Maria e Giuseppe icona di nuzialità

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Maria e Giuseppe icona di nuzialità
MARIA E GIUSEPPE
ICONA DI NUZIALITÀ
Convegno Regionale Equipe Nôtre Dame
S. Maria di Leuca (LE), 26 febbraio 2012
Apriamo questa nostra riflessione con una preghiera di S. Agostino tratta
dal De Trinitate: «Signore mio Dio, unica mia speranza, fa’ che stanco non
smetta di cercarTi, ma cerchi il Tuo volto sempre con ardore. Dammi la forza
di cercare, Tu che ti sei fatto incontrare e mi hai dato la speranza di sempre
più incontrarTi. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva
quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza: dove mi hai aperto, accoglimi al mio entrare; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di Te, che intenda Te, che ami Te. Amen!».
1. Sposi di periferia
Maria e Giuseppe vengono presentati dai vangeli come una coppia di periferia. Coppia di Palestina, piccola provincia periferica dell’impero romano.
Coppia di Galilea, regione quasi eretica ai margini di Israele. Coppia di Nazareth, villaggio mai nominato nella Bibbia prima dei vangeli e, dunque, senza passato ricordi storia.
Maria e Giuseppe vengono dalla periferia delle periferie a dirci che tutti
possiamo riconoscerci in loro, che la nuzialità del Vangelo vale anche per noi
che lottiamo alle periferie della storia e siamo in cammino nelle periferie della santità. Maria e Giuseppe rappresentano altresì il cammino dei poveri di Israele, per i quali è venuto Gesù ad annunciare “la lieta notizia”. Sì, in questa
coppia di periferia Gesù ricomincia dagli ultimi, come nell’Eucaristia ricomincia dall’infinitamente piccolo frammento di pane!
Per Maria e Giuseppe la casa di Nazareth rappresenta la clausura del cuore, perché l’amore si vive cuore a cuore, nell’intimità del reciproco sguardo di
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avvolgente tenerezza. E lo sguardo di Dio ama le cose nascoste; per Lui nulla è troppo piccolo!
Come l’Amore cerca cuori ospitali e appassionati in cui trovare casa, così
il Misericordioso senza casa trova casa nella casa di Giuseppe e Maria di Nazareth. Dio si inchina davanti a questa straordinaria coppia di sposi e attende la misericordia primordiale che solo una famiglia può accordargli: la casa-grembo in cui farsi carne e la casa-famiglia in cui umanamente tessere trame di divino Amore.
Casa di Nazareth, cenacolo d’Amore dove si parla cuore a cuore, dove l’istante si trasfigura nell’eterno e l’eterno germina nel frammento di ogni istante. Casa di Nazareth, tabernacolo di Dio nel tabernacolo della famiglia, santuario di umiltà e di reciproco avvincente stupore…
Giuseppe e Maria, della sconosciuta borgata di Nazareth, sono innamorati l’uno dell’altra, ma tale amore non mette affatto in ombra l’amore verso
Dio: le due espressioni dell’amore traggono a vicenda mutuo alimento. Dio
agisce nel loro reciproco amore, non soffocandolo o eliminandolo, ma facendolo evolvere secondo percorsi a loro imprevedibili e per noi difficili da percepire, costretti ad arrestarci sulla soglia della loro storia affettiva.
Giuseppe e Maria, per usare le parole di Simone Weil, rappresentano la vita
del credente, comprensibile solo perché contiene qualcosa di incomprensibile!
2. La genesi di Gesù
Proviamo dunque ad accostarci alla soglia di questa incredibile vicenda,
secondo la visuale di Giuseppe riportata dall’evangelista Matteo, che comincia con questa affermazione: «La genesi (o nascita) di Gesù avvenne così» (Mt
1,18). L’avverbio così è molto importante perché introduce il racconto, il quale ci spiega come avvenne la genesi di Gesù.
