ASPETTI DELL`USO DEGLI AUSILIARI TEMPORALI IN ITALIANO

Transcript

ASPETTI DELL`USO DEGLI AUSILIARI TEMPORALI IN ITALIANO
Conference of the International Journal of Arts and Sciences
1(6): 71 - 81 (2009)
CD-ROM. ISSN: 1943-6114
© InternationalJournal.org
ASPETTI DELL’USO DEGLI AUSILIARI TEMPORALI IN
ITALIANO
Elena Pîrvu, Università di Craiova, Romania
Riassunto: Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono due: essere e
avere, ambedue verbi di stato. La descrizione dell’uso degli ausiliari
temporali implica, innanzitutto, il significato del participio passato. Però,
qualche volta, per una migliore descrizione, entrano in gioco anche: 1) il
significato del soggetto, 2) la coincidenza o la non coincidenza del
soggetto con l’oggetto, 3) l’uso attributivo o non attributivo del participio
passato, 4) il rapporto fra il verbo e i suoi argomenti e 5) l’aspetto verbale.
Ma per la descrizione dell’uso degli ausiliari temporali il più efficiente e
completo criterio è quello che parte dalla natura del participio passato.
ASPETTI DELL’USO DEGLI AUSILIARI
TEMPORALI IN ITALIANO
La schematica regola che vuole in italiano avere come ausiliare dei tempi
composti dei verbi transitivi e essere come ausiliare dei tempi composti
dei verbi intransitivi potrebbe lasciare intendere che il problema della
selezione dell’ausiliare vada situato in termini lessicali (e di riflesso
morfologici) e che la padronanza dell’uso degli ausiliari italiani dipenda in
modo esclusivo dall’apprendimento mnemonico delle due diverse classi di
verbi italiani, apprendimento da verificare nell’applicazione dei parametri
flessionali del verbo. Di qui le lunghe liste di verbi che richiedono essere o
avere riportate dalle diverse grammatiche italiane 1 o affermazioni del tipo:
“alcuni verbi intransitivi vogliono l’ausiliare essere, altri l’ausiliare avere;
non esiste una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba essere
usato con ciascun verbo; nei casi di dubbio si consulti un dizionario” 2.
Senza negare l’importanza del fondamentale ruolo che la memoria gioca
nella padronanza di un sistema linguistico (particolarmente nei suoi aspetti
lessicali), il punto di vista che adottiamo nel nostro lavoro a proposito
della divisione degli ausiliari è invece quello secondo cui tale divisione
nasconde importanti regolarità sintattiche, e va invece analizzata ed
interpretata nella produttività strutturale del sistema linguistico italiano.
1
Cf., per esempio, l’ampio elenco, con un tentativo di raggruppamento fondato soprattutto
su criteri semantici, di G. B. Moretti – G. R. Orvieto (1983), Grammatica italiana, vol. III, Il verbo
(morfologia e note generali di sintassi), Perugia: Editrice Benucci, 23-29.
2
Cf. M. Dardano – P. Trifone (1989), Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Seconda Edizione, Bologna: Zanichelli Editore, 308.
Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono, dunque, due: essere e
avere, ambedue verbi di stato. Pure avere è un verbo di stato, anche se ha
la costruzione di un verbo transitivo, perché non enuncia alcun processo:
tra il soggetto e l’oggetto di avere non può esistere un rapporto di
transitività, tale che la nozione sia supposta passare sull’oggetto e
modificarlo 1.
La costruzione transitiva di avere è una costruzione puramente formale.
Anche se gli elementi sintattici in Luigi ha una casa hanno lo stesso
assetto che hanno in Luigi costruisce una casa, il secondo enunciato si può
volgere al passivo, il primo no. È la prova che avere non ha reggenza
transitiva. Né essere né avere possono assumere forma passiva.
Essere e avere “indicano ambedue lo stato, però non lo stesso stato. Essere
è lo stato dell’essente, di chi è qualcosa; avere è lo stato dell’avente, di
colui del quale qualcosa è” 2. Da qui risulta la loro differenza: tra i due
termini che esso congiunge, cioè tra il soggetto e il predicato, “essere
stabilisce un rapporto intrinseco di identità: è lo stato consustanziale. Al
contrario, i due termini congiunti da avere restano distinti; il loro rapporto
è estrinseco e si definisce come rapporto di pertinenza: è il rapporto del
posseduto con il possessore” 3.
