il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Settembre 2005 - N° 16
SOMMARIO
214 - I nuovi crociati – di Giampietro Sestini
SIAMO TUTTI METICCI
215 - Pera: chiude la porta mentre il Papa dialoga – di Don Mazzi
216 - Io meticcio, immigrato che Pera non vuole - di Gad Lerner
217 - Larissa, mia figlia meticcia - di Fiona May
218 - Discorsi a Pera – a Rimini, confusione e contraddizione
PATTI-CONTRATTI CIVILI DI SOLIDARIETA’
219 - Alla ricerca di voti lacerando la famiglia – Osservatore Romano
220 - Prodi sovverte la famiglia, presto l'eutanasia – di F. Storace
221 - Le coppie di fatto e i "no" del vaticano – di Corrado Augias
222 - Le coppie di fatto e i valori della chiesa - di Giuliano Amato
223 - Contratti di convivenza si, figure matrimoniali no – di F. Rutelli
LAICITA’
224 - Che cosa vuol dire essere laici oggi - di Giuliano Amato
225 - La nuova alleanza tra fede e ragione - di Massimo L. Salvadori
226 - La fede considerata superiore a tutto – di Corrado Augias
227 - La Fallaci dal papa, quale occidente da salvare?– di F. Orlando
228 - Banca d'Italia: l'eclisse della laicità – di Federico Orlando
EUTANASIA
229 – Eutanasia: parte la campagna d'autunno - di Ignazio Ingrao
230 - Olanda – eutanasia su bambini
231 - Olanda – sedazione terminale
DAL TERRITORIO
232 - Modena – LiberaUscita al festival dell’Unita’
PER SORRIDERE......
233 - La vignetta di Brusco.
LiberaUscita
Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia
Sede: via Genova 24, 00184 Roma
Tel. 0647823807 – 0647885980 – fax 0648931008
Sito web: www.liberauscita.it - email:[email protected]
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214 - I NUOVI CROCIATI – DI GIAMPIETRO SESTINI
C’era da immaginarselo.
Imbaldanziti dalla grande astensione dalle urne che ha fatto fallire – malgrado oltre 10
milioni di voti a favore - i referendum per cambiare la legge sulla fecondazione assistita,
sotto la guida del cardinal Ruini e con la benedizione di Benedetto XIV si sono compattati e
sono ripartiti i “nuovi crociati”. Questa volta, a differenza di allora, l’obiettivo non è quello di
riconquistare il sacro sepolcro, anche a costo di sgozzare esseri umani “infedeli”, bensì di
impedire l’approvazione di qualsiasi provvedimento di legge che non corrisponda alle
“sacre scritture”, dettate per essere comprese dagli uomini di oltre duemila anni fa e di
volta in volta interpretate e adattate dalla gerarchia ecclesiastica pro-tempore.
L’armata dei “nuovi crociati” è guidata da molti generali e colonnelli. Anzitutto i Presidenti
delle Camere, Marcello Pera e Pierferdinando Casini. Quindi i Ministri Rocco Buttiglione,
Francesco Storace, Roberto Calderoli, Carlo Giovannardi; i leaders di partito Marco Follini,
Clemente Mastella; gli “atei devoti” Giuliano Ferrara, Oriana Fallaci, Antonio Socci; gli
scienziati Francesco D’Agostino, e così via.
L’Italia non è più costretta ad far emigrare i suoi cittadini per cercare lavoro in terra
straniera ma è diventata (per fortuna) essa stessa terra di immigrati, peraltro necessaria
all’economia del nostro Paese? Ebbene il Presidente del Senato, seconda carica dello
Stato che avrebbe il dovere di rappresentare l’intero popolo italiano, si scaglia contro i
pericoli di “diventare tutti meticci” e di essere invasi dalle altre religioni.
In tutto il mondo (tranne l’Italia e l’Irlanda) si ricorre alla pillola RU486 per interrompere –
nei tempi consentiti dalle leggi – le gravidanze a rischio senza ricorrere ad interventi
invasivi e pericolosi? Ebbene in Italia il Ministro della sanità invia gli ispettori all’ospedale
sant’Anna di Torino perchè ha iniziato a sperimentare – dopo quattro anni di verifiche e di
autorizzazioni - la pillola in questione.
Il candidato (pardon, uno dei candidati) dell’Unione alla Presidenza del Consiglio per le
elezioni politiche 2006, Romano Prodi, si azzarda a dire che nel programma di Governo
troverà soluzione il problema delle coppie non sposate, etero o omosessuali, attraverso i
PACS (Patti civile di solidarietà)? Subito l’Osservatore Romano lo accusa di voler incrinare
l’istituto del matrimonio (che è tutt’altra cosa), di “relativizzare” e “ideologizzare” la realtà
della famiglia, di voler provocare una “lacerazione insopportabile”. Il fatto che i PACS siano
diffusi in moltissimi paesi europei per i “nuovi crociati” non significa nulla: se due persone si
amano, desiderano vivere insieme ed assistersi reciprocamente debbono essere di sesso
diverso e debbono sposarsi. Altrimenti vivono nel peccato, e quindi sono condannati
all’inferno, e all’ostracismo su questa terra. Cha fine ha fatto l’art. 3 della Costituzione
italiana, laddove dispone che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali”?
Secondo il sociologo Marzio Barbagli, autore dell’unico libro italiano sulla comunità gay,
“l’Italia è veramente l’ultimo paese in Europa ad adeguare la legislazione sui diritti civili agli
omosessuali”. Secondo Barbagli, il ritardo si spiega, dal punto di vista politico, perchè “il
partito cattolico è presente in tutti gli schieramenti e riesce ovunque a far scattare
meccanismi di difesa e di blocco per una legislazione per i gay”. Insomma, nel passato la
Democrazia Cristiana per governare col sistema proporzionale doveva “mediare” con i
partiti laici del centrosinistra, e da ciò le leggi sul divorzio e sull’aborto. Oggi, dopo la
“diaspora”, i cattolici sono diffusi sia nel centrodestra che nel centrosinistra e, col sistema
maggioritario, riescono a bloccare ambedue gli schieramenti.
LiberaUscita è fortemente preoccupata per il clima di integralismo che sta montando nel
Paese, clima che purtroppo ostacolerà in questa legislatura – fortunatamente ormai al
termine – l’approvazione di provvedimenti di legge come la depenalizzazione
dell’eutanasia e la legalizzazione del testamento biologico, per i quali ci battiamo senza
scopi o interessi personali, animati soltanto da spirito di giustizia, di solidarietà e di
misericordia umana.
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Per questo riteniamo che il problema centrale sia ora quello della laicità dello Stato. E non
solo per le questioni inerenti all’eutanasia e al testamento biologico e alla bioetica in
generale, ma per lo stesso livello di civiltà del nostro Paese.
215 - PERA: CHIUDE LA PORTA MENTRE IL PAPA DIALOGA – DI DON MAZZI
Intervista di Orazio La Rocca – da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005
«Sul dialogo con le altre religioni, papa Ratzinger va avanti, mentre Marcello Pera va
indietro. Quello che il presidente del Senato ha detto al Meeting di Cl, è preoccupante e
anche avvilente per gli inevitabili aspetti razzistici che sono emersi tra le righe dell' allarme
lanciato: non vedo con quale altra espressione è possibile definire quel presunto pericolo
che l'Occidente possa diventare "meticcio" a causa degli arrivi di immigrati proveniente dal
Terzo Mondo».
Don Antonio Mazzi, presidente e fondatore della comunità di accoglienza Exodus, è da
sempre è a contatto diretto con immigrati, giovani tossicodipendenti, prostitute, fedeli di
altre religioni, specialmente musulmani. Quando ha letto le parole pronunciate da Pera
quasi non voleva crederci.
«E’ pazzesco, con questi allarmi non si va da nessuna parte. E solo uno scotto che si paga
alla Lega. Anni di insegnamenti papali sul dialogo e sul principio cristiano dell'accoglienza
di chi ha bisogno, buttati al vento».
Don Mazzi, è così pericoloso il discorso fatto da Pera ai ragazzi di Cl?
«Da quello che ho letto sui giornali, mi sembra tutto assurdo. Quel richiamo alla guerra,
alla difesa della razza europea, mi sembrano fuori luogo. Con queste parole non si va da
nessuna parte. Si torna indietro. I papi di questo secolo in materia di dialogo interreligioso
e di accoglienza hanno detto ben altro, e Benedetto XVI ce lo ha ricordato a Colonia>.
Pera ha parlato dei pericoli legati al terrorismo islamico. Un problema serio. Non crede?
«Ma lottare contro il terrorismo e quanti usano la religione musulmana per fini che nulla
hanno a che vedere con la fede e con Dio, non significa avere paura delle altre religioni è
delle altre culture. A Colonia papa Ratzinger ha invitato cristiani, ebrei e musulmani ad
unirsi in difesa della pace e della fratellanza. E’ questa la strada da seguire. E' assurdo:
mentre Benedetto XVI, in sintonia con Giovanni Paolo Il, rilancia il dialogo interreligioso, la
seconda carica dello Stato italiano incita alla guerra al terrorismo e lancia allarmi che
definire razziali è il minimo che si possa fare».
Sull'Occidente incombe veramente il pericolo di diventare meticci?
«La parola meticcio, vocabolario alla mano, ha un significato ben preciso. Usarla in termini
negativi per lanciare l'allarme della "mescolanza" di religioni e culture diverse da quelle
tradizionali, è umiliante ed avvilente».
216 - IO METICCIO, IMMIGRATO CHE PERA NON VUOLE - DI GAD LERNER
Da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005
Sono un meticcio immigrato nella penisola italiana ormai quasi mezzo secolo fa, di quelli
che rischiano d'inquinare la pura razza toscana cui appartiene il presidente del Senato,
Marcello Pera. In effetti ho generato dei figli con donne italiane.
Nei giorni scorsi giocavano a pallone in Maremma con gli agenti della scorta di Pera,
probabilmente mentre lui stava rinchiuso a cogitare il suo discorso di Rimini.Spero la
circostanza non lo inquieti troppo. Loro, non si sentono meticci, ma italiani. Come me.
Quando nel novembre 2004 Pera dichiarava a questo giornale: «Noi liberali non dobbiamo
più limitarci a dire "non possiamo non dirci cristiani". Ma adesso "dobbiamo dirci cristiani".
