemporary Problems, 2009, 3, 146 ss.; M. GOODWIN, Baby markets: money and the new politics of creating families, Cambridge, 2010; A. CARROL, Reregulating the Baby Market: A Call for a Ban on Payment of BirthMother Living Expenses, in Kansas Law Review, 2010, 285 ss.
52
Nell’o di a e to u ai o il appo to ge eti o f a il ato ed al e o u o dei o
itte ti app ese ta u p esupposto i de oga ile pe il i o os i e to della su ogazio e ai se si dell’a t.
del Codi e della Fa iglia.
La posizione russa è meno chiara, ma dubitiamo che alla realtà di tale ordinamento corrisponda davvero
l’a go e tazio e p oposta dava ti alla CEDU, ell’i te esse dei o
itte ti, dall’avvo ato dipe de te di u a
società che aveva gestito la surrogazione, il quale citando co e u i o appiglio u a ti olo dott i ale , pu licato da lui medesimo su una piattaforma open access, soste eva he l’a uisto di ga eti o e
io i i o e e
per conto dei predetti committenti li avrebbe resi propri di costoro, come se il rapporto genetico fosse realmente esistito.
53
Si rinvia alla nota che precede.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
ha ritenuto di compiere. Non è, infatti, un caso, se, nelle fattispecie concrete esaminate dalle ultime
sentenze, si erano poste in essere condotte inammissibili anche dal punto di vista degli ordinamenti
stranieri: certamente illecite per quello ucraino e quantomeno dubbie per quello russo52. Altro è dire
he, i dete i ati o testi, l’illi eità pu a o pag a si spesso ad u a tolle a za di fatto o he ou ue va ie diffi oltà posso o i pedi e u ’effi a e ep essio e; alt o sarebbe dedurre solo da ciò
una possibilità di recupero alla giuridicità delle situazioni prodottesi. Precisiamo, infine, che, di converso, nemmeno ci pare ipotizzabile che il soggetto nato da questo tipo di procedimenti possa promuovere una qualche azione di accertamento di una, i esiste te, ge ito ialità, ell’ipotesi, già dis ussa p i a ad alt o p oposito, del p odotto ifiutato . Ci o es lude, pe , he i u aso del
genere si possa eventualmente configurare una responsabilità extracontrattuale del committente recedente, nei confronti del nato e della partoriente, che potrà valere in qualche modo ad offrire una
tutela a chi certamente è stato vittima di un grave abuso.
No do ia o, d’alt o de, ite e e he la Co te Eu opea dei Di itti U a i a ia eal e te i teso
accedere a posizioni contrastanti con i principi fondamentali che si sono adesso sinteticamente richiamati, e, del resto, se così fosse stato, potremmo facilmente pronosticare un ribaltamento della
decisione da parte della Grand Chambre. Invero, i giudici europei non hanno mai affermato che sussista un obbligo di riconoscere una siffatta genitorialità basata sul mero acquisto, ed anzi hanno preso
le dista ze dalla logi a p op ieta ia sviluppata dalle pe ulia i a go e tazio i dell’avvo ato della società russa che aveva gestito la vicenda53. Pe alt o, a da do fo se olt e l’oggetto delle p op ie att ibuzioni, gli stessi hanno anche precisato che la condanna dello Stato italiano a risarcire i committenti
non dovrà essere interpretata nel senso di comportare un obbligo a restituire loro il bambino,
103
Marco Rizzuti
Essays
104
ell’i te esse del uale si i vita, al o t a io, a salvagua da e il appo to he isulte e
cessivamente costituito in seno ad una famiglia affidataria.
e esse si suc-
3. Il diritto del minore a mantenere i rapporti familiari più significativi
Insomma, non parrebbe che dalla decisione europea possa trarsi il riconoscimento di un diritto alla
genitorialità in capo ai committenti acquirenti, per cui sembra di doverne dedurre che la posizione
giuridica loro riconosciuta, e la cui violazione è stata sanzionata con il risarcimento del danno, sia di
altra natura. In particolare, leggiamo che la lesione del principio di proporzionalità insita nei provvedi e ti italia i e su ati si evi e sop attutto dalla o side azio e he l’allo ta a e to del bambino dal contesto familiare in cui era di fatto inserito, anche se sulla base di un titolo genitoriale la cui
illegittimità la Corte non discute, è avvenuto senza che si fossero riscontrate situazioni di pericolo
grave, quali abusi sessuali o viole ze fisi he e o ali, e se za he l’i patto della isu a ve isse i
qualche modo attenuato dalla previsione di forme di diritto di visita, comparabili a quelle conosciute
in altri ordinamenti. La sentenza va, dunque, ad inserirsi sulla scia di una precedente condanna riportata dall’Italia, ui si fa a pia e te ife i e to i
otivazio e, e he o igua dava affatto la surogazio e o le te ologie ip oduttive, e s p op io l’i a
issi ilità di p ovvedi e ti, pu t oppo
non infrequenti nella prassi dei nost i t i u ali i o ili, o ui si dispo e l’allo ta a e to, pu i
assenza di quei gravi presupposti e di quelle misure di accompagnamento di cui si diceva54. Insomma,
non è in questione il diritto dei committenti di essere considerati genitori, che si può invero escludere, ma quello degli stessi, e soprattutto del minore, a mantenere quei rapporti significativi già fattualmente instauratisi, e che non devono essere troncati dalla pur legittima nomina di un tutore e
dall’avvio del p o edi e to pe l’adotta ilità.
Si tratta, dunque, di un diritto alla conservazione delle relazioni personali fondamentali che riguarda
in linea generale il minore adottabile, e poi adottato: con riferimento ai rapporti con genitori naturali
inadeguati, ad esempio per gravi ragioni di salute fisica o psichica o di estrema indigenza, ma non pericolosi, perché non responsabili di abusi o violenze; ovvero ai rapporti con altri elementi del nucleo
familiare o con altre persone particolarmente significative per il minore che abbia perso i genitori;
oppure ancora con riferimento ad affidatari temporanei che non abbiano, però, i requisiti per divenire genitori adottivi55. Tutto ciò potrebbe, quindi, valere anche con riguardo a persone che abbiano,
persino illegittimamente, ma sempre in assenza di abusi o violenze, instaurato un rapporto parafami54
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CEDU, 21 gennaio 2014, Zhou c. Italie, ric. 33773/11, ha accolto la domanda risarcitoria proposta da una
donna immigrata, cui le autorità avevano dichiarato adottabile il figlio, e poi sospeso ogni diritto di visita, considerandola inadeguata a crescerlo, sulla base di una relazione dei servizi sociali, essenzialmente incentrata sul
fatto che per la gran parte del giorno il bambino veniva affidato ad una coppia di anziani vicini, in quanto la
madre doveva lavorare molte ore per mantenerlo. Si tratta del primo caso approdato con successo in sede europea, ma purtroppo non sono infrequenti le ipotesi in cui decisioni così gravi vengono prese, specie nei confronti dei soggetti socialmente più deboli, sulla ase di uesto ge e e di otivazio i: l’app ofo dita i hiesta
giornalistica dedicata al tema dalla televisione pubblica (Presa Diretta, RaiTre, 25 gennaio 2015) ha fatto emerge e u ’i uieta te ealtà, i ui o di ado i o po e ti lai i dei t ibunali minorili hanno diretti interessi personali, ed economici, nella gestione delle strutture cui vengono affidati i minori adottabili.
55
Cfr. E. CECCARELLI, Adozione e diritto del bambino di mantenere i pregressi rapporti significativi, in
www.minoriefamiglia.it, consultato il 25.03.2015.
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56
Il riferimento è alle fattispecie disciplinate dalle disposizioni oggi recepite nei nuovi artt. 337 bis e segg. c.c.,
inseriti nel Codice dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154.
57
Si pensi alla fattispecie oggetto della decisione di App. Ancona, 5 dicembre 2009, in Dir. Fam. Pers., 2012, 224
ss., con nota di G. SAVI, Quali obbligazioni fra ex amanti divenuti genitori?
58
Il riferimento è alla nuova formulazione degli artt. 315 bis, comma 2, e 317 bis c.c., per effetto della legge 10
dicembre 2012, n. 219 e del successivo decreto 154 del 2013. Cfr. G. BALLARANI, P. SIRENA, Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in Nuove
Leggi Civ. Comm., 2013, 534 ss.
59
Si allude al problema della cd. famiglia ricomposta, su cui cfr. D. BUZZELLI, La famiglia composita , Napoli,
2012; T. AULETTA, Famiglia ricomposta e obbligo di mantenimento, in Familia, 2008, 194 ss.; G. BILÒ, I problemi
della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, 831 ss.
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Essays
liare col minore, come nei casi in esame oppure in altri che potrebbero ipotizzarsi. Si pensi, per propo e u ’ipotesi est e a, al aso di hi, spi to dal deside io di ge ito ialità, a ivi a sott a e un infante alla vigilanza dei veri genitori, lo faccia passare per proprio e lo cresca per anni amorevolmente
e nel migliore dei modi, o comunque senza mai commettere nei suoi confronti nulla che possa ricondu si alle atego ie dell’a uso sessuale o della violenza fisica e morale. Evidentemente, qualora dovesse poi emergere la verità, non sarà in alcun modo possibile riconoscere una forma di genitorialità
avente titolo nel rapimento, né esimere la persona interessata dalle sue palesi responsabilità penali.
Tuttavia, una volta restituito il minore ai genitori reali, che egli nella sostanza non conoscerà, o avviatasi u a p o edu a pe l’adotta ilità, ualo a gli stessi o sia o più epe i ili, o si dov e e
escludere la possibilità che egli mantenga un rapporto significativo con la persona che, di fatto, lo ha
cresciuto sino ad allora. Fondamentalmente analoga è, insomma, a nostro avviso, la posizione dei
committenti nei casi esaminati.
La o eta dis ipli a dell’ese izio di uesto di itto fo da e tale andrà elaborata, in via giurisprudenziale sino ad un eventuale intervento del legislatore, prendendo come punto di riferimento altre
fattispe ie o pa a ili. I p i o luogo, vi l’ela o azio e i te a di di itto di visita del ge ito e o
collocatario, ovvero non affidatario nei sempre più rari casi di affidamento esclusivo, con tutte le variegate modalità che possono essere realizzate per dare pratica attuazione alle esigenze dei soggetti
coinvolti. Naturalmente, si tratta di una realtà diversa, dato che qui entrambi i soggetti adulti sono
indiscutibilmente genitori e spesso condividono un precedente vissuto matrimoniale, oppure familiae di fatto, he pu fa ilita e l’assetto delle uove elazio i56. D’alt o de, o se p e os , i uanto tali vicende sono non di rado caratterizzate da una conflittualità acutissima, ben più grave delle
tensioni che eventualmente potrebbero insorgere fra i genitori adottivi ed i titolari di precedenti rapporti significativi col minore adottato. Vi sono, peraltro, anche ipotesi in cui pure i due genitori sono,
e sono sempre stati, sostanzialmente degli estranei fra di loro: si pensi ai provvedimenti riguardanti
l’affida e to di u
i o e ato da u appo to e a e te o asio ale, se za he si sia ai ostituita una famiglia, neanche di fatto, ma comunque riconosciuto, o giudizialmente dichiarato, figlio di
entrambi gli interessati57. Ad ogni modo, possiamo richiamare anche la, più recente, esperienza
dell’ese izio del di itto del i o e a a te e e, a he se oi volto i u a risi coniugale, significativi rapporti con entrambi i gruppi parentali, ed in particolare con gli ascendenti58, oppure con il partner di un genitore59, insomma con figure che certamente genitori non sono, ma che dovranno vedersi
riconosciute modalità di visita, o comunque di contatto col minore, ulteriori ed aggiuntive rispetto a
quelle che riguardano i genitori stessi.
105
Marco Rizzuti
Essays
106
Dall’i sie e di uesti ife i e ti, si pot a o, du ue, dedu e ua to e o al u i p i ipi ge e ali
per la gestione dei peculiari rapporti interpersonali in esame. In primo luogo, ci sembra di doverne
e essa ia e te i ava e la e t alità dell’i te esse del i o e, pe ui sa à lui il titola e del di itto a
conservare i significativi rapporti de quo, e non la persona interessata ad avere un diritto sul minore.
Pertanto, non si potrà arrivare mai ad imporre tali rapporti, contro la volontà di un minore che, raggiu ta l’età del dis e i e to, li ifiuti60. In ogni caso, si tratterà sempre di provvedimenti assunti rebus sic stantibus, revocabili e odifi a ili i ase all’evoluzio e delle i osta ze, se za ai effetti
preclusivi, né tantomeno di giudicato. Non è detto, quindi, che il rapporto non possa essere fortemente limitato, od anche interrotto, laddove risulti che il titolare lo esercita in maniera contrastante
o l’i te esse del i o e, o u atteggia e to t oppo o flittuale ei o f o ti degli alt i i te essati, o comunque abusando della sua posizione in maniera pregiudizievole per il sereno sviluppo della
personalità del minore stesso.
A questo punto, ci sembra opportuno ricordare che quella di un diritto di visita, o comunque di mantenere significativi rapporti col figlio, era stata anche la richiesta formulata in subordine dai genitori
genetici, vittime dello scambio di embrioni, nel famoso caso cui abbiamo già fatto riferimento61. Nello stesso senso si era poi espresso, in un parere che su altri punti non aveva ritenuto di poter prendere una posizione decisa, anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, chiamato ad pronunziarsi sulla
vicenda62. Benché tali istanze non siano poi state prese in considerazione dal decidente, le stesse ci
se
a o di otevole p egio ai fi i dell’i postazio e dei va i deli ati p o le i he il fe o e o della
surrogazione può porre: pensiamo, appunto, alle ipotesi di scambio involontario, ma anche a quelle
in cui la gestante surrogata non sia, o non sia più, disposta a rinunziare ad ogni rapporto con il nato,
grazie al successivo miglioramento delle sue condizioni economiche, o semplicemente per aver mutato d’avviso dopo l’espe ie za della g avida za63. Sono fattispecie in cui si impone la scelta di riconoscere la genitorialità in capo a chi ha fornito il patrimonio genetico oppure a chi ha partorito il
bambino: ad oggi, probabilmente, prevarrà sempre la partoriente, mentre in futuro, come si accenava, u ipe sa e to sull’a e ta e to della ate ità pot e e po ta e, al e o i e ti asi, ad
esiti diversi. In ogni caso, però, la soluzione del dilemma non dov e e ai o po ta e l’elisio e del
diritto al mantenime to, o all’i satu azio e, di appo ti sig ifi ativi o gli alt i soggetti i te essati,
sulla base dei principi prima enucleati, che ci sono, del resto, ormai sostanzialmente imposti anche
dal rispetto di quanto ultimamente elaborato in sede europea.
Come è evidente, tutto ciò comporta una frammentazione, o comunque una ridefinizione, delle figure genitoriali64, il che potrebbe apparire come un punto debole di quanto si sta proponendo. Potremmo avere, infatti, nella sostanza: dei genitori riconosciuti come tali, ai fini della relativa respon60
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Come ha recentemente statuito Cass., 19 gennaio 2015, n. 762, in www.ilcaso.it, consultato il 19.03.2015,
con riferimento ai rapporti con gli ascendenti.
61
Cfr. Trib. Roma, 8 agosto 2014, cit.
62
Considerazioni bioetiche sullo scambio involontario di embrioni, cit.
63
Di fronte a siffatta evenienza, propostasi nel caso CW v NT and another [2011] EWHC 33, i giudici inglesi hanno ritenuto di affidare il bambino alla partoriente e di riconoscere al genitore genetico un diritto di visita e di
contatto. Al contrario, nel citato caso americano di Baby M del 1988, la Corte Suprema del New Jersey ha affidato il figlio ai genitori genetici, con diritto di visita per la gestante surrogata.
64
Cfr. G. FURGIUELE, La fecondazione artificiale: quali principi per il civilista?, in Scritti in onore di Angelo Falzea,
Milano, 1991 II, I, 325.
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65
L’esistenza di un tale diritto è stata riconosciuta da CEDU, 25 settembre 2012, Godelli c. Italie, ric. 33783/09,
e da Corte Cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Foro It., 2014, 4, che ha sollecitato un intervento del legislatore,
rimasto, però, inadempiente. Nel vuoto così creatosi, sono però intervenuti alcuni importanti provvedimenti di
merito: Trib. Min. Firenze, 6 maggio 2014, in www.personaedanno.it, consultato il 15.10.2014; Trib. Min. Trieste, 24 settembre 2014, in www.personaedanno.it, consultato il 22.10.2014; App. Catania, 5 dicembre 2014, in
dirittocivilecontemporaneo.com, consultato il 16.02.2015. Il tema, comunque, non è solo italiano: cfr. A. DIVER,
A Law of Blood-ties – The Right to Access Genetic Ancestr , Cham, 2014.
66
Non di rado, questo sarà proprio il caso della gestante surrogata.
67
Bundesgerichtshof, XII ZR, 201/13, 28 gennaio 2015, ha riconosciuto ai minori nati da inseminazione eterologa il di itto di a ede e alle i fo azio i i a l’ide tità del do ato e di ga eti. I se so o t a io si e a o, invece, espressi Conseil d’Etat, avis contentieux 13 giugno 2013, e Supreme Court of Canada, 30 maggio 2013,
Olivia Pratten vs. Attorney General of British Columbia. In ulteriori casi, poi, i giudici non si sono limitati al riconoscimento di un mero diritto del figlio alla conoscenza della propria identità genetica, ma hanno addirittura
imposto al donatore obblighi genitoriali veri e propri, specie con riguardo al mantenimento: cfr. District Court
of Shawnee, State of Kansas vs. W. M., 22 gennaio 2014, nonché, nella giurisprudenza inglese, Re G (A Minor);
Re Z (A Minor) [2013] EWHC 134 (Fam).
68
All’o ai e nota figura del donatore, o donatrice, di gameti andrà infatti affiancata, nel prossimo futuro,
quella della donatrice di mitocondri, grazie allo sviluppo di tecniche che, allo scopo di evitare la trasmissione di
anomalie genetiche, consentono la creazione di embrioni con tre genitori genetici, che fornis a o l’u o il se e
e le alt e, ispettiva e te, il u leo ed il ito o d io dell’ovo ita. ìullo statuto giu idi o di tale uova fattispecie il Parlamento britannico ha già approvato, in prima lettura, le Human Fertilisation and Embryology (Mitochondrial Donation) Regulations 2015.
69
Si allude, naturalmente, alle profonde trasformazioni apportate al nostro diritto di famiglia dalla riforma di
cui alla legge 19 maggio 1975, n. 151.
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Essays
sabilità ed anche, naturalmente, ai fini successori; altre persone con cui il minore avrà diritto di conservare rapporti familiari significativi, secondo le varie modalità imposte dalla particolarità del caso di
specie; infi e ulte io i soggetti ei o f o ti dei uali il figlio pot à fa vale e l’ulte io e di itto fondamentale alla conoscenza delle proprie origini65, benché gli stessi abbiano fatto la legittima scelta di
sott a si all’i satu azio e di appo ti i te pe so ali col minore stesso, esercitando il diritto
all’a o i ato al o e to del pa to66, oppure della donazione, o comunque libera cessione, dei loro
gameti67 o mitocondri68. La situazione è certamente assai complessa, ma non ci sembra che possa essere liquidata con un giudizio sbrigativamente negativo nei confronti di tale paventata frammentazione.
I p i o luogo, o
detto he tutto i vada a lede e l’i te esse del i o e a he le più i po ta ti
decisioni che lo riguardano siano prese, senza ritardo e senza conflittualità, dai soggetti più titolati a
fa lo. I fatti, espo sa ili dell’assu zio e di tali de isio i i a go o o u ue solta to i due ge itori in senso pieno, mentre la titolarità di significativi rapporti, e tantomeno la conoscenza delle mere
origini ge eti he, o dov e e o a da e ad i ide e su uesti p ofili. D’alt o de, si già detto he
l’ese izio dei appo ti i esa e pot à e ta e te esse e li itato, o pe si o es luso, ualo a e hi
p egiudizio alla se e ità ed alla sta ilità dell’a ie te fa iliare del minore. Comunque, non si può
fare a meno di ricordare che, già con il passaggio dalla patria potestà alla potestà genitoriale, si era
sa ito l’avve to di u a o ezio e dei appo ti fa ilia i i ui il o e to dell’a e t a e to delle
decisioni dive iva e essa ia e te se o da io, ispetto alla o divisio e delle stesse o l’alt o soggetto interessato69. A fortiori, u a logi a di uesto tipo si i po e o l’ulti a t asfo azio e della
stessa genitorialità in un senso che pone in secondo piano il momento potestativo del decidere
107
Marco Rizzuti
Essays
108
nell’interesse altrui, rispetto a quello della responsabilità per l’adempimento di un dovere di cura, da
assolvere, per così dire, in solido70.
D’altra parte, è il mutamento sostanziale dei modi di realizzazione della stessa filiazione che ci sembra davvero decisivo. Com’è ormai ben noto, il fatto procreativo può anche non realizzarsi unico actu, ma articolarsi in un procedimento complesso71, con l’interazione di varie combinazioni di soggetti,
che apportano gameti o mitocondri, che sostengono la gestazione, che intervengono come committenti, etc. Si tratta di una realtà che non può essere rimossa, con la radicale esclusione della rilevanza
giuridica di quanto riguarda la posizione di alcuni di questi soggetti. Benché non si vogliano negare le
complicazioni cui potrebbe dare luogo questa moltiplicazione di posizioni paragenitoriali, dobbiamo
ammettere che molto peggiore, dal punto di vista della compressione dei nuovi diritti della personalità, quali la conoscenza delle origini o il mantenimento dei rapporti familiari significativi, risulterebbe
la forzata semplificazione del quadro, prodotta con l’espulsione dal mondo giuridico di relazioni
umane fondamentali. Infine, per quanto ciò possa sembrare sorprendente, occorrerà segnalare come
non si tratti neppure di una novità assoluta, se è vero che, pure con riguardo alle forme di surrogazione praticate nell’antichità, e quindi in un contesto assolutamente dominato dalla patria potestas,
alcune fonti avevano parlato di una sorta di comunione dei figli, utile a creare legami fra le diverse
famiglie72.
Com’è noto, la riforma di cui alla citata 219 del 2012 ed al successivo decreto 154 del 2013, ha comportato la
sostituzione della potestà genitoriale con la responsabilità genitoriale; cfr. E. AL MUREDEN, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. e Dir., 2014, 466 ss.
71
Cfr. B. SALONE, Figli su commissione: profili civilistici della maternità surrogata in Italia dopo la legge 40/2004,
in Rivista di BioDiritto, 2014, 2, 157 ss.
72
PLUTARCHUS, Comparatio Lycurgi et Numae, 3.1.1, parlava di
κοινονια , e ID., Cato Minor, 25,
e di κοινονια παιδων .
6-7, di
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70
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
Anna Lorenzetti
ABSTRACT: The paper examines the medical practices imposing cosmetic surgeries on
intersex children, which aims at conforming their genitalia to a perfect male or female body. Furthermore, it focuses on the legal approaches that could be adopted to
halle ge these edi al p a ti es a d to e su e the p ote tio of hild e ’s ights.
KEYWORDS: Intersex; Health; Protection; Bodily; Integrity
SOMMARIO: 1. Brevi cenni introduttivi. – 2. Il casus belli: quando la chirurgia prescinde dal benessere. – 3.
L’i te sessualità e le sue tipologie. – 4. I protocolli di cura: la medicalizzazione e gli interventi chirurgici in età
precoce. – 5. La vicenda intersex nel contesto italiano. – 6. La di e sio e p o le ati a dell’i te sessualità: il
a atte e o t addito io delle u e . – . L’i e tezza del di itto e il di itto di de ide e f a uestio i edi he e
paradigmi sociali. – . La e essità di o alizza e i o pi: uali diritti e interessi contrapposti?
1. Brevi cenni introduttivi
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L
e e e ti evoluzio i della sa ità sta o se p e più o ie ta do l’i te ve to della pu li a
auto ità i fu zio e p eve tiva. L’o iettivo di o te e e le patologie, e du ue di i te de e
la salute come prevenzione della malattia piuttosto che solo di una sua cura, incide sensiil e te sull’azio e delle politi he pu li he e pe i dei elativi i vesti e ti.
Sotteso a tale visione emerge un concetto di salute profondamente distinto dalla mera assenza di patologie, ma proiettato verso una rappresentazione che la collega al benessere complessivo della persona. In questa lettura, un ruolo fondamentale viene ad assumere anche la dimensione psicologica
dell’i dividuo, i s i dibilmente unita a quella fisica.
L’evoluzio e ell’i te p eta e la edi i a e le politi he sa ita ie ha o dotto a he all’a
issi ilità
di interventi non direttamente e immediatamente finalizzati alla salute della persona così come tradizionalmente intesa. Ci si riferisce, in particolare agli interventi estetici che la persona chiede al professio ista di esegui e pe aggiu ge e o o u ue pe i segui e ast atti a o i di ellezza, e att ave so di essi, u a aggio e se e ità. L’o iettivo o u e he se
a po si uale fil rouge di simili
richieste di intervento medico a prescindere da uno stato patologico, così come tradizionalmente inteso, è spesso da ricondurre al perseguimento di modelli astrattamente dettati a livello sociale1 o as-

Assegnista in Diritto costituzionale, presso l’Università di Berga o. Scritto sottoposto a doppio referaggio
anonimo.
1
Recentemente, cfr. A. D’ALOIA, Oltre la malattia: metamorfosi del diritto alla salute; F. MASSONI, P. RICCI, P.
CRUSCO, L. RICCI, S. RICCI, Benessere e malattia in medicina estetica. Il superamento di una dicotomia ed il ruolo
del medico, S. SALARDI, Ethical and legal i plications of interventions on unpatients’: therapeutic v. non-
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Essays
Frontiere del corpo, frontiere del diritto:
intersessualità e tutela della persona
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Anna Lorenzetti
Essays
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su ti o e pa a et o da u a so ta di pe sie o do i a te , di mainstream in un certo momento
storico e in un determinato contesto culturale.
2. Il casus belli: quando la chirurgia prescinde dal benessere
In questo contesto, si collocano in una posizione peculiare alcuni interventi chirurgici che vengono
praticati a prescindere dalla volontà della persona interessata e soprattutto senza che il suo stato di
salute lo i hieda; spesso, e pa adossal e te, l’i patto he si ili i te ve ti edi o-chirurgici produo o sul e esse e dell’i dividuo, o plessiva ente inteso, è un deterioramento non soltanto a livello fisico, ma altresì mentale, della condizione di salute, con effetti deleteri nella propria vita sociale e di relazione.
Il caso evocato è quello degli interventi chirurgici che vengono praticati su minori intersessuali, ossia
sulle persone che alla nascita presentano caratteri sessuali ambigui e che per questa ragione manifestano incertezza i a l’u ivo a asseg azio e all’u o o all’alt o sesso.
Diversamente da quanto potrebbe supporsi a partire dal limitato dibattito pubblico sul tema2 e dallo
scarso contenzioso giuridico3, la questione intersessuale coinvolge un numero significativo di persoe, i di ativa e te ua tifi ate ell’o di e del % della popolazio e4. In realtà, una stima esatta
appare difficile, non solo e non tanto perché si tratta di condizioni spesso vissute inconsapevolmente
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therapeutic treatments,in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 2014, 1, disponibile in
www.biodiritto.org/rivista (ultima consultazione 16/05/2015).
2
L’i visi ilità della uestio e stata i putata ad u a se ie di fatto i, f a ui la de olezza dell’attivis o intersex.
L’a go e to spesso asse te sia dalle ive di azio i he igua da o le pe so e o osessuali e t a sessuali, sia
rispetto alle questioni della parità tra uomo e donna; Così riferisce J.D. HESTER, Intersex and the rhetorics of healing, in S.E. SYTSMA (ed.), Ethics and Intersex, Dordrecht (The Netherlands), 2006. A partire dalla metà degli anni
’9 , l’asso iazio is o intersex ha e ato di t ova e u a p op ia auto o a p ese za ell’a e a politica, in grado di renderlo attore di primo piano delle rivendicazioni per la sospensione degli interventi chirurgici non necessari e in generale a difesa e garanzia di questa personale condizione. Sono così nate alcune organizzazioni
internazionali, co e l’IìNA I te se ìo iety of No th A e i a, Associazione di persone intersex del Nord America e l’OII Organisation Intersex International). J.A. GREENBERG, Intersexuality and the Law. Why sex matters,
New York, 2012, 85 ss.; A.D. DREGER, A.M. HERNDON, Progress and Politics in the Intersex Rights Movement. Feminist Theory in Action, in GLQ, 2009, 15, 2, 199-224.
ìpesso il te a vie e t attato pe s e ti e l’u ivo a as izio e ad u a delle atego ie o ve zio al e te ominate come maschile o come femminile, peraltro già messa in dubbio anche a livello scientifico in cui si fa
st ada l’idea della o ti uità della atego ia di sesso . Su questo punto, cfr. A. FAUSTO-STERLING, The Five Sexes,
Revisited, in The Sciences, vol. 40, 4, 2000, 18-23; ID., Sexing the Body: Gender Politics and the Construction of
Sexuality, New York, 2000 e recentemente, C. AINSWORTH, Sex Redefined, in Nature, 2015, 518,
www.nature.com (ultima consultazione 16/05/2015).
3
J.A. GREENBERG, Intersexuality and the Law, cit., 107.
4
Cfr. il sito dell’Organisation Intersex International, www.oiiinternational.com (ultima consultazione
16/05/2015); M. BACKLESS, A. CHARUVASTRA, A. DERRYCK, A. FAUSTO-STERLING, K. LAUZANNE, E. LEE, How Sexually Dimorphic Are We? Review and Synthesis, in American Journal of Human Biology, 2000, 12, 151–166; V.A. ARBOLEDA, D.E. SANDBERG, E. VILAIN, DSDs: Genetics, Underlying Pathologies and Psychosexual Differentiation, in Nature Reviews Endocrinology, 2014, 10(10), 603-615; A. DAVIDIAN, Beyond the Locker Room: Changing Narratives
on Early Surgery for Intersex Children, in Wisconsin Journal of Law, Gender and Society, 2011, 26(1), 1-22. Per
l’i ide za statisti a sulla base delle singole condizioni cfr. A. WINDSOR HOWELL, Transgender Persons and the
Law, Chicago, 2014, 2 ss. Riporta invece una percentuale fra lo 1,7 e il 4%. K. HAAS, Who will make Room for the
Intersexed?, in American Journal of Law and Medicine, Vol. 30, N. 1, 41-68, 2004.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
. L’intersessualità e le sue tipologie
La vicenda intersex racchiude un ampio spettro di condizioni cagionate da anomalie nel processo di
sviluppo sessuale del corpo che si avvia con la fecondazione e termina con la pubertà7, dunque, con il
completo sviluppo dei caratteri sessuali secondari.
Medicalmente, questa condizione è inquadrata come anomalia o malattia8, in particolare di tipo
cromosomico o genetico9, defi ita o e Diso di e dello sviluppo sessuale i sigla DìD, segue do
la denominazione anglofona di Disorders of Sex Development).
La diversità di condizioni che possono essere ricondotte a sindromi intersessuali imporrebbe una
specifica che ne distingua tipologia ed effetti. Tuttavia, posta l’u i ità di uestio i giu idi he sollevate, si ritiene plausibile non dettagliare le distinzioni se non a rapidi tratti.
Molto rara è la condizione di ermafroditismo, che vede la presenza contemporanea di caratteri sessuali maschili e femminili, così come lo pseudo-e af oditis o, he si ve ifi a ua do l’aspetto degli
organi sessuali esterni è opposto al sesso cromosomico e al sesso gonadico10.
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5
Alcune di queste condizioni, infatti, non sono note neppure a coloro che ne sono portatori e vengono
s ope te i o asio e di i dagi i edi he di alt a atu a ad es. i a l’i fe tilità , du a te l’adoles e za o i
età adulta, senza che ciò abbia comportato alcun particolare problema.
6
ìul p ofilo dell’adeguatezza e dei pa a et i assu ti pe valuta li, si to e à più ava ti i pa ti ola e pa . 6 .
7
A partire da una struttura indistinta, il feto si differenzia come maschile o come femminile a seguito
dell’azio e degli o o i sessuali e di spe ifi i dete i a ti odifi ati ei o oso i. L’i te sessualità si ve ifi a
in caso di non regolarità e di disarmonia degli organi sessuali rispetto a quanto generalmente atteso
dell’evoluzio e del feto prima e del corpo poi). G.N. CALLAHAN, Between XX and XY. Intersexuality and myth of
two sexes, Chicago, 2009; D. FRIMBERGER, J.P. GEARHART, Ambiguous genitalia and intersex, in Urol. Int., 2005, 75,
291-297; S.F. KEMP, The Role of Genes and Hormones in Sexual Differentiation, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 1 ss.
8
J.D. HESTER, cit., 47.
9
Sul tema, cfr. J.A. GREENBERG, Intersexuality and the Law, cit.; S.E. SYTSMA (ed.), Ethics and Intersex, cit.; E.K.
FEDER, Making sense of intersex. Changing Ethical Perspectives in Biomedicine, Indiana, 2014; per un
inquadramento complessivo, cfr. E. SCHNEIDER, An insight into respect for the rights of trans and intersex
children in Europe, Co siglio d’Eu opa, i www.coe.int (ultima consultazione 16/05/2015); S. AGIUS, C. TOBLER,
Trans and Intersex People: Discrimination on the Grounds of Sex, Gender Identity and Gender Expression, Luxembourg, European Union, 2011; D.C. GHATTAS, Human Rights between the sexes. A preliminary study on the life
situations of inter* individuals, Heinrich Böll Foundation, in www.boell.de (ultima consultazione 16/05/2015).
In lingua italiana, cfr. L. BERNINI, Maschio e Femmina Dio li creò!? Il sabotaggio transmodernista del binarismo
sessuale, Milano, 2010; J.S. KESSLER, La costruzione medica del genere: il caso dei bambini intersessuati, in S.
PICCONE STELLA, C. SARACENO (a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Bologna,
1996, 95-117; D. CROCETTI, L’invisi ile intersex. Storie di corpi medicalizzati, Pisa, 2013; B. BUSI, La nuda vita degli
ermafroditi, in Zapruder, 2005, 6, 61-65; ID., Modificazioni. Mgf, intersex, trans e produzione del sesso, in S.
MARCHETTI, J.M.H. MASCAT, V. PERILLI (a cura di), Femministe a parole. Grovigli da districare, Roma, 2012, 177182; M. BALOCCHI, Interse . Dall’er afroditis o ai Distur i dello sviluppo sessuale , in Zapruder, 2012, 29, 7684, ID., L’intersessualità nella società italiana, Regione Toscana, Consiglio Regionale, 2015, che raccoglie gli Atti
dell’o o i o o veg o svoltosi a Fi e ze il sette
e
.
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Essays
dai diretti interessati5, quanto piuttosto perché assumendo alcuni parametri piuttosto che altri – caatte i sessuali p i a i, se o da i, a a he il livello di adeguatezza 6 degli stessi – la quantificazione numerica cambia sensibilmente.
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Accanto a queste, vi è un florilegio di condizioni che, in via tendenziale, hanno assunto il nome degli
studiosi che per primi le hanno analizzate. Così, sono note la sindrome di Klinefelter che dà origine ad
un fenotipo maschile prevalentemente sterile, con una cromatina sessuale femminile11; la sindrome
di Turner12 che si manifesta in persone di aspetto femminile ma con un sesso cromatinico maschile;
la sindrome di Swyers per cui le persone possiedono un corredo cromosomico maschile (46XY), sebbene siano femmine sterili; la sindrome di Morris13 che vede individui con corredo cromosomico
46XY, a cui di solito corrisponde un fenotipo maschile, sviluppare caratteri sessuali femminili; vi sono
poi le si d o i di Lu s, di Rose ate , di Reife stei a o u ate dall’esse e fo e di esiste za parziale agli androgeni: le persone portatrici di questa condizione presentano ambiguità dei genitali
esterni alla nascita e mascolinizzazione parziale alla pubertà, con alterazioni fenotipiche variabili. Infine, è nota la sindrome di Imperato-McGinley che vede maschi genetici, con genitali esterni ambigui
alla nascita14.
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Alcune classificazioni distinguono uno pseudo-ermafroditismo maschile o androginoide e uno pseudoermafroditismo femminile o ginoandroide. Nel primo caso, nonostante la presenza di testicoli, gli organi genitali este i so o si ili a uelli fe
i ili; el se o do aso, o osta te la p ese za delle ovaie e dell’ute o,
l’aspetto degli o ga i ge itali este i
as hile. Di recente, è stata proposta una nuova classificazione, per la
quale si rinvia a A. DREGER, C. CHASE, A. SOUSA et al., Changing the nomenclature/taxonomy for intersex: A scientific and clinical rationale, in Journal of Pediatric Endocrinology and Metabolism, 2005, 18, 729-733; C. CHASE
(ed.), in Chrysalis: Journal of Transgressive Gender Identities, Fall/Winter, 1997; I.A. HUGHES, Disorders of sex
development: a new definition and classification, in Best Pract. Res. Clin. Endocrinol. Metab., 2008, 22 (1), 119134.
11
Questa sindrome (47XXY e le sue varianti più complesse 48XXXY e 49XXXXY) prende il nome dal medico
statunitense Harry Klinefelter, che nel 1942 pubblicò i risultati delle sue ricerche su persone affette da questo
distu o o oso i o. Dagli studi effettuati, se
a he l’i ide za di persone con un patrimonio
cromosomico XXY sia relativamente alta (circa uno su 1000 neonati maschi); in realtà, solo una bassa
percentuale di questi individui sviluppano una vera e propria sindrome, cioè un insieme di disturbi correlati al
loro particolare assetto cromosomico. Per questo motivo, molti autori hanno preferito abbandonare la vecchia
denominazione di sindrome di Klinefelter, pre de do uella di as hi-XXY ; cfr. S.F. KEMP, cit., 2 ss.
12
È una condizione che interessa esclusivamente soggetti di sesso femminile, che risultano sterili, con
u ’i ide za di u a fe
i a su
ate. I p ese za di u solo o oso a X o edo X o o oso ia X ,
il fenotipo è femminile e corrisponde alla disgenesia gonadica con bassa statura. In presenza di un mosaicismo
cellulare (coesistenza di linee cellulari geneticamente diverse) 45X/46XY, il fenotipo varia dal maschio sterile
alla sindrome di Turner, con quadri intermedi di disgenesia delle gonadi e ambiguità dei genitali. S.F. KEMP, op.
cit., 2 ss.
13
Questa o dizio e vie e ollo uial e te defi ita o e ìi d o e delle elle do e i ua to di solito le
persone che ne sono portatrici hanno un aspetto longilineo. Considerata come malattia rara, riguarda circa una
neonata su 13000 ed è determinata da un diverso percorso nella differenziazione sessuale. Si parla in proposito
di insensibilità periferica totale agli androgeni, per cui la persona non va incontro alle trasformazioni che di
solito nei maschi sono indotte dagli ormoni, ma presenta un aspetto femminile.
14
Questa condizione, definita anche Deficit dell’enzi a alfa-reduttasi. A. FAUSTO-STERLING, The Five Sexes, Revisited, cit.; ID., Sexing the Body, cit.; G. CALLAHAN, cit.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
Seguendo Linee guida e documenti a carattere prevalentemente medico-sanitario15, accade che
quando il corpo di un neonato manifesta caratteri sessuali ambigui o non definiti viene sottoposto ad
u i te ve to hi u gi o he lo i o du e e t o i a o i p es itti pe l’esse e lassifi ati uale aschio o quale femmina.
In particolare, sono le dimensioni e la forma dei genitali esterni a manifestare la mancata corrisponde za al as hile o al fe
i ile e a fa p ope de e il p ofessio ista edi o pe l’i te ve to hi u gi16
co , cui segue un prolungato trattamento ormonale, che si rende necessario a causa
dell’aspo tazio e degli o ga i he atu al e te p odu o o o o i17. Questi percorsi, variabili a seconda che il bambino sia da ricondurre al sesso femminile o maschile18, sono ritenuti necessari per
o alizza e u o po ite uto o i li ea o gli sta da d pe l’asseg azio e a u o dei due ses19
si .
L’o iettivo i o e del uale i sanitari agiscono è il benessere del minore, perseguito sulla base del
presupposto per cui un corpo non adeguato ai parametri di riferimento renderebbe problematica
l’esiste za della pe so a e e o p o ette e e il e esse e psi o-fisico20.
.1. L’e oluzione dei protocolli di sanitari
Storicamente parlando, i protocolli sanitari di trattamento della condizione intersex hanno visto una
prima fase nella quale dominava la linea di pensiero per cui i bambini nascono con una identità di genere totalmente malleabile21.
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15
Già da decenni, sono state introdotte alcune linee guida sul trattamento della condizione intersex, come ad
esempio, Management of Intersexuality: Guidelines for dealing with individuals with ambiguous genitalia
(1997); Consensus statement on management of intersex disorders (Official Journal of the American Academy
of Pediatric, del 2006); Clinical Guidelines for the Management of Disorders of Sex Development in Childhood
ealizzato dall’IìNA, Asso iazio e di pe so e i te se del No d A e i a, el
6.
16
J. SCHOBER, Ethics and futuristic scientific development concerning genitoplasty, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 293.
17
Gli interventi sui minori intersessuali, infatti, vengono spesso attuati asportando le gonadi che tuttavia
dete i a o la o pleta asse za di p oduzio e o o ale ella pe so a, he vie e os o ligata pe l’i te a
esistenza ad assumere ormoni per via farmaceutica. S.E. SYTSMA The Ethics of Using Dexamethasone to prevent
virilisation of female fetuses, in ID. (ed.), cit., 241. U a volta aggiu ta u ’età adeguata a he f e ue te
l’attivazio e di u pe o so di supporto psicologico per aiutare a comprendere una vicenda certamente
complessa.
18
S.M. CREIGHTON, Adult outcomes of feminizing surgery, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 207 ss.; nello stesso volume L.M. LIAO, Psychology and clinical management of vaginal hypoplasia, 225; S. SYTSMA, The Ethics of Using Dexamethasone to prevent Virilization of Female Fetuses, 241 ss.; T.F. MURPHY, Experiments in gender: Ethics at the
boundaries of Clinical Practice and Research, 139 ss.; E.G. HOWE, Advances in Treating (or not Treating) Intersexed Persons: Understanding Resistance to Change, 115 ss.
19
Cfr. M DIAMOND, H. GLENN BEH, The right to be wrong. Sex and Gender Decisions, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 105
ss.; A. TAMAR-MATTIS, Exceptions to the Rule: Curing the Laws Failure to Protect Intersex Infants, in Berkley Journal of Gender, Law & Justice, 2006, 21, 59-110.
20
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities. Who
should determine the appropriate treatment for an intersex infant?, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 89-90; A. TAMARMATTIS, cit., 59-110.
21
Cos ite eva lo psi ologo Joh Mo ey ei p op i studi avviati a pa ti e dai p i i a i
dello s o so se olo e
app ofo diti fi o agli a i ’9 ; cfr. J. MONEY, Hermaphroditism: recommendations concerning case manage-
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4. I protocolli di cura: la medicalizzazione e gli interventi chirurgici in età precoce
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Alla luce dei drammatici esiti di questo approccio22, a pa ti e dagli a i 9 , so o state ela o ate
nuove linee guida e protocolli alternativi23 orientati a restituire centralità alla persona interessata e
alla sua famiglia quali attori delle scelte necessarie e non differibili.
Ri hia a do la Co ve zio e sui di itti del a i o app ovata dall’Asse lea ge e ale delle Nazio i
u ite el 9 9, i al u i o testi ad ese pio, egli ìtati U iti , la p assi dell’i te ve to hi u gi o
stata abbandonata quando non realmente necessaria per il benessere del minore24, sulla base di studi scientifici che hanno dimostrato il suo negativo impatto in età adulta25 e nella consapevolezza che
il benessere del minore veniva interpretato alla luce delle norme sociali e culturali dominanti, senza
alcuna valutazione realmente agganciata al caso concreto e alle necessità terapeutiche26. All’assu to
pe ui vive e o ge itali a igui o a o ali po te e e il a i o all’ost a is o e alla a gi alità, con il rischio aggiuntivo di un potenziale indebolimento dei legami genitoriali e gravi traumi psicologici, è stato via via contrapposto il negativo impatto, a livello fisico e psicologico, della chirurgia in
età precoce27. La p esa d’atto di o e solta to u a pie a o os e za della questione può aiutare
ge ito i e edi i ell’adotta e s elte o sapevoli ha i t odotto el di attito il te a del o se so informato28, nonché la necessità che ai trattamenti chirurgici sia affiancato un supporto psicologico che
aiuti la persona interessata e i suoi fa ilia i el o p e de e la atu alità 29 della condizione intersessuale. Si è così fatto strada il protocollo che prevede la completa moratoria di tutti i trattamenti
chirurgici non strettamente necessari, da un punto di vista medico, a garantire la salute del bambino,
quanto meno fino a quando non sarà scientificamente accertato che i benefici sono superiori ai rischi
ge e ati dall’i te ve to30. U a volta aggiu ta l’età del o se so e el ispetto della sua autodeter-
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ment, in Journal of clinical endocrinology and metabolism, 4, 1956, 547-556. Ricordano il percorso di ricerca di
Money, A. DOMURAT DREGER, Intersex and Human rights, in S.E. SYTSMA (ed.), cit.,74 ss.; A. TAMAR-MATTIS, cit., 59
ss.
22
T.F. MURPHY, cit., 139 ss.
23
Cfr. M. DIAMOND, H.K. SIGMUNDSON, Management of intersexuality. Guidelines for dealing with persons with
ambiguous genitalia, in Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, 1997, 151, 1046-1050. Cfr. degli stessi
autori, Sex reassignment at birth: long-term review and clinical implications, in Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, 1997, 151, 298. Queste li ee guida e a o di a o izza e l’ide tità sessuale o la vita sessuale adulta e la fertilità, el te tativo di o ie ta e il t atta e to te apeuti o e l’edu azio e te e do o to di
diversi fattori nella scelta del sesso (fenotipo prevalente, cariotipo, eventuale fertilità, funzionalità sessuale, influsso ormonale nella sessualizzazione cerebrale). In esse, si raccomanda la scelta del sesso sulla base della diagnosi, e non sulla base della funzionalità sessuale o della apparenza esteriore.
24
In realtà, vi sono alcuni casi, numericamente limitati in cui è necessario intervenire chirurgicamente con
interventi salva-vita: cfr. A. TAMAR-MATTIS, cit.
25
M. DIAMOND, H.K. SIGMUNDSON, Sex Reassignment at birth, cit., 150, 298-304.
26
A. TAMAR-MATTIS, cit.; G. CALLAHAN, cit.; S.J. KESSLER, Lessons from the Intersexed, New Brunswick, 1998. D.
HERMER, A Moratorium on Intersex Surgeries?, in Law, Science, Identity, and Bioethics at a Crossroads, in
Cardozo Journal of Law and Gender. 2006,13(2), 255-272.
27
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities, cit., 89,
fa ife i e to agli studi dell’American Academy of Pediatrics.
28
V. A. DOMURAT DREGER, cit., 77.
29
ìi utilizza uesta esp essio e el se so he esiste i atu a . I u a p ospettiva più ge e ale, a i si
accompagna la riflessione per cui il dimorfismo sessuale non restituisce la varietà delle persone.
30
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities, cit., 8990; A. TAMAR-MATTIS, cit., 59-110.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
5. La vicenda intersex nel contesto italiano
Co e ella aggio pa te dei paesi, a he i Italia, l’i te ve to hi u gi o di odifi a dei a atte i
sessuali viene ancora effettuato nelle prime settimane di vita del bambino che manifesti una condizione intersex34.
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31
Questa la posizio e dell’asso iazio e di Chi u ghi pediatrici britannica, British Association of Paediatric
Surgeons (BAPS); www.baps.org.uk (ultima consultazione 16/05/2015).
32
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities, cit., 92;
M. BAUER, D. TRUFFER, Human Rights for Hermaphrodites Too!, 2015, Zurich; A. DOMURAT DREGER, cit.; A. TAMARMATTIS, cit., 79. Cfr. anche il recente rapporto della FRA, European Union Agency for Foundamental Rights, The
fundamental rights situation of intersex people, 2015.
33
Cfr. la Risoluzio e del Co siglio d’Eu opa sul di itto all’i teg ità fisi a dei i o i 1952[2013]) che richiama
l’atte zio e degli ìtati el p o uove e i e he i g ado di diffo de e u a più a pia o os e za sulla situazione delle persone intersex, così da garantire che nessuno venga sottoposto a interventi medico-chirurgici di tipo
estetico, non realmente necessari al benessere del minore. La Risoluzione richiama inoltre la necessità di gaa ti e l’i teg ità del orpo del minore, la sua autonomia e autodeterminazione, nonché di prevedere un adeguato supporto alle famiglie di minori intersex. Cfr. anche S. AGIUS, Human rights and intersex people, Council of
Europe, Luxembourg, 2015.
34
A livello semantico, va segnalato il viva e di attito all’i te o dell’attivis o intersex i a l’utilizzo di al u i
te i i. Ad ese pio, vi
o t a ietà all’uso dell’esp essio e i te sessualis o o i te sessualità , i ua to
ite uti utuati dal lessi o dell’asso iazio is o t a sessuale e ispetto ai uali si p efe is e l’utilizzo del
termine intersex o intersesso. Anche la classificazione della condizione intersex uale u ’a o alia del
patrimonio cromosomico o genetico, come Diso di e dello sviluppo sessuale , vie e ifiutata i
uanto
p esuppo e he si t atti di u a o dizio e o
atu ale e da o egge e pe i o du la alla o alità .
Vie e piuttosto p efe ita la lo uzio e Diffe e ziazio e dello sviluppo sessuale , he pa e più adeguata
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minazione, la scelta sul se p o ede e all’i te ve to hi u gi o e o o ale os i essa al a i o,
cui è invece garantito un supporto psicologico.
Accanto a questo, è stato altresì proposto un approccio intermedio che prevede una completa e articolata informativa ai genitori cui è rimessa la discussione sul se procedere al trattamento chirurgico o
o o ale ell’i te esse del i o e. Il osiddetto Middle Ground Approach è strutturato sulla ricerca
di una posizione di compromesso fra il protocollo che rinvia completamente al medico le decisioni, rite uto o ispettoso dei di itti e dell’i te esse del a i o e della sua fa iglia, e uello i e t ato
sulla totale o ato ia, a sua volta ite uto o ispettoso dell’i te esse del i o e, laddove la salute
possa essere garantita agendo in via chirurgica31.
A fronte della scarsità di pronunce e di casi noti, è difficile comprendere se vi sia un indirizzo consolidato della giurisprudenza; in alcuni paesi, è stata evidenziata la tendenza ad intendere la questione
nei termini di tutela dei di itti u a i e o e e essità di ispetta e l’auto o ia de isio ale del i ore, richiamando la Convenzione Onu sui diritti del bambino32, che sarebbe violata dal trattamento
chirurgico in età precoce, in assenza di studi scientifici che attestano un suo maggiore benessere in
età adulta.
A testi o ia za del ilievo del te a, e e te e te, a he il Co siglio d’Eu opa ha app ovato u documento che criticamente si riferisce alle diffuse prassi degli interventi sui bambini intersex, in assenza di necessità e urgenza, ma per ragioni sostanzialmente estetiche33.
115
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Simile prassi è tuttora ampiamente in uso nonostante la recente approvazione, da parte del Comitato
Nazionale per la Bioetica, delle linee guida da seguire nel trattamento dei soggetti medicalmente
considerati come affetti da disturbi della differenziazione sessuale; secondo questo documento, ogni
intervento sul corpo deve essere guidato dal principio del miglior interesse del bambino, evitando
mutilazioni non medicalmente necessarie e urgenti e informando adeguatamente la famiglia35.
Da u pu to di vista fo ale, l’i te ve to di o ezio e sui a atte i sessuali
otivato dalla e essi36
tà di p o ede e, su ito dopo la as ita, all’att i uzio e di u sesso a ag afi o e di un nome ad esso
corrispondente37.
No
i ve e o side ata la possi ilità he, a he a f o te dell’a iguità ell’appa ato ge itale e
della non piena corrispondenza ad uno standard assunto a riferimento38, il minore possa essere asseg ato ad u sesso a ag afi o, evita do os l’i te vento chirurgico.
U ele e to iti o da seg ala e l’asse za di pu tuale o ito aggio delle p assi di i te ve i e hirurgicamente sui minori intersessuali e di una loro rappresentazione statistica39: la mancanza di dati
rende così invisibile il fenomeno e (di fatto) impossibili eventuali azioni di rivalsa da parte di chi si ritenga vittima di malpractice medica o di interventi non necessari. Peraltro, in caso di volontà di modifi a e la p op ia asseg azio e sessuale, u a volta aggiu ta l’età adulta, le pe sone intersex si ritrovano a dover utilizzare la normativa prevista per il caso di riassegnazione del sesso anatomico e anagrafico, percorso temporalmente lungo, giuridicamente ed emotivamente complesso e dagli esiti
tutt’alt o he s o tati40.
Sia pure a fronte di prassi più che consolidate, a quanto consta, sono noti solo due casi che hanno riguardato il risarcimento del danno41 e la nomina di un curatore speciale per attuare le pratiche chi-
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alla peculiarità di una condizione personale; sul punto si vedano le riflessioni contenute in M. BALOCCHI (a
cura di), L’intersessualità nella società italiana, cit.
35
COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, I disturbi della differenziazione sessuale, parere del 25.2.2010, disponibile
in www.governo.it/bioetica/pareri.html (ultima consultazione 16/05/2015).
36
In Italia, infatti, il D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (art. 30) richiede che la dichiarazione di nascita sia fatta
entro tre giorni dal pa to p esso la Di ezio e ìa ita ia dell’Ospedale o asa di u a dove avve uto il pa to o
e t o die i gio i p esso l’Uffi io di ìtato Civile del Co u e ove il i o
ato o del o u e di eside za dei
genitori. Nella dichiarazione è richiesta anche espli ita e te l’i di azio e del sesso del a i o a t. 9 .
37
I fatti, se o do l’a t. , D.P.R. ove
e
, . 96, «il o e i posto al a i o deve o ispo de e al
sesso»; L. TRUCCO, Introduzione allo studio dell’identità individuale nell’ordina ento costituzionale italiano,
Torino, 2004, 133 ss.
38
È interessante segnalare che nelle schede in uso in alcune strutture sanitarie è invece presente la possibilità
di i di a e l’eve tuale a iguità dei ge itali. ìe i fatti due so o le aselle pe l’assegnazione del sesso
a ag afi o as hile/fe
i ile , t e so o le opzio i i a la des izio e dei ge itali ossia ge itali as hili,
femminili, ambigui).
39
ìi t atta pe alt o di u p o le a o li itato all’Italia: E. SCHNEIDER, cit.
40
In Italia, la possibilità di modificare il proprio sesso è riconosciuta dalla legge 164 del 1982, che però è stata
introdotta per regolare la condizione delle persone transessuali. La sua applicazione anche ai casi di
intersessualismo obbligherebbe la persona a doversi sottopo e all’a ti olato pe o so deli eato i pa te dalla
legge, in parte dalle prassi. Sul tema, sia consentito rinviare al mio Diritti in transito, Milano, 2013. Poco seguita
è invece la possibilità di percorrere la via ex Titolo XI - Delle procedure giudiziali di rettificazione relative agli atti
dello stato civile e delle correzioni, dell’O di a e to dello ìtato Civile, o e u e o e ell’asseg azio e del
sesso alla nascita.
41
Trib. Bari, sez. III, 25.06.2012, n. 2295, in Banca dati DeJure, per responsabilità professionale da erronea
diagnosi alla nascita.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
i o e, a f o te dell’i e zia dei
6. La di ensione pro le atica dell’intersessualità: il carattere contradditorio delle cure
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In una vicenda dai confini incerti, numerosi sono gli aspetti che generano questioni problematiche.
Tra questi vi è in primo luogo, il fatto che gli interventi praticati non sono affatto risolutivi della condizione, rectius, della patologia , da ui affetta la pe so a.
Una persona intersessuale, infatti, resta tale per tutta la propria esistenza, anche una volta sottoposta ad interventi di correzione dei caratteri sessuali.
Infatti, sono soltanto i genitali a poter essere modificati chirurgicamente (peraltro spesso solo in parte , a f o te dell’i possi ilità, se o do le attuali a quisizioni scientifiche, di modificare il patrimonio
genetico e cromosomico della persona.
No di e o, o pu e to o divide si la o lusio e pe ui l’i te ve to sa e e se p e e o unque una tappa verso la ricerca del benessere personale. Gli studi svolti su persone intersessuali sottoposte a chirurgia precoce in contesti in cui il tema è oggetto di ampio dibattito hanno infatti messo
i lu e gli effetti g avosi pe l’i te a esiste za43. In ragione degli interventi subiti in tenera età, le persone intersessuali divengono perennemente oggetto di una medicalizzazione forzata che va dalla chirurgia – periodicamente necessaria per adeguare il corpo alla sua fisiologica crescita – ai trattamenti
ormonali, a percorsi di supporto psicologico per affiancare la persona nel comprendere la vicenda
che la vede protagonista.
Il a atte e o t addito io delle u e dell’i te sessualità, du ue, appa e dupli e i ua to, da u
lato, la patologia o ti ua a a atte izza e la pe so a e, dall’alt o, gli i te ve ti edi o-sanitari possono persino giungere a peggiorare il suo stato di benessere fisico e psicologico.
Sorge così la domanda sul perché, a fronte di dati inequivocabili circa il dannoso effetto dei trattamenti medico- hi u gi i, si p osegua ell’agi e su o pi di inori (spesso neonati nei loro primi giorni
di vita) che ovviamente non possono essere coinvolti nel processo decisionale.
La risposta sembra individuabile nella necessità di ricondurre il corpo entro standard di presunta
o alità sulla ase del p esupposto, acriticamente assunto ma non dimostrato44, per cui diversamente ne sarebbe compromesso il benessere. Tuttavia, non viene realmente indagato quale sia il
concreto interesse del minore e sulla base di quali criteri e parametri venga valutato45, prospettiva
che avvicina la questione al bisogno di rispettare modelli e paradigmi di riferimento.
I fatti, la stessa valutazio e dell’adeguatezza o e o di u o po agli sta da d assu ti a ife i e to
appare cristallizzata da norme di natura essenzialmente sociale in quanto presuppone una valutazioe agga iata a pa a et i va ia ili a se o da della so ietà e dell’epo a di ife i e to. I olt e, olto
42
Trib. min. Potenza, 29.7.1993, in Riv. it. med. leg., 1996, 299, e in Dir. fam. e pers., 1993, 1199. Per un
commento, cfr. G. MASTRANGELO, V. SELLAROLI, Trattamento medico e lesioni dell'integrità fisica del minore,
Milano, 2014, 128-129.
43
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities, cit., 8990; A. TAMAR-MATTIS, cit.
44
G. CALLAHAN, cit.
45
E.K. FEDER, cit.
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Essays
u gi he e te apeuti he e essa ie all’adegua e to del o po del
ge ito i ell’i te ve i e hirurgicamente sul minore42.
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Anna Lorenzetti
Essays
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a e tuata appa e l’i flue za di u a visio e fo zata e te di oto i a ed ete o o ativa: p esupposto implicito è il dimorfismo sessuale secondo cui tutte le persone possono essere classificate come
as hio o fe
i a, pu e a f o te dell’i e uivo a ile dato pe ui esisto o delle e ezio i46; del pari,
sono presupposti un orientamento sessuale eterosessuale47 e una univocità di ambizioni personali
secondo quanto è considerato come socialmente appropriato per un sesso48. Da ultimo, a influenzare
la visione di un corpo intersex come necessariamente bisognoso di un adeguamento è quella definita
iti a e te o e eto i a della u a 49, per cui un corpo difforme dagli standard renderebbe una
persona infelice e meno realizzata con una compromissione del benessere psico-sociale.
. L’incertezza del diritto e il diritto di decidere fra uestioni mediche e paradigmi sociali
Anche il dub io i a i soggetti ui i hiesto di de ide e l’an dell’i te ve to hi u gi o appa e de so
di questioni problematiche.
Posto che la questione riguarda minori incapaci di intendere e di volere, spesso neonati, la scelta potrebbe ricadere sui medici, sui familiari, ma anche sui giudici eventualmente invocati per dirimere
una controversia in caso di disaccordo.
L’attuale p assi vede i p ofessio isti sa ita i, he a alizza o il aso ei te i i di patologia, assu e e
un ruolo centrale e primario. Tuttavia, va te uto i adeguata o side azio e l’aspetto pe ui essi
o si i te oga o sul p osieguo dell’esiste za della pe so a i te sessuale, sulla qualità di vita che
questi verranno a spe i e ta e a seguito dell’i te ve to, li ita dosi a o egge e l’i pe fezione di
un corpo rispetto a ciò che ritengono un modello ideale di riferimento, verso il quale dunque tendere.
Il rischio di assegnare la facoltà di scelta ai genitori emerge nella misura in cui essi sembrano essere
influenzati e condizionati da una sorta di pe sie o do i a te , dalla o vi zio e aggio e te diffusa i u e to o testo e i u dato o e to sto i o, ell’i te p eta e l’i te esse del i o e o e
oi ide te o la pe fezio e del o po. ìi p ofila du ue u a violazio e dell’i teg ità fisica, non
solo senza alcuna verifica concreta quanto alle reali necessità terapeutiche, ma anche senza garanzia
alcuna sul futuro benessere e sul suo sviluppo come persona50.
Analoghe perplessità seguono alla possibilità che a decidere siano giudici, che peraltro spesso possono non avere le sufficienti conoscenze mediche per operare una scelta consapevole che tenga conto
di tutte le variabili presenti.
46
A. FAUSTO-STERLING, The Five Sexes, Revisited, cit.; ID., Sexing the Body, cit.; C. AINSWORTH, cit.
Ad ese pio, el valuta e l’adeguatezza dei ge itali, si p e de i esa e la p ofo dità della avità vagi ale pe
le femmine o la capacità di penetrazione per i maschi, senza considerare che il riferimento implicito è a una
relazione di tipo eterosessuale. Cfr. A. DOMURAT DREGER, cit., 75; A. TAMAR-MATTIS, cit., 82. Su questo profilo, si
vedano le puntuali riflessioni di L. BERNINI, Eterosessualità obbligatoria ed esistenza intersex, Intervento al
convegno Pluralità identitarie, tra bioetica e biodiritto, svoltosi a Napoli, 28-29 novembre 2014, organizzato dal
Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica, in www.intersexioni.it (ultima consultazione 16/05/2015).
48
Così, per valutare se un corpo sia o meno adeguato per essere classificato come femminile, si valuta la
capacità riproduttiva senza considerare che la persona, crescendo, potrebbe non desiderare affatto la
maternità. Cfr. A. DOMURAT DREGER, cit., 75.
49
Così riporta il titolo del lavoro di J.D. HESTER, Intersex and the rhetorics of healing, cit.
50
A. TAMAR-MATTIS, cit., 9 ss. pa la i p oposito di u
o flitto di i te essi .
47
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Frontiere del corpo, frontiere del diritto
8. La necessità di nor alizzare i corpi: uali diritti e interessi contrapposti?
Le vicende illustrate sono paradigmatiche del ruolo potenzialmente spiegabile dalla medicina in ambito giuridico e aiutano a focalizzare la nozione di salute, quale diritto costituzionalmente tutelato,
per come ne risulta trasformata.
Se infatti si assumesse la vicenda dell’i te sessualis o pe valuta e el suo o plesso il di itto alla
salute della persona coinvolta, bisognerebbe ammettere come un diritto costituzionale di valore primario54 ve ga su o di ato e uasi piegato i o e del aggiu gi e to di a o i e sta dard astratta e te p efissati, di u a so ta di pa adig a di o alità he des ive, a i ual he odo p es ive 55, il dimorfismo sessuale.
51
Cos statuis e l’a t. , D.P.R. 96/
.
Nel contesto italiano, cfr. art. 30, D.P.R. 396/2000.
53
Mette in evidenza la difficoltà di pervenire a risultati definitivi, in assenza di dati certi, K.J. ZUCKER, Gender
identity and Intersexuality, in S.E. SYTSMA (ed.), cit., 165 ss.
54
ìte i ata la lette atu a sull’a t.
Cost. Inter alia, cfr. B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in
Dir. Soc., 1983, I, 52 ss.; ID., La decisione sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti
sociali, Milano, 2001; M. LUCIANI, Salute (Diritto alla salute –Diritto costituzionale), in Enc. giur. Treccani, Roma,
1991, XXVII, 5; C. TRIPODINA, Art. 32, in S. BARTOLE, R. BIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione,
Padova, 2008, 325; Ricostruisce la salute come «fascio di diritti» L. PRINCIPATO, Il diritto costituzionale alla
salute: molteplici facoltà più o meno disponibili da parte del legislatore o differenti situazioni giuridiche
soggettive?, in Giur. cost., 1999, II, 2513; M. LUCIANI, Salute I) Diritto alla salute, cit., 5 ss.; C. SALAZAR, Dal
riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Torino, 2000; D. MORANA, la salute nella Costituzione italiana.
Profili sistematici, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, Milano, Giuffrè, 2002, 50 ss.; V.
DURANTE, La salute come diritto della persona, in S. CANESTRARI, G. FERRANDO, C.M. MAZZONI, S. RODOTÀ, P. ZATTI (a
cura di), Il governo del corpo, III, Trattato di Biodiritto, diretto da Rodotà-Zatti, Milano, 2011, 589 ss.; C. BOTTARI,
Il diritto alla tutela della salute, in R. NANIA, P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, Torino, III, 2006, 1104; L.
FERRARO, Transessualismo e Costituzione: i diritti fondamentali in una lettura comparata, Rass. Dir. pubbl. comp.
eur., 2013, 1.
55
Su questo punto, cfr. L. BERNINI, Maschio e Femmina Dio li creò!?, cit.
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52
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Essays
No vie e i ve e adeguata e te esplo ata l’ulte io e possi ilità he a de ide e sia il a i o, u a
volta raggiu ta l’età della agio e, segue do i più e e ti p oto olli spe i e tati i al u i o testi,
aspetto che però si scontra con la necessità, alla nascita, di assegnare un sesso, a cui in molti ordinamenti, come quello italiano ad esempio, deve corrispondere il nome51.
Pe alt o, isulta g avido di o segue ze l’o ligo di p o ede e alla di hia azio e del sesso e del o e
entro un lasso di tempo assai contenuto dalla nascita52. Se per la maggior parte delle persone questa
operazione non si presenta come parti ola e te p o le ati a, posta l’i dis ussa asseg azio e ad
uno dei due sessi convenzionalmente nominati come maschile e come femminile, nel caso di persone
i te sessuali la o a i po e u a s elta del sesso a ag afi o a he laddove uesto o sia possibile in termini univoci.
Nell’attesa he si giu ga ad ela o a e u a soluzio e e o i vasiva di uella attual e te i valsa ella
prassi53, il best interest of the child dovrebbe far propendere per una necessaria condivisione delle
scelte fra genitori, medici e autorità giudiziaria eventualmente invocata, suggerendo la sospensione
di i te ve ti hi u gi i o salva vita , a o fi alità es lusiva e te esteti he.
119
Anna Lorenzetti
Essays
120
56
Pe alt o, va i hia ata la posizio e di hi, a livello s ie tifi o, ha sottoli eato la e essità di o pe e l’asse
he lega o etti uali a o alia, a o alità, patologia, i ua to l’a o alia u a o dizio e he si ve ifica in
misura percentualmente minore, senza necessariamente dover essere considerata patologica. Cfr. G.
CANGUILHEM, Il normale e il patologico, Einaudi, 1998.
57
Per un approfondimento, si rinvia al par. 6 del presente scritto.
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Il ife i e to ad u a o dizio e di normalità pu i fatti ave e u a fo te o otazio e su iettiva,
tale per cui, ad esempio nel caso di specie, la condizione intersex
o ale pe hi la stia vive do
ed
e ta e te atu ale el se so he u a delle va ia ti o al e te p ese ti ell’esse e
umano56.
Al contrario, assumere il concetto di normalità come un dato statisti o i o e del uale sa zio ae gli s osta e ti o i te ve ti i vasivi e i eve si ili ta to più su o pi di i o i, fa e e uasi
modificare la stessa nozione di persona che risulterebbe appiattita nella sua unica dimensione corporea.
Occorre mettere in rilievo come anche la funzione sessuale del corpo di cui si discute viene ad assumere un peso forse eccessivo nel delineare i confini della vicenda, in quanto su di essa è tarata
l’adeguatezza ispetto ai pa a et i di o alità 57. Ciò appare significativo in due prospettive, da un
lato i ua to s hia ia la pe so a ella sua di e sio e sessuale, valuta do la sua o alità sulla ase della apa ità di svolge e u a fu zio e sessuale; d’alt o a to, p esuppo e a iti a e te he
compromettere la funzione sessuale pregiudichi irrimediabilmente anche il benessere individuale nel
suo insieme.
In generale, può dubitarsi della compatibilità di simile approccio rispetto alla tutela costituzionale offe ta all’i dividuo e ispetto al p i ipio pe so alista che la Costituzione fa proprio, nella misura in cui
dete i a u a so ta di oggettivizzazio e della pe so a.
In maniera più solida, la questione dovrebbe trovare un appiglio giuridico nella tutela della salute della persona la cui copertura costituzionale, ex art. 32 Cost., non dovrebbe ammettere un asservimento
ad astratti canoni di normalità.
Il criterio guida dovrebbe così essere il benessere del minore, inteso non soltanto in termini di genei a tutela della sua salute , a a he i u p ofilo o reto quale integrità del corpo e non compromissione della sua vita sociale e relazionale, attuale e futura, in nome del perseguimento di
astratti modelli di riferimento.
A dove esse e o side ata poi l’azio e dei p i ipi di uguaglia za e pa i dig ità sociale, ex artt. 2 e
3 Cost., che certamente non ammettono una disparità di trattamento e una compromissione del pieno sviluppo della personalità in ragione di una condizione personale.
Dove dosi valuta e l’i patto sul godi e to dei di itti e delle li e tà costituzionalmente garantite, si
può certamente ritenere che la subordinazione individuale rispetto a pre-assunti canoni di normalità,
non sia corrispondente agli obiettivi della Costituzione.
Ad essere chiamato in causa dallo stravolgimento che la vicenda dell’intersex ha messo in evidenza
sull’i pia to assiologi o dei di itti ostituzio ali, pe alt o lo stesso appo to f a ìtato e i dividuo,
ella isu a i ui uest’ulti o si it ova ad esse e uasi olo izzato da soggetti te zi e da hi esercita l’auto ità pu li a ope ato i sa ita i, a a he giudi i su s elte he igua da o il p op io o po
e l’aspetto fo se più i ti o della o po eità.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
8.1. Quali possibili vie di tutela?
La conclusione che è possibile trarre osservando la vicenda delle persone intersessuali è che il diritto
ammette la prevalenza della regola astratta così come pensata in conformità ai criteri di generalità e
astrattezza, rispetto alla vicenda individuale, pure quando ciò non appaia plausibile.
Vale allo a la pe a di fo alizza e l’atte zio e sulle diverse opzioni che si potrebbero ipotizzare per
po e u a gi e ad u ’azio e p ofo da e te i vasiva pe l’i ti ità dei o pi oi volti.
In prima battuta, è necessario mettere a fuoco la possibilità di modificare le prassi attualmente invalse nel contesto medico-sa ita io he a o a oggi o se to o e a zi sugge is o o 60 l’adegua e to
dei ge itali agli sta da d ite uti o ali pe u o po fe
i ile o as hile. L’aspetto pe ui la
maggior parte degli interventi vengono praticati nella totale inconsapevolezza della questione, con il
supposto obiettivo del benessere della persona ma spesso prescindendone61, rende fondamentale
una maggiore attenzione nel costruire pratiche e protocolli medici che, a legislazione invariata, potrebbero costruire una dimensione di maggiore rispetto per la persona del cui corpo si discute. Il professionista sanitario dovrebbe porre le proprie conoscenze tecnico-s ie tifi he a se vizio del enessere individuale, verificando nel concreto la o meglio le soluzioni più adeguate al caso. Un limite
minimo dovrebbe essere una informativa piena ai genitori (ed eventualmente alla persona interessata, a se o da dell’età , os da po li ella o dizio e di de ide e o pie a os ie za e o sapevolezza delle o segue ze dell’i te ve to.
Andrebbe e ta e te i posta l’aste sio e da i te ve ti hi u gi i p ati ati solta to pe agio i esteti he ad ese pio, fu zio ali alla ealizzazio e di u appa ato ge itale all’appa e za o ale e
dunque non strettamente necessari al benessere fisico e per finalità terapeutiche, posto che – come
mostrato dagli studi scientifici in materia62 – essi p odu o o effetti egativi sull’esiste za della perso a. Quest’ulti a pot e e os ia uista e u a dovuta e t alità ell’a ito di u pe o so i ui
limiti e confini risultano ancora sfuggenti a causa della silenziosa azione di prassi granitiche.
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58
A margine, può essere inte essa te ota e he l’aspetto pe ui l’i te ve to hi u gi o de iso da pe so e terze, o di etta e te soggetti p otago isti della vi e da, t a ia u a li ea di dis o ti uità ispetto alle vi e de
delle persone transessuali il cui percorso di conversio e e di passaggio da u sesso all’alt o p e de il via dalla volontà di adeguare il proprio corpo alla psiche, e dunque al genere cui si sente di appartenere.
59
P. ZATTI, Maschere del diritto, volti della vita, Milano, 2009, 90; S. RODOTA, Dal soggetto alla persona, Napoli,
2007, 32.
60
Ad esempio, si veda la brochure I.S.C., Opuscolo informativo, ealizzata dall’Ospedale ìa Raffaele di Mila o e
patrocinata da alcune società di medicina (Società Italiana Pediatria, SIP; Società Italiana Pediatria Preventiva e
sociale, SIPPS; Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, SIEDP; Società Italiana Medicina
dell’Adoles e za, ìIMA i ui si sottoli ea l’i po ta za di o egge e hi u gi a e te l’esteti a dei ge itali el
primo anno di vita del minore (p. 16).
61
In realtà, vi sono alcuni casi, numericamente limitati, in cui è necessario intervenire chirurgicamente con
interventi salva-vita: cfr. A. TAMAR-MATTIS, cit.
62
J.A. GREENBERG, International legal developments protecting the autonomy rights of sexual minorities, cit., 92;
A. DOMURAT DREGER, cit.; A. TAMAR-MATTIS, cit., 79.
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Essays
Il margine di decisione che gravita attorno a questi corpi, oggi riconosciuto a soggetti terzi (genitori,
sanitari, giudici)58, dovrebbe forse essere protetto da un manto di indecidibilità che si tradurrebbe in
una forma di tutela59.
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Essays
122
La definizione di limiti e confini certi all’i te ve to sul o po si po e uale p etesa i i ale
ell’o izzo te ostituzio ale deli eato dal ost o o di a e to, a he el verificare la possibilità di
posporre ogni decisione chirurgica ad un periodo della vita in cui la persona sia in grado di esprimere
consapevolmente la propria volontà63.
No aste e si dall’i te ve to hi u gi o sui a atte i sessuali i es he e e u o to circuito del siste a giu idi o e dell’o di a e to ostituzio ale, i ui p esupposti e o iettivi ve e e o i ve titi,
quasi finalizzando la persona e la sua vicenda personale ad un adeguamento (comunque impossibile
in alcuni casi) alla regola e non viceversa.
I uest’otti a, o se
a i diffe e te l’aspetto pe ui le pe so e vivo o spesso i o sapevol ente la condizione intersessuale che, in qualche modo, attesta inequivocabilmente come, non di rado,
gli interventi chirurgici sono effettuati a prescinde e dalla e essità e dall’o iettivo del e esse e64.
Un ulteriore passaggio in chiave di rafforzamento delle tutele potrebbe essere il riconsiderare lo stesso i uad a e to dell’i te sessualità t a le patologie, t a le si d o i, pe le uali ve go o i posti,
sempre e co u ue, l’i te ve to hi u gi o e u pe o so edi o-sanitario.
L’aspetto aggio e te o t addito io della vi e da intersex è che gli interventi vengono praticati
senza alcuna reale analisi della necessità ai fini del benessere del minore, questione che pone in prio pia o il te a di ga a ti e u a tutela all’esse e u a o o e persona portatrice di proprie caratteristiche, non come oggetto di un percorso di normalizzazione, oltretutto deciso da terzi.
