Istituto MEME: Laboratorio musicale per adolescenti
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Istituto MEME: Laboratorio musicale per adolescenti
Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles Laboratorio Musicale per adolescenti Scuola di Specializzazione: Musicoterapia Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Collaboratori: Francesca Curti ed Ingrid Baraldi Contesto di Project Work: Ipsia “F. Corni” di Modena Progetto “Spazi attrezzati” Tesista Specializzando: Ilia Montani Anno di corso: Primo Modena: 30/05/2009 Anno Accademico: 2008 - 2009 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Indice dei Contenuti Premessa ............................................................................................................. pag. 3 Prima parte Descrizioni, osservazioni e riflessioni progetto laboratorio musicale …………. pag. 4 1. L’adolescenza ………………………………………………………………... pag. 8 2. Adolescenza con sindromi e disturbi psichici e comportamentali …………... pag. 10 3. Accoglienza e condivisione musicale ………………………………………... pag. 13 4. Il nostro ISO di gruppo ………………………………………………………. pag. 16 5. Le proposte di gruppo……………………………………………….. ………. pag. 20 6. La restituzione……………………………………………….. ………………. pag. 25 Seconda parte Descrizioni, osservazioni e riflessioni interventi individuali …………………... pag. 29 7. Organizzazione delle sessioni individuali ……………………………………. pag. 30 8. Ipotesi ed obiettivi…………………………………………………………...... pag. 32 9. Programmazione e metodo …………………………………………………... pag. 34 10. Premesse epistemologiche della tecnica …………………………………….. pag. 37 11. Strumenti e suoni……………………………………………………………. pag. 40 12. Tecniche e dialogo sonoro…………………………………………………… pag. 43 Conclusioni………………………………………………………………………. pag. 46 Bibliografia ……………………………………………………………………… pag. 48 2 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Premessa L’intento che mi propongo nella stesura di questa tesi è quello di riflettere sulla mia prima esperienza di musicoterapia in qualità di tirocinante, focalizzando l’attenzione su quei punti che ritengo importanti per il mio percorso formativo. La tesi sarà strutturata in due parti: nella prima cercherò di delineare il processo musicoterapico di gruppo, nella seconda mi concentrerò nel lavoro individuale svolto. A tutto ciò va premesso che le mie osservazioni e riflessioni non riusciranno mai ad esaurire l’infinita ricchezza del “qui ed ora” di quegli incontri. Ritengo opportuno esprimere la mia gratitudine fin da subito: ringrazio le mie colleghe di tirocinio, Francesca ed Ingrid, le cui preziose risorse hanno arricchito le mie; ringrazio i ragazzi che hanno partecipato al progetto, che mi hanno insegnato ad allentare le tensioni con la dolcezza ed hanno saputo farmi mettere in gioco. Infine ringrazio la pazienza che hanno saputo concedermi sia le colleghe che i ragazzi. 3 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Prima parte Descrizioni, osservazioni e riflessioni progetto laboratorio musicale 4 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Introduzione Gli incontri di questo progetto di musicoterapia si sono tenuti presso il laboratorio dell’Istituto IPSIA “F. Corni” di Modena, ogni lunedì mattina dalle 9:30 fino alle 11:30. Il ciclo di sessioni è iniziato il 9 febbraio 2009 e si è concluso il 20 aprile 2009, per un totale di 10 incontri. Risulta riduttivo definire univocamente la tipologia d’intervento richiesto e/o necessario, poiché sono spesso uno confinante nell’altro in virtù della complessità dei fattori concomitanti che possono favorire il miglioramento della vita di una persona. Tuttavia possiamo stabilire che l’intervento promosso da questo Project Work fosse prevalentemente formativo, perché si svolgeva in un contesto scolastico. Infatti gli utenti di questo nostro tirocinio sono state persone adolescenti, seppure di diversa età, che sostituivano le prime lezioni del lunedì con il “laboratorio di musicoterapia”. Il gruppo era formato inizialmente da 12 ragazzi e ragazze, per poi accrescersi progressivamente a 14 persone. Le patologie e i disturbi che si distribuivano nel gruppo erano di diverso genere. Erano presenti varie tipologie di ritardi mentali, sia lievi che gravi e spesso accompagnati da tratti autistici, sindrome di down, sindrome di Landau-Kleffner, autismo e psicosi. Si trattava quindi di capire come un adolescente con queste problematiche potesse vivere la propria adolescenza, e prima ancora capire le personalità che avevamo davanti. Analizzando la richiesta, ciò che il contesto si proponeva con questo laboratorio era quella di stimolare i ragazzi e permettere loro di sperimentarsi con diversi canali espressivi. Nei suoi presupposti generali, ciò che abbiamo individuato come bisogno non era in contraddizione con la richiesta. Infatti nella nostra società, come vedremo più avanti, per “adolescenza” si intende una fascia d’età che concentra profondi cambiamenti fisici, psichici, emozionali ed intellettuali; in questo senso è considerata un’età “critica” e delicata per tutta la 5 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 popolazione. Molti disturbi, quali ad esempio il ritardo, si accentuano proprio in questo periodo e/o si rendono ancora più evidenti in relazione allo sviluppo dei coetanei che non presentano patologie di questo tipo. La difficoltà di espressione, già presente in molti disturbi, può dunque aggravarsi proprio quando le esigenze comunicative aumentano. Sperimentarsi e comunicare con canali espressivi extra-verbali ed acquisire eventualmente nuove competenze può