La descrizione dell’uso degli ausiliari temporali implica, innanzitutto, il
significato del participio passato. Però, qualche volta, per una migliore
descrizione, entrano in gioco anche: 1) il significato del soggetto, 2) la
coincidenza o la non coincidenza del soggetto con l’oggetto, 3) l’uso
attributivo o non attributivo del participio passato, 4) il rapporto fra il
verbo e i suoi argomenti e 5) l’aspetto verbale 4.
1) Partendo dal significato del soggetto, in generale, si può dire che la
coniugazione con avere si ha quando il soggetto designa l’agente 5 oppure
l’individuo sede dell’esperienza (ho pensato, ho costruito una casa, ho
creduto ecc.); implica cioè un soggetto attivo, causa dell’azione verbale, o
1
Cf. E. Benveniste (1971), “Essere” e “avere” nelle loro funzioni linguistiche, in Problemi
di linguistica generale, Milano: Il Saggiatore, 237.
2
Idem., 235.
3
Idem., 235.
4
Cf. soprattutto R. Fornaciari (1974), Sintassi italiana dell’uso moderno, Ristampa
anastatica dell’edizione 1881, Firenze: Sansoni, 155-162.
5
Secondo Giampaolo Salvi, i ruoli semantici del soggetto possono essere classificati,
secondo una scala di salienza semantica che privilegia l’animatezza dell’ente che svolge il ruolo, e
il controllo che esso esercita sull’evento descritto, in: 1) agente, 2) esperiente / termine, 3) oggetto.
L’agente (che compie l’azione: Giovanni mangia la minestra) è animato e controlla l’azione;
l’esperiente (che prova una sensazione: Giovanni vede Maria) è animato ma non controlla l’evento;
il termine (che è il termine di una relazione di possesso: Giovanni possiede una casa) è animato, ma
il suo controllo sull’evento è irrilevante; l’oggetto (che è oggetto di un’azione: Il libro è caduto)
non controlla l’evento e la sua animatezza è irrilevante (cf. G. Salvi, La frase semplice, in G. Salvi
– L. Vanelli (1992), Grammatica essenziale di riferimento della lingua italiana, Firenze: Istituto
Geografico De Agostini Le Monnier, 9.
meglio “atteggia l’azione verbale in dipendenza del soggetto” 1. Il verbo
essere si ha, invece, quando il soggetto non è direttamente e attivamente
implicato nell’azione indicata dal verbo (sono entrato, sono arrivato ecc.).
In altre parole, la coniugazione con essere “vede invece l’azione
indipendentemente dall’iniziativa del soggetto, ossia si limita a cogliere lo
stato in cui il soggetto viene a trovarsi” 2.
Ma questa distinzione, fondamentalmente esatta, come dice Alfonso
Leone, aiuta poco in pratica, essendo “assai difficile escludere da verbi
come tornare la volontà del soggetto (Luigi è tornato a casa) ed
ammetterla invece in verbi come sbandare (L’autista ha sbandato)” 3.
2) La coincidenza o la non coincidenza del soggetto con l’oggetto ci aiuta
nel caso dei verbi accompagnati di un oggetto. I verbi che entrano in
questa categoria scelgono essere o avere a seconda che siano o no
riflessivi, a seconda cioè che il soggetto e l’oggetto designino o no la
stessa persona: scelgono essere quando soggetto e oggetto coincidono,
avere quando non coincidono.
Luigi si è iscritto a una scuola serale.
Luigi mi ha iscritto a una scuola serale.
Negli altri casi i due ausiliari temporali hanno una ripartizione
complementare. Tutti i verbi hanno necessariamente l’uno o l’altro di
questi, compresi essere e avere come ausiliari di se stessi.
Il nostro amico è venuto da lontano.
Ho conosciuto ieri il tuo nonno.
Luigi ha avuto una buona idea.
Carla è stata due mesi in campagna.