Certamente, una protezione più solida potre e de iva e dall’azio e affo zata dei p i ipi ostituzio ali he tutela o la salute della pe so a, o h l’uguaglia za e la pa i dig ità so iale.
Recuperare la dimensione che chiama in causa la salute come valore costituzionale e come principio
ell’analisi di casi che riguardano il corpo consentirebbe senza dubbio di ricollocare la persona al centro della questione e dare ad essa la priorità che la Costituzione, attraverso il riconoscimento del
principio personalista, le assegna.
In parallelo, andrebbe alt es valo izzata l’autodete i azio e he, t atta dosi di u
i o e, hia a
e essa ia e te i ausa il o se so i fo ato dei ge ito i; d’alt o a to, devo o adeguata e te
essere bilanciati rischi e benefici del trattamento chirurgico, rivalutando la possibilità di astenersi da
interventi irreversibili che precluderebbero future scelte del minore in senso diverso. Proprio in questo senso si è orientata la Corte costituzionale della Colombia su un caso in cui i medici, pure con il
consenso dei genitori ma senza alcuna decisione da parte di un giudice, si rifiutavano di procedere ad
un intervento su un bambino intersex: la soluzione di compromesso ha chiesto ai genitori di prestare
il o se so all’ope azio e i fo a s itta e pe u pe iodo di te po sufficientemente lungo da far
Così ritiene anche il Comitato nazionale di Bioetica, infatti, «tali interventi andrebbero attuati solo in
condizioni di urgenza, essendo preferibile attendere che il soggetto raggiunga una maturazione che consenta di
esprimere il consenso)», valorizzando gli aspetti di colloquio e supporto psicologico alla famiglia. COMITATO
NAZIONALE PER LA BIOETICA, I disturbi della differenziazione sessuale, cit.
64
Infatti, la condizione intersessuale viene diagnosticata al momento della nascita soltanto quando si esprima
come ambiguità dei genitali esterni, mentre spesso non è immediatamente percepita quando riguardi il
patrimonio cromosomico o i genitali interni. In questo caso, emerge di norma durante la pubertà o in occasione
di esami diagnostici di altro tipo, senza che la persona ne abbia mai avuto percezione. G. CALLAHAN, cit.; S.E.
SYTSMA, cit.
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Frontiere del corpo, frontiere del diritto
8.2. Quali possibili termini del bilanciamento?
Nelle decisioni sul se intervenire chirurgicamente nei casi di intersessualità, è fondamentale la corretta i dividuazio e dell’i te esse o t apposto, i sede di ila ia e to al e esse e della pe so a,
potendo questo orienta e la de isio e i u se so o ell’alt o68.
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Corte costituzionale della Colombia, 12 maggio 1999, no. SU-337/99, pubblicata in P. CURRAH, R.M. JUANG, S.
PRICE MINTER, Transgender rights, Minnesota, 2006, 122 ss., con un commento di M. HOLMES, Deciding fate or
developing autonomy? Intersex childrend and the Colombian Constitutional court, 102 ss.; sullo stesso tema,
sentenza 2 agosto 1999, no. T-551/00.
66
V. la e e te legge altese u i ata Gender Identity, Gender Expression and Sex Characteristics Act
(GIGESC
ACT
No.
XI
of
,
. .
,
dispo i ile
all’i di izzo
http://www.parlament.mt/billdetails?bid=494&l=1&legcat=13, ultimo accesso 25/05/2015) che vieta la riassegnazione sessuale e ogni tipo di intervento chirurgico sui caratteri sessuali di un minore, qualora possa essere
i viato fi o all’età del o senso informato (par. 15). M. TRAVIS, Accomodating Intersexuality in European Antidiscrimination Law, in European Law Journal: Review of European Law in Context, 2014. Soltanto in circostanze
e ezio ali l’i te ve to pu esse e auto izzato i p ese za del consenso da parte di un organismo interdisciplia e di o i a i iste iale e delle pe so e he ese ita o l’auto ità ge ito iale o del u ato e del i o e, ualo a uest’ulti o o i g ado di esp i e e il o se so. Tuttavia, vie e spe ifi ato he og i i tervento guidato
da fattori sociali si pone in contrasto con il testo di legge.
67
A.C. 246; A.S. 392; A.S. 405, proposte di modifica alla legge in materia di cambiamento di sesso (l. 164/1982),
depositate nel corso della XVII legislatura («Norme in materia di odifi azio e dell’att i uzio e di sesso» , he
prevedono la moratoria completa per gli interventi chirurgici, fatte salve esigenze di salute urgenti.
L’app ovazio e di u a si ile o ativa appo te e e u si u o e efi io alla salute delle pe so e i tersessuali
che non verrebbero più sottoposte a trattamenti irreversibili e invasivi, se non realmente necessari per il loro
benessere.
68
Cfr. M DIAMOND, H. GLENN BEH, cit., 105 ss.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
supporre che avessero correttamente compreso la situazione) e dopo accurate informazioni
sull’i te ve to, sulle alte ative, sui is hi e sop attutto o il e essa io supporto psicologico65.
Un approccio più cauto condurrebbe altresì a prescindere dal rispetto di generici e pre-assunti canoni
di normalità che, se validi per la maggioranza della popolazione, possono invece risultare irragionevoli per alcuni individui.
U p ofi uo o t i uto pot e e poi e ta e te giu ge e dall’i troduzione di una normativa specifia he i
etta ell’o di a e to giu idi o u a o pleta o ato ia degli i te ve ti hi u gi i o ecessari per le persone intersessuali. Questa soluzione – sperimentata di recente in un altro paese66 –
è contenuta in una p oposta di legge depositata ell’attuale legislatu a a o a o a ale da izzata67.
Il Comitato nazionale di Bioetica ha suggerito di integrare la normativa che regola la dichiarazione del
sesso alla nascita con «u a a otazio e ise vata, fo data su igorosa e completa certificazione
medica della patologia di cui soffre il neonato, così da consentire in seguito – se necessario – una rettifi azio e dell’i di azio e a ag afi a att ave so u a p o edu a se plifi ata» rispetto a quella prevista in caso di transessualismo dalla l. 164/1982. Questa soluzione però andrebbe guardata con cautela, i ua to p esta il fia o alla iti a di stig atizza e, a a e o u seg o di diffe e za, e implicitamente di disvalore, le persone intersessuali.
123
Anna Lorenzetti
Essays
124
In primo luogo, va distinta la situazione in cui protagonista della vicenda sia una persona di maggiore
età. I fatti, u a volta ve ifi ata l’adeguatezza del o se so all’i te ve to edi o, la s elta di o eggere il prop io o po sa e e ga a tita dall’autodete i azio e.
Qualora invece protagonista della vicenda sia un minore, con difficoltà possono essere individuate
contrapposte posizioni dotate di copertura costituzionale, posto che tali non sembrano essere né
l’i te esse dei ge ito i ad u a asseg azio e u ivo a del p op io figlio ad u o dei due sessi,
l’i te esse dello ìtato ad u a igida pa tizio e i a ia M/F as hio/fe
i a,
da ulti o, la ertezza del sistema e dei rapporti giuridici. Entrambe queste posizioni sembrano avere un carattere reessivo ispetto alla salute della pe so a he sa e e i eso a il e te o p o essa dall’i te ve to
hi u gi o, os o e ua to al di itto all’autodete i azio e e all’i teg ità del o po della pe so a
coinvolta.
Pe alt o, va de isa e te s o giu ata o ta to la p eassu zio e della e essità e dell’esige za di
una ascrizione certa e univoca ad uno dei due sessi – comunque messa in discussione in alcuni ordinamenti69 (e dunque astrattamente possibile) – quanto piuttosto la corrispondenza certa e univoca
fra caratteri sessuali e assegnazione del sesso anagrafico come valori dotati di copertura costituzionale e prevalenti, ex se, sull’i te esse della pe so a oi volta.
Non può non scorgersi un paradosso quanto al fatto he l’as izio e ad u a delle atego ie sessuali
convenzionalmente nominate come maschio o femmina è richiesta e imposta anche quando appaia
evidente che non si tratti di una regola validamente applicabile per tutti.
8.3. La via della cedevolezza delle regole
La vicenda delle persone intersessuali ha mostrato la forza e la pervasività delle regole plasmate sul
di o fis o sessuale he fo gia l’i te o o di a e to e he, i pli ita e te o espli ita e te, vie e
interpretato presupponendolo come unica possibilità al punto da non ammettere soluzioni alternative neppure quando si configurino esiti irragionevoli.
La f izio e ispetto ad u a evo ata p evale za del di itto se o do atu a , he ta to peso ha elle
questioni che riguardano modelli e stili di vita divergenti rispetto a quello fondato sul binomio
maschio/femmina, omosessuale/eterosessuale, e e ge ella isu a i
ui l’i te sessualità
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Infatti, solo alcuni ordinamenti consentono di apporre una terza dicitura, oltre alla M o alla F. Ad esempio,
l’o di a e to tedes o, dal ove
e
, o se te di i di a e la dizio e del sesso i e to Gesetz zür
Änderung personenstandsrechtilicher Vorschriften – Personenstandsrecht- Änderungsgesetz – PStRÄndG) che
ha modificato a he l’a t.
della legge sullo stato delle pe so e PStG – Personenstandsgesetz). Per il testo
della
legge:
www.bgbl.de/banzxaver/bgbl/start.xav?startbk=Bundesanzeiger_BGBl&jumpTo=bgbl113s1122.pdf,
ultimo
accesso 23/04/2015, mentre per il testo del PStG, come modificato: www.gesetze-iminternet.de/bundesrecht/pstg/gesamt.pdf, ultimo accesso 16/05/2015. Peraltro, questa soluzione legislativa
stata ite uta stig atizza te e fo te e te iti ata, i
ua to la pe so a vie e o side ata alt o
ispetto alla o a app ese tata dal i a is o sessuale pe ui og i i dividuo è maschio o femmina e
i pli ita e te spi ta ve so u a o alizzazio e. In Australia, una interessante pronuncia della High Court
del 2 aprile 2014 (caso NSW Registrar of Births, Deaths and Marriages v. Norrie) che ha riconosciuto la
possibilità di esse e lassifi ati o e non-specific : il Gove o aust alia o aveva app ovato u do u e to a
riguardo – le Guidelines on the Recognition of Sex and Gender – già nel luglio 2013.
Frontiere del corpo, frontiere del diritto
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70
G.U. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario secondo l’art. , co. , cost., al
principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, in Dir. pubb., 2008, 109; S. TORDINI CAGLI, Principio di
autodeter inazione e consenso dell’avente diritto, Bologna, 2008; S. MANGIAMELI, Autodeterminazione: Diritto
di spessore costituzionale?, in Teoria del diritto e dello Stato, 2009, 264.
71
Così, circa la questione transessuale, cfr. Corte cost. 161/1985. Sul tema cfr. F. PIZZOLATO, Il principio
costituzionale di fraternità. Itinerario di una ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Roma, 2012; ID., A
proposito di fraternità cristiana e fraternità giuridica, in AA.VV. (a cura di), Scritti in onore di Angelo Mattioni,
Milano, 2011, 541-55; ID., Dal personalismo alla fraternità: fondamenti e condizioni per una solidarietà
pubblica, in A. MARZANATI, A. MATTIONI (a cura di), La fraternità come principio del diritto pubblico, Roma, 2007,
45-60; ID., Appunti sul principio di fraternità nell’ordina ento giuridico italiano, in Rivista Internazionale dei
diritti dell’uo o, 2001, 745-806; I. MASSA PINTO, Costituzione e fraternità. Una teoria della fraternità
conflittuale: co e se fossi o fratelli, Napoli, 2011; A. APOSTOLI, La svalutazione del principio di solidarietà.
Crisi di un valore fondamentale per la democrazia, Milano, 2012.
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Essays
e ta e te u a o dizio e atu ale , el se so he esiste i atu a, se za he i pe alt o imponga
l’aste sio e da i te venti medico-chirurgici che certamente sono innaturali.
Di rimando, emerge un secondo interrogativo circa la compatibilità costituzionale di soluzioni che, in
o e dell’appli azio e di egole i t odotte e pe sate pe olo o he posso o esse e u ivo a e te
as itti all’u o o all’alt o sesso, ve go o estese a he a hi o vi possa ie t a e pe p op ie a atteristiche, collocandoli in una posizione deteriore.
Dati simili spunti, sarebbe interessante interrogarsi circa il rilievo astrattamente riconoscibile alla
te uta delle egole i postate sulla e essità di asseg a e u sesso e sop attutto sulla u ivo a orispo de za f a asseg azio e a ag afi a ed este io ità dei ge itali, egole he ha o ost ato vistosi limiti, in grado di comprimere irrimediabilmente l’i te esse delle pe so e oi volte.
L’i du ia di e sio e p o le ati a della uestio e intersex nella prospettiva giuridica pone gli inte p eti di f o te a u ivio he o siste, se plifi a do ai i i i te i i, ell’i po e se p e e
o u ue l’applicazione delle regole fissate o in alternativa nel ritenerle cedevoli a fronte di un caso
assolutamente peculiare.
La prima soluzione presta il fianco alla critica di tradursi sostanzialmente nel rifiuto di un fatto, o meglio di una persona, dato atto che l’i te sessualità esiste e he le pe so e intersex rivendicano tutele.
Ci vale ta to più ua do il fatto o eglio el aso spe ifi o, la o dizio e pe so ale ste ta a
t ova e u a ollo azio e ell’o di a e to o pe il disvalo e della o dotta te uta, ma perché conside ato al di fuo i e o
ispettoso di ast atti p e-assunti fatti propri dal diritto (ossia il dimorfismo sessuale).
Il principio personalista, accolto dalla Costituzione e volto a intendere il libero sviluppo della persona
umana non come dato da rispettare ma, in funzione proiettiva, come compito da realizzare70, dovrebbe spiegarsi nella sua massima ampiezza in un caso di estrema complessità come
l’i te sessualità.
I aggiu ta, a fa p ope de e pe u i o os i e to del fatto , ossia della condizione intersex e dei
diritti della persona che la vive, dovrebbe essere anche il dovere di solidarietà sociale, imposto a tutti
i membri della collettività71, senza tuttavia che ciò sfoci in una sorta di paternalismo.
I o e dell’e ezio alità della vi e da e dell’i pe ea ilità della o dizio e i te sessuale ad u a
sta da dizzazio e giu idi a he p esuppo e l’as izio e ad u o dei due sessi appa e dove oso te tae di pe o e e la via della edevolezza delle egole. Pe sate i fu zio e dell’esse e umano come al-
125
Anna Lorenzetti
Essays
126
ternativamente uomo o donna, queste non possono essere sempre e comunque applicate alle persone intersex, a meno di non imporre loro un intervento invasivo e irreversibile, oltretutto in nome di
non ben precisati diritti e interessi contrapposti.
Dov e e piuttosto i o os e si u o spazio uovo i ui ollo a e la o dizio e u a a, in between
– intermedia fra le categorie sessuate che sono convenzionalmente nominate come maschio e come
femmina – dell’i te sessualità, os s o giu a do il p ofila si di u di itto a o i evole 72 che resta
ie o alle diffe e ze i dividuali, i po e do l’appli azio e delle egole a he ua do i appaia i agionevole.
In nome della pa ti ola ità dei o pi oi volti73, dovrebbe così consentirsi il prevalere di un approcio ite 74, proprio di un diritto minimamente invasivo della libertà personale e incidente sulla prop ia auto o ia e autodete i azio e, o se o do u a e e te defi izio e di u di itto ge tile 75 o
seguendo altri autori di u di itto flessi ile 76 o per principi77.
Questi approcci certamente respingerebbero la deriva rappresentata dalla colonizzazione della persona resa oggetto di scelte assunte da terzi non direttamente coinvolti dalla vicenda.
L’ulte io e di e sio e p o le ati a di uesto aspetto emerge nella misura in cui lo standard fisico
assunto come termine di paragone, diviene in realtà un vero e proprio metro di valutazione per fissare e giudicare alcuni comportamenti come devianti e dunque bisognosi di correzione per essere ricondotti alla normalità78.
Piuttosto che individuare il corpo e la sua conformazione come limite al godimento dei diritti e delle
libertà riconosciute in Costituzione, il diritto potrebbe così porsi quale barriera eretta a protezione
dall’i ge e za di te ze pe so e pe lo a e l’azio e su o pi he o e essita o di u e fu zio ali al
benessere individuale.
Da ultimo, meriterebbe un ulteriore approfondimento la difficoltà di utilizzare gli strumenti e
l’a a e ta io p evisti dal di itto pe hi o ie t i ei p esupposti che esso implicitamente fa propri79, nel caso specifico, il dimorfismo sessuale per cui ogni persona deve necessariamente ricondursi
ad uno dei due sessi.
72
M.M. WINKLER, G. STRAZIO, L’a o inevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, Milano, 2011.
P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei casi e astrattezza della nor a, Milano, 2007, 60 ss.
74
G. ZAGRELESKY, Il diritto mite, Torino, 1992, 5 ss.; S. PRISCO, La musica della vita. Quaderno di biopolitica e
bioetica di un giurista, Napoli, 2015, 1 ss. che nella Nota Introduttiva dà conto delle argomentazioni teoriche
per cui la bioetica deve trovare uno sviluppo di tipo a ativo , i ui il aso ella sua i idu i ile pa ti ola ità
a suggerire la propria regola.
75
L’esp essio e stata o iata dal P. ZATTI, a proposito del noto manifesto Per un diritto gentile in medicina,
che presenta una Proposta di un testo normativo sulla relazione di cura: Corpo e salute, consenso, urgenza
medica, rifiuto e interruzione di cure, dichiarazioni anticipate - Una proposta di idee in forma normativa. Cfr. M.
DI MASI, Relazione di cura, autodeterminazione e fine vita: la proposta per un diritto gentile , in Riv. crit. dir.
priv., 2012, 4, 661 ss.
76
J. CARBONNIER, Flessibile diritto. Per una sociologia del diritto senza rigore, Milano, 1997.
77
S. RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006.
78
S. NICCOLAI, Differenze come cose e come valutazioni, in F. CERRONE, M. VOLPI (a cura di), Sergio Panunzio.
Profilo intellettuale di un giurista, Napoli, 2007, 6; I.M. YOUNG, Le politiche della differenza, Milano, 1996, 157
ss.
79
Su cui L. BERNINI, Maschio e Femmina Dio li creò, cit., «le pe so e i te sessuali so o o side ate i t atta ili
dal ost o siste a giu idi o e si oli o, e pe uesta agio e ve go o t attate dal siste a sa ita io».
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Frontiere del corpo, frontiere del diritto
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80
Pe la fo ulazio e dell’uguaglia za i hiave a tisu o di azio e, ome superamento proiettivo della
dimensione antidiscriminatoria cfr. B. PEZZINI, L’uguaglianza uo o-donna come principio anti-discriminatorio e
come principio anti-subordinazione, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Scritti in onore di Lorenza
Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, 2009, 1150.
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Essays
Questo aspetto induce ad interrogarsi sul ruolo del diritto, e in particolare del principio di uguaglianza, che non deve (o meglio non dovrebbe) limitarsi a fissare una norma, uno standard, un modello di
riferimento, pe alizza do i agio evol e te gli s osta e ti , a piuttosto fa e p op io l’o iettivo
di individuare le diseguaglianze e rimuoverle, rimuovendo al contempo le subordinazioni che queste
innescano80.
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
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Gregory Dollman*
MEDICAL DECISION-MAKING ON BEHALF OF A PATIENT WHO LACKS CAPACITY WHEN TREATMENT IS
DEEMED TO BE FUTILE’: WHO OUGHT TO DETERMINE THAT A TREATMENT IS FUTILE, AND HOW
OUGHT THIS DECISION TO BE MADE?
ABSTRACT: Recent case-law in England has considered the statutory guidelines in regards medical decision-making for patients who lack the capacity to make their own
treatment decisions, and has tackled the further difficulty that arises when these inte ve tio s a e des i ed as ei g futile’. The a se e of a solute defi itio s of
such concepts allows for disparate legal and moral interpretation, and it is understandable that the difficulty in reaching consensus on such theoretical issues has
spilled over into everyday clinical practice. Who ought to decide that a treatment is
futile? Is the est i te ests’ sta da d app op iate fo su h e d-of-life decisionmaking? As an objective professional, is the doctor not best positioned to decide
hat o stitutes futile t eat e t? Respe t fo a patie t’s auto o y suggests that
the patient should make this decision. Other moral imperatives must be considered
too: for example, when the harms of medical treatment outweigh its benefits, how
should the do to a t i o de to do o ha ’? Whateve solutio s a e p oposed,
unilateral decision-making of any kind (even with the best intentions) arguably cannot provide a sufficiently balanced assessment of such predicaments. When a patient
is u a le to de ide fo he self†, it see s app op iate to ask so eo e e oved f o
the doctor-patient partnership to assist with decision-making. Are persons closest to
the patient suitable for this role, or should we rely on a reasonable person in society,
or perhaps even a specialist from any religious or secular, medico-legal or bioethical
field? But value judgements pervade medical decision-making, and even the diligent
application of legal and moral principles cannot guarantee impartial outcomes. All
things considered then, the overall benefit to the patient may be achieved when expe ts i the patie t’, edi i e, ioethi s a d la seek consensus on what constitutes the best interests of that particular patient at that particular time.
KEYWORDS: Futility; Capacity; Autonomy; Paternalism; Multidisciplinary Team
SUMMARY: 1. Introduction. – 2. Medical decision-making. – 3. The complication of futility. – 4. Finding solutions.
– 5. Conclusion.
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Essays
Medical decision-making on behalf of a patient who lacks capacity
when treat ent is dee ed to e futile :
who ought to determine that a treatment is futile,
and how ought this decision to be made?
129
Gregory Dollman
Essays
130
1. Introduction
«
There will be a limited number of cases where treatment is futile, overly burdensome to
the patient or where there is no prospect of recovery. In circumstances such as these, it
may be that an assessment of best interests leads to the conclusion that it would be in
the best interests of the patient to withdraw or withhold life-sustaining treatment, even if this
may result in the person's death»1.
The Supreme Court in Aintree v James [2013]2 had the challenging task of interpreting this paragraph
from the Mental Capacity Act 20053 Code of Practice4. Given that it was the first review of the MCA
(2005) by the highest court in England, it was hoped that Baroness Hale, presenting the judgment5,
would provide an e pla atio of te s i ludi g est i te ests and futility ) that have been a
source of confusion and consternation for many years. Although falling short of achieving this arguably impossible task, she provides a practical framework for approaching the decision-making process6, in regards a patient who lacks the capacity to make this decision for herself, when the benefits
of a medical intervention are disputed.
Ba o ess Hale’s de la atio seeks ot to ha ge the la as p eviously understood7, but rather to
clarify it. This is achieved to a point – her explanations of other concepts used in decision-making8 are
bound to spark vociferous debate. I will make reference to this Supreme Court judgment, and other
relevant case-law, in my discussion of medical decision-making for incompetent patients when the issue of futility clouds this already challenging process. This essay aims to answer two questions:
who ought to determine that a medical treatment is futile; and how ought this decision to be made?
A u so y gla e at this e t a t f o Ba o ess Hale’s judg e t is ou d to si plify the de isio making process; therefore it is desirable that a thoughtful review creates further discussion. Consider, for example, the potentially large number of people involved in decision-making, the medical unpredictability associated with end-of-life issues and the emotion that it elicits, as well as the interplay
of legal and moral issues that shape decision-making. Hard and fast objective instructions may remain only an aspiration then, and ultimately it may be the explanations of these open-tointerpretation guidelines that determine outcomes. But the goal is not simply to reach decisions; it is
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* BA(Hons)Psych, MBBCh, DMH, MRCP, MA, UK Medical Doctor. This essay is a revised version of a dissertation
su itted as a re uire ent for Master of Arts (Medical Ethics and La , King’s College London, England. The
feminine form is used throughout this essay, and applies to both male and female persons alike. The essay has
been subject to a double blind peer review.
1
Mental Capacity Act 2005 Code of Practice, https://www.gov.uk/government/publications/mental-capacityact-code-of-practice, paragraph 5.31 (last visited 19/04/2015)
2
Aintree University Hospitals NHS Foundation Trust v James [2013] UKSC 67, hereafter James.
3
The Mental Capacity Act 2005, hereafter the MCA (2005), came into force in England and Wales in 2007. It
provides a statutory framework for decision-making when persons 16 years or older lack the mental capacity to
make these themselves. http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2005/9/contents (last visited 19/4/2015).
4
The Code was issued in 2007 as per sections 42-43 of the MCA (2005).
5
She was speaking for the majority.
6
Mo e so, a gua ly, tha ìi Ala Wa d’s philosophi ally-heavy discussion in his Appeal Court judgment:
Aintree University Hospitals NHS Foundation Trust v David James [2013] EWCA Civ 65.
7
James, at 47.
8
Such as substituted judgement and intolerability.
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2. Medical decision-making
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In this section I review medical decision-making in England10 in regards patients who lack the capacity
to make these decisions themselves. The evolution of the decision-making process is discussed, addressing firstly the legal considerations followed by the ethical. I then apply these concepts to practical decision-maki g, oti g the sig ifi a e of su je tivity and o je tivity throughout this process.
Dispute over treatments considered futile ay a ise at a y poi t i o e’s life: ases dis ussed i this
essay range from those involving extremely premature neonates to frail, elderly patients; while protracted terminal illnesses are mentioned in the same breath as acute catastrophic events; and the
complexity of patients in an altered state of consciousness is also considered. Clearly, these situations are different, but owing to essay limitations, I will discuss all of these conditions generally –
with specific reference to individual scenarios or interventions as required11. In addition, although
futile treatment is not synonymous with end-of-life care, I treat these concepts as such here.
9
I see the usefulness of this term used by the General Medical Council (GMC) in their 2010 guidance,
Treatment and care towards the end of life: good practice in decision making. http://www.gmcuk.org/End_of_life.pdf_32486688.pdf (last visited 19/4/2015). «The term those close to the patient means
anyone nominated by the patient, close relatives (including parents if the patient is a child), partners and close
friends, paid or unpaid carers outside the healthcare team and independent advocates» (p. 17). I use this term
interchangeably with proxy hereafter.
10
In this essay, I refer almost exclusively to English case law (there are occasional references to declarations in
other jurisdictions).
11
See also n. 17 below.
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Essays
to reach appropriate and acceptable decisions. This is a hard task, but is (I argue) one that is achievable.
Such decisions should not be made unilaterally – they merit a joint discussion, based on consensus
and compromise between patients and those close to the patient9, and the medical profession, assisted by legal and bioethical representatives. Such a specialist multidisciplinary team (MDT) would
seek to overcome disputes in decision-making, avoiding the costly (in financial, emotional and time
sense) recourse to the courts that should remain, appropriately, the final arbiter of unresolved disagreements. This multidisciplinary panel would recognise the importance of the objective decisionmaking process, while considering the subjectivity of the case under review. Thus I maintain that the
current guiding principle of decision- aki g ased o a patie t’s est i te ests is o e t.
To justify these conclusions, I begin with a discussion of the legal basis for current decision-making in
regards patients who lack capacity, followed by a review of the moral concepts (autonomy and paternalism) that have shaped this evolution. I then apply these legal and moral concepts to a practical
analysis of objectivity and subjectivity in decision-making. Paragraph Three introduces the notion of
futility, leading to a deeper evaluation of this nebulous term in relation to the issues discussed in
Paragraph Two and the questions proposed by this paper. In Chapter Four I consider how these theoretical concepts may be applied in practice. The final paragraph summarises my arguments for the
claims made in this essay.
131
Gregory Dollman
Essays
132
2.1. Legal issues
2.1.1. Best Interests
In England, a mentally competent adult has the legal (and moral) right to refuse treatment, but is not
able to demand it12. In regards the adult patient who lacks this mental capacity, the MCA 2005 and
the Human Rights Act 1998 guide decision-making at the end of life13. Using the former statute, this
process can be simplified to three steps. Firstly, does the patient have the capacity to make an informed decision14? If not, is there a valid and applicable advance decision15? If not, decisions are then
to e ade i a patie t’s est i te ests16.
The est i te ests standard is thus the tool for making decisions in regard patients who lack the
mental capacity to make these themselves17. The concept, however, is nebulous, and the Courts
acknowledge that it is potentially impossible to define precisely18. It has been suggested that the best
interests standard amounts to guiding principles rather than a specific concept19; which is best utilised as a description, rather than a definition20.
In James21, Ba o ess Hale’s guida e fo dete i i g ho this sta da d is est a hieved i li ical
decision-making may be considered a summary of Section 4 of the MCA 2005: the decision-maker
must consider, in a holistic way, the person as an individual22. The focus has always been, and remains, on the welfare (in the widest sense) of the specific patient at that specific time23.
2.1.2. Sanctity of life
An evaluation of life-worth is also enveloped within this best interests concept. The courts have
made it clear, when considering complex medical decision-making, that
12
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Reaso s fo this e lusio
ay e oth legal a d o al e.g. i espe t pu li health a d a patie t’s duty to
others, respectively).
13
See Re E (Medical Treatment Anorexia) [2012] EWHC 1639 (COP) [at 16-17] as a case in point.
14
MCA (2005), ss. 2-3.
15
MCA (2005), ss. 24-25.
16
MCA (2005), s. 1(5).
17
This is equally applicable to neonates and children: e.g. Wyatt v Portsmouth Hospital NHS Trust [2005] EWCA
Civ 1181 p ovides a si ila i te p etatio of «the hild’s elfa e … [as] pa a ou t» as set out i statute
(Children Act 1989 s.1(1)). While there are obvious significant differences in statute and case-law across the
age spectrum, this essay focuses on the similarities – and considers best interests generally (with the adult
position taken as the default).
18
For example: Hedley J in Portsmouth Hospitals NHS Trust v Wyatt [2005] 1 FLR 21, at 23; Thorpe LJ in Re S
(Adult Patient: Sterilisation) [2001] Fam 15, at 30.
19
R (Burke) v GMC [2005] EWCA Civ 1003, at 63.
20
R. HUXTABLE, Law, Ethics and Compromise at the Limits of Life: To Treat or Not To Treat?, London, 2013, 84-85
considers various differing opinions on this notion.
21
David James, a previously reasonably healthy 68-year-old musician, and cancer survivor, had been dependent
on intensive medical care for six months at the time of the first instance hearing. The hospital, believing further
treatment to be futile , sought a declaration that in the event of further deterioration in his condition it would
be lawful to withhold cardiopulmonary resuscitation, ionotropic support and renal replacement therapy.
22
James [2013], at 39.
23
See, e.g., the series of sterilisation cases: Re S [2001]; and Re A (Male Sterilisation) [2000] 1 FLR 549 (notably
Butler-Sloss P at 555).
Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
The case-law is reinforced by statute: Section 4(5) of the MCA 2005 does not imply that doctors are
obliged to provide, or to maintain, life-sustaining treatment when it is not judged to serve that perso ’s est i te ests, eve if this ay esult i he death25.
2.1.3. The role of the doctor
What, then, are the obligations of the doctor in this decision-making process? It goes without saying
that, apart from adherence to professional guidance, the doctor must obey the law. The Supreme
Court in James clarified that «the fo us is o
hethe it is i the patie t’s est i te ests to give the
treatment rather than on whether it is in his best interests to withhold or withdraw it» and so a
t eat e t y a do to ill o ly e la ful if p ovided i the patie t’s est i te ests26.
It is worth noting here the Bolam test: a doctor will not be seen as negligent if her actions are consistent with practices accepted as reasonable by a responsible professional body27. The courts, while
generally respectful of professional medical opinion, affirm their own position as the final impartial
arbiter of legality28. So although not decisive, the Bolam test provides a measure of objectivity that
can be applied to individual cases29. The courts now demand a logical, but also more normative, review of expected practice30 – which inevitably considers the reasonableness of the clinician.
2.1.4. Reasonableness
The concept of reasonableness pervades medico-legal decision-making, but its usefulness in relation
to the individual is nevertheless contested. Proponents suggest that a standard of reasonableness,
both in regards the individual and her standing in relation to others, better directs surrogate decision-making than best interests31. But this vie is li ited y the easo a le test 32 not necessarily
providing an acceptable assessment of the individual33. Although still debated, both the legal34 and
the ethical35 opinion is that the best interests test is ot a reasonable person test.
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24
Lord Goff in Airedale NHS Trust v Bland [1993] AC 789, at 863; see also James, at 35; Wyatt [2005]; Donaldson LJ in Re J (A Minor) (Wardship: Medical Treatment) [1991] Fam 33, at 42 and 46E.
25
MCA (2005) Code of Practice, 5.33.
26
Baroness Hale in James, referencing MCA (2005) s.5(1) & (2), at 22 see also Lord Browne-Wilkinson in Bland
[1993], at 884.
27
Bolam v Friern Hospital Management Committee [1957] 2 ALL ER 118.
28
E.g. Mrs Justice King in Re L [2012] EWHC 2741, at 65.
29
ìee Lo d Mustill’s o e s i Bland [1993], at 898H.
30
The Bolam standard was reviewed in Bolitho v City and Hackney Health Authority [1997] 4 All ER 771.
31
See e.g. J. MASON, G. LAURIE, Mason and McCall “ ith’s La and Medical Ethics, Oxford, 2013, 548 for an
interesting review.
32
Simply, how a representative person ought to act/think if in that situation (ie. a comparative measure).
33
See e.g. R. VEATCH, Abandoning Informed Consent, in The Hastings Center Report, 25, 1995, 6-10.
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Essays
«the fundamental principle is the principle of the sanctity of human life ... But this principle,
fundamental though it is, is not absolute ... the principle of the sanctity of human life must
yield to the principle of self-dete i atio … a d, fo p ese t pu poses pe haps o e important, the doctor's duty to act in the best interests of his patient must likewise be qualified…»24.
133
Gregory Dollman
Essays
134
2.1.5 Substituted judgement
Baroness Hale (in James), while acknowledging that the best interests test remains the standard in
English law, states that it «should also o tai a st o g ele e t of su stituted judg e t’ »36. This
type of judgement, utilised in several jurisdictions in North America, is applied when a proxy determines what the patient is likely to have wanted if the patient, herself, was deciding the outcome
now. It is clear that best interests does not equate with substituted judgement in English case law
and legislation37; what is unclear is the weight that the latter judgement should be given when reviewing the past and present wishes and feelings, beliefs and values and «any other factors» relevant
to the patient38. As is customary with all decision-making now, the balancing process is sensibly guided by the particular case39. But the debate continues: certain commentators request further clarificatio of Ba o ess Hale’s de la atio 40, others favour substituted judgement over best interests given
its consideration of consent issues41, while opponents are concerned with the accuracy42 and applicability43 of the test.
2.1.6. Considering the views of others
Legal cases following James have emphasised the importance of the decision making of significant
others, but have nevertheless applied the best interests standard44. Case law has traditionally grappled with the question of what influence the opinions of significant others should exert in the decision-making process45 and whose best interests is to be regarded46, usually placing greater weight on
the patie t’s vie s if availa le – but these are all subject to the balancing exercise mandated by the
34
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E.g. in James, Ba o ess Hale dis isses Lady Justi e A de ’s Appeal Cou t e do se e t of the easo a le
person, at 45.
35
E.g. J. STANLEY et al, The Appleton Consensus, in JME, 15, 1989, 131.
36
James [at 24], quoting the La Co
issio ’s Report on Mental Incapacity (1995, No.231 at 3.25). Her words,
at 45, highlight the espe t fo a d i po ta e of the patie t’s vie .
37
See MCA (2005) Code of Practice, 5.38.
38
MCA (2005), s.4(6).
39
«Every patient, and every case, is different and must be decided on its own facts», James, at 35.
40
See C. FOSTER, Taking an interest in best interests, in New Law Journal, 7588, 2013, 16; V. SACHDEVA, A RUCK
KEEN, V BUTLER-COLE, The MCA in the Supreme Court – reflections on Aintree v James in Elder Law Journal, 1,
2014, 54-6141
J. MASON, G. LAURIE, op.cit., 547. They argue that «it eliminates many of the more obvious objections to [best
interests] – How can it be in the best interests of anyone to die? ; How can a person with no interests have
any best interests? ».
42
E.g. «The view of the patient is, in effect, second-guessed» in S. PATTINSON, Medical Law and Ethic, London,
2011, 165 (nevertheless, the author champions substituted judgement).
43
See Chapter IX in D. LAMB, Therapy Abatement, Autonomy and Futility, London, 1995.
44
E.g. Cobb J in County Durham and Darlington v PP [2014] EWCOP 9, at 43: «In determining this application, I
resolutely adhere to the best interests principles rather than applying a substituted judgment test». See also
p. 24 for further discussion of this point.
45
E.g. Coleridge J in NHS Trust v Ms D [2005] EWHC Civ 2439 (Fam) [at 45] «[M]y focus must be on the patient's
est i te ests a d ot o the fa ily’s est i te ests».
46
Although regarded as a aberrant declaration, Re T [1997] 1 All ER 906 [at 915] states that «the welfare of the
child depends upon his mother».
Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
2.1.7 The balance sheet
To assess best interests appropriately, the courts balance the interests of the individual to ensure an
in-the-round welfare appraisal. The balance sheet approach involves weighing a number of factors49 – on first glance this appears to be an objective exercise, but on closer review is inevitably influenced by personal value judgements50. For example, the values ascribed to various considerations
by a patient or doctor may be very different from those assigned by a family member or judge. Perhaps, the , o ly he the patie t’s vie s a e lea ly k o
a the ala i g e e ise take pla e
51
appropriately . This practice acknowledges that there is no single determining test, but rather a
broad review of the case in question (where no factors are overlooked nor set one against another).
2.1.8. Human Rights
I will say no more about Convention rights52 here besides that, in English case-law, it has been possible that certain patient human rights could be overruled by the best interests standard53. The courts
now require that the principles guiding good medical practice are consistent with the terms and obligations of Convention rights54. However, the explanations used by certain judges, in their attempts to
correlate the rights extended to certain patients (e.g. in a potentially-terminal condition or, perhaps
more vexingly, in a vegetative state) with their best interests, have been questioned and are likely to
be revisited55.
2.1.9. Challenging the doctor
The Courts have traditionally been unwilling to enforce the doctor to provide medical treatment
which is at odds with her clinical judgement56. This is also true in regards life-sustaining treatment57.
In addition, the Courts have avoided making declarations in respect hypothetically-available treat-
47
See e.g. NHS Trust v L [2013] EWHC 4313 (Fam), at 118.
NHS Trust v (1) A and (2) SA [2006] [2006] Lloyd Medical Reports 29, at 59; An NHS Trust v VT [2013] EWHC
B26 (Fam); Sheffield NHS Foundation Trust v TH [2014] EWCOP 4; United Lincolnshire NHS Trust v N [2014]
EWCOP 16.
49
First applied to cases regarding infants, but is now ubiquitous. E.g. W v M [2011] EWHC 2443 (Fam).
50
See e.g. Re D (1997) 38 BMLR 1.
51
Sheffield v TH [2014], at 56.
52
HRA (1998) and ECHR (1950).
53
Articles 2 and 8 as qualified rights; 3 as absolute: see e.g. W v M [2011]; also Burke [2005]; Glass v United
Kingdom [2004] 1 FLR 1019.
54
See e.g. NHS Trust A v M, NHS Trust B v H [2001] 2 WLR 942.
55
See J. MASON, G. LAURIE, op.cit, 540-541; also S. MCLEAN, Permanent Vegetative State and the Law in Journal of
Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, 71, 2011, i26.
56
See, e.g. Re J [1993], op.cit., at 29E/F, 31A and 48D; An NHS Trust v D & Ors [2000] 2 FLR 677; AVS v NHS
Foundation Trust [2011] EWCA Civ 7; Burke [2005], at 55.
57
MCA (2005) Code of Practice, 5.33.
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MCA 200547. So while the views of both patient and those close to the patient are of great significance, they are not determinative48.
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136
ments58, acknowledging that it is «right to be cautious about making declarations in circumstances
which [are] not fully predictable or fluctuating»59.
While the Courts have challenged the medical decisions made in certain cases, and have stated their
disagreement at times, they have not as yet specifically ordered that treatment be provided against
medical opinion60. In the case of MB, an almost completely paralysed infant with severe Spinal Muscle Atrophy in whom, without ventilation, death would be inevitable by one year, Holman J decided
that on balance the case for continued life outweighed the case for non-treatment (the unanimous
opinion of the medical profession), stating that ventilation should continue61. He realised that anything more than a glancing statement «might appear to be an attempt to do what I have no power to
do, namely to require doctors to carry out a positive medical intervention against their judgement
and will» – and failed to make a declaration to that effect62. In James, the declaration of the first instance judge (whose opinion differed from that of several multidisciplinary medical professionals
who had suggested that treatment was futile) was quickly overturned on appeal. Mr James had died
by the time of the Supreme Court review, so the Courts did not oblige the doctors to provide treatment here, although this may have been different had he still been alive at the latter hearing63.
2.1.10. Questions remain...
Despite the available comprehensive analyses of medico-legal decision-making, questions still
abound. One certainty is that the best interests standard pervades this process, and cuts across the
extremes of age64, focusing on the individual. It is this focus, applied against precedents, that allows
outcomes in complex cases like persistent vegetative states65 and minimally conscious states66. With
the legal foundation now set, I turn to the moral factors that influence (a more normative assessment of) decision-making in regards complex end-of-life a d futile conditions.
58
E.g. NHS Trust v L [2013], at 113-116; also AVS v NHS Foundation Trust [2011], at 32, 38 and 39.
Baroness Hale in James, at 41.
60
Moylan J in NHS Trust v L [2013], at 116. Cuthbertson v Rasouli [2013] SCC 53, heard before the Canadian
Supreme Court, is one high-profile case (of a man in a minimally conscious state/MCS) where doctors were
required to continue treatment that they felt was medically futile. This stemmed from the fact that withdrawal
of life-sustaining treatment requires consent (even if by proxy) under Canadian statute. But arguably the
English courts would come to a similar verdict when considering the best interests of a patient in a MCS (rather
than consent issues specifically), and they agree that treatment is not defined by medical benefit alone. Cases
that are in any way evocative of assisted dying are likely to have similar outcomes. Chief-Justice Beverly
McLachlin did note the dilemma of the healthcare professionals though, at 75: «Wherever one tries to draw
the li e, it is i evita le that physi ia s ill fa e ethi al o fli ts… No legal p i iple a avoid eve y ethi al
dilemma».
61
NHS Trust v MB [2006] 2 FLR 319. Treatment was to be continued with associated care, but if further intervention was required that resulted in pain, all intervention could be stopped.
62
NHS Trust v MB [2006], 58.
63
ìee Ba o ess Hale’s deli e atio o pote tial t eat e ts, at ; ho eve , she does de la e the Cou t’s
respect for clinical decision-making, at 18.
64
Best interests guides the case law for children and legislation for adults.
65
A standard exists that quality of life may allow removal of a feeding-tube so as not to prolong suffering.
66
By considering sanctity of life, and utilising a balance sheet.
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
In the following paragraphs I consider the challenges facing decision-makers given the tug-of-war between the moral concepts of autonomy and paternalism.
2.2.1. Autonomy
Respect for autonomy, as a self-determined value of life, has been buttressed in recent decades by
changing social thought and legal practice67. The promotion of informed consent, as well as the development of measures to enshrine self-determination (such as advance decisions68 and the appointment of proxy decision-makers69), has made these changes possible. While autonomy has significantly advanced its standing by steadily overcoming accusations that it unevenly balances professional medical authority, some commentators still caution that «[a]utonomy is not the last word; it is
a valuable counter to oppression and professional paternalism, but a free decision is neither necessarily wise nor moral»70.
There is general consensus among philosophers, despite their use of differing terms and formulations, that respect for autonomy is a significant moral imperative. The challenge, however, is linking
theo y ith p a ti e. Ka t’s vie of auto o y i o po ati g atio ally-determined reason seems to
find little support in English case-law71; while the utilitarian view of greatest good is also undermined
by the legal deference for individual best interests72. As will become evident, the divide between
concepts and custom can be difficult to bridge.
2.2.2. What, then, is autonomy in practice?
Critical review of the concept suggests it has strayed from its original foundations, now focusing on
individual independence, and choosing or refusing treatment, rather than on (depending on philosophical persuasion) the nuances of duties towards others or self-discipline73. Autonomy is clearly a
complex term, with Coggon proposing its separation into three classes: current desire autonomy, best
desire autonomy and ideal desire autonomy74. These, espe tively, i o po ate the pe so ’s i
ediate wish (the «rational, irrational, unknown or even non-existent» desire of the patient in Re T is cit-
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67
S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, Cambridge,
2012, 94 explains that while autonomy is a philosophical principle, respect for autonomy is the ethical
principle. He follows the conceptualisation of autonomy as proposed by T. BEAUCHAMP, J. CHILDRESS, Principles of
Biomedical Ethics, Oxford, 2009, acknowledging that an autonomous decision is an intentional one, based on
understanding, which is free from coercion. This fits neatly with the English law notions of competence and
consent.
68
MCA (2005), ss.24-26.
69
The donee, through a Lasting Power of Attorney; MCA (2005), ss.9-10.
70
D. LAMB, op.cit., 113.
71
Cf. Lo d Do aldso ’s fa ous o ds i Re T (Adult: refusal of treatment) [1992] EWCA Civ 18: the patient has
a right to make choices that are «rational or irrational, unknown or even non-existent», at 37(1).
72
E.g. the ou ts’ la k of o
e ta y o esou e issues, see R v Cambridge Health Authority, ex parte B [1995]
1 WLR 898.
73
R. HUXTABLE, op.cit., 117; O. O’NEILL, Autonomy and Trust in Bioethics, Cambridge, 2004, 39.
74
J. COGGON, Varied and principled understandings of autonomy in English law: justifiable inconsistency or
blinkered moralism? in Health Care Analysis, 15, 2007, 235-255.
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2.2. Ethical issues
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138
ed as an example75); a more balanced view in which personal values temper the immediate wish (as
evidenced in the choices of patients with a needle phobia); or a more ideal performance of an objective goal, in the manner of a Kantian duty (situations where patients are treated with blood transfusions or fed against their wishes)76.
Coggon favours the more middle-of-the-road best desire autonomy: current desire autonomy appears
too subjective to receive approval as a moral theory, while the necessity of the ideal desire autonomy
to create a universally accepted list of objective norms (laudable in terms of Kantian duty) is not unp o le ati . O’Neill, guided y the vie that «Kantian autonomy is manifested in a life in which duties are met, in which there is respect for others and their rights, rather than in a life liberated from
all bonds»77, promotes the latter view of autonomy (which she calls principled autonomy), where
more-universally-good outcomes are championed over individually-determined ones. Smith, while
acknowledging the appeal of this approach, argues against it, noting that subjective bias inevitably infiltrates universal laws and that it is the appropriate treatment of others that is more important than
the unfaltering allegiance to such a code78. In addition, the interests of the individual will remain personal, and so distinct from a universal norm79. As ever, outcomes are best determined by reviewing
each individual case upon its facts80.
2.2.3. Protecting patient autonomy
The issue of advanced decisions aside81, the p ote tio of a patie t’s auto o y is pe haps est assessed when considering different processes of decision-making. Many commentators argue that, in
the absence of a competent or advance decision, the most autonomy-based means of achieving the
wish of the patient is to apply substituted judgement82. However, as with advanced decisions, this
sta da d te ds to ove look the patie t’s u e t elfa e i favou of the previous autonomous assertions. The latter, arguably, may not always provide what is desired now. By extension, such decisions
ould i volve guess o k, a d ei fo es o e s that su ogates do ’t auto ati ally use the su stituted judgement standard when making decisions. Lamb argues that only when the views are beyond doubt that this process may be used to make life-and-death decisions83. A compromise, then,
may involve a truly objective party acting as the facilitator of autonomous decision-making84.
75
See note 71.
The latter intimates a universal or social norm, suggestive of a reasonable person approach.
77
O. O’NEILL, op.cit., 83.
78
S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, cit., 100.
79
The same is true in regards individuals in the medical profession: e.g. R. LAWRENCE, F. CURLIN, Autonomy,
religion and clinical decisions: findings from a national physician survey in Journal of Medical Ethics, 35, 2009,
216.
80
See R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, The problem with futility in New England Journal of Medicine, 326, 1992,
1563.
81
See D. LAMB, op.cit., 122ff for a thoughtful discussion.
82
E.g. S. PATTINSON, op.cit., 165; J. MASON, G. LAURIE, op.cit., 547.
83
D. LAMB, op.cit., 135. «The introduction of a legal fiction that autonomous decisions can be made by others is
incompatible with the principle of autonomy and could involve the reintroduction of paternalism».
84
S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, cit., 108.
76
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2.2.4. Limits to patient autonomy
The autonomy of the patient, therefore, may be seen to be suppressed by both surrogate decisionmaking and the best interests test. Autonomy is also tempered by the age of patient89, the requirements of the legal processes to increase autonomy90, and the differences between refusing and requesting treatment91. Autonomy may clash with the professional duty of the healthcare provider: the
consideration of beneficence and non-maleficence springs to mind92. Courts limit autonomy when
favouring preservation of life93, and it has been argued that outcomes at judicial review depend on
the patie t o p o y’s a ility to e gage ith the judge94, and decisions may also be swayed by the rationality or even the social-standing of the decision-maker95.
Considering, then, the factors that both promote and limit autonomous decision-making, Baroness
Hale’s suppo t i James) for decision-makers being more able to accept that decisions that seem
85
R. DWORKIN, Life’s Do inion, New York, 1994, 208-217.
S. PATTINSON, op.cit., 166 (emphasis in original).
87
Re A [2000], at 556-558.
88
At this point, I must step aside to consider a significant issue in regards decision-making and futility . Futility
is u fo tu ately asso iated ith pate alis a d atio i g: so iety ay e du ious of do to ’s de isio -making
in regards futility because it may feel that decisions are determined by resource issues. I will, for the sake of
clarity and brevity, assume that such issues do not factor in objective decision-making . For a wider debate,
see M. BAILY, Futility, Autonomy and Cost in End-of-Life Care in Journal of Law, Medicine and Ethics 39, 2011,
175 where she argues that «autonomy and individual self-interest provide strong ethical arguments for a
system that limits the availability of care in an equitable manner» so cost is an ethical matter and the inevitable
rationing of modern society can be justified if carried out equitably; for a review of cost and justice, see B.
BRODY, A. HALEVY, Is futility a futile concept? in The Journal of Medicine and Philosophy, 20, 1995, 123-144; see
also R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, op.cit.
89
A separate discussion in itself.
90
E.g. the specificity and clear applicability of an Advance Decision; the cost and understanding of an LPA.
91
See M. BAILY, op.cit., 181.
92
D. LAMB, op.cit., 114 suggests that disagreements may be attributed to disputes with paternalistic authority
rather than acknowledging the influence of opposing moral principles.
93
HE v A Hospital NHS Trust [
] EWHC
[at ]: «if the e is dou t [a out the patie t’s ishes] that
doubt falls to be resolved in favour of the preservation of life».
94
R. HUXTABLE, op.cit., 92; see also pp.97-98 in regards the health professional parents in Re T [1997], op.cit.
95
J. COGGON, op.cit., 246ff; he argues that the values of certain religions and members of society (especially
prisoners) have been weighed differently.
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But the best interests standard is also difficult to apply consistently; for example, how can there be
any argument between choosing life and choosing death? In such conditions personal preference
should take precedence – i D o ki ’s te s, iti al i terests (such as how one dies) become more
important than experiential interests (the situation one is in)85.
Pattinson considers a shift then towards a «wider test of overall interests», which would take the
views of others (including society) into account: «[t]his would require all competing interests to be
balanced»86. He notes that although not yet adopted, this wider test has not been ruled out87. But
such a standard may threaten the safety of older and more vulnerable patients, especially if resource
allocation is brought into the equation88. Here, utility and the value of individual life are also bound
to clash.
139
Gregory Dollman
Essays
140
u ise to p ofessio als ay still e i the patie t’s est i te ests is «whole-heartedly to be welcomed as a counterbalance to an excessive weight being placed upon keeping the individual safe at
all costs»96.
2.2.5. The autonomy of the doctor
A doctor has medical, political, legal and moral obligations to act in a certain manner – and so is restrained in her autonomy by conscience (at an individual level) and duties (at a professional level)97.
Her medical role also involves making decisions that may be value-laden. Brody argues that a prime
e a ple of this is a physi ia ’s de isio to stop a diopul o a y esus itatio CPR 98. Professional
guidance is provided in regards when, and how, to cease CPR, but the final decision is made by the
physician who is experienced in such situations. There is no certainty that further resuscitation would
not be beneficial after the point of stopping – but this remains a unilateral decision nevertheless.
Brody argues that opponents of futility cannot argue convincingly against unilateral decision-making
with such a reality in medicine99.
In his review of the extremes sheltered under the umbrella of autonomy, Huxtable concludes:
«In developing the logic of autonomy, we appear to be left with two choices: either we tend
towards a wholly-i dividualisti sta e i
hi h I a t’ t a slates i to I should get’ o e arrive at a more objective position, where I will only get what I want if it features on a preapproved list of what I should get. Neither extreme seems wholly satisfactory»100.
In this section, I hoped to introduce the idea that while respect for autonomy is a significant imperative, it does ot t a slate i to u uestio ed defe e e fo the patie t’s ishes this idea ill be developed i Chapte T o . The useful ess of Coggo ’s best desire model of autonomy stems perhaps
from its almost-objective assessment of a subjective desire, and arguably this process holds great potential for reaching outcomes. Improved communication between decision-makers is essential to this
e d: si ply ei g a a e of the othe ’s positio a d otivatio a d u de sta di g of auto o y,
importantly) may help prevent the slide towards unilateral decision making.
2.2.6. Paternalism
Paternalism is interference in the rights of others, where its justification is said to come from its intention to promote good and prevent harm for those persons, rather than for others101. This concept
96
V. SACHDEVA, A RUCK KEEN, V BUTLER-COLE, op.cit., 51.
GMC guidance (2010), op.cit., para.79, notes that a doctor «can withdraw from providing care if [her]
religious, moral or other personal beliefs about providing life prolonging treatment lead [her] to object to
o plyi g ith … a de isio that p ovidi g su h t eat e t is ot of ove all e efit to a patie t», ith the
stipulation that a colleague is found to take over care.
98
H. BRODY, Medical futility: a useful concept? in M. ZUCKER, H. ZUCKER (eds), Medical Futility, New York, 1997,
4ff.
99
There is obvious potential for inappropriate unilateral decision-making, which should be addressed by procedural policy.
100
R. HUXTABLE, op.cit., 118.
101
See S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, cit., 111.
He otes ho this is at odds ith Joh ìtua t Mill’s fa ous elief, e p essed i On Liberty, that «the only
97
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2.2.7. Paternalism of the courts
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Briefly, there is concern that paternalism of the doctor may be replaced by paternalism of the courts.
We have seen that the courts maintain their status as the ultimate arbiter of best interests, thereby
diminishing the role of the doctor or those close to the patient. But learned unilateral decisions are
not necessarily correct decisions, and sometimes educated intuition is also incorrect – despite its
best intentions106. The courts, too, must take care not to miss opportunities to change practice,
which may diminish family distress and financial burdens on the health services107.
purpose for which power can be rightfully exercised over any member of a civilized community, against his will,
is to prevent harm to others». Mill held that those who are capable of exercising autonomy should have their
decisions respected, suggesting that others (like children and incompetent persons) might be viewed with a
more paternalistic eye.
102
A. BUCHANAN, Medical Paternalism in M. COHEN, T.NAGEL, T. SCANLON (eds), Medicine and Moral Philosophy: A
Philosophy and Public Affairs reader, Guildford, 1981, 221.
103
A. BUCHANAN, Medical Paternalism, cit., 225-226; See also R. VEATCH, op.cit., for an axiological exploration of
this account.
104
E.g. MCA (2005), s.3(10).
105
A. BUCHANAN, op.cit., 233-234.
106
E.g. Jackson J in Re E [2012], op.cit., on best interests assessments: «The balancing exercise is not
mechanistic ut i tuitive…», at 129. See also Re T [1997], op.cit.
107
P. LEWIS, Withdrawal of treatment from a patient in a Permanent Vegetative State: Judicial involvement and
innovative treat ent , in Medical Law Review, 15, 2007, 394-397.
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is perhaps best supported when considering the autonomy of the doctor in relation to her duties of
beneficence and non-maleficence.
Buchanan deconstructs the «disarmingly simple» argument for paternalism, revealing the scale of its
reliance on the do to s’ po e of assess e t102. I additio , the do to ’s o ligatio to ake a assessment that is founded on an empathetic understanding of the most personal details of a patie t’s
life story is clearly nigh impossible and likely to involve guess work103.
Proponents may argue that paternalism is justified through the formation of a contract between patie t a d do to , ut this is easily e utted i o te po a y so iety give the pa t e ship’s e ui ement for informed conse t. ìi ila ly, a elia e o p a ti es of the past is unsatisfactory. Impairment in the cognitive and/or emotional state(s) of patients or proxies is viewed as another situation
when paternalistic behaviour may be justified. Again this is easily overcome, with contemporary
standards requiring greater attempts to overcome these deficits (also a legal requirement)104.
Another serious concern with paternalism, and particularly so here, is the ease with which a contentious moral decision may be construed to be an impartial scientific or clinical decision. Buchanan
proposes that, more importantly, «to even suggest that a complex moral judgment is a clinical or
technological judgment is to prejudice the issue of who has the right to decide whether lifesustaining measures are to be initiated or continued»105. While paternalistic decision-making is nigh
obsolete (in regards adults, at least), still proponents resolutely refine and promote its altruistic intentions (with beneficence and non-maleficence inevitably and suitably lauded). As ever, a balanced
assessment of the case under review should guide the most appropriate decision-making.
141
Gregory Dollman
Essays
142
2.3. Objectivity v subjectivity
Quite simply, all decision making in medicine involves some degree of value judgement108. The following paragraphs demonstrate that no matter who makes a decision, or how it is made, the issue of
objectivity and subjectivity will arise. Recognising this can but only strengthen the decision-making
process.
Huxtable notes that although «Bolam is written through medical law as if it were a stick of seaside
rock»109, the st a glehold of the do to s’ vie s has ee loose ed ove ti e. This is app op iate
because, as we know all too well, science does not equate with objectivity. But practically, the majority of best interests decisions are made on the ward. The courts feel this is appropriate110: doctors
are seen as the ones to decide about end of life decision-making, considering the patient in the
round. They have also suggested that «[j]udges are neither qualified to make, nor required, nor entitled to make ethical judgments or decisions»111. But neither are doctors, especially not unilaterally.
Holistic assessments are not necessarily objective assessments, and careless or naive decisions may
undermine the portrayed objectivity of the clinician.
The Supreme Court, in James, dis issed the Cou t of Appeal’s e pla atio fo de isio -making based
on supposed rationality, stating that the latter was wrong in describing the test of a patie t’s ishes
as an objective one112. The goals of treatment (the avoidance of treatment burdens, in this case)
were easily influenced by subjectivity and could not be said to be objective113. So while the best inte ests test is a o je tive test, the assess e t of a patie t’s ishes is ot – the objective test contains a specifically subjective element.
The balancing exercise of the courts is equally punctuated by personal value judgements. I conclude
this chapter with reference to three recent cases of patients in minimally conscious states to highlight the differing weights applied in this balancing process (which also draws attention to a broader
change in legal judgements).
In W v M, the Court, having reviewed its balance sheet, decided that «the importance of preserving
life is the decisive factor in this matter»114. The assess e t of M’s uality of life had ee ased
mainly on the reports of carers who saw her on a daily basis115. In TH116, the assessment of quality of
life appea s to take pla e i a diffe e t ti e pe iod: Hayde J is elyi g o TH’s past wishes rather
than his present situation (where there may or may not be experiences of pleasure). Although awaiting an objective medical assessment117 efo e de idi g hethe o ot it is i the patie t’s est in108
E.g. Lord Browne-Wilkinson in Bland [1993], at 884C.
R. HUXTABLE, op.cit., 98.
110
E.g. Wall LJ in Wyatt [2005] CA, op.cit., at 86.
111
An NHS Trust v MB [2006], at 24.
112
Baroness Hale in James, at 45.
113
See also S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, cit.,
266-268, who argues that the CA judges, in failing to consider what David James wanted, were far from
rational.
114
W v M [2011], 249
115
W v M [2011], 81. Baker J said that best interests is not substituted judgement.
116
Sheffield v TH [2014].
117
See discussion in chapter 2, note 190.
109
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3. The complication of futility
3.1. The theory
3.1.1. What is futility?
ìo e o
o i te p etatio s of futile medical treatment include intervention being inappropriate
or non-beneficial, or not being medically indicated, with death being inevitable and imminent125. But,
as with best interests, it has no clear definition – and debate continues concerning its meaning, utility
and appropriateness. I will not attempt to summarise here the voluminous details of these debates,
118
Sheffield v TH [2014], 53-55.
United Lincolnshire NHS Trust v N [2014].
120
This case is discussed further in the following chapter, in regards futility, at note 224.
121
Lord Steyn: «The surest test of a new legal rule is not whether it satisfies a team of logicians but how it performs in the real world» in R v G and Another [2003] 1 AC 1034, at 57.
122
J. COGGON, op.cit.,
suggests that the «e uivo al atu e of the o ept [of auto o y] … esult[s in] the
inconsistent application of the principle».
123
E.g. Re B [2002] EWHC 429 (Fam); Re T [1992]; United Lincolnshire v N [2014].
124
E.g. Burke [2005].
125
In their discussion of futility, J. MASON, G. LAURIE, op.cit.,
vie the o otatio of hopeless ess as una epta le, a d p efe to use o -p odu tive t eat e t .
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terests to continue receiving nutrition, hyd atio a d edi atio , Hayde J’s p ovisio al de la atio
appears to favour the past wishes of the patient and the substituted judgement of the significant
others. Referencing Baroness Hale in James, he confirms that he is required to assess holistically TH’s
wishes and best interests by paying close attention to «the subtlety, ambit and integrity of [all] the
evidence»118. Will the o je tive edi al evie t u p the su je tive ish? Will the patie t’s ishes
override the demands of Section 24 of the MCA 2005? The judgment is eagerly awaited, especially in
light of the recent decision in United Lincolnshire Hospitals NHS Trust v N119. In that case, Mrs Justice
Pauffley determined that clinically assisted Nutrition and Hydration (cANH) could legally be withheld
from a woman in a minimally conscious state. The judgment assesses best interests; but rather than
focussi g spe ifi ally o N’s ishes, it is o e elated to availa le t eat e t optio s i a patie t ho
is potentially dying. Thus this case differs from those of minimally conscious patients where the concern is the weight ascribed to a type of substituted judgement120 – so it remains that the views of the
patient and family are significant, but are not determinative. Clearly the balance between the objective clinical evaluation and the more subjective, emotive wishes and feelings of the patient is simpler
in theory than in practice.
The challenge, of course, is applying such reasoned decision-making to real life121. The English Courts
have balanced autonomy against protectionism in their judgments of best interests, resulting in occasional judgments that appear inconsistent or irrational122. At certain times, more subjective wishes
appear to triumph123; at others more objective wishes124. With this in mind, I now turn to an application of the legal and moral criteria discussed in this chapter – in regards treatment that is considered
futile .
143
Gregory Dollman
Essays
144
but rather provide an introduction to the term so as to allow a discussion of its key concepts in regards decision-making.
«The decision that some goals are not worth pursuing is best seen as involving a conflict of values rather than a question of futility»126. T uog’s o ds highlight t o ajo issues fa i g futility as a onept: fi stly, hat is the a tio ’s i te t o goal?127; and secondly, how is its inherent value judgement
best addressed? Perhaps these issues may be simplified into the effect and benefit of the supposedlyfutile act. The effect is the physiological change or outcome produced, which tends to be measurable
and hence more objective. The benefit, on the other hand, incorporates an evaluation of the person
as a whole, which may involve a value judgement and so is more subjective. In the case of conflict
between doctor and patient proxy, the effect perhaps represents quantitative or physiological futility, and is personified by the clinician; while the benefit perhaps represents qualitative or normative
futility, and is personified by the patie t’s sig ifi a t othe s128.
As such, one action can result in numerous outcomes – but effects and benefits do ’t ecessarily correlate. In clinical decision-making, «[t]he real problem is with care that has an effect, but that clinicians believe has no benefit»129. He e the o e is that de isio s ay e ased o li i ia s’ i dividual values rather than medical scie e, a d thus do to s’ de isio s should ot e dete i ative.
Understanding the difference between quantitative and qualitative futility may improve a clini ia ’s
approach to the dilemma. Schneiderman has been at the forefront of interpreting medical futility
within the clinical context: I mention his opinion here because of the significant debate it has generated. Although far from perfect, his concept provides a helpful starting point in the quest to improve
understanding of this complex subject.
3.1.2. Quantitative futility
Schneiderman (and various colleagues)130 are well-known supporters of futility as a quantitative concept. Here the problem is determining where to draw the line in regards measurable outcomes131.
Despite its self-promotion as an empirical concept, it cannot escape the reality that there are no absolutes in medicine – and this concept is challenged repeatedly by critics132. Case-differences and recall bias133, «questionable extrapolations from statistical data»134 and variation in probabilities and
prognostication135 are some of the factors that weaken the scientific facade. So while there remains
126
R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, op.cit., 1561.
AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, Medical Futility in End-of-Life Care, in Journal of the American Medical
Association, 281, 1999, 938; Ward LJ in James [2013] EWCA, 35, provides a review of possible interpretations.
128
For an in-depth discussion, see R. VEATCH, C. SPICER, Medically Futile Care: The Role of the Physician in Setting
Limits, in American Journal of Law and Medicine, 18, 1992, 15-36; also L. SCHNEIDERMAN, Defining Medical
Futility and Improving Medical Care in Bioethical Inquiry, 8, 2011, 123–131.
129
R. VEATCH, C. SPICER, op.cit., 36.
130
Amongst them Nancy Jecker and Albert Jonsen.
131
At one percent or lower, or is a higher percentage acceptable? (for example, the 5% proposal of B. BRODY, A.
HALEVY, op.cit.).
132
For example, R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, op.cit..
133
T. TOMLINSON, D. CZLONKA, Futility and Hospital Policy in The Hastings Center Report, 25, 1995, 31.
134
B. BRODY, A. HALEVY, op.cit., 138.
135
R. VEATCH, C. SPICER, op.cit., 12.
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3.1.3. Qualitative futility
This measure asks whether a benefit is worth the effort, and considers the value of the end result. I
mention this concept only briefly (any real analysis would deserve at least a chapter of its own). Effects and benefits are easily blurred when considering this notion of futility. Consider, for example,
patients with disordered consciousness: is decision-making simpler when the patient is permanently
unconscious in comparison with critically ill patients who fall i to the o a ’s la d et ee alert
o pete t and u o s ious i o pete t 137? A combination of both these types of futility may be
helpful when considering such unanswerable questions.
3.1.4. A hybrid concept
ì h eide a ’s o igi al defi itio of futility states that it is reasonable to conclude that a medical
treatment is futile if it has not o ked i the last
ases
ua titative ); in addition the treatment is to be considered futile if a patient lacks the ability to appreciate the benefit of an intervention, or if the patient remains depende t o i te sive edi al a e ualitative ).138 It is easy to see
the fla s i this hy id concept, including the inevitable qualitative analysis of the quantitative139,
its confusion of effect with benefit140 (e.g. its implications for patients in a vegetative state, and what
ou ts as a o th hile life ?) and so its failure to respect patient autonomy141. While proponents of
this o ept of futility argue that it promotes safety by allowing decisions to be made using justifiable standards that balance the rights of the patients and their kin against those of the medical team
a d so iety, pe haps the o ept’s g eatest st e gth is its fo us solely o the ill patient who may gain
(in some manner) from the intervention.
3.1.5. Physiological futility
Here an intervention is futile if it fails to produce the expected physiological consequence. Almost
every intervention can have a physiological effect, so physiological futility applies to very few pa136
AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 938.
See e.g. E. GAMPEL, Does professional autonomy protect medical futility judgments? in Bioethics, 20, 2006,
92-104.
138
L. SCHNEIDERMAN, N. JECKER, A. JONSEN, Medical Futility: Its Meaning and Ethical Implication in Annals of
Internal Medicine, 112, 1990, 949.
139
R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, op.cit., 1562; R. VEATCH, C. SPICER, op.cit., 19 goes so far to say that «[t]here
simply is no such thing as a value-free and concept-free fact».
140
See e.g. W. HARPER, Judging Who Should Live: Schneiderman and Jecker on the Duty Not to Treat in Journal of
Medicine and Philosophy, 23, 1998, 501ff.
141
W. HARPER, op.cit., 513. In regards keeping patients alive to say their goodbyes, this compassionate
«exception on humanitarian grounds is just to admit that the position sans the exception is inhumane».
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some potential for medical success in these cases, the professionals consider this too insignificant to
justify pursuing the intervention. Rejecting such unilateral decision-making, the American Medical
Association (AMA) holds that open-minded «[i]ndividuals do not judge the worth of an intervention
by physiological outcomes alone»136, hence the quantitative approach may be strengthened when
combined with a qualitative one.
145
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Essays
146
tients. Cardiopulmonary resuscitation (CPR) is one intervention which rouses vocal debate142: treatment cannot be considered futile if it is able to preserve the physiological function of the body or an
organ system (e.g. respiration or circulation) – even in patients who are unconscious or have a terminal disease.
This more restrictive definition often champions the right of the medical team to determine treatment plans since its clear e pi i al asis is i efuta le the patie t’s ish is si ply ot a hieva le ).
Criticisms include its limited scope of applicability, its failure to resolve who ought to make decisions143, and its reduction of medicine to a crude science144. Schneiderman argues that it distorts the
patient-centred approach to medicine, and endangers patients in the atte pt to ai tai the physiological refe e e a ge 145. The ethical concerns are clear: patients become dehumanised, seen as
machines with faulty parts146. While it is ge e ally a k o ledged that do to s’ p ofessio al e pe ience and their clinical knowledge are legitimate factors that influence decision-making, these factors
alone cannot be determinative of what is futile.
There has been noticeable change in the definition of futility over time, and there appears to be increasing disagreement with these definitions as they move away from (almost-universally accepted)
physiological futility. Does futility still deserve a place at the decision-making table?
3.1.6. Is futility an outdated term?
For many years commentators have a gued agai st the te
futile , exposing it as a t u p a d
147
against patient autonomy , «fraught with ambiguity, complexity and potential aggravation»148. I argue to keep the te
futility – it is a morally permissible concept however, and not an imperative
one. Nevertheless, I accept that another word may be helpful given that futility has become a morally ambiguous term. But attempts to clarify its definition may have made it more indefinable. While
some commentators argue for greater clarity of definition149, others claim that making it simpler
holds greater benefit150.
I su
a y, I ag ee ith the AMA’s vie that «[f]utility is an essentially subjective but realistically
indispensible judgment. A fully objective and concrete definition is unattainable»151. This term, however, is (appropriately) clearly amenable to helpful objective medical interpretation. Decision-makers
are compelled to reach consensus despite these difficulties; fortunately they can turn to the existing
legal and moral frameworks in this regard, which I discuss next.
142
E.g. B. BRODY, A. HALEVY, op.cit.
See E. GAMPEL, op.cit., 95.
144
L. SCHNEIDERMAN, N. JECKER, A. JONSEN, Medical Futility: Its Meaning and Ethical Implication, in Annals of
Internal Medicine, cit., 953.
145
L. SCHNEIDERMAN, Defining Medical Futility and Improving Medical Care in Bioethical Inquiry, cit., 127.
146
H. BRODY, op.cit., 4 makes a similar point; also AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 938.
147
C. WEIJER, C. ELLIOT, Pulling the plug on futility, in British Medical Journal, 310, 1995, 683; also B. BRODY, A.
HALEVY, op.cit.,123.
148
R. GILLON, Futility – too ambiguous and pejorative a term?, in Journal of Medical Ethics, 23, 1997, 339.
149
L. SCHNEIDERMAN, Defining Medical Futility and Improving Medical Care in Bioethical Inquiry, cit., 126.
150
T. TOMLINSON, D. CZLONKA, op.cit., 6 and 30.
151
AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 938.
143
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3.2.1. Legal interpretation
In James, Baroness Hale declares that a treatment would be futile if considered as «being ineffective
or being of no benefit to the patient»152. In addition, she reasoned that «it is setting the goal too high
to say that treatment is futile unless it has a real prospect of curing or at least palliating the lifethreatening disease or illness from which the patient is suffering ... A treatment may bring some
benefit to the patient even though it has no effect upon the underlying disease or disability»153. A
medical definition a epted y the Cou ts is that « futility would normally be understood as meaning that the patient cannot benefit from a medical intervention because he or she will not survive
with treatment»154. Baroness Hale notes that it is important to consider closely the effectiveness or
benefit of the supposedly-futile act, given that the medical assessment is not the only factor to be
weighed155. Her words make clear the importance of the patie t’s su je tive judge e t.
3.2.2. Legal change of futility
The 1981 decision in Re B (a minor)156, where Templeman LJ adjudicated that the life of a child with
Do ’s ìy d o e ho ould die ithout a ope atio to elieve i testi al o st u tio
ould not
157
«be so awful that in effect the child must be condemned to die» and so held that treatment must
be directed by the interests of the patient rather than that of the parents, has been said to have «laid
the [E glish Cou ts’] fou datio s fo a uality of life therapeutic standard rather than one based on
rigid adherence to the principle of the sanctity of human life»158. Lord Donaldson presided over a
number of cases, in the 1990s, relating to selective non-treatment of infants159, in which the clinical
autonomy of the doctor and the best interests standard were endorsed. The best interests standard
has subsequently diminished the influence of the tou hsto e of i tole a ility 160. The process of the
Courts is clear – there is no one test to determine best interests, and intolerability is, at best, useful
as one of many guides in decision-making161. Baroness Hale, in her description of patie ts’ elfa e i
broad terms, appears to support this view in James162.
Case judgments across the spectrum have acknowledged that medical treatment is not without its
risks, and holds clear potential for both care and harm of a patient. Continuing treatment when justi152
Baroness Hale in James, at 40.
James, op.cit. 43. She also agreed with Jackson J, at first instance, who reasoned that «recovery does not
mean a return to full health, but the resumption of a quality of life that DJ would regard as worthwhile».
154
James, op.cit., 43. Baroness Hale quotes the submission of The Intensive Care Society and Faculty of
Intensive Medicine.
155
Baroness Hale in James, 40.
156
[1981] 1 WLR 1421.
157
Re B (a minor) [1981], 1424.
158
J. MASON, G. LAURIE, op.cit., 509.
159
Including the influential Re J [1991].
160
Intolerability «should not be seen either as a gloss on or a supplementary guide to best interests»: Wyatt
[2005], 91.
161
Wyatt [2005], 76; also Burke [2005], 63.
162
C. FOSTER, op.cit., 16 argues that Baroness Hale is unclear on her position regarding intolerability.
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153
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Essays
3.2. Putting the theory into practice
147
Gregory Dollman
Essays
148
fication for it no longer exists may be as wrong (and illegal) as continuing treatment without appropriate consent163. One such treatment that receives regular judicial review is clinically-assisted nutrition and hydration (cANH), as much a life-sustaining medical treatment as ventilation. There are a
number of recent cases regarding patients with anorexia at the end of life that provide thoughtful
(and yet opposing) views on decision-making in the context of futility, the limits of autonomy and the
role of third parties164.
3.2.3. Do Not Attempt Cardiopulmonary Resuscitation (DNACPR)
It is appropriate to end this section with a discussion of one of the most contentious issues in futility
decision-making: DNACPR orders. The Court of Appeal recently, in Tracey v Cambridge University
Hospitals NHS Foundation Trust165, held that while decision-making in regards CPR is not an exclusive
medical process, the ultimate decision remains in the domain of the clinicians. It also affirmed that
doctors are legally bound to discuss DNACPR decisions with patients and/or those close to the patient – which is simply the legalisation of longstanding professional guidance166. A number of issues
are raised by this judgment – firstly, the Tracey appeal was allowed owing to its focus on Article 8
rights alone167 and so failure to involve the patient in this process of decision-making violates that
right; secondly, it reiterates that full disclosure and information about medical conditions, prognoses
and management is essential; and finally, a medical team should offer a second opinion if disagreement of opinions persists. Interestingly, the Court of Appeal in Tracey felt that if a multidisciplinary
team (MDT) decision had concluded that DNACPR was not appropriate, it was not obliged to offer a
second opinion168. This is quite different from the suggestion of the first instance ruling in James.