rappresentare per queste persone (come per tutti, del resto) sia uno strumento in più mediante il quale sviluppare la propria personalità e identità, che una fonte di soddisfazione personale così da favorire un miglioramento della qualità della vita. Per quanto riguarda l’analisi della richiesta e del bisogno è necessario aggiungere un’ulteriore osservazione. Se da un punto di vista generale tra i due termini non sussisteva contraddizione, nel particolare non si può affermare la stessa cosa. Infatti l’eterogeneità delle persone a cui è stata proposta la partecipazione a questo progetto ha portato con sé bisogni altrettanto eterogenei, alcuni dei quali spesso si rivelavano poco coerenti e conciliabili sia tra loro che con la richiesta. A mio avviso, la causa principale di questo limite è rintracciabile nell’ esasperata dicotomia tra “normale” e “non normale” da un punto di vista epistemologico del contesto. Come ogni dualismo, anche questa dicotomia nasconde le interdipendenze che connettono queste due categorie, che hanno di gran lunga più elementi in comune rispetto a quelli che le divide; ma soprattutto queste categorie dicotomiche acquistano più importanza rispetto a ciò per cui si sono sviluppate, che è l’individuo nella sua particolarità. In questo senso, molti di questi “spazi” (dai laboratori di questo genere alle strutture intermedie psichiatriche) portano l’implicita richiesta di essere una sorta di contenitori di persone accomunate soltanto da una definizione socialmente riconosciuta di disagio. Ovviamente questa osservazione non vuole sminuire l’importanza di questi tipi di intervento, la cui esistenza è sicuramente sintomo di un problema sentito. L’eterogeneità del nostro gruppo, d’altra parte, ha rappresentato per i ragazzi un’opportunità di confronto con persone con disturbi diversi dai propri, offrendo stimoli in più nell’elaborazione delle relazioni con i coetanei con o 6 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 senza patologie. Inoltre è proprio in virtù della varietà delle problematiche del gruppo che si sono attivate delle risorse altrimenti inesplorate. Gli strumenti presenti nel setting sono stati: lo strumentario ORFF, comprendente anche di congas e xilofono, una tastiera, una chitarra, un flauto dolce, un clarinetto, uno jambè ed un kazù. A questi strumenti musicali tradizionali si sono aggiunti quelli che Benenzon chiama strumenti “corporali” e “creati”(1), utilizzando anche oggetti di uso quotidiano. Un altro elemento nel setting di notevole importanza è stato l’uso della voce. Infine, nello strumentario faceva parte anche un computer portatile con due piccole casse adibito a lettorecd. Il tirocinio è stato portato avanti da tre persone: io, Francesca ed Ingrid. Oltre al setting, era solito vederci ogni settimana per vagliare le nostre ipotesi (e modificarle se necessario) ed elaborare mano a mano la programmazione del setting. Abbiamo precisato degli obiettivi da conseguire sia rispetto al gruppi che per ogni singola persona, così da poter coordinare l’intervento anche nel lavoro individuale. Indirettamente le nostre riflessioni ci hanno condotto anche ad un confronto con i nostri rispettivi feedback relativi all’esperienza del setting. Questo è stato molto utile non solo per la mia formazione, ma anche per ritornare di volta in volta a ad un atteggiamento neutrale rispetto a forti cariche emotive personali (non terapeutiche) e ai processi di contro-transfert. Dopo questa presentazione generale, sarà opportuno proporre una breve analisi sull’adolescenza, per capire meglio come possano essere vissuti alcuni disturbi in questa età. _________________________________________________________________ 1. Benenzon, La nuova musicoterapia, Il Minotauro, 2006, Roma, pp. 30-32. 7 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 1. L’adolescenza La “scoperta dell’adolescenza” inizia in Europa verso la fine del XIX secolo soprattutto nelle classi agiate e diventa già nella prima metà del XX secolo un fenomeno culturale ampiamente riconosciuto. L’idea dell’adolescenza è quindi il frutto delle trasformazioni storico-culturali del tempo e, da un punto di vista psico-pedagogico, è la risposta dell’altrettanto importante “scoperta dell’infanzia”, avvenuta a partire dal XVII secolo per poi diffondersi in tutta la società nel XIX secolo. Per “adolescenza” si intende quella fase intermedia che collega e separa il mondo dell’infanzia da quello dell’adulto. In questo senso è facile capirne le profonde trasformazioni psico-fisiche che si sviluppano in questa età. Erickson (1902-1994), autore che si è concentrato sulle tappe della costruzione del senso dell’identità dell’individuo, distingue otto fasi psicosociali del ciclo di vita. Ciò che l’Io si chiede nell’età tra i 13 e i 18 anni, corrispondente alla quinta fase, può essere così schematizzato: “ho una posizione chiara e coerente o non so bene chi sono?”