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n° 376 - luglio 2016 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori I-20089 Rozzano (Milan, Italy) www.fondazione-menarini.it Monumenti dell’effimero consegnati alla storia Trasformati e riadattati dopo le Esposizioni alcuni di essi sono divenuti icone delle città per cui erano stati edificati Parigi, la Tour Eiffel in un’immagine del 1889 L’esposizione Universale di Londra (1851): Interno del Crystal Palace in una stampa dell’epoca “The Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations” nel 1851 a Londra aprì la strada alle Grandi Esposizioni, vere e proprie vetrine mondiali del saper fare artigianale, scientifico e industriale. Il principe Alberto, marito della regina Vittoria, ed Henry Cole, noto designer e imprenditore inglese, furono i promotori della prima Esposizione Universale in quanto appartenenti - l’uno come presidente e l’altro come membro - alla Royal Society of Arts, che già si era impegnata nel promuovere in Inghilterra tre esposizioni industriali nazionali; convinti che il Regno Unito avesse tanto da mostrare e da insegnare al mondo, ritennero che il modo migliore per farlo fosse organizzare un grande evento universale con un fine economico e ideologico al contempo, il confronto tra le risorse economiche di tutto il mondo e l’affermazione della supe- riorità della tecnologia inglese rispetto a quella del resto dei paesi che vi avrebbero partecipato. All’iniziativa aderirono venticinque paesi, ben tre del territorio italiano: il Granducato di Toscana, il Regno di Sardegna e lo Stato Pontificio. Le luminose pareti del Crystal Palace, progettato e costruito per l’occasione in Hyde Park da Joseph Paxton, accolsero ben sei milioni di visitatori e fu la stessa rapidità con cui venne costruito quest’innovativo edificio a destare molta ammirazione; l’uso di materiali quali vetro e ferro, solitamente destinati alla realizzazione di serre, fu l’esaltazione delle moderne tecnologie che si affacciavano su scala mondiale. Il progetto di Paxton inoltre, pur essendo un inno all’industria, era in completa armonia con il verde circostante, tanto da inglobare e salvaguardare alcuni giganteschi olmi che si trovavano pro- 2 Milano: Acquario Civico (1906) prio nel luogo prescelto per l’Esposizione. Purtroppo del Crystal Palace non resta ormai traccia: smontato e poi ricostruito a Penge Common, venne distrutto in un rogo il 30 novembre 1936. La consuetudine di lasciare edifici pensati per durare per il solo periodo delle Esposizioni Universali iniziò dunque sin dalla prima di queste manifestazioni, e da allora furono varie le strutture che, invece di essere smantellate a fine evento, vennero riutilizzate e riconvertite, divenendo talvolta veri e propri simboli nazionali: il caso più noto è quello della Tour Eiffel, costruita in occasione dell’Expo parigina del 1889; il monumento venne innalzato in poco più di due anni dall’ingegner Eiffel, e, grazie alla sua altezza di 324 metri, perfetta per ospitare le antenne di trasmissione della radiotelegrafia, un nuovo mezzo di comunicazione che si stava affermando all’epoca, è giunto fino a noi. Sebbene osteggiata dagli intellettuali come Maupassant che la paragonò a “un comignolo di fabbrica”, la torre fu molto apprezzata dai visitatori dell’Esposizione e alcuni decenni più tardi anche Hitler ne ammirò il panorama dall’alto dei 1665 gradini, saliti uno a uno dopo che i francesi avevano finto un guasto agli ascensori! Dell’Expo ungherese del 1896 restano alcuni complessi architettonici di “Piazza degli Eroi” a Budapest; nata per celebrare i mille anni dalla fondazione dello stato ungherese, l’esposi- Roma, EUR: Palazzo della Civiltà Italiana (1942) zione dette un nuovo impulso allo sviluppo urbano, in particolare con la costruzione della metropolitana di Budapest, seconda al mondo dopo quella di Londra. Lo stesso castello di Vajdahunyad, oggi sede del più grande museo agricolo d’Europa, fu in origine una delle strutture temporanee dell’Esposizione, nata per mostrare vari stili architettonici attraverso pannelli di legno e tradotta poi in muratura tra il 1904 e il 1908. In Italia le Esposizioni Universali hanno lasciato il segno in più luoghi e momenti. A Milano, oltre ai recentissimi Albero della Vita e Palazzo Italia, realizzati per l’Expo 2015, è ancora attivo l’Acquario Civico di Parco Sempione, significativo