E tutti gli europei dovrebbero dirlo. Soprattutto se laici, potevo ancora limitarmi a sorridere:
liberale dei miei stivali. Ma adesso non mi diverto più. Stiamo parlando della seconda
carica dello Stato. E’ assai grave vedere proprio lui, che secondo la norma costituzionale
potrebbe essere chiamato in ogni momento a garante supremo dell'unità nazionale,
trasformarsi in un pusher d'identità artificiali e manipolate. Pera scherza col fuoco senza
saperlo quando dichiara: «In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta
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all'immigrazione incontrollata e si diventa tutti meticci». E quando richiama l'esigenza di
una società “virtuosa” aggettivando la democrazia con inediti termini minimizzanti: «Una
democrazia relativista è vuota», dice, «ci fa perdere identità collettiva e ci priva di
qualunque senso obiettivo del bene». Magari bastassero i richiami al Sinai, al Golgota e
all'Acropoli per definire il senso obiettivo del bene nella società contemporanea. Possibile
che non si colga il pericolo insito in questo richiamo frettoloso alle tradizioni, in questa
bolsa retorica della riscoperta delle radici che affligge ormai il lessico pubblico?
Non sta a me giudicare la disinvoltura manifestata nella ricerca affannosa di una nuova
identità da un leader politico che solo due anni prima di enunciare l'imperativo "dobbiamo
dirci cristiani", si dichiarava contrario a che nel preambolo della Costituzione europea
figurasse un richiamo esplicito alle "radici giudaico-cristiane". Con quel prefisso, "giudaico",
peraltro frettolosamente appiccicato in barba a secoli di storia.
In tempi di chirurgia estetica, anche Pera è libero di rifarsi i connotati intellettuali. Ma la sua
vicenda pubblica rivela la vera malattia delle nostre società spaesate, su entrambe le
sponde del Mediterraneo e un po' dappertutto in giro per il mondo: l'illusione che le identità,
singolari e plurali, possano essere costruite a tavolino, frugando nel passato e invano
cercandovi rassicurazione, coesione, orgoglio d'appartenenza.
Pera fa un uso dei simboli non molto più sofisticato di quello che va per la maggiore nelle
curve degli stadi di calcio. Con il rischio di produrre effetti ancora più nocivi. Ha paura del
meticciato che caratterizza la nostra metropoli globale. Contribuisce a demolire il
paradigma culturale universalistico - quello sl felice prodotto storico dell'evoluzione delle
culture giudaica, cristiana e illuminista - in base al quale siamo giunti a considerare gli
uomini tutti uguali e dunque titolari dei medesimi diritti. In quel suo parolaio sentirsi già in
guerra - ma perché non partono mai volontari, questi predicatori? - risuonano gli echi della
"nouvelle droite" europea che non celebra più la superiorità razziale, ma insiste sulla
"naturale" differenza fra gli esseri umani.
Non solo. L'inedito attacco alla democrazia "relativista" apre nuovi interrogativi sulla fonte
della sovranità. A chi spetta la corona? Il potere torna a essere legittimo quando viene
insignito dall'alto? Gli spacciatori d'identità manipolate si assumono gravi responsabilità in
tempo di guerra, specie se rivestono importanti cariche pubbliche. La loro propensione alla
metamorfosi, magari solo con lo scopo di improvvisare una nuova armatura culturale che
dia forma a uno schieramento politico in crisi, vista l'impossibilità di riproporsi liberale e
liberista, è segno di debolezza.
Marcello Pera farebbe bene a prendere lezioni da Ariel Sharon, un leader conservatore
disposto a scontrarsi duramente con le tendenze integraliste che minacciano la natura
laica dello Stato israeliano; consapevole di come una falsa esegesi biblica abbia prodotto
effetti devastanti in seno alla stessa comunità nazionale.
Ma il discorso di Rimini è rivelatore anche di una degenerazione parossistica in cui
precipita la storica tendenza italiana al trasformismo, raggiungendo le più alte sedi
istituzionali. Già una terza carica dello Stato, l'ex presidente della Camera, Irene Pivetti, si
era resa protagonista di singolari trasformazioni: da leghista a seguace di Mastella; dal
tailleur della cattolica vandeana all'abbigliamento fetish studiato per lei da crudeli
costumisti televisivi. Adesso tocca alla seconda carica dello Stato.
Pera come la Pivetti? Magari, sarebbe il danno minore.
Ecco dove porta l'ossessione della ricerca delle radici.
217 - LARISSA, MIA FIGLIA METICCIA - DI FIONA MAY
Intervista di Emanuela Audisio – da “la Repubblica” di martedì 23 agosto 2005
Fiona May, lei saltò, vinse, disse: «Gianni, I love you».
«Sì. Urlai lamia felicità in tv. In un inglese misto italiano. Era il '95, mondiali di Goteborg. Il
mio primo oro con la maglia azzurra. lo nera, nata a Londra, di origini giamaicane. Gianni
Iapichino era ed è mio marito, insieme abbiamo una figlia Larissa, di tre anni. Meticcia.
Allora l'Italia sembrava fiera di me».
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C'è il rischio del multiculturalismo, avverte Pera.
«Ma dove vive questo signore? Non si accorge che in Francia, Spagna, Inghilterra,
Germania, capita la stessa cosa? Non vede come queste società si siano organizzate per
fare in modo di accogliere anche chi viene da fuori. A tutti è lecito fare riflessioni, esprimere
le proprie idee. Ma se sei un rappresentante dello Stato devi pensare alle conseguenze
delle tue parole. Ci sono sedi giuste dove esaminare le questioni, senza gridare allo
scandalo, o al pericolo. E c'è lo sfogo puro. Non si rende conto questo signore di avere un
approccio vecchio al problema? E di favorire la spinta al razzismo?».
Già, lei andava allo stadio a vedere la Fiorentina.
«Sì, ma io i tifosi italiani non li ho mai considerati razzisti. Pure se urlano, fischiano e
deridono i calciatori neri. Sono incivili, d'accordo. Ma per loro l'avversario è un nemico. Da
disprezzare sempre, mai da onorare».
May, Martinez, Myers, Howe, Kaba Fantoni. Quando l'Italia azzurra vince con la pelle nera
tutti applaudono.
«Vuole che non lo sappia? Myers ai Giochi di Sydney nel duemila fu portabandiera.
All'Italia piaceva mostrare di essere un paese in movimento, aperto, giovane. Ma
evidentemente è solo una vernice, basta grattare un po' e da sotto riemergono paure
ataviche. Andò male pure a Le Pen in Francia. Maltrattò i neri, i meticci, gli extracomunitari, quelli che venivano da fuori».
E la nazionale nel '98 vinse i mondiali di calcio.
«Con Thuram, Desailly, Karembeu e Viera, neri; Zidane, algerino, Lizarazu, basco,
Djorkaeff, armeno. Pura Francia al cento per cento, no?».
Lei è cittadina italiana da dieci anni.
«Dal '93. Per amore. Da un sobborgo di Londra mi sono trasferita a Firenze, che è una
città internazionale, con molti stranieri. Mai avuto problemi, se non con il traffico. Appena
ho potuto votare l'ho fatto. L'Inghilterra mi ha abituato a considerare il voto come un mio
diritto. E l'ho esercitato. Così come pago la tasse e rispetto le regole. Una cosa mi ha
colpito della politica italiana: i giovani sono pochi. Parlo anche di chi sa essere giovane
dentro, relazionarsi ai problemi in maniera moderna, non antica. A me può non capitare
nulla, sono conosciuta, ma in tanti si sentiranno autorizzati a escludere dalla società o a
maltrattare chi viene da fuori in nome della tradizione. Pera ha paura di un paese meticcio?
Perché invece di buttare la colpa addosso agli altri, come fossero il male, non si chiede
come mai le famiglie italiane fanno pochi figli?».
Lei ha una risposta?
«Sì. Un figlio costa caro, le città non sono a misura di bambini. Soprattutto se i genitori
lavorano. Non è una società che dà tranquillità, anzi mette ansia. In teoria la mamma è
adorata, in pratica non è molto assistita. In Inghilterra finisci l'università a 21 anni, stai già
fuori di casa prima, in Italia a 26-27, e dormi ancora con i genitori».
Larissa fa domande?
«lo sono nera e sono la mamma, Gianni è bianco ed è il papà, i nonni sono neri e bianchi.
Larissa ci considera persone, non chiede perché abbiamo un colore di pelle diversa. Lei
sta bene sia all'asilo-nido del Mugello, dove abitiamo ora, sia con i vicini neri di mia madre
a Londra».
A casa vostra cosa si parla e come si mangia?
«Inglese e italiano. Da sempre. lo adoro la bistecca chianina, Gianni spesso cucina, io a
volte mi dedico alle torte inglesi, con una ricetta di mia zia. Abbiamo anche due cani
siberiani»..
Siete un pericolo.
«Non solo. Ma non intendo lasciare sola Larissa, adesso che ho smesso con l'atletica
vorrei darle presto un fratellino. Anche per riequilibrare l'alleanza tra bambina e papà». .
Una famiglia sempre più meticcia.
«Perché è un problema? Ma "Indovina chi viene a cena" non era una vecchio film?».
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218 - DISCORSI A PERA - A RIMINI, CONFUSIONE E CONTRADDIZIONE
dall'agenzia ADISTA di lunedì 5 settembre 2005
Ma Marcello Pera può dirsi cristiano? È questo l'esercizio su cui si sta misurando la stampa
dopo il discorso del presidente del Senato all'apertura (21 agosto) del ciellino Meeting di
Rimini. Aborrire il meticciato, pensare che dobbiamo difendere la nostra identità di
occidentali dall'attacco corrosivo di altre civiltà (gli extracomunitari) e delle loro religioni
(quella islamica, sostanzialmente) con tutti i mezzi, comprese le armi (pur ultima ratio),
pretendere che l'integrazione dell'altro nella nostra società avvenga solo nell'assunzione
della nostra cultura, spacciare tutto questo per rispetto di sé e insieme degli altri è roba da
cristiani o da pagani? E queste idee sono in armonia o stridono con le parole indirizzate, in
quel di Colonia (ventesima Giornata mondiale della Gioventù, 18/21 agosto), da Benedetto
XVI ai musulmani?