. Emerge come l’attenzione dell’adolescente sia volta alla costruzione della propria identità, e come questa sia relazionata ai ruoli che si delineano nel proprio contesto. Per Freud (18561933), che individua invece le tappe psico-sessuali dello sviluppo della persona, denomina l’età che va dai 12 ai 18 anni come “fase genitale”, caratterizzata dal risveglio dell’interesse sessuale che si era attenuato nella fase precedente. L’approccio freudiano mette in risalto un altro aspetto molto importante dell’adolescente, che è appunto la trasformazione anche fisiologica della persona verso l’acquisizione e la scoperta di una sessualità matura, che differisce profondamente da quella infantile, vissuta prevalentemente come gratificazione. Piaget (1896-1980) si concentra invece sugli stadi cognitivi dello sviluppo di una persona; se un ragazzo dai 12 ai 16 anni comincia ad interpretare la realtà a 8 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 partire da principi e ragionamenti (periodo delle operazioni formali), dopo i 16 anni l’adolescente estende i propri ragionamenti anche a situazioni ipotetiche e comincia ad adottare dei procedimenti metodici e sistematici. I cambiamenti dell’adolescente riguardano quindi anche la sfera intellettuale ed i relativi atteggiamenti verso il mondo. Sebbene gli approcci di questi autori possano risultare anacronistici rispetto al contesto attuale (anche se il loro contributo teorico continua tuttora ad essere d’ausilio), ai fini di questa riflessione si rivelano molto stimolanti. Infatti ognuno si concentra su un aspetto emblematico dell’adolescenza: la ricerca del senso della propria identità in relazione al contesto sociale, lo sviluppo psicosessuale e lo sviluppo cognitivo. La concomitanza di questi fattori intellettuali, fisici ed emozionali porta l’adolescente a dover risolvere molti problemi. Il rapporto genitore-figlio si trasforma in seguito soprattutto all’ingresso della componente sessuale e alla necessità crescente di autonomia dell’individuo. Il ragazzo si trova a sperimentare nuove relazione d’attaccamento al di fuori del nucleo familiare, e ad integrare queste con il proprio desiderio sessuale. Si attivano quindi strategie volte sia alla scelta delle relazioni più intime che alla gestione di una rete sempre più complessa di rapporti interpersonali. Anche il contesto risulta sempre più ampio, che si estende dalla scuola al lavoro, fino agli spazi virtuali che sempre più sono utilizzati per esprimersi (a discapito della comunicazione analogica). Inoltre l’adolescenza, in virtù dell’ampliamento dei propri strumenti cognitivi, riflette sul proprio sé con una maggiore esigenza di coerenza, malgrado i cambiamenti fisiologici dei livelli ormonali e del funzionamento del sistema nervoso. Sicuramente il vissuto di un adolescente è molto intenso ed è per questo che la tematica dell’adolescenza merita molta attenzione. Il ragazzo può, ad esempio, adottare strategie estreme, può essere soggetto a forti sbalzi di umore, può ridurre la gamma di espressione della propria personalità oppure può chiudersi rispetto agli stimoli circostanti. Si presentano tante difficoltà quante sono le circostanze e le persone, ma individuare le problematiche condivise dell’adolescente permette di tracciare 9 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 delle linee guida e degli strumenti per orientarsi nella comprensione di queste persone. A questo breve scenario descritto, va ora aggiunta un’analisi relativa alle sindromi e disturbi psichici e comportamentali vissuti in adolescenza. 2. Adolescenza con sindromi e disturbi psichici e comportamentali Come già accennato, l’intervento di cui ha bisogno un adolescente con patologie psichiche e comportamentali non si può stabilire a priori. È necessario tenere in considerazione il tipo di malattia che presenta la persona (che spesso si tratta della coesistenza a diversi livelli di più disturbi), la sua storia, la sua rete relazionale, la sua personalità ed infine il contesto in cui si inserisce l’intervento stesso. Mi proporrò dunque di rielaborare alcune considerazioni che ho tenuto presente nella mia esperienza e che ho utilizzato come concetti orientativi nell’approccio con i ragazzi. Come per i propri coetanei, anche l’adolescente con disturbi psichici e comportamentali è alle prese con le proprie trasformazioni fisiche, emozionali ed intellettive (che sono elementi interdipendenti). Inoltre gli stessi mutamenti dei coetanei, che rappresentano sicuramente parte del loro contesto di riferimento, apportano nuovi stimoli ed esigenze con cui doversi confrontare e a cui dover rispondere (e viceversa per i coetanei senza disturbi). Ritengo opportuno precisare che non necessariamente un adolescente con questo tipo di problemi vive la propria età in modo travagliato, o perlomeno non più travagliato di quella che può vivere un ragazzo “sano”. Spesso infatti alcuni disturbi sono considerati un problema non tanto per chi ne presenta i sintomi quanto piuttosto per l’ambiente circostante. Sicuramente però è possibile individuare almeno un paio di problematiche che un ragazzo con disturbi psichici può avvertire come difficoltose. In primo luogo, come accennato, la tematica dei ruoli che si ricoprono nel 10 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 proprio contesto è di notevole importanza per la formazione dell’identità dell’adolescente. Infatti, mediante le posizioni e gli incarichi che un ragazzo assume nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nel gruppo di pari e nelle associazioni a cui un ragazzo può aderire, l’adolescente comincia ad esplorare e delineare se stesso. Ciò che contraddistingue invece una persona con disturbi psichici e comportamentali è la mancanza di assunzione di un ruolo ben definito all’interno della società. In tal senso è interessante notare come il termine “idiota”, categoria che comprende trasversalmente sia soggetti “sani” che quelli “malati”, derivi dal greco “idiòtẽs”, che significa “uomo privato”, cioè colui che non ricopre cariche pubbliche e sociali ma che sviluppa solo una vita privata; altrettanto interessante è notare come questo termine abbia assunto una valenza dispregiativa nella nostra