There, the multidisciplinary team was overruled despite the concurring views of the (hospital and judicial) second-opi io s. This judg e t ep ese ts a g eate a k o ledge e t of the patie t’s ight
to involvement in decision-making, balanced against an objective and professional medical review.
But only time will tell how effectively these legal requirements are translated into practice169.
Considering the Tracey judgment, it is good practice to encourage (when appropriate) early communication between doctor and patient on end-of-life issues. K o ledge of a patie t’s ishes p io to
an event is certainly beneficial, and arguably many disputes could be avoided if advance decisions or
advance care plans are created at an appropriate time170. However, this does require more openness
163
See Re B [2002], for a caution regarding battery.
See e.g. Re L [2012], and Re E [2012].
165
[2014] EWCA Civ 33.
166
Joint statement from the British Medical Association, Resuscitation Council (United Kingdom) and Royal
College of Nursing Decisions relating to cardiopulmonary resuscitation (2007) London – subsequently updated
in 2014. https://www.resus.org.uk/pages/DecisionsRelatingToCPR.pdf (last visited 19/4/2015).
167
Rather than several others, as was the case at first instance.
168
Tracey [2014], 63-65.
169
The relatively-recent NCEPOD report (National Confidential Enquiry into Patient Outcome and Death) (2012)
found that no discussion of end-of-life decision-making had been taken pre-CPR in the «overwhelming majority
of cases» (p. 6) – suggesting a cultural rather than an individual case-by-case failing.
http://www.ncepod.org.uk/reports.htm (last visited 19/4/2015).
170
See discussion around note 205.
164
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
3.3. Separating the legal and the ethical
3.3.1. Hearing the patient’s oice
The doctors or those close to the patient are faced with a difficult task when a patient is unable to
tell them her own opinions of a worthwhile life, or quality of life. I now co side iefly life’s o thiness in the context of medically-futile treatment. In his discussions of English Law as «morally and intellectually misshapen»172, referencing Bland in particular173, Keown feels that it is more acceptable
for the law to make judgements on futility than quality of life174. He says it is wrong to withdraw
t eat e t ased o assess e t of o thi ess of life; a d sepa ates life’s i t i si value i to vitalis
(absolute deference for life at all costs), sanctity of life and quality of life (or instrumental value of
life). Few abide by the vitalist standpoint. Keown champions sanctity of life, and differentiates quality
of life from quality of treatment. For Keown, there is little room for quality of life arguments when
considering sanctity of life.
But while sanctity of life provides a possible middle-ground between vitalism and an extreme instrue tal value of life, it is itself o p ised of te s like i te tio ’, u de ’ a d futility’ that a e unclear and not easily applicable to real clinical scenarios175. It has been said this inviolability of life
generally focuses on medical treatment (and so has been associated with life preservation); while
uality of life fo uses o the patie t’s ishes a d goals a d has ee asso iated ulti ately with the
ending of life)176. Considering the difficulty in unravelling the entanglement of quality of life and subjectivity/objectivity when considering futility, is it too simple then to say that the doctor should decide which treatment is futile, while the patient should decide which type of life is futile?
In Burke and James it was accepted that when death is imminent, it is appropriate that the focus
shifts to the comfort and dignity of the patient rather than on attempts to prolong life by any
means177. Quality of life then easily becomes confused with futility definitions. While the general
consensus is that one should not judge whether the life of another is worthwhile or not178, quality of
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171
This includes a frank discussion about medical intervention. E.g. in regards CPR: «[t]he public believe that
patients have a 50:50 chance of surviving, where the professionals accept that survival to discharge is less than
15%. Nor does public appreciation factor in the chance that survival will often involve disability». NCEPOD,
op.cit., 5.
172
Lord Mustill in Bland [1993], 887.
173
The instrumental value of life position having been approved in Bland [1993].
174
J. KEOWN, The Law and Ethics of Medicine: Essays on the Inviolability of Human Life, Oxford, 2012, Chapter
13, p.i20; and J. KEOWN, A Futile Defence of Bland: A Reply to Andrew McGee in Medical Law Review, 13, 2005,
96; Cf. «…it is the futility of the t eat e t hi h justifies its te i atio » Lo d Goff in Bland [1993], 870.
175
R. HUXTABLE, op.cit., 111.
176
S. SMITH, Commentary: Aintree University Hospital Foundation Trust V James [2013] EWCA Civ 65, in Medical
Law Review, 21, 628-6 a gues that the latte ’s holisti assess e t of ishes defies this misconception. He
champions a combined approach.
177
Burke [2005], 62-63 and James [2013], 38.
178
See for example, Taylor LJ in Re J [1991], 55.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
and a willingness to talk about death171. To promote a true doctor-patient/proxy partnership, both
sides need to move away from the silence that is traditionally associated with issues of death. This is
a challenge, but it is now a legal responsibility.
149
Gregory Dollman
Essays
150
life considerations are still used in decision-making179. There has been much disquiet about the use of
this concept in law180; and with its associated risk of a slide down slippery slopes181, the moral debate
is u likely eve to e settled. Fo the ea ti e, i la , e a e guided y Ba o ess Hale’s de la atio
that the patient’s o vie of the uality of he life ust al ays e o side ed182.
3.3.2. Hearing the clinician’s oice
It has been argued that doctors should refrain from providing treatment which they feel should not
be given – otherwise medical issues risk becoming legal ones183. Other commentators argue that diagnostic assessments and prognostication remain medical, not ethical, issues184. Although decisions
based on facts, experience and clinical judgement are grounded in objectivity, they will inevitably
contain a degree of self-opi io . To e su e that the edi al p ofessio al’s voi e is hea d app op iately, the insightful doctor must advocate the move towards more objective assessments of medical
conditions.
3.3.3. How do doctors determine what is futile?
This question is vital, since it is often the process of decision-making, rather than a proposed clinical
plan, that becomes a source of dispute amongst decision-makers185. This process is also inevitably
complicated by the influences of subjectivity and objectivity. Although evidence suggests that medically-trained personnel wish for less (rather than more) intervention at the end of their own lives186,
a do to ’s u de sta di g of he duty at the e d-of-life or even in regards futility management is understandably variable (and often the health- a e p ovide s’ eadi ess fo su h de isio -making is
poor187). Whatever the cause may be188, a vast proportion of medical practitioners are clearly illequipped to deal with end-of-life issues. Do professionals whose occupation involves preserving or
improving life automatically know enough about death to make such decisions?
179
This is especially true for patients in a vegetative state, or in end-of-life considerations.
E.g. Re A (Conjoined Twins) [2000] EWCA Civ 254; the differing opinions of quality of life in Bland [1993], see
Lo d Mustill’s vie , at 894.
181
E.g. J. KEOWN, The Law and Ethics of Medicine: Essays on the Inviolability of Human Life, cit., note 174 argues
that treatment should not be decided on quality of life, but on effectiveness of treatment.
182
Baroness Hale in James, at 44.
183
N. JECKER, L. SCHNEIDERMAN, Fa ilies ho ant ever thing done , in Journal of Medicine and Philosophy, 20,
1995, 145-163. This is especially true in light of the Tracey judgment, where doctors may over-treat in order to
avoid any threat of legal complications.
184
J. PARIS, E. CASSEM, W. DEC et al, Use of a DNR Order Over Family Objections: The Case of Gilgunn v. MGH, in
Journal of Intensive Care Medicine, 14, 1999, 43.
185
E.g. Tracey [2014], 43.
186
E.g. J. GALLO, J. STRATON, M. KLAG et al, Life-Sustaining Treatments: What Do Physicians Want and Do They
Express Their Wishes to Others?, in Journal of the American Geriatrics Society, 51, 2003, 966.
187
See A. TEIXEIRA, E. FIGUEIREDO, J. MELO et al, Medical Futility and End-of-Life Decisions in Critically-Ill-Patients:
Perceptions of Physicians and Nurses in Central Portugal in Journal of Palliative Care Medicine, 2, 2012, 110.
188
Consider, for example, the super-specialisation of modern medicine that has all but eradicated the
generalist.
180
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
3.3.4. The UTFO
The UFTO, formulated and initially implemented at Cambridge University Hospitals NHS Trust196, aims
to provide an objective assessment of what constitutes appropriate management for an acutelyunwell hospitalised patient. Related studies have found, corroborated by various SUPPORT investigations197, that while enhanced communication may result in better care, the implementation of such
guides is often poor – too often the physician would not broach the subject either timeously or for
fear of distressing the patient/family. In such cases, it is important for the doctor to remember her
professional198 and legal199 duty: to wo k i pa t e ship ith patie ts 200.
Universal forms like UFTO help to remove the stigma associated with end-of-life discussions201. The
UFTO is completed for all admitted patients, as opposed to the more traditional practice of selectively completing a DNACPR form. This creates consistency, with no discriminatory exclusions or special
cases ; it also normalises decision-making, even about end-of-life care. The result is a thoughtthrough process rather than a knee-je k ea tio to o plete a DNACPR o de he a patie t’s on-
189
Guidance provided by a range of specialist opinions.
A tool for the assessment of disorders of consciousness following brain injury; see H. GILL-THWAITES, R.
MUNDAY, The Sensory Modality Assessment and Rehabilitation Technique (SMART): a valid and reliable
assessment for vegetative state and minimally conscious state patients in Brain Injury, 18, 2004, 1255.
191
Acute Physiology and Chronic Health Evaluation (APACHE) – a measure of critical care outcomes; W. KNAUS,
E. DRAPER, D. WAGNER et al, APACHE II: a severity of disease classification system in Critical Care Medicine, 13,
1985, 818-829.
192
Z. FRITZ, A. MALYON, J. FRANKAU et al, The Universal Form of Treatment Options (UFTO) as an Alternative to Do
Not Attempt Cardiopulmonary Resuscitation (DNACPR) Orders in PLoS ONE, 8(9), 2013, e70977.
193
The Treatment Escalation Plan (TEP): T. OBOLENSKY, T. CLARK, G. MATTHEW et al, A patient and relative centred
evaluation of treatment-escalation-plans: a replacement for the do-not-resuscitate process in Journal of Medical Ethics, 36, 2010, 518.
194
See www.ambercarebundle.org (last visited 19/04/2015).
195
See www.goldstandardsframework.org.uk (last visited 19/04/2015).
196
The respondent hospital trust in Tracey [2014].
197
A. CONNORS, N. DAWSON, N. DESBIENS et al, Study to Understand Prognoses and Preferences for Outcomes and
Risks of Treatment (SUPPORT), in Journal of the American Medical Association, 274, 1995, 1591-1598: a study
of over 9000 critically-ill inpatients across five US hospitals advocating the use of advance directives in acutely
unwell adults.
198
To put into practice the shared decision-making ideal of the 2010 White Paper on the NHS (Liberating the
NHS : No de isio a out e ithout e .
199
E.g. Tracey [2014], op.cit.
200
GENERAL MEDICAL COUNCIL, Guidance for Doctors: Good Medical Practice, 2014. http://www.gmcuk.org/Good_medical_practice___English_0414.pdf_51527435.pdf (last visited 19/04/2015).
201
Z. FRITZ, J. FULD, Ethical issues surrounding do-not-attempt-resuscitation orders: decisions, discussions and
deleterious effects in Journal of Medical Ethics, 36, 2010, 593.
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Essays
Fortunately, voluminous guidance exists to help doctors make decisions. Even before a multidisciplinary team (MDT) review189, measures can be employed to provide a more objective assessment of
outcomes (e.g. SMART190; APACHE191) or to structure decision-making (e.g. UFTO192, TEP193, AMBER
care bundle194; the Gold standards framework195). I have chosen to discuss now the Universal Form of
Treatment Options (UFTO), and review its compliance with ethical and legal practice.
151
Gregory Dollman
Essays
152
dition deteriorates202: «[f] o a p edo i a t use of the o d futility’’ o the DNACPR fo s, the e
was a shift to document diagnoses on the UFTO»203.
Apart from being in line with legal requirements, its focus on interventions to be provided rather
than withheld (according to best interests) was found to lower the rate of harms to patients (by
knowing when and how to act, with an earlier recognition of palliative care needs). Interestingly, Fritz
et al found no increase in documented discussions with patients, hile the u e of patie ts otfor-CPR remained the same204 – this suggests that while the su sta tive clinical acumen remains
sou d, the p o edu al aspects of application may be problematic. This highlights the age-old problem of communication; perhaps the recent legal declaration may improve this process.
3.3.5. What about autonomy in this process?
Advance decisions and community policies are well-known and well-studied, but these may not respe t the patie t’s auto o y fo that pa ti ula de isio at that particular time . While some
studies demonstrate that patients with advance directives and advance care plans are more likely to
receive the care that they prefer (which also tends to be less aggressive at the end of life), with
greater family satisfaction of the care received205, other studies have found that health professionals
did not better understand the wishes of critically-ill patients when relying on advance decisions or
proxy decision-makers206. Programs encouraging patients to discuss their medical wishes with families have been of limited success207, as often this is felt to e too edi al a task – here clinical intervention has been highlighted as the best alternative208. The physician may then have the opportunity to formulate an objective account of a subjective wish.
Advance Care Planning may provide great assistance in this quest, since a considered declaration
provides more assistance than best guess alone – but its universality is some way off209. Its applicability is also limited: for example, acutely-unwell in-hospital patients lacking capacity would be ineligible
for this intervention at that time, and predetermined wishes may not truly apply in a novel context. A
cynical concern is that true medical change may only follow an incentive (for example, through legal
necessity or a financial reward). For Advance Care Planning to become routine, it may require the review (by a general practitioner) of the wishes of at-risk patients to be listed as a Quality and Outcome
202
Z. FRITZ, A. MALYON, J. FRANKAU et al, op.cit., 4.
Z. FRITZ, A. MALYON, J. FRANKAU et al, op.cit., 9.
204
Z. FRITZ, A. MALYON, J. FRANKAU et al, op.cit., 9.
205
J. TENO, A. GRUNIER, Z. SCHWARTZ et al, Association between advance directives and quality of end-of-life care: a
national study, in J American Geriatrics Society, 55, 2007, 189-194.
206
A. CONNORS, N. DAWSON, N. DESBIENS et al, op.cit., 1591; Cf. P. LAYDE, C. BEAM, S. BROSTE et al, Surrogates'
Predictions of Seriously-Ill Patients' Resuscitation Preferences in Archives of Family Medicine, 4, 1995, 518-524
and D. MOLLOY, G. GUYATT, R. RUSSO et al, Systematic Implementation of an Advance Directive Program in Nursing
Homes: A Randomized Controlled Trial in Journal of the American Medical Association, 283, 2000, 1437.
207
E.g. J. GALLO, J. STRATON, M. KLAG et al, Gallo, op.cit., 966.
208
A. CONNORS, N. DAWSON, N. DESBIENS et al, op.cit., 1591.
209
Just over ten percent of patients offered such a review accept this offer: ROYAL COLLEGE OF PHYSICIANS,
Advance Care Planning – National Guidelines, London, 2009, 9.
203
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
. .6. The doctor’s dile
a
The initial assessment of a patient at the end-of-life ought to be medical, and objective - to prognosticate physiological outcomes. Thus doctors assume, appropriately, an important role in decisionmaking – they are arguably in the best position to determine objective futility. Consider then, in such
circumstances, a request from those close to the patient that «everything be done»214. The doctors,
understandably, are now faced with a very difficult moral dilemma. If they do as the proxy wants,
they may do harm to the patient (and «first, do no harm» is a primary moral imperative of the medical profession). Should doctors be forced to provide treatment that may prolong the suffering of a
patient?
The legal answers215 are perhaps simpler than the moral ones. The doctor here is in a difficult positio , eedi g to ala e sig ifi a t o al i pe atives. The do to ’s duty is always to act in the patie t’s est i te est, ut i seeki g to avoid ha the e is a da ge of a ti g i a pate alisti
anner. It may then be too much to ask the individual doctor to balance all the possible harms to a patient, which ultimately prevents or impedes her interests216. A ythi g that p o otes the patie t’s interest will be benefit, while anything that stifles it will be harm217. These interests will determine the
patie t’s o
ish to live o die; a d ay easily o fli t ith the do to ’s conscience, code of practice or objective decision-making.
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210
This measure of improved care is incentivised by rewards. See www.hscic.gov.uk/qof (last visited
19/04/2015).
211
For example, NHS Trust v Ms D [2005], at 45; NHS Trust v A (a child) [2008] 1 FLR 70.
212
E.g. VT [2013], and NHS Trust v L [2013]; religious views traditionally hold little sway in English Courts.
213
James [2013] EWCA, at 47.
214
See e.g. Re J [1991]; Burke [2005]; VT [2013].; NHS Trust v Ms D [2005].
215
As dis ussed a ove; also, the ou ts a k o ledge the do to ’s dile
a: ìedley J i Wyatt EWHC, ith
reference to Lord Donaldson in Re J, at 27, recognises the difficulties faced by the doctor in such situations
given that conscience is not a rigid concept. He states that the law would also appreciate this fact, provided the
doctor took all appropriate, professional steps to analyse the dilemma. See also notes 60 and 97.
216
S. SMITH, End-of-Life Decisions in Medical Care: Principles and Policies for Regulating the Dying, cit., 11; he
later clarifies that interests may be ultimate (such as life goals) or welfare (those required to attain the ultimate
interests), p.121.
217
Translated into the principles of beneficence and non-maleficence.
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Essays
Framework (QOF)210. Clearly, more open communication policies are essential for improved future
care and decision-making.
What the patient wants matters morally, but this cannot be the only moral interest. What is to be
done, for example, when a clinical condition reaches the point of physiological futility? We have seen
that such futility involves failure to reach a physiological outcome, while subjective futility considers
o thi ess ( is there a point in carrying on regardless? ). The latter is a very individual decision,
considering hopes (such as for a miracle)211 and beliefs (including religious conviction)212. «The harsh
reality, so harsh that it was understandably impossible for the family to accept it, was that his position was hopeless... We had to act on the real possibilities not those which were fanciful»213. Ward
LJ’s o ds, i James, appear harsh, but there is arguably a ring of truth to them. There are facts, but
there is also interpretation of those facts.
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Gregory Dollman
Essays
154
While doctors have been criticised for being «too logical» (and so ignoring the emotional and lesslogical reality of everyday life)218, those close to the patient have often been portrayed as equally
hindered in decision-making for opposing reasons. Emotion and unbounded hope may misguide the
kin to express their love by requesting that eve ythi g is do e , rather than respecting the wishes of
the patient. Medical professionals cannot be duty-bound to place hope above reality: this is unfair,
involves withholding information, and distorts the balance of power.219 Jackson J in Re E provides a
legal opinion: «[i]f taken too far, the argument that everything that can be done must be done carries the risk of discrimination against incapacitated persons by depriving them of options that are
available to the capacitous»220.
U dou tedly, auto o y a d i dividuals’ diffe i g values o e to the fo e at the time of illness and
death221. But in death, as in life, «we cannot always have what we want»222 – but we can be listened
to, and heard. Wishes and rights must be balanced against duties, and the rights of others; this need
ot e u e essa ily est i tive, though, if e o side the vei of Coggo ’s best desire autonomy223.
However, there is no one concept or interpretation that guarantees resolution in such predicaments;
and a thoughtful review that balances the specifics of the individual case is perhaps the most morally-astute starting point.
On a practical note, futility should not equate with no treatment – it should ensure exemplary symptom-control and, when appropriate, end-of-life care that incorporates emotional, spiritual, communication and empathic support. In this way, defining futility is helpful in that it creates a standard of
care that allows for the most appropriate treatment for an individual. This has been achieved by the
courts.
3.3.7. Contemplating solutions
A recent case that draws significantly on the Supreme Court judgment in James is United Lincolnshire
Hospitals NHS Trust v N224. The jointly instructed expert in this case, Dr Barry Jones, receives illustrious commendation from Mrs Justice Pauffley for his holistic assessment of N. The first mention of futility comes in his written statement, in which he argues that «continued attempts to feed would be
futile»225. Pauffley J uotes Ba o ess Hale’s defi itio of futility i James226, but discusses this issue
no further. If this case is considered as purely withdrawal of treatment in a minimally conscious patient, it will easily be criticised and misunderstood. But a deeper review is necessary here – if a patient is requiring therapeutic intervention, but for reasons owing to her underlying condition she is
unable to endure any measures to improve her condition, the interventions may be regarded as fu218
D. LAMB, op.cit., 82
L. SCHNEIDERMAN, N. JECKER, A. JONSEN, Medical Futility: Response to Critiques, in Annals of Internal Medicine,
125, 1996, 671.
220
Jackson J in Re E [2012], at 134 (with reference to Re B [2002], where a patient, Ms B, chose to have
ventilation withdrawn knowing that this would result in her death).
221
See W. HARPER, op.cit., 513.
222
Baroness Hale in James, at 45.
223
See note 74.
224
United Lincolnshire NHS Trust v N [2014].
225
United Lincolnshire NHS Trust v N [2014], 45.
226
United Lincolnshire NHS Trust v N [2014], 56.
219
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4. Finding solutions
We have seen that the courts are the final arbiter in disputes regarding treatment considered to be
futile. This is far from an enviable task: there is no template for overcoming the unpredictability of
even the most critical clinical situations228 or for appeasing the most incompatible of opinions. Even if
another procedural solution is found, the outcomes would be influenced by its substantive (legal)
framework.
If best interests is championed, expect a more objective test – ut ot objective as originally formulated, since we have seen that this standard contains an element of substituted judgement. The
objectivity, then, is required from a medical perspective: assessments like UFTO are helpful in overcoming the inherent value judgements that may cloud decision-making. The subjectivity is determined by the patient. The best interests evaluation, therefore, should balance these two components.
If substituted judgement is chosen, expect a more subjective test – although the medical personnel
must still remain objective. Here, the doctor presents her quantitative assessment of futility and
must explain why any evaluative conclusion should «ove ide the patie t’s o su ogate’s diffe e t
judgment and values, given that it is the patient who will be most affected by the decision»229. It
seems to follow that even when the probability of a successful outcome is low (but death is the alternative) and the patient wishes to receive treatment, that treatment should be offered.
Undoubtedly, the debate over decision-making is far from settled. I have promoted the use of the
best interests standard since it has been formulated to provide a more balanced interpretation of the
medical and personal situations. In this view, the doctor and patient are of equal standing – they are
empowered to reach consensus even when their opinions and beliefs cannot hold equal value. When
applied to an assessment of futility (that is patient-centred and takes professional medical and community standards into account), the best interests standard is shown to be a fair and truly in-the-
227
W. HARPER, op.cit., 514.
E.g. the unexpected survival of baby David in R v Portsmouth, ex parte Glass [1999] All ER (D) 836.
229
D. BROCK, Medical Decisions at the End-of-Life in H. KUHSE, P. SINGER (eds.) A Companion to Bioethics, Malden,
2009, 266.
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Essays
tile (as defined by Baroness Hale). With its incorporation of a cogent medical opinion and a consideration of substituted judgement, this declaration has demonstrated the best interests standard to be
an exemplary model of medico-legal decision-making.
«[A]ny resolution of the debate about medical futility will require, at the least, determinations of the
proper model of human health, the value of human life, the value of human autonomy, and the
proper attitude toward suffering»227. Since a futility judgement is a combination of science, moral,
political and economic issues, the decision should be made jointly by persons who understand this
complexity. We are unlikely to always agree on futility, so the process of its decision-making, that
ala es p ofessio al e pi i is agai st a i dividual patie t’s ishes a d values, ust add ess its
complexity appropriately. The following chapter will suggest practical means of achieving this goal.
155
Gregory Dollman
Essays
156
ou d assess e t, that a t a s e d u attai a le’ o je tivity a d too-de a di g’ su je tivity230.
In this final chapter, I focus on measures that may address seemingly-irreconcilable differences in
medical decision-making, and so help to avoid the significant costs (financial, emotional and time) involved otherwise with judicial review.
4.1. Making decisions
Consider the following t uths : frank discussions about conditions, treatment options and prognoses are more helpful tha elia e o futility’ ; there will never be certainty, but there will be evide e ; the aim is always to avoid ha a d suffe i g ; even if all judgements are made in court,
the e is o gua a tee that these ill o espo d ith a patie t’s est i terests – since none is foolp oof . These few candours are useful as a starting point when formulating a policy to address what
o stitutes futility in medical decision-making. A fair process that allows negotiation and development of consensus in these sorts of cases must avoid a definition imposed from outside231. A workable policy should ensure a peer-reviewed, as-complete a discussion as possible, with a broad range of
opinions including a biopsychosocial approach to futility, and education of health providers232. An acceptable policy, then, would include «distinguishable steps aimed at deliberation and resolution,
...steps aimed at securing alternatives in case of irreconcilable difference, and a final step aimed at
closure when all other alternatives have been exhausted»233.
There are five groups of people who could potentially resolve the difficulty of decision- aki g i futile situations: I will consider each in turn, having noted in this essay their strengths and weaknesses:
i. the doctor;
ii. the patient/proxy;
iii. society;
iv. the courts;
v. a special MDT.
The preceding reviews of the legal and moral issues involved in decision- aki g ega di g futile
medical treatment have essentially answered the questions of who ought to decide that a treatment
is futile (and how this ought to be done). I will now raise some final points and present closing summaries, concluding that only through joint decision-making can the personal, medical, legal and moral concerns be addressed appropriately.
i. Ought the doctor to decide?
If a doctor e fo es life-sustaining treatment on a patient, the patient and kin are left bearing any
ensuing difficulties, which reinforces the justification that their views should be paramount. But the
GENERAL MEDICAL COUNCIL GUIDANCE (2010), op.cit., 47-49 states that the «aim is to reach consensus about
hat t eat e t a d a e ould e of ove all e efit to a patie t…».
231
T. TOMLINSON, D. CZLONKA, op.cit., 33; AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 939.
232
T. TOMLINSON, D. CZLONKA, op.cit., 28ff; AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 939ff; L. SCHNEIDERMAN, A.
CAPRON, How Can Hospital Futility Policies Contribute to Establishing Standards of Practice?, in Cambridge
Quarterly of Healthcare Ethic, 9, 2000, 531.
233
AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION, op.cit., 939.
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230
Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
ii. Ought the patient’s pro to decide?
The answer may seem simple enough when those close to the patient want to make a decision: yes,
when the decision does not infringe the moral or legal rights of others; no, when the decision does.
The patie t’s vie s, ho eve , should e ai of pa a ou t importance. This cannot always be guaranteed, even when decisions are made by those closest to the patient. This is especially true when a
proxy feels obliged to make a decision that she wishes not to; an enforced decision is potentially an
untrue or artificial alternative. In such a case, helping the significant others understand the choice is
more sensible than making the patient or proxy make the choice.239 But the manner in which this is
discussed is important: presenting a treatment as futile, and then asking about opinions and wishes
is wrong. As we have seen, often the greatest concern in decision-making is the way it is executed,
rather than the outcome. So while there must be checks and balances when addressing such complex issues, since non-judicial unilateral decision-making fails to match patient welfare safeguards,
policies are required to be transparent and also applicable to circumstances. It is too simple, too unfair, and too illusory to expect the proxy, alone, to reach a decision that guarantees the patie t’s
overall benefit.
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iv. Ought society to decide?
When, despite all attempts, consensus cannot be reached, the parties involved may wish to review
their dispute within a public forum – with reference to public policy. A social conception of reasona-
234
See L. SCHNEIDERMAN, A. CAPRON, op.cit., 529.
E.g. NHS Trust v L [2013], at 101.
236
This opinion is essentially an objective review with a final subjective comment.
237
United Lincolnshire v N [2014], at 62.
238
At first instance in James: An NHS Trust v DJ [2012] EWHC 3524 (COP), at 82.
239
T. TOMLINSON, D. CZLONKA, op.cit., 29.
235
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Essays
tables are turned when a physician is left with that responsibility if a judge rules that a treatment is
not futile234. The edi al p ofessio al’s goals i lude heali g disease a d p o oti g health, as ell
as relieving suffering associated with illness. To provide care that fails to do any of these is to act
contrary to set standards. The doctor, cognisant of known practice and scientific research, must balance benefits and harms of treatment to ensure appropriate management plans are established.
Doctors who provide evidence for the courts are generally lauded for their efforts235. In addition,
medical opinions are typically measured, coherent and meticulous. Almost without exception, even
in cases of supposedly-futile treatments, the judge will mention the dedication of carers on both
sides of the argument. In United Lincolnshire v N, the medical opinion236 convincingly assures Mrs
Justice Pauffley: thus it is clear that an experienced doctor «of enormous compassion and great insight into the human condition»237 is appropriate to lead a team in such decision-making.
But undoubtedly, not all doctors are capable of such a duty. The final word goes to Jackson J: «the
assessment of best interests of course encompasses factors of all kinds, and not medical factors
alone, and reaches into areas where doctors are not experts»238. Considering the issues raised in this
essay, and the comments in this final analysis, it is not appropriate for the doctor to be the sole decision-maker in regards what constitutes futility.
157
Gregory Dollman
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158
bleness may allow for a balancing of the different viewpoints240. Such a step removes the individual
easo a le pe so test (rightly frowned upon, as discussed earlier), but maintains the safety of a
reasonable body standard. Paris et al suggest that choices made in regard treatment options are
«value assumptions about the nature and worth of life, and as such they belong to a broader comu ity tha
edi i e alo e… It is ot the pe so al p edile tio s of the p ovide o the idiosyncratic
views of the patient but the common social sense of what practices are to prevail»241.
In James, Baroness Hale suggests that she would have reached a different conclusion from Jackson
J242. Thus the group decision may be argued to be more fair and encompassing than the individual
decision (and may be helpful to families at the sharp end of a difficult choice). But, naturally, there is
concern that there will never be societal consensus on certain issues; «population-wide, scenariobased preferences» generally represent the values of a particular group243, so are not necessarily
population-wide – but they are wide enough that the individual is lost in the crowd.
Ultimately, society may hold greater influence than even the courts. Lord Mustill, in Bland, discussed
the importance of Parliament (as representing society as a whole) in balancing ethics and custom
through legislation244. This has been reiterated in a recent Supreme Court decision regarding assisted
suicide245. But while there are certain decisions that the people must make, the blanket guidelines
obtained in such a process cannot ever fully appreciate the individuality of a particular case in question. Once again, society plays an important role in assisting decision-making, but should not be responsible for deciding what constitutes futility.
iv. Ought the courts to decide?
«Deciding disputed matters of life and death is surely and pre-eminently a matter for a Court of Law
to decide»246. The courts are empowered under the MCA (2005) section 15 to make declarations, and
they carefully interpret the law to arrive at their learned, and usually respected, judgments. Although
not in the habit of doing so, the courts do have the power to overrule doctors. Acknowledging this,
Leggatt J notes that «[t]he court is not, or certainly should not be, in the habit of making orders unless it is prepared to enforce them»247.
The courts state that they cannot provide answers for every potential future scenario, instead calling
on doctors to reassess the clinical situation when required248. The judgment in W v M makes interesting reading, acknowledging the most important role-players:
240
E.g. R. TRUOG, A. BRETT, J. FRADER, op.cit., 156
J. PARIS, E. CASSEM, W. DEC et al, op.cit., 41: this article is written by four members of the clinical and legal
team of the defendant hospital in the American case of Gilgunn v MGH (1999), where the jury found that it was
appropriate for a medical tea to efuse i te ve tio it felt futile despite a fa ily’s fe ve t disapp oval.
242
Baroness Hale in James, at 42.
243
L. EMMANUEL, K. GLASSER SCANDRETT, Decisions at the end-of-life: have we come of age?, in BMC Medicine, 8,
2010, i4.
244
Bland [1993], at 896.
245
R (Nicklinson) v Ministry of Justice [2014] UKSC 38.
246
See e.g. Ward LJ in Conjoined Twins [2001], op.cit., at II.14; also Butler-Sloss P in Simms v Simms [2003] Fam
83 [at 46].
247
Re J (minors) [1992] WL 12678801, at 30A.
248
See notes 58 and 59.
241
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Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
In the same vein, the courts also caution about asking for declarations prematurely250. Furthermore,
the courts maintain that they are not an advice centre and insist that parties involved must look at issues practically251, and encourage the resolution of disputes at the bedside252.
Although a safe and established means of solving disputes, arbitration by the courts should remain
the final option. The court is not a panacea: it is clearly afflicted by similar issues that aggrieve other
decision-makers. And the significant human and financial costs here can be avoided with equally
learned and esteemed resolution at an earlier stage.
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v. A special multidisciplinary team (MDT) should decide
I promote a specialist MDT as a solution to the vexing question of who ought to decide that a medical
treatment is futile. Such a team, acknowledged to understand the medical, legal and ethical obligations in this area, will achieve this outcome through communication and compromise. I agree with
the view that decision-makers «can move beyond conflict by contemplating not consensus or conquest but, instead, compromise»253. Huxtable considers the morality of principled compromise, suggesting that participants should be reflective (considering the moral issue in dispute), reliable and
trustworthy, and respectful towards others involved (in negotiation and compromise), concluding
that the focus shifts to the process of the discussion rather than its product. To reiterate again, often
the catalyst for legal recourse has been concern with the process of decision-making rather than the
decision itself.
There are several reasons why such an MDT should make these decisions. Firstly, the panel possesses
the required professional knowledge and skills, and is able to balance the individual expertise of its
various members. Despite enjoying this specialist knowledge, the combined team does lack the esteemed and authoritative position of, say, the judiciary. The benefit of outsiders being less apprehensive as a result, and so more open to approach it, may outweigh the disadvantages. Secondly, no
one person decides an outcome. There is no room for unilateral decision-making, power-struggles or
a you-me/them-us divide, but ample opportunity for a return to partnership. Thirdly, such a process
is likely to be less protracted, and far less costly, than a judicial alternative254. Finally, and perhaps
most importantly, the focus returns to open discussion, in line with professional guidance and legal
requirement, which may not always occur spontaneously in the clinical setting.
249
W v M [2011], op.cit., at 255 (emphasis added).
Baroness Hale in James, at 41; Lord Woolf in Glass [1999], op.cit., at 911A-B. See also V. SACHDEVA, A RUCK
KEEN, V BUTLER-COLE, op.cit., who note that such a recommendation risks increasing the need for emergency
declarations.
251
E.g. Lord Philips in Burke [2005], op.cit., at 21.
252
See note 110.
253
R. HUXTABLE, op.cit., 122. He discusses the concept of compromise at length in Chapter 6.
254
Cost may be one of the reasons why such teams (and clinical ethicists particularly) are thin on the ground.
See J. SAUNDERS, Developing clinical ethics committees, in Clinical Medicine, 4, 2004, 232.
250
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Essays
«…the ou t a ot say at this poi t hethe a spe ifi ourse of treatment ... would at some
future date be in her best interests. Whether or not it is in her best interests will depend on
the circumstances as they arise, and it must be left to the clinicians to make that decision in
consultation with family members having regard to all relevant circumstances»249.
159
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160
The composition and views of such a team may vary greatly, but would generally be drawn from the
local institution/hospital/trust (and the community it serves). The clinical team (doctors, nurses and
allied healthcare professionals)255 a d the patie t’s p o y256 are the fundamental participants – but it
is the other participants that separate this specialist MDT process from the more usual clinical MDT
fa ily eeti g. The ole of elfa e e pe ts , such as social workers and psychologists, may be extended from their more customary role in cases regarding children to patients across the board. A
hospital t ust’s legal ep ese tatives add offi ial authority to the proceedings257. Finally, this MDT
would incorporate the services of a local clinical ethics committee (CEC)258.
The CEC «is legitimized as an expression of certain themes of democratic liberalism, including especially the notion that moral controversies are best resolved through a process that takes into account
multiple perspectives of the nature of the good life»259. Functions of CECs include case review, procedural advice, and education of staff260. Hence they aim to be practical, as well as considerate of
those involved: these committees generally maintain that discussion of the case and the acceptance
of the outcome are optional261. This is respectful, but also prone to failure when its processes are not
actively integrated into everyday practice. It also recognises the risk of doctors feeling monitored, or
the concern that they call for help merely to avoid litigation262. Only through experience and interaction will the practice develop, and the doctor and patient/proxy need to see this process as real and
not a philosophical or legal exercise. What is the benefit of a clinical ethicist then? Lamb suggests
that these professionals possess «... an ability to reason well, avoid errors in argument, and recognise
them in the arguments of others»263. Sometimes the reality of a situation causes the parties involved
to lose these abilities, and an external arbiter can provide a new perspective. In this way, the ethical
values of the o di a y pe so ’ ay also e ep ese ted.
This same decision-making process can be used for patients with capacity as for those without. It
may be adapted to suit the specific circumstances of the particular patient at that particular time;
and the process will remain near to the patient, both in site and in focus. The presence of such a multidisciplinary team does not guarantee resolution, but it is a practicable step that may diminish the
need for a future judicial solution. By addressing the issues raised in this essay, the specialist MDT
may provide certain answers to vexing questions.
255
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E.g. J. CURTIS, J. VINCENT, Ethics and end-of-life care for adults in Intensive Care Unit in Lancet, 375, 2010,
1349. Good interdisciplinary collaboration has been shown to result in improved outcomes not only for
patients and families but also for intensivists (for whom poor teamwork is associated with burnout, stress and
depression).
256
By default the patient lacking capacity will usually not be able to engage in such a process.
257
The proxy would naturally be entitled to similar representation.
258
The CECs usually have a lay-delegate, representing the community-at-large.
259
J. MORENO, Ethics Committees and Ethics Consultants in H. KUHSE, P. SINGER (eds.) A Companion to Bioethics,
Malden, 2009, 576.
260
UK CLINICAL ETHICS NETWORK (UKCEN), Recognising, preventing and resolving ethical dilemmas in health-care,
2014, 4. www.ukcen.net (last visited 19/4/2015).
261
UK CLINICAL ETHICS NETWORK (UKCEN), op.cit., 4: «CECs are not decision-making bodies – they advise clinicians of
the ethical implications of different courses of action».
262
J. MORENO, op.cit., 576-579.
263
D. LAMB, op.cit., 11.
Medical decision- aki g he a t et e t is dee ed to e futile
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The courts in England have grappled with the legal (and at times, moral) duties of those involved in
medical decision-making: while certain concepts have been clarified, others remain debated. However, the Supreme Court has recently provided practical guidance to assist with decision-making, in regards treatment that has been described as futile, when that patient lacks the capacity to make a decision for herself.
I agree, and have argued, that the best interests standard provides an appropriate means of assessing the overall benefit of a suggested management plan. I have argued also that futility, even
though a morally ambiguous term, has its merit as an essentially-subjective concept (which is amenable to objective medical interpretation) – when applied carefully in the decision-making process.
Being aware of the means of reaching a decision is an imperative, since it is often the process of
reaching the outcome, rather than the outcome itself, which is at the root of a dispute between decision-makers.
Finding sensible solutions that are in line with legal and moral guidance, as well as being practical, is
a difficult (but not impossible) task. These solutions go some way to providing answers to the questions: who ought to decide that further treatment is considered futile; and how ought this decision to
be made? I have concluded that only by respecting the individual can a decision that truly represents
her best interests be made. This involves balancing the subjective opinions of the patient against the
objective assessments of others. Reliance on a unilateral decision, made by any of these parties, fails
to appreciate the complexity of the legal and moral issues that arise in such decision-making. When
there is dispute regarding a treatment that is considered futile, the best interests standard should be
applied by a specialist multidisciplinary team, whose focus remains on the patient. The fact that a patient cannot speak, does not mean that her voice should not be heard; quite the opposite, it should
guide the decision-making process.
The swinging pendulum of authority associated with the doctor-patient partnership, as well as the
legal change in recent years, suggests that we have not heard the last of this debate. But there is,
u e tly, the oppo tu ity to put i to p a ti e at the patie t’s edside the ala i g e e ise that
may otherwise take place in a courtroom. Perhaps more than any other, this simple, practical step of
being near the patient reminds the decision-makers that this process must focus not on their disputes, but solely on the patient.
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Essays
5. Conclusion
161
Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
a is o delle ragioni della compassione
Vitulia Ivone
NOTES ON THERAPEUTIC USE OF CANNABIS: REASONS FOR COMPASSION
ABSTRACT: In the reconstruction of the therapeutic use of cannabis, this paper starts
from the constitutional principle of health read through the reasons for the economic
crisis and the implications of defensive medicine. Cannabis can play a crucial role in
cases of severe pain, to allow patients a dignified life.
KEYWORDS: therapeutic use of cannabis; compassionate use; defensive medicine; right
to health; therapeutic freedom
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive: nuove frontiere della medicina e diritti del paziente. – 2. La tutela del
diritto alla salute tra esigenze della persona e crisi economica. – 3. L’i g esso della Legge Balduzzi e il criterio
del superamento (apparente) della medicina difensiva. – 4. Il trattamento del dolore e le sue variabili. – 5. Lo
stato attuale della normativa in materia di cannabis. – 6. Il persistente divieto di coltivazione. – 7. La
disomogeneità delle leggi regionali sull’utilizzo terapeutico dei cannabinoidi: il paradigma del Veneto. – 8. La
cannabis e il più ampio tema delle droghe: politiche globali ed esigenze di separazione ontologica tra gli ambiti
di riflessione. – 9. Considerazioni a margine: il superamento delle ragioni della compassione come contenuto
minimo del diritto alla salute.
1. Considerazioni introduttive: nuove frontiere della medicina e diritti del paziente
L
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o studio della natura umana – nel patologico dispiegarsi della malattia e del dolore fisico e
morale – ha da sempre chiesto alla medicina risposte soprattutto in relazione alla paura del
futuro e della morte.
Dal XIX secolo in poi, il benessere del paziente è considerato un obbligo prioritario del medico – ed
un altrettanto ineludibile obbligo della società intera – che deve operare per rendere ugualmente accessibile a tutti u ’assistenza sanitaria adeguata. È sempre più largamente condiviso il riconoscimento del diritto del paziente all’autonomia e, soprattutto, all’i fo azio e, che deve precedere
l’eve tuale consenso ai trattamenti che il medico ha il dovere di proporre sulla scorta delle conoscenze del momento storico in cui opera e le specifiche necessità del paziente1.

Professore associato di Istituzioni di diritto privato, direttore del Comitato scientifico della Fondazione Scuola
Medica Salernitana. Contributo sottoposto a doppio referaggio anonimo.
1
Il tema del consenso informato nei trattamenti medici ha oramai da decenni valicato i confini della filosofia
etica e della deontologia medica, per approdare nei testi normativi, imponendosi all’atte zio e dei giuristi
teorici, quale capitolo fondamentale delle riflessioni intorno al c.d. biodiritto, e altresì alimentando un
significativo filone di decisioni della giurisprudenza di legittimità con cui e` stato delineato lo statuto giuridico
del rapporto tra medico e paziente. Si leggano, tra le prime ed autorevoli riflessioni in dottrina, S. PUGLIATTI,
L’atto di disposizione e il trasferimento dei diritti, in S. PUGLIATTI, Diritto civile. Metodo, teoria, Pratica, Milano,
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Considerazioni sull’uso terapeutico di cannabis
o delle ragioni della compassione
163
Vitulia Ivone
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164
Nonostante tali premesse, la ricerca di una completa intesa sugli scopi della medicina e sui significati
profondi di tali scopi, produce contrasti di non facile conciliazione, specie relativamente agli aspetti
più innovativi e di confine degli atti medici2.
Inoltre, la crisi economica mondiale ha fatto sì che prevalessero gli aspetti gestionali ed organizzativi,
i costi ed i finanziamenti, le priorità burocratiche e i risultati operativi, l’effi ie za di certi reparti o di
certe ricerche a detrimento di altre, soltanto a causa di ragioni economiche, dell’asse za di risorse e
di eventuali ricadute occupazionali3.
Il settore sanitario è in continua evoluzione e l’o iettivo di raggiungere l’e uili io economicofinanziario è difficilmente perseguibile attraverso una riduzione dei costi o una semplice razionalizza-
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1951; M. PARADISO, Il dovere del medico di informare il paziente. Consenso contrattuale e diritti della persona, in
A.A.V.V., La responsabilità medica, Milano, 1982; F. GALGANO, Contratto e responsabilità contrattuale
nell'attività sanitaria, in Rivista trimestrale di Diritto processuale civile, 1984, 721; M. COSTANZA, Informazione
del paziente e responsabilità del medico, in Giustizia civile, I, 1986, 1432 ss.; L. ROSSI CARLEO, Brevi considerazioni
sulla problematica della forma del consenso negli atti di disposizione del corpo, in A.A.V.V., La forma degli atti di
diritto privato. Studi in onore di M. Giorgianni, Napoli, 1988; G. GRISI, L’o ligo precontrattuale di informazione,
Napoli, 1990; R. ROMBOLI, Limiti alla libertà di disporre del proprio corpo nel suo aspetto attivo e in quello
passivo , in Foro italiano, I, 1991, 15 ss.; R. DE MATTEIS, La responsabilità medica: un sottosistema della
responsabilità civile, Padova, 1995; A. SANTOSUOSSO, Il consenso informato, Milano, 1996; C. CASTRONOVO, Profili
della responsabilità medica, in A.A.V.V., Studi in onore di Pietro Rescigno, V, Milano, 1998, 125 ss.; G. FERRANDO,
Consenso informato del paziente e responsabilità del medico. Principi, problemi e linee di tendenza, in Studi in
onore di Pietro Rescigno, cit., 199 ss. e spec. 231 ss.; A. DONATI, Consenso informato e responsabilità da
prestazione medica, in Rassegna di diritto civile, 2, 2000, 1-47.
Il consenso libero e informato, ell’a ito della Carta di Nizza, trova un preciso riconoscimento come
espressione del diritto all’i teg ità della persona, da tutelare nel campo della medicina e della biologia (art. 3,
par. 2). La norma si colloca nel Capo I, rubricato «Dignità», che raggruppa 5 articoli, dedicati alla dignità umana
(art. 1), al diritto alla vita (art. 2), al diritto all’i teg ità della persona (art. 3), alla proibizione della tortura e
delle pene o trattamenti inumani o degradanti (art. 4) e alla proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (art.
5). Si vedano, M. CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, in Giornale di diritto amministrativo, 3, 2010, 221; V. SCALISI, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio personalista in
Italia e nell’Unione Europea, in Rivista di diritto civile, I, 2010, 157.
2
Si ricordi in questa sede, la grande lezione di Hans Jonas (Tecnica, medicina ed etica, Torino, 1997) per il quale
«Il processo di conoscenza avanza in interazione con quello tecnologico e ciò nel senso più intimamente vitale:
per i propri scopi teorici la scienza ha bisogno di una tecnologia sempre più raffinata e fisicamente potente
come strumento che essa stessa produce per sé, cioè commissiona alla tecnica». Sul tema dell’a te medica,
Jonas afferma che gli enormi sviluppi tecnologici e scientifici hanno mutato la situazione anche in questo
campo e neppure la medicina è riuscita a sottrarsi alla sindrome tecnologica.
3
Cfr. F. POLESE, Management sanitario in ottica sistemico vitale, Torino, 2013, 24: «Il settore sanitario è in
continua evoluzione in quanto le aziende che vi appartengono sono fortemente influenzate, in termini di
comportamenti, performance e modelli competitivi, dai cambiamenti che interessano l’a ie te esterno. La
struttura del settore sanitario può essere influenzata da diverse variabili. La prima è rappresentata dalla
distribuzione delle responsabilità tra il Governo nazionale e le amministrazioni regionali. Una seconda variabile,
che determina significativi cambiamenti strutturali all’i te o del SSN, è da ricercare nei mutamenti degli
aspetti demografici e sociali che interessano la popolazione». Si veda, altresì, L. CUOCOLO, A. CANDIDO, L’incerta
evoluzione del regionalismo sanitario in Italia, in www.forumcostituzionale.it, 23 settembre 2013, spec. 38; L.
MONTEFERRANTE, La dignità della persona umana tra istanze di tutela dei diritti sociali ed esigenze di
contenimento della spesa pubblica: prospettive a confronto, in G.C. DE MARTIN, D. MORANA (a cura di),
Amministrazione e democrazia, Padova, 2013, 111 e ss.; M. SESTA, L' erogazione della prestazione medica tra
diritto alla salute, principio di autodeterminazione e gestione ottimale delle risorse sanitarie, Santarcangelo di
Romagna, 2014, 167.
Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
a is o delle ragioni della compassione
La tutela della salute come diritto fondamentale dell’i dividuo ed interesse della collettività è garantita, nel
rispetto della dignità e della libertà della persona umana, tra gli scopi perseguiti dal Servizio Sanitario
Nazionale. Istituito nel 1978, con la legge n.833 che ne indica i principi, le competenze e le strutture, il
personale, i criteri di finanziamento, le procedure e le norme, è stato emendato nel 1999 con una riforma,
espressione di una interpretazione legislativa e giurisprudenziale che ha superato i limiti dell’assiste za
sanitaria ed ospedaliera di cui all’o igi a io art.117 Cost. Completata dalla revisione costituzionale del 2001, la
riforma vede confermare le linee di fondo relative alla costituzionalizzazione della competenza statale in ordine
alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale, nonché per quanto riguarda l’este sio e della potestà legislativa dell’i te o campo
della tutela della salute.
5
I temi dell’i fo azio e e del consenso nella relazione terapeutica sono da decenni all’atte zio e della
dottrina. Nella consapevolezza che il carattere dell’esaustività sia destinato ad essere evaso, si segnalano – tra
gli altri – i contributi di F. MANTOVANI, Il consenso informato: pratiche consensuali, in Rivista italiana di medicina
legale, 1, 2000; M.C. VENUTI, Gli atti di disposizione del corpo, Milano, 2002; S. CACACE, Informazione, consenso e
rifiuto di cure. (il)liceità del trattamento sanitario, in G. COMANDÉ (a cura di), Diritto privato europeo e diritti
fondamentali, Torino, 2004; C.M. D’ARRIGO, Il contratto e il corpo: meritevolezza e liceità degli atti di
disposizione dell’integrità fisica, in Familia, 4, 2005; G. ALPA, Il principio di autodeterminazione e le direttive
anticipate sulle cure mediche, in Rivista ciritica di diritto privato, 24(1), 2006; G. FACCI, Violazione del dovere di
informazione da parte del sanitario e risarcimento del danno, in Responsabilità civile e previdenza, 1, 2006, 4155; G. FERRANDO, Stato vegetativo permanente e sospensione dei trattamenti medici, in Testamento biologico.
Riflessioni di dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi, 2006; A. PINNA, Autodeterminazione e consenso: da
regola per i trattamenti sanitari a principio generale, in Contratto e imprese, 2006; S. RODOTÀ, La vita e le regole.
Tra diritto e non diritto, Milano, 2006; L. VIOLINI, A. OSTI, Le linee di demarcazione della vita umana, in M.
CARTABIA (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee,
Bologna, 2007, 185 ss.; P. ZATTI, Il corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in La nuova giurisprudenza civile
commentata, 1, 2007, 1-18; G. CRICENTI, I diritti sul corpo, Napoli, 2008; L. D’AVACK, Sul consenso informato
all’atto medico, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2, 2008, 759 ss.; D. MESSINETTI, L’autodeter inazione
dispositiva della persona e il valore della libertà del soggetto, in Rivista critica di diritto privato, 4, 2008, 547558 ss.; G. MONTANARI VERGALLO, Il rapporto medico paziente. Consenso e informazione tra libertà e
responsabilità, Milano, 2008; G.U. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario
secondo l’art. , co.2° Cost., al principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, in Diritto pubbilico, 1,
2008; D. CARUSI, Tutela della salute, consenso alle cure, direttive anticipate: l’evoluzione del pensiero
privatistico, in Rivista critica di diritto privato, 1, 2009; C. CASONATO, Introduzione al biodiritto, Torino, 2009; T.
PASQUINO, Autodeterminazione e dignità della morte. Saggio di diritto civile, Padova, 2009; B. SALVATORE, Per uno
studio sul consenso informato, in Diritto e giurisprudenza, 1, 2009, 33-53; U. CARNEVALI, Omessa informazione da
parte del medico, danno da trattamento terapeutico e ipotetica scelta del paziente, in Responsabilità civile e
previdenza, XI, 2010; C. CASTRONOVO, Autodeterminazione e diritto privato, in Europa e diritto privato, 2010,
1037-1071; C. MARINI, Il consenso, in Trattato di biodiritto, diretto da S. RODOTÀ e P. ZATTI, Ambito e fonti del
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4
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Essays
zione delle risorse: l’elefa tia a macchina organizzativa del SSN, pur nella nobile impostazione di
fondo che ne ha caratterizzato la nascita, trova nella scarsità delle risorse finanziarie e nella farraginosa interpretazione organizzativa realizzata a livello territoriale, i più grandi ostacoli nel perseguimento delle sue finalità4.
Ciononostante, permane viva l’atte zio e verso i diritti del paziente nei trattamenti medici: essa ha
proceduto di pari passo con l’i po ta za che ha assunto il rispetto della dignità umana quale fondamento di convivenza civile tra gli individui. In ambito medico tale valore si riconosce ed opera
ell’a ito della tutela del diritto alla salute e al consenso informato del paziente, il quale deve poter conoscere in anticipo i vantaggi e le eventuali controindicazioni del trattamento cui andrà a sottoporsi, per poter liberamente autodeterminarsi nelle scelte in tema di salute5.
165
Vitulia Ivone
Essays
166
Gli ultimi decenni hanno portato in evidenza due fattori: da un lato, l’e e ge e di nuove patologie –
in particolare neurologiche – per le quali i risibili contributi conferiti dallo Stato al comparto della ricerca non riescono a produrre progressi sempre significativi e, dall’alt o, una ipertrofia delle burocrazie italiane e una sostanziale cecità del legislatore che hanno generato un vulnus nel difficile e delicato segmento della salute.
Le note vicende del testamento biologico e del consenso informato, delle pratiche eugenetiche, della
procreazione medicalmente assistita, del diritto all’euta asia, della sperimentazione dei farmaci lasciano emergere – dentro e fuori le aule di giustizia – la necessità che il confronto interdisciplinare
diventi il piano sul quale sperimentare un reale ed efficace stato di avanzamento della riflessione sulla salute della persona.
Nell’espe ie za medica il dolore rappresenta una tra le manifestazioni più importanti della malattia6;
inoltre, fra i sintomi, è quello che tende a minare maggiormente la qualità della vita. Una sua gestione errata o del tutto assente crea conseguenze fisiche, psicologiche e sociali molto importanti, soprattutto nelle forme di dolore più invalidanti – quali quelle croniche – in cui l’assiste za al malato
rappresenta una vera e propria emergenza per il sistema sanitario italiano7.
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biodiritto, a cura di S.RODOTÀ e M. TALLACCHINI, Milano, 2010; F.D. BUSNELLI, problemi giuridici di fine vita tra
natura ed artificio, in Rivista di diritto civile, I, 2011; G. CRICENTI, Diritto all’autodeter inazione? Bioetica
dell’autono ia privata, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 4, 2011, 203-221; G.RESTA, La
disposizione del corpo. Regole di appartenenza e di circolazione, in Trattato di biodiritto, diretto da S.RODOTÀ e
P.ZATTI, Il governo del corpo, I, Milano, 2011; S. STEFANELLI, Autodeterminazione e disposizioni sul corpo, Perugia,
2011; E. CAVASINO, La flessibilità del diritto alla salute, Napoli, 2012; S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, RomaBari, 2012.
6
Non vi è dunque nessun dubbio, nemmeno sul piano formale della normazione etico-professionale, che
l’attività di palliazione appartenga a pieno titolo all’attività professionale degli operatori sanitari. Si tratta
certamente di u ’i ovazio e – tra le tante – rispetto alle indicazioni del Giuramento Ippocratico: essa dipende
più da u ’evoluzio e delle possibilità curative, che da una modifica del genuino spirito ippocratico, il quale
rimane sostanzialmente immutato nella s ie za e os ie za di un operatore prioritariamente dedicato a
preservare la vita e la salute dei pazienti, ed a contribuire per quanto possibile al ripristino delle loro condizioni
fisiologiche o almeno a garantire u ’a etta ile qualità di vita. Così, G. LA MONACA, C. SARTEA, Cure palliative:
profili deontologici e giuridici, in MEDIC, 22(1),2014, 27-31.
7
Negli ultimi anni la rete ospedaliera è stata oggetto di un incisivo processo di ristrutturazione che ha
comportato anzitutto una cospicua riduzione del numero di strutture di ricovero sia pubbliche che equiparate,
nonché un sostanziale mantenimento delle strutture di assistenza private accreditate. Nell’otti a di garantire la
massima copertura possibile nella fornitura del servizio sanitario nazionale su base locale, sono sorte nel tempo
diverse forme di assistenza, tra cui il Day Hospital e l’assiste za domiciliare integrata. Attualmente, possiamo
distinguere quattro aree distinte di assistenza sanitaria: l’a ea diagnostica, prevista per le indagini
polispecialistiche di accertamento che richiedono particolare assistenza; l’a ea terapeutico-medica, pensata per
cure che richiedono il continuo monitoraggio delle condizioni dell’i te essato; l’a ea chirurgica, per interventi
in sala operatoria e l’a ea riabilitativa idonea al recupero e alla rieducazione delle funzioni corporee. Negli
ultimi anni, la necessità di riallocare risorse e servizi, originariamente di competenza degli ospedali, si è
tradotta in un considerevole rafforzamento delle strutture territoriali, la cui gestione è sempre più affidata ad
attori privati. ìi e zio i a he il fe o e o dell’ADI Assiste za Do i ilia e I tegrata), molto caro
all’atte zio e degli studiosi a e i a i: L.O. HANSEN, R. S. YOUNG, K. HINAMI, A. LEUNG, M. V. WILLIAMS,
Interventions to Reduce 30-Day Rehospitalization: A SystematicReview in Annals of Internal Medicine, 155,
2011, 520-528. In Italia, pur nella generale e diffusa considerazione che si tratti di un fenomeno di
umanizzazione della cura., le dimissioni protette e la loro operatività sono affidate alla sensibilità degli
operatori della salute.
Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
a is o delle ragioni della compassione
2. La tutela del diritto alla salute tra esigenze della persona e crisi economica
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Nella Carta costituzionale italiana il diritto alla salute viene trattato all’a t. 32 che, in modo esplicito,
protegge la salute come «diritto fondamentale dell’i dividuo» e come «interesse della collettività».
La salute è riconosciuta sia come tradizionale diritto di libertà, sia come diritto sociale di prestazione,
che trova collocazione nella espressa garanzia di «cure gratuite agli indigenti». Questi due aspetti
condizionano la concreta dimensione del diritto alla salute ell’ordinamento giuridico italiano e sono
stati oggetto della riflessione della dottrina negli anni Ottanta del Novecento10.
La protezione costituzionale, infatti, non riguarda soltanto la sfera delle pretese soggettive, ma è
estesa e, in molti casi, condizionata dalla dimensione superindividuale del bene salute. Invero, le diverse dimensioni della salute – tanto individuale, quanto collettiva – nonché il carattere dichiarata-
Gli interventi programmati di ADI non sono presenti in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale e, anche
laddove il servizio venga offerto a pieno regime, spesso rischia di perdere efficacia e appropriatezza se non
viene basato su una valutazione condivisa (con relativo piano di assistenza) tra il personale del reparto
dimissionario e gli operatori del territorio. Ulteriore situazione di complessità è infatti l’atavi a mancanza di un
dialogo tra l’istituzio e ospedaliera e i servizi territoriali.
8
Il riferimento è alla ricostruzione effettuata da quella dottrina (L. CHIEFFI, (a cura), Il diritto alla salute alle
soglie del terzo millennio. Profili di ordine etico, giuridico ed economico, Torino, 2003, 125) secondo la quale il
«il principio e il diritto salute … sono un pregnante luogo campione dei diritti fondamentali».
9
Come è noto, i caratteri normativi del processo di integrazione europea hanno provocato – anche sul piano
costituzionale – l’att azio e dei valori del mercato e della libera concorrenza nella sfera dei principi
costituzionali, realizzando un indebolimento di tali principi che sarebbero come «privi di efficacia propulsiva»,
come sostenuto da N. IRTI, voce Diritto privato, in Digesto italiano, Torino, 1990, 143. La stessa giurisprudenza
costituzionale, in alcune pronunce della fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ha contribuito ad avallare una
lettu a dell’a t.
Cost. o ie tata ad «appiatti e la disti zio e t a la di e sio e e o o i a e uella
personalistica del diritto ad essere curati», derivando dal riconoscimento del diritto alla salute «conseguenze
economico-pat i o iali he o vi so o logi a e te o esse»: uesta l’i postazio e di M. LUCIANI, Brevi
note sul diritto alla salute nella più recente giurisprudenza costituzionale, in L. CHIEFFI (a cura di), Il diritto alla
salute alle soglie del terzo millennio, cit., 128.
10
Gli studi intorno al problema della natura e del contenuto del diritto alla salute hanno segnato due direttrici
di pensiero: la prima tendenza è stata quella volta a costruire il diritto alla salute come fascio di situazioni
giuridiche soggettive che possono ricevere immediata tutela sia nei confronti dei pubblici poteri che dei poteri.
Tale è l’i postazio e pluridimensionalità del diritto alla salute, di cui parla diffusamente B. PEZZINI, Il diritto alla
salute: profili costituzionali, in Diritto e società, 1983, 25. La seconda linea di tendenza è quella volta ad evitare
che la questione dell’effettività del diritto alla salute si chiuda soltanto nel quadro delle garanzie giurisdizionali
della rigidità costituzionale. Così, E. CAVASINO, La flessibilità del diritto alla salute, Napoli, 2012, 18.
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Essays
Viene in evidenza l’i po ta za di una riflessione sull’utilizzo dei farmaci, in particolare sugli oppiacei,
farmaci che scontano una lunga storia di pregiudizi – legati al loro uso cd. voluttuario – e mancata
conoscenza delle loro potenzialità, che ne hanno impedito un corretto sfruttamento dal punto di vista clinico.
La riflessione intende inquadrare il tema del dolore cronico ell’alveo del diritto costituzionale alla
salute che – in quanto bene/diritto a struttura complessa8 – ha subito significativi cambiamenti negli
ultimi decenni, in un contesto che ha, di fatto, determinato sensibili adeguamenti delle forme di attuazione costituzionale alle nuove contingenze economiche e sociali9.
167
Vitulia Ivone
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168
mente fondamentale o primario delle diverse situazioni giuridiche ad essa riconducibili, implicano il
continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali.
Il bene salute è un valore primario dell’o di a e to costituzionale, che comprende un fascio di situazioni soggettive, strutturalmente riconducibili tanto allo schema della libertà negativa, quanto a
quello della libertà positiva e che produce specifiche conseguenze, anche in ragione dello stile di vita
adottato dal singolo.
Il concetto di salute non è assoluto e definito, ma collegato e dipendente da importanti corollari che
lo caratterizzano: capacità del soggetto di perseguirla, progettualità nelle scelte di vita, capacità/possibilità di fruizione dei beni sanitari, risorse ed esperienze personali, contesto ambientale in cui
si vive, specifiche condizioni socio-economiche.
Difatti, oltre a condizionare in maniera determinante lo stato di salute degli individui, lo stile di vita
rappresenta un costo sociale che si riversa sull’i te a collettività11, soprattutto quando l’asse za di
salute è scandita dalla presenza del dolore, fattore che tende ad aumentare lo stato di disagio della
persona inferma, rendendola incapace di vivere il quotidiano senza il sostegno farmacologico o
l’assiste za di personale specializzato.
Il tema del dolore non può essere affrontato senza il dovuto inquadramento del suo o t appeso ,
ovvero il generale discorso sulla dignità dell’uo o quale sfera intangibile e non violabile da parte di
altri individui12.
Il tema dello stile di vita collegato al diritto alla salute ha assunto una importanza significativa tale da aprire il
problema di individuare gli strumenti giuridici idonei ad incentivare l’adozio e di stili di vita maggiormente
salutari. Come è stato osservato (C. MAGLI, Diritto alla salute e stili di vita: La condotta del singolo può
condizionare la modulazione del trattamento sanitario?, in Contratto e impresa, 6, 2014), «si tratta di verificare
in quale maniera il legislatore possa intervenire per indurre gli individui a compiere scelte maggiormente
improntate alla prevenzione e ciò affinché vengano limitati gli oneri connessi alla conduzione di stili di vita
imprudenti. Sul punto, occorre osservare come, a tal fine, il legislatore medesimo abbia la possibilità di
scegliere tra diverse opzioni come, per esempio, prevedere specifici divieti legislativi diretti a disincentivare il
consumo di sostanze potenzialmente pericolose, avvalersi di u ’i posizio e fiscale specificamente diretta a
dissuadere dal consumo di sostanze potenzialmente nocive per la salute nonché anche indurre le imprese
produttrici a porre sul mercato prodotti più sicuri, sia attraverso la predisposizione di apposite normative in
materia di sicurezza di prodotti, sia anche ricorrendo alle regole che governano la responsabilità civile».
12
Si ricordi il riferimento diretto al concetto di dignità umana contenuto nel primo articolo della Grundgesetz
tedesca che recita: «(1) Die Würde des Menschen ist unantastbar. Sie zu achten und zu schützen ist Verpflichtung aller staatlichen Gewalt. (2) Das Deutsche Volk bekennt sich darum zu unverletzlichen und unveräußerlichen Menschenrechten als Grundlage jeder menschlichen Gemeinschaft, des Friedens und der Gerechtigkeit in
der Welt. (3) Die nachfolgenden Grundrechte binden Gesetzgebung, vollziehende Gewalt und Rechtsprechung
als unmittelbar geltendes Recht».
Il testo costituzionale dedica l'art.1 alla tutela della dignità umana, che viene dichiarata valore fondamentale
intangibile. Essa è considerata principio insormontabile, al quale tutti gli altri diritti fondamentali devono
ispirarsi. In base al dato costituzionale emerge, infatti, un rapporto di derivazione di tutti i diritti soggettivi
fondamentali dalla dignità.
L'impegno dei padri costituenti è stato, infatti, quello di stabilire la Unantastbar (intangibilità, intoccabilità)
della dignità umana, che, secondo una simile chiave di lettura, diviene la Grundnorm (norma fondamentale) di
matrice kelseniana, posta al vertice dell'ordinamento giuridico dello Stato, alla quale deve ispirarsi la
legislazione dello stesso.
La Menschenwürde è elemento di diversità dell'uomo da tutti gli altri esseri viventi e svolge un ruolo di garanzia
di base assieme agli altri diritti fondamentali previsti e garantiti dalla Costituzione Tedesca; grazie ad essa
11
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l'essere umano non è considerato un mero oggetto all'interno della società, ma soggetto al quale è riservata
protezione sia dalle possibili invasioni dello Stato nella sua sfera giuridica, che da quelle degli altri consociati.
Si veda S. TORDINI CAGLI, Principio di autodeterminazione e consenso dell'avente diritto, Bologna, 2008.
13
S. RODOTÀ, M. TALLACCHINI, Ambito e fonti del biodiritto, Torino, 2010, 181.
14
E. CECCHERINI (a cura di), La tutela della dignità dell’uo o, Napoli, 2008, 73; U. VINCENTI, Diritti e dignità
umana, Roma-Bari, 2009, 128; S. RODOTÀ, Antropologia dell’ho o dignus, in Rivista ciritica di diritto privato,
2010, 551; G. MONACO, La tutela della dignità umana: sviluppi giurisprudenziali e difficoltà applicative, in Politica e diritto, 2011, 59. In particolare, si veda L. LONARDO, Il valore della dignità della persona, in Rassegna di diritto civile, 3, 2011, 770.
15
Il riferimento è al pensiero del teorico tedesco E. BÖCKENFÖRDE, Dignità umana e bioetica, Brescia, 2010, 57, il
quale – in quanto esponente della migliore tradizione giuridica continentale che ha saputo tenere insieme la
consapevolezza della politicità del diritto e la certezza che la politica privata di limiti giuridico-costituzionali sia
destinata alla negazione di se stessa e dei suoi scopi ordinativi – ha collocato la dignità quale medium tra etica e
diritto, nella sua qualità di principio positivo e costitutivo: la scelta del costituente tedesco di collocare la
dignità umana quale precedente fondativo all'interno della cornice normativa rappresentata dalla Costituzione,
ha prodotto come risultato la sua sovraordinazione e la sua sottrazione ad ogni attività di manipolazione
ermeneutica.
16
Importante appare la posizione del teorico tedesco Herdegen (M. HERDEGEN, Menschenwürde im
Flußdesbioethiscen Diskurses, in Juristenzeitung, 2001, 773), il quale polemizzando con i fautori della visione
trascendente della dignità intesa in senso teologico, afferma che la soggettiva colorazione attribuita alle
naturrechtlicher Forderungen comporta una crescente eterogeneità etica nelle società occidentali.
17
La grande rilevanza del tema della dignità emerge con chiarezza nei più importanti documenti internazionali
adottati negli ultimi anni. In quanto parametro fondamentale per la valutazione della liceità delle attività
medico scientifiche interferenti con la sfera della persona, essa trova spazio nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea che si apre con la proposizione: «la dignità umana inviolabile. Essa deve essere rispettate
tutelata». Altresì, la Convenzione del Consiglio d'Europa sui diritti dell'uomo e la biomedicina del 1996, dopo
aver riconosciuto nel preambolo l'importanza di assicurare la dignità dell'essere umano, proclama dell'art. 1,
che: «Le Parti di cui alla presente Convenzione proteggono l'essere umano nella sua dignità nella sua identità e
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Essays
In via interpretativa, si può far rientrare la tutela della dignità ell’a t. 2 Cost., configurandola come
un diritto inviolabile e naturale, connaturato alla stessa esistenza dell’uo o.
Il riferimento al libero sviluppo della personalità si rafforza con la nuova dimensione dell’eguaglia za
contenuta nel successivo art.3 che menziona in maniera esplicita la dignità «sociale». La rilevanza
della persona, e l’o ligo di rispettarla, compaiono altri nel secondo comma dell’a t. dedicato al
diritto alla salute che, con una intuizione anticipatrice, dà rilievo al rapporto tra persona e corpo:
l’i viola ilità della dignità della persona si concretizza ell’i viola ilità del corpo13.
La dignità umana è concetto molto vasto e complesso, inevitabilmente legato all'evoluzione storica
del singolo Stato: essa non è una res dotata di consistenza materiale, ma criterio regolativo di altre
entità, cioè di fatti e comportamenti umani irripetibili14.
Sul piano teorico-generale e in ambito biogiuridico, la clausola della dignità umana non è estranea a
profili interpretativi non sempre univoci. Nell’attuale relativismo dei valori, accanto a chi ha inteso
attribuire alla dignità il carattere della intangibilità e dunque la sua sottrazione ad operazioni di restrizione o bilanciamento15, di differente opinione è chi ha intuito il potenziale divisivo insito nella
clausola di dignità, negando una sua visione metafisica e trascendente che ne impedirebbe un corretto inquadramento in ordinamenti costituzionali aperti e pluralisti16.
La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uo o ha inteso –ripetutamente – affermare la
salvaguardia della dignità umana17.
169
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170
La persona umanaha acquisito nel contesto normativo europeo e ell’azio e comunitaria quella posizione centrale da tempo auspicata e ormai ineludibile. A seguito dell’e t ata in vigore del Trattato di
Lisbona, il riformato art. 6, par. 1 del TUE attribuisce, infatti, alla Carta lo «stesso valore giuridico dei
trattati», consacrando così la vincolatività dei diritti fondamentali in essa enunciati. L’Europa dei diritti individuali è ancora più esplicita verso la dignità umana con la Carta dei diritti fondamentali
dell’U io e Europea di Nizza, laddove l’a t. 1 recita: «La dignità umana e` inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».Quali corollari di tale principio si pongono, poi, gli articoli successivi, i quali
tutelano il diritto alla vita e alla integrità della persona.
Nel perseguimento della dichiarata intenzione di «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzio e della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici», il diritto alla dignità e quello al consenso informato rientrano nel novero dei di itti uovi , che, seppure
enunciati in giurisprudenza sulla base di clausole aperte18, non trovano riferimenti espliciti nelle Costituzioni nazionali degli Stati membri. In questa prospettiva, vale il richiamo alla Convenzione sui Diritti dell’Uo o e la biomedicina, sottoscritta a Oviedo il 4 aprile 1997 e a uell’a pio orientamento
giurisprudenziale dei Paesi europei ed extracomunitari, che ha determinato un diffuso riconoscimento del diritto all’autodete i azio e individuale in campo medico e del suo principale strumento giuridico, ovvero il consenso informato, configurato come o dizio e di legitti ità del trattamento
sanitario19.
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garantiscono ad ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità dei suoi altri diritti e libertà
fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia della medicina». Nella stessa linea con la Dichiarazione sul
genoma umano e dei diritti dell'uomo del 1997, anche la Dichiarazione Unesco sulla bioetica e i diritti
dell'uomo del 2005 colloca tra i suoi obiettivi principali il rispetto della dignità umana.
Negli ultimi anni, il fenomeno del sovraffollamento carcerario – in ragione del raggiungimento di dimensioni
inumane – ha indotto i giudici di Strasburgo a prendere atto di tali condizioni, per violazione dell'art.3 CEDU.
Difatti, con la sentenza Torreggiani dell'8 gennaio 2013 che ha visto la condanna dell'Italia per trattamenti
inumani e degradanti nelle carceri (quantificando la compensazione pecuniaria per i danni morali subiti, nella
so
a di i a €
.
pe tutti i i o e ti , la Co te eu opea dei di itti dell'uo o ha i dotto il Gove o
italiano – con decreto-legge – e il Parlamento – successivamente in sede di conversione (decreto legge 26
giugno 2014, n. 92, così come convertito, con modificazioni, in legge, 11 agosto 2014, n. 117) – ad innovare il
l'ordinamento penitenziario italiano con l'inserimento dell'articolo 35 terra della l.n. 354 del 1975.
Già in precedenza, i giudici di Strasburgo (Sulejmanovic c. Italia) avevano sostenuto che, se lo Stato non
assicura al detenuto la reclusione in uno spazio sufficientemente ampio, tale da consentirgli «condizioni
o pati ili o il ispetto della dig ità u a a», viola l’a t. CEDU.
18
L. VIOLINI, A. OSTI, Le linee di demarcazione della vita umana, in M. CARTABIA (a cura di), I diritti in azione.
Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007, 185 ss.
Si ricordino, relativamente al tema delle sostanze psicotrope, La Convenzione unica sugli stupefacenti, del 30
marzo 1961; la Convenzione sulle sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 21 febbraio 1971 e la Convenzione
ONU contro la criminalità organizzata, datata 15 novembre 2000.
19
Per la prima chiara enunciazione di tale principio, cfr. Cass., 15 gennaio 1997, n. 364, in Giurisprudenza Italiana, 1998, 97. La più recente sentenza sul consenso informato è della Corte Suprema del Regno Unito (UK
Supreme Court, Montgomery v. Lanarkshire Health Boa d [
] UKìC
dell’11 marzo 2015) che, prendendo
le distanze dal precedente espresso nel caso Sidaway (1985), ha deciso che il paziente sia titolare di un diritto
ad essere pienamente informato sui rischi e sui trattamenti medici cui essere sottoposto e che la mancanza di
tali
informazioni
costituisce
un
motivo
di
responsabilità
medica.
Si
veda
http://www.biodiritto.org/index.php/item/634-uksc-montgomery (ultima consultazione 22.05.2015)
Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
a is o delle ragioni della compassione
3. L’ingresso della Legge Balduzzi e il criterio del superamento (apparente) della medicina
difensiva
Il bene giuridico salute rappresenta lo strumento per la piena realizzazione di una vita percepita come qualitativamente equilibrata tra le ragioni della mente e i bisogni del corpo. Una volta archiviata
la stagione del paternalismo medico, l’attuale protagonista dello stato di benessere è il paziente il
quale deve poter optare per una scelta libera e consapevole ell’app o io ad ogni tipo di trattamento sanitario a lui destinato. L’ese izio del diritto all’autodete i azio e individua nel percorso del
consenso/dissenso al trattamento medico la strada per il raggiungimento del principio costituzionale
alla salute.
A fronte di un quadro normativo sostanzialmente invariato dal 1942 ad oggi, si deve essenzialmente
al lavoro giurisprudenziale l’i te p etazio e in chiave evolutiva, segnatamente nei termini del perseguimento di una tutela piena ed efficace del diritto alla salute dei cittadini, di tutti i principali istituti
di questa delicata materia: dalla natura dell’o ligazio e del medico (se di mezzi o di risultato) alla
nozione stessa di diligenza, dal nesso di causalità ai danni risarcibili ed al riparto dell’o e e della prova, dalla natura delle linee-guida alla rinnovata qualificazione dei tipi di farmaci. Il legislatore si colloca, invece, sullo sfondo di questo percorso evolutivo, quantomeno sino all’e a azio e della Legge 8
novembre 2012, n. 189 che, convertendo con modificazioni il c.d. decreto Balduzzi del 13 settembre2012, n. 158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più
alto livello di tutela della salute», detta, seppure ell’a ito di un intervento normativo di più ampio
respiro e portata, norme sulla libera professione intramuraria, sulla riorganizzazione dei servizi territoriali, sulla sicurezza alimentare e le emergenze veterinarie, e sulla responsabilità dell’ese e te la
professione sanitaria.