Sulle risposte a questi interrogativi vistose sono le differenze di giudizio fra gli uomini di
Chiesa intervistati: se mons. Rino Fisichella, rettore della pontifica Università Lateranense
e cappellano di Montecitorio, trova che dal punto di vista cristiano il discorso di Pera non
faccia una piega e non contraddica il papa, il teologo di Cl Lorenzo Albacete, dice tout
court che il presidente del nostro Senato "non è cattolico" e don Antonio Mazzi, presidente
e fondatore della comunità di accoglienza "Exodus" commenta: "È pazzesco, con questi
allarmi non si va da nessuna parte". Don Julián Carrón, successore di don Giussani alla
guida di Comunione e Liberazione, condivide l'allarme sulla questione dell'identità gettato
da Pera, ma ritiene che la difesa di essa non si possa imporre con la forza delle armi.
Negativa la reazione dei commenti sui quotidiani di maggiore diffusione che rilevano nelle
parole di Pera un atteggiamento anticristiano di disprezzo delle popolazioni più derelitte,
predate della loro identità (e dalle loro ricchezze) proprio da quell'Occidente della cui
identità Pera si fa difensore perfino in armi. E notano anche nel discorso del presidente del
Senato contraddizioni a go-go: con le parole di Benedetto XVI, con quanto da Pera stesso
asserito in altre occasioni, e all'interno dello stesso discorso reso a Rimini.
Di seguito, riportiamo, intanto per un opportuno raffronto, l'intervento di Pera e il discorso
del papa ai musulmani; poi le interviste cui accenniamo sopra e gli altri commenti, e, in
aggiunta, due approfondimenti: sul rapporto integrazione-laicità e sull'Europa "meticcia".
219 - ALLA RICERCA DI VOTI LACERANDO LA FAMIGLIA-OSSERVATORE ROMANO
Dall’Agenzia AGI di lunedì 12 settembre 2005
"Alla ricerca di voti lacerando la famiglia". Titola così l'Osservatore Romano il suo
commento sulle "recenti dichiarazioni del leader dell'Unione sulle coppie di fatto".
"Dai convegni, dagli incontri, dai confronti tenuti in questo scorcio di fine estate, si e'
assistito - scrive il giornale della Santa Sede - a dichiarazioni di numerosi leader politici su
temi diversi. Alcuni di questi pronunciamenti sono, occorre credere, frutto di riflessioni
articolate e complesse che hanno costituito la base per preparare quella che si
preannuncia come una campagna elettorale orientata al procacciamento di tutti i voti
rastrellabili sul territorio".
"L'ultima dichiarazione in ordine di tempo – continua l'articolo - è quella fatta dal leader
dell'Unione Romano Prodi, il quale ha di suo pugno scritto una lettera al leader dell'Arcigay
Franco Grillini, il quale ne ha dato lettura in occasione della riunione della Consulta dei
Gay DS". Secondo l'Osservatore, quella di Romano Prodi è "una dichiarazione che chiama
direttamente in causa nella competizione politica la famiglia, la realtà naturale alla quale
sono naturalmente inclini l'uomo e la donna. Una realtà fondata, come la stessa
Costituzione italiana ammonisce, sul matrimonio". Si tratta, stigmatizza la nota, di "un
tentativo, dunque, di relativizzare e ideologizzare la realtà della famiglia. Una lacerazione conclude l'Osservatore - inaccettabile".
220 - PRODI SOVVERTE LA FAMIGLIA, PRESTO L'EUTANASIA – DI F. STORACE
dall’ Agenzia AGI di lunedì 12 settembre 2005
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"Prodi punta a sovvertire la famiglia, annullando e deresponsabilizzando i vincoli stabiliti
dalla Costituzione della Repubblica. La prossima mossa - per un pugno di voti radicali sarai il diritto alla morte per eutanasia". (speriamo abbia ragione. ndr).
Lo afferma Francesco Storace di An, che aggiunge: "Quella sua è un'Italia senza valori.
Esattamente come quell'Europa che, per evidente "coerenza", ha rinunciato alle proprie
radici cristiane. Probabilmente, non ha torto Follini: si nasce piromani, si cresce pompieri.
Per Prodi vale il proverbio inverso".
221 - LE COPPIE DI FATTO E I "NO" DEL VATICANO – DI CORRADO AUGIAS
Da “la Repubblica” di giovedì 15 settembre 2005 – Rubrica Lettere
Dottor Augias, l'ingerenza del Vaticano negli affari di un Paese laico e democratico,
potrebbero forse essere tollerati solo e soltanto se fossero distribuiti in eguale misura in
tutto il mondo cristiano. Ciò non avviene, perché solo in Italia la politica deve stare attenta
a quello che fa. In Spagna, paese cattolicissimo, Zapatero ha subito solo qualche rumore
di fondo, senza che la popolazione venisse influenzata troppo dagli anatemi, peraltro
all'acqua di rose, del Vaticano. Per troppi secoli invece l'Italia è stata schiava del Vaticano.
lo sono stufo e con me moltissimi altri, di avere una classe politica che decide i propri passi
assecondando i voleri ecclesiastici perché senza quelli non si prendono voti a sufficienza
per vincere. Il fastidio che provo nell'essere governato da leggi influenzate dal volere di
fantomatici dèi è enorme.
Fabio Ferrarl - [email protected]
Risponde Augias
Nei prossimi giorni capiremo meglio che peso dare all'attacco dell'organo vaticano ai Patti
Civili tra conviventi enunciato da Prodi. Sarebbe in atto uno scontro di correnti all'interno
della chiesa ed è possibile che l'iniziale posizione venga mitigata. Resta la durezza
dell'avvertimento che in nessun altro paese europeo sarebbe stata concepibile né tollerata.
Le conseguenze della vittoria nel referendum sulla procreazione sono pesanti.
Nel suo comportamento politico la chiesa cattolica è maestra nell'occupare sempre tutto il
territorio che le circostanze gli consentono. E' una dottrina secolare. Il prof. Vincenzo
Ferrone, ordinario di Storia moderna, in un convegno di qualche mese fa fece notare come
la chiesa di Roma, e soprattutto il papato, non abbia mai fatto davvero i conti con
l'Illuminismo e la Rivoluzione francese. Ferrone ricordava come Leone XIII, papa Pecci,
ancora nel 1888 nella sua enciclica "Libertas" scrivesse: «Non è assolutamente lecito
invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola,
d'insegnamento o di culto come se fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito
all'uomo».
Di papa Ratzinger sappiamo poco; sappiamo però che Giovanni Paolo ll nell'enciclica
"Evangelium Vitae" ha affermato: «La democrazia ad onta delle sue regole, cammina sulla
strada di un sostanziale totalitarismo», quando vota in contrasto con l'etica sostenuta dalla
Chiesa.
In una comunità fortemente gerarchizzata, dotata di un senso - e di una memoria – così
forte della (sua) storia, sono avvertimenti che pesano. Il papa defunto ha spesso ripetuto di
considerare lo sviluppo del pensiero europeo da Cartesio all’illuminismo come ispirato ad
un "programma anti-cristiano". Solo pochi decenni fa Pio XI, papa Ratti, dichiarava senza
tremare: «Se c'è un regime totalitario, di fatto e di diritto, è il regime della Chiesa, perché
l'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l'uomo è creatura
del Buon Dio... E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio, non è che la
Chiesa». Sorprendersi degli atteggiamenti sui Pacs, significa dimenticare la durezza di
questa cultura. E' ingenuo. O ipocrita.
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222 - LE COPPIE DI FATTO E I VALORI DELLA CHIESA - DI GIULIANO AMATO
da “la Repubblica” di giovedì 15 Settembre 2005
Caro direttore, ero a Lione, al Dialogo fra le religioni organizzato da S. Egidio, quando è
scoppiata in Italia la polemica sulla proposta avanzata da Romano Prodi di regolare, con
quelli che si chiamano su modello francese i Patti civili di solidarietà (Pacs), i diritti delle
coppie di fatto. Discutevamo, in un grande e partecipato fervore, i principi che devono e
possono unire i credenti delle diverse religioni e gli stessi non credenti. Ed emergeva il
ruolo di punta che in un dialogo costruito attorno ad essi sono in grado di esercitare i
cristiani, portatori di verità affermate non con l´imposizione, ma con la testimonianza ed
espressive di un messaggio d´amore e del riconoscimento dei diritti inviolabili della
persona in ogni essere umano.
In questo clima, le reazioni suscitate dalla proposta di Prodi hanno destato in me, e non
solo in me, una grande amarezza, tanto lontane esse sono sembrate dal senso di quelle
verità e dal valore di quel messaggio. Intendiamoci: io capisco la tensione della Chiesa
davanti a tante vicende della nostra vita che sembrano avviarsi verso l´accettazione di tutto
ciò che accade, verso la trasformazione in diritto di tutto ciò che è fattibile, verso la
cancellazione, insomma, di quel senso del limite, che dovrebbe essere biblicamente
connaturato in tutti noi. La capisco e sotto molti riguardi la condivido. A proposito del tema
sollevato da Prodi, ritengo anch´io profondamente sbagliata l´equiparazione delle coppie di
fatto alla famiglia fondata sul matrimonio, così come ritengo che l´Italia non debba seguire
la Spagna ed altri Paesi nell´ammettere al matrimonio le coppie omosessuali.
Ma Prodi, che la pensa come me, non ha proposto questo, ha proposto che si guardi alla
realtà delle coppie di fatto e ci si chieda se la dignità e i diritti della persona sono
sufficientemente tutelati in convivenze che lo Stato consente (e a nessuno verrebbe in
mente di proibirle), ma di cui le leggi esistenti negano le implicazioni più naturali. È giusto
che una donna, che ha vissuto per anni con un uomo che non ha potuto o voluto sposarla,
alla morte di lui finisca sul marciapiedi, perché non ha nessun diritto ereditario sulla casa o
perché è cessato con quella morte il contratto di affitto? Ed è giusto che un omosessuale,
che non ha né parenti né amici, passi da solo in un ospedale gli ultimi mesi od anni della
sua vita, perché il suo unico convivente non è un parente e non è ammesso a fornirgli il
conforto della sua assistenza e della sua compagnia?
Se di questo si tratta e quindi di riconoscimenti che sono quanto di più vicino al messaggio
di fondo della cristianità, come potrà essere letto un eventuale rifiuto della Chiesa? Come
lo leggeranno quella donna e quell´omosessuale e quale sbandamento potrà provocare nei
tanti che hanno ragione di vedere nella Chiesa la prima portatrice di quel messaggio?