società. Ovviamente non avere un ruolo non significa non interagire con il proprio sistema di riferimento, anzi, significa immettervi quella quantità di caos che è alla base di ogni meccanismo di rigenerazione del sistema stesso. In questi termini la costruzione dell’identità dell’adolescente con disturbi psichici e comportamentali procede per meccanismi più complessi rispetto a quella dei coetanei senza disturbi. In questa età la discriminante tra chi avrà accesso al sistema in modo “ordinato” o “disordinato” diventa più accentuata. Questo aspetto, a mio avviso, al di là dei problemi di frustrazione che si possono più o meno presentare, porta con sé una diversa percezione psicofisica di se stesso, da cui un adolescente con disturbi sviluppa la propria identità. Di fatto, capire come queste persone si percepiscono e come si vorrebbero percepire rimane una delle questioni più difficili. In secondo luogo, ciò che un adolescente con disturbi può avvertire come problematico sono la comprensione e gestione delle proprie trasformazioni fisiche ed emozionali che esperisce. Come tutti gli altri, si ritroverà alle prese con i propri cambiamenti ormonali ed avvertirà maggiormente l’impulso sessuale; per alcuni potrà trattarsi di una sessualità infantile, altri però possono tendere ad una sessualità matura. Soprattutto in quest’ultimo caso è possibile (o meglio probabile) che si vivranno anche degli innamoramenti, i quali possono essere più 11 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 o meno compresi, più o meno corrisposti, più o meno consentiti. Ciò che può essere vissuto come un problema da parte di questi ragazzi probabilmente non è tanto l’eventuale incapacità di realizzare la propria sessualità, quanto piuttosto la difficoltà nell’assumere quei comportamenti stereotipati che permettono l’ingresso al “mondo della sessualità matura”(2). Mi permetto di aggiungere che il vero problema non è tanto nella sessualità di queste persone, poiché la sessualità, in quanto necessità fisiologica, non può di certo essere di per sé un problema. Un grosso limite è rintracciabile piuttosto nell’eccessiva rigidità degli schemi sessuali consentiti e immaginati dal sistema “normale”, e in questo senso si tratta di una tematica che riguarda il contesto piuttosto che le singole persone. Emerge da sé come l’intervento musicoterapico permetta di sondare e lavorare sulla percezione psico-fisica del ragazzo. Inoltre offre un canale di espressione capace di comunicare e condividere l’enorme carico di tensioni emotive che stanno vivendo e promuove nuovi stimoli con cui poter affrontare i compiti che sono in qualche modo richiesti a persone con questi disturbi. Nel setting erano presenti diverse patologie e sindromi, delle quali abbiamo avuto informazioni a livello informale, mediante un colloquio che ci siamo proposte di fare con gli educatori dei ragazzi. In generale, come abbiamo già accennato, i disturbi con cui ci siamo confrontate sono stati: un caso di sindrome di Landau-Kleffner; due sindromi di Down di cui una con tratti autistici; ritardi mentali di gravità lieve, _________________________________________________________ 2. Mi permetto di aggiungere che il vero problema non è tanto nella sessualità di queste persone, poiché la sessualità, in quanto necessità fisiologica, non può di certo essere di per sé un problema. Un grosso limite è rintracciabile piuttosto nell’eccessiva rigidità degli schemi sessuali consentiti e immaginati dal sistema “normale”. Molto si dovrebbe dire sull’emancipazione sessuale di tutte quelle persone che non rientrano nella categoria dei “normali”. È sbalorditivo il fatto che ci si mobiliti per la promozione della salute omettendo di fatto un aspetto di fondamentale importanza come quello della sessualità. Una delle cause necessarie (ma non sufficiente) è rintracciabile a mio avviso in una concezione stereotipata della sessualità; si tratta però di un problema molto complesso e di ampia portata, non è certo questa la sede in cui deve essere approfondito. 12 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 media e grave, alcuni dei quali con compromissione significativa del comportamento e/o con tratti autistici; disturbi generalizzati dello sviluppo; autismo; un caso di psicosi. Oltre alla diversità di problematiche, il gruppo si componeva anche di diverse età, il che è molto sentito in adolescenza. Inizialmente sembravamo ognuno un mondo a parte ed era necessario capire qual era il punto d’incontro delle nostre orbitazioni. 3. Accoglienza e condivisione musicale Il primo incontro è stato memorabile perché ha spiazzato qualsiasi aspettativa. Avevamo disposto delle sedie in cerchio con tutti gli strumenti al centro, impegnandoci di creare un ambiente quanto più accogliente possibile con ciò che avevamo a disposizione. L’unico elemento nel setting che risultava fuori dalla nostra struttura circolare era il computer portatile con le casse attaccato alla presa elettrica e messo sopra il tavolo più lontano dalla porta. Aspettiamo i ragazzi con dei sorrisi a 180° e armate di buoni propositi. Arrivano, li salutiamo, entrano: destrutturazione immediata del setting. Chi si mette per terra, chi si getta a perlustrare gli strumenti, chi decide di stanziarsi nella zona-computer e, colpo di scena, chi si mette vicino alla porta con il braccio sugli occhi e decide bene di rimanerci per tutto il setting. Nel giro di pochi minuti si erano creati due “focolari”, quello centrale rispetto alla stanza e quello vicino la porta (che nel nostro gergo di lavoro sarebbe