Il fatto iniziale, da cui scaturisce tutto il racconto e anche il dramma di Giuseppe, è un evento assolutamente improvviso, non previsto né prevedibile:
«Essendo donna promessa la madre di lui, Maria a Giuseppe, prima che con-
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venissero insieme si ritrovò avente in grembo…» (Mt 1,18). Maria, già fidanzata a Giuseppe, sperimenta l’incredibile sorpresa della creatura che si trova
a concepire l’inconcepibile, cioè il proprio Creatore. Trattandosi di un fatto completamente imprevisto e umanamente inconcepibile, al quale Maria si consegna in quel fiat di oblativo amore, scoppia in Giuseppe un dramma assolutamente unico nella storia.
Maria si ritrova in una situazione molto delicata e il suo dramma viene
raccontato dall’evangelista Luca, mentre Matteo registra il punto di vista di
Giuseppe. Dio dunque parla alla coppia, si consegna ai due sposi già promessi e chiede la loro totale consegna. Conosciamo bene la reazione di Maria raccontata da Luca. Approfondiamo un poco allora la reazione del giovane fidanzato Giuseppe, di cui ci parla Matteo.
«Giuseppe, il suo uomo, che era giusto e non voleva denunziarla, voleva
allontanarla segretamente da sé» (Mt 1,19). Giuseppe è posto di fronte ad una situazione inconcepibile e anche umiliante per lui, come uomo e come fidanzato, e dunque come responsabile e custode di Maria.
Secondo la cultura e le usanze del tempo, la donna veniva considerata un
bene da custodire e verso di lei il padre esercitava in tal senso diritti e doveri. Con il fidanzamento, cioè con il contratto di matrimonio redatto un anno
prima delle nozze, la responsabilità della custodia ricadeva sul fidanzato, il
quale esercitava sulla sua donna gli stessi diritti e doveri del padre di famiglia. Ecco allora il primo grande tormento di Giuseppe: non aver saputo custodire la sua donna Maria, affidatagli dal padre della futura sposa.
3. L’uomo giusto in ascolto
Giuseppe non dice niente nei vangeli. Di lui non si conservano parole. È
come se fosse passato sulla scena della storia in punta di piedi. Giuseppe si
è mosso con estrema delicatezza nella vicenda di Gesù, leggero è stato il suo
passo, come leggero è stato il suo spirito, il suo modo di porsi alla presenza di
Dio. Il “giusto” nella Bibbia è l’uomo che vive nella verità e in ascolto di Dio,
ne comprende la volontà e cammina nei suoi sentieri, osservando la legge del
Signore data ad Israele.
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Giuseppe è un uomo giusto, non semplicemente secondo la legge, ma soprattutto secondo Dio. Se fosse stato giusto solo secondo la legge, avrebbe dovuto ripudiare Maria, perché cosi prescriveva la legge. E Maria, accettando
che lo Spirito Santo agisse in lei, sapeva di andare incontro al pericolo della
morte per lapidazione. Secondo la legge umana Giuseppe non sarebbe “giusto”, perché avrebbe dovuto denunciare Maria ed esporla alla lapidazione, esponendo se stesso alla vergogna per l’oltraggio subito, ma anche all’umiliazione per essere stato tradito dalla sua promessa sposa e per non essere stato capace di custodirne la verginità. Ma Giuseppe crede a tal punto al racconto di Maria, pur fra atroci ed intimi tormenti, da ritenere che effettivamente
nella vicenda di lei c’è il dito di Dio. Giuseppe, dunque, da uomo innamorato di Dio e della sua sposa promessa, decide di sciogliere il fidanzamento per
rispetto e non per sospetto.
