Con Montaigne lo scetticismo torna in auge e rivela una novità di

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Con Montaigne lo scetticismo torna in auge e rivela una novità di
Michel de Montaigne
Notizie biografiche
Viaggiatore e moralista antesignano del "filosofo ideale" degli illuministi, Michel de Montaigne
nacque il 23 febbraio 1533 nel castello di Montaigne nel Périgord in Francia.
Eyquem, il padre, fece fortuna con il commercio del pesce salato; era un ebreo di famiglia spagnola
e divenne membro del Parlamento di Bordeaux. Durante una visita dell’Italia resta affascinato dal
Rinascimento. Fu lui che abbandonò il nome patronimico Eyquem per prendere il nome del castello
d'origine: Montaigne appunto.
Il padre si propose di dare al figlio una educazione eccezionale. I servitori del castello erano
obbligati a parlare latino, che divenne la lingua materna del giovane Michel, il quale si svegliava
tutti i giorni con la musica. Ebbe, dunque, una educazione individualizzata che lo indusse a
sviluppare l’immagine di uomo come di un essere unico e irripetibile e l'idea che ognuno
doveva trovare il suo percorso.
La sua vita si svolse tra il 1533 e il 1592. Si tratta di un'epoca tormentata dal crollo di molte
certezze. Le scoperte geografiche ci hanno posto di fronte alla presenza dei selvaggi: ma egli si
interroga su chi siano i selvaggi ? Perchè non ragionano come noi ? Sono inferiori rispetto a noi ?
Montaigne di fronte a queste questioni maturò un'idea di tolleranza e di rispetto per l'altro anche se
diverso da noi.
L'epoca della sua vita, inoltre, è attraversata dai grandi conflitti religiosi che hanno dilaniato la
Francia. Dal 1560 il paese è attraversato da una guerra civile che porterà a violenze e massacri
(come quello perpetrato nella famosa notte di san Bartolomeo, il 24 agosto 1572). Egli sarà un
cattolico moderato, non un fanatico e avrà buone relazioni con le due sorelle convertite al
protestantesimo.
L'altro grande evento che porta Montaigne ad interrogarsi sulle credenze e su ciò che riteniamo
verità, sarà la pubblicazione dell'opera dell'astronomo polacco Niccolò Copernico.
Da giovane studiò diritto e divenne consigliere nel parlamento di Bordeaux (1557). Conobbe
Ethienne de la Boetie che diviene suo amico e un modello. Costui aveva scritto un libro dal titolo
“Discorso sulla servitù volontaria” dove dichiara come il tiranno si nutra della debolezza e della
condiscendenza di coloro che si sottomettono. L'amico Ethienne morì giovane ma lasciò una traccia
indelebile nel giovane Michel, come anche nell'ideologia anarchica del XIX secolo.
Il suo primo lavoro letterario fu la traduzione di un'opera del teologo catalano Raimondo di
Sabunda (morto a Tolosa nel 1436), ossia il celebre "Libro delle creature o Teologia naturale", un
testo di apologetica che cercava di dimostrare, più che con l'appoggio dei testi sacri o dei canonici
dottori della chiesa, la verità della fede cattolica mediante lo studio delle creature e dell'uomo.
Nel 1571 prende una decisione capitale: decide di rinunciare al seggio parlamentare e di ritirarsi nel
suo castello per dedicarsi agli studi. Qui, chiusa nella torre al terzo piano, aveva preparato una
biblioteca per l'epoca eccezionale, consistente in circa un migliaio di volumi.
I primi frutti del suo lavoro vennero raccolti nella sterminata raccolta di saggi, di cui usci una prima
edizione in due libri nel 1580. Negli anni successivi continuò a rivedere ed ampliare l'opera fino
all'edizione del 1588, in tre libri. I Saggi costituiscono un lavoro senza fine e senza uno scopo
editoriale preciso. Si tratta di una scrittura originale e inattesa. I capitoli non seguono un progetto,
ma egli passa da una idea all'altra in modo talvolta sorprendente, senza un filo coerente. Il vero
centro della meditazione di Montaigne, la quale assume il carattere di una, per usare una sua
espressione, "dipintura dell'io", è quello di conoscere l'uomo attraverso lui stesso. Lo scopo non è
autobiografico, non vuole raccontare la sua vita, ma indagare come è l'uomo, al di là di ogni
maschera. Il suo metodo è sperimentale e si propone di descrivere l'uomo come è senza alcuna
concessione alle idee precostituite e ai pregiudizi. L'essere umano, secondo Montaigne, non è
una entità fissa ma qualcosa che cambia continuamente. La verità sull'uomo, dunque, non è
immobile, ma cangiante. Talvolta egli stesso si contraddice, ma si contraddice per essere
rispettoso della verità, che non è mai stabile, definitiva, ma che bisogna continuamente
cercare e raggiungere per cui bisogna fare dei saggi, provare, indagare.
Tra il 1580 e il 1581 abbandona il suo eremo e compie un viaggio in Italia. Lasciò la Francia e
viaggiò in Svizzera, in Germania e in Italia dove, a Roma, trascorse l'inverno 1580-1581.
Mentre era assente viene nominato sindaco di Bordeaux, un ruolo importante. Ritornò in patria e
cercò di attuare una politica di pacificazione e di tolleranza in un clima acceso di contrapposizione
tra protestanti e cattolici (il re Enrico IV emanerà nel 1598 l'Editto di Nantes, tentando una
pacificazione tra le parti).