Con l’e t ata in vigore della Legge n. 189, il legislatore italiano ha inteso prevedere il conseguimento
di due distinti obiettivi: anzitutto, –«promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di
tutela della salute», tramite l’adozio e di un diverso regime di responsabilità, sia penale che civile,
Sul tema della sicurezza sanitaria e della governance della salute pubblica a livello globale, si veda S. NEGRI, La
tutela della salute pu lica internazionale tra governance glo ale, sovranità sanitaria e diritti fondamentali,
in Studi in onore di Augusto Sinagra, 2013,
. L’aut i e affe a he «La ileva za della salute ai fi i del
perseguimento di altri obiettivi generali essenziali per la comunità, quali la tutela dei diritti umani, la sicurezza
internazionale e lo sviluppo sostenibile, emerge in maniera sempre più evidente nei documenti delle
o ga izzazio i i te azio ali e egli studi e e ti». Nel p egevole lavo o si sottoli ea l’e e sio e del uovo
costrutto di «salute globale» e di come «la progressiva internazionalizzazione dei problemi di sanità pubblica e
la lo o p ofo da i te o essio e o il di itto, l’e o o ia e la politi a» sia o «il po tato dei p o essi di
globalizzazione, che hanno inciso tanto sulla governance della salute umana quanto sui diversi fattori
determinanti della salute».
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Si può ben affermare che tanto in ambito nazionale, quanto in ambito sovranazionale si vada diffondendo una cultura improntata al massimo rispetto dell’i dividuo e della sua dignità, soprattutto in
tema di salute, intesa non più come assenza di malattie e/o infermità fisiche/psichiche, ma come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale20.
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per i medici e le strutture sanitarie, nonché «contenere il fenomeno della c.d. medicina difensiva»21,
ovverosia uell’atteggia e to in virtù del quale gli operatori sanitari sono portati a prendere decisioni che rispondono all’i te to di evitare di essere coinvolti in procedimenti giudiziari (sia civili che
penali) a loro carico: a questo scopo, per esempio, gli operatori sanitari fanno ricorso alla prescrizione di esami diagnostici, alla richiesta di pareri specialistici e alla sottoposizione a trattamenti terapeutici in eccesso rispetto al necessario, così come tentano, al contempo, di non prendere in carico pazienti e di non effettuare procedure diagnostiche o terapeutiche ad alto rischio mediante la limitazione della propria attività libero professionale e/o lo spostamento di tali pazienti e procedure in un
altro reparto o in un altro nosocomio.
Una delle più significative pietre dello scandalo dell’i te ve to legislativo n.189 è certamente la disagevole interpretazione dell’a t. 3, in parte originata dal discutibile metodo seguito dal legislatore, ove
la sua intenzione sia stata quella di disincentivare la tutela giudiziale nei confronti dei professionisti
contrastando in tal modo il dilagante fenomeno della medicina difensiva22.
Infatti, nel disporre che l'esercente la professione sanitaria nello svolgimento della propria attività si
debba attenere a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, l’a t. ha stabilito che egli non risponde penalmente per colpa lieve, lasciando – in questi specifici casi – fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile23.
G. FORTI, M. CATINO, F. D’ALESSANDRO, C. MAZZUCCATO, G. VARRASO (a cura di), Il problema della medicina difensiva.
Una proposta di riforma in materia di responsabilità penale nell’a ito dell’attività sanitaria e gestione del
contenzioso legato al rischio clinico, Pisa, 2010; P. MARIOTTI, A. SERPETTI, A. FERRARIO, R. ZOJA, U. GENOVESE (a cura
di), La medicina difensiva. Questioni giuridiche, assicurative e medico legali, Santarcangelo di Romagna, 2012;
R. BARTOLI, I costi econo ico-penalistici della medicina difensiva, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 4-5.
2011, 1107 ss.; U. GENOVESE, P. MARIOTTI, Responsabilità sanitaria e medicina difensiva, Santarcangelo di
Romagna, 2013.
22
Come sostenuto (E. GUERINONI, Incostituzionalità dell’art. legge Balduzzi?…alla prossima, in Il Corriere giuridico, 10, 2014, 1191), «L'area delle attività sanitarie e delle rispettive responsabilità (civili e penali) è – come è
ben noto – da tempo in fase di enorme espansione, sia quantitativa (per il numero di casi che vengono
sottoposti al vaglio dei tribunali) sia qualitativa (per le diversificate questioni giuridiche che quei casi
coinvolgono). Numerose – sempre per rimanere nel campo del risaputo – sono le cause di tale situazione: il
progresso delle tecniche mediche e chirurgiche, che, peraltro non sempre accessibili in concreto da parte dei
medici, ottengono grandi risultati diagnostici e terapeutici, ma allo stesso tempo determinano un aumento dei
rischi; lo scandalismo giornalistico, insieme all’esaspe ata divulgazione della medicina e della chirurgia da parte
dei mezzi di comunicazione; il maggior livello culturale del cittadino medio, oltre alla crescente tendenza a
ricavare denaro ricorrendo alle accuse; la mancanza di un rapporto umano ottimale tra medico e paziente, il
quale, da solo, potrebbe costituire una buona fonte di prevenzione delle accuse: il paziente insoddisfatto è un
potenziale accusatore, tanto che ciò che più spesso la gente lamenta non è la gravità del danno, ma la
scorrettezza del comportamento dei medici; una non sempre adeguata preparazione delle strutture sanitarie
nel gestire in modo adeguato il rapporto contrattuale con i pazienti e una scarsa sensibilità nell'affrontare il
tema della prevenzione dei possibili danni, contribuiscono a moltiplicare le richieste di risarcimento e le
conseguenti vertenze giudiziarie nei confronti degli operatori sanitari; ancora: l’est e a specializzazione di ogni
operatore sanitario, insieme alla crescente difficoltà di aggiornamento e alla complessità della strumentazione
moderna; lo svolgimento del lavoro in équipe e all’i te o delle strutture sanitarie; la presenza di norme
sempre più dettagliate e l’e fatizzazio e del diritto alla salute, che ha fatto salire il livello di attesa di un
risultato favorevole».
23
Il comma 1 aggiunge che «Il giudice, anche nella determinazione delle risarcimento del danno, tiene
debitamente conto della condotta di cui al primo periodo». Si aggiunge, inoltre, che «il danno biologico
conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli
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articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di
cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle
fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo» (comma 3). Si prevede, inoltre,
la costituzione di un apposito fondo, finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano richiesta e nella
misura definita in sede di contrattazione collettiva con funzioni di garanzia ai fini della copertura assicurativa
del rischio clinico; il successivo art. 3 bis dispone che «al fine di ridurre i costi connessi al complesso dei rischi
relativi alla propria attività, le aziende sanitarie, nell'ambito della loro organizzazione e senza nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica, né curano l'analisi, studiano e adottano le necessarie soluzioni per la
gestione dei rischi medesimi, per la prevenzione del contenzioso e la riduzione degli oneri assicurativi. Il
Ministero della salute le regioni monitorano, a livello nazionale a livello regionale, i dati relativi al rischio
clinico».Si legga, altresì, V. CARBONE, La responsabilità del medico pubblico dopo la legge Balduzzi, in Danno e
responsabilità, IV, 2013, 378 e B. GRAZZINI, La responsa ilità dell’esercente le professioni sanitarie e rischio
clinico nel c.d. «Decreto Balduzzi», in Il Corriere giuridico, 10, 2013, 1235.
24
La Corte di Cassazione – Sez. III, con sentenza del 22 gennaio 1999 n. 589, stabilisce che «l'obbligazione del
medico dipendente dal servizio sanitario nazionale per responsabilità professionale nei confronti del paziente
ha natura contrattuale, ancorché non fondata sul contratto ma sul contatto sociale , caratterizzato
dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta. Consegue che
relativamente a tale responsabilità, come per quella dell'ente gestore del servizio sanitario, i regimi della
ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni
da contratto d'opera intellettuale professionale».
Si veda C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, III ed., 443 ss.; nonché Id., La relazione
come categoria essenziale dell’o ligazione e della responsabilità contrattuale, in Europa e diritto privato,
2011, 55 ss.
25
Con la sentenza del 17 luglio 2014, il Tribunale di Mila o ha i ve uto ell’a t. della Legge Balduzzi
l’i e uivo a volontà del legislatore di restringere e limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante
dall’ese izio delle professioni sanitarie, per contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al fenomeno della
medicina difensiva. Il richiamo alla responsabilità extracontrattuale implicherebbe il collocamento della
responsabilità del medico – che non abbia direttamente concluso col paziente un o t atto d’ope a
professionale – ell’alveo della responsabilità extracontrattuale, con ciò incidendo sull’assetto dell’o e e della
prova sul versante della dimostrazione della colpa (che graverebbe sul paziente) e sul piano della prescrizione
(solo quinquennale).
Con la sentenza del 18 novembre 2014, il Tribunale di Milano è orientato a ritenere che con la disposizione
richiamata il legislatore abbia semplicemente inteso sancire l’eso e o da responsabilità penale del medico che
versi in colpa lieve e si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica,
senza che tale esclusione da responsabilità precluda di per sé l’i so ge za di u ’o ligazio e risarcitoria a
beneficio del paziente che per effetto dell’agi e medico abbia sofferto un danno.
Si ricordino, altresì, Trib. Varese, 26 novembre 2012, Trib. Torino, 26 febbraio 2013, Trib. Enna, 18 maggio
. Co pe o so a go e tativo dive so, ilita o pe l’utilizzo atecnico del richiamo all’a t. 2043 cod. civ.
Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013, Trib. Cremona, 19 settembre 2013, Trib. Rovereto, 29 dicembre 2013 e Trib.
Brindisi, 18 luglio 2014.
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La portata problematica di tale norma è rappresentata dalla questione relativa all’an della responsabilità ovvero all’assunto che in ambito civile valga l’o ligo sancito all’a ti olo 2043 c.c. – norma cardine dell’a hitettu a della responsabilità extracontrattuale – e non il dettato dell’a t. 1218 c.c.:
l’atte zio e degli interpreti ha inteso scandagliare se fosse intenzione del legislatore – con il richiamo
alla lex aquilia – modificare l’o ie ta e to giurisprudenziale consolidatosi sulla scorta della sentenza
del 1999, che ha qualificato la responsabilità civile del medico come contrattuale e fondata sul contatto sociale24.
La contiguità con i pilastri della responsabilità civile ha sollecitato significativi e recenti interventi giurisprudenziali25 che hanno sottolineato le ambiguità dell’i te ve to legislativo la cui scarsa lungimi-
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ranza progettuale – che ha ritenuto di diversificare la responsabilità della struttura da quella del professionista che in essa opera – anziché cogliere l’u i ità del problema che affligge l’e essivo ricorso
allo strumento della medicina difensiva (prescrivendo esami diagnostici e terapie in eccesso rispetto
ad una reale finalità curativa, con il prevalente obiettivo di dimostrare zelo nei confronti del paziente
e minimizzare così il rischio di azioni legali) e rinvenire soluzioni sostanziali (in primis incidendo, a
monte, sulla disciplina del consenso informato), ha finito col restituire alla sola attenzione del giudice
le soluzioni del caso concreto.
In altri termini, la nuova disciplina – nel tentativo di valorizzare il sapere scientifico cristallizzato per
sopperire al deficit di tassatività da più parti lamentato – ha finito con l’este de e i margini di discrezionalità interpretativa a dispetto della maggiore precisione garantita, in via ideale, da regole di perizia autorevolmente testate26.
Nel caso specifico della prescrizione di farmaci, l’autonomia del professionista nella determinazione
della terapia farmacologica ritenuta più idonea al bisogno di cura del paziente si deve confrontare
non soltanto con i vincoli finanziari, ma anche con le indicazioni, raccomandazioni o linee guida emanate a vario livello dagli enti pubblici, atte a precisare concretamente il comportamento professionale atteso dai medici proprio al fine di rispettare i predeterminati vincoli finanziari.
Il non aver abdicato al primato del medico nella scelta della cura – quale paradigma usato dalla giurisprudenza nella progressiva interpretazione dei profili di responsabilità del medico – non ha interrotto il costante incremento di azioni giudiziarie, che testimonia non soltanto una più marcata attenzione del giurista alle problematiche inerenti alla salute e ai diritti individuali, ma anche una evoluzione
della sensibilità collettiva, sempre meno incline a riconoscere la validità del patto di fiducia che per
secoli ha legato ilcittadino alla classe medica e sempre più attenta al rispetto della vita umana, nel
suo standard fisiologico e nelle multiformi dinamiche delle sue fasi patologiche.
La legge Balduzzi si riferisce espressamente a «linee guida» e «buone pratiche» definite come quelle
«accreditate dalla comunità scientifica»: ora, mentre il riferimento a "linee guida" sembra richiamare quella
serie di strumenti – protocolli clinici et similia – che si prestano a guidare, anche in maniera estremamente
dettagliata, le procedure diagnostico terapeutiche, il richiamo alle "buone pratiche" appare meno chiaro,
sembrando richiamare non solo o – meglio – non tanto "procedure" redatte per iscritto quanto piuttosto
condotte non formalizzate; le une e le altre, ad ogni modo, devono essere "accreditate dalla comunità
scientifica". Sembrerebbe così doversi distinguere fra regole attinenti la diligenza/perizia li ee guida e
quelle riguardanti la diligenza/ attenzione
uo e p assi ), le quali comunque concorrerebbero a codificare il
sapere medico, a oggettivizzare in qualche modo le strategie assistenziali e, dunque, in definitiva, a disegnare la
responsabilità degli operatori professionali in termini di violazione di regole tecniche. Si vedano E. TERROSI
VAGNOLI, Le linee guida per la pratica medica: valenza e problemi medico legali, in Rivista Italiana di Medicina
Legale, 219, 1999, 189 ss.; M. CAPUTO, Filo d'Arianna o Flauto magico? Linee guida e checklist nel sistema della
responsabilità per colpa medica, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 55(3), 2012, 875 ss.
Secondo parte della dottrina (E. GUERINONI, Incostituzionalità dell’art. Legge Balduzzi?...alla prossi a, in Il corriere giuridico, 10, 2014, 1192) sembrerebbe che «tra le linee guida e i protocolli non ci sia in realtà una cesura
così netta, dal momento che il protocollo dovrebbe essere considerato come una ulteriore e più dettagliata
specificazione delle procedure necessarie ad attuare le indicazioni contenute nelle linee guida. In questa
prospettiva i protocolli altro non sono che il consequenziale sviluppo delle linee guida, e comunque il rispetto
da parte del sanitario tanto degli uni quanto degli altri può sicuramente essere utilizzato come criterio, mai
esclusivo ma sempre concorrente rispetto ad altro elemento della fattispecie concreta, al fine di valutare il
livello di diligenza del sanitario medesimo».
26
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L’app o io integrato al paziente, condiviso tra cure primarie e livelli specialistici, risulta una strategia
efficace in tutti gli ambiti dell’u ive so assistenziale, ma è vincente nel campo della terapia del dolore
in cui la piena condivisione del percorso di cura diventa elemento essenziale di un processo efficace
di aiuto per chi soffre27. Come si è detto, dato acquisito della medicina moderna è il concepire la cura
del paziente non soltanto dal punto di vista fisico, ma in senso globale28.Pertanto, accanto al momento terapeutico, è necessario distinguere il momento palliativo come diversa fase del programma assistenziale di un malato. La fase terapeutica tende a guarire il malato o a rallentare l’evoluzio e della
malattia. Quando questo tentativo diventa impossibile, si entra nella fase palliativa nella quale si controllano i sintomi patologici alleviando ogni tipo di sofferenza, con trattamenti che evitino al paziente
di vivere situazioni disagevoli di sofferenza e di invalidità29.
Preliminarmente, va ricordato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato una scala
analgesica che prevede il passaggio graduale dall'uso dei FANS agli oppioidi deboli fino ad arrivare
agli oppioidi forti, per il controllo progressivo della sintomatologia dolorosa.
In particolare per il dolore oncologico, l’OMì ha introdotto una graduazione che ha in un certo senso
condizionato anche il trattamento farmacologico del dolore cronico non oncologico30.
La scala, sebbene possa essere vista come un percorso da compiere, è in realtà più un modello di approccio in cui il farmaco e la sua potenza antalgica vengono correlati all’i te sità del dolore; essa
A. D’ALOIA, Al limite della vita decidere sulle cure, in Quaderni costituzionali , 2, 2010, 67; Così B. PEZZINI, F.D.
BUSNELLI, Le cure palliative,in E. STRADELLA (a cura di), Diritto alla salute e alla vita uona nel confine tra il vivere
e il morire, Pisa 2011, 180 e ss.; G. RAZZANO, Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva
costituzionale, Milano, 2014.
28
S. NEGRI, La tutela della salute pubblica internazionale tra governance globale, «sovranità sanitaria» e diritti
fondamentali, in A.A.V.V., Studi in onore di Augusto Sinagra, Napoli, 2013, 349 la quale – dopo ampia ed
app ofo dita i ost uzio e degli attuali p ofili di gove o della salute pu li a ell’o di a e to ultilivello e
nelle dinamiche globali – afferma che «la dottrina americana dell’ulti o ventennio, e con rinnovato vigore
anche quella europea più recente, hanno ampiamente messo in luce come nel rapporto tra salute e diritti
umani concorrano elementi di interdipendenza e di potenziale o flittualità. Difatti, se per un verso il grado di
realizzazione del diritto alla salute è direttamente proporzionale al godimento di altri diritti fondamentali ad
esso strettamente correlati, o che addirittura ne costituiscono elementi determinanti, per altro verso può
verifi a si che esigenze di tutela della salute pubblica richiedano il sa ifi io di alcune libertà fondamentali che
sono alla base di un regime democratico e dello stato di diritto».
29
Le cure palliative vengono definite dalla nuova normativa come «l'insieme degli interventi terapeutici,
diagnostici ed assistenziali,
rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui
malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde a
trattamenti specifici». Così E. I. PAMPALONE, L’accesso alle cure palliative: scelta delle fonti, ualità dei diritti, in
in C. CASONATO, L. BUSATTA, S. PENASA, C. PICIOCCHI, M. TOMASI, Il biodiritto e i suoi confini: definizioni, dialoghi,
interazioni, Trento, 2014; Id., Cure palliative (voce), in Digesto delle discipline privatistiche, Milano, 2014, 149.
30
A. TADDIO, A.L. ILERSICH, M. IPP et al., HELPinKIDS Team. Physical interventions and injection techniques for reducing injection pain during routine childhood immunizations: Systematic review of randomized controlled trials
and quasi randomized controlled trials, in Clinical Therapeutics, 31, 2009.
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4. Il trattamento del dolore e le sue variabili
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F. DE CONNO, A. CARACENI, Il dolore da cancro. Manuale pratico dell’European School of Oncology, Milano, 1997;
C.AMADORI, F. DE CONNO (a cura di), Libro Italiano di Cure Palliative, Milano, 2003.
32 M. FAGGIONI, Conferenza stampa di presentazione dell'’asse
lea generale della pontificia accademia per la
vita, 21-23 febbraio 2005, Roma, in www.vatican.va (ultima consultazione 16/06/2015).
31
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rappresenta sostanzialmente un metodo di scelta farmacologica conseguenti al tipo di dolore e alla
sua intensità31.
Per impostare una terapia antalgica efficace la letteratura medica – e quindi i lavori scientifici che
mostrano l’effi a ia di alcuni farmaci in precise patologie dolorose – sostiene l’esiste za di criteri
guida che permettono di affrontare la scelta del farmaco in modo razionale.
Inoltre, anche la conoscenza dei meccanismi fisiopatologici che sottendono all’o igi e del dolore contribuisce ad una scelta terapeutica razionale: questo percorso è in genere applicabile quando la diagnosi è particolarmente accurata e permette di identificare i meccanismi periferici e centrali.
Il principio a presidio di una adeguata terapia del dolore – quale dovere del medico – è presente anche nel Codice di deontologia,che nel Titolo II°, dedicato ai doveri generale e le competenze del medico, colloca ell’a t.3 i doveri generali e le competenze del medico, chiarendo che «Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che
siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera».
L’evoluzio e del concetto di cure palliative si rinviene nella terminologia utilizzata: nel nuovo Codice
«il sollievo dalla sofferenza» viene sostituito con «la terapia del dolore». L’uso di un costrutto diverso
non è aspetto meramente formale, ma sottende un concetto importante: il dolore deve poter essere
misurato e curato non a discrezione del medico, bensì sulla base delle conoscenze e dei protocolli
che permettono di quantificarlo e trattarlo in modo efficace.
Se dunque il trattamento del dolore è un dovere del medico (come affermato ell’a t. 3) e «[…] il
controllo efficace del dolore si configura in ogni condizione clinica come intervento appropriato e
proporzionato» (come dettato ell’a t. 16), allora «il medico in caso di definitiva compromissione
dello stato di coscienza del paziente prosegue nella terapia del dolore e delle cure palliative […]» (art.
3).
Pertanto, escludendo terapie sproporzionate e tutelando la dignità della persona cui va assicurata la
sedazione del dolore, i trattamenti – per quanto possibile – devono poter essere idonei a preservare
la qualità della vita. Ora, la ualità della vita non rappresenta soltanto la dimensione soggettiva
della salute in senso allargato e la percezione del proprio ideale di vita accettabile e buona, ma corrisponde a quel grado di autonomia psico-fisica, di qualità cognitive, di capacità lavorativa residua, di
capacità di recupero dei rapporti con la società, con la famiglia e con il mondo del lavoro che possono
qualificare una vita come qualitativamente accettabile. In altri termini, essa tende sempre più a diventare un criterio di umanità e una discriminante per stabilire il diritto alla tutela e il dovere di rispetto32. Dunque, oltre ad un dovere del medico, u ’adeguata terapia del dolore va considerata anche un diritto del paziente a vedersi accompagnato, attraverso approcci multidisciplinari, nel difficile
percorso di una malattia caratterizzata dalla presenza del dolore.
Con la legge 15 marzo 2010, n. 38, recante Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e
alla terapia del dolo e , ell’appo ta e alcune modifiche al Testo unico delle leggi in materia di disci-
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Mi si consenta il richiamo a V. IVONE, Access to Palliative Care in the Italian Legal System, in S. NEGRI et al., Advance Care Decision Making in Germany and Italy, Berlin – Heidelberg, 187-200.
34
Nel 1986 l’OMì ha stabilito un protocollo con l’i di azio e dei farmaci oppioidi, ovvero una s ala
a algesi a quale cardine della terapia per le sofferenze da cancro e la relativa somministrazione di oppioidi.
Soltanto con la legge 8 febbraio 2001, n.12 sono state dettate «Norme per agevolare l’i piego dei farmaci
analgesici oppiacei nella terapia del dolore», aprendo la strada ad un mutamento del tipo di somministrazione
di antidolorifici in Italia. Già in precedenza, col decreto legge 28 dicembre 1998, n.450, convertito, con
modificazioni, in legge 26 febbraio 1999, n.39 si assisteva ad un primo tentativo di colmare parte della lacune
del Servizio Sanitario Nazionale, relativamente alle tipologie di assistenza del malato. Si prevedeva la
realizzazione, in ogni regione, «di una o più strutture dedicate all’assiste za palliativa e di supporto
prioritariamente per i pazienti affetti da patologia neoplastica terminale e che necessitano di cure finalizzate ad
assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari». Inoltre, essa regolamentava anche
l’e ogazio e di finanziamenti per l’assiste za domiciliare integrata al fine di assicurare l’assiste za ell’a ito
di strutture protette, oppure direttamente al domicilio del paziente. In particolare, con la legge n.12 del 2001
era stato riconosciuto il LEA, ovvero il Livello Essenziale di Assistenza quale «attività sanitaria e socio sanitaria a
favore di malati terminali»: si sancisce l’o ligo – per lo Stato e le regioni – di fornire gratuitamente un modello
assistenziale in rete in grado di garantire la qualità della vita e la dignità della persona anche nelle fasi terminali
di una malattia inguaribile. Con il regolamento di cui al decreto 22 febbraio 2007, n.43 recante «Definizione
degli standard relativi all’assiste za ai malati terminali in trattamento palliativo in attuazione dell'art.1, co.169
della legge 30 dicembre 2004 n.311», vengono fissati 8 standard che le regioni devono raggiungere per poter
dimostrare di aver garantito l’e ogazio e di questo LEA su tutto il territorio nazionale italiano. Ora, l’asse za di
un vero piano nazionale per le cure palliative, ha generato l’a es e si delle differenze tra regione e regione in
34
relazione al livello raggiunto ell’e ogazio e dello specifico LEA . Nonostante lo sviluppo sul territorio delle
strutture adibite a tali cure sia innegabile, è evidente l’asse za di un preciso programma assistenziale di cure
palliative che preveda criteri omogenei di accesso dei malati, requisiti minimi per l’a edita e to dei soggetti
erogatori, precisi standard assistenziali, criteri di verifica comuni e tariffe adeguate alla sostenibilità della loro
gestione sul territorio.
35
Va ricordato che tale intervento legislativo fu condiviso da tutte le parti politiche e voluto fortemente dal
Ministero della Salute: il testo è frutto di un lungo percorso di analisi e discussione sulle cure antalgiche che ha
coinvolto, primi fra tutti, gli specialisti della Commissione ministeriale all’uopo creata, le associazioni e i
referenti istituzionali del mondo scientifico.
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plina delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è stata introdotta una ulteriore semplificazione della prescrizione dei medicinali
impiegati nella terapia del dolore33.
L’a ti olo 9 della Legge n. 38/2010 prevede che «il Ministero fornisce anche alle Regioni elementi per
la valutazione dell'andamento della prescrizione dei farmaci utilizzati per la terapia del dolore. Il Ministero provvede a monitorare i dati relativi alla prescrizione e all'utilizzazione di farmaci nella terapia
del dolore, e in particolare dei farmaci analgesici oppiacei».
In Italia, il perseguimento di tale obiettivo è stato un percorso irto di difficoltà34, che ha visto nella
legge n.38 il punto d’a ivo di un processo lungo ed estenuante: questo intervento legislativo rappresenta un grande risultato per il sistema sanitario italiano che ha mostrato sensibilità e desiderio di
aggiornamento in questo ambito di assistenza ai malati35. Le molteplici novità introdotte hanno – in
parte – permesso di realizzare una nuova gestione del dolore, che coinvolge tutti i livelli assistenziali
e diverse professionalità sanitarie.
Per il contesto e le difficoltà sperimentate nei decenni precedenti, l’i t oduzio e di questa legge ha
rappresentato una sostanziale riforma culturale, alla base della quale ’ dunque una diversa concezione del dolore, non più visto come sintomo da sopportare stoicamente, ma come vera e propria
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malattia da gestire: un elemento già evidente a tutti i medici – ovvero il ruolo invalidante che questo
sintomo può avere sui pazienti tanto dal punto di vista fisico che psicologico – entra nel linguaggio
del diritto per tornare, con le norme, a governare uno stato patologico di sofferenza prolungata, capace di modificare radicalmente abitudini di vita e di apportare danni psicologici significativi.
La legge esprime una precisa concezione del sostegno alla persona malata, che viene collocata all'interno del contesto familiare e delle strutture sociali.
Le strutture e l'offerta dei servizi di sostegno in tale ambito è stata articolata attraverso due reti distinte: una rete nazionale per le cure palliative e una rete nazionale per la terapia del dolore. La struttura a rete si pone come la migliore risposta alla domanda di servizi sul territorio, perché capace di
mobilitare tutte le risorse che compongono un servizio complesso come l'offerta di cure palliative e
terapie antalgiche e di ottimizzarne la gestione sul territorio. L'ideazione di reti di erogazione aveva
come scopo quello di garantire la continuità assistenziale del malato dall'ospedale al suo domicilio,
contando sull'insieme delle strutture sanitarie, ospedaliere, territoriali e assistenziali, sulle figure professionali e sugli interventi diagnostici e terapeutici disponibili nelle Regioni, dedicati all'erogazione
delle cure palliative e al controllo del dolore in tutte le fasi della malattia36.
Come si evince dal tenore dell’a t. , le disposizioni sono volte ad assicurare il rispetto della dignità e
dell'autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità
delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze. Vengono in proposito espressamente indicati i principi fondamentali che le strutture sanitarie, erogatrici delle cure palliative e della
terapia del dolore, debbono rispettare nell'assicurare il programma di cura individuale per il malato e
per la sua famiglia: in primo luogo, la tutela della dignità e dell'autonomia del malato, senza alcuna
discriminazione; in secondo luogo, la tutela e la promozione della qualità della vita fino al suo termine37; infine, l'adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.
Nel conferire cittadinanza giuridica al termine «cure palliative»38, la legge n.38 ha operato uno sforzo
ulteriore, introducendo una semplificazione nella classificazione delle sostanze stupefacenti destinate all'utilizzo farmaceutico e delle procedure di prescrizione delle stesse sostanze destinate all'impiego antidolore. Tale semplificazione – volta ad incidere sulle tabelle allegate al Testo Unico in materia
di stupefacenti secondo il d.p.r. n. 309/1990 – ha inciso anche sul sistema di prescrizione dei farmaci
analgesici e gli oppiacei per i quali è ritenuto sufficiente il ricettario ordinario e non quello speciale
Con questo sistema è stato attribuito un ruolo fondamentale ai Medici di Medicina Generale (MMG), che, in
base alla zona di loro competenza, sono organizzati in Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT). I MMG
presteranno le cure antalgiche direttamente alla maggior parte dei propri assistiti, mentre i casi più gravi
verranno indirizzati al Centro di Terapia del Dolore (HUB) attivo sul territorio, oppure negli Ambulatori di
terapia antalgica (SPOKE).
37
C.A. DEFANTI, Eutanasia: una falsa incompatibilità, in Rivista italiana di cure palliative, IV, n. 2, 2002; ID., I
trattamenti di sostegno vitale, in Trattato di biodiritto, diretto da S. RODOTÀ, P. ZATTI, I diritti in medicina, a cura
di L. LENTI, E. PALERMO, P. ZATTI, Milano, 2011.
38
L’a t. 2 della Legge n.38 definisce come cure palliative, «l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e
assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei
pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non
risponde più a trattamenti specifici» e che per «terapia del dolore» si tratta dell'«insieme di interventi
diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate
terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo
scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore».
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Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
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39
Il o te uto dell’a t. sembra tene e o to di uell’orientamento della giurisprudenza di legittimità espresso
in tema di danno alla persona conseguente a responsabilità medica secondo cui «l'omissione della diagnosi di
un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento cosiddetto
palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un
danno alla persona per il fatto che nelle more egli non ha potuto fruire di tale intervento e, quindi, ha dovuto
sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva
esecuzione dell'intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso,
alleviare le sue sofferenze» (Cass., 18.9.2008, n. 23846).
40
A. ANZON, Modello ed effetti della sentenza costituzionale sul «caso Di Bella», in Giurisprudenza costituzionale,
3, 1998, 1528; M. CICALA, «Caso Di Bella» e diritto alla salute, in Il corriere giuridico, 5, 1998, 501.
La vicenda – nota come «caso Di Bella» – ha polarizzato la riflessione degli studiosi e dei pratici del diritto sul
tema della libertà di ricezione delle cure sul finire degli a i ’9 del se olo s o so. I a ogli e to di i o si
promossi da alcuni malati ex art.700 c.p.c., numerosi Pretori del lavoro avevano disposto l’erogazione a carico
del Servizio Sanitario Nazionale di una terapia a base di somatostatina elaborata da Di Bella, per la cura delle
malattie tumorali. Così facendo, i giudici disapplicavano le deliberazioni della Commissione Unica del Farmaco
he es ludeva la so atostati a dall’ele o dei edi i ali dispe sati dal ìe vizio ìa ita io Nazio ale. I fatti, i
più occasioni, durante il 1996, la Commissione oncologica nazionale, la Commissione unica per il farmaco e il
Co siglio ìupe io e di ìa ità dava o pa e e egativo sull’a
issi ilità della te apia Di Bella, o p esa la
proposta di includere la somatostatina e l'octreotide tra i farmaci da somministrare gratuitamente per uso
compassionevole. Da questo tempo in poi, si facevano strada due diversi orientamenti: secondo il primo, la
libertà di ricezione della cura costituiva un diritto attine te all’i
ediata p ecettività della tutela costituzionale
della salute, potendo ammettere anche terapie diverse da quelle dispensabili dal Servizio Sanitario Nazionale. A
tale orientamento liberale ha fatto seguito il c.d. Decreto Bindi (d.l. 17.2.1998, n. 23, convertito, con
modificazioni, nella l. 8.4.1998, n. 94), che, agli artt. 2 e 3, ha regolato la sperimentazione del «metodo Di
Bella» e ha es luso dall’e ogazio e a carico dello Stato la terapia farmacologica messa a punto da Di Bella.
Venendosi a creare u ’i giustificata disparità di trattamento tra i pazienti, il Consiglio di Stato, sez. IV, con due
distinte ordinanze del 24.2.1998, nn. 349 e
, sollevava l’e ezio e di costituzionalità della normativa de qua,
per violazione degli artt. 3, 32, 70 e 77 Cost. Solo in queste condizioni i trattamenti o passio evoli si
possono ritenere eticamente leciti e rientrano nel diritto generale alla salute».In accoglimento dell’e ezio e, il
Decreto Bindi veniva tacciato di illegittimità dalla Corte cost. (con sentenza 26 maggio 1998, n. 185), per
violazio e degli a tt. e della Cost., p op io pe o ave p evisto l’e ogazio e a a i o del ììN dei edi i ali
impiegati nella cura delle patologie tumorali. La Corte si preoccupa delle esigenze terapeutiche estreme – come
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per oppioidi e cannabinoidi; pratica non esente da significative criticità. Viene altresì introdotta la
possibilità che tale assistenza sia erogata anche per l'assistenza domiciliare o in dayhospice.
Un forte sentiment presente nella legge n.38 partiva dall’esige za di creare, nell'opinione pubblica,
«la consapevolezza della rilevanza delle cure palliative» in relazione sia ai malati maggiori di età sia a
quelli minori «al fine di promuovere la cultura della lotta contro il dolore e il superamento del pregiudizio relativo all'utilizzazione dei farmaci per il trattamento del dolore, illustrandone il fondamentale contributo alla tutela della dignità della persona umana e al supporto per i malati e per i loro familiari».
Degna di rilievo, inoltre, è la prescrizione che stabilisce l'obbligatorietà della rilevazione del dolore
all'interno della cartella clinica con particolare riferimento alle caratteristiche del dolore rilevato e
della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi
dosaggi e il risultato antalgico conseguito39.
Infine, i casi del recente passato – Di Bella40 e Stamina41- hanno dimostrato la stringente attenzione
dell’opi io e pubblica sui diversi profili del diritto alla salute, sulla libertà di cura e il consenso informato, e sul rapporto medico-paziente.
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quelle tumorali – la cui sperimentazione può essere foriera di « aspettative comprese nel contenuto minimo del
diritto alla salute ». Conseguenza ne fu che il Governo, con d.l. 16.6.1998, n. 186, recante «Disposizioni urgenti
per l’erogazione gratuita di medicinali antitumorali in corso di sperimentazione clinica, in attuazione della
sentenza della Corte Costituzionale n. 185 del 26 maggio 1998», convertito con modificazioni nella l.n. 257 del
30 luglio 1998, ammetteva alla cura a base di somatostatina, senza alcuna discriminazione, i pazienti affetti da
patologie tumorali per i quali, sulla base di elementi obiettivi, non vi fossero valide alternative terapeutiche.
Il se o do o ie ta e to seg alava l’ope a di uella giu isp ude za he – o fo tata dall’i te ve to della
Consulta – dava vita ad un filone secondo il quale la valutazione positiva del singolo medico non poteva
ritenersi sufficiente ad estendere la libertà di ricezione
della cura ad un metodo non ancora validato scientificamente: in tal senso operava Pret. Catania, 17 gennaio
1998 (in Foro it., 1998, I, 641). Nonostante alla fine del 1998 la Commissione Unica del Farmaco riteneva non
soddisfatte le condizioni per l’i se i e to del «Multitrattamento Di Bella» ell’elenco dei farmaci erogabili dal
Servizio pu li o, l’i te esse dei pazie ti e le i hieste di so
i ist azio e della u a o ha o sopito il
dibattito circa l’effi a ia terapeutica del farmaco e la conseguente sua erogabilità a spese dello Stato.
41
Sull’i piego a fini terapeutici di cellule staminali adulte per la cura di malattie giudicate inguaribili dalla
medicina ufficiale, si ricordi il saggio di A. ABBOTT, Stem-cell ruling riles researchers, Nature, 495, 418-419 (28
marzo 2013) nel quale l’aut i e afferma che «Davide Vannoni, a psychologist turned medical entrepreneur, has
polarized Italian society in the past year with a bid to get his special brand of stem-celltherapy authorized. He
has gained fervent public support with his claims to cure fatal illnesses — and equally fervent opposition from
many scientists who say that his treatment is unproven. Now those scientists want the Italian government to
pull out of a € -million (US$3.9-million) clinical trial of the therapy that it promised to support in May, after
bowing to patient pressure. They allege that Vannoni's method of preparing stem cells is based on flawed data».
Molto interessante appare, altresì, la ricostruzione di L. MARGOTTINI, Italian Parliament Orders Clinical Trial of
Controversial Stem Cell Treatment, in Science, 22 maggio 2013, n. 340 in cui l’aut i e afferma che «Under existing Italian law, unproven stem cell therapies can be administered on a case-by-case basis to patients with untreatable, severe illnesses who have no other options—but only if there are enough published data on safety in
internationally recognized journals and if therapies are prepared by authorized hospital labs under the Italian
rules for the production of stem cells. Stamina has treated 12 patients at the Spedali Civili, a public hospital in
Brescia, since 2011. But in 2012, the Italian Medicines Agency (AIFA) halted the treatments there after it had
identified several irregularities». D. NERI, La bioetica in laboratorio. Cellule staminali, clonazione e salute
umana, Roma-Bari, 2003, VIII; R. VILLA, Che cosa sono le staminali. Da queste cellule tutti i tessuti e gli organi, su
Il Corriere Salute, 31 marzo 2012; C.A. REDI, La questione delle cellule staminali. Il quadro scientifico, in AA.VV,
Trattato di biodiritto, a cura di S. Canestrari, G. Ferrando, C. M. Mazzoni, S. Rodotà, P. Zatti, 1087-1099; C.
STEAD, Il finanziamento delle ricerche sulle staminali in Europa e negli USA, in Quad. cost., 2006, 834-838; A.
VIVIANI, Cellule staminali da embrione umano e fondi pubblici per la ricerca scientifica, in Diritti umani e Diritto
internazionale, 3, 653-658; A. ELSTNER, A.DAMASCHUN, A. KURTZ, G. STACEY, B. ARAN, A. VEIGA, J. BORSTLAP, The
changing landscape of European and International regulation on embryonic stem cell research, in Stem cell
research, 2, 2009, 107; C. CASINI, M. CASINI, A. G. SPAGNOLO, La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione
europea del 18 ottobre 2011 e la nozione di embrione in senso ampio (nota alla sentenza n. C-34/10 del 18
ottobre 2010 della Corte europea di giustizia), in Medicina e Morale, 5, 2011, 777-802; R. ROMANDINI, La
sentenza Brüstle sulla tutelabilità delle cellule staminali embrionali: implicazioni pratiche e giuridiche, in Riv. dir.
ind., 3, 2012, 336-350; A. SANTOSUOSSO, Un altro caso Di Bella?, in Minorigiustizia, 2, 2013 249; P. CENDON, Cellule
staminali somministrate ai pazienti sofferenti di gravi malattie neurologiche, in Il diritto di famiglia e delle persone, 42(2), 2013, 593; A. SCALERA, Il caso Stamina tra diritto e scienza, in La nuova giurisprudenza civile commentata, II, 2014, 75 ss.; A. SCALERA, La libertà di cure dopo oltre un decennio dal «caso Di Bella». Riflessioni a
margine di alcuni interventi giurisprudenziali sulle terapie non convenzionali, in La nuova giurisprudenza civile
commentata, 30(10), 2014, 438.
Per una rassegna della giurisprudenza sul «caso Stamina» si rinvia a E. FALLETTI, La giurisprudenza sul «caso
Stamina», in Famiglia e diritto, 6, 2014, 609 ss. Si ricordino: Trib. Venezia – sez. lavoro, 30 agosto 2012 in cui il
giudice ordina di proseguire sulla minore – figlia dei ricorrenti – il trattamento con infusione di cellule staminali
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5. Lo stato attuale della normativa in materia di cannabis
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La prescrizione dei medicinali appartenenti al gruppo delle sostanze stupefacenti, che costituiscono
presidio indispensabile per il trattamento del dolore severo, è stata in passato resa quanto mai complicata da normative che, per scoraggiarne l’a uso e l’utilizzo non terapeutico, di fatto hanno anche
impedito un loro adeguato e agevole utilizzo nei casi invece opportuni.
Se la legge n.38 può annoverare tra i suoi meriti quello di avere definitivamente semplificato le regole prescrittive che disciplinano la dispensazione di farmaci oppioidi ad alta efficacia nel trattamento
del dolore severo di qualsiasi origine, non solo neoplastica o degenerativa43, spetta alla legge Balduzzi
il merito di un ulteriore aggiornamento delle tabelle contenenti l’i di azione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, stabilendo – ell’u i o articolo di cui consta il provvedimento – l’i se i e to nelcon la metodica elaborata da Stamina Foundation; Tar Brescia, ord.6 settembre 2012, n.414 in cui viene
respinta la richiesta di sospensiva dello stop dell'AIFA alle cure con il metodo Stamina depositata dalle famiglie
di tre bimbi in cura; Trib. Matera, sez. civ., 8 ottobre 2012 in cui il giudice ordina di proseguire la
somministrazione della terapia cellulare interrotta; Trib. ord. Trento, 20 novembre 2012 in cui il giudice ordina
di somministrare alla minore ricorrente la terapia cellulare consistente nel trapianto di cellule staminali
mesenchimali attraverso il cd. protocollo Stamina, analogamente a quanto già effettuato in favore di altra
paziente; Trib. ord. Trento, 24 dicembre 2012 in cui il giudice ordina agli Spedali riuniti di Brescia di avviare
immediatamente il procedimento per l'impiego di medicinali per terapia cellulare somatica, acquisendo il
consenso informato dei genitori della paziente e il consenso del Comitato etico.
42
Il 27 marzo 2015, il CNB ha emesso un parere dal titolo «Cura del caso singolo e trattamenti non validati, cd.
uso compassionevole» nel quale, dopo una ricostruzione del quadro generale di riferimento, il Comitato supera
l’esp essio e uso o passio evole , più o etta e te desti ata a «legittimi sentimenti di empatia nei
confronti di malati gravi e incurabili», in favore di «trattamenti non validati a uso personale e non ripetitivo». Il
Comitato auspica che «che un o se sus confere e inte azio ale possa p o uove e l’uso. L’accesso a tali
trattamenti deve ave e il a atte e dell’eccezionalità, in assenza di terapie validate, in casi gravi di urgenza e
emergenza per un paziente in pericolo di vita, e o posso o ai esse e u ’alternativa, esplicita o surrettizia,
alla sperimentazione clinica. Devono comunque avere una ragionevole e solida base scientifica: dati pubblicati
su riviste internazionali di tipo peer-review, con evidenze scientifiche robuste almeno su modelli animali e
possibilmente risultati di sperimentazioni cliniche di fase I. La prescrizione deve essere a carico di un panel di
esperti, designati da istituzioni sanitarie pubbliche, in condizioni di totale trasparenza: assenza di conflitti di
interesse, pubblicazione sia della composizione dei prodotti che dei risultati del trattamento, spiegazione
esauriente ai pazienti sulla potenziale pericolosità di trattamenti non validati, onere dei farmaci a carico dei
produttori e monitoraggio effettuato da istituzioni sanitarie pubbliche.
43
I farmaci oppioidi ad alta efficacia nel trattamento del dolore severo di qualsiasi origine, non solo neoplastica
o degenerativa, e le regole che ne presidiano la dispensazione, sono elencati ell’allegato III bis del testo
coordinato 09.10.1990 n. 309 (in G.U. 31.10.1990), testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza,
ulteriormente aggiornato col D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014,
n. 79.
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L’auto o a rilevanza bioetica del problema della somministrazione di trattamenti non validati ad
uso compassionevole – oggetto di un recente parere del Comitato Nazionale di Bioetica42 – riconduce
la riflessione a quanto dettato nel Codice di deontologia medica che, all’a t. , individua per il medico
i doveri relativi alla tutela della vita e della salute psico-fisica, al trattamento del dolore e al sollievo
della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona e senza alcuna discriminazione.
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la stessa tabella II sezione B dei edi i ali di origine vegetale a base di cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tintu e .
La tortuosa strada segnata dal legislatore sull’uso della cannabis prende corpo col decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (oggi "tabella dei medicinali")44 nel quale si indicano le
sostanze psicotrope che hanno attività farmacologica e sono pertanto utilizzabili in terapia, e possono essere prescritte ai sensi del testo unico sugli stupefacenti.
Il Ministero della salute, secondo le disposizioni dell’a ti olo 27 del testo unico, può rilasciare autorizzazioni sia per la coltivazione di cannabis per scopi scientifici45, sia per l’i piego, ovvero per una
eventuale trasformazione della materia prima cannabis in medicinale.
Tale testo unico è stato aggiornato nel 200746, con il riconoscimento dell’effi a ia terapeutica del
Thc, il principale principio attivo della cannabis, e di altri due farmaci analoghi di origine sintetica, il
Dronabinol e il Nabilone. Queste tre sostanze sono state dunque inserite nella tabella II sezione B del
decreto del presidente della Repubblica n. 309/90, oggi "tabella dei medicinali", ovvero quella che –
nella classificazione di tutte le sostanze psicotrope – indica quelle che hanno attività farmacologica,
valida in specifiche terapie: l’a t. recita «È consentito l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto».
Permangono invece nella tabella I e sono quindi soggetti al divieto di coltivazione, secondo quanto
stabilito dall’a t. 6 del T.U 309/90, i p epa ati attivi della Cannabis (hashish, marijuana, olio, resina,
foglie e infiorescenze). Soltanto al Ministro della Sanità è riconosciuta la facoltà di«autorizzare istituti
universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra
indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici».
L’aggio a e to più recente delle tabelle contenenti l'indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni e integrazioni – con l’i se i e to nella Tabella II, Sezione B, dei medicinali di origine vegetale
a base di Cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture) – avviene nel 201347,
con il pieno riconoscimento della liceità dell’uso farmacologico dell’i te a pianta della cannabis. Se il
decreto Turco del 2007 aveva aperto la strada ai farmaci di origine sintetica, il decreto Balduzzi ha
ammesso anche quelli a base naturale.
Il riferimento è al D.P.R., testo coordinato 09.10.1990 n. 309 , G.U. 31.10.1990 testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati
di tossicodipendenza.
45
Il 17 settembre 2014 I Ministri della Difesa e della Salute Beatrice hanno siglato un accordo di collaborazione
pe l’avvio del progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base
di cannabis nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.
46
Si tratta del Decreto ministeriale (Pubblicato nella G.U. n. 98 del 28 aprile 2007) «Aggiornamento e
completamento delle tabelle contenenti l’i di azio e delle sostanze stupefacenti e psicotrope e relative
composizioni medicinali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309 e
successive modificazioni ed integrazioni, recante il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope e di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza».
47
Il riferimento è al decreto ministeriale 23 gennaio 2013 (pubblicato nella GU Serie Generale n.33 del 8
febbraio 2013).
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a is o delle ragioni della compassione
La Corte Costituzionale (con sentenza 25 febbraio 2014, n.32) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per
violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., che regola la procedura di conversione dei decreti-legge, degli
artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (intitolato «Misure urgenti per garantire la sicurezza
ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi»), come convertito con modificazioni dall'art.
1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate
illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti).
49
Il riferimento è alla Legge Iervolino – Vassalli, ovvero il Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n° 309: Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Relativamente all'uso personale, esso
viene considerato illecito sia che si tratti di droghe "leggere" (marijuana, hashish) sia "pesanti" (cocaina, eroina)
e, quindi, punito con sanzioni soprattutto di tipo amministrativo, consistenti in provvedimenti del prefetto,
come la sospensione della patente, del porto d'armi e del passaporto, per un periodo non superiore a tre mesi.
Prima di applicare queste misure, il prefetto può (per una sola volta) avvertire la persona della gravità del suo
comportamento e invitare a cessarlo. Se, però, il richiamo e le sanzioni amministrative fossero stati privi di
esito e l'individuo fosse stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti per più di due volte, allora era
previsto l’i te ve to dell'autorità giudiziaria, con eventuale imposizione alla persona di non allontanarsi dal
Comune e di presentarsi periodicamente ai carabinieri. Di maggior peso specifico erano considerate la
produzione e distribuzione (spaccio) delle sostanze stupefacenti, per le quali era prevista la reclusione per
periodi distinti secondo che si trattasse di droghe leggere o pesanti e che la quantità fosse "modica" o, invece,
notevole. Significativa è stato, poi, l’i te ve to della Corte costituzionale che, con sentenza 11 luglio 1991,
n.333, ha precisato che la detenzione di una quantità leggermente superiore a quella considerata come "dose
media giornaliera" non comportava il reato di spaccio. La Corte sostiene che «il giudice a quo nega che nella
detenzione destinata al consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera sia
configurabile la lesione o la esposizione a pericolo di un bene giuridico che possa giustificare, alla stregua di
quel principio, la sanzione penale. Invero, egli osserva, non è suscettibile di repressione penale la lesione o
messa in pericolo di un bene proprio, neppure quello della propria salute. Né la sanzione penale può
giustificarsi – come il giudice rimettente ricorda essere stato prospettato durante l'iter formativo della legge –
alla luce della situazione di pericolo che il tossicomane può creare in danno della salute degli altri consociati (ad
esempio con la diffusione della sindrome da immunodeficienza acquisita) e della sicurezza sociale (per le spinte
criminogene in lui sollecitate dal suo stato di tossicodipendenza). Infatti tale pericolo esula del tutto dalla
assunzione, anche abituale, delle c.d. sostanze stupefacenti leggere che non inducono tossicodipendenza, e
rappresenta un rischio assai remoto nel caso di uso occasionale di oppiacei o cocaina (sicché l'incriminazione
penale in tali casi si paleserebbe anche irragionevole ed arbitraria). Né giustificherebbe l'imputazione il rischio
di passaggio dall'una all'altra abitudine di consumo (dal consumo di droghe leggere a quello di droghe pesanti;
dal consumo occasionale di droghe pesanti al consumo abituale delle stesse) perché in realtà si tratterebbe di
un "pericolo di pericolo", inidoneo a giustificare la configurazione di una fattispecie criminosa. In presenza
quindi di un pericolo meramente astratto verrebbe in sostanza ad essere punita la mera disobbedienza o
violazione formale della legge in relazione ad una azione di per sé inoffensiva. Quanto poi all'assuntore abituale
di sostanze stupefacenti "pesanti", il tribunale rimettente osserva che «il tossicodipendente è indefettibilmente
punito per il consumo di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera, anche se, nel
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In questo contesto, giunge la Corte costituzionale che interviene su un problema di natura procedurale – ovvero l'iter di conversione di un decreto e la violazione dell'articolo 77 della Costituzione –
affermando che «la legge di conversione non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore48. Diversamente, l'iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto
con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare»: si assiste alla
caducazione di due articoli e con essi la parificazione delle droghe leggere a quelle pesanti, producendo la reviviscenza della legge sulle droghe precedente alla Fini-Giovanardi, ossia la Legge n.309
attribuita a Iervolino-Vassalli49.
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A seguito della sentenza della Corte Costituzionale – che ha di fatto ripristinato il sistema sanzionatorio collegato agli illeciti relativi alle sostanze stupefacenti e psicotrope suddivise in quattro tabelle (I e
III sanzioni maggiori; II e IV sanzioni minori), che sono state aggiornate con i nuovi inserimenti riportati nella sezione B della tabella I – è entrato in vigore il Decreto legge 20 marzo 2014, n.36, convertito con Legge 16 maggio 2014, n. 79, recante «Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale»50.
Con questo strumento – come si è detto – sono state apportate alcune modifiche al Testo unico sugli
stupefacenti (DPR 309/90):relativamente a i medicinali, è stata istituita una nuova tabella in grado di
consentire la completa continuità nella produzione, prescrizione, distribuzione e dispensazione dei
medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, con particolare riferimento alle prescrizioni
dei medicinali per la terapia del dolore e dei medicinali impiegati in corso di trattamento per la disassuefazione degli stati di dipendenza.
Le modalità di prescrizione e di dispensazione restano pertanto invariate per tutte le terapie con medicinali a base di stupefacenti, mantenendo inalterate anche le modalità di gestione dei medicinali da
parte degli operatori del settore farmaceutico.
6. Il persistente divieto di coltivazione
caso concreto, i beni tutelati non hanno corso alcun pericolo non essendo egli ammesso a provare
l'insussistenza, appunto nel caso concreto, della effettiva esposizione a pericolo di tali beni». Con referendum
del 1993, infine, si sono abolite in ogni caso le sanzioni penali (il carcere) per l'uso solo personale di droga.
50
In G.U. Serie Generale , n. 67 del 21 marzo 2014.
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Al riconoscimento della qualifica di farmaco operata dalla legge italiana per la cannabis non corrisponde una limpida prospettiva di coltivazione della medesima, a causa del persistente divieto di coltivarla. La nuova formulazione delle sostanze psicotrope, pur avendo sancito la separazione della
cannabis dalle droghe pesanti (che si trovano in tabella I), di fatto non ha reso completa la distinzione
equiparandole nei divieti, a partire proprio dal divieto di coltivazione (art 26 d.p.R. 309/90).
In deroga a tale divieto, però, il ministero della Salute, secondo le disposizioni dell’a ti olo 27 del testo unico sulle droghe (d.p.R. 309/90), può rilasciare autorizzazioni sia per la coltivazione di cannabis
per scopi scientifici e di ricerca (come ha fatto ad esempio per il Centro di ricerca per le colture industriali di Rovigo), sia per l’i piego sia per una eventuale trasformazione della materia prima cannabis
in medicinale.
Se alle terapie a base di cannabis ricorrono malati che soffrono di patologie diverse, come la sclerosi
multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, le fibromialgie, l’a o essia; se in oncologia questi farmaci
servono per intervenire sugli effetti della chemioterapia (come il vomito ripetuto ed insistente), allora questo divieto di coltivazione – seppur motivato da ragioni legate al timore che prevalga l’uso voluttuario su quello terapeutico – non rema a favore delle ragioni della qualità della vita, del superamento del dolore come ostacolo ad un tentativo di benessere e della scelta del tipo di cura per la malattia che attraversa l’esiste za di una persona, talvolta, trafiggendone l’esse za.
Co side azio i sull’uso te apeuti o di a
a is o delle ragioni della compassione
Con il riconoscimento e la regolamentazione dell’a esso ai derivati medicinali della pianta di cannabis e degli analoghi sintetici, avvenuta in Italia negli ultimi anni, lo scenario è mutato e la fruizione
della terapia – a dispetto di una farraginosa metodica non superata51 – è formalmente un dato acquisito: per questa ragione, si sono rese necessarie singole leggi regionali applicative delle norme quadro nazionali, al fine di evitare quelle confusioni, causa illegittima di grave ed ingiustificato danno ai
malati. Le leggi regionali analizzate in seguito sono dei protocolli attuativi delle norme già pienamente in vigore a livello nazionale, che il legislatore ha inteso riunire ed integrare in unici testi per il loro
razionale utilizzo a livello regionale, al fine di evitare perdite di tempo gravemente nocive per il malato.
Attualmente le regioni che hanno introdotto dei provvedimenti che riguardano l’e ogazio e di medicinali a base di cannabis sono nove: Puglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia,
Abruzzo, Sicilia, Umbria52.
Le normative regionali – che convergono tutte nel disciplinare l’e ogazio e dei medicinali a carico dei
propri Servizi sanitari regionali (SSR) – presentano una notevole disomogeneità sotto molti aspetti: in
alcuni casi si limitano semplicemente a recepire quanto già stabilito dalla normativa nazionale, in altri
sono previste delle specifiche competenze regionali circa l’i fo azio e al personale medico, in altri
casi sono stanziati degli appositi capitoli di spesa nei bilanci regionali per garantire le disposizioni dei
testi, in altri casi ancora vengono introdotti degli articoli che impegnano le regioni su iniziative quali
l’avvio di progetti pilota per la coltivazione a scopi terapeutici attraverso la stipula di convenzione
con enti e soggetti autorizzati.
Le specificità risentono dello stato di salute interno alla singola realtà regionale, nonché della capacità di dialogo sperimentata con i vertici ministeriali in tema di salute.
La prima legge regionale sulla cannabis terapeutica è della Toscana53: essa distingue tra erogazione in
ambito ospedaliero ed erogazione in ambito non ospedaliero. La somministrazione dei farmaci canLa condizione essenziale per presentare domanda è che il medico dichiari l’asse za di analoghe possibilità
terapeutiche. La ricetta deve essere prescritta dal medico di famiglia oppure da uno specialista che, in questo
modo, avvia la procedura per ottenere l'importazione del farmaco, compilando la richiesta di autorizzazione
destinata all'Ufficio centrale stupefacenti del Ministero della Salute. La richiesta deve però essere inviata dalla
farmacia ospedaliera o da quella dell'Asl di competenza. Una volta ottenuto il nulla osta, la farmacia contatta
l'azienda estera per richiedere l'importazione del medicinale.
52
Si veda il Dossier: utilizzo terapeutico dei cannabinoidi in Italia, dispo i ile all’i di izzo
http://www.biodiritto.org/index.php/novita/news/item/523-dossier-utilizzo-terapeutico-dei-cannabinoidi-initalia (ultima consultazione 22.05.2015).
53
La Legge Regionale 8 maggio 2012, n. 18, che ha dettato Disposizioni orga izzative elative all’utilizzo di
talune tipologie di fa a i ell’a ito del se vizio sa ita io egio ale (in Bollettino Ufficiale n.22, parte prima,
del 9 maggio 2012), sostiene che «Nella letteratura scientifica si trova una vasta produzione ispetto all’uso,
anche terapeutico, della cannabis. Col tempo, il progresso scientifico ha permesso di arrivare alla produzione di
derivati di sintesi, consentendo una compiuta valutazione dell’i piego clinico dei cannabinoidi nella cura del
glaucoma, nella prevenzione dell’e esi, nel controllo di alcune spasticità croniche, come adiuvante nel
controllo del dolore cronico neuropatico associato a sclerosi multipla, nel trattamento del dolore nei pazienti
affetti da cancro. Da sperimentazioni scientifiche risulterebbe , inoltre, che i cannabinoidi hanno la proprietà di
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7. La disomogeneità delle leggi regionali sull’utilizzo terapeutico dei cannabinoidi: il paradigma del Veneto
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nabinoidi si intende effettuata in ambito ospedaliero quando la fase di inizio del trattamento si svolge presso strutture ospedaliere pubbliche o private convenzionate e quando l’eve tuale esigenza di
una continuità terapeutica con il ricorso ai farmaci cannabinoidi condizioni la prosecuzione del trattamento in sede di dimissioni assistite del paziente. In questo caso il medicinale è a carico del Servizio
sanitario regionale. In ambito non ospedaliero le Unità sanitarie locali (Usl) coadiuvano semplicemente gli assistiti nell’a uisizio e dei farmaci a base di cannabinoidi registrati all’este o per finalità terapeutiche, come già previsto dalle disposizioni statali.
Con delibera del 10 novembre 2014, la Giunta regionale della Toscana ha stabilito che tutti i medici
della Toscana potranno prescrivere medicinali a base di cannabis, nei limiti previsti dalla normativa
vigente. Oltre ad aver deliberato che le farmacie ospedaliere attivino le procedure d'acquisto, importazione ed allestimento dei preparati magistrali, la Giunta toscana ha ancorato la prescrizione e l'inizio del trattamento con questi medicinali al consenso di strutture ospedaliere (o assimilabili) del servizio sanitario regionale, inclusi reparti di degenza, day-hospital o strutture ambulatoriali. E sulla scia
delle nuove politiche sul prosieguo delle cure tra le mura domestiche, si statuisce che nei casi ci sia
necessità di proseguire il trattamento farmacologico anche dopo la degenza in ospedale, il medico o
la struttura possono attuare una procedura di dimissioni protette del paziente e provvedere direttamente alla consegna dei farmaci ritenuti necessari al proseguimento della terapia farmacologica.
Successivo all’i te ve to della Toscana è quello della Puglia che, in data 28 gennaio 2014, ha approvato la legge regionale che ha dettato le «Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici
magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche». Caratteristica di questo provvedimento è
che il trattamento con farmaci cannabinoidi – praticabile tanto in ambito ospedaliero pubblico privato accreditato, quanto in ambito domiciliare – è rimborsabile dal Servizio sanitario regionale: il loro
acquisto, la preparazione e la fornitura, deve avvenire presso la farmacia ospedaliera ed essere a carico del SSR, anche nel caso del prolungamento della cura dopo la dimissione del paziente54.Le condizioni per la rimborsabilità prevedono che l’i izio del trattamento avvenga in ambito ospedaliero e
quindi che il medico richiedente sia alle dipendenze di struttura pubblica o privata convenzionata e il
paziente sia trattato in regime di ricovero o soggetto a day hospital o percorso ambulatoriale o in regime di assistenza domiciliare integrata. Nel caso in cui il trattamento non sia avviato in ambito
ospedaliero ma domiciliare, il medico di medicina generale prescrive la terapia su ricetta del SSR, sulla base del piano terapeutico redatto dal medico specialista.
Caso ese pla e è quello del Veneto che, il 28 febbraio 2012 ha approvato la legge regionale n.38
recante «Disposizioni relative all’e ogazio e dei medicinali e dei preparati galenici magistrali a base
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ridurre i dosaggi degli analgesici oppiacei, quali la morfina e i suoi analoghi, necessari a lenire il dolore nei
malati oncologici sottoposti a trattamenti cronici, evitando così i fenomeni di assuefazione, caratteristici degli
oppiacei».
54
Ai fini della fornitura del farmaco cannabinoide, il paziente nel caso di farmaci importati, deve rivolgersi
obbligatoriamente al farmacista del servizio pubblico, il quale consegna direttamente i farmaci cannabinoidi al
medico o al paziente, dietro pagamento del solo prezzo di costo richiesto dal produttore e delle spese
accessorie riportate nella fattura estera; nel caso di farmaci autorizzati all’i
issio e in commercio sul
territorio nazionale (dunque nel caso di pazienti con sclerosi multipla cui sia stato prescritto il Sativex), può
rivolgersi al farmacista del servizio pubblico con oneri a carico del SSR oppure al farmacista privato
convenzionato con oneri a proprio carico.
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L’a t. .2. ha sostenuto che«La Giunta regionale, ai fini della presente legge e anche per ridurre il costo dei
medicinali cannabinoidi importati dall’este o, è autorizzata ad avviare azioni sperimentali o specifici progetti
pilota con il Centro per la ricerca per le colture industriali di Rovigo, con lo Stabilimento chimico farmaceutico
militare di Firenze o con altri soggetti autorizzati, secondo la normativa vigente, a produrre medicinali
cannabinoidi».
56
Tale possibilità – come si evince dalla Deliberazione della giunta regionale n. 2526 del 23 dicembre 2014:
Erogazione a carico del Servizio Sanitario Regionale di medicinali e preparati galenici magistrali a base di
cannabinoidi per finalità terapeutiche a favore di pazienti affetti da grave spasticità da lesioni midollari che non
hanno risposto alle terapie raccomandate – verrebbe «riconosciuta ai pazienti in possesso di una prescrizione
dello specialista neurologo – operante all'interno delle strutture pubbliche e private accreditate della Regione
Veneto – previa compilazione di un piano terapeutico contenente i criteri di eleggibilità del paziente ed il
consenso informato dello stesso. Anche l'efficacia e la tollerabilità del trattamento – e pertanto la sua
prosecuzione – dovrebbero essere valutate dallo specialista neurologo attraverso un'apposita scheda di
monitoraggio (inizialmente dopo 1, 3 e 6 mesi di terapia e successivamente ogni 6 mesi)».
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di cannabinoidi per finalità terapeutiche»55. Pur essendo stata una delle prime regioni, assieme alla
Toscana e alla Liguria, a consentire la concreta applicazione del decreto Turco del 2007 che ha dato il
via libera ai farmaci a base di cannabis in Italia,sono trascorsi più di due anni perché si passasse aidecreti attuativi.
In quanto strumenti atti a pianificare criteri molto stringenti sulle modalità di prescrizione della cannabis terapeutica e sui pazienti che potranno beneficiarne, i decreti attuativi della legge regionale n.
38 del 28 settembre 2012 – su indicazione dell'art. 6 della predetta legge che ha dato delega alla
Giunta – avrebbero dovuto assicurare omogeneità di applicazione nel territorio regionale, monitoraggio del consumo dei medicinali cannabinoidi e dei preparati galenici magistrali e la riduzione dei
tempi di erogazione degli stessi. Per detta finalità la Giunta è stata incaricata anche di trasmette annualmente, alla competente Commissione Consiliare, una relazione circa lo stato di attuazione della
legge n. 38/2012 che dettagliasse, in particolare, il numero di pazienti trattati con medicinali cannabinoidi (distinti per patologia e tipologia di assistenza), le criticità applicative della legge (disomogeneità a livello territoriale e nelle modalità di acquisto ed erogazione) e l'andamento della spesa.
Tuttavia, nonostante le premesse, i decreti attuativi hanno deciso che i farmaci cannabinoidi potranno essere posti a carico del sistema sanitario regionale solo per i pazienti «affetti da grave spasti ità
da lesioni midollari che non hanno risposto alle terapie raccomandate»56. Nel testo approvato dalla
giunta «si stima che l'impiego di farmaci cannabinoidi o se ti à il trattamento di circa 30 pazienti
all'anno per un importo complessivo di circa 100mila euro all'anno»: ciò significa che – a fronte di un
cospicuo numero di malati con dolore neuropatico, nausea e vomito da chemioterapia, AIDS, fibromialgia, epilessia farmaco-resistente e con tutte quelle patologie che potenzialmente possono rispondere ai cannabinoidi – riserva il trattamento a molte meno persone rispetto al bisogno. Inoltre,
una decisione presa senza consultare le associazioni di medici e pazienti che vivono il territorio e la
realtà delle sofferenze, ha significato tradire completamente lo spirito di un intervento legislativo teso a favorire una migliore qualità della vita dei pazienti afflitti da dolore fisico.
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8. La cannabis e il più ampio tema delle droghe: politiche globali ed esigenze di separazione ontologica tra gli ambiti di riflessione
Il tema della cannabis terapeutica non può dirsi affrontato seriamente, se non si lascia spazio ad un
segmento correlato ovvero il fallimento dei programmi nazionali ed internazionali tesi a realizzare
politiche di contrasto effettivo ed efficace alle droghe, ai cartelli e alle organizzazioni criminali.
Le droghe sono una questione complessa e controversa: l’app o io alla eradicazione della produzione e alla criminalizzazione del consumo non ha ridotto il traffico di droga e neppure il suo uso. In
molti paesi i danni causati dal proibizionismo in materia di corruzione, violenza e violazione dei diritti
umani supera ampiamente i danni causati dalla droga.
Nel settembre 2014 la Global Commission on Drug Policy57 ha presentato un report dal titolo Taking
Control: Pathways to Drug Policies that Work, in cui la Commissione afferma che«The international
drug control system is failing to ensure equitable access to essential medicines such as morphine and
methadone, leading to unnecessary pain and suffering. The political obstacles that are preventing
member states from ensuring an adequate provision of such medicines must be removed».
Uno degli obiettivi sensibili del lavoro di questa Commissione è «Put people’s health and safety first»:
si focalizza l’atte zio e sulle politiche nazionali che dovrebbero dare priorità alla tutela della salute e
della sicurezza delle persone. Ciò significa investire nella protezione della comunità, nella prevenzione, nella riduzione del danno quali pietre angolari della politica sulle droghe.
La sessione speciale delle Nazioni Unite (UNGASS) del 2016 presenterà un'opportunità senza precedenti di rivedere e ridefinire le politiche nazionali di droga nel quadro internazionale del controllo
degli stupefacenti. Se nel mandato delle Nazioni Unite sono scolpiti gli obiettivi della sicurezza, dei diritti umani e dello sviluppo, appare evidente che la salute sia il tema fondante di queste tre aspirazioni e rappresenti la cornice internazionale per il controllo delle droghe. Tuttavia, il nobile scopo di
raggiungere la salute e il e esse e del ge e e u a o – non soltanto per le terribili conseguenze
dovute a politiche sbagliate e aleggi punitive e proibizioniste – ha comportato per le Nazioni Unite
uno sguardo desolato su una umanità che combatte con la sofferenza e il dolore.
La riflessione dei giuristi in ordine alla protezione della salute e della sicurezza delle persone nel contesto internazionale ha generato il convincimento che misure repressive dure basate su meri presupposti ideologici debbano essere sostituite con politiche più umane ed efficaci pensate nel segno della
La Global Commission on Drug Policy è un panel compost da 22 leaders ed intellettuali di varie nazionalità, i
quali si sono posti come scopo di portare a livello internazionale la discussione basata sulla riflessione
multidisciplinare congiunta per ridurre i danni causati dalla droga per le persone e le società.
La Commissione globale sulla politica delle droghe si basa sulla esperienza di successo della Commissione latino
americana sulla droga e la democrazia convocate dagli ex presidenti Cardoso del Brasile, della Colombia e
Gaviria Zedillo del Messico. Nel convincimento che l'associazione tra traffico di droga, violenza e corruzione sia
una minaccia per la democrazia in America Latina, la Commissione ha esaminato le attuali politiche 'War on
Drugs' e ha aperto un dibattito pubblico su un problema che tende ad essere circondati dalla paura e dalla
disinformazione. La Commissione ha sostenuto che «The global war on drugs has failed, with devastating consequences for individuals and societies around the world. The emphasis in drug policy on harsh law enforcement over four decades has not accomplished its goal of banishing drugs and has in fact spawned wide, dramatic eruptions of violence, the report continued. By way of alternative, the GCDP report advocates decriminalizing drug use by those who do no harm to others».
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9. Considerazioni a margine: il superamento delle ragioni della compassione come contenuto minimo del diritto alla salute
Le considerazioni sin qui svolte hanno proceduto nel segno del dettato costituzionale secondo il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività,
garantendo cure gratuite agli indigenti. A questo presupposto metodologico è seguito – oltre al lavoro della giurisprudenza – il decreto Balduzzi le cui asperità non solleveranno i giudici dall’i te ve i e
per dirimere incongruenze e dicotomie.
La Costituzione, dopo la riforma del titolo V, ha riconosciuto agli enti locali funzioni proprie e funzioni
fondamentali, la cui definizione però, da parte del legislatore statale, è risultata fortemente condizionata dalla critica e difficile congiuntura economico-finanziaria. La stessa organizzazione dei «servizi alla persona e alla comunità»- che pure rientra tra le funzioni proprie degli enti locali- è frequentemente viziata da una interpretazione riduttiva che vede nella comunità locale un oggetto o un ambiente ricettore di prestazioni, anziché un soggetto capace di organizzazione e una sede di corresponsabilità. Servizi fondamentali, quali la sanità58, sono stati sottratti alla capacità e all'autonomia
G. DUSO, op. cit., 239: «Solo nella determinazione delle relazioni oggettive in cui il singolo concretamente si
trova, si può affermare la sua libertà. Dunque la limitazione (...) è essenziale per la libertà: non sopravviene
dopo il suo concetto positivo, ma le è i t i se a; non c'è libertà se non nella limitazione». Cfr. anche Ibidem
58
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salute pubblica e dei diritti umani. Questo è l'unico modo per ridurre contemporaneamente le morti,
le malattie e la sofferenza relativi a droga e violenza, la criminalità, la corruzione e i mercati illeciti
connessi con le inefficaci politiche proibizioniste.
La Commissione Globale propone cinque modi per migliorare il quadro internazionale della politica
sulle droghe. Dopo aver messo la salute e la sicurezza delle persone al centro del dibattito sono invitati i governi a garantire l'accesso ai farmaci essenziali e ai preparati che contribuiscono al controllo
del dolore. I commissari chiedono la fine della criminalizzazione, esortando strategie di prevenzione
mirate e trattamenti appropriati per i consumatori dipendenti. Allo scopo di ridurre i danni collegati
agli attuali regimi di regolamentazione delle droghe e minare il potere e i proventi della criminalità
organizzata, la Commissione raccomanda che i governi regolino i mercati della droga e adattino strategie repressive, concentrando i rispettivi sforzi nella lotta ai gruppi criminali più violenti e pericolosi,
invece di punire i bracci inferiori della catena criminale.
Gli ostacoli sulla via del riformismo nelle politiche sulle droghe sono ampi e diversificati: da una parte, le burocrazie interne riottose a considerare l’eve tualità che le politiche attuate fino ad ora siano
da considerarsi superate; dall’alt a, i media ciecamente attratti dalla pericolosa tendenza al sensazionalismo nel richiamare l’atte zio e sull’ulti o modello di droga sintetica in circolazione, senza
fermarsi sulla soglia della cautela e della corretta informazione. Infine, la politica che spesso si lascia
sedurre dall’a attiva te retorica della «zero tolerance» o alla creazione di«drug free» societies, invece di propendere per «an informed approach based on evidence of what works».
La buona notizia è che il cambiamento permea l'atmosfera e si assiste ad un crescente interesse per
le interpretazioni più flessibili e per progetti riformatori delle convenzioni internazionali sul controllo
dei farmaci, nel rispetto dei diritti umani e dei principi di riduzione del danno.
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delle comunità locali per essere ricondotti, paradossalmente anche per via "federale", ad una complessa – e a tratti apartecipativa – logica di tipo aziendalistico.
Sul delicato tema della salute della persona, le autonomie territoriali hanno dunque dimostrato di essere mere riproduzioni di una concezione della sfera politica che, nel suo compito di reductio all'unicità del volere dell'organo rappresentativo e in esso della sua verticistica maggioranza, non sa esprimere le differenze e continua, in fondo, a perpetuare l'impermeabilità tra sfera pubblica e rapporti
sociali59. Perdurando questo approccio, non sorprende che, in fasi di crisi economica come quella attuale, la democrazia sia declinata in termini di progressiva semplificazione e che i cittadini non si avvedano che la palpabile insensibilizzazione dei livelli di autonomia (quella provinciale, nello specifico,
ma anche quello circoscrizionale) sia una reale deminutio della partecipazione.
Se «l’u i o punto di contatto tra lo Stato e la società si realizza, tramite la rappresentanza parlamentare, nel momento legislativo, ristretto però alla società che conta60», allora l'indisponibilità del potere legislativo appare, in questo quadro, il fatale sigillo dell'assenza di autentica politicità in capo alle
autonomie locali e dell’asse za di sensibilità ai temi della persona e della dignità umana.
Il giurista che tende a provare una dolorosa estraneità al clima culturale, politico ed esistenziale che
si sta affermando da alcuni decenni, in particolare tra i liberi studiosi del diritto civile, osserva con
preoccupazione le trasformazioni del tempo, il venir meno dei più rassicuranti spazi chiusi delle nazioni, il declinare di alcuni riferimenti istituzionali che avevano contribuito in modo determinante a
dare corpo al progetto rivoluzionario del costituzionalismo democratico.
Dalla Dichiarazione dei diritti dell’uo o e del cittadino del 26 agosto 1789 in poi la «lotta per il diritto», che è stata richiamata come tratto distintivo del progetto del costituzionalismo moderno, impone di non fermarsi per contemplare i traguardi raggiunti e sollecita a ripensare continuamente se
stessi, le proprie scelte, le modalità di realizzazione dei diritti fondamentali negli ordinamenti giuridici
concreti.
