CU BEUn - studio ko
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CU BEUn - studio ko
Una veduta d’insieme della Villa K, nel Tagadert Berber village a Marrakesh, progettata da Studio KO sa nd cu be Un’escapade di sabbia nella sabbia: alle porte di Marrakesh, nel villaggio berbero di Tagadert, sorge uno ksar, un fortino minimal-fashion progettato dallo Studio KO Testo Francesca Manuzzi - Foto Dan Glasser Sopra, da sinistra: la facciata esterna dello ksar di Villa K, il salone principale con vista sulla catena montuosa dell’Alto Atlante e la piscina Monoliti affiancati a edificare un fortino. Una Metropolis nel deserto alle porte di Marrakesh, a 25 minuti dalla città per amor di precisione. Nel villaggio berbero di Tagabert, tra ulivi e macchie di grano dorato, svetta un edificio ispirato agli ksar, i tradizionali villaggi fortificati, veri e propri castelli, posti in punti strategici per la difesa del territorio del Nord Africa. Spesso situati in zone d’oasi, in epoche passate ospitavano al loro interno una moschea, i bagni, i negozi e i mercati oltre a granai. Oggi di queste costruzioni vengono sfruttate le peculiari caratteristiche di integrazione con il paesaggio, e vengono trasformate in vere e proprie escapade, dedicate al benessere. Un po’ come è accaduto a Villa K rieditata in toto dagli architetti parigini di Studio KO. Che hanno lavorato per creare un ibrido tra un’abitazione privata e un mini resort di altissimo livello. Un reatreat minimal-fashion affacciato sul monte Atlas, la catena montuosa che percorre Marocco, Algeria e Tunisia. La Villa, completata dallo Studio KO nel giugno 2009, è stata rinominata K proprio in omaggio alla matrice edilizia degli ksar, di cui mantiene, in realtà, principalmente il colore ocra dovuto alla sabbia micacea. Una roccaforte dall’esterno rude, con un cuore che gioca con codici di estrema raffinatezza francese. Ogni elemento è stato soppesato scrupolosamente per non ricadere nei cliché delle normali maison berbere. La piscina in primis, che intarsia la pianta della casa, per poi scappare contro il monte Atlas per 25 metri. Così come gli arredi, tra design autoctono ed europeo, senza adottare però quell’etnico troppo scontato. Il tutto nel rispetto 76 di quello che è il concept dello studio francese. Perché i due fondatori, Karl Fournier e Olivier Marty, selezionano le location su cui intervengono con minuzia, per scegliere sempre un luogo che racconti una favola, per creare un building cantastorie, per fare in modo che i muri possano svelare le meraviglie che hanno già vissuto. Perché il duo di storyteller vede la professione non soltanto come un meeting con i clienti per carpire necessità abitative da tradurre in progetto, ma soprattutto crede in quello che è il mantra di Daniel Libeskind, ovvero che gli architetti dovrebbero articolare una storia e non una parodia estetica. Francesi di nascita, con genitori della buona borghesia parigina e studi all’École des Beaux-Arts, vantano tra i loro clienti nomi del calibro di Pierre Bergé, Marella Agnelli o Patrick Guerrand- In alto, da sinistra in senzo orario: un dettaglio della zona bagno, la camera padronale, la sala da pranzo, un dettaglio del camino nella zona relax e la stanza da letto con complementi in legno massello Hermès. E il loro lavoro stupisce, in modo particolare, quando creano e rileggono dei magioni del Nord Africa, tra Marocco e dintorni. Raccontando un modernismo culturale, che affonda le sue radici nella storia locale. Tanto che, per progettare i loro spazi, lavorano a stretto contatto con gli artigiani di tutto il Mediterraneo a cui affidano i diversi interventi estetici, per salvaguardarne la storia passata. Oltre ad aver stretto un solido legame con i malhems, veri e propri sacerdoti dell’abitare marocchino, custodi delle tradizioni decorative/architettoniche di tutto un popolo. L’approccio d’insieme è narrativo: invece di partire dalla classica carte blanche, il duo ha scelto la strada dell’approfondimento sul territorio. Tra l’analisi delle infrastrutture preesistenti e il rispetto del setting passato oltre che delle topografia all’archeologia. 78 Quando hanno iniziato, l’estetica imperante sfiorava il kitsch; le richieste classiche erano per una casa capace di raccontare il Marocco da cartolina, tra muri bianchi e fregi moreschi. Il loro percorso è stato opposto, annodato da una parola: modernismo. Affiancato da purismo estetico e da grande semplicità visiva. La stessa che li ha guidati anche nella trasformazione di Villa K. Dove non vengono fatte differenze tra superfici coniate con materia opaca o lucida. Dove i colori mixati tra loro regalano un’idea di piacevole e illusoria monocromia. Dove il grezzo materico di un tessuto sfruttato al rovescio convive con la preziosità di un oggetto design d’avanguardia. Per portare un pezzo di futuro nel cuore del Marocco. Senza sradicare una saggia cultura millenaria. Ma valorizzandola, regalandole un tocco di modernità. 79