3) Per quanto riguarda l’uso attributivo o non attributivo del participio
passato, si può dire che il verbo intransitivo richiede essere quando il
participio può adoperarsi come attributo (andato, uscito, cresciuto, caduto:
i tempi andati, il signore uscito poco fa, un bimbo cresciuto in campagna,
la palla caduta nell’acqua); richiede avere nel caso opposto, cioè quando
l’uso attributivo non è possibile, tranne che il participio non sia sentito
come aggettivo autonomo (camminato, viaggiato): in tal caso “l’ausiliare
avere è necessario per restituire ad esso la sua forza verbale” 4.
4) I verbi, come del resto tutte le voci lessicali, sono predicazioni a uno o
più argomenti e, da questo punto di vista, si distinguono in due categorie.
Una categoria (nella quale entrano verbi come uscire e lavare) comprende
i verbi il cui compimento ha come risultato l’instaurarsi di uno stato in uno
1
30, 24.
2
Cf. A. Leone (1970), Una regola per gli ausiliari, in “Lingua nostra”, vol. XXXI, 1, 24-
Idem, p. 24.
Idem, p. 24.
4
Cf. L. Serianni, con la collaborazione di A. Castelvecchi (1989), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Torino: UTET Libreria, 392, e A. Leone (1970), 25-26.
3
degli argomenti del verbo 1; l’altra categoria (nella quale entrano verbi
come dormire) comprende i verbi il cui compimento non ha come risultato
l’instaurarsi di uno stato in nessuno degli argomenti del verbo 2.
Ammesso che sia possibile stabilire per ogni verbo se esso implica o no
uno stato in uno dei suoi argomenti, potremmo dire che:
Se un predicato esprime uno stato dell’argomento proiettato come
soggetto, viene scelto come ausiliare il verbo essere.
Se il predicato non esprime uno stato dell’argomento proiettato come
soggetto (o perché non esprime affatto uno stato, come dormito, o perché
esprime uno stato dell’argomento proiettato come complemento oggetto,
come lavato), allora viene scelto il verbo avere.
Potremmo concludere che la scelta di essere o avere dipende sì
dall’esistenza di uno stato, ma anche dal fatto se tale stato è quello
dell’argomento proiettato come soggetto oppure no.
5) Però, “l’uso di avere o di essere può essere qualche volta meglio
compreso raffrontandolo con l’aspetto imperfettivo (continuativo,
durativo) o perfettivo (finito) dell’azione di un verbo, sia nel caso dei verbi
che possono avere entrambi gli ausiliari, sia, meglio ancora, in quelli dove
l’uso diverso dell’ausiliare implica chiaramente un carattere durativo
(imperfettivo) o un carattere finito (perfettivo) dell’azione verbale. Così, la
frase ho corso tutta la giornata, con avere, esprime un’azione
continuativa, cioè imperfettiva, mentre nella frase sono corso all’ufficio
postale, con essere, l’azione appare, invece, limitata, conchiusa, finita,
cioè perfettiva e finita” 3.
In base ai due aspetti fondamentali, le categorie in cui vengono divisi i
verbi italiani in relazione all’uso degli ausiliari, in fondo, si possono
ridurre sotto i seguenti due comuni denominatori: quello dell’aspetto
imperfettivo con avere e l’altro, dell’aspetto perfettivo, con essere.
6) Ma per la descrizione dell’uso degli ausiliari temporali il più efficiente e
completo criterio è quello che parte dalla natura del participio passato 4. In
1
Alla categoria dei verbi che implicano uno stato di uno dei loro argomenti appartengono i
verbi che contengono il componente cambia o il componente causa. I verbi che contengono il
componente cambia esprimono un cambiamento, il passaggio di uno dei loro argomenti da uno
stato al suo opposto. Così il verbo uscire significa cambiare dallo stato di essere dentro qualcosa
allo stato di essere fuori questo qualcosa: Luisa esce dalla stanza.
Nei verbi che contengono il componente causa, o almeno in alcuni di essi, non solo vi è
qualcosa che cambia in essere in un certo stato, ma vi è anche un qualcos’altro che causa tale
cambiamento: Luigi ha ucciso Franco. (Cf. D. Parisi, Participio passato, in D. Parisi (a cura di)
(1975), Studi per un modello del linguaggio, Roma: Consiglio Nazionale delle Ricerche, 173-194,
175).
2
Cf. D. Parisi (1975), 174.