Nonostante le nobili premesse contenute nelle dichiarazioni dei diritti, nessun paese ha messo a punto una serie completamente soddisfacente di politiche per i diritti delle persone. Nello specifico campo dell’uso della cannabis, la polarizzazione tra legalizzazione e divieto ha sovente bloccato il dibattito, impedendo stati di avanzamento dei provvedimenti su quegli ambiti più contigui alla salute delle
persone e agli strumenti per una vita priva di dolore fisico.
In molti paesi le politiche repressive rimangono saldamente in posizione. Da qui la necessità di coinvolgere molti attori – legislatori e politici, scienziati e operatori sanitari, educatori, funzionari di poli-
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248: «La libertà dell'individuo non può non implicare i rapporti che sono per lui costitutivi: tutti i rapporti, quelli
della famiglia, del lavoro, della società, dei quali appunto lo Stato è comprensivo, rappresentando la cerchia più
larga, la totalità di tutti i rapporti. Questi non sono limitativi della libertà del singolo, ma costituiscono il terreno
in cui essa realmente si afferma. (...) Solo nel condizionamento la libertà ha realtà: perciò nello Stato come
insieme dei rapporti etici l'individuo trova il campo della sua libertà sostanziale».
59
Come sostenuto da C. ESPOSITO (Autonomie locali e decentramento amministrativo nell’art. 5 della
Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 78), si tratta di «promuovere un sistema
complesso, dai molti centri di vita, che disciplini, senza eliminarlo, lo slancio vitale degli uomini, degli organismi
e delle istituzioni umane».
60
G. BERTI, Art. 5, in G. BARCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Società editrice del Foro italiano,
Bologna-Roma, 1975, 279.
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Paradigmatico – ma figlio di un contesto particolare – il aso dell’U uguay, paese i ui la necessità di
piegare il narcotraffico ha spinto il governo a creare un monopolio statale della produzione e
commercializzazione di droghe leggere, senza bisogno di ricetta medica. Infatti, con la Legge del dicembre
2013, n.19.172 l’U uguay ha stabilito che «Sin perjuicio de lo dispuesto por el Decreto-Ley No. . 9 … el
Estado asumirá el control de la regulación de las actividades de importación, exportación, plantación, cultivo,
cosecha, producción, adquisición a cualquier título, almacenamiento, comercialización y distribución de
cannabis y sus derivados, o cáñamo cuando correspondiere, a través de las instituciones a las cuales otorgue
a dato legal…».
61
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zia, i genitori e i giovani – in un dibattito costruttivo su valide alternative, sia a livello nazionale e internazionale.
Una nuova strategia globale sulle droga dovrebbe essere basata su principi di salutepubblica, contenimento del danno, riduzione dell’impatto sul mercato illecito, ampliamento dell'accesso ai farmaci
essenziali, minimizzazione del consumo problematico, considerazione del dolore come fonte di disagio fisico e psichico, pianificazione di procedure di deospedalizzazione e di dimissioni protette.
Qualsiasi approccio argomentativo deve anche tener conto del rilievo che la cannabis è anche una
droga a tutti gli effetti, ovvero una sostanza naturale da abuso, un euforizzante che produce benessere, rilassamento. Il cannabinoide induce una sensazione di piacevolezza psico-fisica che, però, può
rappresentare un pericolo in termini di dipendenza e, soprattutto, tolleranza, in particolare se il consumatore è minore di età.
Nonostante l’avvio di una stagione di liberalizzazioni61 e nonostante in Italia la cannabis terapeutica
sia una realtà già dal 2007, nei fatti, il provvedimento è rimasto lettera morta, un miraggio per colpa
di burocrazia e pregiudizi: l’asse za di un percorso di coscienza etica e di riconoscimento formale, ha
impedito che questa sostanza potesse dispiegare i suoi effetti benefici in alcune patologie gravi e fortemente invalidanti per le quali – molto spesso – il paziente non auspica la guarigione, ma soltanto
una ragionevole qualità della vita.
Lo sforzo collettivo di collocazione della cannabis nella corretta categoria dei farmaci deve poter consentire allo studioso di non cadere ell’e o e di pensare che con questa molecola si possa curare
tutto, ma neppure di pensare che vietarla ponga al riparo dal controllo dei propri figli e delle loro
scelte nel tempo dello svago e della convivenza sociale.
Nel contempo, la legalizzazione deve essere accompagnata da una tradizione educativa che, purtroppo, si è persa nel tempo. Le conseguenze di una società che ha smesso di formare i suoi figli – li
istruisce, ma non li educa – nasce dall’i capacità di dare delle regole, di ascoltare, di fermare il turbine delle esistenze degli adulti nel rispetto dei tempi dei ragazzi. Non esiste educazione se non vi è
questa capacità di ascoltare e di assumersi delle responsabilità.
Quello che si deve chiedere alla politica è rendere effettivo l'accesso ai farmaci cannabinoidi, come la
legge italiana prevede già dal 2007, attraverso iniziative di informazione del personale medico e dei
farmacisti, nonché attraverso lo snellimento e la semplificazione delle procedure per la prescrizione
di tali farmaci, e la loro fornitura a carico dei servizi sanitari regionali.
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Vitulia Ivone
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Pionieristico – ma forse semplicemente utopistico – potrebbe essere chiedere agli Stati di prendere
in considerazione approcci alternativi, tra cui regimi non-profit e monopolio statale, come emerso da
un interessante studio della LSE62.
Ma entrambi i lati del dibattito legalizzazione/proibizionismo devono riconoscere che la questione è
complessa e l'intervallo di incertezza largo. Tale modestia,purtroppo, scarseggia, confinando il dibattito (ipocrita) fuori dall’alveo del rispetto della persona umana.
Nel maggio 2014, un gruppo di esperti on the Economics of Drug Policy della London School of Economics ha
presentato un Report dall’evo ato io titolo «E di g the D ugWa s» i ui e e so he Il perseguimento di una
strategia di War on Drugs militarizzata e l'esecuzione guidata globale hanno prodotto un enorme esito
negativo e significativi danni collaterali. Si pensi all'incarcerazione di massa negli Stati Uniti, alle politiche
altamente repressive in Asia, alla corruzione e destabilizzazione politica in Afghanistan e in Africa occidentale,
alle viole ze uotidia e i A e i a Lati a, all’epide ia di HIV i Russia, alla carenza globale acuta di farmaci
per il dolore e alla propagazione di sistematiche pratiche di abuso dei diritti umani sistematiche in tutto il
mondo.
La strategia non è riuscita in base a queste specifiche criticità. E le esose spese di mantenimento delle politiche
punitive sono state perpetrate a scapito delle politiche di sanità pubblica e di miglioramento della qualità della
vita.
Si veda http://www.lse.ac.uk/ideas/publications/reports/pdf/lse-ideas-drugs-report-final-web.pdf (ultima consultazione 15/06/2015).
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Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento
Stefano Rossi*
ABSTRACT: In Italy the deep crisis of the judicial system, and in particular of the jail system, has allowed the development of an intense deinstitutionalization. A new Italian
law (81/2014) recently established dismission of all Psychiatric Forensic Hospitals and
the t a sfe i g of old a d e fo e si patie ts to the Re s Reside e fo the
implementation of security measures) or local Mental Health Department, at time in
many instances in the same common settings of acute psychiatric services, community a d te ito ial psy hiat y i ed ith o
o psy hiat i patie ts. This ha ge
already introduced several problems, also legal, with strong preoccupation among
operators, other patients and public opinion as concerns both treatment efficiency
and safety of the cure.
KEYWORDS: Psychiatric Forensic Hospital; Mental Health Department; Security
measures; Psychiatric patients; Dignity
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Ieri: i manicomi giudiziari tra legge penale e disciplina psichiatrica. – 3. Ancora ieri,
ma forse oggi: la giurisprudenza costituzionale sulla pericolosità. – 4. Oggi: il superamento degli Opg tra Stato e
Regioni. – 5. Domani: prospettive tra cura della persona e esigenze di sicurezza sociale.
1. Premessa
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D
al 1° aprile 2015 gli ospedali psichiatrici giudiziari cesseranno di esistere, come previsto dalla
legge 81/2014 recante «Disposizioni urgenti in materia di superamento degli Opg». La rifora si seg ala pe u ’affe azione culturalmente importante, per quella presa di posizione
ei te i i di u
ai più ve so u a ealtà disgustosa e udele, disu a a e i a etta ile. No isog a di e ti a e he lo s lo o e la ip esa del a
i o di « hiusu a» degli istituti pe l’esecuzione
delle cd. misure manicomiali scaturisce dallo scoperchiarsi «di un enorme e terrificante vaso di Pando a» he ha «supe ato la soglia dell’i
agi a ile»1. Davanti alla condizione degli Opg è maturato
uasi all’i p ovviso, o e l’a ivo di u a i ovata primavera, un sentimento e movimento sociale,
caratterizzato dalla forza e urgenza di una presa di posizione, che non si è però trasposta in una reazione puramente emotiva. Così, se si è chiuso un capitolo nella storia della condizione dei cosiddetti
folli ei , se e ap e su ito u alt o, o p ivo di i og ite. I to o ai circa 700 malati di mente internati nei sei istituti esistenti si gioca infatti una partita su scala nazionale complessa, con molte ri-

Dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea – Università di Bergamo. Contributo sottoposto a doppio referaggio anonimo.
1
F. DELLA CASA, Basta con gli OPG! La ri ozione di un fossile vivente uale pri o passo di un arduo percorso
riformatore, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 64 ss., specie 83.
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Essays
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Stefano Rossi
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sorse economiche in gioco e agguerrite battaglie culturali, di cui sono protagonisti Stato e Regioni,
servizi territoriali di salute mentale e magistrati di sorveglianza.
2. Ieri: i manicomi giudiziari tra legge penale e disciplina psichiatrica
Pe oglie e la fu zio e dell’ospedale psi hiat i o giudiziario oggi, nella fase del suo formale superamento, ci è sembrato imprescindibile rintracciarne le radici storiche.
Co e detto, la isu a di si u ezza dell’ospedale psi hiat i o giudizia io Opg , istituito i Italia alla fie dell’Otto e to o e a i omio criminale2, app ese ta la isposta dell’o di a e to giu idi o alla
problematica del folle autore di un fatto di reato3.
Tale misura rappresenta un ibrido tra manicomio e carcere, ponendosi a cavallo tra i due istituti, anzi
definendo un modello che ha assunto caratteristiche proprie pur nel mutare nel tempo dei flussi e reflussi culturali derivanti dagli indirizzi socio-politici in materia di trattamento della devianza carceraria
e della delinquenza.
I pa ti ola e il a i o io giudizia io as e all’i terno del sistema penitenziario, in funzione servente rispetto ad esso, dovendo caratterizzarsi come struttura funzionale ad una ordinata gestione del
sistema carcerario, in grado di separare e custodire i folli-rei rispetto agli altri detenuti4.
È bene rammentare che, nella definizione di tali politiche in materia penale, non fu certo secondario
l’i flusso ese itato dagli studi e dalle uove p ospettive i poste dalla s ie za i i ologi a italia a
he, o la se o da età dell’Otto e to, ve e a i si ua si nel contesto del confronto tra la Scuola
Classi a e la ì uola Positiva del di itto pe ale, po e do al e t o dell’atte zio e la pe so a del iminale (e non solo il reato, come istituto), della cui condotta era possibile rintracciare le cause e
dunque elaborare una forma di sapere positivo. Tale concezione privilegiava dunque, ai fini della definizione dei principi ispiratori della normativa in materia, uno studio della psiche e dei fattori deteri a ti l’azio e del eo, a s apito i pa te del fatto ille ito stesso e della sua dogmatica.
Fu, appu to, a he g azie all’e e sio e di tali o ezio i, he la dott i a ela o ata dalla ì uola Positiva ve e ad affe a si o il suo odello di pe alità. I tale p ospettiva l’uo o o poteva di si li2
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Gli attuali Opg altro non sono che la prosecuzione di quei manicomi criminali immaginati dalla Scuola Positiva
a partire dalla fine de XIX secolo. Esistono tre denominazioni, utilizzate in periodi e contesti storici diversi, che
si riferiscono alla medesima struttura: con manicomio criminale si i te de l’istituzione ideata ed elaborata dai
criminologi positivisti nel corso del XIX secolo, con manicomio giudiziario ci riferiamo invece a quell'istituzione
diffusasi i izial e te pe p assi dopo l’ape tu a della p i a Sezione per maniaci ad Aversa nel 1876, infine con
ospedale psichiatrico giudiziario (Opg), si vogliono indicare gli stessi istituti ma dopo il 1975, data in cui è
entrato in vigore l'ordinamento penitenziario e la denominazione ospedale psichiatrico giudiziario ha sostituito
la previgente.
3
Per la precisione il manicomio giudiziario costituiva la soluzione al problema rappresentato dalla gestione
della pericolosità di due categorie di devianti: i folli rei e i rei folli. Con rei folli si faceva riferimento a quei
soggetti che, a seguito della commissione di un fatto reato, essendo ritenuti imputabili e colpevoli, erano stati
condannati e in una fase successiva alla commissione del fatto - fosse essa precedente o meno al procedimento
o alla condanna - si riteneva fossero impazziti. Con folli rei si intendevano quei soggetti che, avendo commesso
il fatto in stato di assoluta o parziale incapacità di intendere e volere, erano stati prosciolti. Su cui G. MELANI, La
funzione dell’Opg. Aspetti nor ativi e sociologici, in www.altrodiritto.unifi.it (ultima consultazione 27/04/2014)
4
A. MANACORDA, Il Manicomio Giudiziario. Cultura psichiatrica e scienza giuridica nella storia di un'istituzione
totale, Bari, 1982, 25 ss.
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Questa prospettiva, che vedeva tra i suoi principali fondatori la figura di Cesare Lombroso – il suo saggio
Uo o deli ue te del
6 seg la as ita stessa dell’a t opologia i i ale – affermava quindi il primato
del modello psichiatrico su quello giuridico normativo e privilegiava una concezione patologistica e
deterministica del criminale.
4
6
E. FERRI, Sociologia criminale , Torino, 1900, 35 ss. e 870 ss.
7
Per ulteriori riferimenti I. CAPPELLI, Manicomio giudiziario, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; R. CANOSA, Storia del
manicomio in Italia dall'Unità ad oggi, Milano, 1979, 100-118; F. COLAO, Un’«esistenza ezza legale ezza no».
Il anico io giudiziario nell’Italia li erale, in ID. (a cura di), Perpetue appendici e codicilli alle leggi italiane,
Macerata, 2011, 439 ss.
5
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bero di compiere le proprie scelte, essendo invece determinato nella sua condotta da fattori biologici
e sociali che definivano le cause del suo comportamento antisociale. Il delinquente non si mostrava
quindi essere uomo come gli altri, la sua differenza si sostanziava in un carattere criminale determinato5, il che influiva sulla stessa funzione della pena, la quale non si poteva dunque fondare
sull’i puta ilità e sul i o os i e to della espo sa ilità o ale delle p op ie azio i, ua to piuttosto sulla sua finalizzazione alla difesa sociale. Parimenti, il concetto di colpevolezza perdeva la sua
utilità eu isti a, ve e do sostituito da uello di pe i olosità so iale, la ui ge esi si t ova ell’i t e io
tra psichiatria e giustizia.
I uesto o testo si soste eva l’e uivale za dell’uo o deli ue te e di uello ato pazzo, i o oscibile per determinate caratteristiche somatiche correlate a deformità mentali, delineando quel triste ste eotipo del deli ue te ato , o e lo defi Fe i6, inteso quale soggetto più simile ad un
essere primitivo, caratterizzato da una condotta violenta, sproporzionata e incontrollabile contro la
cui pericolosità la società si doveva difendere.
Nell’otti a positivista la pe a assu eva p i ipal e te fu zio e spe ial-preventiva, il che determina
la configurazione delle strutture atte a custodire gli autori di reati, ed in particolare quelli affetti da
patologie e tali: pe uesti ulti i, i pa ti ola e, se la p igio e o e a adatta, sta te l’esige za di
un intervento medico, al contempo anche i manicomi non sembravano sede idonea, non offrendo
quelle garanzie richieste dalla pericolosità del folle. Era necessaria una struttura che, perseguendo la
u a dell’i fe o, avesse u a atte e a he a e a io, ga a te do dal pe i olo di fuga. Da ui
l’invenzione del manicomio criminale, allo stesso tempo votato ad escludere dalla società gli irrecuperabili e a curare coloro per i quali era immaginabile una riabilitazione, istituzione con direzione
medica e personale carcerario.
Ad ogni modo, mentre le discussioni dottrinali e i dibattiti parlamentari7 si protraevano, la prassi si
i pose p i a della legge o l’istituzio e el
6, all’i te o dell’a
i ist azio e pe ite zia ia,
con un semplice atto amministrativo della Sezione per maniaci presso la casa penale per invalidi di
Aversa. Nasceva così, in assenza di una disciplina legislativa, il primo manicomio giudiziario italiano.
Nel
9 ve iva i fi e app ovato il p ogetto óa a delli, p i o odi e pe ale del Reg o d’Italia ed i
gran parte coerente, in te a di politi a i i ale e di defi izio e dell’i puta ilità, o le ista ze della Scuola Classica. In esso, contrariamente alle aspettative, non si trovava alcuna menzione del manicomio criminale, né vi era alcun meccanismo di presunzione di pericolosità a carico del folle reo, dove dosi alt es a e ta e l’eve tuale pe i olosità aso pe aso. Cos il soggetto o i puta ile, ai
se si dell’a t. 6, o poteva esse e sottoposto a sa zio e, p evede dosi tuttavia la possi ilità pe il
195
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196
giudice di disporre la o seg a all’auto ità o pete te pe i p ovvedi e ti di legge, ell’ipotesi i
ui sussistesse il e uisito della pe i olosità della li e azio e del o i puta ile8.
Ove non era giunto il nuovo codice, potè invece il Regolamento Generale degli Stabilimenti Carcerari
e dei Riformatori Governativi del 1° febbraio 1891, n. 260 che, colmando una lacuna, introdusse a livello o ativo «il a i o io giudizia io» all’a t. 69. I a i o i giudizia i ve iva o lassifi ati t a
gli stabilimenti di pena speciali (art. 4) e ad essi era attribuita funzione di repressione e cura dei condannati impazziti (art. 469)9.
Nel 1904 fu approvata la prima legge manicomiale, cosiddetta Giolitti, che constava di pochissimi articoli e rinviava ad un regolamento attuativo buona parte della disciplina. I manicomi giudiziari non vi
trovavano apposita regolamentazione. Tuttavia si può constatare come la legge n. 36/1904, di impronta nettamente securitaria e custodialistica, nel regolare la materia, avesse implementato
uell’a iguità di fondo tra il concetto di cura e quello di custodia, derivante dalla circostanza per
ui ell’istituzio e all’affe azio e fo ale dell’u o, seguiva u a p assi he o solidava la p evalenza della difesa della collettività e della finalità di controllo sociale, senza riguardo alla comprensione
del fenomeno della salute mentale e della sua sostanza.
Tornando al cammino del manicomio giudiziario nella disciplina penalistica, si deve rammentare coe, ei p i i de e i del 9 , si i pose i Italia u a o ezione – facente capo alla Scuola TecnicoGiuridica di Arturo Rocco – che intendeva la funzione della pena in termini di prevenzione, articolandosi la sa zio e ella fase del o ito e i uella dell’appli azio e. La fu zio e he la pe a assu eva
nella prima fase era di tipo general-p eve tivo, e t e ella fase dell’appli azio e svolgeva u a funzio e dife siva ella fo a della eazio e al fatto o
esso dall’i dividuo olpevole, ipotizza dosi
pe alt o he l’o di a e to potesse ade pie e a tale fi alità di difesa anche con misure amministrative, ovve o le isu e di p eve zio e e uelle di si u ezza, l’u a da appli a si ante delictum, l’alt a
post.
Il codice Rocco del 1930 adottò in gran parte tale modello teorico, mantenendo la pena con funzione
retributiva e introducendo le misure di sicurezza. Se infatti il fondamento della pena veniva rinvenuto
ella espo sa ilità o ale dell’age te, ua do situazio i pe ulia i – definite come indici di pericolosità – lo richiedevano, non potendosi ancorare la risposta sanzionatoria alla sola pena, la risposta
dell’o di a e to poteva espli a si ella sottoposizio e ad u a isu a di si u ezza di du ata i deterLe disposizioni attuative, agli a ti oli
e
, hia iva o uale fosse l’auto ità o pete te e uali
p ovvedi e ti uesta potesse adotta e. L’auto ità o pete te e a il P eside te del T i u ale ivile. I u a
p i a fase la Co te d’Assise dispo eva la o seg a del p os iolto all’auto ità di pu li a si u ezza. Quest’ulti a
provvedeva al ricovero in osservazione in un manicomio. Successivamente, il Presidente del Tribunale adottava,
su istanza del Procuratore del Re, una decisione definitiva che poteva consistere: qualora dall’osse vazio e si
fosse desunta la non pericolosità della liberazione del soggetto, nella messa in libertà del prosciolto,
dive sa e te, ell’ipotesi del is o t o di u a pe i olosità si ap iva o due possi ili st ade, la p i a e a uella
del ricovero definitivo i
a i o io, la se o da l’affida e to i ustodia ad u fa ilia e he si assu esse la
responsabilità e offrisse idonee garanzie.
9
I soggetti che potevano essere ospitati in questi speciali asili, oltre ai detenuti folli, erano: gli accusati che,
supposti folli, erano stati inviati in manicomio in stato di osservazione, i quali potevano essere spostati in
queste strutture (art. 472); gli inquisiti che avessero dato segno di follia (art. 473); e infine i prosciolti folli per i
quali il giudice civile avesse ordinato il ricovero in manicomio, che potevano essere trasferiti in sezioni apposite
dei manicomi criminali, con decreto del ministero dell'interno, su proposta dell'autorità di pubblica sicurezza
(art. 471).
8
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10
E. MUSCO, La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, Milano, 1978, 27 ss.; M. PELISSERO,
Pericolosità e doppio binario, Torino, 2008, 15 ss.
11
Il ricovero in manicomio giudiziario è una misura di sicurezza personale detentiva prevista per i prosciolti inimputabili per: vizio totale di mente, sordomutismo, cronica intossicazione da alcool o da sostanze
stupefa e ti. Nell’o igi a ia i postazio e del Codi e Ro o, a he i i o i, ualo a avesse o o
esso il
reato in uno stato di infermità dovuto ad una delle condizioni per cui era prevista la misura di sicurezza del
ricovero in manicomio giudiziario, erano soggetti a questa misura, in luogo di quella a loro riservata del
ifo ato io giudizia io. L’appli azio e della isu a o e a su o di ata ad u a e ta e to i o eto della
pe i olosità del soggetto e ie t ava t a le ipotesi p esu tive, difatti all’a t.
si leggeva he, i aso di
proscioglimento per infermità psichica, è sempre ordinato il ricovero in manicomio giudiziario per un periodo di
al e o a i. L’assegnazione a casa di cura e custodia è invece la misura di sicurezza che il codice dispone per
i condannati a pena diminuita a causa della ridotta capacità di intendere e di volere, cagionata da infermità,
sordomutismo, cronica intossicazione da alcool e sostanze stupefacenti. Anche in questa ipotesi la pericolosità
è presunta, qualora per il reato commesso la legge stabilisca una pena non inferiore nel minimo a cinque anni
di reclusione, ovvero la condanna all'ergastolo o alla pena di morte (art. 219, 1º e 2º co., c.p.).
12
F. TAGLIARINI, Pericolosità, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 15 ss.
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minata. Così per i non imputabili, e dunque non assoggettabili alla sanzione penale, si predisponevano idonee misure imp o tate al odello del d. doppio i a io se o do ui pe e e isu e di si urezza, pur avendo presupposti e limiti diversi, possono trovare applicazione senza escludersi vicendevolmente.
In particolare, nei confronti dei soggetti che si erano visti pronunciare una sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente, o di condanna a pena diminuita per vizio parziale, la qualità di persona
socialmente pericolosa era presunta dalla legge. Si applicava loro, sempre e in ogni caso, la misura di
sicurezza detentiva, rispettivamente quella del ricovero in manicomio giudiziario per i non imputabili
o in casa di cura e custodia per i semi-imputabili (artt. 219 e 222 c.p.).
Per quanto concerne, poi, la durata della misura di sicurezza, essa veniva definita nel minimo – proporzionale alla pena edittale massima prevista per il reato commesso – ma non nel massimo, lasciando in pratica indefinito e prorogabile ad infinitum il termine ultimo.
Il siste a del doppio i a io , ost uito sulle oppie espo sa ilità-pena e pericolosità-misura di sicurezza, trova la sua ratio nella diversità di funzioni che sono assegnate rispettivamente alla pena e
alla misura di sicurezza10: os la pe a do i ata da u ’idea di p eve zio e ge e ale edia te i timidazione, la misura di sicurezza ha una specifica finalità di prevenzione speciale, mediante riabilitazione o neutralizzazione a seconda delle caratteristiche e della personalità del delinquente11.
Si impone quindi nel sistema penale, e non solo, il concetto di pericolosità sociale12 sul quale si fondava l’ideologia della ì uola Positiva, il he ha o po tato p ofo de o t addizio i e dis epa ze t a
la funzione propria del nuovo concetto e la sua operativa compatibilità con le garanzie dei diritti di libertà del cittadino, affermati dalla tradizione classica del diritto penale.
In questi termini, con riferimento alla condizione del folle-reo, sembra paradossale la punizione di chi
ha commesso un reato senza intenderne le conseguenze (essendo privi della capacità di comprendere il disvalore dell'azione o senza volerne la gravità del danno), dato che egli non può capire neppure
il se so della sa zio e he gli vie e i flitta. Allo stesso odo la stessa adi e alla ase dell’a t.
c.p., nella sua duplicità, ha creare un meccanismo di per sé ambiguo. Si tratta di fornire una risposta
istituzionale mista, mediante un dispositivo speciale con cui, allo stesso tempo, si cura la malattia e si
irroga una pena, che può anche sommarsi o alternarsi alla comminazione della misura di sicurezza.
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13
E. MUSCO, La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, cit., 167 ss.; M. ROMANO, G. GRASSO, T.
PADOVANI, Commentario sistematico del Codice penale. Vol. III. Artt. 150-240, Milano, 2011, 426 ss.
14
Ex pluris Corte cost., sentenza n. 257 del 2006.
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Diet o a uesti u lei a ivale ti di fu zio i, fi alità e p o edi e ti, si po e u ’istituzio e ui si accede attraverso uno schema ordinato su una sequenza rigida, quella fondata sul procedimento penale, sulla pe izia psi hiat i a, sulla o statazio e dell’i fermità, ui di della pe i olosità so iale e – al
termine della sequenza – sul ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.
Nel secondo dopoguerra le critiche alle misure di sicurezza, in una prima fase, ebbero ad oggetto soltanto alcuni aspetti specifici della normativa. In particolare, seguendo un percorso di riflessione dal
particolare al generale, la dottrina si concentrò su alcuni singoli aspetti, ponendosi solo successivamente il più generale problema della legittimazione stessa delle misure13. La crisi del sistema dualistico fu messa in evidenza dalla difficoltà di distinguere funzionalmente le pene e le misure di sicurezza
il che – per quanto concerneva gli imputabili – aveva di i a l’a ogazio e del doppio i a io. Naturalmente, contribuiva alle critiche anche la collocazione delle misure di sicurezza detentive in uno
spazio ostituzio ale spu io, t a i t atta e ti te apeuti i fo dati sull’a t. Cost. e uelli sa zio ato i
regolati dal combinato disposto degli artt. 25 e 27 Cost., emergendo la pervasività del concetto di pericolosità sociale che è misto perché insieme prognostico e diagnostico.
Vi da ota e pe alt o he, o l’e t ata i vigo e della Ca ta ostituzio ale e, i spe ie, att ave so la
p evisio e dell’a t. , º o., si ve go o ad affievolire le peculiarità delle misure di sicurezza sotto il
p ofilo fu zio ale. Il te zo o
a dell’a t.
sa is e i fatti la fu zio e rieducativa della pena, da
interpretarsi in termini special-preventivi, come principio applicabile solo in fase esecutiva o, ancora,
o e ite io he de a u ifo a e l’i te o o plesso del siste a pe ale. Tale o ie ta e to ha determinato un progressivo avvicinamento tra pene e misure di sicurezza, al quale ha peraltro contribuito la costante giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto il carattere polifunzionale della
pena14.
È inevitabile quindi che, per sopravvivere, le misure di sicurezza destinate ai non imputabili dovevano
potersi distinguere nel contenuto dalla pena, giungendosi altrimenti alla conclusione che esse non
fossero altro che una pena mascherata da una diversa denominazione. In questi termini si è tentato
di rinvenire la funzione della misura di sicurezza per gli infermi di mente ponendone in risalto
l’a ezio e te apeuti a. La isu a di si u ezza, p oprio in quanto misura diversa dalla pena, sarebbe
dunque giustificata dalla finalità terapeutica che viene ad assumere, finalità che tuttavia rischia di rimanere soltanto dichiarata, data la portata inevitabilmente afflittiva di tali misure.
Ma, al di là dell’aspetto dog ati o elativo alla legitti azio e ostituzio ale e all’i uad a e to delle isu e di si u ezza, a fa peso ve so u ’esige za di ifo a, a pa ti e dagli a i ìetta ta, fu o o i
dibattiti sulla natura disumana dei manicomi giudiziari. Le denunce dei luoghi insalubri e delle strutture inadatte, delle contenzioni protratte per decine di giorni, delle carenze materiali, del sovraffollamento, dei maltrattamenti subiti dagli internati, aprirono il varco per la riflessione sulla valenza terapeuti a dell’i te a e to. Del esto il p og essivo i de oli e to delle e tezze s ie tifi he alimentava le critiche sulla legittimità della misura di sicurezza del ricovero in manicomio giudiziario,
misura di sicurezza, già per molti aspetti assimilabile alla pena, che rischiava di non essere altro che
una restrizione della libertà personale fondata su valutazioni con un discreto di margine di aleatorietà15.
Un primo passo, ancora insufficiente, verso una riforma si ebbe con la legge n. 354/1975 e il successivo regolamento di esecuzione, contenuto nel d.P.R. n. 431/1976, caratterizzate da una prospettiva
di denuncia dello status quo.
Già tuttavia si era mossa, con anticipo, la Corte costituzionale che, con sentenza n. 110 del 23 aprile
1974, aveva dichiarato illegitti o l’a t.
.p., ella pa te i ui ise vava al Mi ist o della giustizia
la revoca anticipata della misura di sicurezza. Si voleva così evitare di trattenere quella parte della
popolazione dei manicomi giudiziari che ormai aveva cessato di essere socialmente pericolosa, attribuendo quindi al giudice di sorveglianza la facoltà di revocare la misura di sicurezza anche prima che
fosse decorso il periodo minimo stabilito per legge16.
Come prevedibile, tale decisione rappresentò un enorme passo in avanti verso il superamento di
uella he i a eva a o a, sotto olti aspetti, u ’istituzio e totale.
Con la legge n. 354 del 1975 il manicomio giudiziario tramuta definitivamente il suo nome in «ospedale psichiatrico giudiziario»; la sostanza non muta, ma dal pu to di vista si oli o l’istituzio e assu e u a di e sio e più spi ata e te te apeuti a. ìi o se te all’i te ato la possi ilità di t as o e e pa te del gio o fuo i dall’istituto pe pa te ipa e ad attività lavo ative, ist uttive o o unque utili al ei se i e to so iale, os o e p evisto dall’a t. dell’o di a e to pe ite zia io; si introduce il cosiddetto regime di semi-libertà anche per gli internati, con meno limitazioni rispetto ai
semplici condannati.
Il egola e to dell’o di a e to pe ite zia io, lu go uesta li ea, all’a t. 9 p e isava i olt e he gli
operatori professionali e volontari chiamati a svolgere la loro attività nelle case di cura e custodia e
negli ospedali psichiatrici giudiziari fossero selezionati con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti ivi ospitati.
Pe alt o sia l’o di a e to pe ite zia io del 9
he il egola e to del 9 6 o sta iliva o olto
circa il trattamento specifico riservato agli internati. Questo aspetto poteva essere letto nella chiave
positiva di un intervento che, senza rinchiudersi nelle strette maglie di una disciplina dettagliata, mostrava quei caratteri di elasticità tali da rendere nel concreto il trattamento più adatto possibile alle
esigenze individuali.
Proprio in quel torno di tempo si impose la legge n. 180 del 1978 di riforma della legislazione psichiatrica, nella quale non vi è alcun riferimento espresso agli Opg o alle norme del codice penale che regolano la misura di sicurezza. Per cui, anche se si può escludere che la legge n. 180 abbia prodotto
delle modifiche al funzionamento o alla normativa che concerne gli Opg, tuttavia appare palese che
esse o t i u al o pleto oves ia e to della o ezio e dell’i fe ità e tale fatta p op ia dal
codice Rocco. Si trattò infatti di u a ivoluzio e ope i a a , he po tava i g e o la apa ità di
de oli e dalle fo da e ta il pa adig a dell’i te a e to, ost uito sulla p esu zio e di pe i olosiT. PADOVANI, L’ospedale psichiatrico giudiziario e la tutela costituzionale della salute, in U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI
(a cura di), Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978, 239 ss.
16
Ri o dia o, pe alt o, he ’e a già stato u p i o i te ve to della Co te Costituzio ale, i
e ito
all’a olizio e della p esu zio e di pe i olosità. Esso o e eva i pa ti ola e il aso del i o e o
imputabile. Tale presunzione venne appunto tacciata di incostituzionalità e quindi cassata con sentenza della
Corte del 20 gennaio 1971, n. 1.
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Su cui infra.
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tà del alato e tale. Nella legge Basaglia, ella uale il te i e stesso pe i olosità s o pa e
completamente dal testo di legge, si negava il pregiudizio anacronistico e invalidante della pericolosità implicita ed invariabilmente connessa alla malattia mentale, offrendo un nuovo tipo di risposta alle
problematiche degli infermi psichici, in un sistema regionalizzato e deistituzionalizzato, contro ogni
fo a di i te a e to a i o iale, e o l’atte zio e i e t ata sulla figu a del alato, i suoi isogni e diritti.
Emergeva la contraddizione tra la legge 180 (assorbita dalla 833/1978) che superava il concetto di
pericolosità e di pubblico scandalo, sopprimendo del tutto i manicomi e rendendo eccezionali i ricove i oattivi, e, dall’alt o lato, il odi e pe ale he i ve e o ti uava a i e t a si sui o etti di p esunzione di pericolosità sociale del malato di mente autore di un fatto costituente reato e sul suo
conseguente internamento obbligatorio in Opg, istituzione manicomiale e al contempo misura di sicurezza detentiva.
La dis asia ve iva ulte io e te agg avata dall’esiste za di un meccanismo che, negando la rilevanza dell’avve uta gua igio e p i a dello s ade e del te i e della isu a di si u ezza, os o e della
concreta e reale non pericolosità del soggetto, si fondava su una duplice presunzione:
a) in presenza di una accertata incapacità di intendere e di volere del soggetto conseguente ad una
sua infermità psichica, veniva presunta dal legislatore la di lui pericolosità sociale;
si p esu eva i olt e he l’i fe ità ui e a ollegata la pe i olosità, i dividuata ispetto al momento della commissione del fatto, perdurasse fino a quando non si procedeva all'applicazione della
misura di sicurezza.
La conseguenza di tale presunzione, incompatibile con il dato costituzionale, era la possibile sottoposizione a misura di sicurezza di un soggetto che, nel lasso di tempo intercorso tra i due momenti predetti, fosse guarito dallo stato di alterazione mentale, senza che tuttavia tale circostanza valesse a
differenziarlo sul piano giuridico da chi risultava ancora infermo. Solo più tardi con due sentenze della Corte costituzionale, la n. 139 del 27 luglio 1982 e la n. 249 del 28 luglio 198317, si venne a scardinare la costellazione di presunzioni che connotava il sistema della misure di sicurezza, aprendo la
strada alla successiva riforma operata con la legge n. 663 del 1986 – legge Gozzini – che avrebbe
abrogato tutte le presunzioni di pericolosità previste dal codice penale, sia quelle di pericolosità qualificata, sia quelle connesse a certi tipi di reati, sia le presunzioni nei confronti dei portatori di vizio totale o parziale di mente.
Le se te ze del ie io ’ - , pu ve e do ad i ide e sulle si gole p esu zio i di pe i olosità, o
ha o tuttavia i i ato la p esu zio e he o etteva l’i fe ità e tale alla pe i olosità so iale.
Co tali p o u e, i fatti, si e a di hia ata l’i ostituzio alità dell’auto ati a appli azio e del p ovvedimento di ricovero in Opg, nei confronti del prosciolto per infermità totale o del condannato a
pena diminuita per vizio parziale di mente, senza po e l’o ligo pe il giudi e della og izio e e pe
uello dell’ese uzio e di p o ede e «all’a e ta e to della pe siste te pe i olosità so iale de iva te
dall’i fe ità edesi a al te po dell’appli azio e della isu a». La Co te aveva, du ue, eli i ato
solo la p esu zio e della pe siste za della i fe ità e tale al o e to dell’ese uzio e della isua, a o aveva i ta ato i al u
odo la p esu zio e i ase alla uale l’i fe ità psi hi a e a da
considerarsi come condizione presuntiva, iuris et de iure, di pericolosità sociale.
Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento
3. Ancora ieri, ma forse oggi: la giurisprudenza costituzionale sulla pericolosità
Co e a ia o visto,
ell’a ito pe alisti o, ove la pe i olosità o ti ua a i op i e u ruolo nella
strutturazione di diversi istituti, che si è progressivamente realizzato un processo di destrutturazione
e elativizzazio e del o etto stesso al fi e di o fo a lo al p i ipio di legalità. Nell’o igi a ia impostazione del codice penale, infatti, il sistema delle presunzioni di pericolosità costituiva il pilastro
su ui si eggeva l’appli azio e delle isu e di p eve zio e e di si u ezza, ispetto alla ui valutazio e
i o eto e a las iato s a so spazio all’a e ta e to da pa te del giudi e20.
Le presunzioni juris et de jure di pericolosità sono state oggetto, sin dagli anni sessanta,
dell’atte zio e della Co te ostituzio ale he ha sviluppato u a giu isp ude za o se p e li pida e
lineare, tendendo soprattutto in una prima fase a salvagua da e l’a hit ave del siste a, ovve o il
giudizio prognostico di pericolosità.
In questi termini, nella sentenza n. 19 del 196621, la Corte ha ribadito la legittimità in linea generale
delle presunzioni di pericolosità, la cui previsione legislativa, fondata su comuni esperienze22, fosse
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T. PADOVANI, La pericolosità sociale sotto il profilo giuridico, in S. FERRACUTI (a cura di), Psichiatria forense
generale e penale, XIII, Milano, 1990, 318 ss.; A. MANNA, Diritto penale e psichiatria di fronte alla malattia
mentale, in Rass. it. crim., 2000, 340 ss.
19
Parla di effetto solo collaterale della riforma A. PUGIOTTO, L’ergastolo nascosto (e altri orrori) dietro i muri
degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Quad. cost., 2, 2013, 349.
20
A. PACE, Misure di sicurezza e pericolosità sociale presunta, in Giur. cost., 1966, 191 ss.; D. GIURI, Infermità
psichica e presunzione di pericolosità nel giudizio della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 214
ss.; G. CANEPA, Accertamento e revisione della pericolosità sociale: la diagnosi psicologica, in G. GULOTTA (a cura
di), Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987, 146 ss.
21
Corte cost., 10 marzo 1966, n. 19, in Giur. cost., 1966, 189 ss.; in dottrina I. CARACCIOLI, Sulla legittimità
costituzionale della pericolosità presunta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 1009 ss.
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Restava, ui di, i alte ato l’e o eo o vi i e to pe ui il alato di e te doveva ite e si u
soggetto che, in ragione del suo stato, è più incline del sano a commettere reati, il che non si giustificava né sul piano scientifico, né su quello normativo, salvo voler mantenere come connotato essenziale della misura di sicurezza manicomiale una preminente funzione di difesa sociale, anche in contrasto con i principi affermati dalla riforma del 197818.
L’ulti o passo di uesto complesso percorso normativo è segnato dalla legge n. 663/1986 che, abrogando ogni fattispecie di pericolosità presunta, è quindi intervenuta a risolvere definitivamente il
problema del binomio pericolosità sociale/infermità mentale, consentendo così di considerare
uest’ulti a o più o e u a ausa spe iale di pe i olosità, a o e u ualsiasi fatto e he, inte age do o gli alt i, pu ese ita e u ’effi a ia i i oge a. I pa ti ola e, all’a t.
della legge,
si prevedeva che l’appli azio e della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario – ordinata previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa – rientrasse nella esclusiva competenza del Magistrato di Sorveglianza, il quale deve provvedere «all’appli azio e, ese uzio e, t asfo azio e o evo a, a he a ti ipata, delle isu e di si uezza o h al iesa e della pe i olosità ai se si del p i o e se o do o
a dell’a t.
.p.»19.
Da quel momento in avanti la pericolosità sociale è divenuta una caratteristica eventuale del reo da
accertarsi caso per caso.
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del tutto ragionevole, sostenendo comunque che la restrizione della libertà personale in tal modo
realizzata fosse conforme al p e etto dell’a t. Cost.
La Corte tendeva quindi a rintracciare nel rispetto del formalismo delle procedure uno strumento di
ga a zia ispetto all’appli azio e di isu e o otate da un alto grado di flessibilità.
Con la decisione n. 68 del 196723, la Corte rilevava come il sistema di presunzioni non escludesse la
possibilità per il giudice di emette e p ovvedi e ti otivati, ovve o o siste ti ell’e u iazio e
della sussistenza delle condizioni volute dalla legge. Dato, peraltro, il carattere di mera probabilità
del giudizio prognostico di pericolosità, si doveva escludere che si potesse raggiungere una valutazione in termini di certezza, nemmeno riservandola al giudice.
Con la sentenza n. 1 del 197124, la Corte ha aperto una prima breccia in un sistema sinora monolitico,
di hia a do illegitti o l’o ligo del i ove o pe al e o t e a i i ifo atorio giudiziario per i minori degli anni quattordici che abbiano commesso un delitto, in quanto «la presunzione di pericolosità he egli alt i asi p evisti dal odi e si asa sull’id quod plerumque accidit non ha fondamento allorchè si tratti della non imputabilità del minore degli anni quattordici, chè, al contrario, ben può dirsi
he ui, data la giova issi a età del soggetto, la pe i olosità app ese ti l’e ezio e pe ui
l’o ligato ietà ed auto ati ità del i ove o i ifo ato io giudizia io o ha giustificazione alcuna».
Il giudi e ostituzio ale o ha ui di esso i du io l’auto atis o legislativo i ua to tale, salva dolo att ave so il i hia o all’i te ve to giu isdizio ale i fu zio e di ga a zia sosta ziale di apprezzamento personalizzato ed adeguato alla condizione individuale di pericolosità25. In questa prospettiva si è posta anche la sentenza n. 110 del 197426 con la quale si sanciva come la competenza a
revocare anticipatamente le misure di sicurezza dovesse essere attribuita al magistrato di sorveglianza a zi h al Mi ist o della giustizia, o e p evisto ai se si dell’a t.
, ° o., .p. I via o se uenziale, e de ivava l’illegitti ità della o a he i pediva al giudi e di evo a e le isu e di si u ezza
prima del decorso del termine di durata minima stabilita dalla legge.
La svolta avvenne nel 198227, ua do la Co te ostituzio ale e e a di hia a e l’illegitti ità degli a tt.
204, 205, 2° co., e 221, 1° co., c.p. nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in
22
imputabile, in Giur. cost., 1971, 8-9.
25
R. NANIA, La libertà individuale nella esperienza costituzionale italiana, Torino, 1989, 60 ss.
Corte cost., 23 aprile 1974, n. 110, in Giur. cost., 1974, 779.
27
Corte cost., 27 luglio 1982, n. 139, in Cass. pen., 1982, 1699. In dottrina G. VASSALLI, L’a olizione della
pericolosità presunta degli infer i di ente attraverso la cruna dell’ago, in Giur. cost., 1982, 1202 ss.; M.
LUCIANI, Le infermità mentali nella giurisprudenza costituzionale, in Pol. dir., 1986, 443 ss.
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Corte cost., 10 marzo 1966, n. 19, cit. in cui per comune esperienza ci si riferisce al fatto che «lo stato
mentale della persona sottoposta al giudizio, la sua minore età, la gravità del reato commesso, alcune
particolari qualifiche attribuite dal giudice» facciano ritenere «probabile o temibile un futuro comportamento
criminale».
23
Corte cost., 12 giugno 1967, n. 68, in Giur. cost., 1967, 740 ss. con nota di G. VASSALLI, Presunzioni di
pericolosità sociale di fronte alla Costituzione, ivi, 742 ss. che nota come «la pericolosità sociale presunta,
spe ie pe ua to igua da il i o e e l’i fe o di e te, [sia] i fatti da te po o da ata sia dal se ti e to
di giustizia he dall’esige za, og o a più avve tita, di u a politi a i i ale se ia e adeguata: la uale, pe
essere tale, ha bisogno di concretezza e di individualizzazione di giudizi; preferibilmente di giudizi resi dai
giudici».
24
Corte cost., 20 gennaio 1971, n. 1, in Giur. it. 1971, I, 1, 473; G. VASSALLI, La pericolosità presunta del minore non
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G. VASSALLI, L’a olizione della pericolosità presunta degli infer i di ente attraverso la cruna dell’ago, in Giur.
cost., 1, 1982, 1220.
29
Corte cost., 27 luglio 1982, n. 139, cit. In dottrina, in senso critico, E. MUSCO, Variazioni minime in tema di
pericolosità presunta in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 1584 ss.; V. FERRARI, Il cielo dei concetti e le diaboliche
applicazioni, ivi, 1983, 169 ss. Dopo tale pronuncia si segnalano Corte cost., 27 luglio 1982, n. 140, in Giur. cost.,
1982, 1231.
30
M. LUCIANI, Le infermità mentali nella giurisprudenza costituzionale, cit., 449.
31
Sul punto A. CALABRIA, Le presunzioni di pericolosità nella giurisprudenza della Corte costituzionale prima e
dopo la legge abrogatrice del 1986, in Giur. cost., 1989, 377 ss.
28
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ospedale psi hiat i o giudizia io dell’i putato p os iolto pe i fe ità psi hi a al p eve tivo a erta e to, da pa te del giudi e della og izio e e dell’ese uzio e, della pe siste te pe i olosità so iale
de iva te dalla i fe ità al te po dell’appli azio e della misura. «L’ attualizzazio e del giudizio di
i fe ità e tale ha app ese tato os il filo he ha o dotto all’a olizio e della pe i olosità p esu ta del soggetto adulto total e te i i puta ile: aute ti a u a dell’ago i u giudizio di ostituzionalità che avrebbe potuto essere complessivo o più generale»28. Neppure con tale pronuncia, infatti, la Corte aveva rivisto le basi del sistema delle presunzioni di pericolosità, come dimostra la precisazione per cui, ad essere colpita dalla declaratoria di illegittimità, non è la tipizzazione legislativa di
pe i olosità, a la «p esu zio e ulte io e» i ve i ile ell’a t.
.p., ovve o uella del «pe du a e
(non solo della pericolosità, ma) della stessa infermità psichica senza mutamenti significativi dal momento del delitto al momento del giudizio»29. In sostanza la Corte aveva eliminato solo la presunzioe della pe siste za dell’i fe ità e tale, a o aveva i ta ato i al u
odo la p esu zio e i
ase alla uale l’i fe ità psi hi a e a da o siderarsi come condizione presuntiva di pericolosità sociale.
ìi pu tuttavia ileva e o e l’ope a della giu isp ude za ostituzio ale a ia de ost uito la pi a ide
di presunzioni che connotavano il sistema penale: per cui la sentenza di proscioglimento per infermità fa eva p esu e e la pe i olosità; a sua volta la sussiste za dell’i fe ità al tempus commissi delicti determinava la presunzione della sua persistenza anche al momento della irrogazione della relativa
misura di sicurezza, e dunque, la permanenza dell’i fe ità fa eva p esu e e la pe i olosità. «Quella
piramide veniva sconvolta dalle fondamenta: se la presunzione può operare solo sul terreno della pei olosità e o su uello dell’i fe ità, e o solo al o e to del giudizio sul fatto-reato, ma anche
a uello dell’appli azio e della isu a di si u ezza, g a pa te della … pe i olosità della p esu zio e
viene meno»30.
In questi termini, il sistema delle presunzioni di pericolosità non poteva dunque restare indenne dopo le pronunce della Corte costituzio ale, he ha o t ovato seguito ella soluzio e dettata dall’a t.
della legge . 66 del 9 6, la .d. legge Gozzi i, he, el dispo e l’a ogazio e dell’a t.
, ha
previsto che «tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui che
ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa»31. La suddetta innovazione legislativa, seppure importante, interveniva in una fase nella quale ad essere entrata in crisi era la categoria stessa
della pericolosità sociale, sia in termini di fondamento teorico che sotto il profilo della sua funzionalità pratica.
203
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204
Non stupisce pertanto che a sancire il declino definitivo del concetto sia stata la Corte costituzionale,
la quale, seppure con interventi calibrati, ha inciso in maniera irreversibile sul complesso normativo
delle misure di sicurezza.
Un primo passo è stato compiuto a seguito della decisione della Corte che, con la sentenza n. 324 del
199832, ha di hia ato l’illegitti ità ostituzio ale dell’a t.
, ° e ° o., .p., ella parte in cui prevedeva l’appli azio e a he ai i o i della isu a di si u ezza del i ove o i ospedale psi hiat i o
giudizia io, dell’a t.
, ° o. e 6, ° o., .p., ella pa te i ui si a
etteva la possi ilità di disporre il ricovero provvisorio in un Opg anche di minori.
La scelta del codice era incompatibile con i principi derivanti dagli artt. 2, 3, 27 e 31 Cost., in forza dei
quali il trattamento penale dei minori deve essere improntato, sia per quanto riguarda le misure
adottabili, sia per ua to igua da la fase ese utiva, alle spe ifi he esige ze p op ie dell’età i o ile:
il minore affetto da infermità psichica è infatti prima di tutto un minore, e come tale va trattato, tutelato nei suoi diritti in quanto persona in formazione, ed assistito, a he ell’a ito del siste a giudiziario penale33.
Fondamentale in questo percorso sono due ulteriori pronunce del 2003 e 200434, che hanno segnato
una svolta nella giurisprudenza costituzionale, liberando i giudici da preclusioni e vincoli relativi alla
valutazio e i o eto dell’appli azio e delle isu e di si u ezza.
Nella prima la Corte sviluppa un complessivo ragionamento sul rapporto tra la condizione
dell’i fe o di e te auto e di eati e la spe ifi a fu zio e della isu a di si u ezza p evista dall’a t.
222 c.p., rilevando sia prevista nei confronti di persone che, stante la loro patologia, non sono penalmente responsabili, e non possono quindi divenire destinatarie di misure aventi un contenuto anche solo parzialmente punitivo. La loro qualità di i fe i e de pe i e essa ia l’adozio e di isu e
a contenuto terapeutico, non diverse da quelle che in generale si ritengono adeguate alla cura degli
infermi psichici.
Di f o te all’evoluzio e della psi hiat ia e della fa a ologia he o se te una maggiore capacità sia
di o t ollo sia te apeuti a, l’i te a e to ell’Opg appa e du ue a ti-terapeutico e nello stesso
tempo anche inidoneo allo scopo di difesa sociale, in quanto alimenta, anziché contenere, comportamenti violenti degli internati.
32
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Corte cost., 24 luglio 1998, n. 324, in Cass. pen, 1998, 321 ss. In dottrina G. PANEBIANCO, Il minore reo, in S.
PENNISI (a cura di), La giustizia minorile: formazione, devianza, diritto e processo, Milano, 2004, 94 ss.; D.
PULITANÒ, La giustizia minorile: dopo una battaglia vinta, quali prospettive ?, in Leg. pen., 2004, 186 ss.
33
Più in generale la Corte rileva che «una misura detentiva e segregante come il ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, prevista e disciplinata in modo uniforme per adulti e minori, non può certo ritenersi
conforme a tali principi e criteri: tanto più dopo che il legislatore, recependo le acquisizioni più recenti della
scienza e della coscienza sociale, ha riconosciuto come la cura della malattia mentale non debba attuarsi se non
eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera, bensì di norma attraverso servizi e presidi psichiatrici
extra-ospedalieri, e comunque non attraverso la segregazione dei malati in strutture chiuse come le
preesistenti istituzioni manicomiali (artt. 2, 6 e 8 della legge 13 maggio 1978, n. 180)».
34
In particolare Corte cost., 18 luglio 2003, n. 253, in Giur. cost., 2003, 2116 ss. con nota di G. FAMIGLIETTI, Verso
il supera ento della pena anico iale ; M.T. COLLICA, Ospedale psichiatrico giudiziario: non più misura unica
per l’infermo di mente adulto e pericoloso, in Dir. pen. proc., 2003, 300 ss.; Corte cost., 29 novembre 2004, n.
367, in Giur. cost., 2005, 742 ss.
Poichè – sottolinea la Corte – le misure di sicurezza nei confronti degli infermi di mente debbono neessa ia e te uove si e t o le due pola ità della difesa so iale e dell’esige za di u a e ia ilitazione, un trattamento corrispondente solo ad una delle due istanze richiamate risulta costituzionalmente illegittimo.
I olt e l’i te esse alla tutela della ollettività o pot e e ai giustifi a e isu e tali da e a e dano, a zi h va taggio, alla salute dell’i fe o, pe ui, ove la isu a oe itiva del ricovero in ospedale psichiatrico si rivelasse tale da arrecare presumibilmente un danno alla salute psichica
dell’i fe o essa o appa i e e giustifi ata e
e o i o e di tale i te esse.
Cu a e o t ollo dell’i fe o devo o sta e i pe fetto e uili io, e t e l’o ligato ietà del i ove o
in Opg, prevista originariamente dal codice, rispondeva solo ad esigenze di difesa sociale.
La Co te ha di hia ato l’illegitti ità della disposizio e i pug ata, i vi tù del igido auto atis o
che la connotava, i po e do al giudi e, i aso di p os iogli e to pe l’i fe ità e tale pe u
delitto che comportasse una pena edittale superiore nel massimo a due anni, di ordinare il ricovero
dell’i putato i Opg pe u pe iodo i i o di due a i, o pe u pe iodo più lungo in relazione
all’e tità della pe a edittale p evista, se za o se ti gli di dispo e, i alte ativa, isu e dive se
o e la li e tà vigilata a o pag ata, ai se si dell’a t.
, ° o., .p., da ido ee p es izio i pu
quando in concreto tale prima misura non appaia adeguata alle caratteristiche del soggetto, alle sue
esigenze terapeutiche e al livello della sua pericolosità sociale.
Sulla scia della sentenza del 2003, la Corte è successivamente tornata ad incidere sulla disciplina del
trattamento sanzionatorio degli infermi di mente giudicati socialmente pericolosi con la sentenza n.
367 del 29 novembre 2004, nella quale è stata dichiarata l’i ostituzio alità dell’a t. 6 .p., ella
parte in cui non consentiva al giudice, nella fase cautelare, di disporre, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una misura di sicurezza non detentiva, prevista dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate a contenere la sua pericolosità sociale.
Nei più recenti arresti35, la Corte costituzionale ha dato seguito al ragionamento avviato con le sentenze n. 253 del 2003 e 367 del 2004. In particolare, con la sentenza n. 208 del 9 luglio 2009, la Corte,
chiamata a pronunciarsi, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., sulla legitti ità ostituzio ale dell’a t.
219 c.p. «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in casa di cura e custodia, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate u e all’i fe o di e te ed a fa f o te alla sua pe i olosità so iale», ha di hia ato
inammissibile la questione. La Corte, nel richiamare il giudice a quo all’ade pi e to dei suoi dove i,
ovvero ad uno scrutinio sulla sostenibilità di una interpretazione costituzionalmente conforme, ha rilevato come, per effetto delle sue precedenti pronunce del 2003 e 2004, sia consolidato
ell’o di a e to il p i ipio se o do il uale «si deve es lude e l’auto atis o he i po e al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, accompagnata da prescrizioni
stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le
esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale».
35
Corte Cost., 9 luglio 2009, n. 208, in Giust. pen., 2009, I, 225 ss.; Corte cost., ord. 6 novembre 2009, n. 287, in
Ced Cassazione, 2009.
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Da notare infine le innovazioni introdotte dal decreto legge n. 52 del 2014, convertito in legge n. 81
del 2014, che, oltre a prorogare il termine concesso alle regioni per dare attuazione alla chiusura degli Opg, ha dettato i principi di una epocale riforma della disciplina delle misure di sicurezza, volta
o plessiva e te a li ita e l’appli azio e, ell’an e nel quantum.
Si positivizza il p i ipio di sussidia ietà ell’appli azio e della isu a del i ove o i Opg e
dell’asseg azio e a u a asa di u a e di ustodia, p evede do – i a alogia o l’a t.
, ° o.,
c.p.p. per la custodia cautelare in carcere – che le predette misure di sicurezza possano essere applicate solo quando ogni altra misura risulti inadeguata in rapporto alle esigenze di cura e di controllo
della pericolosità sociale.
Un ulteriore elemento di novità si rinviene nella integrazione dei criteri di accertamento della pericolosità so iale ai fi i dell’appli azio e delle isu e di si u ezza pe i fe i e se i-infermi di mente, in
pa ti ola e: a sta ile do he l’a e ta e to della pe i olosità so iale – da parte del giudice di cognizione quanto del magistrato di sorveglianza – «è effettuato sulla base delle qualità soggettive della
pe so a e se za te e e o to delle o dizio i di ui all’a t.
, ° o., . , del odi e pe ale», io
delle «condizioni di vita individuale familiare e sociale del reo». Ciò al fine di evita e he l’i dige za, il
disagio familiare e sociale possano costituire indici sui quali fondare il giudizio di pericolosità sociale
dell’age te; p evede do i olt e he « o ostituis e ele e to ido eo a suppo ta e il giudizio di
pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali». Attraverso tale previsioe, si i teso evita e he l’i te a e to potesse dipe de e da eve tuali disfu zio i o ga izzative e,
in particolare, dalla mancanza della possibilità di affidare la persona interessata ai dipartimenti di salute mentale nel contesto di percorsi di riabilitazione e reinserimento comunitari.
In conclusione, tralasciando analisi sociologiche o criminologiche36, appare evidente, sul piano strettamente giuridico, come lo strumento della pericolosità abbia perduto quel carattere di architrave
del sistema penale che lo aveva qualificato per un lungo periodo, sicchè sarebbe del tutto paradossale iesu a e le spoglie pe fa e ozzo vei olo di o t ollo i u setto e deli ato e o plesso come quello della salute mentale37.
4. Oggi: il superamento degli Opg tra Stato e Regioni
36
M. PAVARINI, Il folle che delinque: rapsodia sul margine, in Riv. sperimentare freniatria, 3, 2011, 145 ss.
M. BERTOLINO, Declinazioni attuali della pericolosità sociale: pene e misure di sicurezza a confronto, in Arch.
pen., 2014, 459-484.
37
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ìul pia o legislativo l’avvio del p o esso di supe a e to degli ospedali psi hiat i i giudizia i oi iso o l’app ovazio e del d.lgs.
giug o 999, .
, i e ente il «riordino della medicina penitenzia ia, a o a dell’a t. della legge
ove
e 99 , . 9», he ha sta ilito il di itto dei dete uti e degli i te ati, alla pa i o gli alt i ittadi i, all’e ogazio e delle p estazio i sa ita ie, asseg ando al ministero della Sanità le competenze in materia di programmazione, indirizzo e coordinamento
del servizio sanitario negli istituti penitenziari e alle regioni le competenze in ordine alle funzioni di
organizzazione, programmazione e controllo dei servizi stessi, la cui gestione veniva affidata alle
aziende sanitarie.
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38
D.m. 21 aprile 2000, Allegato a), nº 7, punto 3.2.
Pe uesto si p evedeva u ’azio e volta a: ea e epa ti psi hiat i i all’i te o delle a e i pe idu e l’i vio
dei detenuti in Opg; tessere una collaborazione interistituzionale tra amministrazione penitenziaria e
Dipa ti e ti di salute e tale Ds ; ga a ti e il ispetto del p i ipio di te ito ialità ell’asseg azio e agli
istituti psichiatrico-giudiziari così da favorire la dimissione degli internati attraverso la presa in carico da parte
dei se vizi di salute e tale e l’ela o azio e di p og a
i este i.
40
C. CANTONE, La riforma della sanità penitenziaria: problemi e percorsi possibili, in C. CANTONE, F. GUI (a cura di),
Riforma della sanità penitenziaria. Evoluzione della tutela della salute in carcere, Quaderni ISSP, 11, 2012, 13 ss.
39
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Nell’a ito del p o esso di ifo a, o de eto i te i iste iale del
ap ile del
stato approvato il Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario che veniva ad individuare, tra i settori specialistici che necessitavano di interventi peculiari, quello delle persone affette
da disturbi psichiatrici38. Preliminarmente, si notava la maggior incidenza di questi disturbi
ell’istituzio e a e a ia, i ide za he aveva già portato nel 1975, a prevedere la presenza in ogni
istituto di almeno un medico psichiatra, unico specialista obbligatoriamente presente. Gli obiettivi
fissati igua dava o i p i o luogo: lo studio e l’a alisi delle situazio i al fi e di o p e dere le peulia ità, l’e tità della p ese za e la dist i uzio e dei distu i psi hiat i i el setto e pe ite zia io,
nonché la formazione degli operatori e il loro aggiornamento su questi specifici aspetti. Tra gli obiettivi vi era quello di garantire e assi u a e u t atta e to e uipolle te a uello offe to all’este o,
cercando di favorire la presa in carico con programmi individualizzati, rispetto alla pura e semplice risposta alla situazione emergenziale. Si fissava inoltre il principio secondo il quale nell’asseg azio e
agli istituti di soggetti affetti da disturbi psichiatrici si sarebbe dovuto cercare di mantenere una vicinanza con la Regione di residenza prima della detenzione e si prevedeva dovessero istituirsi
all’i te o delle a e i sezio i di osservazione e di intervento.
Solo con il successivo d.PCM 1° aprile 2008, si è data completa attuazione al riordino della sanità penitenziaria, trasferendo alle Regioni le funzioni afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari ubicati nei
rispettivi territo i e detta do, ell’allegato , le «Li ee di i di izzo pe gli i te ve ti egli ospedali
psichiatrici giudiziari (Opg) e nelle case di cura e custodia (Ccc)»39. Tale programma è stato pensato
p ivilegia do l’a ito te ito iale uale sede adeguata pe affrontare le problematiche legate alla cura, riabilitazione e reinserimento delle persone con disturbi mentali che fossero sottoposte alle predette misure di sicurezza40.
Nell’allegato e a o deli eate t e fasi – l’u a o se utiva all’alt a – che le Regioni dovevano (o meglio,
avrebbero dovuto) attuare mediante le rispettive aziende sanitarie, al termine delle quali sarebbe
stato aggiu to l’o iettivo del supe a e to degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Nella prima fase, a passaggio di competenze avvenuto, i Dsm nel cui territorio si trovavano gli Opg
avrebbero dovuto provvedere alla stesura di un piano finalizzato principalmente alla riduzione del
numero degli internati, attraverso la dimissione di quelli che avevano concluso la misura di sicurezza
– con la collaborazione delle Regioni di provenienza e assicurando forme di inclusione sociale per i
dimessi – il t asfe i e to elle a e i degli i te ati dete uti e l’i peg o ad effettua e le osse vazioni negli istituti di pena. La seconda fase, che sarebbe dovuta partire dopo un anno, era funzionale
ad ottenere un avvicinamento degli internati alle aree di rispettiva provenienza. A tale fine si attribuivano indicativamente ad ogni Opg dei bacini macro-regionali di utenza. Le Regioni competenti per
la gestione sanitaria, in accordo con le Regioni di provenienza degli internati avrebbero dovuto predi-
207
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208
spo e p og a
i pe ias u o di uesti, volti ad agevola e l’us ita dalle st uttu e. Al o pleta ento della terza fase, infatti, si sarebbe dovuta realizzare «la restituzione ad ogni Regione italiana della
uota di i te ati i Opg di p ove ie za dai p op i te ito i», o o segue te p esa i a i o dei
medesimi da parte dei relativi dipartimenti di salute mentale.
In questi termini, il programma era volto alla graduale sa ita izzazio e delle odalità ese utive
della misura di sicurezza, riportando i pazienti entro le rispettive realtà territoriali, al fine di sanare gli
effetti negativi di un prolungato sradicamento del malato dal proprio contesto familiare e sociale, anche attraverso un lavoro di reinserimento affidato ai servizi di prossimità.
Per attuare una cooperazione proficua tra le istituzioni coinvolte (sia sanitarie che carcerarie) si rihiedeva di attiva e u g uppo di lavo o all’i te o del Tavolo di consultazione permanente della
Co fe e za ìtato Regio i e a livello egio ale p esso l’Osse vato io. La Co fe e za u ifi ata p ovvide
ad e a a e t e a o di, ispettiva e te del
,
9e
. I pa ti ola e l’ulti o a o do p ov41
vedeva ad integrare le linee guida del Dpcm 1º Aprile 2008 , deli ea do ell’allegato A gli aspetti
problematici e gli interventi necessari. Vi si rilevava la mancata attuazione delle sezioni specializzate
nelle carceri che non aveva consentito il trasferimento dei condannati che si trovavano in Opg non in
esecuzione di una misura di sicurezza; si rilevava come il successo del programma fosse subordinato
alla ealizzazio e di u siste a effi ie te di tutela della salute all’i te o degli istituti di pe a, att ave so l’istituzio e di sezioni o reparti destinati ai soggetti affetti da infermità psichica sopravvenuta.
No osta te i si o statava, sulla ase di u
o ito aggio, o e l’i peg o delle Regio i el p oesso di supe a e to fosse stato tutt’alt o he u ifo e.
Nonostante le buone intenzioni, il percorso programmato è rimasto sostanzialmente sulla carta, lasciando irrisolta una questione di giustizia sostanziale, ovvero la condizione degli internati dimissibili,
di quei soggetti non più considerati socialmente pericolosi, che tuttavia hanno continuato a permae e ell’istituto a i o iale pe il a ato epe i e to di u a ido ea ollo azio e este a42.
Un ruolo decisivo per sbloccare la situazione di empasse l’ha gio ato il lavo o di i hiesta svolto
ell’a o
dalla Co
issio e pa la e ta e sull’effi a ia e l’effi ie za del ìe vizio sa ita io azionale (cd. Commissione Marino), costituita presso il Senato, che ha portato alla luce la gravità delle
o dizio i di vita e di u a all’i te o degli ospedali psi hiat i i giudiziari, giudicate «incompatibili con
le disposizioni costituzionali in materia di diritto alla salute, libertà personale e umanità del trattamento, nonché con la disciplina di livello primario e secondario relativa alla sanità penitenziaria»43.
L’istituzio e Opg e a i asta, a he dopo la ifo a, u ’istituzio e pe ite zia ia spe iale ispetto alla uale
l’esige za di tutela della salute si t ovava ast etta e t o il o te ito e o ga izzativo del carcere. Tale condizione
anomala determinava problemi di stratificazione e composizione dei ruoli: così alla direzione sanitaria,
t asfe ita all’azie da sa ita ia te ito ial e te o pete te, si e a affia ata u a di ezio e a
i ist ativa.
Anche se alle responsabilità di cura era preposto un dirigente sanitario, esso non era compartecipe del governo
della struttura, sicchè non è possibile parlare di doppia direzione, in quanto le funzioni sanitaria e di sicurezza
erano ricondotte in esclusiva ed in concreto alla potestà del dirigente amministrativo.
42
Cos ell’A o do sa ito dalla Co fe e za u ifi ata ìtato-Regioni nella seduta del 26 novembre 2009 si
rendeva noto che, nel giugno del 2009, erano ristretti «negli Opg 399 internati maschi e 14 donne dimissibili, in
regime di proroga per mancanza di alte ative all’este o».
43
Relazio e sulle o dizio i di vita e di u a all’i te o degli ospedali psi hiat i i giudizia i, app ovata dalla
Commissione nella seduta del 20 luglio 2011, in Atti Senato, Doc. XII-bis n. 4, 6-10.
41
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Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento
E e he e o l’a ogazio e delle elative isu e di si u ezza, il he av e e eso e essa io u a più vasta
e meditata riforma del codice penale. Sui problemi di mancato coordinamento tra la riforma, la disciplina
penalistica e quella dell’o di a e to pe ite zia io G.L. GATTA, Aprite le porte agli internati ! Un ulteriore passo
verso il superamento degli OPG e una svolta epocale nella disciplina delle misure di sicurezza detentive: stabilito
un termine di durata massima (applicabile anche alle misure in corso, a noi pare), in www.penalecontemporaneo.it
(ultima consultazione 20/04/2015).
45
Particolarmente critico sulla scelta di adottare un decreto di natura non regolamentare, senza dettare criteri
st i ge ti pe li ita e l’a ito di dis ezio alità dell’ese utivo i u a ate ia deli ata, si ost a A. PUGIOTTO,
L’ergastolo nascosto (e altri orrori dietro i uri degli ospedali psichiatrici giudiziari, cit., 353.
46
In questi termini la disposizione ha stabilito che – «di norma» – nelle strutture sostitutive degli Opg vengano
ospitati soggetti «provenienti (...) dal territorio regionale di ubicazione delle medesime». Anche questa
previsione dimostra il carattere ambivalente della disposizione: estremamente puntuale nello scandire le
tempistiche entro le quali effettuare il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, ma generica nella
descrizione delle modalità di tale riforma; dettagliata nel computo degli importi finanziari attraverso i quali
ealizza e le uove st uttu e, a so
a ia ell’i di azio e della ope tu a degli o e i de iva ti da tale
progetto.
47
Per quanto attiene i requisiti strutturali, ciascuno dei nuovi istituti si sarebbe dovuto dotare di alcune aree,
tra le uali: u ’a ea ve de e t o il pe i et o, a ee o u i u i a, dispe sa, lava de ia, soggio o, lo ale pe
attività lavo ative, et ... , u ’a ea a itativa, dotata di u
assi o di
posti letto, disposti pe u a ua tità
pari almeno al 10% in camere singole. Ogni camera avrebbe dovuto avere servizi igienici con doccia, separati
dall’a ea di pe otta e to. Pe ua to o e e i p ofili o ga izzativi, si sta iliva he elle uove st uttu e
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Ciò ha spinto il legislato e a he sull’o da di app ofo dite i hieste gio alisti he ad agi e pe po e
termine ad una condizione divenuta ormai intollerabile.
Il «definitivo» superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato sancito – sia pur tardivamente
– co l’a t. -ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9, con la quale è stato convertito il d.l. 22 dicembre
2011, n. 211, adottato dal governo con lo specifico obbiettivo di ridimensionare il preoccupante fenomeno del sovraffollamento carcerario. La legge n. 9/2012 può essere inquadrata come il tassello
fi ale dell’iter di ifo a della sa ità pe ite zia ia i ui e a stato posto l’o iettivo del supe a e to
ed erano state fissate come linee da perseguire quella della sanitarizzazione e della territorializzazione.
La disposizio e, piuttosto a ti olata, o p evede l’a olizio e degli ospedali psi hiat i i giudizia i 44,
ma, più propriamente, la loro sostituzione, a partire dal 31 marzo 2013, con una diversa struttura di
carattere sanitario, quale luogo alternativo di esecuzione delle misure di sicurezza detentive.
Ai o
i e dell’a t. -ter, per un verso, si rinvia ad una fonte secondaria45 l’i di azio e dei e uisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle strutture sanitarie, in linea con quanto già prescritto
dal d.PR. 14 gennaio 1997, precisando che la determinazione di tali requisiti dovrà tener conto anche
dei «profili di sicurezza»; per un altro verso, si dettano i criteri direttivi ai quali si dovrà uniformare il
decreto interministeriale, ovvero: l’«es lusiva gestio e sa ita ia all’i te o delle st uttu e», il he dete i a il defi itivo supe a e to della o ezio e ustodiale p op ia degli Opg; l’eve tuale dis iplina, tenuto conto del grado di pericolosità dei soggetti ospitati nelle strutture, dell’«attività pe i etrale di sicurezza e di vigilanza esterna»; infine, riprendendo uno dei cardini del d.PCM 1º aprile 2008,
la te de ziale te ito ializzazio e dell’ese uzio e delle isu e di si u ezza elative a soggetti psi hiatrici46.
Con decreto interministeriale – adottato, o ita do, ell’otto e del
– sono stati definiti i suddetti e uisiti i i i elativi alle eside ze pe l’ese uzio e delle isu e di si u ezza Re s 47.
209
Stefano Rossi
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210
L’i po ta za di tale de eto si i vie e o sola e te el suo o te uto volto a regolamentare le
Rems, ma anche nella sua capacità di delineare aspetti fondamentali che vengono a condizionare
l’ese uzio e delle isu e di si u ezza, i flue do ui di sugli spazi di li e tà e sulla gestio e della salute delle persone che vi sono ospitate48.
Le Regioni, sia per le difficoltà di individuazione e organizzazione delle strutture che per il ritardo con
cui il governo aveva adottato il decreto di riparto delle risorse (d.m. 28 dicembre 2012), non sono
state in grado di rispettare il termine del 31 marzo 2013 per la chiusura degli ospedali psichiatrici
giudiziari, il che ha reso necessario disporre una prima proroga al 1° aprile 2014, ad opera del d.l. 25
marzo 2013, n. 24 (Decreto Balduzzi), convertito in legge 23 maggio 2013, n. 5749.
Vi è da segnalare, in particolare, che la legge n. 57/2013 ha operato una modifica alla disciplina dei
pote i sostitutivi del Gove o el aso di i e zia delle Regio i: laddove, i p e ede za, l’attivazio e di
tali poteri era legata al mancato rispetto del termine fissato per il superamento degli Opg, è stato invece previsto un duplice caso di inadempimento tale da far scattare i poteri sostitutivi con la nomina
di un commissario unico per tutte le regioni, ovvero la mancata presentazione, entro il 15 maggio
2013, del programma regionale degli interventi (in base allo stato di avanzamento del quale sono
erogate le risorse) e il mancato rispetto del termine di completamento del programma.
Significative sono le innovazioni rispetto ai contenuti dei programmi richiesti alle Regioni, laddove ad
u siste a he a te eva la e t alità dell’Opg pu di di e sio i idotte, i ovati, a gestio e
esclusivamente sanitaria), si è sostituito un diverso orientamento volto a strutturare il sistema della
misura di sicurezza detentiva come extrema ratio dell’i te ve to sul folle auto e di eato50. Sul punto
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dovesse lavorare una equipe multi-professionale. Era prevista la garanzia di un numero minimo di membri dello
staff sanitario per le aree composte da 20 ospiti. La dirigenza della struttura sarebbe stata assunta da un
medico psichiatra.
48
Rileva te ad ese pio l’att i uzio e della gestio e ai se vizi pu li i affe e ti al ìervizio sanitario nazionale;
la p evisio e di u li ite ei posti letto pe st uttu a; l’att i uzio e della o pete za sulla gestio e della
sicurezza e vigilanza esterna alle regioni, che potranno provvedervi mediante specifici accordi con le prefetture.
49
La legge ha sta ilito, olt e ad u a se ie di isu e volte a favo i e l’adozio e di isu e alte ative
all’i te a e to i Opg, he il p og a
a di utilizzo delle iso se egio ali, «olt e gli i te ve ti st uttu ali,
preveda attività volte progressivamente a incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico-riabilitativi».
Rei di izza do l’atte zio e o solo ve so la ealizzazio e delle Re s, a a he alla i ple e tazio e di uella
rete di sostegno sul territorio che favorisca il reinserimento sociale della persona. Sulla normativa F. DELLA CASA,
Basta con gli OPG! La rimozione di un fossile vivente quale primo passo di un arduo percorso riformatore, cit.,
66; G. VARRASO, Il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari: la delicata attuazione dell’art. ter d.l. 211/2011, in www.penalecontemporaneo.it (ultima consultazione 20/04/2015); M. PELISSERO, La
soppressione degli ospedali psichiatrici giudiziari: realtà ed apparenze, in Leg. pen., 2012, 372; A. PUGIOTTO, La
follia giuridica dell’interna ento nei anico i cri inali, in F. CORLEONE, A. PUGIOTTO (a cura di), Volti e maschere
della pena, Roma, 2013, 126.
