La nascita della metacittà e la mobilità sostenibile

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La nascita della metacittà e la mobilità sostenibile
Lo sviluppo sostenibile dell’Europa
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La nascita della
metacittà e la
mobilità sostenibile
di Guido Martinotti
aspetto più rilevante della realtà urbana contemporanea riguarda i cambiamenti nella morfologia fisica e sociale delle città intervenuti nel corso del XX
secolo. Risulta ormai evidente che in ogni parte del mondo la città tradizionale, che ha caratterizzato la vita urbana degli ultimi 55 secoli e la “metropoli di
prima generazione”, che ha caratterizzato la vita urbana nella porzione centrale del
secolo scorso, hanno ceduto il passo a un tipo del tutto diverso di morfologia urbana, che sta producendo una serie di quelle che i rapporti ufficiali delle Nazioni Unite
chiamano Grandi Regioni Urbane (MURs, Mega Urban Regions) in cui forme diverse di insediamenti umani si mescolano inestricabilmente, fino a costituire un’entità
urbana nuova, ma non ancora ben definita. Per ragioni analitiche che accenno qui
sotto, ho suggerito di chiamare questa nuova entità la meta-città1. Nel triplice senso
che questa entità è andata al di là (meta), e persino ben al di là, della classica morfologia fisica della “metropoli di prima generazione” che ha dominato il XX secolo con
il suo core e suoi rings (polo e fasce); al di là (meta) del controllo amministrativo tradizionale di enti locali sul territorio e al di là (meta) del prevalente riferimento sociologico agli abitanti, con lo sviluppo delle “metropoli di seconda (e terza) generazione” sempre più dipendenti dalle NRP, Non Resident Populations.
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La recessione dei confini
La città tradizionale aveva ben precisi confini2 e una ben definita popolazione, sia
pure in entrambi i casi con qualche variabilità attorno a queste definizioni, ma il concetto era chiaro e condiviso. La coincidenza di una popolazione con un territorio ben
delimitato è al tempo stesso il portato fondativo dell’urbanizzazione antica, largamente basata sull’idea di città-stato cioè della sovrapposizione tra polis e astu, tra la
città sociale e la città costruita, e il rafforzamento che di questa coincidenza si è avuto
con la razionalizzazione del territorio a fini amministrativi sostenuto dalla diffusione dello stato moderno.
A partire dai primi decenni del XX secolo questa identificazione o sovrapposizione comincia a venire meno: i confini della città reale, che si configura come un’area
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metropolitana cioè un’entità territoriale funzionale costituita da un’unità centrale,
core e da un’area circostante periphery (rings, fasce, hinterland, periurbain). L’unità
funzionale è essenzialmente un bacino di pendolarità, che è stato di volta in volta
chiamato, DUS (Daily Urban System) o FUR (Functional Urban Region). I confini
del sistema recedono, si allontanano e, anche, perdono di precisione, sono meno
definibili, anche se non del tutto inesistenti. Con sbalorditiva intuizione, già nel
1902, H. G. Wells aveva previsto questo sviluppo; la città si perde dunque in uno
spazio incerto che ha eccitato la fantasia della popolarizzazione iperbolica: “città continente” o addirittura “città mondo” e persino “città infinita” in un crescendo tronitruante inversamente proporzionale alla chiarezza delle idee. È difficile trattare di
questi argomenti, che si occupano di fenomeni che spesso cambiano sotto i nostri
occhi, usando un vocabolario accademico aulico, ammesso che esista ancora, ma
l’italiano ha ancora un significato: nel caso della nuova forma urbana la definizione
corretta, in buon italiano, l’ha proposta Michele Sernini nel suo eccellente Terre sconfinate.