Il senso della giustizia dal punto di vista divino e la sua profonda delicatezza spingono in un primo tempo Giuseppe a tirarsi indietro, per non intromettersi fra Maria e Dio. Per questo vorrebbe sciogliere il fidanzamento in segreto: non vuole impedire a Dio di compiere il suo disegno su Maria e non
vuole impedire a Maria di celebrare il suo segreto e nascosto sposalizio con
Dio. Pensa di mettersi da parte come uno che quasi potrebbe disturbare. Ma
Giuseppe era profondamente innamorato di Maria, pensiamo dunque quale
lacerante dramma egli vive. Probabilmente è la stessa sofferta lacerazione e
il medesimo intenso turbamento vissuto da Maria al momento dell’Annunciazione.
Quanto è accaduto nel grembo di Maria pone dunque Giuseppe di fronte ad una scelta difficile. E nel suo tormentato discernimento sa che da solo
non ce la può fare, ha bisogno di ricorrere direttamente all’Autore di questa
inaudibile vicenda, ha bisogno di Dio e della luce della sua Parola. E Dio risponde: «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in
sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, la tua donna”» (Mt 1,20).
Mentre stava pensando a queste cose: Giuseppe non smette di pensare a Maria e il suo cuore non è felice per la decisione presa. E Maria non abbandona
il suo sposo promesso di cui è innamorata, ma viene a visitarlo anche nei sogni. Perché Giuseppe è l’uomo dei sogni: il falegname è un sognatore; se le sue
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mani sono indurite e incallite dal lavoro, il suo cuore è “umiliato” dall’amore e intenerito dai sogni. Sì, l’uomo giusto è sempre un uomo in ascolto; sogna
i sogni di Dio e nel silenzio di un cuore lacerato scopre di essere visitato da
angeli. Un angelo scava cavità d’amore nella carne di Maria; un altro angelo
scava imprevedibili abissi nel cuore di Giuseppe.
Non temere: sono le stesse parole che l’angelo ha rivolto a Maria. Sono parole che nella Sacra Scrittura ricorrono ogni qualvolta Dio si manifesta all’uomo e questi è colto da timore e tremore. Se dunque l’angelo rivolge queste
parole a Giuseppe è perché Dio si sta manifestando a lui, e anche perché il
dramma dei due giovani fidanzati è un evento rivelativo di Dio nella storia.
E l’angelo spiega a Giuseppe perché non deve temere: «Quel che è generato
in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (Mt 1,20-21).
Confortato dalla rivelazione divina e sostenuto dalle parole dell’antica
Scrittura, Giuseppe decide di stare dalla parte di Maria e non della legge.
Compie così una scelta coraggiosa: rischia tutto il suo amore e il suo futuro
prendendo Maria. Si rivela in tal modo come un giovane coraggioso, capace
di rischiare di persona dopo aver attraversato il tunnel del tormento e del
dubbio; un uomo disponibile alle incredibili novità di Dio nella sua storia.
4. Amore di pura perdita
«Risorto (egertheis) dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua donna» (Mt 1,24). Maria “risorge” dalla sua umiliazione andando in fretta a dedicare il suo tempo all’umiliata cugina Elisabetta, Giuseppe “risorge” per nascere alla responsabilità della custodia.
Giuseppe “risorge”, preferendo la sua sposa ad una propria carnale discendenza e prendendo in affidamento quella donna sua e di Dio. Maria “risorge” accogliendo da innamorata il suo Giuseppe e prendendolo in affidamento verginale. Questa straordinaria coppia di Nazareth ci insegna che è
possibile amare senza possedere, che il percorso del loro amore è un cammino dal
possedere al custodire, nel reciproco e trinitario affidamento. Perché l’amore per
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essere Amore ci deve ferire! Amare è sperimentare nel cuore la vertigine del
morire, perché si dà senza prendere, si dona senza pretendere. L’Amore vero è Amore di pura perdita!
Nella periferia di Nazareth, Maria lascia la sua casa e si consegna da innamorata a Giuseppe che la custodisce nella propria casa. Prima che a Dio,
Maria aveva detto il suo sì a Giuseppe e viceversa. Dio ha bisogno di due cuori innamorati, ha bisogno di due sì nuziali per fare casa con noi e abitare nel
crocevia dell’Amore già promesso e ora consegnato… perché «lo Spirito non
è più nell’io, ma tra l’io e il tu» (M. Buber).