50
Vi è da notare che soltanto il 10% degli internati si è reso responsabile della commissione di gravi reati,
manifestando quella «temibile pericolosità sociale» che costituisce la giustificazione «della necessità di rigoroso
controllo dello stato di pericolosità» (in questi termini, Cass. pen., 27 febbraio 1981, Maritan). Il rimanente 90%
è rappresentato da internati prosciolti da reati che oscillano dal tentato furto alla rapina, dal danneggiamento
alla resistenza a pubblico ufficiale, dai maltrattamenti in famiglia alle lesioni. Per questi reati un sano di mente
otterrebbe una pena di limitata entità, magari da scontare, senza assaggio di carcere, in detenzione domiciliare
o in affidamento in prova al servizio sociale. Molti dei ricoverati in ospedale psichiatrico giudiziario, viceversa,
finiscono di proroga in proroga per soggiacere a u a o da a all’i te a e to he supe a spesso di olti
a i l’o igi a ia du ata della isu a di si u ezza disposta dalla se te za di p os iogli e to.
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51
F. FIORENTIN, La riforma sceglie tre linee guida fondamentali per coniugare salute del reo e libertà personale, in
Guida dir., 21 giugno 2014, 26, 19 ss.
52
Sul punto, che esula dal nostro tema, si vedano le riflessioni di G.L. Gatta, Aprite le porte agli internati ! Un
ulteriore passo verso il superamento degli OPG e una svolta epocale nella disciplina delle misure di sicurezza
detentive: stabilito un termine di durata massima (applicabile anche alle misure in corso, a noi pare), cit.;
inoltre le critiche M. PELISSERO, La soppressione degli ospedali psichiatrici giudiziari: realtà ed apparenze, cit.,
374 ss.; P. DI NICOLA, La chiusura degli Opg: un’occasione ancata, in www.penalecontemporaneo.it, 11 ss.
(ultima consultazione 20/04/2015).
53
L’a t. -ter prevede, infatti, che solo «per i pazienti per i quali è stata accertata la persistente pericolosità
so iale, il p og a
a do u e ta i
odo pu tuale le agio i he soste go o l’e ezio alità e la t a sito ietà
del prosieguo del ricovero». Si tratta ad evidenza di una disposizione finalizzata a ridurre il numero degli
internati attraverso una verifica individualizzata sulla imprescindibile necessità di mantenere la misura
dell’Opg.
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intervengono le modifiche più importanti al decreto, chiarendo come nei programmi regionali debbano essere presenti, oltre agli interventi strutturali, «attività volte ad incrementare i percorsi terapeutico-riabilitativi».
Di proroga in proroga si è giunti al decreto legge n. 52/2014, convertito con modifiche in legge 30
maggio 2014, n. 81, che ha rinviato al termine del 31 marzo 2015 il completamento del programma
di superamento degli Opg51. Tuttavia tale legge è molto più che un puro provvedimento di proroga,
avendo acquisito, in fase di conversione, contenuti tali da apportare modifiche sostanziali alla disciplina delle misure di sicurezza detentive52. Il decreto interviene, questa volta, a modificare profonda e te l’assetto p evige te, att ave so l’i t oduzio e di u te i e assi o di du ata della isu a
di sicurezza, equivalente al massimo edittale della pena prevista per il reato commesso: previsione
normativa inedita mirante a porre fine al fenomeno dei cc.dd. ergastoli bianchi. Si stabilisce che il
giudice, sia in fase provvisoria che in fase definitiva, debba applicare una misura diversa dal ricovero
i Re s, salvo essu ’alt a isu a isulti ido ea. A uesto fi e si i te viene limitando le possibili motivazio i del giudizio di pe i olosità, si h , ad ese pio, l’asse za di p og a
i te apeuti i i dividuali non sarà più condizione sufficiente a fondare una prognosi di pericolosità.
ìi pu ota e pe alt o l’i t oduzio e di u nuovo onere per le Regioni, ovvero quello di presentare
programmi terapeutico riabilitativi, finalizzati alla dimissione, per tutti gli attuali utenti degli Opg: si
passa dai progetti di reinserimento della sola categoria dei dimissibili all’i te a popolazione internata,
evitando così il rischio del sublimarsi di una categoria di cronicizzati destinati quasi ineluttabilmente
ad u ospedalizzazio e pe a e te. No solo, la p evisio e dell’o e e di p ese ta e p ogetti te apeutici per tutti gli internati rappresenta un impegno concreto e pragmatico53.
È peraltro evidente che la legge, correttamente, non intende lasciare più alcun alibi a difficoltà gestionali, organizzative e burocratiche dei servizi sanitari territoriali, ma è anche vero che se permarranno le carenze strutturali, economiche, formative che vengono quotidianamente denunciate dal ridotto personale dei dipartimenti di salute mentale, il solo tratto di penna di una norma che le esclude non sarà certamente in grado di risolvere il problema, che non potrà che aggravarsi.
La legge i olt e, al fi e di ga a ti e il aggiu gi e to dell’o iettivo, ha p evisto, olt e alla eazio e
di un organismo di coordinamento, un rigido sistema di monitoraggio degli adempimenti delle Regioni, tale da consentire un immediata attivazione dei poteri sostitutivi (art. 1, 2° co.).
211
Stefano Rossi
Essays
212
In via ulteriore, anche alla luce delle tendenze emerse a livello regionale nella prima fase attuativa, è
stato concesso alle Regioni di rivedere i propri programmi, riducendo le risorse destinate alla creazione dei Rems, in vista di un maggiore investimento sulla strutture pubbliche già presenti sul territorio e sulla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale (art. 1, 1-bis o. . Quest’ulti a i di azione non va letta nella logica della spending review, che oramai da tempo incombe sulla pubblica amministrazione, senza che ai risparmi di spesa corrisponda sempre una maggiore efficienza, ma come
strumento finalizzato ad evitare che le nuove strutture riproducano su scala ridotta la logica custodiale degli attuali Opg.
La sussidiarietà del controllo custodiale richiede, invece, una contrazione nel ricorso a tali strutture a
favore del potenziamento della presa in carico da parte dei servizi territoriali, laddove la esigenza di
difesa sociale e di cura possono essere adeguatamente soddisfatte attraverso percorsi terapeutici in
libertà. Dunque, sebbene non sia eliminabile il ricorso a strutture di sicurezza per una quota degli internati, il contenimento di questa quota passa attraverso il potenzia e to dell’assiste za psi hiat i a
territoriale, la cui inadeguatezza avrebbe quale effetto riflesso un nuovo sovraffollamento delle strutture detentive54.
Ora, analizzando la composita situazione delle diverse realtà regionali impegnate nel processo di attuazione del programma di superamento degli Opg, si può rilevare come, nel contesto dei principi e
criteri generali dettati dalla legge nazionale, le diverse Regioni abbiano adottato provvedimenti volti
ad ottemperare agli obbiettivi stabiliti a livello nazionale, percorrendo tuttavia strade diverse55.
In questi termini possiamo delineare due modelli di riferimento: il primo rappresentato dalla Toscaa, l’alt o p o osso dalla Lo a dia, odelli o e essa ia e te o t apposti, a he esp i o o
filosofie dive se ell’app o io al p o le a della salute e tale.
Le linee del modello toscano sono ben tracciate nel «Percorso regionale di superamento
dell’ospedale psi hiat i o giudizia io – Programma assistenziale regionale», approvato con delibera di
giunta n. 283/201456, la cui idea di fondo è quella di ridurre i posti letto previsti nella Rems, valorizzando le strutture pubbliche presenti sul territorio. In Toscana si intende potenziare la rete orizzonta54
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M. SACCO, Bollettino dalla trincea dei servizi psichiatrici territoriali, in F. CORLEONE, A. PUGIOTTO (a cura di), Volti
e maschere della pena, cit., 150; M. PELISSERO, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di
riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc., 8, 2014, 920 ss.
55
In alcuni casi, come il Friuli Venezia Giulia o la Basilicata (che ne hanno programmato uno solo), questa scelta
è accompagnata dalla destinazione dei fondi in gran parte ai progetti terapeutico-riabilitativi, che saranno
seguiti dai Dsm, garantendo un proficuo rapporto tra infermo di mente autore di reato e servizi presenti sul
territorio, privilegiando la scelta delle alternative su quella dei puri e semplici Rems. Le strategie regionali sul
te a spe ifi o so o ui di o ie tate al o t asto dell’uso es lusivo di soluzio i eside ziali, affidate a soggetti
esterni e, a volte, estranee al territorio dove vivono le persone, ma intendono, invece, promuovere esperienze
di trattamento assertivo di comunità con focus non solo sulle persone attualmente internate in Opg, ma anche,
i u ’otti a p oattiva dei se vizi, ovvero agendo sulle persone a rischio di deriva sociale, per le quali si rende più
difficile la presa in carico da parte dei servizi.
56
Tale programma trova base nella deliberazione della Giunta regionale n. 841 del 3 ottobre 2011 inerente le
linee di indirizzo pe il supe a e to dell’Ospedale Psi hiat i o Giudizia io di Mo telupo Fio e ti o e ella
deli e azio e .
del 6 agosto
, i e e te il Pe o so egio ale di supe a e to dell’ospedale
psi hiat i o giudizia io ai se si dell’a t. -ter del d.l. 211/2011, convertito in legge con modificazioni dalla legge
17 febbraio 2012, n. 9. Da notare che in senso analogo la Regione Friuli Venezia Giulia con deliberazione n. 744
del 17 aprile 2014; Veneto con deliberazione n 565 del 3 maggio 2013.
Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento
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Decisivi in uesta p ospettiva so o stati i isultati otte uti el t atta e to degli i te ati. Nell’Opg
mantovano si registra un elevatissimo numero di dimissioni realizzate nel periodo 2010-2012, pari a circa 400
pazie ti; u isultato o seguito g azie all’i po ta te rete di presidi per la tutela e la promozione della salute
mentale esistente in Regione Lombardia.
58
In questi termini G. DODARO, A iguità e resistenze nel supera ento dell’Opg in regione Lo ardia: verso l’
istituzionalizzazione ospedaliera del alato di mente autore di reato ?, in Riv. it. med. leg. dir. san., 3, 2013,
1387 ss.; diversamente F. FEDERICI, Il superamento degli O.P.G.: una riforma possibile ?, in
www.penalecontemporaneo.it (ultima consultazione 27/04/2015); anche G. ALBERTI, Chiudono gli Ospedali
psichiatrici giudiziari (?): la situazione e le prospettive in Lombardia, ivi, (ultima consultazione 27/04/2015).
57
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
le dei se vizi, he, a pa ti e dall’a ito te ito iale, si sviluppa verso livelli di intensità assistenziale
aggio e, se p e i u ’otti a i ola e e di fluidità t a i dive si pia i, i g ado di a oglie e i isog i
dei pazienti nelle diversi fasi del percorso di riabilitazione.
Il potenziamento della rete dei servizi territoriali (Dsm, Sert e servizi per la disabilità) è quindi volta al
fine di affermare e incrementare i percorsi di cura e reinserimento individualizzati, che assicurino la
p esa i a i o dei pazie ti all’i te o di p ogetti te apeuti o-riabilitativi, assicurando al contempo il
diritto alle cure e al reinserimento sociale. In questo contesto il potenziamento delle strutture intermedie di secondo livello svolge un ruolo fondamentale per garantire, da un lato, che la permanenza
nelle Rems sia ridotta al tempo minimo indispensabile a ristabilire nel paziente condizioni di maggioe sta ilità li i a e o po ta e tale e, dall’alt o, he le st uttu e te ito iali o di a ie, se za dove
modificare la loro essenza e mission, siano in grado di accogliere utenti che hanno raggiunto un adeguato equilibrio, al fine di favorirne percorsi di autonomia e di riabilitazione psicosociale.
L’o iettivo ge e ale del p og a
a app ovato, o deli e a .
del
aggio
, dalla Regione Lombardia è volto alla «creazione di un articolato circuito residenziale regionale» che surroghi
le fu zio i si o a svolte dall’ospedale psi hiat i o giudizia io di Castiglio e delle ìtivie e. Il p ogetto
lo a do p evede l’istituzio e di .
Re s, dive sifi ate pe livelli di assistenza, offerta riabilitativa
e sicurezza, in relazione del grado di pericolosità o gravosità dei pazienti ivi ospitati.
Il piano attuativo attribuisce un ruolo di primaria importanza e di coordinamento al gruppo di lavoro
di Castiglione delle Stiviere, anche pe o dispe de e «l’app ezza ile sape e e sape fa e – unico in
Italia – atu ato el te po el t atta e to di i te ati … all’i te o di st uttu e gestite es lusivae te da pe so ale dipe de te dell’azie da ospedalie a e i teg al e te o ga izzate secondo quanto previsto dalla normativa sanitaria di riferimento»57. Tuttavia la previsione di un alto numero di residenze e di posti letto, da realizzarsi nel perimetro delle aziende ospedaliere, rappresenta indubia e te u ’opzio e diffe e te ispetto a uella toscana, in cui la territorializzazione delle cure ha
assu to o solo vale za li i a a a he valo e di p i ipio o ativo. L’ave pu tato i ve e sulla
risposta residenziale potrebbe infatti determinare la riproposizione, sotto altre spoglie, di un modello
di gestio e del pazie te di tipo es lusiva e te ospedalie o, da ui s’i t avvede «il ge e di u a
t a s-istituzio alizzazio e , ossia della possi ilità he il p og a
a si idu a a u p o esso di t asferimento di ricoverati dai vecchi Opg a nuove residenzialità organizzate per erogare prevalentemente
interventi medicalizzati tipici di una psichiatria ospedaliera»58.
213
Stefano Rossi
Essays
214
5. Domani: prospettive tra cura della persona e esigenze di sicurezza sociale
Come ha scritto magistralmente Daniele Piccione59, «la storia della lunga, anche troppo lenta, transizione, quasi una traversata nel deserto delle istituzioni totali che [è giunta] al termine, illumina di
se so a he u alt o p ofilo: o ai pa ifi o he, [oggi] s aduta l’ulti a p o oga, tutti gli i te ogativi prospettati e risolti, anche pioneristicamente, in questi mesi di sofferta sperimentazione sociale,
si faranno di colpo concreti, attuali, talvolta tanto drammatici da determinare repentine opzioni di
politi a giudizia ia. O o e à adotta e … s elte ostituzio ali 60, cui ormai non è chiamato più solo u u i o de iso e politi o, a l’i te o o di e giudizia io e la o plessa e diso oge ea ete dei
servizi di salute mentale sul territorio».
Se infatti la chiusura degli Opg rappresenta una svolta epocale, costituendo il completamento della
ifo a psi hiat i a he e e i izio a età degli a i ’6 o l’espe ie za asaglia a, tuttavia o
mancano dubbi, ombre e contraddizioni che andranno risolte.
Il definitivo superamento degli Opg richiederà ancora tempi lunghi per la sua effettiva concretizzazione e si dovrà fare attenzione a che la riforma non naufraghi schiacciata tra Scilla e Cariddi: laddove, da u lato, le uove Re s o devo o dive ta e u su ogato i hiave idotta della logi a anicomiale che e a p op ia degli Opg, dall’alt o lato,
e essa io disi es a e il is hio he u a i terpretazione libertaria (e de- espo sa ilizza te delle disposizio i possa po ta e all’e esso opposto,
ovvero a disapplicare lo strumento delle misure di sicurezza che oggi, in talune realtà, costituiscono
l’u i o, pe ua to i p op io, suppo to alla o dizio e di g ave vul e a ilità psi hi a i ui ve sa o
alcuni autori di reato61.
Ancor più nefasto sarebbe lo scenario se la soluzione al problema Opg si risolvesse in uno scarico di
espo sa ilità sui Ds o l’effetto di u i de ito iposizio a e to dei se vizi te ito iali sul te eo del o t ollo so iale della devia za62. Tale i a i o di fu zio i sui se vizi te ito iali, già afflitti
dall’o da di eg essio e del sistema del welfare, metterebbe sotto pressione e porrebbe a rischio la
sostenibilità sociale del sistema, riverberandosi dunque in senso negativo sulle occasioni di liberazione e di tutela della salute mentale degli ex internati con inevitabili effetti di riflusso e nostalgiche rincorse a riproporre schemi contenitivi e di controllo sociale della marginalità.
59
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D. PICCIONE, Requiem per gli Ospedali psichiatrici giudiziari ed effettività della Costituzione, in Forum salute
mentale, 27 marzo 2015.
60
L. TRIBE, Constitutional Choices, Harvard University Press, Harvard, 1986.
61
P. DI NICOLA, La chiusura degli Opg: un’occasione ancata, cit.
62
Ragioni e sentimenti che si innestano, peraltro, nel contesto lavorativo di servizi psichiatrici in cui persistono
da tempo insofferenze e rivendicazioni connesse a criticità a livello organizzativo per carenze di risorse e di
personale, e in cui il clima è già fortemente segnato dal diffondersi di inquietudini che non possono essere
ig o ate se le si vuole gove a e. I fatti l’auto-percezione da parte degli operatori di salute menale di essere
pote ziali vitti e di u siste a i a ioso o po o assi u a te, os o e l’i si u ezza e la f ust azio e pe
la propria vulnerabilità concorrono a definire mentalità e stili operativi dei servizi psichiatrici e bisogni di
o t ollo sul folle eo , he i
a ie a os ie te o i os ie te, posso o vei ola e, avalla e o pe si o a ui e
culture, mentalità e pratiche restraint, di matrice difensivistica e fortemente regressive nei riguardi dei diritti
dei pazienti internati. Cfr. G. DODARO, L’i patto dei saperi, culture e senti enti d’insicurezza dei servizi
psichiatrici sulle politiche per il supera ento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario, Intervento al Convegno
ìupe a e gli Opg. Quali alte ative ? , / /
, Mila o.
Once upon a time: la parabola degli OPG fino al loro superamento
A. CERETTI, R. CORNELLI, Malattia entale e controllo sociale. Nuove configurazioni all’inizio del nuovo illennio,
in Criminalia, 2006, 323 ss.
64
A. PUGIOTTO, L’ergastolo nascosto (e altri orrori dietro i uri degli ospedali psichiatrici giudiziari, cit., 357.
65
La soluzione alla questione della presa in carico ai servizi di salute mentale si muove su un sottile crinale:
integrazione degli internati dimessi nella rete dei servizi di tutela della salute mentale, ma, al contempo,
valorizzazione dei percorsi terapeutici e riabilitativi impostati su base personale. È il principio di
differenziazione negli approcci che deve avere cura, tuttavia, di non tramutarsi, come un circolo vizioso, in
nuove forme di esclusione. Ne discende che la sfida sembra più percorribile per quei servizi psichiatrici in grado
di offrire flessibilità operativa, di predisporre programmi terapeutici personalizzati, di garantire risposte
riabilitative mediante una vicinanza con il territorio non ostacolata dalla gestione dei grandi numeri
dell’assiste za.
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63
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Essays
Se è vero che gli Opg si situavano al crocevia di questioni della massima rilevanza per il volto costituzionale del sistema penale – crocevia percorso da fortissime tensioni giuridiche e sociali con le quali
convivono principi e valori costituzionali (artt. 2, 3, 13, 25, 27, 32 Cost.) – e mettono alla prova le capa ità dell’o di a e to di ga a ti e o testual e te il di itto alla salute e adeguati livelli di sicurezza, il ispetto della pe so a u a a e l’ade pi e to dei dove i di solida ietà so iale sia ve so il sofferente psichico che verso le vittime del reato, allora tali questioni non si possono considerare chiuse,
con il formale superamento degli Opg. È ui di e essa io a te e e alta l’atte zio e i to o ai
uovi luoghi dedi ati ai folli ei, o s o da do l’attualità dei t adizio ali dile
i he essi po go o
63
igua do l’i puta ilità, la pe i olosità so iale e il siste a di isposta al eato .
Questa p ospettiva hia a i ausa l’a alisi degli i di izzi delle a
i ist azio i egio ali. Vi so o infatti Regio i he ha o optato pe la i u ia alle Re s, e alt e he, all’opposto, ha o sviluppato
pia i di i ple e tazio e tali da uta e l’app o io alla difesa sociale, trasformando un sistema cone t i o o t addisti to dalla e t alità dell’Ospedale psi hiat i o giudizia io i u siste a poli entrico ed espanso (con un organizzazione di Rems diffusa sul territorio). Nonostante le diverse opzioni
organizzative, il futuro dei ricoverati nelle Rems ruoterà, nei limiti legislativi imposti alla loro genesi,
sulle o ete s elte e sulle p assi dell’a
i ist azio e e dei se vizi: os il tetto massimo dei posti
letto che dovrà scongiurare la tragica riedizione dei grandi internamenti; la prevalente gestione sanita ia del t atta e to; il u iale i esto del li ite assi o di du ata della isu a di ui all’a ti olo
.p., se attuati o agio evolezza app ese te a o l’a tidoto o t o la o i izzazione e, al
contempo, un ostacolo alla creazione di condizioni di residualità manicomiale.
Questo o izzo te va iegato dell’appli azio e della ifo a i du e ui di a iflette e i a le esponsabilità delle amministrazioni pubbliche e i rischi sottesi a scelte di politica sanitaria e criminale che
non possono certamente considerarsi neutre.
E o du ue he l’a e to su uesti aspetti, o ativi, p o edu ali ed o ga izzativi, i po e di f o te
a quello che Andrea Pugiotto ha definito un «bivio costituzionale»64. Tuttavia, seppure la Costituzione
offra molto risposte, occorre alimentare la pluralità del suo pensiero possibilista facendo leva sulla
centralità della persona, garantendo la tutela della salute attraverso progetti e trattamenti il più possibile individualizzati e offrendo risposte graduate e variabili nella gestione della quota di popolazione residua degli Opg che pone problemi di sicurezza65.
Cos il Ce t o di salute e tale, la o u ità te apeuti a, l’ospedale, la oope ativa so iale, la p op ia
casa, i o testi di vita, il ua tie e so o l’alte ativa o eta a ualsiasi « e essità di i te a e to».
Attorno agli snodi assistenziali e di accoglienza di un territorio possono definirsi contesti estesi, co-
215
Stefano Rossi
Essays
216
munità diffuse, relazioni molteplici che, certamente con molta fatica e dichiarate intenzioni emancipative, posso o o sapevol e te apovolge e l’i
agi e dello spazio dedi ato, del luogo sanitario,
dell’istituzio e totale. «Luoghi, s odi, soglie he devo o favo i e lo s a io, l’i o t o, il e ip o o
riconoscimento; capaci quindi di accogliere con attenzione singolare. Soglie che mai definiscono un
dentro, che costruiscono un passaggio, luoghi di relazioni possibili che riconoscono e promuovono
l’ide tità dei soggetti, he pe etto o he l’i o t o, l’as olto, l’aiuto, la u a possa o a ade e.
Luoghi che possono essere attraversati nella pienezza del proprio diritto»66.
P. DELL’ACQUA, S. D’AUTILIA, Abbandonare quei luoghi, abitare le soglie, in Riv. it. med. leg., 3, 2013, 1355 ss.
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Tutela della salute e sa ità pu
li a: il o t i uto del Codi e di Eti a dell’Istituto ìupe io e di ìa ità
Alberto Maria Gambino e Carlo Petrini
HEALTH PROTECTION AND PUBLIC HEALTH: THE CONTRIBUTION OF ITALIAN INSTITUTE OF HEALTH’S
CODE OF ETHICS.
ABSTRACT: As stated in its statute, the Italian National Institute of Health (Istituto Supe io e di ìa ità pu sues the p ote tio of pu li health, espe ially th ough the exe ise of esea h, o t ol, o sulta y, egulato y a d t ai i g a tivities . The Code
of Ethi s of the Italia Natio al I stitute of Health is divided i to five pa ts: i teg ity
in research, conflicts of interest, trials with human subjects, public health, experiments involving animals. The Code is based on a wealth of established and widely
shared values affirmed in the key documents on the subject. The ethical principles,
values and criteria affirmed in the Code reflect the multitude and broad range of activities and functions performed by the Institute. An important question is how to defi e health . Beyo d the diffi ulty of defi i g health is figu i g out ho to value it
and how to weigh the health of a single, identified person against the health of many,
unidentified people. The Code helps grapple with these and other difficult questions
like the concept of consent. It arises from the ethical principle of patient autonomy.
Hence, obtaining consent is a must for anything other than a routine physical examination. It can be defined as an instrument of mutual communication between doctor
and patient with an expression of choice by the latter for the doctor to act in a particular way.
KEYWORDS: Italian Institute of Health; Code of Ethics; Public Health; Consent; Patient
Autonomy.
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SOMMARIO: 1. L’Istituto Superiore di Sanità e le sue funzioni. – 2. Il Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità. – . Il Codi e di Eti a dell’Istituto ìupe io e di ìa ità : st uttu a e o te uto. – 4. Il rapporto tra interventi
in sanità e tutela della salute del singolo. – 5. La difficile comunicazione tra medico e paziente e il consenso informato. – 6. Il ruolo della giurisprudenza nel bilanciamento degli interessi a tutela della salute.

Il presente contributo va così attribuito: a Carlo Petrini i paragrafi 1, 2 e 3; ad Alberto Maria Gambino i
paragrafi 4, 5 e 6.

Alberto Maria Gambino: Professore ordinario di diritto privato e direttore del dipartimento di Scienze umane
nell’Università Europea di Ro a; Carlo Petrini: Responsabile dell’Unità di Bioetica dell’Istituto “uperiore di
Sanità; Vicepresidente del Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità. Contributo su invito.
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Perspectives
Tutela della salute e sanità pubblica:
il contributo del Codice di Etica dell’Istituto Superiore di Sanità
217
Alberto Maria Gambino e Carlo Petrini
Perspectives
218
1. L’Istituto Superiore di Sanità e le sue funzioni
L’
Istituto Superiore di Sanità (ISS) è il principale «organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale» che «persegue la tutela della salute pubblica, in particolare attraverso
lo svolgimento delle funzioni di ricerca, controllo, consulenza, regolazione e formazio-
ne»1.
Fu fondato nel 1934, come punto di riferimento per la promozione della salute collettiva. Nel corso
dei decenni ha mantenuto la motivazione che ne anima l’attività: l’elezione della ricerca trasferita alla clinica, mirata a generare nuove terapie e nuove tecniche diagnostiche.
Presso l’ISS hanno lavorato scienziati che hanno ricevuto il Premio Nobel: Daniel Bovet, Ernst Boris
Chain, Enrico Fermi, Rita Levi Montalcini, Emilio Segrè.
L’ISS intrattiene collaborazioni e consulenze con le principali istituzioni impegnate nella tutela della
salute della cittadinanza: il Ministero della Salute, le Regioni, le Aziende sanitarie locali, le Aziende
ospedaliere. Insieme alle autorità competenti partecipa all’elaborazione ed all’attuazione della programmazione sanitaria e scientifica, nonché alla formazione dei piani sanitari. L’attività di ricerca è
inserita in una vasta rete di collaborazioni nel mondo intero, e in particolare nell’Unione Europea.
Nel 2001 fu emanato un nuovo Regolamento di organizzazione2, che modificò radicalmente lo stato
giuridico: l’ISS divenne ente autonomo di diritto pubblico. Nell’attuale assetto l’ISS comprende sette
Dipartimenti e otto Centri Nazionali. Un nuovo Regolamento è attualmente in fase di elaborazione. I
dipendenti di ruolo dell’ISS sono oltre 1800, ai quali si aggiungono alcune centinaia di persone non di
ruolo che partecipano alle attività di ricerca e istituzionali.
2. Il Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità
Nel triennio 1996-1999, prima dell’istituzione del Comitato Etico, fu operativa, nell’ambito del Comitato Scientifico, una Commissione di Bioetica, istituita con decreto del Direttore dell’ISS3.
A seguito del decreto ministeriale 18 marzo 1998, che stabilì linee guida per l’istituzione e il funzionamento dei comitati etici4, il 24 febbraio 1999 fu istituito, mediante Decreto del Ministero della Sanità5, il Comitato Etico dell’ISS. La nomina dei componenti, e quindi l’inizio dell’operatività, avvenne il
31 gennaio 20016. Essendo l’incarico, in accordo con la normativa, di durata triennale, si succedettero
1
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Ministero della Salute, Decreto 24 ottobre 2014, Approvazione dello statuto dell’Istituto “uperiore di “anità, ai
se si dell’a ti olo del de eto legislativo 28 giugno 2012, n. 106, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana –
Serie generale 18 novembre 2014, n. 268.
2
Decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 2001, n. 70, Regola ento di organizzazione dell’Istituto
Superiore di Sanità, a norma dell’articolo 9 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana – Serie generale 26 marzo 2001, n. 71.
3
Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, Decreto 25 gennaio 1996.
4
Ministro della Sanità, Decreto18 marzo 1998 relativo alle Linee guida di riferimento per l’istituzione e il
funzionamento dei comitati etici, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie generale 28 maggio 1999,
n. 122.
5
Ministro della Sanità, Decreto 24 febbraio 1999.
6
Ministro della Sanità, Decreto 31 gennaio 2001.
Tutela della salute e sa ità pu
li a: il o t i uto del Codi e di Eti a dell’Istituto ìupe io e di ìa ità
3. Il «Codice di Etica dell’Istituto Superiore di Sanità»: struttura e contenuto
L’adozione di un Codice Etico è prevista dall’art. 12 dello statuto dell’ISS17, dove si stabilisce che «per
massima trasparenza organizzativa, l’Istituto adotta un Codice Etico». Il «Codice di Etica dell’Istituto
7
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Decreto 24 settembre 2004.
Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Decreto 10 luglio 2007.
9
Presidente dell’Istituto ìupe io e di ìa ità, Decreto 23 marzo 2011.
10
Commissario dell’Istituto Superiore di Sanità, Decreto 26 settembre 2014.
11
Decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 2001, n. 70, Regola ento di organizzazione dell’Istituto
Superiore di Sanità, a norma dell’articolo 9 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana – Serie generale 26 marzo 2001, n. 71.
12
Ministero della Salute, Decreto 12 maggio 2006. Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il
funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali, Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana – Serie generale 22 agosto 2006, n. 94.
13
Ministero della Salute, Decreto 8 febbraio 2013, Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati
etici, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale 24 aprile 2013, n. 96.
14
Legge 8 novembre 2012, n. 189, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di
tutela della salute, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale 10 novembre 2012, n. 263,
suppl. ord. 201.
15
Legge 8 novembre 2012, n. 189, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di
tutela della salute, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale 10 novembre 2012, n. 263,
suppl. ord. 201.
16
Regione Lazio, Deliberazione 12 giugno 2013, n. 146, Riorganizzazione dei Comitati Etici della Regione Lazio.
Bollettino Ufficiale della Regione Lazio 27 giugno 2013, n. 52.
17
Ministero della Salute, Decreto 24 ottobre 2014, Approvazione dello statuto dell’Istituto Superiore di Sanità,
ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
– Serie generale 18 novembre 2014, n. 268.
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BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
Comitati nei trienni 2004-20077, 2007-20108, 2011-20149. Il Comitato attualmente operativo,
anch’esso con incarico triennale, è stato istituito il 26 settembre 201410.
È da notare che, dopo l’istituzione del primo Comitato, sono intervenuti vari cambiamenti
nell’assetto normativo: per quanto riguarda specificamente il già citato Regolamento entrato in vigore nel 200111, la responsabilità della nomina è stata trasferita dal Ministro della Sanità al Presidente
dell’Istituto Superiore di Sanità; per quanto riguarda i Comitati Etici in generale, dopo una prima riforma avvenuta nel 200612, è attualmente vigente il decreto 8 febbraio 201313, con il quale è stata attuata una riforma prevista dalla legge 8 novembre 201214.
Il Comitato Etico dell’ISS ha competenza innanzi tutto in merito alla sperimentazione clinica di medicinali (come stabilito dall’art. 12, comma 10, della legge 8 novembre 201215), ma ha anche competenze sulle molteplici altre attività che si svolgono nell’ISS e tramite l’ISS. Dato il ruolo nazionale
dell’ISS, il Comitato Etico, come riconosciuto anche dalla deliberazione della Regione Lazio 12 giugno
2013 sull’organizzazione dei Comitati Etici nel territorio regionale16, è scorporato dalla pianificazione
locale dei Comitati Etici e ad esso è riconosciuta una valenza nazionale.
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Alberto Maria Gambino e Carlo Petrini
Perspectives
220
Superiore di Sanità»18 (qui di seguito: Codice) è stato adottato dal Comitato Etico il 13 gennaio 2015.
Al Codice è stata data attuazione mediante apposita Disposizione Commissariale19.
Il Codice è composto da cinque capitoli, preceduti da una breve introduzione esplicativa della genesi
e della struttura del documento. I cinque capitoli riguardano: integrità nella ricerca, conflitti di interessi, ricerca con l’uomo, sanità pubblica, sperimentazione animale.
Per il primo capitolo, il Comitato ha ritenuto opportuno fare proprio l’«Executive summary» dello
«European Code of conduct for research integrity»20, elaborato dalla European Science Foundation
(ESF) e dalla federazione All European Academies (ALLEA). Alla federazione ALLEA aderiscono 53 Accademie Nazionali di 43 Stati. Lo «European Code of conduct for research integrity» è considerato
uno tra i più autorevoli Codici sull’argomento attualmente disponibili nell’Unione Europea ed è stato
adottato da decine di istituzioni nell’Unione Europea. Il principio dell’integrità nella ricerca riguarda
in particolare: onestà nella comunicazione; affidabilità nella conduzione della ricerca; obiettività; imparzialità e indipendenza; apertura e accessibilità; dovere di sollecitudine; correttezza nel citare i riferimenti bibliografici e nel dare credito agli autori; responsabilità per i futuri scienziati e ricercatori.
I successivi capitoli, a differenza del primo, non corrispondono a documenti già adottati da altre istituzioni. Tuttavia, anch’essi fanno riferimento a valori e principi, largamente condivisi, enunciati nei
più importanti codici sull’etica della biomedicina e della ricerca sull’uomo, tra cui, per esempio, la
«Dichiarazione di Helsinki» della World Medical Association21 e la «Convenzione per la protezione dei
Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della
medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina» del Consiglio d’Europa22.
Nel secondo capitolo si propongono alcuni criteri per individuare e gestire i possibili conflitti di interessi, cioè le condizioni che potrebbero compromettere l’indipendenza di un ricercatore e
l’imparzialità dei suoi atti professionali. L’ISS è inserito in una vasta rete di contatti nazionali e internazionali, ed è quindi normale che si generino situazioni in cui possano determinarsi potenziali conflitti di interessi, sia di tipo economico, sia di tipo non-economico. Nel Codice si propone un modello
di una «Dichiarazione pubblica di conflitti di interessi», con la quale il personale descrive situazioni
che possono generare conflitti di interessi. La valutazione delle dichiarazioni e l’adozione di regole
operative per gestire le situazioni di conflitti di interessi non spettano al Comitato Etico, bensì alla Direzione Generale dell’ISS.
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Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità, Codice di Etica dell’Istituto “uperiore di “anità, 13 gennaio
2015, dispo i ile all’i di izzo e : www.iss.it/binary/coet/cont/codice_di_etica.pdf (ultima consultazione
07.05.2015).
19
Commissario dell’Istituto Superiore di Sanità, Disposizione Commissariale n. 37 del 10 marzo 2015.
20
European Science Foundation (ESF), All European Academies (ALLEA), A European code of conduct for research
integrity.
2011,
dispo i ile
all’i di izzo
i te et
www.esf.org/fileadmin/Public_documents/Publications/Code_Conduct_ResearchIntegrity.pdf (ultima consultazione 07.05.2015).
21
World Medical Association, Declaration of Helsinki – Ethical Principles for Medical Research Involving Human
Subjects (1964-2013), dispo i ile all’i di izzo i te et www.wma.net/en/30publications/10policies/b3/ (ultima
consultazione 07.05.2015).
22
Council of Europe, Convention for the Protection of Human Rights and Dignity of the Human Being with
regard to the Application of Biology and Medicine: Convention on Human Rights and Biomedicine, 4 April 1997,
dispo i ile all’i di izzo i te et http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/html/164.htm (ultima
consultazione 07.05.2015).
Tutela della salute e sa ità pu
li a: il o t i uto del Codi e di Eti a dell’Istituto ìupe io e di ìa ità
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4. Il rapporto tra interventi in sanità e tutela della salute del singolo
Nell’ambito del Codice recentemente approvato dal Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità,
appare proficuo approfondire, in particolare, il tema dell’equilibrio tra tutela della salute, dei diritti e
delle necessità dei singoli individui, con la sostenibilità degli interventi in sanità pubblica (di cui si occupa, in particolare, il capitolo quarto del Codice).
Il rapporto tra medico e persona malata – che si sostanzia nella c.d. alleanza terapeutica23 – vive un
momento critico, a causa di due spinte, tra loro contrapposte.
Da un lato, con l’avanzamento della scienza e della tecnica, si è portati ad innalzare notevolmente
l’aspettativa sul isultato attendibile dall’intervento del medico. Dall’altro, a causa delle crescenti
necessità organizzative del sistema sanitario, di cui è traccia anche nel capitolo quarto del Codice, occorre prendere atto che la salute del malato non è più l’unico perno su cui ruota la gestione della cura.
In una ricerca pubblicata nel 1985, Mark Siegler, consulente del Center for Clinical Ethics di Chicago,
propose di suddividere la storia del rapporto medico-paziente in tre fasi. Dopo un primo periodo –
durato millenni – de o i ato E a del Pate alis o , aveva fatto seguito il secondo periodo, l’ E a
dell’Auto o ia , di eve du ata pe h apida e te sostituito dal te zo pe iodo, desig ato E a
della Bu o azia Pa si o iosa Age of Bureaucracy, detta anche Age of Parsimony)24.
Nella terza Era della classificazio e di ìiegle , uella della Pa si o ia , o ispo de te al o e to
odierno, l’autonomia ed il bene del paziente rimane un valore principale, ma è posto in relazione con
valori molto diversi: le esigenze dell’ospedale, di coloro che vi lavorano, della società. La qualità delle
cure, in sostanza, è un traguardo che deve essere bilanciato rispetto al costo dell’assistenza, ed il
23
Su cui v., da ultimo, D. FARACE, Profili civilistici dell’alleanza terapeutica, in C.M. BIANCA (a cura di), Interessi
della persona e nuove relazioni di mercato, Roma, 2012, pp. 3 ss.
24
A. FIORI, D. MARCHETTI, Medicina legale della responsabilità medica, Milano, 2009, pp. 64 ss.
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Il terzo capitolo riguarda l’etica della sperimentazione con l’uomo. Sotto il profilo dell’etica, il tema è
particolarmente rilevante, in quanto la sperimentazione clinica pone rischi diretti per la persona.
L’Istituto, pur non essendo un luogo di cura dove si trattano direttamente pazienti, coordina sperimentazioni multicentriche, o vi partecipa. Nel Codice si enunciano orientamenti in merito a: valore
della ricerca, validità della ricerca, equa selezione dei soggetti, rapporto tra e benefici e rischi, revisione indipendente, consenso informato, rispetto per i soggetti potenziali e arruolati.
Nel quarto capitolo la prospettiva si allarga alle ricerche ed agli interventi di sanità pubblica. Si passa,
quindi, da una dimensione prevalentemente individuale a una dimensione collettiva. Il confronto, e
talvolta scontro, tra tali due dimensioni costituisce uno dei problemi più rilevanti per l’etica della sanità pubblica. La massimizzazione del beneficio collettivo non deve essere a danno del bene di ogni
singola persona. Nel Codice, pertanto, si richiama il principio etico in base al quale il bene collettivo si
ottiene tutelando e promuovendo il bene di ogni singola persona.
Nella quinta parte si presentano i criteri fondamentali per l’etica della sperimentazione con animali. I
progetti sperimentali con modelli animali devono essere scientificamente validi, metodologicamente
appropriati, statisticamente congrui e devono essere originali.
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222
rapporto medico-paziente tende ad allentarsi ulteriormente. Il bene del paziente non è più
l’ o iettivo assoluto delle policies sanitarie, ma deve essere contemperato con le esigenze
dell’organizzazione complessiva, che ha le sue leggi burocratiche, ed è sempre di più piegata ad esigenze extra-sanitarie: rispetto di costi, tempi, di standard dell’intero ospedale o della clinica25. Tanto
che una recente sentenza della Corte di cassazione ha statuito espressamente che «il rapporto
dell’utente con il S.S.N., nell’a ito del uale t ova effettività il di itto alla salute a t.
Cost. […],
viene a connotarsi dei tratti del diritto soggettivo pieno ed incondizionato, ma nei limiti e secondo le
modalità prescelte dal legislatore nell’attuazione della relativa tutela, ben potendo detti limiti e modalità essere conformati dai condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nella distribuzione
delle risorse finanziarie disponibili»26.
5. La difficile comunicazione tra medico e paziente e il consenso informato
Questa duplice e contrapposta spinta, di cui sopra si è dato cenno, ha reso estremamente difficile la
comunicazione tra medico e struttura sanitaria da una parte, e paziente dall’altra, che è stato icastia e te defi ito u dialogo t a so di 27.
A fronte di un elevato progresso tecnologico, con l’affermarsi di terapie avveniristiche, di scenari futuribili caratterizzati da un sempre minor contatto tra strutture ospedaliere e persona malata (ed è in
questo senso assai eloquente il dibattito che si è sviluppato intorno all’E-Health, si pensi alla tendenza verso la telemedicina, l’informatizzazione del rapporto clinico, la deospedalizzazione, le visite via
web)28, il rapporto umano tra medico e paziente mantiene pur sempre rilevanza fondamentale, anche e soprattutto a fini curativi.
In questo contesto, notevole rilievo assume il c.d. consenso informato, di cui pure il Codice dell’ISS si
occupa, elevandolo ad «espressione del principio etico dell’autonomia» (capitolo terzo, p. 11).
Tale principio ebbe applicazione in sede giudiziale per la prima volta negli Stati Uniti nel 1957, in un
processo svoltosi in California (Salgo vs. Leland Stanford, Jr. University Board of Trustees). Sviluppatosi da una costola del principio penalistico del consenso dell’avente diritto individuato quale causa di
non punibilità ai sensi dell’art. 50 c.p., esso attecchisce rapidamente in contesto civilistico, dove già il
te i e o se so evo a p o le ati he egoziali29.
25
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R. FERRARA, Il diritto alla salute: principi costituzionali, in ID. (a cura di), Salute e sanità, in S. RODOTÀ, P. ZATTI (a
cura di), Trattato di biodiritto, Milano, 2010, pp. 36 ss. Per qualche considerazione generale sulla crisi del
rapporto di fiducia medico-paziente, v. I. MARINO, La comunicazione medico-paziente, dialogo tra sordi, in D.
MINERVA, G. STURLONI (a cura di), Di cosa parliamo quando parliamo di medicina, Torino, 2007, spec. pp. 58 ss.; I.
CAVICCHI, La medicina della scelta, Torino, 1999; ID., Ripensare alla medicina, Torino, 2004, A. GAWANDE,
Complications: A Surgeon’s Notes on an Imperfect Science, London, 2002.
26
Cass., 27 marzo 2015, sent. n. 6243, inedita (e cfr. altresì C. Cost., sentenze n. 309 del 1999, n. 432 del 2005 e
n. 251 del 2008).
27
Cfr. I. MARINO, La comunicazione medico-paziente, dialogo tra sordi, cit.
28
Di particolare interesse, in questo senso, la rubrica giuridica di V. OCCORSIO, E-health: diritto sanitario e nuove
tecnologie, in Diritto, Mercato, Tecnologia (versione online: www.dimt.it).
29
Vedi, in giur., Cass., 23 maggio 2001, sent. n. 7027, Cass., 25 novembre 1994, sent. n. 10014, in Foro it., 1995,
I, c. pp. 2913 ss.
Tutela della salute e sa ità pu
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6. Il ruolo della giurisprudenza nel bilanciamento degli interessi a tutela della salute
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Il compito di mediare tra gli interessi in gioco è stato assolto dalla giurisprudenza che si è occupata
inter alia della responsabilità medica.
In tale assetto, assume sempre maggior rilievo in particolare l’apporto della giurisprudenza di legittimità nell’espletamento della funzione di nomofilachia, in linea con la consapevolezza dei giudici di
operare in un sistema che – pur essendo di civil law e, quindi, non basato primariamente su principi
generali come avviene nei paesi di common law – si configura come semi-aperto, perché fondato anche su clausole generali, e cioè su indicazioni di valori ordinamentali, espressi con formule generiche
(buona fede, solidarietà), che scientemente il legislatore trasmette all’interprete per consentirgli,
nell’ambito di una più ampia discrezionalità, di attualizzare il diritto, anche mediante l’individuazione
di nuove aree di protezione di interessi.
Il nuovo corso riconosce al paziente un’inedita tutela processuale. Il trend favorevole al paziente trae
origine dal ruolo preminente riconosciuto alla Carta costituzionale, «che ha determinato il passaggio
dallo Stato liberale allo Stato sociale, caratterizzato da un punto di vista giuridico dalla c.d. centralità
della persona»31. Il cambiamento più rilevante, oltre all’applicazione delle norme sulla responsabilità
30
Cfr. A. NICOLUSSI, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di
mezzi. La responsabilità del medico, in Danno e resp., 2008, pp. 876 ss.
31
In questi termini, Cass., 11 maggio 2009, sent. n. 10741, in Foro it., 2010, 1, I, pp. 141 ss., e in Dir. famiglia
2009, 3, pp. 1159 ss.
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No
uesta la sede adatta a t atta e il te a di e o e ilievo del o se so i fo ato . Vole do
però lanciare qualche spunto critico, si osserva come esso potrebbe portare alla definitiva assunzione
dell’obbligazione medica nell’alveo delle obbligazioni di risultato: informando il paziente che il rischio
di un intervento è basso, prospettando un’alta probabilità di conseguire un buon esito, si creerebbe
una aspettativa e si rafforzerebbe la decisione favorevole del paziente, e il medico si impegnerebbe a
raggiungere quel risultato.
Ove si intenda dare al consenso un’importanza preponderante, si rischia peraltro di individuarvi la legittimazione di tutta l’attività medica. Vi è il rischio, in altre parole, che il consenso informato divenga
lo strumento di una contrattualizzazione che permeerebbe ciascuna fase terapeutica introducendo
elementi di ambiguità – e di un’eccessiva parità nel rapporto fra medico e paziente che potrebbe
portare alla tendenza di esonerare il medico da responsabilità – in un rapporto che, ancorché dal
punto di vista negoziale sia astrattamente paritario, è pur sempre fondato sull’affidamento del malato nei confronti di un professionista la cui opera è rivolta alla tutela di un bene, la salute, di rango costituzionale.
Tale tendenza, se radicalizzata, porterebbe infatti a fare del medico un prestatore di opere fungibili,
intorbidando i confini tra medicina che realizza una funzione sociale e medicina puramente privata
(quale un tempo veniva ritenuta la chirurgia estetica), sganciata dall’interesse della collettività di cui
parla l’art. 32 Cost.30.
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Perspectives
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contrattuale, avviene sul piano dell’o e e della p ova, g azie al p i ipio di vi i a za , he po e sostanzialmente in capo al medico gran parte delle incombenze probatorie32.
Le norme di riferimento rimangono le medesime, ma è mutato l’orientamento interpretativo: le formule del codice vengono rilette alla luce del dettato costituzionale che garantisce una tutela (anche
processuale, ex art. 24 Cost.) alla parte debole, nell’ottica di una generale rivalutazione del principio
personalistico.
Questa tendenza, segnata dalla giurisprudenza, si rivolge anche in altre direzioni, quelle dei danni risarcibili, nel cui ambito va sottolineata, non senza dissenso, l’affermazione problematica e pregna di
risvolti bioetici della risarcibilità, direttamente in capo al neonato, dei danni da «nascita indesiderata»33.
Il continuo evolversi della giurisprudenza fa sì che gli operatori sanitari operino in «uno dei campi nei
quali avvertiamo i
odo più evide te la atu a li uida della postmodernità, con la conseguente
difficoltà di fissare in modo stabile e duraturo le linee di un ragionevole bilanciamento tra situazioni
giuridiche soggettive in potenziale conflitto tra loro»34.
Occorre dunque verificare quali siano le possibili vie di uscita che preservino da un lato il diritto del
singolo alla salute, dall’altro l’interesse della collettività (tutelato dallo stesso art. 32 Cost.) ad avere
un sistema sanitario sostenibile. In questo senso si collocano le preoccupazioni degli estensori del
Codice.
La descritta impostazione giurisprudenziale, al di là della scelta sul caso singolo, ha comportato degli
effetti ollate ali , he al si o ilia o o l’intento di utilizzare la responsabilità civile al fine di
pervenire ad una più articolata distribuzione dei rischi a tutela del danneggiato. Infatti, l’esigenza di
tutela della parte debole che sta alla base della svolta compiuta dalla Cassazione a favore del paziente negli ultimi anni (quanto all’obiettivo, condivisibile) comporta il rischio che il medico si procuri una
se ie di s udi giu idi i nei confronti della persona che dovrebbe curare: è la c.d. medicina difensiva,
sia essa positiva o egativa .
Occorre dunque riaffermare che, anche alla luce dei richiami contenuti nel Codice, il perseguimento
di esigenze pubbliche negli interventi in sanità non debba necessariamente pregiudicare la serenità
del rapporto terapeutico rispetto al singolo individuo. Indicativo è peraltro il richiamo, contenuto nello stesso Codice di deontologia medica, ai p i ipi di effi a ia delle u e, e al pe segui e to da
32
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Cfr., tra le molte, Cass., 26 gennatio 2010, sent. n. 1538, in Giust. civ. Mass. 2010, 1, 98 e in Ragiusan 2010,
313-314, 151. In dottrina, si veda, ex multis, su questi peculiari aspetti V. OCCORSIO, Cartella clinica e
responsabilità medica, Milano, 2011, passim; ID., Cartella clinica e «vicinanza» della prova, in Riv. dir. civ., 2013,
II, pp. 1249 ss.
33
In questo senso una celebre e recente sentenza (Cass., 2 ottobre 2012, sent. n. 16754, in Guida al Dir. 2012,
46, 16), la quale, tuttavia, ammonisce: «Il problema - [...] he atti ge all’e uili io stesso t a i pote i dello ìtato,
olt e he al odo di esse e, e du ue di evolve si, dell’o di a e to giu idi o - i du e l’i terprete ad
interrogarsi sui limiti del suo intervento in seno al tessuto normativo e al di là di esso, senza mai omettere di
considerare che, di interpretazione contra legem (non diversamente che per la consuetudine), non è mai lecito
discorrere in un sistema (pur semi-aperto) di civil law, che ammette e legittima, esaurendone in sé la portata
i ovativa, l’i te p etazio e este siva e l’i teg azio e a alogi a, a h’essa o dotta pu se p e ex lege
ovvero ex iure. Non altro. Non oltre».
34
Così F. SITZIA, Responsabilità del medico: linee evolutive e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie,
in C. PILIA (a cura di), Quaderni di conciliazione, I, Cagliari, 2010, pp. 169 ss.
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Perspectives
parte del medico dell’«uso ottimale delle risorse pubbliche e private» (art. 6 cod. deontologia medica).
In questa previsione si può leggere infatti l’esigenza di contemperare, nello svolgimento dell’attività
medica a qualunque livello, gli aspetti più prettamente curativi e legati all’alleanza terapeutica con
quelli di natura gestionale e organizzativa. Considerato che le previsioni contenute nel citato Codice
sono dotate di carattere sanzionatorio – sia pure in ambito disciplinare – questa innovata prospettiva
avrà probabilmente un’efficace portata persuasiva.
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Le cure di fine vita in Italia: il problema e la sua possibile soluzione nella prospettiva dei clinici
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
*
END OF LIFE CARE IN ITALY: THE ISSUE AND ITS POSSIBLE SOLUTION FROM THE CLINICIANS’ POINT OF
VIEW
ABSTRACT: In comparison with some other European countries, such as Germany,
Spain, France, and UK, Italy has not adopted an end of life legislation yet. From a clinical point of view, today there is in western countries a sound evidence supporting
that the best scientific and ethical approach to end of life issues is based on four fundamental principles: shared decision making process with patient and family; rejection of dying process marked by the suffering and disproportionate treatments;
withholding/withdrawing treatments and palliative sedation as active contributions
to suppress the patients’ suffering and pain at the end of life; clear-cut difference between these clinical and ethical options and euthanasia. In this sense, Italian clinicians need a law able to guarantee the autonomy of doctor-patient-families relationship, respecting different cultures and religious or nonreligious approaches to life and
death, as well as eve yo e’s different biographical and biological story. At the same
time, this law should be able to also provide physicians with a legal coverage to make
all the necessary choices regarding the increasingly complex connection between
disease and death and modern clinical practice, on one hand, and related human vicissitudes, on the other.
KEYWORDS: end of life care; end of life legislation; withholding/withdrawing treatments; palliative sedation; euthanasia
SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari. – 2. Al letto del paziente. – 3. Pa ti e dall’espe ie za. – 4. La soluzione
possibile. – 5. Conclusioni.
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*
Luciano Orsi: responsabile della comunicazione e membro del CD nazionale della Società Italiana Cure
Palliative (SICP) – Componente del Gruppo di Studio Bioetica – Società Italiana Anestesia Analgesia
Rianimazione Terapia Intensiva (SIAARTI) – Unità Operativa Complessa Cure Palliative, Azienda Ospedaliera
Carlo Poma, Mantova; Alberto Giannini: Componente del Gruppo di Studio Bioetica – Società Italiana Anestesia
Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva (SIAARTI) – Unità Operativa Complessa Anestesia Rianimazione,
Ospedale San Giovanni Bosco, Torino; Marco Vergano: Coordinatore del Gruppo di Studio Bioetica – Società
Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva (SIAARTI) – Responsabile Terapia Intensiva
Pediatrica Fondazione IRCCS Ca' Granda– Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; Giuseppe R. Gristina:
Componente del Gruppo di Studio Bioetica – Società Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia
Intensiva (SIAARTI). Contributo sottoposto a doppio referaggio anonimo.
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Perspectives
Le cure di fine vita in Italia:
il problema e la sua possibile soluzione nella prospettiva dei clinici
227
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
Perspectives
228
The iggest change in the last 0 ears, is that there are no li its. There’s nothing e can’t do for an old person, and
there’s a lot of pressure to do it. This is considered progress, and it’s considered ageis to e skeptical. But e can’t go on
this a . It’s unafforda le. And it’s the hardest dile
a in our societ ecause there’s no good a to deal with it other
than sa ing no’
Daniel Callahan, President Emeritus of the Hastings Center
1. Considerazioni preliminari
N
ei paesi occidentali la transizione demografica ha determinato un invecchiamento globale della popolazione e un declino della mortalità, soprattutto ell’età ava zata. Le p o abilità di sopravvivere in vecchiaia sono migliorate causando un trend di crescita della popolazione anziana pari al 2% per anno e si prevede che esso continuerà a crescere altrettanto rapidamente nei prossimi 25 anni1.
In Italia, gli over-6 a
o te a o allo a a / dell’i te a popolazio e e t e gli ove -80 passerano dall’attuale 6% al 14%; la spesa sanitaria ospedaliera si rimodulerà riducendosi a 1/3 per gli under65, raddoppiando per gli over-802.
L’i ve hia e to della popolazio e ha i dotto u a osta te es ita del u e o di pazie ti affetti da
patologie cronico-degenerative e,malgrado i ricoveri prolungati o ripetuti e la morte in ospedale siano considerati indicatori di cattiva qualità del morire3, nel nostro paese,negli ultimi 2 mesi di vita,il
90% di questi pazienti è trasferita in ospedale mentre solo un paziente su dieci si sposta da casa a hospice. Il contrario di quanto accade negli altri paesi europei inclusi nello studio EURO SENTIMELC dove, a 60 giorni dalla morte, più del 30% dei pazienti è già in hospice, dimostrando un approccio culturale che privilegia la qualità di vita degli ultimi giorni alla sopravvivenza4.
Le cause di questa situazione posso o i dividua si sia ell’app o io dife sivisti o che molti medici
adottano senza tenere conto né di un equilibrato rapporto costo-rischio/beneficio per il paziente, né
del suo impatto economico sulla sanità pubblica (9ilia di €/a o 5, sia nella loro scarsa attitudi6
ne a valutare la proporzionalità delle cure ; obiettivi di cura errati costituiscono infatti,anche alla fine
della vita,il principale fattore predittivo di comportamenti clinici inappropriati7 (per es. pieno utilizzo
1
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ISSN 2284-4503
ANONYMOUS, World population ageing: 1950–2050. Department of Economic and Social Affairs PD, United
Nations, 2001, New York.
2
http://www.ansa.it/saluteebenessere/noTIzie/rubriche/salute/2013/11/12/Golini-Istat-2050-65-terzoitaliani_9607094.html (ultima consultazione 14/12/2014).
3
http://www.plosmedicine.org/arTIcle/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001410
(ultima
consultazione 14/12/2014).
4
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predefiniti.
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9
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
di te ologia di suppo to vitale i pazie ti a p og osi i fausta pe i suffi ie za d’o ga o o i a i
fase e d stage , f . ef. N° 66 .
Al contrario, secondo la definizione di cure palliative, instaurare una relazione di cura significa riconoscere i bisogni psico-fisi i e so iali dei pazie ti alla fi e della vita, ga a ti e l’app op iatezza
dell’assiste za e delle te apie, la elazio e di aiuto ai fa ilia i8, condividere le scelte9. Ciononostante,
solo il 37% di tutti i pazienti deceduti ha avuto accesso ai servizi di cure palliative10.
I pazienti sono raramente coinvolti nella pianificazione delle cure e nelle scelte di fine vita e quando
giungono in ospedale nella fase finale e più critica della loro malattia, rischiano di essere sottoposti a
trattamenti che, se consapevoli, probabilmente non avrebbero accettato11 e che si riveleranno spesso inappropriati poiché sproporzionati12.
Una serie di studi dimostra che quando questi pazienti sono ammessi in Terapia Intensiva (TI), sperimentano,in reparto e a un anno dalla dimissione,una mortalità significativamente più elevata della
media,compresa tra 55%e 97%13, 14, 15, 16, 17, 18. Va ia ili uali l’età e le o o idità19,20,lo stato funzionale-cognitivo21,22, la fragilità23,24, la qualità di vita prima e dopo il ricovero25,26,spiegano questo ec-
229
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
Perspectives
230
cesso di mortalità e si dovrebbero tenere nel massimo conto27 per un appropriato triage28 e nelle discussioni con i pazienti e i loro cari circa gli obiettivi di cura realizzabili29.
Questi dati impongono una riflessione ell’a ito del siste a sa ita io e ella so ietà el suo omplesso su tre temi:il limite delle cure in termini di ragionevolezza (le conoscenze non possono soddisfare qualsiasi richiesta), efficacia clinica (un limite he si odifi a o l’evoluzio e delle onoscenze)
e se so l’a etta ilità o ale delle s elte ;il sig ifi ato delle u e sp opo zio ate30;la differenza tra
la limitazione delle cure sproporzionate (Limitazione Terapeutica – LT)31 e l’euta asia.
2. Al letto del paziente
La decisione di passare dalle cure tradizionali alle cure palliative richiede ai clinici di condurre un dialogo che, svolgendosi nel corso della malattia, integri competenza e autorevolezza di ciascuna componente (paziente ove possibile, medico, familiari) attraverso una pianificazione delle cure (Advance
Care Planning – ACP he, fo da dosi sull’e uili io t a effi a ia, e efi i e osti per il paziente32,
promuova scelte di cura consapevoli33.
L’ACP o siste in un processo informativo bidirezionale: per i medici sulla scala valoriale dei pazienti
e, per questi, sulla gravità della loro malattia, la prognosi, i mezzi diagnostici e terapeutici necessari
ad affrontarla34.
23
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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simulation study of determinants and variability of ICU physician decisions in patients aged 80 or over, in Intensive Care Medicine, 39, 2013, 1574-1583.
30
ìi p efe is e la dizio e u e sp opo zio ate a uella di a a i e to te apeuti o poi h uest’ulti a o
t ova is o t o ella lette atu a i te azio ale. ìi i te do o pe
u e sp opo zio ate tutte le u e he, pe
l’elevato g ado di g avità/evoluzio e della alattia, o aggiu go o più l’o iettivo pe ui ve go o poste i
essere o che aggiu go o l’u i o isultato di alle ta e il p o esso iologi o della o te.
31
Limitazione delle cure sproporzionate: astensione dalle o sospensione delle cure ordinarie evidentemente
sproporzionate – pe evità d’o a i poi li itazio e te apeuti a i acronimo: LT.
32
M.R. GILLICK, Advance care planning, in The New England Journal of Medicine, 350, 2004, 7-8.
33
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40
Cfr. supra, nota 4.
41
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43
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death, in New England Journal of Medicine, 362, 2010, 1211-1218.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
Modelli di ACP ritagliati su concrete condizioni di malattia hanno dimostrato che un approccio coordinato, sistematico, centrato sul paziente e i familiari e su un processo decisionale condiviso, che include discussioni riguardanti le cure di fine vita, migliora la qualità di queste ultime35, riduce lo stress
nei caregivers36, 37, evita cure e ricoveri inappropriati38,39.
I uesto odo, di ettive a ti ipate di t atta e to DAT , atu ate el o testo dell’ACP, dive ebbero più solide e affidabili anche quando per la severità della malattia i pazienti non saranno più in
grado di esprimere una volontà, come testimoniano lo studio EURO SENTIMELC40 e lo studio europeo
sulle scelte alla fine della vita in TI41.
Peraltro, i
olti paesi le DAT so o state adottate pe p otegge e l’auto o ia del pazie te 42 divenendo parte dei sistemi legislativi 43, ma un dibattito sulla loro efficacia si è precocemente avviato44e
mentre numerosi studi dimostrano che esse hanno scarso effetto sulle decisioni di sospendere o non
erogare trattamenti 45, 46, altri ancora sottolineano una frequente e sostanziale incoerenza tra qualità
delle cure ricevute e desideri dei pazienti47,48.
Così, nonostante la popolarità49, le DAT non hanno fornito il risultato sperato50 e il processo di ACP in
cui le DAT sono inserite,è oggi supportato dalle Società mediche inglese, americana e australiana51, 52,
53
.
231
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
Perspectives
232
3. Partire dall’esperienza
Per definire se sia ammissibile la LT,è necessario comprendere che questa non equivale né al concetto di eutanasia attiva né a quello di eutanasia passiva.
Malgrado tale distinzione ricorra nel dibattito pubblico, la letteratura scientifica la considera fuorviante ai fini della reale comprensione del problema.
ìe o do l’i te p etazio e fo ita dalla European Association of Palliative Care (EAPC)54,l’euta asia
attiva pe defi izio e, pe ta to l’euta asia passiva costituisce una contraddizione in termini: in altre
pa ole, o esiste. Pe alt o, o solidate evide ze di ost a o he l’i te uzio e di olte u e t adizionali provoca un prolungamento della sopravvivenza55.
L’EAPC a o a da ui di l’adozio e della seguente definizione: «L’euta asia o siste ell’u isio e
intenzionale di una persona, effettuata da un medico tramite la somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa».
E uipa a e la LT all’euta asia errato poiché limitare le cure tradizionali non significa provocare la
o te so
i ist a do fa a i, e t e assi ila la all’euta asia passiva o ha se so e se ve solo a
creare confusione tra eutanasia e LT.
Al contrario, al termine della vita, i fatti salienti sono: la liceità morale di evitare inutili sofferenze;
l’i eve si ilità del p o esso del o i e s ie tifi a e te p ovata; il li ite spe i e tato della u a;
l’i utilità della sua p ose uzio e. La ausa della o te du ue la alattia, o la LT.
L’errata equivalenza tra LT e sedazione palliativa (SP) da u lato e euta asia dall’alt o fa si he i edici italiani siano al penultimo posto in Europa nella prescrizione di oppiacei per la terapia del dolore
terminale56, 57.
Peraltro, due studi sulle scelte di cura al termine della vita in TI testimoniano come la LT sia già ampiamente attuata58,59 e i pazienti siano accompagnati tramite la SP 60 il cui uso è basato su trials clinici
50
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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Le cure di fine vita in Italia: il problema e la sua possibile soluzione nella prospettiva dei clinici
4. La soluzione possibile
Le questioni affrontate hanno già trovato risposte in documenti che, in sede europea69 e nazionale70,71, propongono criteri clinici ed etici finalizzati a compiere scelte di cura appropriate e condivise,
p o uove do il o t ollo della soffe e za, l’a o pag a e to alla te i alità, il suppo to ai fa iliari.
59
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71
. G.R. GRISTINA, L. ORSI, A. CARLUCCI, I.R. CAUSARANO, M. FORMICA, M. ROMANÒ, per il Gruppo di Lavoro Insufficienze
C o i he d’O ga o, PARTE II: evidenze scientifiche nelle insufficienze croniche d’organo end-stage .
Documento di consenso per una pianificazione condivisa delle scelte di cura, in Recenti Progressi in Medicina,
105(1), 2014, 25-39.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
e linee guida63,64. In particolare, lo studio di Bertolini e colleghi aggiunge u ’i fo azio e s ie tificamente ed eticamente rilevante: che nelle TI italiane la LT nei pazienti al termine della vita è attuata più spesso nei reparti dove si ottengono i risultati migliori in termini di sopravvivenza, mentre i
centri che evidenziano uno standard di cura peggiore (mortalità più alta a parità di gravità), sono
quelli dove più spesso si attua la prosecuzione ad oltranza dei trattamenti. Questo confuta due diffuse credenze: che la LT è una forma mascherata di eutanasia65; che le TI sono luoghi dove si pratica la
cosiddetta euta asia la desti a 66, 67, 68.
61,62
233
Luciano Orsi, Alberto Giannini, Marco Vergano, Giuseppe R. Gristina
Perspectives
234
In Italia è necessario fornire ora a questi temi una cornice giuridica che, come in altri paesi europei72,
73, 74, 75
, garantisca la possibilità di applicare gli astratti principi etici alle concrete e quotidiane vicende
individuali di malattia;consenta la LT anche nel paziente incompetente; ammetta una funzione di
rappresentazione del miglior interesse del paziente da parte di un fiduciario; differenzi i concetti di
u e sp opo zio ate e LT dall’euta asia; ga a tis a al pazie te o pete te la li e tà di ifiuta e u e
che, seppure teoricamente appropriate, egli riterrebbe non dignitose; riconosca esplicitamente il dovere giuridico e morale dei medici di proteggere il paziente dalla sofferenza tramite la SP; garantisca
al medico di non vedersi perseguito se non erogasse o interrompesse cure sproporzionate76.
5. Conclusioni
Un approccio alle problematiche correlate alla fine della vita scientificamente ed eticamente supportato, si fonda sul ripudio dei processi del morire segnati dalle sofferenze indotte da trattamenti sproporzionati; sulla consapevolezza che nel paziente al termine della vita le sofferenze sono evitabili
tramite LT e SP;che queste scelte sono clinicamente appropriate, eticamente doverose, distinte
dall’euta asia77, 78.
Questo percorso culturale ha trovato nella legge 38/201079 una prima, concreta attuazione.
È necessaria ora una legge sulla fine della vita che sia in grado di garantire il privato territorio della
relazione di cura rispettandole differenti culture, le idealità religiose e laiche, le differenti individualità biologiche e biografiche; che sia però in grado anche di assicurare ai medici la necessaria serenità
di giudizio per compiere scelte etiche adeguate alle sempre più complesse vicende umane insite nella
moderna pratica clinica.
72
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Downloaded from www.biodiritto.org.
ISSN 2284-4503
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Assisted Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
Matteo Orlando
A REPLY TO JOHN KEOWN’S CRITICISM OF THE EFFECTIVENESS OF THE ASSISTED DYING REGIMES IN
THE NETHERLANDS AND IN OREGON
ABSTRACT: This pape dis usses Joh Keo ’s a gu e t he e y the availa le data
concerning the practice of assisted dying in the Netherlands and in Oregon proves
that the laws and guidelines adopted to prevent unlawful abuses are clearly ineffective. In his opinion, the main issues concern the following safeguards: request; type
of suffering; consultation and reporting procedure.
Ho eve , a lose s uti y of Keo ’s e pi i al e a ks ill sho that his o lusions are erroneous as they rely on a misinterpretation either of specific provisions
(e.g. unbearable suffering in the Netherlands) or of the evidence taken into account
(e.g. request and consultation in the Netherlands; reporting in Oregon).
A correct understanding of both the regulatory regimes in place and the existing empirical data will demonstrate that in both countries there is a good rate of compliance
with most of those safeguards; whilst it cannot be proved that a limited percentage
of non-compliance with certain requirements (e.g. psychological consultation both in
the Netherlands and in Oregon; and reporting in the Netherlands) has produced unlawful consequences for the patients.
KEYWORDS: Assisted dyi g; The Nethe la ds; O ego ; safegua ds’ effe tive ess;
empirical evidence
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ISSN 2284-4503
SOMMARIO: 1. Introduction. – 2. Relevant practices. – 3. Relevant provisions. – . Keo
A eply to Keo ’s a alysis. – 6. Conclusion.

’s ge e al
iti is . – 5.
LL.B., LL.M. (Universit of Ferrara , MA (King’s College London . With the e ception of inor changes, this
work is an assignment submitted in partial fulfilment of the requirements of the Master of Arts in Medical Ethics
and La , King’s College London, acade ic ear 0 -2014. The essay has been subject to a double blind peer
review procedure.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
A Reply to John Keo n’s Criticis of the Effecti eness of the Assisted
Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
235
Matteo Orlando
Perspectives
236
1. Introduction
J
ohn Keown argues that in the Netherlands and Oregon the safeguards adopted to assure
compliance with the provisions regulating assisted dying1 (AD) are widely disregarded2 As a
consequence, patients would be exposed to unlawful abuses3. The validity of this argument
would be confirmed by the available data concerning the practice of AD in these countries.
It ill e a gued that Keo ’s e pi i al a alysis la ks pe suasive ess as it hi ges o a fla ed i terpretation either of specific provisions or of the evidence examined. A correct understanding of both
the regulatory regimes in place and the empirical data regarding specific safeguards will show that in
both countries there is a good rate of compliance with such requirements; whilst it cannot be proved
that the limited percentage of non-compliance has produced unlawful consequences for the patients.
It will first be necessary to clarify the scope of the relevant practices of assisted dying in order to determine what are the laws and guidelines that will be discussed hereinafter. It will also be helpful to
recall the content of the provisions dealt with.
The su se ue t dis ussio
ill e divided i t o pa ts: the fi st o e ill p ese t Keo ’s e a ks
about the empirical evidence concerning the alleged breach of specific requirements; whilst the second one will question the validity of his conclusions.
It ust e st essed that this pape ill o ly e o e ed ith the pa t of Keo ’s a alysis o e ning the empirical evidence that would support his thesis; therefore, it will not examine his claims
a out the auses of the safegua ds’ assu ed i effe tive ess. Moreover, it will not be investigated
whether, as Keown argues4, the supposed lack of control and protection has been the inevitable consequence of the legalisation of assisted dying. This issue would require a dedicated examination of
the logical5 and notably empirical6 versions of the slippery slope arguments7, which would be out of
scope.
2. Relevant practices
The practices of assisted dying whose safeguards are criticised by Keown are physician assisted suicide (PAS) and euthanasia. While the definition of the former8 is not controversial, the scope of the
latter is often object of controversy. The Dutch use this term to refer to «termination of life on re-
1
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
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The term is generally used to refer to both voluntary active euthanasia and assisted suicide. See P. L EWIS,
Assisted Dying and Legal Change, Oxford, 2007, 6.
2
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, Cambridge, 2002, 114
(Netherlands), 180 (Oregon).
3
Ibidem, 124 (Netherlands), 180 (Oregon).
4
Ibidem, 149.
5
Ibidem, 76, 81.
6
Ibidem, 72.
7
Ibidem, 71. See also P. LEWIS, Assisted Dying and Legal Change, cit., 161-162.
8
For a range of possible definitions see P. LEWIS, Assisted Dying and Legal Change, cit., 5.
Assisted Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
3. Relevant provisions
Since the remarks made by Keown point to specific requirements of these two legal regimes of assisted dying, it is useful to outline their content.
Request: in the Netherlands, the patient’s e uest ust e «volu ta y a d a efully o side ed»
(s.2(1)(a))14; in Oregon the patient must be capable and his/her request must be expressed voluntarily (127.805§2.01(1))15.
Suffering: in the Netherlands, the patient must be suffering unbearably and have no prospect of improvement (s.2(1)(b)); the source of the suffering can be either physiological, though does not have
to be a terminal illness, or psychiatric16. The attending physician must «have come to the conclusion,
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9
J. GRIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, Euthanasia and Law in Europe: With Special Reference to the Netherlands
and Belgium, Oxford, 2008, 76.
10
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 101.
11
J. GRIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, op. cit., 218: «in the Netherlands termination of life of severely defective
newborn babies is also legal under narrowly defined circumstances». See also Ibidem, 226-241.
12
In the Netherlands, both PAS and VAE can be lawfully carried out exclusively by physicians and in compliance
with the criteria of due care specified in the legislation.
13
In Oregon, the Death with Dignity Act has legalised only one form of PAS: self-administration by patients of a
lethal medication prescribed by the physician.
14
All the sections related to the Dutch regime refer to the Termination of Life on Request and Assisted Suicide
(Review Procedure) Act 2001.
15
All the sections related to the Oregon regime refer to the Oregon Death With Dignity Act. Oregon Revised
Statutes.
16
A psychiatrist, Dr Boudewijn Chabot, was approached by a fifty-year old woman with a request for assisted
dying. The woman, who suffered from severe depression, had already attempted suicide. Dr Chabot had extensive discussions with her and consulted several other physicians and psychiatrists, who did not, however, interview the patient themselves. Eventually, he came to the conclusion that, in the circumstances, there was no
realistic treatment perspective, and that her request for assisted dying was well-considered. Accordingly, he
provided the woman with a lethal drug, which she administered to herself. Since no independent physician had
interviewed the woman, the Dutch Supreme Court found that the defence of necessity was not applicable to
this case, and therefore convicted Dr Chabot (though he was not punished); however, the it «also made clear
that the patie t’s suffe i g eed ot have a so ati o igi , so that a psy hiat i patie t apa le of a o pete t
and voluntary request could receive assistance in suicide» in J. G RIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, op. cit., 80. For a
detailed account of the Chabot case, see J. GRIFFITHS, Assisted Suicide in the Netherlands: The Chabot Case, in
The Modern Law Review, 58(2), 1995, 232. See also H. POLS, S. OAK, Physician-assisted dying and psychiatry: Re-
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
quest» (also called voluntary active euthanasia (VAE))9, though Keown argues that it should encompass any case of «intentional death by medical practitioner»10. However, this expression is extremely
broad and includes a variety of end-of-life procedures. In fact, some of them (e.g. intentional killing
y deli e ate o issio ) are lawful also in many restrictive jurisdiction; whilst others (e.g. active
termi atio of life ithout e uest or non-voluntary euthanasia (NVAE) and involuntary euthanasia
(IVAE)), except in limited circumstances11, are prohibited also in the Netherlands and Oregon. The
following discussion will be limited to the effectiveness of the safeguards relating to those practices
of assisted dying that distinguish these two jurisdictions from others in which AD has not been legalised, namely voluntary active euthanasia in the Netherlands12 and physician assisted suicide in Oregon13.
237
Matteo Orlando
Perspectives
238
together with the patient, that the e is o easo a le alte ative i light of the patie t’s situatio »
(s.2(1)(d)). In Oregon, the only suffering requirement is that the patient is suffering from a terminal
disease, which should cause death within six months (127.800§1.01(12), 127.805§2.01(1)).
Consultation: in the Netherlands, the attending physician must consult at least another «independent physician, who must have seen the patient and give a written opinion» on whether the due care
criteria are respected (s.2(1)(e)). Moreover the patient must be referred to a psychiatrist if the attending physician suspects that he or she lacks capacity17. In Oregon, the attending physician must
consult another physician «who is qualified by specialty or experience to make a professional diagnosis and p og osis ega di g the patie t’s disease». If eithe the atte di g o the o sulti g physi ia s
suspect that the patient «may be suffering from a psychiatric or psychological disorder, or depression
causing impaired judgment [they] shall refer the patient for counselling» (127.800§1.01(4)(5),
127.815§3.01(1)(d)(e), 127.820§3.02, 127.825§3.03).
Reporting: in the Netherlands, the attending physician is required to report the case to the municipal
pathologist (s.21). In Oregon, the attending physician has a duty to report «each prescription written
under the Act to the Oregon Department of Human Services (ODHS), and report each death resulting
from the ingestion of the prescribed medication»18.