Tecnologia e cultura della mobilità
Nelle società tradizionali, lo spostamento e la mobilità erano attività difficili, pericolose e costose, quasi sconvenienti. Nella vita contemporanea, invece, dinamica e
mobilità sono considerate un elemento necessario e positivo. Quello che era il disgusto per il viaggio è diventato industria turistica, e movimenti culturali importanti come il Futurismo hanno anticipato e dato impulso alla cultura della mobilità. La
nostra cultura è così incline alla mobilità, associata soprattutto alle esigenze di lavoro, che quasi non vediamo le correnti secondarie che spingono verso l’accettazione e
l’uso della mobilità come valore in sé. Un fattore importante è costituito dall’impulso alla conoscenza che è parte della Bildung di ogni individuo. Accade sempre più
spesso che un evento culturale attiri migliaia o anche milioni di persone. Ciò non deve
stupire: “società della conoscenza” significa anche consumo di massa di prodotti culturali, e la rappresentazione simbolica del prodotto culturale non sostituisce l’esperienza personale sul luogo, ma piuttosto la stimola.
La mobilità è diventata uno dei problemi centrali della vita urbana contemporanea perché gran parte della domanda di mobilità viene soddisfatta dal traffico automobilistico privato e parcellarizzato, con conseguenze molto pesanti sull’intero complesso di problemi della società metropolitana, dal consumo di energia ai più vari
aspetti della qualità della vita. La situazione sembra essere di anno in anno meno sopportabile e da più parti risuona insistente la richiesta di abolizione del traffico automobilistico individuale. Sfortunatamente, salvo eccezioni limitate nel tempo e nello
spazio, l’eliminazione della mobilità automobilistica individuale non è la soluzione,
ma il problema. In altre parole non può essere il punto di partenza, ma, al più, il
punto di arrivo di un complesso processo di cui non si vedono ancora chiaramente
né le fasi né l’esito finale3.
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L’importanza che le questioni teoriche per l’analisi, la comprensione e la regolamentazione della mobilità e del trasporto non deve essere sottostimata. E infatti essa
è stata sottolineata con forza fin dall’inizio di MoVe-Forum 2002 da William R.
Black. Se l’assunto teorico di base è che le formazioni sociali sono entità necessariamente ubicate nello spazio, allora la tradizionale analisi O/D (Origine-Destinazione) degli spostamenti dovrebbe bastare a prevedere gli spostamenti stessi e a pianificare l’infrastruttura appropriata di trasporto. La quantità di individui concentrata in
un dato punto è la valutazione migliore della domanda di mobilità. I problemi attuali nascono proprio perché “nonostante quasi quarant’anni di lavoro sugli spostamenti, non possiamo dire di avere una visione più chiara di ciò che accade in materia di quanta non ne avessimo nel 1960. È questo il punto cruciale: se non comprendiamo quali siano gli spostamenti, non possiamo fare molto per risolvere i problemi che ad essi sono connessi. [Dobbiamo quindi] suggerire un approccio alternativo alla comprensione e alla configurazione dei flussi di traffico urbano”4. Che passa
attraverso un’analisi storica delle fasi di sviluppo della mobilità urbana.
© Simon Oxley, Veicolo ibrido felice, iStockPhoto
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La prima fase: la città “T”
Una prima fase comincia alla fine degli anni Venti, e termina alla fine della Seconda
guerra mondiale, dando origine, soprattutto negli Stati Uniti, alla “metropoli di
prima generazione”5. I suoi principali fattori di sviluppo sono da ricercare nella formidabile combinazione di vari elementi: la grande quantità di terra libera attorno alle
città, la diffusione di sistemi di trasporto personale favoriti dalle innovazioni nei
sistemi di produzione e costi energetici estremamente bassi. Il suo primo impulso è
il fordismo, che si rivela così pervasivo che Aldous Huxley, nel suo famoso Brave New
World (1932, celebrato come “una delle più straordinarie e insidiose opere letterarie
mai scritte”) descrive una società massificata satura del dolce credo della felicità collettiva, in cui Ford era la divinità adorata sotto il segno della “T”. La maggior parte
delle norme sociali e del mito legati all’automobile risalgono a questo periodo.