3
Cf. Ivan Petkanov (1970), Ausiliari e aspetto verbale, in “Lingua nostra”, vol. XXXI, 3,
96-97, 96.
4
Il participio passato era in latino una forma passiva (da ho una lettera scritta, per il
trasferimento del participio nella sfera d’azione del soggetto, si ebbe ho scritta od ho scritto una
lettera) e, come tale, mancante ai verbi intransitivi. Quando questi, sull’esempio dei transitivi,
adottarono il participio passato, non potendo il loro participio passato comportare un significato
passivo, l’opposero al participio presente solo con valore temporale.
linea di massima, si può dire che i verbi che indicano stato, intransitivi,
scelgono essere, quelli che indicano possesso, transitivi, scelgono avere.
In altre parole, essere serve al concetto di stato, condizione e simili,
mentre avere serve al concetto di azione.
In realtà però, per quanto riguarda l’uso dell’ausiliare, nell’italiano si
possono identificare tre gruppi di verbi:
a) verbi che usano solo avere (i verbi attivi transitivi e alcuni verbi attivi
intransitivi, come dormire, cenare ecc.);
b) verbi che usano soltanto essere (i verbi riflessivi, i verbi impersonali
veri e propri, la maggioranza dei verbi intransitivi, i verbi alla forma
passiva 1);
c) verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso
(alcuni verbi, come mancare, crescere, bruciare ecc., che sono per lo più
intransitivi, e i verbi impersonali).
Da questa classificazione risulta che la sola categoria di verbi che pone
problemi è quella dei verbi intransitivi, perché, a seconda dell’ausiliare
temporale selezionato, i verbi italiani intransitivi, cioè i verbi che non
possono reggere un complemento diretto, possono essere divisi in tre
gruppi:
I. i verbi intransitivi che usano soltanto avere, gruppo di cui fanno parte
verbi attivi intransitivi come dormire, cenare ecc.;
II. i verbi che usano soltanto essere, gruppo in cui rientra la maggioranza
dei verbi intransitivi;
III. i verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso,
gruppo in cui entrano alcuni verbi, come mancare, crescere, bruciare ecc.,
che sono per lo più intransitivi.
Vediamo adesso ogni singolo gruppo.
I. Il primo gruppo, come abbiamo detto, comprende i verbi intransitivi che
usano l’ausiliare avere. A questo gruppo appartengono:
1. Verbi come: dormire, cenare, telefonare, piangere, gridare, respirare,
tossire, pranzare, mentire ecc., che indicano un’attività fisica di durata.
Chi non ha mentito neanche una volta?
Luigi ha tossito tutta la notte.
2. I verbi di moto che indicano un movimento in sé, o nel suo accadere o
nella sua estensione. Rientrano in questa categoria verbi come camminare,
danzare, viaggiare, girare, passeggiare ecc.
Ho passeggiato con Luisa.
Abbiamo viaggiato attraverso il deserto.
Infatti, sia se coniugato con essere (è andato, è caduto), sia se coniugato con avere (ha
navigato, ha gridato), il participio passato del verbo intransitivo ha valore attivo o, almeno, non
esprime mai il subire di un’azione fatta da altri: andato, uscito, cresciuto (‘divenuto più grande’)
ecc.
1
Per formare il passivo, oltre a essere, si possono usare, con alcune limitazioni, anche il
verbo venire e, con sfumature diverse di significato, i verbi andare, stare, restare.
A differenza del participio passato dei verbi appartenenti al primo gruppo,
il participio passato dei verbi appartenenti al secondo gruppo non ha forza
di attributo (e nulla importa se, con tale funzione, esista il participio
corrispondente, ma di significato passivo): “poiché la notizia gridata ai
quattro venti ha valore passivo, e non esiste un gridato di significato attivo
con funzione di attributo, si ha: ho gridato”1. Lo stesso, un giorno sognato
a lungo, per dare un altro esempio, significa: ‘un giorno che è stato
sognato a lungo’, cioè con valore passivo.
Sempre a differenza dei verbi appartenenti al primo gruppo, questi verbi
sono simili ai verbi transitivi, e la pronominalizzazione con ne è
impossibile per i soggetti dei verbi con ausiliare avere, indipendentemente
dal fatto che esso sia intransitivo o transitivo, e che il soggetto sia in
posizione preverbale o postverbale:
In questo albergo hanno dormito molte celebrità.