Evitiamo allora di aprire polemiche aspre e cerchiamo di andare, tutti, al di là delle prime
reazioni. Se quelle che abbiamo letto sono dovute alla comprensibile tensione di cui prima
parlavo e quindi alla preoccupazione che la proposta di Prodi voglia fare da apripista al
matrimonio fra omosessuali e alla cancellazione della specificità della famiglia, ha fatto
bene Prodi a chiarire subito che non ha nessunissima intenzione di incamminarsi su
questa strada e faremo bene a fare altrettanto noi che gli siamo vicini. E se è il nome Pacs,
patto, che desta preoccupazione, perché evoca l´idea di una disciplina compiuta di tipo
para-matrimoniale, anziché quella di un puntuale riconoscimento di diritti specifici, usiamo
un nome diverso. Ma chiarito tutto questo, entriamo insieme nel merito, guardiamo dentro
le tante situazioni umane che stiamo abbandonando a se stesse e a sofferenze e a
ingiustizie che potrebbero essere evitate; e vediamo insieme, caso per caso, situazione per
situazione e non in termini generalissimi e astratti, quali possono essere i rimedi più
acconci. Con la consapevolezza, fra l´altro, che potrà essere più facilmente il non farlo, il
continuare a non vedere, il far crescere l´insofferenza per la sofferenza ingiusta, ad aprire
la strada a soluzioni più estreme.
So bene che sbaglierei, se non avessi l´umiltà che devo avere davanti a chi esercita, e ne
ha la responsabilità, il magistero della Chiesa. E quindi mi guardo bene dal dire io come
esso deve essere esercitato. Ma non posso non ribadire la mia convinzione che la società
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in cui oggi viviamo e nella quale sempre più vivremo in futuro ha un gran bisogno dei valori
religiosi come componenti essenziali di un tessuto connettivo che rischia altrimenti di
sfrangiarsi e di lasciarci in preda a conflitti insanabili. Fra di essi i valori cristiani hanno una
forza coesiva ed una capacità di aprirsi alle diversità che pochi altri posseggono. Ma
questa forza e questa capacità risiedono nel messaggio d´amore e quindi nella fiducia
verso l´uomo che è in essi; non nei dogmi spietati che la disperazione della storia ne ha
troppo spesso ricavato.
È ciò che ho imparato da persone ricchissime di umanità, e di speranza, come il cardinale
Tonini. Ed è ciò in cui oso contare anche di fronte al capitolo, difficile ma inevitabile, che
Romano Prodi ci spinge ad aprire.
223 - CONTRATTI DI CONVIVENZA SI, FIGURE MATRIMONIALI NO – F. RUTELLI
Da: www.margheritaonline.it - Dichiarazione di sabato 17 settembre 2005
Il dibattito sulle “unioni civili” deve servire a fronteggiare e migliorare alcune difficili
situazioni sociali e umane, ma non deve diventare un tormentone estraneo alle attese
fondamentali degli italiani. Altrimenti, chi intendesse farne una bandiera della campagna
elettorale si misurerebbe con un consenso ancora inferiore ai referendum sulla
procreazione assistita, come confermano i risultati del sondaggio pubblicato oggi da
Repubblica, secondo il quale 2 italiani su 3 sono favorevoli a regolamentare le convivenze,
mentre 7 italiani su 10 sono contrari ad istituire forme matrimoniali o para-matrimoniali per
le coppie omosessuali.
La mia opinione personale è nota da tempo e la riassumo in tre punti.
1) Occorre assicurare la protezione dei diritti civili degli omosessuali, anche perché
inaccettabili aree di discriminazione persistono nella società italiana.
2) Nella prossima legislatura sarò possibile definire una normativa che regoli i Contratti di
Convivenza Solidale per tutte le persone che intendono vivere insieme, prestandosi mutua
assistenza, con beni e abitazione in comune. Si possono codificare simili contratti di diritto
privato nel codice civile, in modo da precisare diritti e doveri delle persone che convivono,
a vario titolo, incluse le persone omosessuali.
3) E’ da escludere, per l’indicazione tassativa dell’art. 29 della Costituzione, il “matrimonio
gay”, così come altre figure giuridiche che possano introdurre forme simil-matrimoniali.
Su queste basi credo si possa trovare una larga convergenza nell’Unione, e soprattutto
presso l’opinione pubblica, risolvendo così alcuni problemi significativi.
Oggi consiglierei di riportare subito l’attenzione di tutto il centrosinistra sulle questioni che
vengono molto prima nella scala delle preoccupazioni del popolo italiano. Innanzitutto
l’economia: ripresa della crescita e della competitività; difesa del potere d’acquisto, poiché
milioni di persone faticano ad arrivare a fine mese; miglioramenti dei servizi pubblici;
politiche per la famiglia, anche per contrastare la crisi delle nascite che minaccia il futuro
del nostro paese.
224 - CHE COSA VUOL DIRE ESSERE LAICI OGGI - DI GIULIANO AMATO
da “la Repubblica” di mercoledì 31 agosto 2005
Sino a poco più di cento anni fa, nei tanti e sanguinosi conflitti intercorsi fra cristiani e
musulmani nel sud est dell'Europa erano i cristiani che usavano crocifiggere le bambine
musulmane, in qualche caso sventrandole. È oggi inconcepibile. E credo che tutti vogliamo
che inconcepibile rimanga.
Se così è, dubito che le due strade, sulle quali più sembra orientarsi il dibattito in Italia in
tema di rapporti interreligiosi, siano tali da evitare che tali rapporti divengano conflittuali. Il
che non significa che esse portino necessariamente verso il ripetersi dei tremendi episodi
che la nostra storia ha sulla coscienza. Ma di sicuro portano a minare la basi stesse della
fisiologia democratica che tutti riteniamo il naturale contesto della nostra vita associata. In
società nelle quali sono destinate a convivere più comunità di religione diversa, solo se tali
comunità saranno in grado di rendere armonica la convivenza delle loro religioni, sarà
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possibile quella più generale convivenza fatta non solo di tolleranza, ma di rispetto, di
comprensione e in qualche modo di compenetrazione reciproca che è propria delle
democrazie.
Se invece i rapporti interreligiosi saranno conflittuali, tutto ciò sarà semplicemente
impossibile. E accadrà qualcos'altro.
A quali strade mi riferisco e perché dubito di entrambe?
Mi riferisco da un lato alla strada suggerita con forza dai nostri "teocons", autorevolmente
guidati dal presidente del Senato, che porta alla fede cristiana come fattore dirimente, e
"ad excludendum alios", della nostra identità occidentale ed europea.
Dall'altro alla strada in qualche modo opposta, che, richiamandosi al tradizionale laicismo
di radice francese, confina il fattore religioso ai rapporti privati e fonda non solo la
cittadinanza, ma quella che si chiama la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili.
La strada "teocon" è quella di cui è più facile cogliere la carica conflittuale, che conflittuale
finisce per essere con gli stessi valori a cui si richiama. Una cosa è infatti dire che i valori
cristiani possono concorrere con efficacia a mantenere vivo e robusto il tessuto etico delle
nostre società, una cosa diversa è ergerli come fattori costitutivi di un'identità da affermare
contro quella di altre religioni, in particolare la religione islamica, trattate e fatte percepire
come pericolose per i fondamenti stessi della nostra civiltà e quindi nemiche.
Si fa torto così alla religione islamica, che viene confusa con l´estremismo islamista che
odia e uccide in suo nome. E si fa torto allo stesso cristianesimo, che è religione fondata
sull'amore e non sull'odio, sul riconoscimento dell'altro quand'anche appartenga a una fede
diversa ("in ogni uomo c'è il segno di Dio") e su una vocazione per ciò stesso
universalistica, che è contraddetta da qualunque impossessamento, che pretenda di
segnare con essa i propri confini.
Ben diversa è, come dicevo, la seconda strada (quella del laicismo di radice francese),
che, una volta confinata la religione, e quindi la stessa pluralità delle religioni, ai rapporti
privati, accetta per ciò stesso la convivenza di più religioni, attribuisce a tutti i suoi cittadini
gli stessi diritti a prescindere dalle loro appartenenze religiose e pretende infine da tutti lo
stesso riconoscimento nei principi e nei valori definiti come comuni nelle sedi istituzionali a
ciò legittimate. Sono ben consapevole che questi tratti non identificano soltanto il laicismo
e definiscono largamente la stessa democrazia, per la quale non sono meno irrinunciabili.
C´è tuttavia un ma, e il ma riguarda la premessa, vale a dire la chiusura delle religioni ai
rapporti privati e quindi la loro estraniazione dalla sfera pubblica, nella quale i cittadini
entrano lasciando a casa le loro identità, le loro credenze, i loro simboli religiosi. Una tale
premessa ha avuto una sua forte legittimazione storica, negli anni in cui la laicità dello
Stato dovette affermarsi contro il confessionalismo, contro la religione di Stato, contro il
trattamento preferenziale dei credenti di una religione rispetto ai non credenti e ai credenti
in altri culti (ora proibiti, ora ammessi ed ora tollerati).
Ma oggi, da una parte tutto questo è superato, dall'altra viviamo in società nelle quali le
identità religiose tendono ad entrare con forza nella sfera pubblica, sia per la problematicità
delle nuove questioni che in tale sfera ci si trova ad affrontare (quelle che fanno capo alla
bioetica ne sono un esempio eloquente); sia per gli intrecci che sono venuti emergendo tra
sfera privata e sfera pubblica (il professare compiutamente la propria fede può implicare
adattamenti di organizzazioni pubbliche alle quali si è temporaneamente affidati, si tratti
della scuola o del reparto di ostetricia); sia perché si ritiene un proprio diritto essere
riconosciuti anche per la religione che si professa (molte ragazze portano lo chador nei
nostri paesi, non in nome della tradizione islamica, ma perché lo vivono come simbolo
orgoglioso della propria identità religiosa).
Viviamo insomma, come è stato scritto più volte, in società post secolari e in esse la
vecchia premessa del laicismo non regge più. E tanto meno regge in società che stanno
diventando multi-religiose e nelle quali i possibili conflitti fra le religioni non si risolvono,
continuando a mantenerle nella sfera privata: da un parte ciò è sempre più difficile per le
ragioni appena dette, dall'altra fa galleggiare la democrazia delle eguaglianze formali su
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faglie che possono avviarsi ad uno scontro, che l'assetto di superficie non è preparato a
fronteggiare.