esempio di architettura liberty, unico padiglione superstite dell’Expo di Milano del 1906. Un caso particolare tutto italiano è quello del quartiere EUR a Roma, memoria di un’esposizione mai realizzata, quella del 1942, rimasta in gran parte nella fase progettuale a causa dello scoppio della seconda Guerra Mondiale. Sempre in Italia, nel 1992 si tenne l’Esposizione Internazionale Specializzata a Genova, a cinquecento anni di distanza dalla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, in onore del quale tutte le manifestazioni correlate a quella Expo furono appellate Colombiadi; per l’occasione intervenne l’architetto Renzo Piano, che progettò il nuovo assetto del Porto Antico e realizzò l’Acquario, in seguito rimodernato e ampliato 3 grazie al successo ricevuto. Nel 1992 non solo Genova festeggiò la scoperta dell’America, ma anche Siviglia fu teatro di grandi celebrazioni secondo i canoni dell’Expo e per l’occasione venne creato il progetto per l’Isla de la Cartuja, in cui influenze arabe e tradizioni cristiane si fusero in un insieme di stili e di storie; l’architetto Santiago Calatrava progettò il Ponte dell’Alamillo per scavalcare il fiume Guadalquivir e raggiungere l’Isla, su cui la struttura originale dell’antico monastero di Cartuja fece da telaio per la costruzione del Padiglione Reale, che una volta chiusa l’esposizione divenne il Centro Andaluso di Arte Contemporanea. Il viaggio prosegue dalla Spagna al Belgio dove l’Atomium nel parco Heysel di Bruxelles è ancora nel luogo sul quale venne edificato per l’Expo del 1958 dall’architetto André Waterkeyn, che ne previde una vita di sei mesi; l’edificio andò ben oltre le aspettative con le sue nove sfere che rappresentano gli atomi di un cristallo di ferro, collegate tramite scale e provviste di pareti finestrate da cui ammirare il panorama circostante. Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, ancor prima della Tour Eiffel, sopravvissero il Palazzo delle Arti e delle Industrie della Smithsonian Institution a Washington, la Memorial Hall, progettata per la Centennial Exhibition of Arts, Manufactures and Products of the Soil and Mine tenutasi a Philadelphia nel 1876, in occasione delle celebrazioni per i cento anni dell’Indipendenza degli Stati Uniti; il padiglione oggi è sede del Please Touch Museum, un museo interattivo pensato per stimolare l’innata curiosità dei bambini attraverso il tatto. Ancora negli U.S.A. resta lo Space Needle dell’esposizione del 1962, da allora simbolo indiscusso di Seattle. Il monumento non fu progettato solo per dare un forte impatto visivo, ma anche per segnare un passo avanti nella scienza e nelle tecnologie costruttive; infatti fu realizzato in modo tale da poter resistere a raffiche di vento fino a 320 chilometri orari e a terremoti fino a magnitudo 9, nonostante i suoi 184 metri di altezza e le sue 9.550 tonnellate di peso. Porto Antico - Genova, Colombiadi (1992) Atomium - Bruxelles (1958) Non solo l’Europa e gli Stati Uniti hanno conservato alcuni dei padiglioni delle Grandi Esposizioni: in Australia è ancora fruibile il Royal Exhibition Building di Melbourne, costruito per la Melbourne International Exhibition del 1880, mentre a Montreal è rimasto l’Habitat 67, ideato dall’architetto Moshe Safdie per l’Expo del ’67: il progetto del complesso riuniva le funzioni residenziali e commerciali, creando una sorta di “isola urbana” autonoma, con l’uso di un modulo di costruzione adattabile ad aree altamente popolate, e con costi di edificazione contenuti; una volta terminata l’esposizione fu convertito in un vero e proprio centro abitato ed è tuttora densamente popolato. Le Grandi Esposizioni mettono in scena il mondo dell’immaginario, sono da sempre un importantissimo luogo di scambio e di incontro culturale, un modo per ogni paese che vi partecipa di autorappresentarsi e raccontare la propria storia attraverso il progredire scientifico e tecnologico; offrono un palcoscenico globale in cui arte e scienza dialogano e talvolta vengono a fondersi l’una con l’altra e pur essendo luogo dell’effimero pensato per non durare non sono fini a se stesse, ma anzi rappresentano l’occasione per aprirsi al confronto, all’imitazione, alla creatività, allo sviluppo e alla ricerca e spesso lasciano un segno tangibile del loro passaggio, un segno che non può passare inosservato. elena aiazzi Space Needle - Seattle (1962)