I futuristi italiani, tra le altre correnti culturali, contribuiscono alla diffusione dell’idea e del valore della mobilità della società. E l’idea si fa strada: Miasto, masa,
machina (città, massa, macchina) è la rappresentazione polacca della metropoli industriale resa immortale dalla descrizione che Charlie Chaplin fa dell’industria fordista
in Tempi moderni.
La seconda fase: la città dall’auto facile6
La seconda fase comincia dopo la guerra, al culmine dello sviluppo capitalistico postbellico, sia in Occidente che nei paesi asiatici. Molte città europee avevano subìto seri danni
in seguito alla guerra, e alcune erano state completamente rase al suolo. La loro ricostruzione rende vertiginosa la crescita economica del dopoguerra. È il trionfo della società
dell’automobile. Los Angeles e Detroit diventano il prototipo urbano di ogni insediamento umano su vasta scala, quasi interamente fondato sul possesso generalizzato di auto
private. La “macchina” o “auto” diventa uno strumento formidabile di liberazione: dei
giovani dal controllo stretto delle famiglie (vedi La valle dell’Eden di James Dean del
1955), della classe media dai conflitti e dalla tristezza della città, di ampie fasce di lavoratori dall’oppressione delle aree industriali e del vicinato, mentre il rito del week-end e
delle trasmigrazioni di massa per le vacanze diventa un’abitudine comune. On the Road
diventa la formula magica, e la Route 66, come l’Autostrada del Sole in Italia o la Nationale 7, immortalata da Charles Trenet, dischiudono nuove frontiere, perché in automobile le strade di questo tipo sono quelle “Qui fait d’Paris un p’tit faubourg d’Valence/Et
la banlieue d’Saint-Paul de Vence”. In Europa, la diffusione della Volks-Wagen (la “macchina del popolo”) fornisce un’auto “senza status” che può essere usata con pari riconoscimento sia dal professionista evoluto che dal suo idraulico. In Italia la Seicento, la piccola familiare della FIAT, permette a milioni di persone di raggiungere la stessa esaltazione che può provare il proprietario di una Lancia Aurelia (si veda l’incomparabile descrizione dell’infatuazione per l’auto in Il Sorpasso di Dino Risi, 1962).
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Questa è una fase importante non solo perché definisce la penetrazione dell’uso dell’automobile nella vita urbana contemporanea (vale anche il contrario, secondo alcuni
analisti), ma anche perché connota ideologicamente la vita suburbana autonoma, che si
libera dalle costrizioni e dalle preoccupazioni della vita di città, contribuendo però alla
creazione di limitazioni strutturali negli schemi di mobilità derivanti proprio dalla disordinata espansione urbana.
I costi energetici di questa fase sono stati enormi, non meno di quelli sociali.
L’espansione urbana, è stato affermato, ha distrutto l’essenza dei centri urbani che sono
stati abbandonati dalla popolazione e dalla partecipazione civica. Ma il vero problema è
che questo modello si sta estendendo in tutto il mondo, soprattutto nelle grandi regioni
urbane. Il timore è che un effetto indiretto del tasso decrescente della popolazione (in sé
un fattore positivo per l’ambiente) possa favorire l’aumento dell’espansione. “La diminuzione del tasso di crescita della popolazione nelle aree rurali può rappresentare un fattore di protezione per l’ambiente – ha detto Jeon Cohen, direttore del Laboratorio sulle
Popolazioni delle università di Columbia e Rockefeller – ma solo se la gente che vive nelle
città comprende che è importante preservare le sorgenti, i terreni agricoli e le aree protette”. Alcuni benefici dell’urbanizzazione possono essere controbilanciati dalla diminuzione del numero di persone per abitazione. Questo vuol dire più abitazioni, maggiore
espansione urbana e suburbana, e minore impiego efficiente delle risorse.