. Keo n’s General Criticis
According to Keown, the evidence coming from both the Dutch and the Oregon experiences of assisted dying confirms the lack of control exercised over the practices of voluntary active euthanasia
and physician assisted suicide by the safeguards in place. Consequently, patients are subjected to unlawful practices. In his opinion, this failure would be the inevitable consequence of the faults contained in the provisions and ultimately of the impossibility to draft effective safeguards19. As mentioned above, it would be out of scope to tackle the last claim, the focus therefore will be only on
whether the evidence assessed by Keown upholds his concerns20.
The su sta tial pa t of Keo ’s s uti y of oth the Dut h a d the O ego e pe ie es of assisted
dying was conducted more than ten years ago21. Yet, Keown22 and other commentators23 who have
endorsed his remarks have subsequently reaffirmed the validity of his original conclusions.
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cent developments in the Netherlands, in International Journal of Law and Psychiatry, 36, 2013, 508; R. HUXTABLE, M. MÖLLER, “etting a principled oundar ? Euthanasia as a response to life fatigue’, in Bioethics, 21(3),
2007, 121.
17
Ibidem, 97. This requirement is not expressively stated in the law, but in recommendations made by the
Dutch Association for Psychiatry (NVP).
18
P. LEWIS, I. BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that
allow assisted dying. Commission on Assisted Dying, London, 2012, 18.
19
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 74, 80.
20
Ibidem, 90, 173.
21
Ibidem, Ch. 8-13, 15.
22
J. KEOWN, Debate. Physician-Assisted-“uicide: Lord Joffe’s “lipper Bill, in Medical Law Review, 15, 2007, 132.
23
See W.L. SAUNDERS, J.D. FRAGOSO, M.A. FRAGOSO, Should we Legalize Voluntary Euthanasia and PhysicianAssisted-Suicide? (date of publication not found), in http://www.frc.org/infocus/should-we-legalize-voluntaryeuthanasia-and-physician-assisted-suicide (last visited 08.05.2015). See also J. PEREIRA, Legalizing euthanasia or
assisted suicide: the illusion of safeguards and control, in Current Oncology, 18(2), 2011, e40.
Assisted Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
Keown maintains that the validity of his claim about the flaws contained in the Dutch safeguards24
and their resulting ineffectiveness is upheld by the empirical evidence25.
He assesses the data coming from the first two national surveys26 conducted in the Netherlands regarding not just voluntary active euthanasia, but «all medical decisions affecting the end of life»27.
I Keo ’s opi io the ai issues o e the follo i g e ui e e ts fo esee fo VAE: e uest;
type of suffering; consultation and reporting procedure. Here are his findings:
Request: the 1,000 cases of non-voluntary euthanasia (0,8% of all deaths in 1990) reported in the
first survey represent a blatant breach of this requirement28; and although the second survey showed
a decreased in their number (0,7% of all deaths in 1995), it «confirmed that NVAE remained far from
uncommon»29.
Unbearable suffering: both the evidence from the survey – in particular the reasons given by patients
for requesting voluntary active euthanasia30 – and the lax interpretation of this requirement by the
courts – in the Chabot case31 and by the first instance judge in the Brongersma case32 – proved the
validity of his concerns about its ineffectiveness. Commenting the findings of the second survey, he
states that this requirement was disregarded in all the cases of voluntary active euthanasia in which
the patie ts’ e uests ere not motivated by unbearable and hopeless suffering33.
Last resort: the first survey demonstrated that voluntary active euthanasia happened to be carried
out even when palliative care was available34. This tendency was confirmed by the second survey,
which indicated that in almost all the 17% of the cases of VAE-PAS in which «there were treatments
alternatives...patients did not want them»35.
Consultation: in 1990, consultation was carried out in 84% of cases of VAE-PAS, but only in the 48%
of the cases of non-voluntary euthanasia36; whereas, with regard to the second survey, Keown casts
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24
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 89: the author extends
his criticisms to the guidelines contained in the legislation.
25
Ibidem, 90.
26
The first survey was held in 1990; and the second in 1995.
27
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 91. The second survey
scrutinised the same practices.
28
Ibidem, 103, 104, 123.
29
Ibidem, 128.
30
Ibidem, 109.
31
Ibidem.
32
Ibidem. Keown refers to the decision of the District Court of Haarlem that acquitted the attending physician
who had helped a patient to commit suicide, though the latter had no physical or mental illness, but was tired
of living . For a detailed account of this decision, see J. GRIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, op. cit., 35. See also, R.
HUXTABLE, M. MÖLLER, op. cit., 117.
33
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 127-128.
34
Ibidem, 12.
35
Ibidem, 127.
36
Ibidem, 112-113.
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Perspectives
4.1 The Netherlands
239
Matteo Orlando
Perspectives
240
doubt on the interpretation of the data and he concluded that «consultation occurred in only around
half of all cases» of voluntary active euthanasia and physician assisted suicide37.
Reporting: in 1990 only 486 out of 2,700 cases of VAE-PAS were reported; therefore, the common
widespread failure to report cases of voluntary active euthanasia shows the lack of control over the
practices38. The second survey indicated that, despite the improvements (the rate of compliance
went from 18% to 41%), most cases were not reported39.
4.2. Oregon
Similarly to Netherlands, Keown starts his examination by arguing that also in Oregon the guidelines
in place are neither precise – as the definition of relevant requirements is vague40 – nor strict – since
the Act lacks important requirements41. The , he holds that «the u foldi g evide e of the A t’s operation is far from reassuring»42. This evidence that would confirm their ineffectiveness is provided
mainly by two sources: the critical remarks made by the authors of a study on the first reported case
of physician assisted suicide43; and the findings of the first three reports44 produced by the Oregon
Department of Human Services45.
According to the first source, the «apparent deficiencies» occurred in the management of the first
reported case of PAS «illustrate some of the major inadequacies of the Act»46. Such «inadequacies»
largely correspond to the abovementioned concerns expressed about the flaws contained in the Act.
As fa as the ODHì’s epo ts a e o e ed, Keo
ai tai s that the fi st o e «does ot, i a y
event, prove that all cases of physician assisted suicide in Oregon that year satisfied the Act»47. Likewise, in the second one, its authors
«f a kly a k o ledged: U de epo ti g a ot e assessed, a d o -compliance is difficult to
assess e ause of the possi le epe ussio s fo o o plia t physi ia s epo ti g data’ to
the OHD’»48.
Finally, Keown holds that the third report highlighted disturbing changes in this practice, such as the
decreased number of patients who received psychological evaluation compared to the previous report, despite alleged evidence that many requests came from depressed people49.
37
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Ibidem, 131-132. See also J. PEREIRA, op. cit., e30-e40, who argues that the psychiatric counselling
requirement is disregarded.
38
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 113-114.
39
Ibidem, 132.
40
Ibidem, 171.
41
Ibidem, 171-173.
42
Ibidem, 173.
43
H. HENDIN, K. FOLEY, M. WHITE, Physician-Assisted “uicide: Reflections on Oregon’s First Case, in Issues in Law &
Medicine, 14(3), 1998, 243.
44
These reports concern the practice of PAS in 1998, 1999 and 2000 respectively.
45
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 176-179.
46
Ibidem, 175.
47
Ibidem, 177.
48
Ibidem, 178.
49
Ibidem, 179.
Assisted Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
In the se o d pa t of this pape , it ill e o du ted a iti al evaluatio of Keo ’s a alysis of the
empirical findings used to support his conviction about the ineffectiveness of the laws and guidelines
employed in the Netherlands and in Oregon.
It will be maintained that, despite the existence of limited issues concerning the functioning of certain safeguards, there is no evidence of either a significant lack of compliance or unlawful abuses.
This ou te a alysis’ ill ely ai ly o the evie of e pi i al data contained in official as well as
academic sources.
5.1. Theoretical criticism vs empirical evidence
It seems that sometimes Keown instead of providing empirical evidence showing that the laws and
guidelines were breached, only criticises the way in which they were drafted or interpreted.
5.1.1. Unbearable suffering in the Netherlands
Keown does not seem to acknowledge or accept either that the type of suffering requested to meet
this requirement does not necessarily have to be physical50, or that its source can also be psychiatric,
though not existential51. His argument relies only on a negative judgment of the elasticity of this requirement.
Moreover, the available evidence indicates that this criterion is quite effective as it is used by doctors
«to weed out a significant proportion of requests. Reported cases ... almost all meet the criterion
when examined by the relevant reviewing body»52.
5.1.2. Voluntary active euthanasia not used as a last resort in the Netherlands
Similarly to what observed for unbearable suffering, Keown fails to appreciate that the Dutch system
of assisted dying does not foresee a palliative filter. In general, only in cases where the source of suffering is psychiatric, «the patie t ay ot eje t a realistic alternative to relieve the sufferi g »53.
5.2. Faulty interpretation of the data
5.2.1. Request
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With regard to the Netherlands, Keown seems to equate the existence of cases of non-voluntary euthanasia with a breach of the request requirement prescribed for voluntary active euthanasia. How-
50
P. LEWIS, I. BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that
allow assisted dying. Commission on Assisted Dying, cit., 4.
51
J. GRIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, op. cit., 80, 113, 123.
52
P. LEWIS, I. BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that
allow assisted dying. Commission on Assisted Dying, cit., 79-80.
53
Ibidem, 5. See also J. GRIFFITHS, H. WEYERS, M. ADAMS, op. cit., 91, 117.
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Perspectives
. A reply to Keo n’s analysis
241
Matteo Orlando
Perspectives
242
ever, the cases of termination of life without request are not subject to the same regulatory regime54
of voluntary active euthanasia. Therefore, it cannot be assumed that all cases of NVAE are the consequence of a breach of the safeguards on VAE. Indeed, the data used by Keown indicated that most
of the non-voluntary euthanasia cases concerned clearly incompetent patients55 who would have
never been eligible for voluntary active euthanasia.
In any case, updated research shows that the number of these cases have constantly decreased since
1990: in 2010 they amounted only to the 0,2% of all deaths56.
Finally, a recent study57 assessing compliance with this requirement - among other countries –also in
the Netherlands and in Oregon, came to the conclusion that
«[t]he evide e ... suggests that the legal ite ia that apply to a i dividual’s e uest fo assisted dying are well respected: individuals who receive assisted dying do so on the basis of
valid requests; third parties who assist individuals to die do not act unlawfully»58.
5.2.2. Consultation and psychiatric referral
By using the data on non-voluntary euthanasia in Netherlands to question the compliance with the
consultation requirement, Keown makes the same mistake highlighted above for the request. Moreover, according to recent research from 2005 to 2010 there has been an increase in the percentage
of cases (from 87.7% to 93.8%) in which doctors had a «discussion with other physician»59.
As for the requirement to refer patients to psychiatric specialists when they are suspected to suffer
from mental disorder, the concerns expressed by Keown60 are only partially confirmed by the available evidence. In the Netherlands, «psychiatric consultation is relatively rare, particularly if the patie t’s p i a y physician is not a psychiatrist»61. However, there is no evidence to establish whether
the patients who were not referred lacked capacity. Moreover, «depression is significantly less
54
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Cases of NVAE are regulated either by a specific regime (e.g. neonates) or by no regime at all. See P. LEWIS, I.
BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that allow assisted
dying. Commission on Assisted Dying, cit., 21.
55
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 104, 128.
56
B.D. ONWUTEAKA-PHILIPSEN, A. BRINKMAN-STOPPELENBURG, C. PENNING, G.J.F. DE JONG-KRUL, J.J.M. VAN DELDEN, A. VAN
DER HEIDE, Trends in end-of-life practices before and after the enactment of the euthanasia law in the
Netherlands from 1990 to 2010: a repeated cross-sectional survey, in The Lancet, 380, 2012, 908-909.
57
P. LEWIS, I. BLACK, Adherence to the Request Criterion in Jurisdictions Where Assisted Dying Is Lawful? A Review
of the Criteria and Evidence in the Netherlands, Belgium, Oregon, and Switzerland, in Journal of Law, Medicine
& Ethics, 41(4), 2013, 885.
58
Ibidem, 895.
59
B.D. ONWUTEAKA-PHILIPSEN, A. BRINKMAN-STOPPELENBURG, C. PENNING, G.J.F. DE JONG-KRUL, J.J.M. VAN DELDEN, A. VAN
DER HEIDE, Trends in end-of-life practices before and after the enactment of the euthanasia law in the
Netherlands from 1990 to 2010: a repeated cross-sectional survey, cit., 911, Table 3. See also P. LEWIS, I. BLACK,
Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that allow assisted dying.
Commission on Assisted Dying, cit., 28-30, 57, 84.
60
J. KEOWN, Euthanasia, Ethics and Public Policy. An Argument against Legalisation, cit., 7. See also H. POLS, S.
OAK, op. cit., 511.
61
P. LEWIS, I. BLACK, Adherence to the Request Criterion in Jurisdictions Where Assisted Dying Is Lawful? A Review
of the Criteria and Evidence in the Netherlands, Belgium, Oregon, and Switzerland, cit., 889.
Assisted Dying Regimes in the Netherlands and in Oregon
«[t]here is a downward trend in the number of counselling referrals in those who do ultimately
receive physician assisted suicide, and the (limited) data on the presence of depression in this
population suggests that counselling referrals are not taking place as often as the statute requires»63.
Yet, it cannot be established that patients suffering from depression are less protected than other
patients requesting PAS64.
5.2.3. Reporting
In the Netherlands, since 1995 the number of cases of VAE/PAS reported has increased sensibly as in
2005 it amounted to the 80% of all cases, though in 2010 it went down to the 77%65. Moreover, the
o o plia e see s to e aused y do to s’ failu e to lassify the unreported cases as voluntary
active euthanasia or physician assisted suicide, rather than by reluctance to report66.
With regard to Oregon, «[t]here is not data on the reporting rate»67; moreover, stating that it is difficult to assess underreporting is not the same as providing evidence that this phenomenon has taken
place68.
Finally, it must be noted that although a low reporting rate envisages a lack of control of the practices, it does not per se constitute evidence of unlawful abuses.
6. Conclusion
The ai of this pape as to esta lish the sou d ess of a spe ifi aspe t of Joh Keo ’s iti is
about the ineffectiveness of the regulatory regimes for assisted dying in the Netherlands and in Oregon: whether this assumption can be supported by empirical evidence.
62
Ibidem, 893.
P. LEWIS, I. BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that
allow assisted dying. Commission on Assisted Dying, cit., 85-86.
64
M.P. BATTIN, A. VAN DER HEIDE, L. GANZINI, G. VAN DER WAL, B.D. ONWUTEAKA-PHILIPSEN, Legal physician-assisted
d ing in Oregon and the Netherlands: evidence concerning the i pact on patients in vulnera le groups, in
Journal of Medical Ethics, 33, 2007, 596. See also P. LEWIS, I. BLACK, Adherence to the Request Criterion in
Jurisdictions Where Assisted Dying Is Lawful? A Review of the Criteria and Evidence in the Netherlands, Belgium,
Oregon, and Switzerland, cit., 893-894.
65
B.D. ONWUTEAKA-PHILIPSEN, A. BRINKMAN-STOPPELENBURG, C. PENNING, G.J.F. DE JONG-KRUL, J.J.M. VAN DELDEN, A. VAN
DER HEIDE, Trends in end-of-life practices before and after the enactment of the euthanasia law in the
Netherlands from 1990 to 2010: a repeated cross-sectional survey, cit., 913.
66
Ibidem, 914.
67
P. LEWIS, I. BLACK, Commissioned Briefing Paper. The effectiveness of legal safeguards in jurisdictions that
allow assisted dying. Commission on Assisted Dying, cit., 90.
68
F. PAKES, The legalisation of euthanasia and assisted suicide: A tale of two scenarios, in International Journal
of the Sociology of Law, 33, 2005, 79-80 for a comparison between the reporting systems in the Netherlands
and in Oregon.
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63
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Perspectives
prevalent in granted requests than in refused requests, and severe depression is not significantly
present in requests generally»62. In Oregon,
243
Matteo Orlando
Perspectives
244
The ou te a alysis conducted in the second part of the paper denies such conclusion, by showing
that Keo ’s e pi i al e a ks p ese t seve al fla s. His o e a out the Dut h e ui e e t of
unbearable and hopeless suffering, does not rely on empirical data, but rather only on his negative
opinion about the way in which it was conceived and applied. With regard to the request requirement he wrongly assumes that cases of non-voluntary euthanasia always imply a breach of the safeguards provided for voluntary active euthanasia. Even though there is concern about a lack of complia e ith the physi ia s’ duty to efe pote tially e tally ill patie ts fo spe ifi ou selli g, the
available evidence indicates that such patients are not less protected than others. Finally, the current
limited noncompliance with the reporting requirement does not constitute evidence of unlawful
abuses.
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La ayuda médica a morir como derecho fundamental
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Commentaries
La ayuda médica a morir como derecho fundamental.
Comentario crítico de la sentencia de la Corte Suprema de Canadá de 6
de Febrero de 2015, asunto Carter v. Canadá
Fernando Rey Martínez
ASSISTED SUICIDE AS A FUNDAMENTAL RIGHT. COMMENTARY TO THE DECISION OF THE CANADIAN
SUPREME COURT IN CARTER V. CANADA (6 FEBRUARY 2015)
ABSTRACT: In its judgment in Carter v. Canada, on February 6, 2015, the Supreme
Court of Canada has come to recognize that medical help to die (physician-assisted
suicide and active euthanasia direct) is a fundamental right. Examining the validity of
the criminal law prohibiting assisted suicide (including hospice), has concluded that it
is unconstitutional to deny medical help to die adult patients relevant to the request
as a result of an illness or disability that causes them permanent and irreversible
intolerable suffering. This paper analyzes and critically evaluates this relevant
decision.
KEYWORDS: physician-assisted suicide; Euthanasia; Informed consent; Patient's right to
make decisions at the end of his life; Legal problems of euthanasia in Canada
SOMMARIO: 1. Introducción: la ayuda médica a morir, de delito a derecho fundamental. – 2. Análisis de la Sentencia. – 3. Valoración crítica. – 4. Conclusión: una sentencia epocal y no sólo episódica, pero con una argumentación discutible.
1. Introducción: la ayuda médica a morir, de delito a derecho fundamental
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C
arter v. Canadá no sólo es una Sentencia relevante porque revoque completamente la
doctrina que la Corte Suprema de Canadá estableció en Rodriguez v. British Columbia
(1993), donde sostuvo la validez constitucional de la prohibición penal de ayuda médica a
morir en ciertos casos, sino porque ofrece, por unanimidad, una argumentación y un fallo que, muy
probablemente, está llamado a convertirse en un modelo de inspiración de numerosos
ordenamientos durante los próximos años. Carter será invariablemente invocada por todos aquellos
que defiendan la despenalización del suicidio asistido y/o de la eutanasia activa directa . No estamos
hablando ya de la ayuda médica en el morir, donde podríamos incluir la eutanasia activa indirecta
(las medidas paliativas que provoquen un acortamiento de la vida) o la eutanasia pasiva (limitación
del esfuerzo terapéutico), que son consideradas generalmente válidas , sino, más estrictamente, de
la ayuda médica a morir.
Pues bien, la Corte Suprema canadiense considera que prohibir de modo absoluto este tipo de
ayuda, en ciertos casos, viola diversos derechos fundamentales. Aún más: de la Sentencia se

Catedrático de Derecho Constitucional, Universidad de Valladolid. Invited contribution.
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desprende, en sentido positivo, que la ayuda médica a la muerte es, bajo ciertas condiciones, un
auténtico derecho fundamental. De modo que lo que todavía es considerado en casi todos los
ordenamientos, incluido el nuestro, una conducta penalmente reprochable, pasa a ser valorado
ahora en Canadá como un nuevo derecho fundamental.
En los últimos años es posible discernir un estándar comparado común, que en ocasiones se modifica
como consecuencia de una suerte de oleada que irrumpe por encima de las fronteras estatales, en
relación con las decisiones del enfermo sobre el final de su propia vida. Hitos de este estándar son,
en primer lugar y de modo principal, el cambio de paradigma en la relación médico/paciente que ha
supuesto el principio de autonomía y, correlativamente, de consentimiento informado, con la
facultad que otorga a sus titulares de decidir sobre los propios tratamientos sanitarios y su
interrupción, incluso aunque sean de soporte vital. La medicina paliativa, incluso aunque suponga un
acortamiento de la vida (por ejemplo, respecto de las sedaciones terminales en caso de síntomas
refractarios), ha pasado a considerarse un derecho del paciente. Por otro lado, el principio de
autonomía se ha ido ampliando a los menores de edad, pero mayores de 16 años, y a todas las
personas en el caso de no poder tomar decisiones por sí mismos, a través del llamado testamento
vital (que, no obstante, recibe muchas otras denominaciones).
Sin embargo, no hay consenso por el momento sobre el reconocimiento de las formas de ayuda a
morir. Más bien, la mayoría de Estados siguen inclinándose por su prohibición penal (incluido el
nuestro) y son escasos los que permiten la eutanasia activa directa (Holanda, Bélgica o Luxemburgo)
o el suicidio asistido por médico y no la eutanasia (Oregón o Washington). Y siempre lo hacen como
una excepción del deber estatal de proteger la vida, que incluye la punición de este tipo de
conductas. Ahora, sin embargo, la Corte Suprema de Canadá ofrece munición ideológico-jurídica a
una revisión intelectual profunda del estándar común sobre este asunto. Ciertamente, la Sentencia
del caso Carter no es tan clara en la definición de los temas más críticos, pero no me cabe duda
alguna de que está llamada a convertirse en una decisión influyente que, quizá, sea la primera de
otras de su género en las jurisdicciones constitucionales de diversos países.
Pero antes de seguir valorando y pronosticando, comencemos por el principio, esto es, por analizar
con precisión y la mayor objetividad posible los argumentos de la Sentencia Carter para que el lector
extraiga sus propias conclusiones. A continuación, ofreceré algunos de los aspectos más críticos que
suscita la decisión.
2. Análisis de la Sentencia
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En los cuatro primeros párrafos, la Sentencia expone sintéticamente el problema social al que se
enfrenta, el conflicto jurídico en que se traduce y el fallo que se alcanza. El problema social: en
Canadá es delito asistir a otra persona para poner fin a su vida; por tanto, las personas con una
enfermedad grave e irreversible no pueden pedir asistencia médica para morir y «están condenadas
a vivir con un sufrimiento serio e intolerable» (párrafo –en adelante, p.- 1). Una persona en esta
situación tiene dos opciones: suicidarse prematuramente, a menudo por medios violentos o
peligrosos; o puede sufrir hasta fallecer por causas naturales. Esta elección «es cruel» (p. 1).
El conflicto jurídico: la cuestión en este caso es determinar si la prohibición penal que obliga a las
personas a tener que hacer tal elección lesiona su derecho a la vida, libertad y seguridad del art. 7 de
la Carta canadiense de Derechos y Libertades (en adelante, CCDL) y/o la igualdad jurídica de trato del
art. 15. Se trata de un problema que obliga a ponderar valores de gran importancia en conflicto. De
un lado, la autonomía y dignidad de un adulto capaz que pide la muerte como respuesta a su
condición médica grave e irreversible. De otro lado, la santidad de la vida y la necesidad de proteger
al vulnerable de eventuales abusos y errores (p. 2). El Tribunal se inclinará por la primera opción.
El fallo: la prohibición penal (art. 241 b) Criminal Code) de la muerte asistida por médico es nula en la
medida en que priva a un adulto capaz de dicha asistencia cuando la persona afectada claramente
consienta la terminación de su vida y tenga una condición médica (incluyendo enfermedad y
discapacidad) que le provoque sufrimientos permanentes intolerables.
La Sentencia desarrolla a continuación estos cuatro primeros párrafos. El punto de partida es, pues,
que el Código Penal canadiense (art. 241 b) tipifica como delito ayudar a una persona a suicidarse,
incluido, por tanto, un suicidio en contexto eutanásico. Además, en 1993, el propio Tribunal Supremo
sostuvo, en Rodriguez v. British Columbia, que dicha prohibición era plenamente constitucional,
aunque por una mayoría ajustada de 5 a 4 magistrados. Reconocer ahora que la prohibición penal es
contraria a la Charter suponía la dificultad adicional de tener que revocar aquel precedente y
justificar el cambio.
Por eso, lo primero que hace el Tribunal es mostrar que ha cambiado el contexto de la decisión,
tanto en el debate interno canadiense como en el derecho comparado. Internamente, se invocan
debates parlamentarios recientes, Informes de expertos y el debate social. Como ejemplos
despenalizadores del derecho comparado, aunque con diversas fórmulas, se traen a colación
Holanda, Bélgica, Luxemburgo, Suiza, Oregón, Washington, Montana y Colombia. En el caso
Rodriguez, de 1993, el Juez Sopinka observaba que ninguna democracia permitía en ese momento la
ayuda a morir. Obviamente, la situación ha cambiado, aunque, con honestidad (poco común en
sentencias de este tipo), se reconoce que la ayuda médica a morir sigue siendo delito en la mayoría
de los países.
El caso del que trae origen la causa debuta en 2009, cuando a Gloria Taylor le diagnostican una
esclerosis lateral amiotrófica (ELA), que provoca debilidad muscular progresiva. La señora Taylor no
quería «morir lentamente, paso a paso» (p. 11) y planteó una demanda ante el Tribunal Supremo de
la Columbia Británica impugnando la constitucionalidad de los artículos del Código Penal que
prohíben la ayuda médica a morir. La Señora Taylor se enfrentaba a lo que ella mismo describió
como una «cruel elección» entre suicidarse por sí misma mientras pudiera o perder cualquier control
sobre el momento y forma de su muerte (p. 13). Finalmente, la señora Taylor falleció.
La cuestión fundamental planteada era, pues, la de si la prohibición penal de la ayuda al suicidio (art.
241 b) Criminal Code) lesiona el derecho de los reclamantes a la vida, libertad y seguridad personales
(art. 7 CCDL ) y/o a la igualdad jurídica de trato (art. 15 de la CCDL ). Antes de examinar este
p o le a, la Co te valo a t es asu tos p eli i a es: la defi i i de ue te asistida po
di o o
ayuda a o i ; la uesti
o pete ial y la duda de si el t i u al i fe io del ue p o ed a la
causa, la Corte Suprema de la Columbia Británica, podía o no desvincularse del precedente
establecido por la Corte Suprema de Canadá en Rodriguez (ya que la Corte de la Columbia Británica
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había declarado, en contra de lo decidido por ésta, que la prohibición penal de la ayuda al suicidio
era contraria a la Charter). La cuestión competencial y la revocación del precedente no plantean
mayores dificultades (pp. 42-53): la modificación legal de la prohibición de la ayuda médica a morir,
en la medida en que versa sobre una competencia concurrente, corresponde tanto al Estado federal
como a las Provincias, «dependiendo del foco de la regulación». Y, por otro lado, los tribunales
inferiores están sometidos, como cumple en un sistema de common law, a los superiores, pero
pueden apartarse del precedente si se plantea una nueva interpretación jurídica o si hay cambios en
las circunstancias que «modifiquen sustancialmente los parámetros del debate», lo que ocurre
precisamente en este asunto ya que se propone una nueva interpretación del art. 7 de la Charter
(derecho a la vida, libertad y seguridad personales) y se han producido cambios respecto de la
prueba del control de los potenciales riesgos del abuso asociado a la ayuda médica a morir.
Más interesante es la cuestión preliminar de la definición de «muerte asistida por médico» o «ayuda
médica a morir» (p. 40). A juicio del Tribunal, por estas expresiones, que serían equivalentes, hay que
entender «la situación en la que un médico receta o administra medicamentos que intencionalmente
provocan la muerte del paciente a petición de éste». A mi juicio, éste es uno de los puntos
fundamentales de la valoración crítica de la Sentencia porque, como tendré oportunidad de
desarrollar más adelante, el Tribunal introduce aquí un cambio subrepticio del objeto de su examen
en la medida en que, en principio, éste debería versar sobre el suicidio asistido por médico, esto es,
sobre si la prohibición penal absoluta de ayuda médica al suicidio lesiona los derechos
fundamentales al no permitir que el médico ayude al paciente a que éste sea el que ponga fin a su
vida, previa asistencia médica; pero no, como, sin embargo, sostiene el Tribunal, a que sea el médico
quien provoque directamente la muerte de su paciente. Es decir, el objeto del proceso parece ser (y
así se anuncia por el propio Tribunal cuando lo identifica: por ejemplo, en el párrafo 4) el suicidio
asistido por médico, pero, en realidad, la Sentencia versa sobre el suicido asistido por médico, pero
también sobre la eutanasia activa directa. Esto implica sutiles valoraciones subyacentes del Tribunal,
no justificadas en la Sentencia. En particular: la supresión de las diferencias entre la figura del
suicidio asistido por médico y la de la eutanasia activa directa, diferencias que son jurídicamente
relevantes ya que hay Estados que permiten una pero no otra: por ejemplo, los Estados
norteamericanos vecinos de la Columbia británica, de donde procede este caso, como Washington y
Oregón permiten el suicidio asistido por médico, pero no la eutanasia activa directa. Dado que el
argumento principal que el Tribunal valora como posible obstáculo para permitir la ayuda médica a
morir es el riesgo de abusos, precisamente la diferencia entre el suicidio asistido por médico y la
eutanasia activa directa conjura en gran medida tales riesgos . Sobre esto volveremos más adelante.
Retomemos el análisis de la cuestión fundamental: ¿infringe la norma penal el derecho a la vida, la
libertad y seguridad personales (art. 7 de la Carta canadiense de derechos y libertades, en adelante
CCDL)?
El Tribunal, en la misma línea que la Sentencia de la Corte de la Columbia británica de la que trae
causa, va a fallar que (1º) sí limita esos derechos para, en un momento posterior, (2º) examinar si se
trata de límites justificables, concluyendo que no.
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2.1.1. Derecho a la vida
La prohibición penal de muerte asistida por médico provoca el efecto de forzar a algunas personas a
suicidarse preventivamente por el miedo a no ser capaces de hacerlo cuando alcancen, por la
evolución de su enfermedad, un grado de sufrimiento intolerable. Esta afirmación, sostiene el
Tribunal, no ha sido cuestionada. Por tanto, concluye que la prohibición impugnada priva a algunos
individuos de su vida (p. 58).
Sin embargo, la Sentencia no se pronuncia sobre la cuestión de si la protección constitucional de la
vida tutela la calidad de la vida y, por consiguiente, si abarca el derecho a morir con dignidad. Sólo se
compromete el derecho constitucional a la vida cuando la amenaza para ella es resultado de la
acción de los poderes públicos, incluida la legislación. El derecho a la vida se limita al «derecho a no
morir» (p. 61). Los antecedentes, el case-law, sugieren que el derecho a la vida sólo se ve afectado
cuando la ley o la acción de los poderes públicos producen la muerte o un riesgo elevado de muerte
a una persona, directa o indirectamente. El problema de la libertad de un paciente para decidir su
muerte o de la muerte digna ha sido abordados, afirma la Sentencia, en relación con el derecho a la
libertad y/o la seguridad, no respecto del derecho a la vida, de modo que los trata más adelante.
Así pues, el Tribunal se niega a reconocer en términos absolutos un derecho constitucional a morir
con dignidad, pero, seguramente buscando cierto equilibrio, y de modo más coherente con el fallo
que alcanza en este caso, también se niega a aceptar que el derecho a la vida exija una prohibición
total de ayuda a morir, esto es, que las personas «no puedan ser perdonadas» de su derecho a vivir
(p. 63). Esto crearía, según la Sentencia, un «deber de vivir» más que un «derecho a la vida» y
negaría la validez del consentimiento para rehusar o retirar los tratamientos de soporte vital. «La
santidad de la vida es uno de los valores sociales fundamentales», pero ello no significa que se
convierta en «una obligación de que toda vida humana se preserve a toda costa». Y así como el
Derecho ha llegado a reconocer que, bajo ciertas circunstancias, es legítima la elección de una
persona sobre el final de su vida (se está refiriendo a la eutanasia pasiva o limitación de esfuerzo
terapéutico y a la eutanasia activa indirecta, entre cuyas medidas está la sedación terminal), también
«de esa elección fundamental estamos hablando ahora» (p. 63). Este es un punto clave del
razonamiento de la Sentencia. Más tarde la valoraremos, pero es preciso observar por el momento
que el Tribunal funda la cobertura constitucional del derecho a la ayuda médica a morir (que
comprende, como antes dijimos, no sólo el suicidio asistido por médico sino también la eutanasia
activa directa) en el mismo principio que legitima la limitación del esfuerzo terapéutico y la medicina
paliativa de efectos letales colaterales. Hay aquí una sutil elección valorativa por parte del Tribunal
canadiense que, hasta donde se me alcanza, nunca antes había hecho otra jurisdicción constitucional
con tanta contundencia. Esta es una de las novedades principales de la Sentencia.
2.1.2. Derecho a la libertad y seguridad personales
La libertad protege «el derecho a adoptar elecciones personales fundamentales de modo ajeno a
interferencias estatales» y la seguridad «abarca una noción de autonomía personal» que implica,
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2.1. La prohibición penal de la ayuda médica a morir como límite de los derechos a la vida, la
libertad y seguridad personales
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2.2. Examen de si los límites al derecho a la vida, la libertad y la seguridad son o no legítimos.
Admitido que la prohibición penal limita los derechos constitucionales de la señora Taylor y los que
se hallen en su situación, la cuestión siguiente es la de determinar si dichos límites están justificados
o no. En este punto, el razonamiento del Tribunal Supremo se hace particularmente complejo
porque, en realidad, somete este análisis a un doble juicio: a) De un lado, a los criterios de
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entre otras cosas, «el control sobre la propia integridad corporal» también sin injerencias de los
poderes públicos (p. 64). Es interesante observar que el debate constitucional sobre estas cuestiones
varía en cada ordenamiento según se reconozcan los derechos fundamentales (o no, y cómo) en los
respectivos catálogos constitucionales. En este caso, lo que en Canadá llaman derecho a la
«seguridad personal» no coincide con lo que en nuestro ordenamiento constitucional se llama
«derecho a la libertad y seguridad personal» del art. 17 CE, sino, más bien, con el derecho del art. 15
CE a la integridad «física y moral». Pues bien, también en este punto el Tribunal Supremo hace suyas
las conclusiones del Tribunal de la Columbia británica: la prohibición de asistencia médica a morir
limita el derecho a la libertad y seguridad de la señora Taylor porque afecta a la «toma de decisiones
médicas que son personales y fundamentales», imponiendo «daño y estrés psicológico» y privándola
«del control sobre su integridad corporal» (p. 65). Según el Tribunal Supremo, la respuesta penal a
una condición médica grave e irremediable es «un asunto crítico» respecto de la dignidad y
autonomía. El ordenamiento permite a las personas que se hallan en esta situación pedir sedación
paliativa, rehusar la nutrición e hidratación artificial, o solicitar la retirada de los equipos de soporte
vital, pero, hasta ahora, les deniega el derecho a pedir ayuda médica para morir. Esto afecta a su
capacidad para adoptar decisiones relativas a su integridad corporal y a recibir cuidados médicos y,
por tanto, limita su libertad. Dejar que personas como la señora Taylor sigan sufriendo de un modo
intolerable y permanente, lesiona su derecho a la seguridad personal (p. 66).
La Sentencia conecta este nuevo derecho a recibir asistencia médica a morir con el derecho del
paciente a tomar las decisiones con autonomía. Se trataría de una facultad más de este derecho a
«decidir sobre el propio destino» que habilita a las personas adultas a dirigir el curso de sus cuidados
médicos y que subyace al concepto de «consentimiento informado» (p. 67). Es el mismo principio
que opera en los casos que afectan al derecho a rehusar el consentimiento a un tratamiento médico
o a pedir que el tratamiento sea interrumpido (p. 67). He aquí el punto: la sentencia Carter elimina,
dentro del parámetro común comparado en estas materias, la distinción entre eutanasia pasiva y
activa indirecta, de un lado, y la eutanasia activa directa de otro. Las hace coincidir dentro del mismo
derecho de autonomía del paciente a adoptar decisiones médicas en relación con el final de la vida.
La decisión sobre vivir o dejar de hacerlo se enmarca, según el Tribunal, en el contexto de los valores
y experiencia vital de cada persona; ésta debe tener el control de su integridad corporal. Representa
la respuesta de cada uno, profundamente personal, al dolor serio y al sufrimiento. Impedir esta
decisión lesiona el derecho a la libertad y seguridad personales. Y, por tanto, la Sentencia concluye
que el art. 241 b) del Código Penal, en la medida en que prohíbe la asistencia médica a morir a
adultos capaces que piden tal ayuda como resultado de una condición médica grave e irremediable
que cause un sufrimiento permanente e intolerable, infringe los derechos de libertad y seguridad
personales del art. 7 CCDL.
La ayuda médica a morir como derecho fundamental
2.2.1. El criterio de los principios funda entales de justicia
El art. 7 CCDL no promete que el Estado nunca limite los derechos a la vida, la libertad o seguridad
personales, sino que nunca lo hará de una manera que viole «los principios fundamentales de
justicia». El precepto no cataloga cuáles son esos principios; ha sido la jurisprudencia del Tribunal
Supremo la que los ha ido identificando, sobre todo, tres: (1º) La Ley que limita los derechos del art.
7 CCDL no ha de ser arbitraria: tiene que existir una conexión racional entre el objeto de la Ley y el
límite que impone a los derechos. La Ley es arbitraria cuando obliga a «pagar un precio en términos
de derechos», sin obtener a cambio el bien público que se dice ser el objeto o finalidad de la Ley (p.
83). (2º) No debe ser overbroad (sobreinclusiva), esto es, no debe lesionar los derechos de las
personas de una manera que no guarde relación con la finalidad de la Ley (p. 85). (3º) No debe ser
burdamente desproporcionada a su finalidad (p. 89).
Cada uno de estos tres principios implica una comparación con el objeto de la Ley impugnada, de
modo que el primer paso debe ser, en este caso, definir el objeto de la prohibición de la muerte
asistida por médico. Pues bien, el Tribunal observa que tal objeto (o finalidad) es proteger a las
personas vulnerables, evitando que fueran inducidas a suicidarse o a que un tercero pusiera fin a su
vida en un periodo de especial debilidad.
Pues bien, el Tribunal considera que los límites a los derechos que conlleva la prohibición penal de la
ayuda médica a morir no es arbitraria, en la medida en que una prohibición absoluta del suicidio es
una medida que puede proteger a los enfermos vulnerables, pero sí es sobreinclusiva. El Gobierno
canadiense acepta que no todas las personas que pueden pedir ayuda a morir son vulnerables. El
Tribunal de la Columbia británica dio por hecho que la señora Taylor era una persona capaz, bien
informada y libre de toda coerción. De ello se desprende que la limitación de sus derechos no está
conectada en este caso a la finalidad de proteger a personas vulnerables.
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2.2.2. El criterio de proporcionalidad
Tras concluir que la prohibición penal de la ayuda médica a morir es un límite de los derechos a la
vida, la libertad y seguridad personales de la señora Taylor, un límite no justificado porque es
sobreinclusivo, el Tribunal pasa a examinar si se trata de límites que superan el juicio de
proporcionalidad (que se halla ínsito en el art. 1 CCDL), esto es, si la prohibición penal persigue una
finalidad pressing and substancial; si es una medida conectada racionalmente a dicha finalidad; si se
limita mínimamente el derecho en cuestión y, por último, si existe proporción entre los beneficios y
los costes de la limitación del derecho. El Tribunal acepta que el límite persigue una finalidad
primordial, la defensa de los enfermos vulnerables. También considera que, en principio, el examen
judicial debe ser deferente con el Legislador en una materia de tanta complejidad como ésta: «el
Parlamento asume una tarea difícil al regular este asunto; debe pesar y ponderar la perspectiva de
quienes podrían estar en riesgo en un régimen permisivo, frente la de aquellos que piden ayuda
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justificación específicos de los límites al derecho a la vida libertad y seguridad personales que se halla
en el propio art. 7 CCDL donde se reconocen estos derechos (el criterio de concordancia de los
límites con «los principios fundamentales de justicia»). b) De otro lado, al juicio general de
proporcionalidad.
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médica para morir» (p. 98). Pero el Tribunal de la Columbia británica y ahora el Supremo sostienen
que la prohibición penal absoluta del suicidio no es «una respuesta regulatoria compleja» y, por
tanto, el grado de deferencia a conceder al Parlamento debe reducirse.
La Sentencia sí cree que la prohibición penal del suicidio es una medida conectada racionalmente a la
finalidad de proteger a las personas enfermas vulnerables; se trata de un «método racional de
evitarlos» (p. 100). Sin embargo, valorando si la medida es la menos limitativa del derecho, concluye
que no. Esta cuestión, como señala el Tribunal, «es el corazón de este caso» y fue el foco principal de
la actividad probatoria (p. 103). En opinión del Tribunal Supremo de la Columbia británica, la
prohibición penal absoluta hubiera resultado necesaria si se demostrara que: (1º) los médicos fueran
incapaces de asegurar la competencia, voluntariedad y no ambivalencia de los pacientes cuando
toman la decisión; (2º) los médicos no pudieran comprender o aplicar el requerimiento de
consentimiento informado para el tratamiento médico; (3º) o si se probara que en otros países hay
abuso de los pacientes, falta de cuidados o una pendiente resbaladiza respecto de la terminación de
la vida. Pues bien, el Tribunal del que trae origen la causa sostuvo que una regulación permisiva con
las debidas garantías era capaz de proteger a los enfermos vulnerables del abuso y del error. Los
médicos podrían asegurar la competencia y plena libertad de los enfermos para decidir y podrían
aplicar el estándar del consentimiento informado a este tipo de pacientes, como lo vienen haciendo
sin problemas para los casos de limitación de esfuerzo terapéutico o de medicina paliativa con efecto
colateral letal. También afirmó que no había pruebas concluyentes de que en los ordenamientos
permisivos hubiera riesgos más altos de abuso o de error. El Tribunal Supremo hace suyas estas
conclusiones (p. 109).
Aunque somete a valoración adicional el argumento comparado y el de la pendiente resbaladiza, a
partir del Informe de un experto en bioética que designó el Gobierno canadiense, Etienne Montero,
sobre la práctica de la eutanasia en Bélgica. El Gobierno consideraba que las pruebas del Informe del
señor Montero demostraban la inevitable expansión de los criterios que garantizan el acceso a la
ayuda médica a morir, incluso en un sistema de límites estrictos (se recuerda, en efecto, la
ampliación de la eutanasia para menores, para personas con desórdenes psiquiátricos, etc.). El
Tribunal Supremo no acepta estas conclusiones. Primero, porque el régimen de Bélgica es el
producto de una cultura jurídica y médica muy diferente a la canadiense. En Bélgica, ya existía una
práctica de la eutanasia antes de la regulación jurídica. Esta distinción sería relevante. Segundo,
porque los casos descritos por el profesor Montero son el resultado de la aplicación de las normas
belgas, que arrojan escasa luz sobre qué reglas podrían existir en Canadá.
Tampoco acepta la Sentencia el argumento de la pendiente resbaladiza aportado por el Gobierno
canadiense. Éste afirmó que hay muchas posibles fuentes de error y muchos factores que pueden
recaer sobre un paciente vulnerable a la hora de tomar una decisión y, por tanto, provocar el riesgo
de que personas sin un deseo racional y meditado de morir pidan, sin embargo, la ayuda para morir:
daño cerebral, depresión, enfermedad mental, coerción, influencia indebida, manipulación
psicológica o emocional, prejuicios sociales contra personas mayores, discapacitados y enfermos,
error diagnóstico, etc. Frente a esta tesis, considera el Tribunal Supremo que tales riesgos pueden ser
limitados a través de un sistema de garantías cuidadosamente diseñado y controlado. En su opinión,
La ayuda médica a morir como derecho fundamental
3. Valoración crítica
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Ya he adelantado algunos de los temas más importantes que suscita esta Sentencia: el
reconocimiento de la ayuda médica a morir como derecho fundamental, aunque sea bajo ciertas
condiciones; la ampliación del objeto del litigio desde la prohibición penal de la ayuda al suicidio en
general a la eutanasia activa directa y no sólo al suicidio asistido por médico; y la erosión de las
fronteras, hasta ahora bastante firmes en la mayoría de los Estados democráticos, entre las
conductas de ayuda en el morir (medicina paliativa que colateralmente acorta la vida y limitación de
esfuerzo terapéutico) y de ayuda a morir (eutanasia activa directa).
Pero, obviamente, el caso Carter presenta muchas otras aristas de interés. Dividiré el análisis en los
aspectos formales, de un lado, y los de fondo, de otro.
3.1. Aspectos de forma
Lo primero que llama la atención de la Sentencia es la belleza de su tono narrativo y la claridad y el
orden expositivos. Estamos en presencia de otro producto más de la tradición del «juez razonador
anglosajón». La Sentencia incorpora un índice que permite al lector seguir sin perderse la
argumentación. En los cuatro primeros párrafos se explica, con tanta precisión como claridad, el
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«un daño teórico y especulativo como el que sugiere el Gobierno, no puede justificar una prohibición
absoluta» (p. 119).
En conclusión, la Sentencia falla que la prohibición absoluta de la ayuda al suicidio no es la medida
limitativa del derecho menos gravosa y, por consiguiente, es desproporcionada.
A partir de toda esta argumentación y fallo, el Tribunal indica que no sirve la excepción de la
prohibición de ayuda al suicidio al caso de la señora Taylor, sino que, con carácter general, «el
Parlamento debe tener la oportunidad de dictar un remedio apropiado» (p. 125). En otras palabras,
el Parlamento canadiense y los provinciales, en el ámbito de sus respectivas competencias, deben
dictar una nueva regulación que esté conforme con la doctrina vertida en la Sentencia. Esta doctrina
identifica como inválida una prohibición penal de ayuda médica a morir para un adulto competente
que (1º) consienta claramente la terminación de su vida; (2º) que tenga una determinada condición
médica: enfermedad o discapacidad que le cause sufrimientos permanentes, intolerables e
irremediables. El Tribunal suspende la declaración de invalidez de la norma penal impugnada durante
un plazo de doce meses. Ése será, pues, el plazo que tendrá el legislador canadiense para dictar una
nueva regulación de la ayuda médica a morir acorde con la doctrina del Tribunal Supremo.
Un último asunto que aborda el Tribunal en la Sentencia es el relativo a la objeción de conciencia de
los médicos a la hora de prestar asistencia para dar muerte a los enfermos que se lo pudieran pedir.
El Tribunal remite este asunto a la regulación legislativa que habrá de dictarse. Pero matiza que
«nada de la declaración de invalidez que establecemos obliga a los médicos a prestar asistencia a
morir» (p. 132). Al revés, hace notar que «la decisión del médico de participar en una muerte asistida
es un asunto de conciencia y, en algunos casos, de creencias religiosas» (p. 132) Con esto no quiere la
Sentencia «adelantarse a la respuesta legislativa», pero sí subrayar que «deben reconciliarse los
derechos de los pacientes con los de los médicos» (p. 132).
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problema social subyacente, el conflicto jurídico que plantea y el fallo. El resto del texto es la
profundización de esos cuatro párrafos de la introducción. Por supuesto, enriquece la Sentencia la
figura procesal de los amicus curiae porque la participación de expertos cualificados en un asunto de
tanta importancia social permite afinar la argumentación. También se permite citar con toda
naturalidad autores concretos. Y qué decir de esos párrafos cortos, precisos, donde no sobra una
palabra. Es una Sentencia llena de músculo y sin apenas colesterol. Por otra parte, del mismo modo
en que actúan otros tribunales, como el Tribunal Europeo de Derechos Humanos, por ejemplo,
cuando el Tribunal Supremo canadiense examina el contraste de la norma impugnada con diversos
elementos, en cuanto concluye que existe en relación con alguno de ellos, ya no pasa a examinar el
resto (así, por ejemplo, una vez que asevera que la prohibición penal del suicidio lesiona el derecho a
la vida, libertad y seguridad personales del art. 7 CCDL, ya no enjuicia si también viola el derecho de
igualdad del art. 15 CCDL). Todo esto permite aligerar el texto de la Sentencia; lo hace más
pragmático y menos profesoral. El contraste con la innecesariamente retórica forma de las
Sentencias del Tribunal Constitucional español (y de muchos otros tribunales) es evidente
Es destacable, asimismo, la clasificación de los casos judiciales citados. Ciertamente, en un sistema
de common law como el canadiense, el orden y la claridad en el momento de fijar los antecedentes
judiciales no sólo es deseable, sino exigible porque allí el precedente tiene fuerza vinculante. Pero
resulta difícil no envidiar el modo en que la Sentencia ordena los casos citados, entre aquellos de
cuya doctrina se aparta («distinguished»), de los que aplica («applied»); los que rechaza
(«disapproved») y los que simplemente cita en apoyo puntual de la argumentación en la medida en
que están relacionados («referred to»). No veo razón alguna, sino todo lo contrario, en aras a la
seguridad jurídica, para no importar, con las matizaciones necesarias, esta clarificación conceptual a
la jurisprudencia constitucional española.
Sólo encuentro un reproche a la Sentencia Carter en cuanto a su modo de argumentar, pero es ya
una cuestión de fondo, y es el doble estándar de examen al que somete el límite que a los derechos a
la vida, la libertad y seguridad personales conlleva la prohibición penal absoluta del suicidio. La
argumentación, inevitablemente, se espesa y resulta algo repetitiva. Por un lado, como se recordará,
se examina esa norma a la luz de los «principios fundamentales de justicia» que se albergan en el art.
7 CCDL como límite específico de los derechos mencionados; y, por otro, se enjuicia la norma desde
el principio general de proporcionalidad que se ubica en el art. 1 CCDL. Desde el primer estándar, el
específico, el Tribunal observa que la norma penal es sobreinclusiva. Desde el segundo, el general,
que no es indispensable y, por tanto, que es desproporcionada.
Ambos estándares son bastante próximos y, a mi juicio, el específico del art. 7 podría subsumirse sin
demasiados problemas en el general del art. 1 en el punto relativo a la necesidad de que la medida
limitativa de derechos persiga una finalidad pública «substancial» (en Estados Unidos exigen que sea
«compelling») y sea adecuada a dicha finalidad (una medida limitativa de derechos por
sobreinclusiva no es adecuada). Y el estándar general también podría entenderse subsumido en el
criterio de los «principios fundamentales de justicia» (porque, sin duda, el juicio de proporcionalidad
forma parte de ellos).
La ayuda médica a morir como derecho fundamental
En cuanto al tema de fondo en sí, me parece que se pueden plantear a la argumentación del
Tribunal, al menos, las siguientes diez dudas u objeciones.
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1. El Tribunal convierte una conducta penalizada como delito en Canadá (y en la mayoría de los
países comparables) nada menos que en un nuevo derecho fundamental. En una Sentencia anterior,
de hace 22 años, Rodriguez v. Canada, dijo justo lo contrario. La propia Sentencia del caso Carter
reconoce que se trata de un asunto sobre el que no hay consenso social (entre médicos, asociaciones
de personas discapacitadas, etc.) y el legislador, en los últimos años, se ha mostrado intensamente
dividido sobre el particular, de modo que diversos intentos de legalizar la ayuda médica a morir no
llegaron a fructificar. Ahora el Tribunal lo impone. Parece un caso ejemplar de descarado activismo
judicial.
El fallo de la Sentencia abre un proceso de diálogo en un plazo de un año con el Parlamento para que
éste regule la materia desde las nuevas claves. Una sentencia semejante sería de difícil importación a
nuestro ordenamiento, dados los más estrechos límites a los que se somete nuestra jurisdicción
constitucional. Esto no quiere decir, sin embargo, que los argumentos de Carter no puedan llegar a
convertirse en influyentes tanto en la arena política como en la judicial, sobre todo si,
eventualmente, los incorporaran el Tribunal de Estrasburgo o el de Costa Rica. Ya hay otros
precedentes de materias, como la homosexualidad, que hasta hace no mucho eran tipos penales y
pasaron a convertirse en derechos fundamentales sin solución de continuidad.
2. El Tribunal cambia subrepticiamente y sin justificar el objeto del caso, que debía ser el examen de
la validez constitucional de la prohibición penal de la ayuda al suicidio (que, por tanto, comprendía
también la prohibición de la ayuda médica al suicidio del enfermo terminal), y lo transforma en un
examen de la ayuda médica a morir, que, además del suicidio asistido por médico, abarca la
eutanasia activa directa respecto de dicho tipo de enfermos. Habría una confusión conceptual, no
sabría decir si interesada o no, si advertida o no, entre el suicidio asistido por médico y la eutanasia
activa directa. Y esto tiene su importancia porque si la finalidad de la prohibición penal de la ayuda
médica a morir es evitar riesgos y abusos, evidentemente, tal y como demuestran los hechos, en el
suicidio asistido por médico se garantiza mejor la plena libertad (y su menor vulnerabilidad, al menos
prima facie) del paciente que toma la decisión que en la eutanasia, donde siempre se corre el peligro
de la pendiente resbaladiza. En otras palabras, la argumentación de la Sentencia Carter sería más
adecuada y coherente si se hubiera limitado estrictamente a la forma de ayuda médica a morir que
es el suicidio asistido por médico que a la otra forma de ayuda médica a morir que es la eutanasia
activa directa.
No es casual, en este sentido, que en el elenco que hace la Sentencia de los precedentes de países
que, en Derecho comparado, permiten la ayuda médica a morir (p. 8), se mezclen, sin mayor
precisión, los países que permiten suicidio asistido por médico y eutanasia directa (por ejemplo,
Holanda o Bélgica) y los que permiten sólo el primero (por ejemplo, Oregón o Washington).
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3.2. Análisis de contenido
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3. Uno de los puntos centrales de la Sentencia es que borra por completo las diferencias entre la
ayuda médica en el morir (cuidados paliativos que acortan la vida; limitación de esfuerzo
terapéutico) y la ayuda médica a morir (suicidio asistido por médico, eutanasia médica activa
directa). El Tribunal considera que todas esas conductas forman parte del derecho de
autodeterminación médico. Evidentemente, hay autores que también niegan esa distinción. Para
algunos , no habría diferencias entre el acto médico que interrumpe un tratamiento de soporte vital,
una sedación paliativa terminal o el acto que pone fin directamente a la vida del paciente que sufre
una enfermedad irreversible.
Pero, siendo honestos, esa distinción sigue siendo crítica porque, a esta fecha, la mayoría de países
democráticos permite la ayuda médica en el morir, pero prohíbe la ayuda médica a morir. No es lo
mismo matar o suicidarse que dejarse morir. En los dos primeros casos, la causa de la muerte es el
acto de un tercero o del propio paciente, mientras que, en el tercero, la causa de la muerte es la
enfermedad subyacente. De modo que para sortear tal diferenciación verdaderamente fundamental,
debería ser condición inexcusable que se intentara justificar persuasivamente. Sin embargo, el
Tribunal canadiense la da por evidente y no dedica ni una sola línea a explicarla. La crítica que cabe
formular a la Sentencia no es tanto por qué opta por esa solución (que pudiera ser plausible en
ciertos casos), sino por qué no argumenta las razones que le llevan a hacerlo.
Obsérvese que el Tribunal podría haber argumentado que la prohibición penal de la ayuda al suicidio
en general era contraria a la Charter porque era sobre-inclusiva al no permitir, excepcionalmente y
bajo ciertas garantías, que se permitiera el suicidio asistido por médico. Ésta hubiera sido una
solución limpia y elegante. La regla penal seguiría siendo válida en cuanto se adicionara la excepción
correspondiente. Pero el Tribunal no se limita a eso; va mucho más allá: configura la ayuda médica a
morir como un nuevo derecho fundamental, aunque sea de configuración legislativa posterior. Y lo
hace, da este giro de 180 grados, sin aportar una argumentación mínima. Esto hace que el legislador
canadiense se vea constreñido demasiado en su actividad regulatoria, porque tendrá que legalizar el
suicidio asistido pero también la eutanasia activa directa.
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4.- El Tribunal sostiene que un sistema sólido de garantías podría evitar el riesgo de abusos y errores
e indica algunos requisitos que deberá seguir el protocolo de la legalización posterior de la ayuda
médica a morir. Sólo podrán pedirla adultos, que sean competentes para decidir, que consientan
claramente en la terminación de su vida, que tengan una enfermedad y/o discapacidad que le cause
sufrimientos permanentes, intolerables e irremediables. Dado que el mayor obstáculo para
considerar que los pacientes tienen el derecho a ser ayudados a morir por médico es el riesgo de
abusos y de errores, la identificación de las garantías que rodean este proceso pasa a convertirse en
la cuestión jurídica central. Y, sin embargo, incluso aunque se trate de una guía orientativa mínima
para el legislador futuro, las garantías que se señalan parecen a todas luces insuficientes y demasiado
poco precisas. No queda claro, por ejemplo, qué entender por enfermedad terminal. Algunas
legislaciones, como la de Oregón, por ejemplo, la definen como aquella que arroja un pronóstico de
menos de seis meses de vida. También hay dudas sobre el posible distinto régimen de enfermos y
discapacitados. No resulta nítido tampoco si podrían acceder a la ayuda médica a morir las personas
discapacitadas con intolerables sufrimientos, aunque no fueran terminales. Por otro lado, no se
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5. El argumento comparado juega un papel fundamental en la lógica de la decisión. El Tribunal, en
efecto, acepta revocar la doctrina que él mismo dictó en el caso Rodriguez porque desde entonces se
ha producido un cambio en la comprensión social del problema y, correlativamente, una
modificación de la interpretación de los preceptos constitucionales de referencia. Se recuerda que
hace 22 años, cuando se dictó Rodriguez, no había ningún país que permitiera la ayuda médica a
morir y ahora, sin embargo, hay varios. El argumento comparado juega así como un elemento para
meter presión despenalizadora, como si Canadá ya estuviera llegando tarde a su cita con la
modernidad en este punto, a diferencia de lo que ocurre con otros Estados. Aunque hay que valorar
la honestidad del Tribunal (no siempre habitual, y podríamos poner varios ejemplos de la jurisdicción
constitucional española en ese sentido) al mencionar que la mayoría de países siguen considerando
la ayuda médica a morir como una conducta penal.
Ya hemos hecho observar que, en la cita de países, se mezcla interesadamente unos sistemas y otros,
como si todos respondieran a un mismo sistema, cuando esto no es así. Tampoco es una lista, por
cierto, demasiado depurada porque se trae el ejemplo colombiano, cuando lo que hubo allí fue tan
sólo una sentencia de la Corte Constitucional, la Sentencia C-239/97, de 20 de mayo de 1997, que
dedujo de la Constitución de 1991 la exclusión de la antijuridicidad de la conducta del médico que,
bajo ciertas condiciones, sobre todo la del consentimiento de la víctima, pusiera fin a la vida de un
enfermo en fase terminal, pero en el ordenamiento colombiano nunca se ha legalizado la ayuda
médica a morir.
Pero ahora me gustaría llamar la atención sobre el hecho de que, siendo el argumento comparado
realmente central, en uno de los momentos cruciales de la Sentencia, esto es, cuando el Tribunal
examina, a partir del informe del profesor Montero sobre la situación en Bélgica, si hay o no razones
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contemplan garantías muy comunes en el derecho comparado, como la de la doble opinión médica,
por ejemplo, o la determinación de un plazo de algunos días de reflexión entre la decisión de
terminar con la vida y el momento de hacerlo. O la intervención de un médico psiquiatra para
evaluar el grado de competencia del enfermo para decidir y para asegurar que no se halle deprimido.
El concepto de sufrimiento intolerable, tan subjetivo, se propone sin acotación alguna. Se aceptan los
sufrimientos psicológicos y no sólo los físicos, lo cual abre un espacio de incertidumbre considerable.
Se producen muchos más problemas porque este derecho se reserva para los adultos, mayores de 18
años, por tanto, pero esto podría chocar en algunas ocasiones con el derecho a decidir en materia
médica que progresivamente se viene reconociendo a los menores maduros, esto es, a los mayores
de 16 años y menores de 18 (e incluso, a veces, a los menores de 16 años que acrediten cierta
madurez de juicio).
En definitiva, el tono general de la Sentencia es deliberadamente ambiguo y esto se traslada
(peligrosamente, a mi juicio), al terreno de las garantías. Si el legislador no contemplase un cuadro de
garantías lo suficientemente estricto como para eliminar o reducir el riesgo de abuso y error, esto
haría incurrir a la ley en inconstitucionalidad. Lo cual, por cierto, nos da idea de que no estamos en
presencia, en realidad, de un auténtico nuevo derecho fundamental, sino que la ayuda médica a
morir debería, más bien, contemplarse como una excepción legítima en ciertos casos del deber
estatal de protección de la vida.
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pa a pe sa ue s e iste iesgo uy se io de ue se p oduz a el fe
e o de la pe die te
es aladiza , se quita, sin embargo, de encima la cuestión rápidamente alegando que ni el
ordenamiento ni la cultura belga son comparables a la canadiense. Hay una falta de coherencia
argumental de la Sentencia en este punto. Tampoco se comprende, además, por qué se examina el
caso belga y no el más clásico holandés, que suele ponerse como invariable demostración del
argumento de la pendiente resbaladiza.
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6. Otro de los puntos más discutibles de esta Sentencia es, a mi juicio, la restrictiva determinación de
la finalidad de la prohibición penal de la ayuda al suicidio, que sería la protección a las personas
vulnerables (enfermas terminales con graves padecimientos) frente a su propia decisión en un
contexto tan difícil. Efectivamente, este objetivo es uno de los que cabe inferir de dicha prohibición.
Pero hay muchos más, que ni se mencionan en la Sentencia, ni, por tanto, se argumentan a fondo en
ella. En una cultura muy cercana a la canadiense, la norteamericana, están muy perfilados en
diversos y conocidos informes, los intereses que podrían llevar a un Estado a prohibir, legítimamente,
la ayuda médica a morir. Y entre ellos no sólo está la prevención del riesgo de abuso y error sobre
personas vulnerables, sino también otros tan importantes como el de preservar la vida de los
ciudadanos (que la Sentencia desecha sin mayor argumentación alegando tan sólo que, en un
razonamiento circular, si se admitiera, no podría haber cambios legales en clave despenalizadora – lo
cual no es tampoco cierto), prevenir los suicidios (¿alguien quiere una sociedad de suicidas?) o
mantener la integridad de la profesión médica. Con el cambio de régimen, el médico pasa a tener
una nueva función que ya no será sólo la de sanar y evitar el dolor, sino la de matar, aunque sea por
compasión. Y, lo que es peor, tendrá que comprobar la libertad y competencia del enfermo para
poder tomar esa decisión, asumiendo una responsabilidad decisiva sobre la vida de otro ser humano.
Y esto no se obvia simplemente afirmando, como se hace en la Sentencia, que se le debe reconocer
un derecho a la objeción de conciencia en estos casos. Porque la cuestión subsiste para los médicos
que no la aleguen. No es casual que el reconocimiento de la ayuda médica a morir se haya hecho
después de que la Asociación Médica canadiense haya permitido, desde 2014, a los médicos que lo
deseen por razones de conciencia, participar en suicidios asistidos y/o eutanasias. El impulso
legalizador ha venido acompañado en todos los casos con un cierto apoyo por parte de la profesión
médica. Esta situación no se produce en España, donde todas las asociaciones médicas siguen
rechazando sin ambigüedad el suicidio asistido y la eutanasia.
Por no hablar de los aspectos simbólicos de la despenalización. La prohibición la ayuda médica a
morir refleja la gravedad con que el ordenamiento contempla la decisión de privarse de la vida o de
privarla a otro y la renuencia a aceptar o promover tales decisiones. Si se despenalizaran, ello
reflejaría un cambio de valoración hacia esas conductas. Se convertirían en una medida más del
arsenal de tratamientos médicos, con el riesgo añadido que ello supone.
El Tribunal obvia una argumentación que, por naturaleza, es mucho más compleja, al seleccionar,
interesadamente, un campo de juego, es decir, de argumentación, mucho más fácil y acotado (y aún
así, sigue suscitando enormes dudas y dificultades).
La ayuda médica a morir como derecho fundamental
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9. El Tribunal emplea dos argumentos principales para considerar que la prohibición penal absoluta
del suicidio y, por tanto, de la ayuda médica a morir es nula por desproporcionada: que se trata de
una medida sobre-inclusiva, en la medida en que la finalidad de la prohibición es proteger a las
personas vulnerables en un periodo de especial debilidad, pero resulta que no todos los enfermos en
situación terminal lo son (empezando por la señora Taylor); y que es una medida que no es
indispensable ya que los médicos pueden asegurar la protección de los enfermos terminales ante el
abuso y/o el error. Un tercer argumento central es la inocuidad de la tesis de la pendiente
resbaladiza, precisamente porque podría evitarse mediante un sistema serio de garantías. Ya hemos
visto algunas de las trampas argumentales de este razonamiento, entre otras: la prohibición de la
ayuda médica a morir puede perseguir otras finalidades además de la protección de las personas
vulnerables; el argumento de la pendiente resbaladiza es más relevante de lo que ha aceptado
considerar la Sentencia; las dudas acerca de que la ayuda a morir y la ayuda médica en la muerte
sean dos caras de una misma moneda: la autonomía del paciente.
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7. La construcción teórica que la Sentencia hace del derecho a la protección de la vida es también
problemática. La Sentencia busca un equilibrio transaccional: ni reconoce un ambiguo derecho a
morir con dignidad, ni sostiene que el derecho a la vida impida aceptar por completo la ayuda
médica a morir. Pero no se pronuncia sobre una cuestión fundamental, cual es si el derecho a la vida
incluye la facultad de disponer de ella, al menos en ciertos casos (y, si es así, en cuáles y bajo qué
circunstancias). Y, por otro lado, considera que la prohibición penal del suicidio fuerza a algunas
personas a suicidarse antes de que su enfermedad avance y no puedan llegar a hacerlo por sí
mismas. Este hecho, sin embargo, no se demuestra con estadísticas, aunque se aporte el testimonio
de algunos casos, quizá para compensar y maquillar (si se me permite la expresión), la carencia de
demostración de la dimensión cuantitativa y cualitativa del problema. Concluir que la prohibición
impugnada priva a algunas personas de su vida, como hace la Sentencia, es mucho concluir sin
presentar algunas explicaciones y demostraciones adicionales, más allá de algunos testimonios para
predisponer emocionalmente al lector a su favor.
8. Ligado al problema anterior, cabe plantear la cuestión de en qué precepto constitucional se
debería colgar el nuevo derecho a la ayuda médica a morir. El Tribunal lo ubica en la penumbra del
derecho a la vida, la libertad y seguridad personales (art. 7 CCDL), pero subsiste la duda no sólo de su
relación con el derecho a la vida (en la medida en que no se reconoce que el derecho a la protección
jurídica de la vida incluya la facultad de disponer de ella), sino, incluso, de su encaje en el derecho de
libertad y seguridad personales. Porque el derecho a la ayuda médica a morir, aunque sea
manifestación de la libertad y de la seguridad (esto es, la integridad personal) de las personas, es, en
mi opinión, un nuevo derecho, bastante controvertido, por lo demás, y de contornos, en cuanto a su
contenido y límites, ciertamente borrosos. De ahí que la mejor solución técnica desde el punto de
vista de Derecho Constitucional fuera, en mi opinión, reconocerlo expresamente en el texto
constitucional (en este caso, de la Charter de derechos) a través de una previa reforma.
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10. Por último, el reconocimiento del derecho de los médicos a la objeción de conciencia en estos
casos, que se remite, no obstante, a la posterior regulación legal, parece razonable, aunque habría
que hacerla extensiva a todo el personal sanitario que participe en el proceso.
4. Conclusión: una sentencia epocal y no sólo episódica, pero con una argumentación
discutible
La Sentencia Carter está llamada a influir en el debate (transnacional) contemporáneo sobre el
derecho a morir con dignidad. Es, en este sentido, una Sentencia epocal y no sólo episódica. El
Tribunal Supremo levanta acta de nacimiento como nuevo derecho fundamental de la ayuda médica
a morir (suicidio asistido por médico y eutanasia médica activa directa).
No obstante, su argumentación, a mi juicio, no es especialmente sólida, coherente o consistente. Se
podría haber alcanzado una solución semejante por otras vías de razonamiento. Estoy entre los que
creen que ayudar a una persona a morir en contexto eutanásico, y siempre que se asegure el
consentimiento y la libertad de la decisión, debería ser una conducta penalmente no reprochable.
Pero esta posibilidad debería ser justificada de una manera mucho más persuasiva de la que utiliza el
Tribunal canadiense en Carter.
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Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
Lucilla Conte
DAMAGES FOR WRONGFUL BIRTH AND WRONGFUL LIFE: THE OPINION OF THE ITALIAN COURT OF
CASSATION
ABSTRACT: This contribution is focused on the main questions involving claims for
damages about wrongful birth and wrongful life. The Italian jurisprudence is divergent in drawing the most balanced solutions about evidence and causation: a decision of the Joined Chambers of the Court of Cassation is now awaited.
KEYWORDS: wrongful birth; wrongful life; self-determination; claim for damages; evidence; causation.
SOMMARIO: . L’o di a za i te lo uto ia del
fe aio
e le uestio i p ospettate. – 2. Informazione ed
autodeterminazione: i confini di una scelta difficile. – 3. La legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria. – 4.
I ade pi e to del edi o t a da o da as ita i deside ata e da o da as ita alfo ata :
problematiche relative alla configurazione del nesso causale. – 5. Conclusioni.
1. L’ordinanza interlocutoria del 23 febbraio 2015 e le questioni prospettate
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D
ue genitori, in proprio e in quanto esercenti la potestà sulla figlia, convengono in giudizio
due medici (il primario di Ostetricia e Ginecologia e il direttore del Laboratorio di Analisi
dell’ospedale p esso ui si e a o e ati pe otte e e il isa i e to dei da i o seguiti
alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down, assumendo che la donna fosse stata avviata al
parto senza la predisposizione di adeguati approfondimenti, benché gli esami ematochimici (effettuati alla sedicesima settimana) avessero fornito valori «non rassicuranti». Tale richiesta di risarcimento è respinta dal Tribunale di primo grado e, successivamente, dalla Corte di Appello di Firenze.
Avverso quest’ulti a se te za i due ge ito i i o o o i Cassazio e: o l’o di a za . 69 del
febbraio 2015, la III Sezione Civile ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni (relative al contenuto
dell’o e e p o ato io i hiesto alla ad e i
e ito alla p op ia determinazione a ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza, ove informata delle malformazioni del feto, e alla legittimazione del
ato alfo ato alla i hiesta isa ito ia ei o f o ti dei sa ita i pe l’o issio e di tali i fo azioni che a ia dete i ato la p ose uzio e della g avida za igua da ti il da o da as ita i desideata wrongful birth o da o da as ita alfo ata wrongful life).
È significativo notare come questa duplice definizione sia funzionale a individuare i due versanti rispetto a cui si produce il danno: da un lato quello della donna che, non essendo adeguatamente in Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale, Università del Piemonte Orientale. Contributo sottoposto a
doppio referaggio cieco.
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Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:
la parola alle sezioni unite
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formata dai sanitari della prognosi di malformazioni del feto, viene limitata nella sua libertà di autodeterminazione attraverso la scelta di interrompe e la g avida za; dall’alt o uella del o epito he
una volta nato lamenti un danno alla propria salute non solo attuale, ma anche nella prospettiva di
u a vita alfo ata e delle li itazio i e dei disagi he, i evita il e te, e de ive a o, p opagandosi al contesto familiare1.
Questo secondo versante è stato oggetto di particolare valorizzazione da parte della Corte di Cassazione con la sentenza n.16754 del 2012, che ha riconosciuto il diritto del nascituro (ancorché privo di
soggettività giuridica fino al momento della nascita), una volta venuto ad esistenza, ad essere risarcito da pa te del edi o o igua do al da o o siste te ell’esse e ato o sa o.
Si tratta di un punto controverso, che investe la legittimazione del nato ad agire nei confronti del
medico che abbia omesso di informare la gestante in merito a malformazioni del feto, privandola della possi ilità di i o e e all’i te uzio e volo ta ia di g avida za, e he oggetto di i vio da pa te
della III Sezione Civile alle Sezioni Unite.
La defi izio e del da o da as ita i deside ata
i ve e data pe assu ta dalla III ìezio e
all’i te o dell’o di a za, i o e do « ua do, a ausa del a ato ilievo dell’esiste za di alformazioni congenite del feto, la gestante perda la sua possibilità di interrompere la gravidanza»2. La
configurabilità di questa tipologia di danno non è in discussione, ma viene rilevato come, al riguardo,
vi sia un contrasto giurisprudenziale in tema di riparto degli oneri probatori. In altri termini: è possibile u a esatta o figu azio e della o elazio e ausale t a l’i ade pi e to dei sa ita i
ell’assu zio e di app ofo di e ti diag osti i e o u i azio e dei isultati di uesti ulti i alla gesta te e il a ato i o so all’a o to? Fe a esta do o e p evisto dal legislatore per procedere
all’i te uzio e della g avida za olt e il ova tesi o gio o di gestazio e e a t.6, lett. della l. .
194/1978) la sussistenza delle condizioni di pericolo per la salute fisica o psichica della donna derivanti dal trau a o esso all’a uisizio e di otizie i
e ito alla alfo azio e del feto, il o t asto giurisprudenziale riguarda il contenuto della prova richiesta alla madre.
Secondo un primo orientamento3 è sufficiente che la donna alleghi che, se informata delle gravi malformazioni del feto, si sarebbe avvalsa della facoltà di interrompere la gravidanza. Si ha dunque appli azio e del ite io della egola ità ausale, i ase al uale l’i te uzio e della g avida za appa e
conseguenza regolare e frequente in seguito all’a uisizio e di tali i fo azio i diag osti he e isultando altresì implicita (salvo contestazioni della controparte) la sussistenza delle condizioni di legge
richieste per ricorrere ad essa.
Un secondo orientamento4 ritiene, al contrario, che ove manchi una preventiva, inequivoca ed espressa dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza qualora venga rilevata una malattia
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È uesta la p ospettiva he o figu a la vita o e e e elazio ale , da i te de si o e «u ge e e di e e
comune che dipende dalle relazio i esse i atto dai soggetti u o ve so l’alt o e pu esse e f uito solo se essi
si orientano di conseguenza. La vita umana è oggetto di godimento (e quindi di diritti) non in quanto bene
«individuale» (nel senso di individualistico), né «pubblico» (nel senso tecnico moderno), ma propriamente
come bene comune dei soggetti che stanno in relazione», cfr., su questo punto, P. DONATI, R. SOLCI, I beni
relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono, Torino, 2011, 19.
2
Cass. Civ., III Sezione, ordinanza n. 3569, 6 del testo.
3
Su cui Cass. n. 6735/2002, Cass. n. 14488/2004, Cass. n. 13/2010 e Cass. n. 15386/2011.
4
Su cui Cass. n. 16754/2012.
1
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
Vale se z’alt o l’osse vazio e-monito, formulata da R. BIN e L. BUSATTA ell’Introduzione al numero 1/2014 di
questa Rivista, per cui «Difficilmente la rigidità del diritto riesce a coniugarsi agilmente con la mutevolezza della
scienza e alcuni ostacoli di comunicazione, legati alla diversità di linguaggio, metodo e approccio, conducono a
consigliare cautela nella costruzione dei termini di dialogo con le altre discipline». In senso analogo, cfr. le
considerazioni di A. D’ALOIA, Norme, giustizia, diritti nel tempo delle bio-tecnologie: note introduttive in A.
D’Aloia ed. , Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Torino, 2005, XI-XII,
pe ui «L’espe ie za giu idi a att ave sata i pie o da ueste uove te sio i, le sue atego ie t adizio ali
o e il o etto di pe so a, l’auto o ia i dividuale, la ozio e di dis i inazione , il rapporto delle azioni
u a e o lo spazio e o il te po, … su is o o u effetto di spiazza e to e di ifo ulazio e he se
a
uasi i hiede e u
uovo di itto, appu to u
io-di itto … i ui il appo to t a o di a e to giu idi o,
persone fisiche, idee di vita, sia costruito secondo basi e modelli inediti, di reciproca – e non più unidirezionale
– permeabilità».
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5
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Commentaries
genetica del feto, la richiesta di accertamento diagnostico debba essere valutata dal giudice di merito
alla stregua di una presunzione semplice, che dovrà essere dalla parte attrice integrata con elementi
ulteriori.