*In questo albergo ne hanno dormito molte.
*Molte ne hanno dormito in questo albergo
Solo alcuni spazzini hanno raccolto le foglie.
*Ne hanno raccolto le foglie solo alcuni. 2
3. Usano l’ausiliare avere anche i verbi intransitivi del tipo: navigare,
riposare, sbandare, progredire ecc., nonostante la possibilità di un
participio passato con valore attributivo, come in severità esagerata,
poiché tali participi sono ormai avvertiti dai parlanti come aggettivi
autonomi, ossia indipendenti dal verbo, e l’ausiliare avere è necessario per
sottolineare il loro uso verbale 3:
La nazione è progredita.
(progredita = aggettivo; si sottolinea lo stato in cui si trova
la nazione)
La nazione ha progredito.
(progredito = verbo; si sottolinea il cammino che la nazione
ha fatto).
II. Il secondo gruppo comprende i verbi intransitivi che usano l’ausiliare
essere. Appartengono a questo gruppo:
1. Verbi come: essere, stare, rimanere, apparire, sparire, nascere, morire,
invecchiare 4 ecc., che indicano uno stato, un modo di essere, o una
condizione vista come conseguenza di un processo fisico o morale.
1
Cf. A. Leone (1970), 26.
Cf. P. Benincà – L. Vanelli (1984), Italiano, veneto, friulano: fenomeni sintattici a
confronto, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 8, 165-194, 180.
3
Cf. A. Leone (1970), 29.
4
Vogliono essere anche “tutti i verbi intransitivi formati dall’unione di una preposizione a
un aggettivo (o sostantivo), esprimenti l’inizio di uno stato, per esempio imbianchire, imboschire,
impigrire, inasprire, ingentilire, intorpidire, ingrossare, dimagrare, dimagrire, invecchiare.” (Cf.
G. Rohlfs (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. III,
Sintassi e formazione delle parole, Torino: Piccola Biblioteca Einaudi, 121).
2
Carla è stata in Romania nel 1995.
A causa della pioggia sono rimasto a casa.
2. Verbi di moto come: andare, venire, arrivare, cadere, partire, entrare,
uscire, scappare ecc., che indicano spostamento da un luogo a un altro,
considerando l’azione come semplice mezzo che serve al fine di trovarsi in
un luogo.
Ieri mattina sono uscito molto presto.
Siamo arrivati in treno.
Questi verbi hanno in comune le seguenti caratteristiche:
a) Come si osserva dagli esempi, si limitano a cogliere lo stato in cui viene
a trovarsi in un dato momento il soggetto.
b) I loro participi passati ammettono anche l’uso attributivo. Si osservi
l’equivalenza fra:
Il treno che è arrivato poco fa viene da Roma. e
Il treno arrivato poco fa viene da Roma.
c) I loro soggetti hanno comportamenti tipici dell’oggetto dei verbi
transitivi. Questi verbi compaiono in genere, senza particolari condizioni
contestuali o pragmatiche, col soggetto posposto, e si suppone quindi che
la posizione strutturale del soggetto sia dopo il verbo, appunto come quella
dell’oggetto del verbo transitivo 1:
Sono arrivati i Rossi.
L’analogia del soggetto di questi verbi con l’oggetto dei verbi transitivi è
suggerita fra l’altro dal fatto che in ambedue i casi, se il sintagma
nominale è costituito da un nome vuoto retto da un quantificatore, si ha la
pronominalizzazione con ne 2:
Sono arrivati quattro libri. Ne sono arrivati quattro.
Abbiamo letto molti libri. Ne abbiamo letti molti.
III. Il terzo gruppo comprende i verbi che usano come ausiliare tanto
essere quanto avere, cioè i verbi che possono comportarsi sia come verbi
intransitivi, e si costruiscono con essere, che come verbi transitivi, e si
costruiscono con avere. In genere questa differenza sintattica è
accompagnata da una differenza semantica. Appartengono a questo
gruppo 3:
1) I verbi come crescere, cominciare, cessare, cambiare, mancare,
bruciare, trasalire ecc. Sono per lo più intransitivi, ma possono essere
costruiti transitivamente e richiedono l’ausiliare essere quando viene posto
in rilievo lo stato o sono usati intransitivamente e l’ausiliare avere quando
viene indicata soltanto l’azione o sono usati transitivamente:
Sono cambiato molto. / Ho cambiato casa.