diventato “il gruppo della porta”). Quello centrale si muoveva in due centri, verso il computer e verso le sedie. Ancora non sapevamo che questa configurazione si sarebbe mantenuta per tutto il nostro laboratorio, che avrebbe avuto trasformazioni significative e che avremmo visto il passaggio di quasi tutti in tutte le aree del setting. Negli incontri successivi abbiamo disposto il setting in modo da rendere comunicanti tra loro questi focolari delineatisi, e la struttura circolare iniziale è diventata semicircolare. La presenza di tutti gli strumenti è stato per noi un modo per sondare le 13 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 persone che avevamo davanti, le sonorità che producevano e che cercavano, i loro ritmi, la loro armonia o disarmonia, il loro ascolto di se stessi e degli altri. Ho avuto modo di appurare, come vedremo anche più avanti, come il ritmo e l’armonia prodotta da un gruppo possano essere intesi direttamente proporzionale alla quantità di ordine presente nel sistema. Tuttavia, la scelta di mettere a disposizione tutti gli strumenti non posso considerarla felice, perchè ha scatenato un’energia caotica che sembrava si alimentasse mano a mano che le persone suonavano. Abbiamo dovuto lavorare sul contenimento di quella carica prima di poter procedere con il nostro intervento e questo passaggio è stato ripetuto spesso e in diverse sedute, come se questa energia, una volta innescata, aveva bisogno di espandersi come una fiamma sul legno secco. Tuttavia abbiamo avuto modo di capire la necessità di lavorare sull’ascolto e sul silenzio, e successivamente abbiamo gestito diversamente gli strumenti. Ho avuto modo di vedere come l’accoglienza e il primo incontro possa dare la prima impronta a tutto il percorso musicoterapico che si intraprende. Nel corso del tempo, è stato introdotto una sorta di rituale per cui ad ogni inizio-seduta si cantava il nome di ognuno sopra un giro d’accordi in maggiore fatto sia con la chitarra che con la tastiera. Questa idea è venuta a Francesca nel corso di un incontro, quando doveva richiamare l’attenzione, ed abbiamo osservato l’effetto benefico che aveva sui ragazzi il sentire cantato il proprio nome. Ognuno diventava a turno il punto d’attenzione nel gruppo, e l’armonia in maggiore rendeva molto solare l’atmosfera. Abbiamo quindi deciso di iniziare ogni seduta in questo modo. L’uso dei riproduttori di suoni in musicoterapia è spesso sconsigliato perché sia il terapeuta che il paziente rimangono passivi rispetto al processo sonoro. Benezon nota come l’uso della musica registrata sia frequente soprattutto quando la relazione con il paziente genera ansia o angoscia, come ad esempio nei casi in stato di coma(3). _________________________________________________________________ 3. Benenzon, La nuova musicoterapia, il Minotauro, 2006, Roma, p.35. 14 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Non posso certo escludere l’ipotesi per cui, soprattutto da parte mia, fosse presente uno stato d’ansia superiore a quanto la situazione richiedeva; tuttavia ritengo che l’uso del computer in quel contesto sia stata un’ottima scelta. Abbiamo chiesto ad ognuno di portare i propri cd, così da poter conoscere e condividere ciò che ognuno ama ascoltare (anche se in realtà all’inizio hanno proposto le canzoni e noi ne abbiamo fatto un cd). Questo momento è diventato una fase ben strutturata nei nostri incontri. Se all’inizio ognuno proponeva la propria musica per una gratificazione personale, nel corso delle nostre sedute si è potuto condividere insieme i gusti musicali di ognuno e spesso è successo di ballare e cantare sulle musiche proposte. Anche in queste situazioni si sono verificati dei bei colpi di scena. Ad esempio un ragazzo che non parlava quasi mai e definito come affitto da gravi disturbi di comunicazione e di espressione, portava sempre gli auricolari in questi laboratori; ritengo che con questo suo gesto volesse manifestare la sua passione per la musica piuttosto che una dichiarazione di isolamento. Non era molto propenso a togliersi le cuffie, quando finalmente ha accettato di mettere la sua pen-drive piena di musica nel computer. Deve essere stato molto bello per lui sentire che la musica che prima risuonava solo sulle sue orecchie si diffondeva ora su tutta la stanza. Tutte noi ci chiedevamo che cosa potesse ascoltare, e dalle casse sono uscite canzoni quali “nessuno mi può giudicare” e canzoni di Andrea Bocelli. Tutti hanno apprezzato quella musica e si avvertiva un clima di festa. Ho potuto osservare come un gesto, seppur piccolo, riesca a riversare agli altri l’intensità emotiva che ha delineato quel gesto stesso, senza bisogno di alcuna spiegazione. Già dal primo incontro alcune persone ci avevano dimostrato di essere delle persone adulte e mature, e come tali volevano essere trattate, a differenza di altre che invece chiedevano un accudimento più materno. Un ragazzo in particolare aveva manifestato distintamente questa caratteristica, e avevamo deciso di proporgli già dal secondo incontro l’affidamento della gestione del computer. In questo modo, seppure si mostrava una persona molto riservata, avrebbe avuto una sua modalità con cui poter condividere quel momento. Più 15 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 tardi avremmo saputo che la sua passione principale è l’elettronica e che sono stati individuati in lui problemi relazionali e difficoltà con ciò che è nuovo. Questo ragazzo ha accettato e apprezzato la consegna, e nel giro di poco tempo ha condiviso anche lui con gli altri la