Se dunque esiste un contrasto giurisprudenziale in merito al contenuto della prova richiesta alla donna che lamenti omessa informazione da parte dei sanitari in merito a malformazioni genetiche del feto he, se a uisite, l’av e e o i dotta ad i te o pe e la g avida za, a o a più a ato e o t overso appare il panorama delle pronunce della Cassazione in merito alla legittimazione del nato a
pretendere il risarcimento del danno a carico del medico e/o della struttura sanitaria.
Anche in questo caso, il punto di partenza (e il nodo problematico, come avremo modo di vedere in
seguito
app ese tato dall’i ade pi e to de iva te dall’o issio e di a e ta e ti diagnostici o
dalla loro errata interpretazione) da parte dei sanitari. Questo, se da un lato priva la donna della possi ilità di i o e e all’i te uzio e volo ta ia della g avida za o le p o le ati he i te a di o e e
probatorio che si sono sopra esa i ate , dall’alt o dete i a la ve uta al o do di u soggetto o
sano.
La legittimazione alla richiesta risarcitoria da parte di questo soggetto coinvolge una serie di questioni giuridiche e meta-giuridiche di grande rilievo, ricollegabili alla configurabilità o meno di una soggettività giuridica in capo al concepito; alla sussiste za o e o di u di itto a o as e e o di u
di itto a o as e e se o sa o ; al o te uto del da o la e tato.
La o plessità e l’asp ezza delle uestio i poste al vaglio delle Sezioni Unite ricordano, nel loro tragico intreccio, i versi di She Said She Said: u testo e eti o, as ivi ile al pe iodo lise gi o dei Beatles e che tuttavia, rispetto alla vicenda in esame, esprime i termini del problema con sorprendente
chiarezza (“he said/ I kno
hat it’s like to e dead/ I kno
hat it is to e sad /And she’s aking e
feel/ Like I’ve never een orn . L’evoluzio e delle te i he diag osti he, la possi ilità di a ede vi, le
asimmetrie informative ad esse collegate, impongono agli interpreti del diritto di misurarsi con questioni inedite5, riflettendo – ad un tempo – su ciò che avrebbe potuto essere (e non è stato) e ciò che
: sulla violazio e della li e tà di autodete i azio e della ad e e sull’esiste za di u a vita malformata che chiede (per il suo stesso essere malformata, e per la precedente omissione che non ha
pe esso alla ad e di o ie ta si ve so l’i te uzio e della g avida za u a volta ve uta a o os enza della malformazione) di essere risarcita.
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2. Informazione ed autodeterminazione: i confini di una scelta difficile
Si è rilevato come la salute «al tempo delle biotecnologie» presenti (ed è caratteristica tipica dei diritti di terza o quarta generazione) una natura combinatoria, con elementi comuni ora ai diritti di libertà ora ai diritti sociali6. Pertanto, ad una dimensione sociale e prestazionale si affianca il profilo di
libertà che si esprime secondo due direttrici riassumibili nella libertà di curarsi e nella libertà di non
curarsi.
Queste due libertà sono dal diritto riconosciute in quanto, a seconda dei casi, possano risultare funzio ali e/o eglio ispo de ti ad assi u a e il ispetto della dig ità u a a di ui all’a t. Cost., di ui
la salute costituisce un significativo profilo di realizzazione.
La pe dita o la o p o issio e della salute, olt e a ostitui e il p esupposto pe l’attivazio e della libertà di curarsi o di non curarsi, può inoltre legittimare, ricorrendone i presupposti, richieste risarcitorie.
Il grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, inoltre, costituisce condizione di esercizio
del i o so all’i te uzio e della g avida za a he olt e il ova tesi o gio o di gestazio e, sulla ase di una logica di bilanciamento che privilegia la preservazione della salute psico-fisica della gestante
rispetto alla sopravvivenza del concepito.
Il aso po tato all’esa e della III ìezio e ivile della Co te di Cassazio e i po e di iflette e, i p i a
battuta, su quanto l’o issio e di i fo azio e da pa te dei sa ita i i
e ito all’esiste za o al potenziale rischio) di gravi malformazioni genetiche del feto abbia inciso sulla libertà di autodeterminazio e della do a ispetto all’eve tualità di p o ede e all’i te uzio e volo ta ia di g avida za e su
come la donna possa adeguatame te p ova e la dete i azio e al i o so all’IVG u a volta a uisite
tali informazioni.
È stato opportunamente rilevato come un consenso effettivamente informato «costituis[ca] la sintesi
di due di itti fo da e tali della pe so a: uello all’autodete i azione e quello alla salute», dal
momento che «ogni individuo ha il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura
e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto e delle eventuali terapie alternative che gli si prospettano. Informazioni che devono essere le più esaustive possibili, proprio al
fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà
personale. In altri termini, il consenso liberamente informato impone ed esige valide garanzie sia per
il o e to della a ifestazio e di volo tà da pa te del alato, sia ell’ite di fo azio e della volo tà stessa, sia pe l’esige za he l’i fo azio e sia davve o o pleta, o eti e te e o p e si ile»7.
A. D’ALOIA, Oltre la malattia: metamorfosi del diritto alla salute, in questa Rivista, 1/2014, 88 ss.
P. VERONESI, Al crocevia del Caso “ta ina e dei suoi pro le i costituzionali , in questa Rivista, 1/2015, 9697, ove è fatto riferimento – per una esatta definizione di consenso informato – a Corte Cost., n.438/2008, su
cui R. BALDUZZI, D. PARIS, Corte costituzionale e consenso informato tra diritti fondamentali e ripartizione delle
competenze legislative, in Giur. Cost., 2008, 4953 ss. In senso analogo, cfr. J. MENIKOFF, Law and Bioethics. An Introduction, Washington D.C., 2001, 133: «The tenet common to all medical cases treatment cases [is] that any
person has the right to make an informed choice, if competent to do so, to accept or forego medical treatment.
… U de the do t i e of i fo ed o se t, a physi ia
ust i fo the patie t, at a i i u , of the ature of the proposed treatment, any alternative treatment procedures, and the nature and degree of risks and
benefits inherent in undergoing and in abstaining from the proposed treatment».
6
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7
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
Vie e defi ita diag osi ge eti a « ualsiasi test he o po ti l’a alisi di uno specifico gene, il suo prodotto o
fu zio e, oppu e, i ge e ale, del DNA o dell’assetto o oso i o, al fi e di ide tifi a e/es lude e
u ’alte azio e asso iata ad u a alattia ge eti a o su ase ge eti a», L. LARIZZA, Quale valore predittivo per le
diagnosi genetiche?, in C. BRESCIANI (ed.), Genetica e medicina predittiva: verso un nuovo modello di medicina?,
Milano, 2000, 13.
9
Su questo punto vale la pena ricordare le considerazioni di R. BIN, La Corte e la scienza, i A. D’Aloia ed. ,
Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, Torino, 2005, 1-2, il quale
sottolinea come «Il problema della rilevanza dei dati scientifici [sia] cruciale soprattutto nei giudizi di merito,
ove la tentazione di delegare alle scie ze e te i he il giudi e o itie e di pote de ide e sulla ase dei
soli st u e ti giu idi i ostituis e o ai u p o le a di g a de ilievo. … i u
o do di tale o plessità
tecnologica anche i contenuti dei diritti hanno ormai subito un profondo mutamento. I diritti della personalità
l’ide tità sessuale, la p o eazio e, gli atti di disposizio e del p op io o po, il i o os i e to e il
disconoscimento dei figli), la privacy, il diritto alla salute, il diritto alla difesa, il diritto di proprietà intellettuale:
questi e tanti altri profili dei diritti fondamentali sono stati profondamente incisi dalle acquisizioni della scienza
e delle uove te ologie. Tutto i si iflette i
ediata e te sull’ese izio della fu zio e giu isdizio ale,
ponendo il giudice in una posizione di dipendenza necessaria dai risultati della scienza».
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P op io l’esigenza (non soddisfatta) di una informazione completa, non reticente e comprensibile, è
alla base della pretesa risarcitoria avanzata dalla donna. Nel caso in esame, tuttavia, lo schema del
consenso informato non è perfettamente applicabile: il test diagnostico cui la gestante è sottoposta
non è infatti qualificabile co e u a o pe o so te apeuti o, e pu i ve e esse e i uad ato t a gli
strumenti di medicina predittiva, volti a fornire valutazioni prognostiche sulla presenza di malformazioni genetiche del feto8.
La natura del test diagnostico e il periodo della gravidanza in cui viene effettuato (la sedicesima settimana) suggeriscono la sua ratio: quella di valutare (in tempo utile, e con minore pregiudizio per il
benessere fisico e psichico della gestante) la presenza di gravi malformazioni nel feto e dunque
l’eve tualità di u a i te uzio e della g avida za. Rispetto a tale uad o si i esta o due va ia ili,
o siste ti el g ado di atte di ilità di uest’ulti o e ella apa ità del sa ita io di i te p etarne in
modo corretto i dati9.
Su questo punto, i ricorrenti allegano una situazione di avviamento al parto in assenza di approfondi e ti pu e a f o te di valo i o assi u a ti fo iti dagli esa i e ato hi i i, o o segue te
violazio e dell’o ligo di dilige za ell’ade pi e to delle o ligazio i i e e ti all’ese izio di
u ’attività p ofessio ale a t.
6 . . , ife ito ad u a p estazio e i pli a te la soluzio e di p o lei te i i di spe iale diffi oltà, i p ese za dei uali il p estato e d’opera risponde solo in caso di dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.).
Più he l’esiste za di u o se so i fo ato, l’a alisi dell’i te zio e del legislato e el o figu a e
u a
ate ità os ie te e espo sa ile a pe ette e di valuta e o est e o favo e la più ampia
acquisizione di informazioni in merito allo stato di salute del nascituro: stato che inevitabilmente si
riverbera sulla salute psico-fisica della gestante.
I due o ie ta e ti giu isp ude ziali o t asta ti i o di e al o te uto dell’o e e p obatorio della
donna rispetto alla sua volontà di interrompere la gravidanza (acquisite informazioni in merito
all’esiste za di g avi alfo azio i del feto o
etto o i dis ussio e il fatto he la as ita di u
bambino malformato possa determinare un pregiudizio alla salute psico-fisica della donna. Divergono, invece, sotto il profilo del riconoscimento della libertà di autodeterminazione della donna rispetto all’a uisizio e della otizia della p ese za di g avi alfo azio i el feto. I i o e ti i hiamano
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10
Cass. n. 6735/2002; Cass. n. 14488/2004 ; Cass. n.13/2010 e Cass. n. 15386/2011.
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un orientamento più risalente della Cassazione che, oltre a ritenere corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza ove informata delle gravi malformazioni del feto, ritiene sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa – ove informata- di quella facoltà10. La gravità della condizione psico-fisica in cui si trovi la donna che abbia acquisito tali informazioni in merito
allo stato di salute del feto determina inoltre che ricorrano implicitamente le condizioni per
l’i te uzio e della g avida za a he olt e il ova tesi o gio o. Il se o do o ie ta e to della Cassazio e fatto p op io dalla Co te d’Appello fio e ti a el espi ge e la i hiesta di isa i e to itiene che la mera richiesta di sottoposizione ad un accertamento diagnostico non sia sufficiente a far
p esu e e la volo tà della gesta te di o ie ta si ve so l’i te uzio e di g avida za, ostitue do u
indizio isolato, he e essita di esse e o pletato o ele e ti ulte io i da sottopo e all’esa e del
giudice.
Sembra utile rilevare che, anche rispetto alla tempestiva acquisizione di informazioni non rassicuranti
i
e ito alla salute del feto si i po ga alla do a u a situazio e di s elta t agi a : uella t a il portare avanti la gravidanza nella consapevolezza che il figlio nascerà malformato e il ricorrere
all’i te uzio e della g avida za pe h i p ese za di tali alfo azio i fetali il pe o so di u a g avidanza (in ipotesi, anche fortemente voluta) non appare ad essa più praticabile (per le ragioni più
varie, private, insondabili e – in ragione della difficoltà di tale scelta - insindacabili). In questo difficile
sentiero che si pone tra le due alternative ha modo di esprimersi la libera autodeterminazione della
donna.
Cosa accade, invece, quando essendosi sottoposta ad esami diagnostici la donna non riceva (pur in
presenza di risultanze ambigue) adeguata e completa informazione sullo stato di salute del feto, e
prosegua la gravidanza dando alla luce un neonato malformato? La scelta tragica si ripropone, nello
schema di una valutazione ex post della libertà di autodeterminazione di cui la donna sarebbe stata
titolare, e che è risultata violata. Nella formulazione della richiesta risarcitoria nei confronti
dell’o issio e dei sa ita i, l’a piezza dell’onere probatorio richiesto fornisce la misura della soluzioe he possa o figu a si a etta ile pe l’o di a e to giu idi o.
Lasciando per un momento sullo sfondo il fatto che, nel presente caso, i medici abbiano omesso di rilevare una malformazione preesistente (la sindrome di Down consiste infatti in una malformazione di
carattere genetico) e da essi in alcun modo provocata, con le problematiche in materia di nesso causale he e de iva o, a pa e e di hi s ive appa e evide te he l’o ie ta e to della Corte di Cassazio e i te i i di o e e p o ato io legge o a a i o della do a he a ia dato alla lu e u eo ato alfo ato, i asse za di i fo azio i ispetto a isulta ze diag osti he he l’av e e o i dotta
ad interrompere la gravidanza, risulti oltre che maggiormente protettivo nei confronti della donna,
oe e te o l’i pia to o di a e tale.
Il legislatore ha infatti stabilito che la gestante abbia la possibilità, in presenza delle condizioni richieste, di interrompere volontariamente la propria g avida za. L’i te uzio e pu avve i e a he olt e il
novantesimo giorno di gestazione se ricorra un grave pregiudizio alla salute psico-fisica della donna
i du ia e te i ollega ile a he all’a uisizio e della otizia di g avi alfo azio i el feto . La
presenza di queste condizioni disegna il perimetro entro cui si esprime la libera autodeterminazione
della do a ella s elta di i te o pe e o e o la p op ia g avida za. L’o issio e di i fo azio i u-
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
3.La legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria
Di estremo interesse è la seconda questione, rispetto alla quale è maturato un significativo e «marcato» contrasto giurisprudenziale, riguardante la legittimazione del nato a pretendere il risarcimento
del danno a carico del medico e/o della struttura sanitaria che con il proprio inadempimento abbia
privato la gestante di ricorre e all’i te uzio e volo ta ia della g avida za14.
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11
Si segnala, in proposito, Cass. n.12830/2014 che, pur nel diverso ambito del danno da intervento di chirurgia
estetica (intervento medico non necessario in cui il paziente insegue un risultato non declinabile in termini di
tutela della salute), individua la lesione del diritto ad una libera e consapevole autodeterminazione ex se, pur in
presenza di un intervento correttamente eseguito che tuttavia determini un inestetismo più grave di quello che
si mirava a eliminare o attenuare. In quella pronuncia viene, in particolare, sottolineata la necessità di una
informazione puntuale, completa e capillare funzionale a consentire al paziente di scegliere tra il rifiuto
dell’i te ve to o la sua a ettazio e o e do il is hio del peggio a e to delle p op ie o dizio i esteti he .
12
Come precisato da Cass. n. 4440/2004; Cass. n. 3999/2003; Cass. n.2667/1993, la chance (distinta dalla mera
aspettativa di fatto pu esse e defi ita o e l’o asio e favo evole di o segui e u isultato va taggioso
sotto il p ofilo dell’i e e to di u ’utilità o della sua a ata di i uzio e. Con particolare riferimento alla
colpa medica e alla perdita di chance si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia, II sezione
civile, 23 febbraio 2014, n.338, in cui viene rilevata una ontologica differenza tra domanda da perdita di chance
e domanda di risarcimento del danno futuro da mancato raggiungimento di un risultato sperato, non potendo
«la prima essere considerata un minus della seconda, mutando la causa petendi (possibilità di conseguire un
risultato nella chance, perdita del risultato nel danno futuro), il petitum (risarcimento commisurato a perdita
nella chance, perdita tout court el da o futu o e l’o e e della p ova pe la pa te he ella lesio e di
chances riguarda la perdita non trascurabile di raggiungere il risultato, mentre nel danno futuro riguarda il fatto
che, ove fosse stato tenuto il comportamento legittimo, il risultato sarebbe stato raggiunto)». In conformità
o Cass. . 6 9/
, il T i u ale di Reggio E ilia ileva l’esiste za di u doppio i a io ausale he
esprime due diverse dimensioni di analisi del rapporto causale rilevanti ai fini civilistici: la causalità civile
o di a ia attestata sul ve sa te del più p o a ile he o e he ha ad oggetto il da o pe la pe dita del
bene leso) e la causalità da perdita di chance (che si attesta sul versante della mera possibilità di
conseguimento di un diverso risultato, da intendersi come sacrifico della possibilità di conseguirlo). Sulla
pe dita della ha e di alle ta e to dell’esito e ta e te i fausto di u a alattia (intesa come danno in sé
risarcibile), de iva te dall’e ata ese uzio e di u i te ve to hi u gi o, f ., da ulti o, Cass. . 9 /
.
13
Come rilevato da G. CRICENTI, Il danno da nascita indesiderata rimesso alle Sezioni Unite (per le ragioni
sbagliate), in Diritto civile contemporaneo, 9 marzo 2015.
14
Questo i t e io t ae o igi e dal i o os i e to, el ost o o di a e to, dell’i te esse alla ate ità
os ie te e espo sa ile. L’ese izio di tale i te esse «spetta i evita il e te solo alla ad e, a tale i te esse
così oggettivato è anche del figlio. La madre, in questo modo, esercita un diritto jure proprio e decide
presuntivamente per il meglio anche nei confronti del figlio, ma oltre alla tutela della madre esiste anche una
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tili ad o ie ta e il di itto all’autodete i azio e della donna in tale scelta determina la lesione di un
diritto che, se fossero state acquisite, avrebbe potuto essere esercitato11. Nella sua versione basica e
minimale (a prescindere dalla sua valutazione in termini di regolarità causale che configura come vii o alla p o a ilità il i o so all’i te uzio e volontaria della gravidanza) la lesione, derivante da tali
omesse informazioni, del diritto di autodeterminazione della donna, si configura come un danno da
perdita di chance12.
Il secondo orientamento della Cassazione, invece, prevede un onere probatorio più intenso, richiedendo la prova della effettiva volontà di abortire: una ulteriore prova di difficile acquisizione, che peraltro si configura come un elemento estraneo allo schema del danno risarcibile13.
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Due almeno gli ordini di problemi, riguardanti: a) il collegamento tra la soggettività giuridica del concepito e la titolarità del diritto al risarcimento in capo al nato; b) il diritto di cui viene lamentata la lesione: il diritto a non nascere o a non nascere se non sano (la cui titolarità spetterebbe al concepito)
o il diritto alla salute del ato alfo ato, app ese tato dall’i te esse ad allevia e la p op ia o dizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità15?
Appa e utile soffe a si, i p i o luogo, sul di itto alla salute del o epito. Quest’ultimo, come ha
avuto odo di ileva e u a isale te dott i a, se za du io i dividuo ai se si dell’a t. Cost. e
pertanto titolare del diritto alla salute16 e potrà essere risarcito se questa venga compromessa da un
negligente comportamento dei medici17.
Co e stato ilevato, «il dettato ostituzio ale … o adotta filt i o ativi el i o os e e i di itti i viola ili dell’uo o , o se te[ do] di getta e lu e sull’i
agi e atu ale del o epito, i pedendo di negargli la qualità di uomo, sia pure di uo o i fo azio e »18.
L’affe azio e della soggettività giu idi a del o epito a he i
odo espli ito da pa te del legislato e, o e avvie e ell’a t. , o
a della l. /
laddove p evisto he «al fi e di favo i e la
soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita , alle condizioni e secondo le modalità previste dalla
presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito») non equivale,
tuttavia, all’auto ati o i o os i e to della apa ità giu idi a i apo a uest’ulti o. La dott i a più
atte ta ha, pe ta to, avvisato ell’att i uzio e di tale soggettività la ottu a del dog a soggettività/capacità giu idi a, esp i e do la soggettività, piuttosto, l’appa te e za al ove o degli i dividui
meritevoli di protezione in relazione ai principi fondamentali riconosciuti in Costituzione19.
A considerazioni analoghe giunge la Corte di Cassazione, indicando come debba «oggi intendersi per
soggettività giu idi a u a ozio e se z’alt o più a pia di uella di apa ità giu idi a delle pe so e fisiche (che si acquista con la nascita ex art. 1, comma 1, c.c.), con conseguente non assoluta coincidenza, da un punto di vista giu idi o, t a soggetto e pe so a …. . I tale o testo, il as itu o o oncepito risulta comunque dotato di autonoma soggettività giuridica (specifica, speciale, attenuata,
provvisoria o parziale che dir si voglia) perché titolare, sul piano sostanziale, di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, il diritto alla salute o integrità psico-fisi a, il di itto all’o o e
o alla eputazio e, il di itto all’ide tità pe so ale, ispetto ai uali l’avve a si della condicio juris della
as ita e a t. , o
a , . . …
o dizio e i p es i di ile pe la lo o azio a ilità a fi i isa ito20
ri» .
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tutela oggettiva del nascituro, in quanto rientra nella tutela della procreazione cosciente e responsabile», P.G.
MONATERI, Il danno al nascituro e la lesione della maternità cosciente e responsabile, in Corriere giuridico,
/
, 6 . Più espli ita e te, Cass. . 6
/
pa la di p opagazio e i te soggettiva dell’ille ito.
15
Secondo la definizione che si riscontra in Cass. n. 16754/2012.
16
N. COVIELLO, La tutela della salute dell’individuo concepito, in Diritto di famiglia e delle persone, 1978, 245 ss.
17
Cass. n. 11503/1993.
18
F. D. BUSNELLI, L’inizio della vita u ana, in Rivista di diritto civile, 1/2004, 562, che a sua volta riprende
espressioni utilizzate da G. OPPO, L’inizio della vita u ana, in Rivista di diritto civile, 1982, 512.
19
P. ZATTI, Diritti del non-nato e immedesimazione del feto nella madre, quali ostacoli per un affidamento del
nascituro, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1999, I, 115.
20
Cass. n. 10741/2009.
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
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21
Cass., n. 14488/2004, orientamento confermato da Cass., n. 16123/2006.
M. CAVINO, Il diritto a non nascere. Italia e Francia a confronto, in M. CAVINO, C. TRIPODINA (ed.), La tutela dei
diritti fonda entali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: casi difficili alla prova, Milano, 2012, 16-17.
23
Cass. n. 9700/2011.
24
Cass. n. 9700/2011.
25
Cass. n. 16754/2012.
26
G. FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, 35.
22
BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2015
Commentaries
Con riferimento al diritto a non nascere o al diritto a non nascere se non sani, la Corte di Cassazione
ha precisato che, ferma restando la tutela dell’e
io e fi dal o epi e to, possi ile o figu ae solta to u di itto a as e e sa i . Esso «sig ifi a he, sotto il p ofilo p ivatisti o della espo sabilità o t attuale, e t a o t attuale e da o tatto so iale (cfr. Cass, n. 589/1999), nessuno può
procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso) e, sotto il profilo – in senso lato – pubblicistico, che siano predisposti quegli istituti normativi o
quelle strutture di tutela, di cura ed assiste za della ate ità, ido ei a ga a ti e, ell’a ito delle
umane possibilità, la nascita sana. Non significa invece, come ritengono i ricorrenti, che il feto, che
p ese ti g avi a o alie ge eti he, o deve esse e las iato as e e »21.
Se a livello giu isp ude ziale il di itto a o as e e se o sa o o vie e i o os iuto, la dott i a
più atte ta ha avuto odo di ileva e o e l’a
issio e del as itu o al isa i e to pe o dotte
spese dai medici prima del suo concepimento e che abbiano provocato malformazioni congenite riconosca, in sostanza, il diritto a non nascere se non sano22.
Con riferimento alla soggettività giuridica del concepito, da un lato, e al diritto a non nascere se non
sano, un orientamento più radicale nega la soggettività giuridica del concepito23 e, in ogni caso, defiis e il di itto a o as e e o a o as e e se o sa o o e u di itto adespota : p ivo di titola e
fino al momento della nascita e non più esercitabile dopo di essa.
Gli orientamenti più recenti espressi dalla Corte di cassazione individuano come recessivo il problema
della attribuzione di una soggettività giuridica al concepito, valorizzando invece la posizione del soggetto nato e dunque giuridicamente capace, il quale può far valere il diritto al risarcimento per la violazio e del di itto all’autodete i azio e della ad e, dole dosi del p op io stato di i fe ità he
sarebbe mancato se non fosse nato)24 e, ancora più radicalmente, può far valere il diritto al risarcie to del da o o siste te ell’esse e ato o sa o. Quest’ulti o app ese tato dall’i te esse
ad alleviare, in prospettiva, la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della
personalità25.
La richiesta di risarcimento del danno associa due profili: quello della violazione del diritto
all’autodete i azio e della ad e e uello del di itto alla salute del ato alfo ato, i u a i edita ricostituzione della tutela di entrambi come obiettivo unitario26, anche se soltanto dal punto di vista risarcitorio e a nascita ormai avvenuta.
269
Lucilla Conte
Commentaries
270
. Inade pi ento del edico tra danno da nascita indesiderata e danno da nascita
alfor ata : problematiche relative alla configurazione del nesso causale
27
P.G. MONATERI, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2001, 107.
M. CAVINO, op. cit., 21.
29
La problematica applicazione in campo civilistico del principio penalistico sulla equivalenza tra condotta
omissiva e omissiva, con particolare riferimento al corretto accertamento del nesso di causa in sede di illecito
aquiliano da condotta omissiva del sanitario, non è estranea alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. In
particolare, essa ha sottolineato come il tema del nesso causale in sede civile debba essere «destinato
28
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Il nesso di causa giuridico si caratterizza per la polivalenza delle funzioni cui assolve: restringendo o
a plia do l’a ea dei da i isa i ili; selezio a do gli i te essi ileva ti ai fi i della tutela isa itoria27.
È p op io l’attitudi e della ausalità giu idi a ad a da e olt e la e a ausalità ate iale o o atenazione fattuale degli eve ti, dete i a do l’este sio e della espo sa ilità dei soggetti i tale oncatenazione coinvolti, a qualificarla come giudizio di valore. Il concetto giuridico di causalità si configura dunque come il risultato «di un giudizio di valore intorno alle molte cause produttrici di un evento stabilendo quali siano rileva ti pe i fi i he l’o di a e to i te de pe segui e»28.
Anche in questo caso, si rileva un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione con riferimento alla pretesa risarcitoria avanzata dai genitori del nato malformato (in relazione al danno da
nascita indesiderata) e con riguardo alla pretesa risarcitoria avanzata dagli stessi genitori in nome e
per conto del nato malformato (in relazione al danno da nascita malformata considerato nella sua
prospettiva evolutiva). Come si è avuto modo di rilevare, risulta difficilmente contestabile che
l’o essa o i o pleta i fo azio e da pa te del edi o elativa a g avi alfo azio i del feto si
configuri come causa della mancata determinazione della gestante a ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza. E ciò avviene sulla base di un giudizio di prevedibilità c.d. obiettiva (sulla base
delle conoscenze statistiche e scientifiche disponibili), essendo in questione al più il contenuto (più o
e o a ti olato dell’o e e p o ato io i hiesto alla ad e.
Diversa e più problematica risulta la configurazione del nesso causale in relazione alla richiesta di risarcimento avanzata dal nato malformato e derivante dalla lesione al proprio diritto alla salute, dete i ata s dal a ato i o so all’i te uzio e di g avida za da pa te della ad e o po tata a
conoscenza della malformazione del feto, ma anche considerabile in via autonoma come ristoro per
la prospettiva di una vita malformata e non pienamente sviluppabile nelle sue potenzialità (inerenti
in primis il p ofilo della dig ità pe so ale i o os iute dall’a t. Cost. p i a a o a he dall’a t.
Cost.
Su questo versante, il criterio della causalità giuridica come giudizio di valore è senza dubbio messo
alla prova con riferimento alla condotta omissiva del medico. È noto il principio penalistico espresso
dall’a t. , o
a , .p. pe ui o i pedi e u eve to, he si ha l’o ligo giu idi o di i pedi e,
equivale a cagionarlo. Nel caso in cui il medico determini con la propria condotta malformazioni nel
feto, od ometta di rilevare malformazioni fetali, non è ascrivibile a questi un obbligo giuridico di evita e l’eve to- as ita. L’o ligo he si i hiede al edi o di tipo i fo ativo, endendo edotta la gestante (unico soggetto titolare del diritto di interrompere la gravidanza) delle condizioni fetali, in ragio e alla tutela a o data dal ost o o di a e to alla ate ità os ie te e espo sa ile 29. La
Danno da nascita indesiderata e danno da nascita malformata:la parola alle sezioni unite
5. Conclusioni
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L’i p essione che si ricava è quella di una faticosa stratificazione giurisprudenziale, testimoniata dai
contrasti anche vistosi in essa presenti, volta in sostanza alla ripartizione delle quote del rischio derivante dalla nascita (indesiderata) di un soggetto malformato.
Non è un caso che i contrasti più significativi rilevati dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione
igua di o o le ollegate i hieste isa ito ie da u lato il o te uto dell’o e e p o ato io i hiesto alla donna relativamente alla sua determinazione ad interrompere la gravidanza ove informata
delle g avi alfo azio i ge eti he del feto e, dall’alt o, la sussiste za o e o di u esso ausale
t a l’o issio e del edi o el e de e le oppo tu e i fo azio i alla gesta te i
e ito a alformazioni del feto e la nascita di un soggetto malformato. Agli estremi di questo quadro si collocano: a)
l’o ie ta e to giu isp ude ziale he i hiede alla do a o solo di allega e alla p op ia i hiesta isarcitoria per il danno da nascita indesiderata la domanda di accertamento diagnostico, ma anche la
prova (dal sapore diabolico, se pure effettuabile per espressa previsione giurisprudenziale con qual-
i evita il e te a isolve si e t o i più p ag ati i o fi i di u a di e sio e sto i a o, se si vuole, di politi a
del di itto, he … di volta i volta i dividue à i te i i dell’ast atta i o du i ilità delle o segue ze da ose
delle p op ie azio i i apo all’age te, se o do u p i ipio guida he pot e e esse e fo ulato, all’i i a, i
te i i di ispo de za, da pa te dell’auto e del fatto ille ito, delle o segue ze he
o al e te
discendono dal suo atto, a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere
o la possibilità di agire». (Cass. civ. S.U., n. 21619/2007). Inoltre, «ciò che muta sostanzialmente tra il processo
pe ale e uello ivile la egola p o ato ia, i ua to el p i o vige la egola della p ova olt e il agio evole
dubbio (cfr. Cass. pen. S.U. n.30328/2002, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza
dell’evide za o del più p o a ile he o , sta te la dive sità dei valo i i gio o el p o esso pe ale t a a usa
e difesa, e l’e uivale za di uelli i gio o el p o esso ivile t a le due pa ti o te de ti» Cass. iv., ì.U.,
n.581/2008).
30
M. CAVINO, op. cit., 23.
31
Court de Cassation, Assemblée Plenière, decisione n. 99-13701 del 27 novembre 2000, su cui cfr. M. CAVINO,
op. cit., 26 ss.
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trasmissione di tali informazioni pu o du e a due esiti alte ativi: l’i te uzio e volo ta ia della
gravidanza, ricorrendone i presupposti di legge, o la prosecuzione della stessa.
La mancata trasmissione di tali informazioni, con conseguente lesione del diritto
all’autodete i azio e della donna nella scelta se proseguire o meno la propria gravidanza a fronte
di gravi malformazioni fetali, è valutata dalla Corte di Cassazione, nelle sue più recenti pronunce, come un omissione che si inserisce nello schema della causalità giuridica, legittimando, a un tempo, la
pretesa risarcitoria in ordine al danno da nascita indesiderata e al danno da nascita malformata.
A nulla rileva la differenza, puntualmente riscontrata in dottrina30, t a l’o issio e dell’i fo ativa i
ordine ad una malformazione ge eti a p eesiste te e o p ovo ata dal edi o e l’o issio e
dell’i fo ativa i o di e ad u a alfo azio e ge eti a p ovo ata da u o po ta e to o
issivo del sanitario (per esempio, la somministrazione di un farmaco in gravidanza o, come nel celebre
Affaire Perruche31, l’avvia e to al pa to di u a do a he aveva o t atto la osolia t as ette dola
al feto (eventualità invece esclusa dal medico che aveva ritenuto il contagio avvenuto in una fase
precedente il concepimento).
271
Lucilla Conte
Commentaries
272
siasi ezzo ido eo dell’effettivo ese izio del di itto di i o e e all’a o to; l’o ie ta e to giurisp ude ziale he itie e sussiste te il esso ausale t a l’o issio e di i fo azio i i
e ito alla p esenza di anomalie genetiche riscontrate o riscontrabili nel feto (e dal medico in alcun modo provocate) e la nascita di un soggetto malformato che rivolga a questi una richiesta risarcitoria non solo per
la nascita malformata ma anche per le prospettive di vita ad essa collegate.
Questi due orientamenti-limite, a partire dai quali e nelle ulteriori declinazioni in cui sfumano, le Sezioni Unite saranno hia ate a p o u ia si, ispo do o o a all’esige za di u a il più possi ile ilaniata ipa tizio e del is hio de iva te da u a as ita i deside ata il aso dell’o e e p o ato io ichiesto alla madre), ora alla funzione (anche) solidaristica del risarcimento per il danno da nascita
alfo ata
il aso dell’i uad a e to della o dotta o issiva del edi o elativa al ilievo di
malformazioni genetiche preesiste ti el feto, o u ue i o dotta all’i te o del esso ausale he
determina una nascita malformata). E lo fanno con le incertezze, gli scostamenti e i revirements che
caratterizzano una giurisprudenza non ancora assestata su questi temi.
La p ese za di uesto uad o giu isp ude ziale ag ati o ua do o vis hioso
o dov e e
distogliere l’atte zio e dall’esige za he ai giudi i sop attutto di e ito sia o fo ite oo di ate il
più possi ile oe e ti i o di e alla dete i azio e dell’an della pretesa risarcitoria (con una più
puntuale definizione dei fatti idonei ad entrare nel rapporto di causalità anche omissiva) e del suo
quantum (la cui determinazione è idonea a rispondere a esigenze di carattere solidaristico, tenendo
alt es o to dell’a iguità e della diffi oltà i te p etative he il edi o possa i o t a e ella valutazione dei riscontri diagnostici, conformi alla speciale difficoltà dei problemi che è chiamato a risolvere ex art. 2236 c.c.).
A questa operazione di riordino e sistemazione sono chiamate le Sezioni Unite con la presente ordinanza, ma non è estraneo neppure il legislato e. Ad esso i fatti spetta «l’i po ta te e legitti o i teresse p ese va e e p otegge e la salute della gesta te … he e hi il pa e e e le u e di u
edi o»
e l’alt etta to «i po ta te e legitti o i te esse a p otegge e la pote zialità della vita u ana»32, affermando in via generale le opzioni di valore condivise nella società33.
L’i te ve to – congiunto, se pure secondo tempi e modalità diverse – del legislatore e delle Sezioni
Unite nella loro funzione chiarificatrice e orientativa sembra davvero auspicabile di fronte ad un caso
doppiamente tragico, in cui ciò che non è stato si contrappone, ferocemente, a ciò che invece è; e la
soluzione non può essere, nella sua tragica complessità, and she’s aking e feel like I’ve never een
born.
Co te ìup e a degli ìtati U iti d’A e i a, Roe v. Wade, 1973, X, in L’a orto nelle sentenze delle Corti
costituzionali, Milano, 1976, 97. Tra le pronunce più risalenti in tema di aborto, merita di essere ricordata
a he la ìe te za IVG del Co seil Co stitutio el D isio
. -54 del 15 gennaio 1975) con cui
uest’ulti o, di hia a do o fo e a Costituzio e la legge elativa all’i te uzio e volo ta ia della g avida za,
sa
l’auto o ia del si da ato di o ve zio alità dal si da ato di ostituzio alità, o la o segue te
possi ile disappli azio e, da pa te di ualsiasi giudi e, i o e do le o dizio i p eviste dall’a t. 55 della
Costituzione, della legge in contrasto con un Trattato internazionale.
33
M. CAVINO, op. cit., 39.
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32
Commento critico alla direttiva 2001/18/CE alla luce della direttiva 2015/412/UE
Eugenio Caliceti
THE CONCEPTS OF DELIBERATE RELEASE, PLACING ON THE MARKET AND OGM CULTIVATION: A CRITICAL COMMENT TO DIRECTIVE 2001/18/CE IN THE PERSPECTIVE OF DIRECTIVE 2015/412/UE
ABSTRACT: The article aims to evaluate the directive 2001/18 concerning the deliberate release into the environment of genetically modified organisms (GMOs). The
analysis reveals not only the internal inconsistency of the directive, but also identifies
the problems which characterize, firstly, the legal definition of «deliberate release»
of GMOs, secondly the notion of «placing on the market» of GMOs and thirdly the relation between the EU authorization to place GMOs on the market and the Member
State authority to ban the cultivation of GMO crops.
KEYWORDS: EU Directive 2001/18; deliberate release of GMOs; placing on the market
of GMOs; cultivation of GMO crops; cultivation ban on GMOs
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SOMMARIO: 1. La disciplina comunitaria sugli Organismi Geneticamente Modificati (OGM): prime annotazioni critiche. – 2. La di ettiva
/ : u ’a alisi agio ata dell’a ti olato. – 3. Le interpretazioni della direttiva e della
normativa nazionale di implementazione: Consiglio di Stato vs Cassazione penale. – 4. Note conclusive: quali
nozioni per una riforma della dir. 2001/18/CE?

Dottore di ricerca in studi giuridici comparati ed europei, Università degli Studi di Trento. Scritto sottoposto a
doppio referaggio anonimo.
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Commentaries
Le nozioni di emissione deliberata, immissione in commercio
e coltivazione di ogm: commento critico alla direttiva 2001/18/CE
alla luce della direttiva 2015/412/UE
273
Eugenio Caliceti
Commentaries
274
1. La disciplina comunitaria sugli Organismi Geneticamente Modificati (OGM): prime annotazioni critiche
L’
uso degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) è stato e continua ad essere
l’oggetto di u a eso di attito he ha fo te e te oi volto la pu li a opi io e1. Le argomentazioni, favorevoli e contrarie, sono colorate da venature tanto etiche quanto razionali, sia sociali che economiche e non hanno ancora trovato una sintesi nella coscienza collettiva
delle comunità (civili, politiche e scientifiche) coinvolte nel discutere il tema.
Il processo politico conclusosi, a livello europeo, con un accordo circa le condizioni, sostanziali e proedu ali, ui sottopo e l’uso di OGM si o piuto a avallo degli a i ova ta del se olo s o so. La
prima direttiva in materia venne emanata nel 19902, cui ne è seguita, a distanza di una decina di anni,
una seconda3, recentemente riformata4.
Il dibattito sulla disciplina degli OGM, in termini giuridici, si è sviluppato principalmente in due direzioni.
I p i o luogo la dis ipli a degli OGM ostituis e l’a ito appli ativo da ui desu e e, i te i i
concreti, quali siano i contenuti del principio di precauzione5. In tal senso «le tecniche di ingegneria
*
Dottore di ricerca in studi giuridici comparati ed europei.
Una piccola annotazione permette comprendere meglio il peso che la discussione sul tema ha avuto a cavallo
degli a i due ila. I ovi e ti he ha o p o osso u a fo te iti a all’espa sio e del odello eo-liberale, a
partire dagli anni novanta del secolo scorso, sono infatti stati individuati, almeno in un primo momento, come
le tute ia he i agio e degli i du e ti vestiti el p ati a e atti di sa otaggio ad attività he i piegava o
organismi geneticamente modificati. Tali indumenti erano quelli che, infatti, avrebbero dovuto proteggere gli
attivisti da fenomeni di potenziale contaminazione derivante dal contatto con sostanze considerate pericolose.
Fi dall’o igi e il tema degli OGM ha trovato, quindi, un forte punto di contatto con questioni di natura
ideologica e di portata generale. Ciò non solo perché le imprese biotech rappresentavano e rappresentano tuttora un obiettivo privilegiato per chi contestava e contesta le riarticolazioni transazionali del capitale, ma anche
per motivi di natura più teorica. La questione OGM era stata presentata come un tema nel quale la discrezionalità politica veniva ad essere esautorata dalla preminenza della tecnica. Il rapporto che dovrebbe sussistere tra
tecnica e politica costituisce, infatti, una delle questioni centrali nel comp e de e o solo l’opposizio e all’uso
di OGM, ma anche i movimenti di contestazione articolatisi a partire da quegli anni. Lo scenario confermava
quanto Foucault teorizzava nel descrivere il concetto di biopolitica (M. FOUCAULT, Nascita della biopolitica, Mila o,
. ìulla «esige za di de o atizza e l’expertise scientifico» si veda L. MARINI, OGM, precauzione e coesistenza, verso un approccio (bio)politicamente corretto?, in Rivista giuridica dell’a iente, 1, 2007, pp. 1-15.
2
Di .
ap ile 99 , . 9 /
/CEE, Di ettiva del Co siglio sull’e issio e deli e ata ell’a ie te di o ga is i
geneticamente modificati, in GUCE, 8 maggio 1990, n. L 117.
3
Dir. 12 marzo 2001, n. 2001/18/CE, Direttiva del Pa la e to eu opeo e del Co siglio sull’e issio e deli e ata
ell’a ie te di o ga is i ge eti a e te odifi ati e he a oga la di ettiva 9 /
/CEE del Co siglio, i
GUCE, 17 aprile 2001, n. L 106.
4
Dir. 11 marzo 2015, n. 2015/412, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva
2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di
organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio, in GUUE, 13 marzo 2015, n. L 68.
5
Sul principio, introdotto nei Trattati con Maastricht, si veda COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della
Commissione sul principio di precauzione, 2 febbraio 2000, COM
fi al, dispo i ile all’i di izzo
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52000DC0001&from=IT. Il medesimo principio
è stato applicato dalla Corte di Giustizia a partire dagli anni novanta. Sugli orientamenti espressi nella giurisprudenza comunitaria si veda P. PALLARO, Il principio di precauzione tra mercato interno e commercio internazionale: un’analisi del suo ruolo e del suo contenuto nell’ordina ento co unitario, in Diritto del commercio in1
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ternazionale, 1, 2002, pp. 15-70; R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario,
Milano, 2004, pp. 407 e ss.
6
L. MARINI, Principio di precauzione, sicurezza alimentare e organismi geneticamente modificati nel diritto comunitario, in Diritto dell’Unione europea, 1, 2004, p. 11.
7
Cfr. D. AMIRANTE, Il principio di precauzione tra scienza e diritto. Profili introduttivi, in Dir. gest. amb., 2001, pp.
18 e ss.
8
Non a caso la circolazione di prodotti geneticamente modificati sono stati al centro di una disputa tra USA e
UE, i a di ata p esso gli o ga is i dell’O ga izzazio e Mondiale del Commercio. Nel 2006 il panel si è pronunciato sulla moratoria messa in atto, dal 1998 al 2003, dagli Stati membri, ritenendo ingiustificate le misure
nazionali di sospensione delle importazioni e considerando illegittime le barriere commerciali apposte. Sulla vicenda si veda S. POLI, La controversia sugli organismi geneticamente modificati tra obblighi OMC e competenza
comunitaria, Napoli, 2008, pp. 97 e ss.; V. RANALDI, Il confronto tra Stati membri ed Unione Europea in materia
di ogm nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Diritto del commercio internazionale, 4, 2014, pp. 10421043; R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., pp. 457 e ss.
9
Cfr. L. GRADONI, La nuova direttiva comunitaria sugli organismi geneticamente modificati, in Diritto
comunitario e degli scambi internazionali, 4, 2001, p. 763.
10
L’auto izzazio e all’i
issio e i o
e io di u OGM, i aso di pareri discordanti tra Stati, avveniva per
tramite della procedura di regolamentazione in sede di Comitato. A fronte del mancato raggiungimento di
maggioranze qualificate, tanto in sede di Comitato quanto di Consiglio, la Commissione avrebbe potuto dispore l’o ligo di p o ede e all’auto izzazio e. Tali p o edu e e a o state sottoposte a fo ti iti he pe la lo o
scarsa trasparenza. Cfr. G. ROLLER, Esperienze recenti sulla Co itologia nella politica dell’a iente: riflessioni
e proposte per un miglioramento, in Rivista giuridica dell’a iente, 1, 2002, pp. 195 e ss. Si veda anche, in chiave critica, R. MANFRELLOTTI, L’a
inistrazione co unitaria nel settore delle iotecnologie, in Rivista giuridica
dell’a iente, 6, 2004, pp. 825-847. Ciò ha portato alla abrogazione della Decisione (CE) 28 giugno 1999, n.
468, avvenuta con il Reg. (CE) 16 febbraio 2011, n. 182.
11
Ad una congiunta articolazione del principio di precauzione con quello di sussidiarietà fa riferimento M.P.
BELLONI, Nel limbo degli OGM: tra divergenze interpretative e disciplinari, alla ricerca di un accordo tra Stati Uniti e Unione Europea. È questione di etichetta, ma anche di etica, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1, 2006, p. 152.
12
TCE, versione consolidata 1997, in GUCE, 10 novembre 1997, n. C 340, pp. 173-306.
13
In tal senso è corretto pensare alla prima direttiva sugli OGM come ad una norma sul «biocommercio», piuttosto che sulla «biosicurezza» (R. PAVONI, Misure unilaterali di precauzione, prove scientifiche e autorizzazioni
comunitarie al commercio di organismi geneticamente modificati: riflessioni in margine al caso Greenpeace, in
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ge eti a ostituis o o il te e o d’elezio e pe l’appli azio e del p i ipio p e auzio ale, te uto
o to delle vastissi e pote zialità e dell’appa e te asse za di li iti alle applicazioni di queste nuove
tecnologie»6. Un primo nucleo di annotazioni critiche è riferibile, quindi, al rapporto che deve sussistere tra scienza e diritto7. Da tale elazio e si desu o o, i fatti, i vi oli he deli ita o l’ese izio
della discrezionalità in ragione tanto di un canone costituzionale di ragionevolezza – cui è subordinata la decisione politica trasposta in atti giuridicamente vincolanti – quanto in virtù della non conformità della norma giuridica nazionale o comunitaria rispetto a obblighi assunti a livello internazionale8.
In secondo luogo la disciplina sugli OGM è al centro di un dibattito, in ambito europeo, circa il livello
di governo presso cui allocare, alla luce di un principio di sussidiarietà, competenze normative e amministrative9. La questione ha a che vedere non solo con i meccanismi decisionali adottati10, ma anche con il bilanciamento attuato, in sede comunitaria, tra i molteplici interessi sottesi alla disciplina,
alla luce di un principio precauzionale11. Le direttive cui si è fatto riferimento sono state emanate, infatti, ai se si dell’a t. 9 TCE12 (ora 114 TFUE)13. L’o iettivo pe seguito o sisteva, ui di, ella «in-
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Eugenio Caliceti
Commentaries
276
staurazione ed [ne]l funzionamento del mercato interno». Certamente il principio di libera circolazione di prodotti ge eti a e te odifi ati stato o side ato p evale te ispetto all’i te esse, posto i
capo ad ogni Stato membro, di determinare autonomamente una tutela rafforzata del bene ambiente in virtù di un procedimento decentralizzato di autorizzazione alla loro emissione in ambiente14. Tale prevalenza si è tradotta nel tendenziale accentramento, in sede comunitaria, della valutazione del
is hio a ie tale e sa ita io o esso all’auto izzazio e all’i
issio e i o
e io e all’uso di u
prodotto genetica e te odifi ato. ìeppu l’a t.
TFUE p eveda, i li ea teo i a, la possi ilità di
i t odu e o a te e e u a dis ipli a azio ale diffo e ispetto all’atto o u ita io di a o izzazione, tali ipotesi non possono che essere relegate in una prospettiva eccezionale. Il procedimento di
auto izzazio e o u ita ia all’e a azio e dell’atto de ogato io15 ha portato, al di fuori di un solo
caso16, a ite e e o fo e al di itto o u ita io l’opposizio e offe ta dalla Co
issio e ad og i
17
tentativo delle autorità statali di procedere in tal senso . Se, in via generale, un accentramento in
sede o u ita ia delle p o edu e di auto izzazio e o ti ua a egge e l’i pia to siste ati o della
direttiva, residualmente è stato recentemente attribuita agli Stati la possibilità di esercitare, in via
derogatoria, un potere capace di inibire la coltivazione di un OGM attraverso misure alternative rispetto alle ipotesi o te plate dai pa ag afi e , a t.
TFUE. Ai se si dell’a t. 6-ter infatti – introdotto con la Direttiva (UE), 11 marzo 2015, n. 412 – uno Stato può attualmente escludere il prop io te ito io o pa te di esso dall’a ito geog afi o i ui l’auto izzazio e all’i
issio e, o essa ai
se si della di ettiva, i pli a l’auto izzazio e alla oltivazio e, las ia do peraltro impregiudicata la libera circolazione del prodotto autorizzato. Tali provvedimenti si presentano legittimi nella misura in
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Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 4, 2000, p. 733). La prevalente matrice commerciale viene evidenziata anche da R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., p. 417.
14
Cfr. V. RANALDI, op. cit., p. 1013 e 1047. La stessa autrice rileva, peraltro, che le motivazioni di natura commerciale sono sostanzialmente alla base delle stesse posizio i soste ute dagli ìtati ell’oppo si alla oltivazio e
di OGM sul rispettivo territorio nazionale, nonostante la giustificazione formale venga ad essere addotta a ragioni di natura ambientale e sanitaria. Si veda V. RANALDI, op. cit., p. 1048.
15
TFUE, art. 114, paragrafo 6.
16
La Commissione, infatti, ha deciso di non contestare la misura portoghese – emanata nel 2010 con lo scopo
di proteggere la biodiversità – che ha vietato l’uso e l’i po tazio e di va ietà ge eti a e te odifi ate
sull’isola di Madeira. La decisione della Commissione è stata assunta nonostante, secondo il Panel dell’EFìA,
«non ci s[ia]no evidenze scientifiche che [giustifichino] il divieto di coltivare OGM» (il parere è disponibile
all’i di izzo http://www.efsa.europa.eu/en/scdocs/doc/1500.pdf) e seppur analoga disposizione non fosse
stata pensata per varietà non autoctone che, pur non essendo geneticamente modificate, avrebbero tuttavia
potuto minacciare il patri o io ge eti o di uelle oltivate sull’isola e f utto di u o spe ifi o p o esso di
adattamento.
17
Si veda Tribunale di primo grado, sentenza 5 ottobre 2005, cause riunite T-366/03 e T-235/04, Land Oberösterreich e Repu lica d’Austria/Co
issione, confermata da Corte di Giustizia (Terza Sezione), sentenza 13
settembre 2007, cause riunite C-439/05 e C-454/05. In dottrina si veda S. POLI, Legislazioni anti-OGM degli Stati
membri e mercato interno: il caso austriaco, in Diritto dell’Unione europea, 2004, pp. 365 e ss.; M. POTO, Nuovi
sviluppi, normativi e giurisprudenziali, in materia di organismi geneticamente modificati, in Responsabilità Civile
e Previdenza, 1, 2008, pp. 45 e ss; S. POLI, La controversia sugli organismi geneticamente modificati tra obblighi
OMC e competenza comunitaria, cit., pp. 85 e ss.; V. RANALDI, op. cit., p. 1021; R. PAVONI, Biodiversità e
biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., pp. 464 e ss.
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18
I termini utilizzati indicano chiaramente che la legittimità delle misure nazionali sarà valutata ricorrendo alla
giu isp ude za della Co te di Giustizia o solidatasi sull’i te p etazio e dell’a t. 6 TFUE.
19
Cfr. L. GRADONI, op.cit., p. 761.
20
Si tratta di Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza 19 gennaio 2010, n. 183, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2010,
pp. 188 e ss. e Cassazione Penale, sentenza 21 maggio 2012, n. 19251, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2012, pp.
765 e ss.
21
Per un commento della direttiva si veda P. BORGHI, Biotecnologie, tutela dell’a iente e tutela del
consumatore nel quadro normativo internazionale e nel diritto comunitario, in Rivista di diritto agrario, I, 2001,
pp. 365-409; A. ODDENINO, La disciplina degli organismi geneticamente modificati, il quadro del diritto
comunitario, in R. FERRARA, I.M. MARINO (a cura di), Gli organismi geneticamente modificati, sicurezza alimentare
e tutela dell’a iente, Padova, 2003, pp. 91 e ss.; D. DI BENEDETTO, La disciplina degli organismi geneticamente
modificati tra precauzione e responsabilità, Napoli, 2011, pp. 44 e ss.; L. GRADONI, op.cit., pp. 735-764; A.
GERMANÒ, Biotecnologie in agricoltura, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento,
Torino, 2003, pp. 189-198; R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit.,
pp. 396 e ss.; E. TSIOUMANI, Genetically Modified Organisms in the EU: Public Attitudes and Regulatory
Developments, in RECIEL, 2004, pp. 279-288; D. FRANCESCON, The new Directive 2001/18/EC on the Deliberate
Release of Genetically Modified Organism into the Environment: Changes and Perspectives, in RECIEL, 2001, pp.
309-320.
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cui siano emanati «per motivi imperativi»18, casisticamente menzionati, e siano «conformi al diritto
dell’U io e, otivat[i] e rispettos[i] dei principi di proporzionalità e di non discriminazione».
I profili critici sollevati dalla dottrina rispetto alla disciplina europea sugli OGM si sono sviluppati,
quindi, principalmente con riferimento a tali due nuclei tematici: natura e contenuti del principio di
precauzione e allocazione delle competenze normative, strettamente collegata ad un bilanciamento
di interessi orientato a favorire un mercato unico dei prodotti biotecnologici19. Alle critiche rivolte alle soluzioni indicate dal legislatore comunitario – che hanno una propria valenza giuridica nella misura in cui vi possa essere violazione tanto di un canone costituzionale di ragionevolezza, quanto di una
norma di natura pattizia assunta a livello internazionale – si sommano le perplessità derivanti da
u ’app ofo dita lettu a del dispositivo. A
ette do he la ifo a e e te e te attuata a ia isolto le uestio i p o le ati he ife i ili all’allo azio e delle fu zio i a
i ist ative ave ti ad oggetto l’auto izzazio e alla oltivazione di OGM, permangono una serie di fattori che rendono poco
chiare le nozioni contenute nella direttiva. Tali difetti si riflettono in differenti interpretazioni che essa può legittimamente suscitare. Tali letture alternative sono state accolte, negli ultimi anni, in due
orientamenti espressi, rispettivamente, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, da un lato, e della
Cassazio e pe ale dall’alt o e di ui so o esp essio e pa adig ati a le due se te ze he ve a o i
prosieguo citate20.
Tali incertezze – che attengono, come si è detto, più a problemi di tecnica legislativa e di coerenza inte a dell’atto o ativo he o alle s elte politi he assu te o e fo da e to della di ettiva stessa – sono state raramente evidenziate in dottrina21. U ’a alisi agionata del dispositivo non può che
partire dalle nozioni di immissione in commercio e di emissione deliberata. Questi due concetti costituiscono il punto di partenza per valutare la tenuta della normativa, ossia la sua coerenza logica, rispetto ad alcune fattispecie, nelle quali si manifesta uno scollamento tra la volontà politica sottesa
all’atto e gli esiti giu idi i ui la sua st etta appli azio e o du e. Quello he si fa à el p osieguo del
p ese te lavo o o siste ell’evide zia e i pu ti iti i he sorreggono tali divergenze, a partire da
u ’a alisi lette ale del testo.
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278
2. La diretti a
1/18: un’analisi ragionata dell’articolato
2.1. I considerando
22
Considerando n. 32, Dir. (CE) 2001/18.
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Nei o side a do della di ettiva e e ge l’uso di u o etto he o vie e poi defi ito,
e zionato, quello di «immissione in ambiente». Ai sensi del settimo considerando, infatti, si presenta coe « e essa io [il] avvi i a e le legislazio i degli ìtati e
i igua da ti l’i
issio e deli e ata
ell’a ie te di OGM». Il fi e pe seguito, he isulta peraltro chiaro, consiste nel «garantire il corretto sviluppo dei prodotti industriali che utilizzano OGM». Alla medesima nozione fa riferimento anche
il ua to o side a do, se o do il uale «[g]li o ga is i vive ti i
essi ell’a ie te i g a di o
piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi
olt e le f o tie e azio ali, i te essa do os alt i ìtati e
i». L’e tità dei da i p odotti
dall’i
issio e i a ie te, i o os iuti dalla di ettiva o e potenzialmente «irreversibili» e transfrontalieri, indurrebbe a far ritenere che le autorità nazionali non abbiano la competenza per procede e auto o a e te, p es i de do ui di da u a p o edu a o u ita ia, all’auto izzazio e
all’i
issio e i a ie te. Ciò, come si vedrà, non corrisponde a quanto stabilito dalla direttiva nella parte B. La nozione di «immissione in ambiente» pare sovrapporsi a quella di «introduzione in ambiente», menzionata nel ventiquattresimo considerando. In esso si esprime uno dei fondamenti che
soste go o la filosofia dell’i te ve to o ativo: uella pe ui l’i t oduzio e o eglio l’e issio e
in ambiente dovrebbe avvenire per gradi, diminuendo «il confinamento di OGM» e aumentando
«p og essiva e te la di e sio e di e issio e […] solo se la valutazione del grado precedente, in
te i i di p otezio e della salute u a a e dell’a ie te, i di a he possi ile passa e al g ado successivo».
Immissione ed introduzione in ambiente sono nozioni che si sovrappongono a quelle che invece sono
esp essa e te defi ite e su essiva e te utilizzate ell’a ti olato. Esse o sisto o ei o etti di
«e issio e deli e ata i a ie te» e di «i
issio e i o
e io». Quest’ulti a ope azio e omp e de, ai se si dell’u di esi o o side a do, a he l’i po tazione. Da tale affermazione è possibile desu e e, a o t a io, l’es lusio e delle attività di esportazione.
La relazione che lega le nozioni di immissione in commercio e di emissione deliberata risulta, nei considerando, abbastanza chiara. Il venticinquesi o o side a do affe a he «[ ]essu OGM […] p ogettato pe l’e issio e deli e ata dov e e esse e i
esso sul e ato se za p i a esse e stato
sottoposto, nella fase di ricerca e di sviluppo, ad idonee verifiche sul campo negli ecosistemi che potrebbero esse e i te essati dal suo utilizzo». Da i
possi ile desu e e he l’i
issio e i ommercio dovrebbe essere operazione necessariamente conseguente ad una prima emissione deliberata. A sua volta, le successive emissioni di un OGM immesso in commercio, ove esse rappresentino
«l’uso p evisto di tale p odotto»22, dovrebbero essere, ai sensi del trentaquattresimo considerando,
egualmente autorizzate, in seguito ad opportuna notifica da parte del richiedente. In questo senso
«non devono essere effettuate emissio i deli e ate di OGM se za il o se so dell’auto ità o petente». Le correlazioni che si configurano ribadiscono la tendenziale complementarietà delle due nozioni, riconfermata anche dal trentaduesimo considerando, per il quale «[q]ualsiasi persona che in-
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2.2. segue: Le nozioni di emissione deliberata e di emissione deliberata per fini diversi
dall’i
issione in co
ercio
Le indicazioni ritraibili dalla lettura dei considerando suscitano qualche perplessità alla luce delle definizioni ipo tate ell’a t. . Esso i dividua l’e issio e deli e ata o e « ualsiasi i t oduzio e inte zio ale ell’a ie te di u OGM o u a o i azio e di OGM pe la uale o ve go o usate isure specifiche di confinamento, al fine di limitare il contatto con la popolazio e e o l’a ie te e
pe ga a ti e u livello elevato di si u ezza pe uesti ulti i». U ’ulte io e i di azio e vie e offe ta
dall’a t. , u i ato «o lighi ge e ali», pe il uale gli «OGM posso o esse e deli e ata e te emessi o immessi in commercio solo a norma, rispettivamente, della parte B o della parte C».
L’a t. , du ue, di hia a esp essa e te he le attività di e issio e deli e ata possa o esse e effettuate in seguito alle procedure di autorizzazione previste dalla parte B, artt. 5- . Nello spe ifi o l’a t.
6 defi is e la p o edu a pe
ezzo della uale il i hiede te pu otte e e u ’auto izzazio e
all’e issio e, ilas iata dalla o pete te auto ità azio ale, i seguito ad u a valutazio e del is hio
operata sulla base di criteri armonizzati, ma senza che vi sia il coinvolgimento, nella fase decisionale,
ta to delle auto ità o u ita ie ua to di uelle degli alt i ìtati e
i. L’auto izzazio e
all’e issio e o i pli a uella all’i
issio e i o
e io, he dov à i ve e esse e acquisita ai
sensi della parte C della direttiva.
Rileva un primo fatto. La parte B della direttiva è dedicata però non a qualsiasi emissione deliberata,
o e fa e e suppo e l’a t. , a solo alle e issio i fatte pe fi i dive si dall’i
issio e i om23
mercio .
23
Nella Di . CEE 9 /
, la pa te B e a u i ata «E issio e deli e ata ell’a ie te di OGM a s opo di
ricerca e sviluppo o pe s opi dive si dall’i
issio e sul e ato». Diffe e te e te la di ettiva o a i
commento non menziona tale finalità sperimentale, seppur parte della dottrina continui a ritenere, pur senza il
supporto di elementi testuali, la medesima parte come destinata a regolamentare tale fattispecie (cfr. A.
ODDENINO, op. cit., p. 93; di opinione analoga D. FRANCESCON, op. cit., 2001, p. 311 e R. PAVONI, Biodiversità e
biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., p. 396, per il quale la parte B risulta applicabile
«all’e issio e pe s opi dive si dalla o
e ializzazio e, ui di sop attutto alle e issio i spe i e tali o pe
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te da effettua e u ’e issio e deli e ata ell’a ie te di OGM o i
ette e sul e ato OGM […]
dov e e p ese ta e u a otifi a all’auto ità azio ale o pete te». Dalla fo ulazio e lette ale si
deve desumere che esse costituiscono operazioni differenti e non sovrapponibili.
La procedura di immissione in commercio, accentrata a livello comunitario, conduce ad una autorizzazione che impedisce ad uno Stato membro, ai sensi del cinquantaseiesimo considerando, di «vietae, li ita e o i pedi e l’i
issio e i commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti», contemplandosi solo una clausola di salvaguardia per ipotesi eccezionali.
Dalla lettura dei considerando si possono trarre quattro considerazioni. Rimane dubbia la nozione di
immissione in ambiente, che potrebbe, in via ermeneutica, essere individuata, però, quale concetto
he i o p e de ta to l’i
issio e i o
e io ua to l’e issio e deli e ata. U a se o da onsiderazione riguarda le nozioni di emissione deliberata e di immissione in commercio, che risultano
operazioni distinte. In terzo luogo si desume una relazione logica tra emissione deliberata e immissione in commercio, nel senso che la seconda dovrebbe essere preceduta dalla prima. Infine entrambe possono essere compiute solo acquisendo una preventiva autorizzazione.
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280
La lettu a i o i ato disposto dei due a ti oli e i pedis e u ’i te p etazio e logi a e te oerente.
Da u lato si p ofila l’ipotesi ella uale og i e issio e deli e ata de a esse e auto izzata dalle autorità nazionali ai sensi degli articoli contenuti nella parte B.
Dall’alt o lato si p ofila l’ipotesi, i ve e, pe la uale solo le e issio i eseguite pe fi i dive si
dall’i
issio e i o
e io de a o esse e auto izzate ai se si della suddetta pa te. ìi dov e ero individuare, però, le procedu e utili pe l’auto izzazio e all’e issio e deli e ata i a ie te fatte
per fini commerciali, profilo su cui la direttiva sembra tacere24. Questo è un primo punto problematico che mette sotto scacco la coerenza logica interna della direttiva.
Una seconda questio e ife i ile, i ve e, alle p o edu e he la pa te B p es ive pe l’e issio e deli e ata pe fi i dive si dall’i
issio e i o
e io. Esse so o de a date alle auto ità azio ali
competenti, senza che vi sia una comunitarizzazione della procedura, ma imponendo solo oneri di
comunicazione e di scambio di informazioni25. Ciò pare in contraddizione con quanto premesso nei
o side a do. La atu a t a sf o talie a e l’i eve si ilità dei da i pote zial e te p ovo ati
dall’i
issio e i a ie te di OGM implicherebbe il coinvolgimento, nella fase decisionale, di tutti
26
gli Stati . Ci , i ve e, o avvie e o pe tutte le e issio i deli e ate, ove si ite esse di i e te l’a t.
, oppu e solo pe uelle effettuate pe fi i dive si dall’i
issio e i o
e io, si ritenesse invece
decisiva la formulazione del titolo con cui viene rubricata la parte B.
2.3. segue: La nozione di immissione in commercio
Per immissione in commercio la direttiva intende «la messa a disposizione di terzi, dietro compenso
o gratuitamente», salvo escludere le ipotesi di impiego confinato e la «messa a disposizione di OGM
da utilizzarsi esclusivamente per emissioni deliberate a norma della parte B della presente direttiva».
Tale operazione può essere autorizzata in seguito ad un procedimento complesso, nel quale sono
coinvolte tanto le autorità nazionali quanto quelle comunitarie.
I est e a si tesi, la i hiesta deve esse e i olt ata all’auto ità o pete te azio ale, he pu de idere di esprimere un parere favorevole o negativo.
Ove decidesse di oppo si all’i
issio e i o
e io, ha la possi ilità di e ette e u p ovvedi ento – dopo aver inoltrato la richiesta alla Commissione e agli Stati membri affinché possano esprimere
pareri e obiezioni – con il quale, mantenendo il proprio orienta e to, ega e l’auto izzazio e
all’immissione.
Qualo a l’auto ità o pete te esp i esse, i ve e, u o ie ta e to positivo, p e de il via u a p ocedura nella quale gli Stati membri e la Commissione, dopo aver ricevuto i documenti annessi alla
domanda di autorizzazione, possono sollevare obiezioni ed esprimere un proprio parere.
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fini di ricerca e sviluppo»). La questione non viene problematizzata da P. BORGHI, op. cit., I, 2001, p. 390; D. DI
BENEDETTO, op. cit., pp. 45 e ss.; L. GRADONI, op.cit., p. 744.
24
Di opinione contraria R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., p.
397, il quale ritiene applicabile a tale fattispecie la parte C della direttiva in commento.
25
Art. 11, Dir. (CE) 2001/18.
26
Cfr. R. PAVONI, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., p. 397.
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27
Art. 5, Reg. (CE) 16 febbraio 2011, n. 182, che ha abrogato gli artt. 5-7 della Decisione (CE) 28 giugno 1999, n.
6 , ui o ti ua a i a da e l’a t. 30 della direttiva in commento.
28
Art. 19, Dir. (CE) 2001/18.
29
Art. 19, Dir. (CE) 2001/18.
30
Art. 22, Dir. (CE) 2001/18.
31
ìi pot à o figu a e l’appli a ilità del Reg. CE
luglio
, . 9 6, sui ovi e ti t ansfrontalieri degli
organismi geneticamente modificati, che risulta però irrilevanti ai fini del presente lavoro. Ma non vi sarà
immissione in commercio, a meno che gli OGM non siano allo stato sfuso, ai sensi del Considerando n. 12.
32
La gratuità è elemento introdotto per semplificare la fattispecie. A fronte di vendita, infatti, troverebbe applicazione la L. 25 novembre 1971, che dis ipli a l’attività se e tie a.
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Ove o vi fosse o o iezio i, lo ìtato e a a l’auto izzazio e. Ove esse, i ve e, ve isse o sollevate, la
uestio e isolta i sede di p o edu a d’esa e27, cui può seguire o meno, a seconda delle maggioranze espresse, una eventuale decisione positiva o negativa della Commissione.
L’auto izzazio e, e essa se p e dall’auto ità azio ale sulla ase della de isio e assu ta dalla
Commissione, implica che il prodotto «può essere utilizzato senza ulteriori notifiche in tutta la Comunità»28, rispettando però «le specifiche condizioni di impiego e le relative restrizioni circa ambienti
e/o aree geografiche»29. Allo stesso tempo gli Stati membri non possono «vietare, limitare o impedie l’i
issione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti»30.
La nozione di immissione in commercio e le formule letterali utilizzate per prescrivere quali consegue ze giu idi he segua o all’avve uta auto izzazio e alla o
e ia ilità di u p odotto OGM suscitano alcune perplessità.
Una prima considerazione deve essere svolta sulla nozione stessa di immissione in commercio. Dalla
lettu a dei o side a do si desu e he l’i po tazio e vie e i o p esa uale attività di i
issio e
in commercio. Ragionando a co t a io, ui di, l’espo tazio e o app ese ta u ’attività i o p esa
in tale nozione.
ìi p e da i o side azio e la segue te fattispe ie. U ’i p esa p odu e se e ti ge eti a e te odificate e le coltiva, per mezzo di propri dipendenti, su propri fondi per esportare direttamente, in un
momento successivo, quanto raccolto. Non essendovi cessione a terzi del materiale non si configura
u a attività di i
issio e e l’es lusio e dell’espo tazio e da uest’ulti a ozio e e de i appli a ile la parte C della direttiva. Le attività di coltivazione dovranno essere sì autorizzate, ma ai sensi della
parte B della direttiva e prevedendosi, quindi una procedura nazionale31. Ciò implica che – in stretta
applicazione della direttiva, o meglio nella stretta applicazione di quegli atti normativi nazionali, come quello italiano, che hanno implementato la direttiva riproducendone per lo più il contenuto letterale – non si porrebbero limiti alla possibilità di uno stato di autorizzare autonomamente tutte
quelle coltivazioni che fossero effettuate senza che si configurasse una ipotesi di immissione in come io. Ci i difetto del ispetto di sta da d di tutela u ifo i sul te ito io dell’U io e, sop attutto
a fronte della natura transfrontaliera e irreversibile dei danni che la coltivazione di OGM può generare, come la direttiva stessa riconosce.
Si consideri una seconda fattispecie. Tizio produce sementi geneticamente modificate. Le consegna,
gratuitamente32 e debitamente imballate, a Caio, agricoltore, che le coltiva avendo come fine quello
di esportare quanto raccolto. In tale situazione il passaggio di OGM da Tizio a Caio non costituisce
una immissione in commercio, in quanto tale nozione esclude la consegna di materiale rivolto a eissio i pe fi i dive si dall’i
issio e i o
e io. Esse do, o e già visto, l’espo tazio e ope a-
281
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282
33
G. DEVOTO, G. C. OLI, Organismo, in Vocabolario della lingua italiana, 2011.
G. DEVOTO, G. C. OLI, Organismo, in Vocabolario della lingua italiana, 2011.
35
Pa adossal e te, la edesi a ozio e di o ga is o e de e e i appli a ile la di ettiva all’e issio e deliberata di quelle sementi nelle quali sia stato introdotto il cosiddetto gene terminator, che impedisce una futura
germinazione delle sementi ottenute dalla loro coltivazione. Cfr. L. GRADONI, op.cit., p. 740-741.
36
Co ife i e to al la do egi e ui sottoposta l’espo tazio e di OGM, si veda R. PAVONI, Biodiversità e
biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, cit., pp. 404 e 405.
34
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zio e he esula da uest’ulti o o etto, t ove à appli azio e la pa te B della di ettiva, o tutte le
conseguenti problematiche evidenziate.
Si prenda in considerazione, infine, una terza fattispecie. ìi p esu a he l’i p esa iote ologi a o
Caio coltivi il materiale OGM per sottoporlo a attività di trasformazione. Si pensi alla coltivazione di
una patata da cui ricavare fibra utile per la produzione di cellulosa destinata al mercato interno. In
questo caso, e solo a partire dal momento in cui si configura la preparazione di un prodotto per la
commercializzazione, si potrebbe pensare di essere di fronte a una ipotesi di immissione in commercio. Certamente la sostanza che risulta dal processo di trasformazione non può essere considerato un
OGM, in quanto non è più un organismo. Tale sostanza potrebbe più facilmente essere qualificata
come prodotto, che è definito come «un preparato costituito da OGM o contenente OGM». Ma perché tale nozione trovi applicazione occorre che un organismo, in qualche forma anche residuale, conti ui ad esiste e. U o ga is o , ai se si dell’a t. , « ualsiasi e tità iologi a apa e di ip odu si o
di trasferire materiale genetico». Esso costituisce una «struttura fisiologica in quanto essenzialmente
caratterizzata da una forma e da una costituzione (biochimica) specifica, e dalla facoltà di conservare
e, eventualmente, reintegrare la propria forma e la propria costituzione e di riprodurle»33. Un organismo è un «essere vivente»34, ontologicamente differente rispetto ad una sostanza che cessa di riprodu si e ige e a si. Ci po te e e a ite e e es lusa dall’appli a ilità della di ettiva l’i
issio e i
commercio di sostanze sì derivate da OGM, ma che risultano, in seguito a processi di trasformazione,
inanimate35.
Le nozioni di immissione in commercio, di organismo e di prodotto, quindi, dovessero essere interpretate rigorosamente, limiterebbero le fattispecie cui la direttiva dovrebbe essere applicata, nonostante il legislatore comunitario avesse voluto, con essa, regolare compiutamente, anche in una ottica precauzionale, il fenomeno36.
Una seconda questione problematica può essere individuata nelle conseguenze che debbono scaturie dall’avve uta auto izzazio e all’i
issio e i commercio di un OGM.
Ai se si dell’a t. 9 «u OGM o e tale o o te uto i u p odotto pu esse e utilizzato se za ulteio i otifi he i tutta la Co u ità solo se stata ilas iata l’auto izzazio e».
L’utilizzo del ve o pote e, o side a do he i destinatari della direttiva sono gli Stati, implica che essi ha o la fa oltà di pe ette e l’uso di u OGM se za ulte io i i hieste solo se esso stato autoizzato ai se si della pa te C. La fo ulazio e dell’a ti olo, ui di, a
ette e sugge is e l’esiste za
della facoltà degli Stati di introdurre una ulteriore procedura di autorizzazione avente ad oggetto non
ta to l’i
issio e i o
e io – visto he l’a t.
i pedis e lo o di «vieta e, li ita e o i pedi e
l’i
issio e i o
e io di OGM, o e tali o ontenuti in prodotti» – ma il suo uso. In altre parole
l’auto izzazio e , ui di, o dizio e e essa ia a pote zial e te o suffi ie te a dis ezio e
degli ìtati pe e de e li e o l’uso del p odotto legittimamente messo in commercio.
Allo stesso tempo il edesi o a t. 9 pa e di i ual osa i più. L’auto izzazio e all’i
issio e i
commercio è condizione necessaria per poter utilizzare il prodotto OGM senza ulteriori notifiche. Da
tale affermazione, ragionando a contrario, potremmo desumere la seguente massima: è possibile utilizza e u p odotto o auto izzato pe l’i
issio e i o
e io ove si p o eda i agio e di u a
differente (ulteriore) procedura di autorizzazione.
In entrambe le ipotesi interpretative si ammetterebbe una competenza dello Stato tanto nel sottopo e l’uso di u p odotto già auto izzato ad u ’ulte io e auto izzazio e, ua to ell’auto izza e, auto o a e te, l’uso di u p odotto o o
e ia ile.
Tali due ipotesi i te p etative, it atte dall’a ti olo de li a do a o i di logi a, acquisirebbero una
p op ia sig ifi a za siste ati a ove, assu e do o e di i e te l’a t. , si o side asse la pa te B,
seppu u i ata e issio e deli e ata pe fi i dive si dall’i
issio e i o
e io, o e dis iplinante la emissione deliberata tout court, pe o e essa defi ita ell’art. 2.
U a p i a lettu a siste ati a della di ettiva, ui di, disti gue e e l’auto izzazio e all’i
issio e i
o
e io, egolata dalla pa te C, dall’auto izzazio e pe l’e issio e deli e ata i a ie te, egolata dalla pa te B. La p i a sa e e l’esito di u a p o edu a o u ita ia e av e e o e o segue za
la i ola ilità del p odotto OGM i tutto il e ato i te o. La se o da sa e e l’esito di u a p o edura nazionale e avrebbe come conseguenza la possibilità di utilizzare, attraverso la sua emissione
deli e ata, u OGM, vi sia o o l’auto izzazio e a h esso possa essere commercializzato.
Tale prima lettura, però, risulta incoerente rispetto ad ulteriori elementi testuali ritraibili sempre
dall’a t. 9. La lett. del te zo pa ag