1
Cf. P. Benincà – L. Vanelli (1984), 179.
Idem, 180.
3
Cf. anche l’elenco da L. Lepschy – G. Lepschy, La lingua italiana. Storia, varietà
dell’uso, grammatica, Nuova Edizione, Milano: Bompiani, “Saggi Tascabili”, 133.
2
Paolo è trasalito. / Paolo ha trasalito.
Con taluni verbi appartenenti a questo gruppo il diverso uso dell’ausiliare
può cristallizzarsi con significati diversi 1.
Così, per esempio, cessare coniugato con avere significa ‘smettere di
fare’:
Ha cessato di parlare.
mentre coniugato con essere significa ‘smettere di essere’:
Il vento è cessato.
2) Alcuni verbi, come vivere, emigrare, fiorire, appartenere, durare ecc.,
che ammettono tanto essere quanto avere, ma con una precisa differenza:
con il verbo essere indicano un’azione per lo più compiuta e quindi un
fatto o un avvenimento, mentre con il verbo avere indicano un’azione
considerata nel suo svolgimento:
Il nonno è vissuto fino a novant’anni.
Luigi ha vissuto da gran signore senza lavorare.
Con l’ausiliare avere e in presenza di avverbiali che svolgono una
funzione imperfettivizzante, come: tutto il giorno, tutto il tempo, a lungo,
sempre (nel senso di ‘tutto il tempo, senza interruzione’) ecc., vivere
impone una lettura «inclusiva», perché il momento dell’avvenimento
corrisponde ad un intervallo che include anche il momento di riferimento.
“Ciò che perdura al momento di riferimento non è quindi il risultato
dell’evento, ma l’evento stesso” 2:
Ho già vissuto a lungo in questo posto. (Il locutore vive tuttora nel
luogo cui ci si riferisce.)
Nella presenza dell’oggetto interno vita (che implica l’uso transitivo)
l’ausiliare è obbligatoriamente avere:
Il nonno ha vissuto una vita felice.
Similmente si spiega l’uso di fiorire: usato in senso intransitivo può
costruirsi con ambedue gli ausiliari:
Gli alberi sono fioriti. (Si sottolinea l’effetto e lo stato.)
Gli alberi hanno fiorito. (Si sottolinea l’azione o la causa.)
Nel senso transitivo di ‘far fiorire’ o ‘coprir di fiori’, vuole naturalmente
l’ausiliare avere.
3) Alcuni verbi di moto, come: correre, salire, saltare, volare.
Questi verbi possono essere usati intransitivamente con entrambi gli
ausiliari, ma vogliono essere quando indicano moto con direzione o
destinazione determinata, cioè quando implicano una meta:
Sono corso a casa.
L’uccello è volato alla preda.
Siamo saltati in acqua.
1
Cf. A. Leone (1970), 29.
Cf. P. M. Bertinetto (1991), Il verbo, in L. Renzi – G. Salvi (a cura di), Grande
grammatica italiana di consultazione, vol. II: I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La
subordinazione, Bologna: Il Mulino, 13-163, 60.
2
Siamo saliti fino alla Rocca.
e avere, invece, quando indicano un moto con direzione indeterminata,
sottolineano l’azione in sé o indicano semplicemente la maniera del moto:
Ho corso tutta la giornata.
Ha corso con uno stile perfetto.
L’aquila ha volato a lungo prima di posarsi.
I bambini hanno saltato per tutta la stanza.
Abbiamo salito in fretta.
Come si osserva, con l’ausiliare essere, correre, volare, saltare, salire
sono varianti di andare e reggono quindi complementi di moto a luogo;
con l’ausiliare avere, perché il significato è concentrato più sullo
svolgimento del movimento che sulla sua conclusione, possono reggere
solo complementi di moto per luogo o di modo.
I verbi saltare e salire vogliono l’ausiliare avere anche quando reggono un
oggetto interno 1:
Ha saltato tre scalini.
Abbiamo salito in fretta la collina.