propria musica, arricchendo l’ISO di gruppo perché proponeva dei generi diversi rispetto a quelli presenti. Inizialmente non rispondeva ai nostri inviti musicali e, sebbene la proposta gli venisse sempre fatta, non eravamo mai insistenti e gli lasciavamo massima autonomia. Per quanto riguarda l’uso comportamentale degli strumenti, si può dire che il computer rappresentasse per questo ragazzo un oggetto difensivo(4), poiché gli permetteva di occultare le proprie pulsioni interne. La nostra risposta a questo comportamento è stata quella di assecondare questo meccanismo e forse ad accentuarlo, perché insistevamo sul fatto che lui doveva gestire il computer. Come una specie di rimedio omeopatico (o mediante l’infallibile tecnica dello sfiancamento), forse stanco di stare su siffatto computer, un bel giorno ha deciso di accettare l’invito e di esordire con la chitarra per la prima volta in tutta la sua vita. Inizialmente questo momento di ascolto era un modo per conoscerci reciprocamente; progressivamente è diventato prima un momento di scambio musicale e poi un momento di condivisione effettiva della musica. Non tutti hanno portato la propria musica, ma sicuramente tutti hanno condiviso quella che era presente in quel momento. Questa parte del laboratorio riservato alla condivisione musicale è stato anche un modo per rafforzare il nostro intento di promuovere l’ascolto reciproco, fornendo l’ossatura dell’ISO di gruppo che man mano si delineava e di cui sarà opportuno spendere alcune parole nel paragrafo successivo. 4. Il nostro ISO di gruppo La nostra identità sonora come gruppo si è formata incontro dopo _________________________________________________________________ 4. Ibidem, pp. 35-38. 16 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 incontro, ed è difficile poterla definire in modo univoco. È possibile, in grandi linee, individuare tre livelli in cui si è sviluppato il nostro ISO, anche se in realtà si tratta di processi interdipendenti e difficilmente scindibili l’uno dall’altro. In primo luogo si sono delineati dei gusti musicali ben precisi, con strutture ritmiche, armoniche e melodiche di riferimento. Nella formazione di questo aspetto ha avuto un ruolo fondamentale l’influenza dell’ISO culturale. In secondo luogo, si sono esplorate e create delle sonorità che sono state spesso associate a immagini e a movimenti, e quindi a sensazioni sinestetiche e cinestetiche. Infine, come terzo punto, la presenza stessa di ognuno di noi apportava quella peculiarità di movimenti e di sonorità che con il tempo ha formato e contraddistinto la nostra identità sonora collettiva. In questi ultimi due processi sono rintracciabili influenze sia dell’ISO universale che di quello gestaltico. Per quanto riguarda i gusti musicali di riferimento del nostro ISO, i generi principali sono stati il pop, il rock leggero e l’hip-hop hardcore. Pertanto si è lavorato su delle composizioni musicali di struttura strofica prevalentemente sviluppate in 4/4 e in 2/4. L’armonia di queste canzoni si basa sul sistema tonale e la melodia, come del resto tutta la musica occidentale, è fondata sul sistema temperato. Alcuni brani maggiormente condivisi sono stati: Più bella cosa non c’è di Eros Ramazzotti, Senza Parole e Alba chiara di Vasco Rossi, Bella e Ragazzo fortunato di Jovanotti, Di sole e d’azzurro di Giorgia, Invece no di Laura Pausini, La luna bussò di Mia Martini, Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli, alcune canzoni della colonna sonora di The fast and furious; sono seguite Walk this way dei RUN DMC in collaborazione con gli Areosmith, Con te partirò di Andrea Bocelli, ed altre canzoni di Gigi D’Alessio e Hannah Montana. Si è lavorato anche con musica di genere diverso e misto, ascoltando alcune canzoni dei Bollywood Brass Band e di Lhasa. Questi pezzi hanno perturbato lievemente il livello d’ascolto ed hanno permesso di introdurre nuovi elementi sonori; tuttavia il genere proposto da questi musicisti non può essere inteso come parte costitutiva dell’ISO di gruppo, poiché è stato presentato e 17 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 accolto in modo marginale rispetto agli altri generi suddetti. Per quanto riguarda invece le sonorità che si sono sviluppate nel corso del laboratorio, sono emersi degli elementi meno schematizzabili rispetto ai parametri musicali usuali. Il movimento sonoro più frequente nel nostro ISO può essere individuato nel battito, cioè nel gesto di percuotere direttamente con i piedi e con le mani o mediante l’uso di un oggetto (come ad esempio una bacchetta) un elemento che poteva essere uno strumento a percussione, un tasto del pianoforte, uno strumento non convenzionale o il proprio corpo. Spesso la successione di questi battiti ha prodotto andamenti molto irregolari per quanto riguarda sia il ritmo che l’intensità del suono. Questa irregolarità ha rappresentato un elemento molto rilevante per la nostra identità sonora e la si può intendere come una sorta di costante a cui il gruppo tendeva spontaneamente. Se penso alla soddisfazione con cui i ragazzi si immergevano in questo caos e alla sicurezza con cui suonavano, tuttora mi domando se in realtà sia stata io a non saper ascoltare ciò che per alcuni sarebbe potuta essere la nuova avanguardia musicale (se così fosse, non vi preoccupate, hanno avuto modo di esprimersi). Tuttavia si presentavano dei momenti estremamente regolari, scanditi da un ferreo 4/4 con andamenti che sembravano designare delle vere e proprie melodie. Inoltre, prendendo come tempo di riferimento i 2/4 del battito