Non si sfugge perciò ad una prima conclusione: le religioni sono ormai parte della sfera
pubblica e i principi fondanti della democrazia (il dialogo e non l'intolleranza, i diritti per tutti
e non i privilegi per alcuni, gli eguali obblighi in cui si compendia la virtù civica) vanno
salvaguardati non mettendo le religioni sotto il tappeto, ma rendendo dialogica e non
intollerante la loro compresenza nella convivenza comune.
Ne derivano conseguenze importanti, che esigono non l'abbandono, ma l'aggiornamento
della nozione stessa di laicità e che fanno sorgere cruciali responsabilità in capo a credenti
e a non credenti e in capo alle stesse organizzazioni religiose.
La laicità, in quanto connotazione necessaria della democrazia, diviene non più fuga dalle
religioni, ma apertura critica al confronto con esse e fra di esse, alla ricerca dei principi in
cui tutte e tutti si possano riconoscere.
Si dirà che ciò mette in crisi o la laicità, incompatibile con le verità assolute proprie delle
religioni, o le stesse religioni, che a tali verità non possono rinunciare.
Ma non è così. E' vero infatti che la democrazia laica per definizione non tollera assoluti
inconciliabili, ma è non meno vero che essa stessa si fonda su taluni assoluti: la dignità
della persona, la libertà di coscienza, l'eguaglianza, il rispetto dei diritti di tutti e quindi la
pace, che è a sua volta legata alla capacità di capire e non negare le buone ragioni degli
altri.
Stato laico, allora, ben può essere quello che rispetta e fa rispettare questi assoluti, che
nega in nome loro privilegi all'una o all'altra religione, ma non nega, invece, l'influenza che
le religioni possono avere nella stessa vita pubblica (come scrisse, già molti anni fa,
Valerio Zanone nella voce "laicismo" per il Dizionario di Politica diretto da Norberto Bobbio,
Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino).
Mentre l'influenza delle religioni nella vita pubblica ben può esprimersi e farsi valere nel
radicare ed estendere la forza nelle coscienze di questi stessi assoluti, che sono quelli su
cui hanno dimostrato di convergere, sia pure tra perduranti difficoltà e incomprensioni, i
dialoghi interreligiosi susseguitisi in questi anni.
Ma è chiaro che tutto ciò è possibile, se della ricerca dei principi comuni o quanto meno
della compatibilità fra i principi di ciascuno si sentono, come dicevo, responsabili credenti e
non credenti e le stesse organizzazioni religiose. Anche tra i non credenti affiorano assoluti
(dalla libertà senza limiti della scienza a un diritto di disporre di sé che arriva ad includere
la vita), che vanno resi compatibili con le ragioni di chi non li condivide.
Mentre non tutte le religioni sono riuscite sino ad oggi ad accettare che le loro verità di fede
non possono essere imposte, ma devono entrare nelle coscienze di chi le fa proprie e non
coartare quelle degli altri.
In un tale ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico, il ruolo del
cristianesimo, lungi dall'essere quello teorizzato dai teo-cons, è quello indicato dalle "radici"
cristiane, delle quali tanti dei loro improvvisati assertori sembrano ignorare l'humus
prezioso che esse hanno fornito all'Europa: il valore della persona, la dignità umana
riconosciuta a ciascuno e, non dimentichiamolo, i primi fondamenti dei diritti individuali
inalienabili, che gli storici fanno risalire, prima ancora che ad Altusio e a Grozio, al diritto
canonico e ai canonisti medioevali.
Del resto, i meritori perdoni che Giovanni Paolo II ha chiesto per gli errori del passato non
sono stati un richiamo a queste radici, un ripudio dei rami dell'intolleranza che erano
cresciuti su di esse e la premessa per fare del cristianesimo non il baluardo dell'Occidente,
ma l'antesignano e il motore di un dialogo fra le religioni (e non solo fra loro), che concorra
ad evitare al mondo il futuro di una Babele armata?
Questa è dunque la strada, l'unica strada per evitare Babele non solo nel mondo, ma in
ciascuna delle nostre società. Tutti dobbiamo essere laici. Tutti, per esserlo, dobbiamo
misurarci con i valori degli altri, religiosi e non religiosi. Tutti dobbiamo sapere che alla fine
non c'è una "correttezza" politica e morale senza scelte e senza priorità, ma ci può e ci
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deve essere la condivisione più larga possibile di quegli assoluti che, partiti da radici
religiose ed elaborati poi dal pensiero razionalista post rinascimentale, sono divenuti
fondanti delle democrazie del nostro tempo.
Lo disse l'allora cardinale Ratzinger che l'alleanza tra fede e ragione è essenziale per
combattere il fanatismo.
E di questo appunto si tratta.
225 - LA NUOVA ALLEANZA TRA FEDE E RAGIONE - DI MASSIMO L. SALVADORI
Da “la Repubblica” di sabato 10 settembre 2005
L’articolo di Giuliano Amato pubblicato su Repubblica il 31 agosto col titolo "Che cosa vuoI
dire essere laici oggi" affronta un tema della massima importanza, perché ancora una volta
i problemi della laicità, del ruolo delle religioni, dei rapporti tra lo Stato e le Chiese, del
modo di intendere i diritti e i doveri dei cittadini, sono tornati al centro del dibattito.
Si sente infatti il bisogno di adeguate risposte culturali e istituzionali di fronte al carattere
sempre più multireligioso delle nostre società. Un bisogno che si fa tanto più forte in
relazione alle correnti fondamentalistiche presenti non solo nel mondo islamico e
nell'ebraismo ma anche nel cristianesimo, le quali, quando non invocano addirittura la
teocrazia, pretendono quanto meno che la religione (la propria) eserciti sui rapporti sociali
e politici quella pervasiva influenza senza la quale non si danno né una buona società né
un buono Stato.
Il nocciolo dell'intervento di Amato sta nel sostenere che la tradizionale concezione della
laicità basata sull'idea che la dimensione religiosa vada mantenuta nell'ambito dei rapporti
privati risulti del tutto inadeguata dinnanzi all'evoluzione di una società sempre più
caratterizzata dall'espandersi dell'influenza delle religioni nella sfera pubblica. Queste le
sue argomentazioni.
Occorre respingere sia le posizioni che fanno della fede cristiana Il fondamento di
un'identità discriminante, sia il "laicismo di radice francese" il quale "confina il fattore
religioso ai rapporti privati" e fonda "la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili". Una
concezione del laicismo che non tenga conto che "le religioni sono ormai parte della sfera
pubblica" è obsoleta e sterile al pari di una democrazia che "metta le religioni sotto il
tappeto". Di qui l'esigenza “dell’aggiornamento della nozione stessa della laicità", che ha
da essere "non più fuga dalle religioni, ma apertura critica al confronto con esse" e pieno
riconoscimento “della'influenza che le religioni possono avere nella stessa vita pubblica".
L'aggiornamento della nozione di laicità si lega alla piena valorizzazione in chiave
pluralistica della natura profonda del cristianesimo, in quanto "religione fondata sull'amore
e non sull’odio, sul riconoscimento dell'altro anche quando appartenga a una fede diversa"
e quindi "su una vocazione per ciò stesso universalistica". L’ispirazione universalistica del
cristianesimo e l'''ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico" danno
insieme senso e legittimazione alla centralità delle "radici cristiane" dell'Europa (il pensiero
non può non andare al dibattito sulla costituzione europea) per "l'humus prezioso" costituito
dal riconoscimento del "valore della persona" e della sua dignità, dall'aver il cristianesimo
posto "i primi fondamenti dei diritti individuabili inalienabili". Nella lotta contro il fanatismo di
varia provenienza un valore preminente ha l'insegnamento ratzingeriano circa l'essenzialità
dell'''alleanza tra fede e ragione".
Mi pare che l'argomentare di Amato abbia come esito il proporre una sorta di "rivoluzione
copernicana" nel modo di concepire la laicità nel mondo attuale, che consiste nel ritenere
che assai miglior fondamento dell’angusto e ideologico "laicismo di radice francese” inteso
a ridurre la religione alla sfera dei rapporti privati e la cittadinanza a presupposti
unicamente civili sia il cristianesimo che riconosce la dignità di ogni soggetto.
Così poste le cose, ne discendono la difesa di un'Europa che ponga al centro le proprie
radici cristiane e il richiamo alla dottrina dell’alleanza tra fede e ragione.
A proposito delle posizioni espresse da Amato, vorrei anzitutto notare che la riduzione
delle fedi religiose e dell'agire delle Chiese alla sfera dei rapporti privati (da intendersi, si
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noti, non nel senso ristretto dell'ambito individuale e familiare ma in quello più assai largo
della società civile), non è proprio del "laicismo di radice francese" (a cui suppongo Amato
conferisca gli attributi dell'anticlericalismo e al limite dell'ateismo militante), ma costituisce il
cardine del laicismo liberale moderno per il quale l'ancorare la cittadinanza a valori e
principi puramente civili non ha affatto il significato di limitare i diritti delle religioni, ma anzi
di riconoscerli pienamente nell'ambito di una sfera pubblica caratterizzata dalla libertà di
tutti. Per i padri del liberalismo la cittadinanza basata su valori e principi soltanto civili altro
non era, insomma, se non una implicazione delle libertà civili in generale. Nessuna
negazione quindi della presenza delle religioni nella sfera pubblica: al contrario piena
accettazione di tale presenza, ma non in quella sfera pubblica che è lo Stato poiché
questo, quando liberale, ha il compito di impedire che la forza dell'uno si imponga
impropriamente sulla debolezza dell'altro.
Amato cita la voce di Zanone sul laicismo pubblicata nel Dizionario di Politica edito dalla
Utet per sostenere il punto di vista che un sano laicismo non nega l'influenza che le
religioni possono avere nella sfera pubblica. Ma - qui sta il punto - in quale "sfera
pubblica"? L’espressione va decodificata con le opportune distinzioni. Zanone in realtà si
muove nel quadro proprio del classico laicismo liberale, con lo scrivere che "il laicismo
accoglie pure l'influenza delle chiese nella vita pubblica, purché essa derivi dalla loro
autonoma rilevanza sociale e non da privilegi concessi dallo Stato" (sottolineatura mia).
Nell'Italia di oggi, dove, per fare un solo esempio, lo Stato continua a finanziare
massicciamente e in maniera privilegiata la Chiesa cattolica, proprio in virtù di un mal
inteso concetto dell'influenza dominante esercitata dalla confessione maggioritaria nella
sfera pubblica, la questione è più che mai attuale in relazione al modo di intendere la
laicità.