La terza fase: la città conservazionista
La fase successiva è quella di una profonda crisi urbana. Le comunità negli agglomerati
urbani hanno cominciato a pagare gli oneri collettivi della crescita precedente (sindrome
NIMBY, “Not In My BackYard”, “Non nel mio giardinetto”). La crisi petrolifera e la conseguente ristrutturazione dell’industria e della produzione, coniugata alla diffusione di
mezzi per la gestione dell’informazione veloce, economica e affidabile, si sono sommate
agli oneri e alle incertezze. Lo shock e la confusione concettuale prodotti da questi eventi, che si sono succeduti senza sosta uno dopo l’altro come onde anomale, sono stati profondi. Siamo entrati nell’era di internet e, da principio, una lettura errata della nuova
situazione ha diffuso l’idea che l’interazione virtuale stesse sostituendo i contatti fisici così
come l’ufficio avrebbe fatto a meno della carta. Nulla di tutto ciò è successo né è probabile che accada nel prossimo futuro.
Come è ovvio, il numero di contatti online è aumentato enormemente, e così è avvenuto anche per la quantità di informazioni contenuta nelle memorie elettroniche. Ma
come è accaduto in gran parte dei casi di innovazione tecnologica, il processo non è un
gioco in cui, se l’uno vince, l’altro deve per forza perdere, ma uno scambio positivo o
sinergico. È vero che una quantità sempre maggiore di informazione prodotta attraverso
le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione non viene stampata – ci vorrebbero 200 milioni di fogli per stampare solo il contenuto dell’hard disk del piccolo portatile che sto usando in questo momento – ma il totale dell’informazione prodotta (elet-
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tronica e stampata) sta aumentato così in fretta che ci troviamo davanti a valori assoluti
enormi, per cui anche se una proporzione crescente dell’informazione totale non viene
stampata, la parte che si stampa cresce comunque vorticosamente, e gli alberi per la cellulosa continuano a cadere. Ciò nonostante, va riconosciuto che nelle zone a maggior sviluppo, e soprattutto in Europa dove le considerazioni energetiche e ambientali sono
all’ordine del giorno, l’orientamento prevalente degli esperti è quello di assegnare una
crescente importanza alle istanze di qualità e di conservazione. Forse è una visione troppo ottimistica definire questa la fase della città conservazionista, perché lo spreco di energia, l’inquinamento e la congestione del traffico sono tuttora enormi.
È importante notare che ognuna delle tre fasi è stata in grado di sostenere quella successiva, anche se con una quantità crescente di esternalità negative – particolarmente nel
campo del consumo di energia, dell’inquinamento e della sicurezza personale nell’ambito della mobilità. Ogni fase contiene le premesse (positive e negative) della successiva.
Così l’innovazione fordista ha inaugurato l’espansione metropolitana e ha fornito la base
dell’espansione postbellica. In compenso, la ricostruzione ha innescato il boom dell’era
dell’automobile, e le conurbazioni metropolitane dei Lewittowners hanno portato alle
edge cities (città-frontiera) di oggi. Oggi un cambiamento netto di orientamento vi è
indubitabilmente stato e ha fatto intravedere la possibilità di indirizzare lo sviluppo della
meta-città su vie più sostenibili. ◆
Note Bibliografiche
1.
Uso il termine con un significato analitico diverso da quello che gli viene dato da F. Ascher
cui devo riconoscere una primogenitura del termine che mi era sfuggita. Ringrazio Jean Paul
Hubert del DRAST per la segnalazione.
2.
Termine tratto dal lavoro di Gian Paolo Nuvolati.
3.
Le ragioni specifiche di tale sviluppo sono oggi chiare e sono state delineate, tra l’altro, nei
documenti di MoVe-Forum 2002, MoVe-Forum 2003 e MoVe-Forum 2003 accessibili sul
sito http://www.move-forum.net. È importante rilevare che l’esperienza triennale di MoVeForum ha creato una continuità importante nello studio della mobilità nei contesti
metropolitani a livello internazionale, introducendo elementi innovativi e, in alcuni casi,
contro intuitivi. Per ragioni di semplificazione non ho ripreso la bibliografia. I rimandi
possono essere confrontati con il testo originale in inglese che può essere letto sul sito, e
ringrazio MOVE per avermi lasciato riutilizzare come base quel testo per la versione qui
inclusa.