cardiaco umano o un 4/4, diventava quasi spontanea la coordinazione di tutte le persone che stavano percuotendo uno strumento o battevano le mani sul proprio corpo. Ho avuto modo di osservare come nel semplice gesto del battere si canalizzino molte tensioni e cariche emotive: per alcuni è stato fonte di piacere e addirittura l’unico modo per interagire, mentre altri hanno avuto un approccio più problematico a questo movimento. Una ragazza aveva deciso di partecipare al laboratorio di musicoterapia malgrado avesse dichiarato il suo terrore per i tamburi. È riuscita a suonare un sonaglio associando il suono dei piattini a quello dell’acqua, e muovendo lo strumento come se fosse un setaccio. Dal ritmo binario del 2/4 e dal suono dell’acqua sono rintracciabili le influenze dell’ISO universale. Infatti questi elementi sono ritenuti universali in quanto si 18 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 originano già dal rapporto feto-madre. Per Benenzon il ritmo binario è la cadenza principale che penetra nel feto perché è collegato al battito cardiaco della madre, che il bambino percepisce e da cui dipendono la sua ossigenazione, il suo nutrimento e la sua termoregolazione(5). Pertanto questo ritmo è strettamente collegato alla soddisfazione o meno del piccolo ed è un ritmo la cui variazione segnala la vita o la morte del feto stesso. Infatti, in ambito musicoterapico, questo ritmo provoca degli stati di regressione riconducibili all’epoca fetale. Anche l’acqua per Benenzon è strettamente connessa alle sensazioni cenestesiche che il feto prova quando è immerso nel liquido amniotico del ventre della madre e per questo è considerato tra gli elementi più ricchi di stimoli ai fini della terapia. Un aspetto di fondamentale importanza è stato l’uso della voce. Anch’essa è riconducibile sia all’ISO universale che a quello gestaltico ed è forse per questo che per comunicare con alcuni ragazzi è stato necessario modulare la propria voce come una nenia materna. Una ragazza in particolare si mostrava particolarmente sensibile sia al battito che alla voce. Questa ragazza, seppure abbia delle movenze molto morbide, tendeva sempre ad assumere dei comportamenti aggressivi verso gli oggetti, verso gli altri e verso se stessa. L’unico modo con cui riuscivamo a contenerla (approssimativamente) era il parlarle con voce dolce e con il canto. Per comunicare con lei era di fondamentale importanza il battere qualcosa (lei aveva il suo bicchiere blu con un cucchiaino giallo che lo suonava come un sonaglio) e riuscivamo ad agganciarla quasi sempre con il suono delle battito delle mani. Ho avuto modo di osservare come il canto sia in grado di riequilibrare lo stato psico-fisico non solo della singola persona, ma anche del gruppo stesso. Tra le sonorità che hanno costituito il nostro ISO non vanno tralasciati gli accordi con la chitarra e il suono della tastiera. Questi due strumenti hanno accompagnato tutto il laboratorio ed hanno permesso di introdurre la sensazione dell’armonia, ovvero la percezione di più suoni sovrapposti in modo consonante. _________________________________________________________________ 5. Ibidem, si veda il primo ed il secondo capitolo. 19 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Un ragazzo in particolare, che suonava già il pianoforte e che è arrivato più tardi rispetto all’inizio del laboratorio, ha arricchito l’ISO di gruppo suonando molti pezzi con questo strumento e apportando nuovi stimoli. Accanto a queste sonorità possono essere ricordate altre che hanno invece perturbato l’ISO di gruppo, quali ad esempio il suono del flauto dolce, che imponeva il silenzio per poter essere ascoltato, il suono del clarinetto, con cui sono state proposte volutamente delle melodie più orientaleggianti e il suono del Kazù, che destava sempre un certo stupore ed entusiasmo. Infine, il nostro ISO di gruppo era contraddistinto prevalentemente della presenza stessa di ogni individuo. Ognuno, con i propri tratti tipici ed i propri andamenti, apportavano una coloritura che rendeva il nostro gruppo unico in quanto tale. Alcune delle caratteristiche che hanno contraddistinto la nostra identità sono state, ad esempio, i balli e i salti periodici del “gruppo della porta”, il fragore degli oggetti lanciati da A., i mugolii vocali che sostituivano le parole di D., il La minore e il Mi minore di L. alla chitarra, la dinamica crescente ed esplosiva che accompagnava tutte le azioni e le parole di M., il lieve rumore della sedie che C. faceva scivolare verso il tavolo anziché verso il focolare del gruppo, gli schiamazzi delle ragazze, il 4/4 alle congas di D., e quant’altro. Infine la voce di ognuno è stato ciò che ha reso ancora più unica l’identità del nostro gruppo. 