Maria e Giuseppe si aprono ad una affascinante coniugalità e ad una misteriosa e straordinaria paternità e maternità. Voi, carissimi amici sposi, sapete meglio di me che generare un figlio richiede una semplice unione sessuale, ma essere padre e madre di quel figlio educandolo al “mestiere di uomo”
è una difficile arte, che si impara soltanto sui banchi della quotidiana esistenza. Basta un istante per passare dalla sponsalità alla genitorialità, ma occorre
tutta la vita per diventare padre e madre!
Al Figlio di Dio, per nascere come uomo, non basta il grembo di una donna e non gli è sufficiente un semplice tutore maschile. Lui desidera nascere
all’interno di un reciproco amore tra un uomo e una donna, uniti dal divino
respiro d’Amore dello Spirito e anche dal reciproco umano calore del loro essere l’uno per l’altra.
È l’amore tra Giuseppe e Maria, vivo e sincero, a costituire per Gesù la prima esperienza di cosa significhi amarsi in termini umani. Sì, perché anche
Lui ha dovuto imparare ad amare da uomo! E l’amore non lo si impara sui
libri, ma immergendovisi, percependolo e respirandolo attorno a sé. Gesù si
trova immerso nell’atmosfera d’amore di questa straordinaria coppia di periferia. Giuseppe e Maria si vogliono bene a tal punto da fondare tutto il loro amore sulla reciproca e incondizionata fiducia, rafforzata dalla luce della
Parola di Dio e illuminata dal fuoco dello Spirito Santo.
E Gesù giungerà pian piano a scoprire la paternità di Dio attraverso la paternità di Giuseppe: non una paternità fredda giuridica putativa, ma calda
convinta avvolgente. Gesù scoprirà la bellezza della “compassione” attraver-
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so la maternità di Maria. Grazie a Maria impara ad amare con viscere di materna misericordia. E grazie a Giuseppe viene introdotto nella città degli uomini, impara un lavoro, capisce cosa vuole dire guadagnarsi il pane con il sudore della propria fronte. E se un giorno la gente penserà che essere figlio dell’artigiano sia vergognoso e spregevole, per Gesù invece sarà un titolo d’onore!
5. Insieme per “fare casa”
«Essendo donna promessa la madre di lui, Maria a Giuseppe, prima che
convenissero insieme…». Con-venire significa fare un reciproco convergente
percorso per fare casa insieme. Fare casa è abbracciare e lasciarsi abbracciare,
accarezzare e lasciarsi accarezzare, nell’intimità di reciproco pulsante cuore
che genera futuro nell’unidualità della vita. Fare casa è uscire dalla malattia
della solitudine per costruire insieme il mosaico della solidarietà nella gratuità dell’Amore.
Fare casa a Nazareth per Maria e Giuseppe significa mettere al centro la
relazione, fra prossimità e distanza, imparando l’arte del vivere insieme nella reciprocità. Nella casa di Giuseppe, Maria è la tanto attesa ospitata in uno
spazio di dono. E lei si fa accoglienza ospitale per Giuseppe nella casa del loro verginale Amore.
Fare casa a Nazareth per Maria e Giuseppe significa nascere ad una nuova responsabilità: quella della custodia di due esseri in uno. Maria custodisce Gesù nel suo grembo e Giuseppe nel suo cuore. Giuseppe diviene custode della Presenza e della tenda, cioè del Dio-con-noi, e di Maria tenda umana di Dio. Maria e Giuseppe vengono presentati dai vangeli come i primi due
poveri che hanno ascoltato e accolto la Buona Novella; una coppia di poveri
che si lascia espropriare da Dio e, attraverso l’esperienza della propria personale e condivisa umiliazione, accetta di essere e di offrire casa a Dio.