4.
William R. Black, Reflections on Urban Travel and Urban Travel Models, MoVe Forum 2002
Report.
5.
Per la spiegazione tecnica di questo frasario vedi Guido Martinotti, Metropoli, il Mulino,
Bologna 1992.
6.
Il gioco di parole “Car Happy” City con “Trigger happy” , non è traducibile se non così.
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L’ASSOCIAZIONE MO.VE
Segreteria del Forum
Methodos
Via San Vittore 39 - 20144 Milano
Tel.
+39 02 48011219
Fax
+39 02 48193369
Sito
http://www.move-forum.net
e-mail [email protected]
L’Osservatorio Mo.Ve è stato fondato nel 2002
dall’Automobile Club Italia in cooperazione
con FIA (Fédération International de l’Automobile) e con l’Università degli Studi di MilanoBicocca. Dal 25 maggio del 2005 è stata formalmente costituita l’Associazione Internazionale non profit di diritto belga. I soci fondatori
sono: ACI (Automobile Club di Italia), RACE
(Automobile Club di Spagna), RACC (Automobile Club di Catalogna), OEAMTC (Automobile
Club d’Austria) e Methodos, società di consulenza italiana. L’obiettivo principale dell’associazione è offrire alla comunità internazionale,
una piattaforma annuale per dibattere e confrontarsi sulle tematiche riconducibili, direttamente o indirettamente, alla mobilità sostenibile nelle aree metropolitane.
L’Associazione Mo.Ve promuove:
- un Forum Internazionale a Venezia (generalmente in autunno; quest’anno il 7 e l’8 novembre 2007). Durante il Forum si riuniscono circa
120 esponenti delle Istituzioni europee, dei
Governi nazionali, delle Regioni, dei Comuni,
delle Imprese e delle Associazioni europee
impegnate nel tema della mobilità sostenibile.
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- un Comitato Scientifico internazionale e multidisciplinare per la definizione dei contenuti
scientifici composto da 26 esperti, provenienti
da istituzioni accademiche e di ricerca di tutti i
Paesi dell’Unione Europea e di altre aree del
Mondo. Il Comitato Scientifico è coordinato dal
prof Guido Martinotti, sociologo urbano e prorettore dell’Università degli Studi di Milano
Bicocca. Il Comitato Scientifico predispone
documenti chiave da sottoporre quale input al
dibattito dei forum annuali.
- un Virtual Forum in un’area riservata del sito
internet (www.move-forum.net) che offre l’opportunità di discutere virtualmente su temi
chiave del trasporto e della mobilità sostenibile.
- eventi nazionali nei paesi dei partner dell’Associazione (il prossimo si terrà il 19-20
marzo a Madrid) Lo scopo di questi eventi è
presentare l’Associazione Mo.Ve, le sue attività e le sue ricerche scientifiche ai principali
decisori locali.
- incontri ad hoc con i principali rappresentanti delle Istituzioni europee.
A seguito dei Forum Internazionali, Mo.Ve ha
pubblicato brochure relative alle edizioni del
2002, 2003, 2004 e 2005, un Manuale di
Governance, che fornisce linee guida per un
effettivo governo del sistema di relazioni con i
portatori di interesse nelle aree metropolitane, Position Paper per le consultazione pubbliche dell’Unione Europea (Libro Bianco e
Libro Verde).
Associazione Mo.Ve
- Franco Lucchesi, Presidente dell’associazione
- Toni Muzi Falconi, responsabile relazioni
esterne e manager dell’Associazione
- Marta Fiore, relazioni istituzionali e relazioni
con i media
- Karin Fischer, relazioni internazionali e coordinamento scientifico
- Rein Van Lansberge, responsabile relazioni
internazionali
- Guido Martinotti, coordinatore del Comitato
Scientifico Mo.Ve
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