E vengo alle radici cristiane dell'Europa. Certo l'Europa ha profondissime radici cristiane,
tanto che la storia del continente è al tempo stesso storia del cristianesimo. Ma
l'interrogativo è se queste radici storiche siano le più idonee ad essere assunte come punto
di riferimento basilare del progetto culturale e civile di un’Unione europea sempre più
multietnica, multiculturale e multireligiosa. Il retaggio di gran lunga prevalente che il
cristianesimo ha depositato non va affatto nella direzione dell’amore e del riconoscimento
dell'altro evocati da Amato ma della prevaricazione di chiese cristiane su altre chiese
cristiane e dei cristiani nei confronti di non cristiani, ebrei e non credenti. Non si dica che
una cosa sono i grandi principi e un'altra le miserie della loro attuazione, poiché a dare
spessore storico e culturale ai retaggi sono soprattutto i comportamenti che derivano dai
principi.
L'Europa moderna è stata attraversata da due grandi mali: le guerre tra gli Stati da un lato
e le guerre civili e religiose dall'altro. Orbene, dalla Riforma fino alla Seconda guerra
mondiale il cristianesimo vissuto nella prassi delle sue chiese ha costituito una delle
massime cause di devastanti conflitti civili e religiosi, alimentati dalle discriminazioni, dalle
pretese di primato, dalla volontà di imposizioni delle verità assolute della religione sulla
società e sullo Stato. In questo quadro hanno avuto la loro genesi e il loro sviluppo l'idea
laica di libertà e un'idea di cittadinanza che, per essere attributo comune, non può che
poggiare su principi puramente civili, vale a dire sul pieno riconoscimento dell'influenza
delle chiese in una sfera pubblica che però - affinché le libertà di ciascun soggetto
individuale e collettivo vengano salvaguardate - non deve invadere la sfera dello Stato.
E’ dunque in questa classica idea di laicità e di pace civile che vanno individuate le radici
più idonee di un'Europa liberale e democratica. Se il protestantesimo e assai più
tardivamente il cattolicesimo europei hanno storicamente fatto propri, secondo le parole di
Amato, i principi del "riconoscimento dell'altro quand'anche appartenente a una fede
diversa", questo è avvenuto grazie alla forza espansiva del laicismo liberale e democratico
che ha finito per permeare anche le chiese cristiane. Devo perciò dire di non capire la sua
conclusione che "la vecchia premessa del laicismo non regge più": conclusione che
poggia, a mio avviso, sulla non fondata convinzione che il cosiddetto vecchio laicismo
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negasse tout court alle religioni e alle chiese il diritto di esercitare la propria influenza nella
sfera pubblica. Quella negazione (come ebbe a spiegare splendidamente Salvemini) fu
invece propria non dell'idea classicamente liberale del laicismo, ma di un "laicismo" tale
solo nel nome, che contraddiceva se stesso in quanto degenerato in anticlericalismo, in
ideologia illiberale, in un nuovo assolutismo che non a caso concepiva la cittadinanza in
termini che, caricati di militanza antireligiosa, si voleva andassero oltre un fondamento
puramente civile.
Alla fine del suo discorso Amato richiama a far barriera contro i nuovi fanatismi l'alleanza
patrocinata da Ratzinger tra fede e ragione. Ma quale è il suo significato, come si pensa
che questa possa articolarsi e farsi istituzione nell'Europa odierna? Insomma, che cosa si
intende concretamente? Personalmente sono sotto l'impressione delle pesanti parole
pronunciate il 18 aprile di quest'anno dall'attuale papa (citate da Giorello nel suo recente
saggio sulla "libertà del laico") il giorno prima della sua elezione - contro "la dittatura del
relativismo", dove, nell'enumerare le onde che sono andate ad infrangersi contro la barca
della "fede chiara" dei cristiani, si indica accanto al marxismo, al libertinismo, al
collettivismo, all'individualismo radicale, all'ateismo, al vago misticismo religioso,
all'agnosticismo e al sincretismo anche il liberalismo.
Vedere collocato il liberalismo in un nuovo elenco degli errori moderni fa davvero specie e
induce a pensare che sui modi d'intendere l'alleanza tra fede e ragione si debba indagare a
fondo da parte di chi ritiene che essa possa costituire il presupposto della difesa dal
fanatismo e quindi della libertà civile quale valore universale.
Commento. Le argomentazioni di Massimo Salvadori mi sembrano più coerenti di quelle di
Giuliano Amato. Cosa intende Giuliano per “alleanza tra fede e ragione”? A quale “fede” si
riferisce? A quella cristiana, o a tutte le fedi? Nel primo caso saremmo di fronte ad una
alleanza di parte, che escluderebbe le altre fedi, nel secondo l’alleanza sarebbe
impossibile, sia perchè in Italia non sarebbe accettata dalla Chiesa cattolica sia per le
diversità esistenti tra le varie fedi. E quand’anche le diverse fedi fossero d’accordo ma non
lo fosse lo Stato, chi dovrebbe prevalere? Un esempio ci viene dallo stesso Amato nel suo
articolo sulla vicenda dei “Pacs”, sopra riportato. Egli infatti deve prendere atto che
sull’argomento non esiste possibilità di intesa fra la proposta di Romano Prodi, che
condivide (regolamentare le coppie di fatto, anche omosessuali) e la posizione della
Chiesa. In tal caso, cosa dovrebbe fare lo Stato? Sottomettersi alla Chiesa? Non affrontare
legislativamente l’argomento anche se lo ritiene doveroso e necessario? Non resta dunque
che la divisione delle sfere di influenza: quella pubblica allo Stato, quella privata alle
religioni. Spetta allo Stato garantire le libertà religiose, senza negare, ovviamente,
l’influenza che le stesse hanno nella società civile. Le tesi di Amato, peraltro, non sono
nuove. Recentemente in un suo articolo, approvato dai cosiddetti “atei devoti”, ha
affermato che “i credenti hanno una marcia in più rispetto ai laici”. Non mi sento di
condividere neppure questa tesi, anzi sono del parere opposto. Il credente, per definizione,
crede in verità rivelate. Non si pone il problema se tali verità siano o meno condivise da
altri, problema che invece il laico si pone continuamente, in quanto sa che non esistono
verità assolute. Essere “relativisti” non significa non avere valori di riferimento, non avere
un“etica”, anzi è vero il contrario: l’etica del laico è più coerente ed ampia rispetto a quella
del credente perchè fondata sulla ragione e non su dogmi. Vista così, la “marcia in più” non
solo non esiste, ma non è un fatto positivo, in quanto porta a negare le ragioni degli altri
quando contrastano con le proprie verità assolute.(gps)
226 - LA FEDE CONSIDERATA SUPERIORE A TUTTO – DI CORRADO AUGIAS
da “la Repubblica” di giovedì 8 settembre 2005 – Rubrica: Lettere
Caro Augias, il mio rispetto verso chi "crede" è totale, anche se la mia simpatia è più
spontanea verso chi "crede" in un Dio senza nome e senza attributi antropomorfi. Ciò
premesso, sono rimasto colpito dall'affermazione di Pietro Citati, su la Repubblica di lunedì
5, secondo la quale, il cristianesimo non è una morale o un insegnamento civile, bensì
14
"una religione, una fede, una grazia; ossia qualcosa d'immensamente superiore a qualsiasi
morale o insegnamento civile".
Francamente, l'idea che una religione, una fede, una grazia, siano immensamente
superiori a qualsiasi, faticosissimo, umano, insegnamento civile, capace di condensarsi in
una morale, sempre, umanamente e faticosissimamente, da aggiornare, mi lascia
perplesso, per non dire, anche alla luce dell'alta considerazione che nutro per Citati, triste.
Mi fa tristezza, che la condizione umana, oltre che così autorevolmente pensata, oltre che
dai più vissuta con inevitabile fatica, possa anche essere considerata "immensamente"
inferiore a quanto esistente solo in grazia di una fede che nei secoli non ha saputo
produrre di meglio che cento religioni diverse. Credo ogni giorno di più, che il processo
tutto umano che produce insegnamento civile e porta l'uomo a "liberarsi" dalle religioni e ad
avere fede solo nella propria umanità, sia immensamente superiore a qualsiasi processo
che conduca, per grazia ricevuta, ad un presunto salvifico divino.
Vittorio Melandri - [email protected]
Risponde Augias
Immanuel Kant, che com'è noto ha riflettuto a lungo sui problemi analizzati da Citati e
ripresi, con diversa ottica, in questa lettera, ha scritto: "L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo
dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi
del proprio intelletto senza la guida di un altro». Il concetto è lo stesso esposto sia pure in
termini diversi dal signor Melandri. Il grande filosofo rifletteva lo spirito dei suoi tempi,
enunciava un principio (o forse solo un auspicio) in grado di rendere l'uomo un 'entità
“morale” non in base a una volontà “santa” non esposta al contrasto tra virtù e inclinazioni
naturali, ma solo in base a una volontà “buona”, fondata sulla rappresentazione di un
dovere. Donde il famoso “imperativo categorico” nella memoria di ogni liceale.
Credo (presumo) di sapere perché Citati ha esposto quel concetto. La mia presunzione è
che le sue parole sgorghino dal disincanto; dall'aver constatato quanto poco una moralità
laica, basata cioè solo sul rispetto razionale delle leggi, sull’obbedienza al comando che
impone di comportarsi come se il proprio agire fosse regola del comportamento universale,
di quanto poco, dicevo, una moralità di questo tipo sia capace d'incidere sugli effettivi
comportamenti degli individui.
La mancanza di una fede, una fede vera intendo non le sciocchezze new age, ha
sicuramente peggiorato le cose; si è capito ormai che fidare su un'etica collettiva
generalizzata "come .se Dio non ci fosse" è un’impresa ardua, se non addirittura utopica.
Nietzsche profetizzava, in un futuro che per noi è in parte già il presente, la morte di Dio
come una liberazione. In realtà s'è visto che la morte, o quanto meno la lontananza, di quel
Dio "che atterra e suscita, che affanna e che consola" rende tutto molto più difficile.