Con oggetti come rischio, pericolo, il verbo correre vuole l’ausiliare
avere:
Non abbiamo corso nessun rischio.
Nel caso dei verbi appartenenti al terzo gruppo abbiamo una prova
dell’intervento dell’aspetto verbale nella selezione dell’ausiliare
temporale, perché, come si osserva, con questi verbi l’uso dell’ausiliare
avere mette in rilievo il modo dell’azione, mentre essere dà enfasi allo
scopo o al risultato di essa 2. “L’uso di essere pare più appropriato ad
indicare l’aspetto finito o singolativo di un’azione, mentre quello di avere
attribuisce un valore durativo, continuativo o non finito o iterativo
all’azione del verbo italiano” 3. Così, la frase ho corso tutta la giornata,
confrontata con sono corso a casa, esprime un’azione continuativa rispetto
all’azione espressa nel secondo modo, dove quest’ultima appare, invece,
limitata, conchiusa, finita.
Dunque, nei casi in cui ugualmente bene si possono usare entrambi gli
ausiliari e in quelli in cui l’uso diverso dell’ausiliare implica chiaramente
un carattere durativo (imperfettivo) o un carattere finito (perfettivo)
dell’azione verbale, l’uso di avere o di essere può essere meglio compreso
raffrontandolo con l’aspetto imperfettivo (continuativo, durativo) e
perfettivo (finito) dell’azione di un verbo.
1
Cf. M. Regula – J. Jernej (1975), Grammatica italiana descrittiva (su basi storiche e
psicologiche), seconda edizione riveduta e ampliata, Bern und München: Francke Verlag, 202.
2
Cf. R. A. Hall Junior (1971), La struttura dell’italiano, Roma: Armando Editore, 167.
3
Cf. I. Petkanov (1970), 97.
Bibliografia
Benincà, P. – Vanelli, L. (1984), Italiano, veneto, friulano: fenomeni
sintattici a confronto, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, 8, 165-194.
Benveniste, E. (1971), “Essere” e “avere” nelle loro funzioni linguistiche,
in Problemi di linguistica generale, Milano: Il Saggiatore, 223-247.
Bertinetto, P. M. (1991), Il verbo, in Renzi L. e Salvi G. (a cura di),
Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II: I sintagmi verbale,
aggettivale, avverbiale. La subordinazione, Bologna: Il Mulino, 13-161.
Dardano, M. – Trifone, P. (1989), Grammatica italiana. Con nozioni di
linguistica, Seconda edizione, Bologna: Zanichelli.
Fornaciari, R. (1974), Sintassi italiana dell’uso moderno, Ristampa
anastatica dell’edizione 1881, Firenze: Sansoni.
Hall, R. A. Junior (1971), La struttura dell’italiano, Roma: Armando
Editore.
Leone, A. (1970), Una regola per gli ausiliari, in “Lingua nostra”, vol.
XXXI, 1, 24-30.
Lepschy, L. – Lepschy, G. (1993), La lingua italiana. Storia, varietà
dell’uso, grammatica, Nuova Edizione, Milano: Bompiani, “Saggi
Tascabili”.
Moretti, G. B. – Orvieto, G. R. (1983), Grammatica italiana, vol. III, Il
verbo (morfologia e note generali di sintassi), Perugia: Editrice Benucci.
Parisi, D. (1975), Participio passato, in Parisi D. (a cura di), Studi per un
modello del linguaggio, Roma: Consiglio Nazionale delle Ricerche, 173194.
Petkanov, I. (1970), Ausiliari e aspetto verbale, in “Lingua nostra”, vol.
XXXI, 3, 96-97.
Rohlfs, G. (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei
suoi dialetti, vol. III, Sintassi e formazione delle parole, Torino: Piccola
Biblioteca Einaudi.
Salvi, G. – Vanelli, L. (1992), Grammatica essenziale di riferimento della
lingua italiana, Firenze: Istituto Geografico De Agostini Le Monnier.
Segre, C. (1963), Le caratteristiche della lingua italiana, in Charles Bally,
Linguistica generale e linguistica francese, Milano: Il Saggiatore, 439466.
Serianni, L. (con la collaborazione di Castelvecchi A.) (1989),
Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino: UTETLibreria.