Le cure della carica non gli impedirono di proseguire nello studio e nella meditazione. Montaigne
attendeva ad una nuova edizione della sua opera con ulteriori arricchimenti, quando morì nel suo
castello il 13 settembre 1592.
L’ atteggiamento scettico e la rivisitazione della cultura
Con Montaigne lo scetticismo torna in auge e rivela una novità di motivi perchè é considerazione
realistica e revisione critica dei problemi della cultura contemporanea.
Nei suoi rapporti familiari e sociali Montaigne ha applicato con implacabile egoismo la massima
stoica, che troviamo nel suo scritto Essais (I,38): "la vera solitudine si può godere anche nelle città
e nelle corti dei re; ma la si gode meglio stando appartati... Bisogna aver donne, figli, beni e
soprattutto salute, se si può; ma non bisogna attaccarvisi in modo che la nostra felicità ne dipenda:
bisogna riservarsi un dietro bottega tutto proprio, tutto indipendente, in cui possa riporsi la nostra
vera libertà e il nostro principale e solitario rifugio". Vi é qualcosa di ascetico in questa maniera di
vivere, ma é un ascetismo mondano, che ben si distacca nel suo fine da quello medioevale. Non vi
é una filosofia ben definita e compatta nel Montaigne: nei lunghi anni del lavoro di redazione, il suo
pensiero si é venuto orientando in modo sempre diverso, passando dallo stoicismo all'epicureismo e
infine allo scetticismo.
Contro il feticismo per l’ antichita’
Ma, al di sopra di ogni spirito di sistema, Montaigne interessa la storia del pensiero come il maggior
esponente della crisi del neoclassicismo umanistico. Se nel Rinascimento non erano mancate delle
proteste contro il feticismo per l'antichità e qualcuno aveva perfino capovolto il criterio della
valutazione comparativa tra i classici e i moderni, facendo dei primi l'espressione dell' infanzia, dei
secondi quella della maturità dello spirito, nessuno al pari di Montaigne ha saputo ricondurre
l'antichità al comune livello umano. E ha fatto questo seguendo spregiudicatamente i suoi autori nei
loro ragionamenti, nelle loro opere, spregiudicatamente giudicando, ad esempio, un Cicerone o un
Platone: "la licenziosità del tempo mi scuserà questa sacrilega audacia di stimare che anche i
dialoghi di Platone si trascinano per le lunghe e che la loro materia é troppo soffocata". Così, a
spregio egli ha il gusto retorico, particolarmente in voga ai suoi tempi: l'educazione umanistica non
ha avuto per fine di farci buoni e saggi, "non ci ha insegnato a seguire e ad abbracciare la virtù e la
prudenza, ma ce ne ha impartite le radici grammaticali e le etimologie; noi sappiamo declinare la
virtù, ma non amarla".
La considerazione della morte
Di sapore accentuatamente stoico é invece il suo disprezzo per la morte, che gli suggerisce alcune
delle considerazioni più profonde e vissute degli Essais: "la premeditazione della morte é
premeditazione della libertà. Chi ha appreso a morire, ha disappreso a servire; non c'é nulla di
male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione stessa della vita non é un male". Inoltre,
quella sua indifferenza per la vita sociale é espressione di un atteggiamento conservatore: "è dubbio
se vi sia profitto nel mutamento di una legge ricevuta, quale che sia: perchè una costituzione é come
una costruzione di vari pezzi uniti insieme con un tal legame che é impossibile rimuovere uno senza
che tutto il corpo ne risenta. Io per me sono disgustato delle novità, qualunque faccia esse abbiano".
Per Montaigne non é lecito fare una stabile e dogmatica professione di non sapere: la formula
perfetta non é quella degli antichi "io non so", ma "che so io?". Non abbiamo nessuna
comunicazione col vero essere delle cose: chi si ostina a voler attingere l'essere, fa come chi
volesse, nel pugno, stringere l'acqua, che, più la stringi e più scorre dappertutto.
Il “grand tour” o il viaggio di formazione
Antesignano del "grand tour", Montaigne, assetato di conoscenza, attraversa la Francia, la
Svizzera, sfiora la Germania meridionale e l'Austria e, infine, giunge in Italia da Vipiteno. Toccherà
le principali città del nord-est e poi, dopo Bologna e Firenze, arriverà alla sospirata Roma, della
quale brama diventare, riuscendovi, cittadino onorario. Osservatore curioso e attentissimo, nulla si
lascerà sfuggire. Così, ci consegnerà immagini indelebili dei personaggi incontrati casualmente e di
quelli volutamente cercati, fino al papa Gregorio XIII. Ci descriverà, con maestria insuperata, le
località di rilievo culturale e artistico (con buona pace di Stendhal), nonché gli ambienti, i paesaggi,
le accoglienze, i caratteri delle popolazioni e perfino i riti, i cibi, le feste, le costumanze, le bellezze
delle donne e dei luoghi, senza trascurare - ove li ha incontrati - gli inevitabili disagi. E, costretto
dalla personale, ereditata insufficienza renale, si dilungherà nella descrizione delle tante località
termali e, con perizia specialistica, della patologia e delle terapie sperimentate. Il lungo viaggio,
durato 17 mesi a cavallo del 1580-81, si distinguerà comunque come uno spaccato, una nitida
fotografia dell'Italia qual era sotto l'ennesima dominazione straniera e dello Stato Pontificio.