Commento. Sicuramente, come presume il nostro socio onorario Corrado Augias e, forse,
Pietro Citati, il raggiungimento di <un'etica collettiva generalizzata "come se Dio non ci
fosse" è un’impresa ardua, se non addirittura utopica>. Ma ciò non significa che per
migliorare le cose sia necessario abbandonarla e rifugiarsi nella fede, per quanto “vera”
possa essere. Anzi, più la fede sarebbe “vera”, più avremmo verità “assolute” e più le cose
peggiorerebbero. Forse. (gps)
227 - LA FALLACI DAL PAPA, QUALE OCCIDENTE DA SALVARE? – DI F. ORLANDO
da “Europa” di mercoledì 7 settembre 2005 – Rubrica: Lettere
Cara Europa, sono rimasta sconcertata nell'apprendere che il papa Benedetto XVI ha
ricevuto questa estate Oriana Fallaci. Sconcertata non perché la scrittrice sia "atea
devota", ma perché tutto quel che ha scritto dopo l'11 settembre è un "inno" all'odio di
religione e alla guerra santa: due cose che, storicamente, stanno in tutte le culture
religiose, ma in questa fase storica non mi sembra appartengano ai cristiani e
all'Occidente. Né ho capito perché la notizia dell'incontro di Castelgandolfo, data senza
rilievo dalla stampa, venga ora rilanciata dal rettore dell’Università Lateranense, monsignor
Fisichella, con l'auspicio che dall'incontro nasca un'intervista al papa.
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Miriam Ascoli, Roma
Risponde Federico Orlando
Cara signora, anch’io sono sconcertato, non dalla visita di Oriana Fallaci al papa, ma dai
contenuti che attraverso le dichiarazioni di monsignor Fisichella sembrano aver
attraversato quel colloquio; e dall’ipotesi che - curiosità a parte - leggeremo l’intervista
della più fanatica scrittrice a un papa che a Colonia ha espresso una visione non fanatica e
non unilateralista dei problemi del nostro tempo. Mi sorprende che monsignor Fisichella,
divulgando alcuni contenuti del colloquio e anticipando temi dell’intervista, si sia riferito non
solo alla Fallaci antislamica, ma anche alla Fallaci antiabortista di Lettera a un bambino
mai nato: posizione legittima, intendiamoci, quella della Fallaci, così come legittima è
quella di chi, come noi, è per la conservazione deIl’aborto legalizzato; ma che alimenta di
brutto la crociata antidivorzista, antiabortista, antitutto, che i fondamentalisti clericali,
guidati e affiancati dagli atei devoti, hanno cominciato a scatenare dopo il flop del
referendum sulla maternità assistita.
Il papa non esitò ad auspicare in prima persona quel flop. Se prendesse posizione
personale non sul principio, che è suo diritto, ma nella guerra già iniziata contro l’aborto
legale, i toni salirebbero d'intensità. Tanto più che mancano otto mesi alle elezioni e ci
sono in giro dei disperati che vanno a caccia di falsi problemi cui aggrapparsi per distrarre
gli elettori e conservare la mangiatoia. Cosa resterebbe in piedi dei rapporti tra Stato e
Chiesa non lo so, ma certo sarebbero più difficili, come del resto è trapelato dalla "sofferta"
visita dei sovrani di Spagna a Castelgandolfo.
Passando dalla bioetica al rapporto tra Occidente e Islam, mi piacerebbe leggere
nell’intervista della Fallaci una domanda come questa: se il papa include nella civiltà
occidentale, e magari nell’«Occidente che non si ama» (la definizione è di Benedetto XVI)
anche quelle masse teocon, e le loro chiese evangeliche, che hanno interamente
concordato con gli islamici nel definire l’uragano Katrina "soldato di Dio", ma hanno
rivendicato al loro dio d'averlo mandato «affinché distruggesse la peccaminosa New
Orleans (diecirnila morti) come a suo tempo Sodoma e Gomorra».
Fa parte del nostro Occidente chi rimette l’orologio indietro di qualche millennio? E che
cosa avrebbero di diverso questo Occidente e l’Oriente talebano, il reverendo Bill Shanks e
lo sceicco al Zarqawi?
Commento. Ha ragione Federico Orlando a temere una crociata teocon guidata da
“fondamentalisti clericali affiancati dagli atei devoti” in vista delle prossime elezioni.
D’altronde, si tratterebbe solo di seguire l’esempio americano. Con tutti i guasti che ne
sono derivati e ne deriveranno. Anche per questo, non ci convince l’ipotesi che per
migliorare le cose occorra più fede religiosa. (gps)
228 - BANCA D'ITALIA: L'ECLISSE DELLA LAICITA’ – DI FEDERICO ORLANDO
da “Europa” di venerdì 9 settembre 2005 - (articolo di fondo)
Si dirà che la lingua batte dove il dente duole, e non c’è dubbio che a chi scrive duole il
dente della laicità, cioè della non laicità del costume e delle istituzioni italiane: dal maestro
di scuola al ministro, dal giornalista al banchiere, e perfino al prete, che in quanto cittadino
e da cittadino può ben essere laico. Come fu, anche in forma superlativa, Luigi Sturzo; e
come forse lo sono stati un po’ meno due giovani politici in cui riponiamo la nostra
personale fiducia, Pìerluigi Bersani ed Enrico Letta, quel giorno che insieme ai responsabili
economici del Polo offrirono al meeting di Rimini la garanzia che, vinca chi vinca le
elezioni, saranno guardati di buon occhio altri 8 per mille, cioè destinazioni di denaro
pubblico a iniziative private. Omaggio al mondo cattolico, si dirà. E va bene. Ma chi
gestisce la res publica sa che essa è composta di molti soggetti, diversi fra loro ma non
davanti alla legge. Che perciò dev'essere equanime e assicurare unicuique suum, come ci
ricorda tutti i giorni l’0sservatore romano.
Questo continuo intreccio di pubblico e privato, di cattolico e laico, di devoto e massonico,
di affarista e di legalitario, non è soltanto italiano, ma da noi è come la sclerosi a placche
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che impedisce ai nervi di arrivare alle periferie e all’intero corpo di alzarsi dalla sedia a
rotelle e camminare. È la perpetua minorità italiana, e non meraviglia ritrovarla nel caso
Fazio: nei cui aspetti tecnico-giuridici, va da sé, non ci permettiamo di entrare: salvo
ricordare con Pertini che chi è investito di pubbliche funzioni, sia il pubblico ministero
intercettatore di telefonate sia il governatore intercettato, non solo dev'essere indipendente
da ogni altro vincolo che non sia la Legge, ma deve anche sembrarlo.
Invece ci permettiamo di entrare, con una nota a margine che a noi non sembra marginale,
nella questione dell'autonomia delle cose italiane, appunto della loro laicità.
Di fronte all’intervento (cauto) dei giornali cattolici contro chi chiede a Fazio di dimettersi, si
può ricordare che quell’intervento può essere anche controproducente per la Chiesa, il cui
rapporto con la finanza italiana è costellato di errori, magari in buonafede. Non c’è bisogno
di rievocare le vicende Marcinkus, Sindona e Calvi, troppo note. Forse meno noto, a chi
legge le cronache dei giornali e poi le dimentica, è che solo grazie a Beniamino Andreatta,
ministro delle Finanze, cattolico come persona e laico come cittadino, lo IOR fu costretto a
pagare gli impegni assunti. Grande prova di autonomia dello Stato, ma durata lo spazio
d'un mattino. Da allora l’ostracismo colpì Andreatta così da non consentirgli più di metter
piede nei ministeri economici. E fece il ministro della Difesa, bofonchiando, ma solo
apparentemente dormiente, perché il suo spirito laico gli imponeva di servire lo Stato sia
pure tra sciabole e sciarpe a lui estranee.
Sorprende che di queste cose tenga minor conto Valentino Parlato, quando esprime, come
ha fatto ieri sul manifesto, la preoccupazione di non darla vinta a Berlusconi nella
questione del governatore. Una preoccupazione che sembra prevalente anche su quella di
mantenere l’autonomia laica delle istituzioni.
Certo, ognuno di noi fu pesare nei suoi giudizi anche i sentimenti personali: ed è
apprezzabile che Parlato conservi verso la Banca d'Italia quel sentimento amicale che
nasce con Guido Carli, autentico conservatore e come tale appassionato di tutti gli
eterodossi, il quale confidava al ministro del Tesoro Malagodi, di cui curavo l’ufficio
stampa, che ogni mattina leggeva per primo giornale il manifesto. Sentimenti a parte,
Parlato, come una parte della sinistra diessina, hanno un riflesso pavloviano da oppositori,
e sono convinti di difendere la Banca centrale dal governo. Senonché, fino a ieri non c’è
stato alcun attacco del governo, non siamo di fronte a un nuovo caso Baffi, anche perché
oggi la Banca d'Italia non sta contro gli Arduini, i Calvi e i Sindona, ma sta coi Ricucci. Le
cui affinità elettive portano più al governo che altrove.
E ci sembra fuori tono anche Cossiga, che mette le mani avanti dicendo al Corriere della
Sera che la sua "pazzia” è un’invenzione dei dossier di De Mita, ma poi ci marcia per
attaccare il Quirinale. Non è stato Ciampi il governatore prima di Fazio? Cossiga finge di
non sapere che per Ciampi il suo successore a Palazzo Koch doveva essere Padoa
Schioppa; e si piegò ad accettare Fazio solo quando gli fu conferito l’incarico di formare il
governo, nel 1992. Fazio aveva la stima del presidente Scalfaro. Ed è stato sempre
convinto che i politici cattolici l’avessero voluto governatore anche per lenire le ferite della
finanza cattolica: che non aveva avuto grandi gestori. Mistero nel mistero, visto che grandi
gestori cattolici della finanza ci sarebbero, uno per tutti Bazoli, ma chissà perché si è
invece razzolato trai Sindona e i Fiorucci.
Certo, è un dato storico che la finanza italiana dopo la grande crisi nasce e resta laica e
forse massonica, e basta il nome di Mattioli (e dei suoi allievi politici da La Malfa a
Malagodi). Ma tra quei laici non mancavano i cattolici: Ciampi, per citare, chiarissimo
esempio di come, anche in tempi di neo-temporalismo, il cattolico al servizio dello Stato
può restare cattolico ed essere autonomo. E può rivendicare l"orgoglio”di tale autonomia
ricevendo il Papa al Quirinale.