Sì, a quel Dio che per mezzo di angeli «parla a tutti e due, al giusto e alla
vergine innamorati, che si sono promessi amore e fedeltà. Dio… lavora per
un mondo nuovo dentro la coppia di sposi, protagonista della vita nuova e
protagonista dell’amore. Lavora dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel
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dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci di una coppia già formata» (E. Ronchi). Dio chiede e attende un doppio sì, quello di Maria e di
Giuseppe; un doppio sì, quello di due cuori in uno per dare carne all’Amen
dell’Amore, per dirsi e darsi come benedizione per l’umanità.
Nella lettera a due sposi Bonhoeffer ha scritto: «Il matrimonio è più del vostro amore reciproco. Ha maggiore dignità e maggior potere. Finché siete solo voi ad amarvi, il vostro sguardo si limita nel riquadro isolato della vostra
coppia. Entrando nel matrimonio siete invece un anello della catena di generazioni che Dio fa andare e venire e chiama al suo regno. Nel vostro sentimento godete solo il cielo privato della vostra felicità. Nel matrimonio, invece, venite collocati attivamente nel mondo e ne divenite responsabili. Il sentimento del vostro amore appartiene a voi soli. Il matrimonio, invece, è un’investitura e un ufficio… Non è il vostro amore che sostiene il matrimonio: è il
matrimonio che d’ora in poi porta sulle spalle il vostro amore. Dio vi unisce
in matrimonio: non lo fate voi, è Dio che lo fa».
6. La nube della non conoscenza
«I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza…»
(Lc 2,41).
In questo racconto il progetto di Dio si inserisce nelle pieghe di un’usanza umana. I genitori di Gesù si comportano come tutti i bravi ebrei: ogni anno vanno a Gerusalemme per la festa di pasqua, «ma trascorsi i giorni della
festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero» (Lc 2,43). Angosciati, i
due genitori tornano a Gerusalemme e «dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori» (Lc 2,46).
Gesù rimane a Gerusalemme: «Kài ouk egnosen oi goneis autou – e non (lo)
conobbero (seppero) i suoi genitori». Luca nota qui l’esperienza di una ignoranza, una non-conoscenza, che si verifica anche alla fine del racconto: «Ma
essi non compresero le sue parole» (Lc 2,50).
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Perché Luca sottolinea per ben due volte la non-conoscenza o la non-comprensione di Maria e Giuseppe? La prima volta questi genitori non conoscono il fatto che Gesù sia rimasto a Gerusalemme; la seconda volta non ne comprendono le parole. «Conoscere» implica una relazione intima fra le persone.
Il fatto che essi “non conoscono» suggerisce una specie di “rottura-distacco”
di questa intimità familiare, evidenziata ancor più quando «non compresero
le sue parole». Le parole di Gesù cominciano a non essere più familiari a Maria e Giuseppe, i quali faticano a penetrarne il significato. Le parole di Gesù
si velano già di mistero.
«Tuo padre ed io angosciati...» (Lc 2,48). In greco odynamenoi è un verbo
molto particolare che Luca userà un’altra sola volta in At 20,38, applicandolo ai presbiteri di Efeso in lacrime sulla spiaggia di Mileto per il commovente saluto di Paolo, che annuncia la sua “passione”. Luca legge la stessa angoscia e lo stesso dolore in Maria e Giuseppe nei confronti di Gesù. I tre giorni
di angosciante ricerca indicherebbero allora i tre giorni del silenzio di Dio: la
morte e la sepoltura di Gesù. L’evangelista, infatti, utilizza il verbo «cercare»
(zetein) anche alla fine del vangelo per raccontare la dolorosa ricerca delle donne al sepolcro. Maria e Giuseppe si allontanano da Gerusalemme e dopo tre
giorni di ricerca trovano Gesù… a Gerusalemme! Questa “città di Dio” crea
angoscia: è la città della Passione di Gesù, del silenzio di Dio. Ma è anche la
città della gioia e della risurrezione, il luogo da cui partirà l’annuncio del Vangelo… fino ai confini della terra! Non si può fuggire da Gerusalemme, non si
può fuggire l’esperienza del dolore… ed è proprio lì il Vangelo del Risorto!
