Trattativa, Padellaro: “Nel `92 Mannino sentiva di

Transcript

Trattativa, Padellaro: “Nel `92 Mannino sentiva di
Trattativa, Padellaro: “Nel ’92 Mannino
sentiva di essere nel mirino della mafia”
Il direttore del Fatto Quotidiano ha deposto depone come teste e racconta di un
incontro con l'ex ministro Dc nel luglio 92: "Sembrava consapevole di essere finito
nella lista di morte di Cosa Nostra". "Era preoccupato per la sua scorta, mi disse che
voleva evitare che succedesse qualcosa ai suoi ragazzi, dato che era fresco il ricordo
della strage di Capaci" ha raccontato in aula
di Giuseppe Pipitone | 9 gennaio 2014
Agitato, spaventato, braccato: un uomo consapevole di essere finito nella lista di morte di Cosa
Nostra. È il ritratto di Calogero Mannino tracciato da Antonio Padellaro alla corte d’Assise di
Palermo. Il direttore del Fatto Quotidiano ha deposto come teste del processo sulla Trattativa
Stato – mafia, in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone, e che vede alla sbarra dieci imputati
tra boss di Cosa Nostra, politici e ufficiali dei carabinieri. Padellaro ha raccontato ai giudici un
colloquio avuto con Mannino, anche lui sotto processo per la Trattativa, ma davanti al gup Marina
Petruzzella, avendo scelto la formula del rito abbreviato. L’allora vice direttore dell’Espresso
incontrò l’ex ministro l’8 luglio del 1992: cinque mesi prima la Dc aveva raccolto il cadavere di
Salvo Lima lasciato sulla strada di Mondello, la strage di Capaci era cronaca recentissima, mentre
quella di via d’Amelio era ancora in via di preparazione.
L’elenco di morte di Cosa Nostra conteneva ancora parecchi nomi da depennare, mentre a cavallo
tra lo Stato e la mafia qualcosa si muoveva: e Mannino, nel colloquio riferito da Padellaro, dimostra
di esserne al corrente. “L’onorevole Mannino – ha detto il direttore del Fatto – era un uomo
spaventato, agitato, che si sentiva braccato. Questa è la prima impressione che ho avuto. La seconda
impressione che mi è rimasta nel corso degli anni è che lui si sentiva in pericolo di vita. Infatti mi
disse due cose che mi sono rimaste impresse: intanto era preoccupato per la sua scorta, mi disse che
voleva evitare che succedesse qualcosa ai suoi ragazzi, dato che era fresco il ricordo della strage di
Capaci. Poi mi disse anche: io non vado più in Sicilia, evito di andare in Sicilia, anche perché temo
che Cosa Nostra sia informata da personaggi interni della mia presenza su un aereo diretto a
Palermo”.
Che il nome di Calogero Mannino fosse stato iscritto da Totò Riina nella black list di Cosa Nostra
lo racconta soprattutto il pentito Giovanni Brusca, che già nel maggio del 1992 si era messo
all’opera per organizzare l’eliminazione dell’esponente democristiano. Del piano di morte ai suoi
danni, Mannino sembra essere a conoscenza, dato che ne parla con lo stesso Padellaro: gli appunti
di quell’incontro serviranno poi per un articolo pubblicato sull’Espresso nel 1995, quando l’ex
ministro finisce in manette per mafia. “Mannino – ha spiegato il direttore del Fatto Quotidiano –
fece un’analisi molto accurata del contesto in cui si svolsero le stragi. Fino all’epoca di Mattarella
e Gioia la mafia secondo Mannino era stata un potere in connessione con altri poteri, si era creato
un compromesso tra politica e Cosa Nostra. Poi il maxi processo era divenuto il punto di un nuovo
accordo con la politica. Cosa nostra offriva alla Stato di ingabbiare i mafiosi della mafia perdente e
in cambio la Cassazione doveva rimettere in libertà i mafiosi dell’ala vincente. Mannino mi disse
che i patti, come erano stati intesi, non erano stati rispettati perché il governo Andreotti aveva
adottato una serie di misure repressive che inasprirono le leggi. Il patto era stato violato ancora
prima, infatti l’assassinio di Lima era il segnale che la mafia era scesa sul piede di guerra”.
Nell’incontro riferito da Padellaro, l’ex ministro democristiano è ancora più esplicito: parla di
contatti con Cosa Nostra, di minacce e di un vero e proprio ordine di morte. “Mi disse – ha
continuato Padellaro – di essere stato avvicinato e aver ricevuto pressioni affinché si fosse battuto
per attuare misure meno repressive, perché Cosa Nostra lo riteneva potente e intelligente. Ma non
volle cedere e quindi fu messo nella lista nera”. Anche l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, a
sua volta accusato di falsa testimonianza nel processo sulla Trattativa, aveva raccontato di un
Mannino spaventatissimo durante la primavera del 1992: “Dopo l’omicidio Lima mi disse: Il
prossimo sono io”. Il diretto interessato però, dopo vent’anni smentisce: “Io – ha detto mesi fa al
fattoquotidiano.it – ero spaventato per la sorte dei magistrati non certo per la mia”. Nella
ricostruzione della procura di Palermo, invece, già dopo l’assassinio di Salvo Lima, Mannino
capisce di essere finito nel mirino di Cosa Nostra, imbufalita dopo la conferma delle condanne del
maxi processo. Ed è per questo che avrebbe provato ad aprire un canale di comunicazione con
Cosa Nostra: atterrito dalla condanna a morte avrebbe deciso di premere il tasto d’avvio della
trattativa.
All’udienza di oggi ha partecipato anche Salvatore Borsellino, il leader delle Agende Rosse
recentemente denunciato da Vittorio Sgarbi per vilipendio al capo dello Stato, che ha raccontato di
aver recentemente subito il furto della cassaforte nella sua abitazione milanese “Un fatto strano non
certo opera di balordi: sono stati lasciati oggetti di valore mentre i ladri hanno rovistato tra i
documenti” ha spiegato il fratello del magistrato assassinato in via d’Amelio.