La conclusione è che a questi cattolici-laici - da Beniamino Andreatta a Carlo Azeglio
Ciampi -, se non va la simpatia viscerale della Curia, va la modesta solidarietà dei laici
come noi, in una tradizione direi degasperiana che da sessant'anni salva il salvabile
dell’Italia del Risorgimento.
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In tempi di magra, di quell’Italia è sufficiente difendere il principio che laicità significhi
buona amministrazione. Il contorno e la frutta verranno dopo, speriamo
Commento. con piacere abbiamo pubblicato due “pezzi” di Federico Orlando perchè
riteniamo importante che un condirettore del quotidiano “Europa”, notoriamente di area
Margherita, prenda una posizione così netta e coerente a difesa della laicità dello Stato.
(gps)
229 – EUTANASIA: PARTE LA CAMPAGNA D'AUTUNNO - DI IGNAZIO INGRAO
Da “Panorama” di venerdì 9 settembre 2005 – Strategie episcopali
La macchina si è rimessa in moto senza troppa pubblicità: entro la metà di ottobre, in data
da stabilire, si ritroveranno i leader di una trentina di movimenti e associazioni promotori
del Comitato scienza e vita, vittorioso protagonista della battaglia contro il referendum sulla
fecondazione assistita con la benedizione del presidente della Conferenza episcopale
italiana, cardinale Camillo Ruini.
La data prevista in un primo tempo era quella del 31 ottobre, ma il complicarsi del quadro
politico e l'emergere di nuove iniziative di collaborazione tra associazioni cattoliche (come
quella di Retinopera con il sostegno del cardinale Attilio Nicora) ha consigliato di anticipare
la convocazione.
All'ordine del giorno c'è la discussione sul futuro del Comitato, che dopo il referendum di
giugno si è sciolto dal punto di vista formale, ma vorrebbe rinascere. L'obiettivo è
riorganizzare al più presto le forze per combattere nuove battaglie, a cominciare da quella
contro l'eutanasia. La difesa della vita umana fino alla morte naturale appare infatti come la
nuova linea del Piave che la Chiesa italiana si prepara a presidiare dopo aver fatto
quadrato intorno alla vita nascente.
Per questo il Comitato scienza e vita ha mantenuto attivo il suo sito internet e il quotidiano
della Cei, Avvenire, non vuole interrompere la pubblicazione dell’inserto «È vita» che era
stato varato per la campagna referendaria.
La dichiarazione di guerra è arrivata da Marco Pannella nel bel mezzo dell'estate, dalle
colonne del Corriere della sera: «Insieme allo Sdi (il partito socialista di Enrico Boselli
schierato con il centrosinistra, ndr) dobbiamo partire con una campagna sull'eutanasia e
spingere anche sulla libertà di ricerca e sui Pacs (Patti civili di solidarietà)» ha promesso il
leader radicale. E il mondo cattolico sembra prenderlo sul serio anche alla luce delle
cinque proposte di legge sull'eutanasia che sono state presentate alla Camera e al Senato.
Uno dei testi (sottoscritto anche da deputati di AN e Forza Italia) è incluso in un gruppo che
conta 25 progetti di legge di iniziativa popolare sui quali i radicali hanno già raccolto decine
di migliaia di firme.
Ma la battaglia sull'eutanasia non può essere solo italiana: "L’orizzonte è quello europeo
perciò è necessario organizzarsi e far sentire la propria voce anche a livello comunitario»
spiega a Panorama il vicedirettore di Avvenire, Domenico Delle Foglie, regista della
strategia comunicativa del Comitato scienza e vita.
Lo stesso cardinale Ruini ha auspicato che l'Europa affronti il problema del diritto alla vita.
Il Comitato punta dunque a diventare uno strumento di lobbying appoggiato su una
struttura leggera, capace di autoconvocarsi ogni volta che si presentino questioni rilevanti
per la coscienza dei credenti: non solo l'eutanasia, ma anche le unioni gay e le coppie di
fatto.
Intervistato il 4 settembre da Avvenire, il cardinale Ruini ha chiamato a raccolta i cattolici e,
ancora una volta, ha aperto ai laici e a quanti hanno a cuore «il futuro della nostra civiltà".
Dai leader di associazioni e movimenti il presidente della Cei attende una reazione
altrettanto entusiasta di quella degli «atei devoti». A ottobre la risposta.
230 - OLANDA – EUTANASIA SU BAMBINI
Da “The Associated Press newsagency” – Chicago, lunedì 5 settembre 2005
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Un nuovo studio, finanziato dal governo olandese, ha preso in esame 64 casi di decessi di
bambini malati durante un periodo di 4 mesi. Di questi, 42 casi hanno implicato decisioni
mediche che potrebbero affrettare la morte. Ai medici è stata assicurata l’immunità da
procedimenti giudiziari e le loro risposte sono rimaste anonime. Le decisioni andavano
dall’interruzione di supporti vitali, una pratica accettata negli U.S.A., alla somministrazione
di farmaci come la morfina con l’intenzione di porre fine alla sofferenza e affrettare la
morte. Alcuni dei casi descritti sono al limite di ciò che è legalmente permesso, se questi
limiti sono tollerabili o legittimi è, naturalmente, da dibattere. Lo studio olandese si
aggiunge ad un dibattito internazionale che scalderà gli animi negli U.S.A. quando ad
autunno la Corte Suprema prenderà in considerazione se i dottori dell’Oregon possono
prescrivere sostanze controllate federalmente per aiutare i pazienti a morire. (mdc)
Commento. L’eutanasia su bambini, per ora sperimentata soltanto in Olanda, è un
problema molto delicato. Sappiamo che esistono – purtroppo – casi terribili e irreversibili,
senza alcuna speranza di guarigione e neppure di una vita degna di essere vissuta, per i
quali l’eutanasia sarebbe l’unica soluzione per evitare inutili sofferenze se non torture, ma
sappiamo anche che la base fondamentale del nostro impegno per la legalizzazione
dell’eutanasia è il rispetto della volontà della persona interessata, anche se espressa
anticipatamente. Questa condizione non ricorre nel caso di bambini.
Propongo di dibattere il tema in occasione della nostra Assemblea nazionale.(gps).
231 - OLANDA – SEDAZIONE TERMINALE
Da: “The British Medical Journal” di sabato 3 settembre 2005.
L’Associazione medica olandese ha iniziato a discutere con il Pubblico Ministero riguardo
al caso di un medico accusato di omicidio, imprigionato e poi prosciolto a luglio. Il medico
aveva prescritto in ospedale morfina e un sedativo ad un paziente terminale bisognoso di
cure palliative, in accordo con la famiglia. Quando il paziente era peggiorato, il medico
aveva aumentato le dosi e il malato era morto. Il ministero della Salute e quello della
Giustizia hanno definito la sedazione terminale - che, usata per alleviare la sofferenza, può
indurre il coma nel paziente morente - un normale trattamento medico. Nonostante ciò il
Pubblico Ministero ha incriminato il medico per chiarire dove fosse il limite nella grigia area
fra eutanasia e sollievo palliativo dal dolore. Successivamente una Corte di Breda ha
prosciolto il medico perché il trattamento usato era con evidenza un normale trattamento
medico del tutto in accordo con il protocollo delle cure palliative e perché il medico, anche
se i farmaci potevano avere accorciato la vita del malato, non aveva l’intenzione di
accelerare la morte, come invece sosteneva l’accusa.
L’Associazione medica olandese ha dichiarato che molti medici si adoperano affinché i
pazienti soffrano il meno possibile: se i medici, per timore di accuse giudiziarie,
diventassero riluttanti ad usare la morfina, verrebbe meno o comunque si ridurrebbe il
ricorso alle cure palliative. L’Associazione perciò si augura che venga ripristinata la fiducia
fra la professione legale e quella medica. (mdc).
Commento. Evidentemente in Olanda le cure palliative funzionano, per fortuna degli
olandesi. Non altrettanto si può dire per l’Italia, ma ormai ci stiamo abituando ad essere gli
ultimi in Europa, in tutte le classifiche tranne che nel numero di cellulari. Nel merito
possiamo soltanto dire che le cure palliative per essere tali DEBBONO lenire il dolore. E
poiché non tutti i dolori sono uguali, ne deriva che anche le dosi palliative debbono essere
diverse. E poiché la morfina non è un veleno, il medico DEVE – sempre in accordo con
l’interessato o, se impossibilitato, con la sua famiglia – graduare le dosi da somministrare
in relazione all’intensità del dolore. Quando si tratta di malati terminali, il rischio della morte
è possibile in ogni momento: se interviene nel corso di una cura palliativa, non può essere
imputato al medico curante, il quale ha fatto il suo dovere. (gps)
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232 - MODENA – LIBERAUSCITA AL FESTIVAL DELL’UNITA’
Ci scrive la nostra responsabile di Modena, Maria Laura Cattinari, che ringraziamo –
insieme alle sue collaboratrici e collaboratori – per la preziosa attività svolta per la nostra
associazione.
Carissimi,
anche quest'anno, il terzo dopo il 2003 ed il 2004, siamo stati presenti con un nostro stand
nello spazio volontariato del festival provinciale dell'Unità di Modena.
Quest'anno abbiamo "fatto le cose in grande". Avevamo quattro grossi manifesti che molto
chiaramente spiegavano chi eravamo e cosa offrivamo: materiale informativo
sull'associazione, possibilità di conoscere le nostre proposte di legge su eutanasia e
testamento biologico, possibIlità di sottoscrivere le relative petizioni popolari, possibilità di
sottoscrivere il proprio testamento biologico o comunque di ritirare il modulo per prenderne
conoscenza, possibilità di iscriversi all'associazione LiberaUscita.
Molto interesse ha suscitato il testamento biologico. Forse un po' più di freddezza abbiamo
notato relativamente alla proposta di legalizzazione dell'eutanasia e qualcuno tra noi si è
chiesto se non fosse in qualche modo imputabile alla recente débacle referendaria.
Comunque circa duecento firme le abbiamo raccolte.
Sulla Gazzetta di Modena è comparso un articoletto che annunciava la nostra presenza al
festival ed in particolare informava sulla possibilità di sottoscrivere al tavolo il proprio
testamento biologico. Gentilmente venivano anche forniti i nostri recapiti per cui riscontri
telefonici e telematici si sono avuti anche nei giorni successivi alla nostra presenza al
festival.
Anche la stagione ci ha aiutato, aria tiepida e cielo stellato.
Alla prossima
Maria Laura Cattinari
233 - LA VIGNETTA DI BRUSCO.
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