Giuseppe e Maria sono gli sposi del silenzio, che “giocano” con Dio con le
stesse armi: quelle del silenzio; sullo stesso terreno: quello della ricerca e della fecondità; che scommettono con Dio a tal punto da non poter fare a meno
di Lui neanche nei loro sogni… e anche lì si sentono abitati e visitati da questa Presenza inquietante e sconvolgente del Signore. Giuseppe e Maria sono
una coppia di sposi che hanno vissuto la loro strada in Dio, attraverso una
fede straordinaria, un affidamento totale, senza mai venir meno alle loro inquietudini, alle loro notti insonni.
Sono una coppia che ha cercato Dio anche quando sembrava che Dio li
scartasse dal proprio orizzonte: «Non sapete che devo occuparmi delle cose
del Padre mio?» (Lc 2,48-49). È come se Gesù volesse scartare Maria e Giu-
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seppe dal suo orizzonte genitoriale, appellandosi ad un altro Genitore: il suo
Padre celeste.
E il vangelo non ci riporta alcuna risposta di Maria e Giuseppe; essi sono
semplicemente lì con la loro presenza accogliente, sanno anche mettersi da
parte pur essendoci quando è necessario. Sono davvero due genitori esemplari perché sanno amare tacendo, sanno custodire senza possedere, permettendo a questo straordinario Figlio di fare le proprie scelte e di vivere la propria vita. Quel Figlio da Dio era stato a loro consegnato ed essi lo portano al
tempio perché diventasse “figlio dei comandamenti”, perché diventasse adulto e camminasse con i suoi piedi. Non lo trattengono per sé: essere padri
e madri significa ricevere come dono un figlio da consegnare al suo destino,
nella libertà.
7. Nel sogno del sì
Destino veramente singolare quello di Giuseppe e Maria: a loro tocca quel
che di peggio può dare la terra, quel che di meglio può dare il cielo. Non onore né gloria, non denaro, né agiatezza, non potenza né considerazione, nulla di nulla di ciò che il mondo cerca. Ma Giuseppe e Maria ricevono da Dio
quello che il Signore non avrebbe affidato mai a nessuna potenza del mondo, né alla coppia più ricca o più famosa. A Giuseppe e Maria affida il suo Figlio unigenito. A nessun’altra coppia di sposi è mai toccata né potrà mai toccare tanta altezza divina e tanta umana umiltà.
Maria e Giuseppe sono davvero “grandi” perché accettano di amarsi e di
amare in maniera sempre più nuova, perché alimentano in se stessi e nella
loro famiglia un atteggiamento di ascolto obbediente e di attenzione ai segni
di Dio. Anche se Dio si rivela attraverso le notti abitate da sogni, notti di non
comprensione, notti di non visione… Perché Dio si svela velandosi, parla tacendo. Allora la sua Parola diventa ascolto di angeli che svelano il suo disegno su questa coppia di sposi e la loro inaudita famiglia.
Miei cari amici, non abbiate paura di lasciarvi visitare dai sogni: molte volte essi sono proprio il crocevia di Dio. «Muore solo un amore che ha smesso di
essere sognato, (un amore) fatto materia e che si cerca sulla terra» (P. Salinas).
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E desidero concludere con le parole di don Tonino Bello, santo Vescovo di
questa nobile terra di Puglia: «Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del
villaggio con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo
di un fiordaliso? O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte sotto l’arco della sinagoga? O forse un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi
per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di
spigolatrice? Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la
prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi; e
poi tu la notte hai intriso il cuscino con lacrime di felicità?... Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un
mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più
grande dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrastava. Poi ti ha
chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio, e di dimenticarla per sempre.
Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore, e le dicesti tremando:
“Per te, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria. Purché mi faccia stare con te”. Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con
una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente».
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