5. LE PROPOSTE DI GRUPPO Nel corso del laboratorio sono state presentate molte proposte che riguardavano il gruppo. Prima di addentrarmi nel merito dell’argomento è necessario ribadire che in questo caso con la parola “gruppo” non intendo uno stato di cose effettivo per cui è dato un insieme più o meno organizzato di persone, quanto piuttosto la ricerca stessa di questo stato di cose. Sottolineo questa sfumatura semantica perché se da una parte la presenza di ognuno è stata 20 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 parte integrante del sistema-setting, dall’altra la partecipazione attiva alle consegne di laboratorio non era sempre costante da parte di tutto l’insieme delle persone. In sintesi le nostre “proposte di gruppo” si muovevano a diversi livelli di partecipazione, tutti di fondamentale importanza ma alcuni più difficilmente traducibili in linguaggio verbale. Può essere indicativa la constatazione per cui le proposte di gruppo più riuscite sono state quelle in cui si sono fusi i due focolari, che è accaduto non più di un paio di volte. Inizialmente queste proposte erano volte a far mettere in gioco e a dare a tutti la possibilità di sperimentarsi; successivamente ci siamo concentrate sulla necessità di ascoltare se stessi e gli altri, così da poter facilitare la modulazione dell’intensità della propria esecuzione e permettere il dialogo sonoro tra il gruppo. Nei primi incontri si è lavorato su due versanti, da una parte sul canto delle canzoni che i ragazzi stessi proponevano e dall’altra sull’uso degli strumenti. Progressivamente questi momenti si sono unificati ed il lavoro specificatamente canoro è stato approfondito dalla sezione delle ragazze. Per quanto riguarda il lavoro con gli strumenti, sono stati provati molti tentativi prima di riuscire a creare le condizioni necessarie per uno scambio musicale effettivo. Inizialmente abbiamo proposto dei giochi come la presentazione di ognuno con uno strumento musicale a cui sarebbe seguito il passaggio di mano in mano degli strumenti. In questo gioco i momenti in cui ci doveva essere il momento del passaggio degli strumenti e quello dell’esecuzione era scandito dall’accensione e spegnimento della musica riprodotta dal computer, mansione affidata ad L. L’esercizio che a mio avviso è stato cruciale per l’avvio di un effettivo scambio musicale è stato quello di far suonare a turno uno strumento in risposta al suono dello jambè, che batteva dei tempi in 2/4 o in 4/4. Sono state eseguite delle brevi botta - e - risposta a livello percussivo in cui ognuno ha interagito con il proprio strumento e con il proprio interlocutore musicale. L’aspetto importante di questo esercizio è che tutti ascoltavano quanto i due esecutori stavano facendo ed ognuno aspettava il proprio turno prima di suonare. Con questa esercitazione è stato anche possibile sondare con maggiore precisione 21 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 le sonorità di ognuno e delinearne le caratteristiche ed i relativi bisogni. Per quanto riguarda me personalmente, queste esecuzioni hanno indirizzato un discorso sonoro con ciascun ragazzo che è stato portato avanti per tutto il tirocinio, seppur in modo forse discontinuo. Nell’ultimo incontro, come vedremo più avanti, abbiamo provato a proporre un breve gioco d’improvvisazione musicale tra coppie di ragazzi, a cui è stata affidata quindi sia la proposta che la risposta della frase musicale, in riferimento ad una pulsazione regolare eseguita sullo jambè. Tra gli strumenti a disposizione, oltre a quelli convenzionali, c’erano anche quelli da noi costruiti e che avevamo consegnato ed esplorato nella mattinata stessa. L’intento era quello di promuovere l’ascolto reciproco e di verificare il livello finora raggiunto. Per quanto mi riguarda, non posso dire che le mie aspettative siano state realizzate; tuttavia con questo gioco i ragazzi mettevano molta attenzione a ciò che stavano facendo e cercavano di armonizzarsi alla pulsazione di riferimento. Posso dire insomma che sebbene non si sia verificato un vero e proprio ascolto reciproco, è stato esperito l’ascolto di se stessi. Accanto a questi esercizi strumentali, ci siamo poi concentrate sulla sperimentazione dei suoni del proprio corpo. L’intento era quello di fornire nuovi stimoli per la comprensione e la consapevolezza della propria percezione psicofisica. L’elemento nuovo di questa fase di laboratorio è stato il silenzio. Infatti l’uso della musica registrata era riservato solo alla prima parte dell’incontro per l’ascolto delle canzoni che di volta in volta i ragazzi portavano, e gli strumenti venivano accantonati e ripresi successivamente. Io personalmente ho anche proposto degli esercizi di rilassamento prima di cominciare questa sezione, ma non hanno avuto un buon esito (come molte altre proposte). Abbiamo lavorato dai piedi fino alla testa, sui suoni e sui ritmi riproducibili battendo o sfregando gli arti. Ci siamo concentrati sul nostro rispettivo battito cardiaco, che è stato sentito solo verso la fine dei nostri incontri. Abbiamo analizzato i suoni che la nostra testa emette più o meno involontariamente, come gli starnuti o gli sbadigli. Da questi esercizi sono nate delle combinazioni che si sono riprodotte più volte 22 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 anche negli incontri seguenti, accompagnando alcune canzoni nei momenti della condivisione musicale, come ad esempio battere due volte le mani sulle cosce ed una sui palmi. Anche in queste esplorazioni si procedeva più o meno a turni e tutti erano invitati a proporre un suono. La proposta successiva di questo percorso è stata quella di introdurre gli strumenti con cui simulare i suoni corporei finora esplorati. Abbiamo intrapreso questo passaggio riproponendo l’ascolto del proprio cuore accompagnati da un giro d’accordi in minore eseguito alla tastiera. Mentre la modalità degli accordi presentati per l’accoglienza era rigorosamente in maggiore, abbiamo scelto qui la modalità in minore per promuovere un approccio più introspettivo e per permettere di arrivare con più facilità nella sfera più intima ed emotiva. Sebbene le sensazioni prodotte dalla musica siano molto soggettive, ci siamo avvalse dei parametri psico-musicali dell’ISO culturale europeo. Dopo questo ascolto ognuno ha scelto uno strumento con cui simulare il proprio corpo ed è stata fatta una prima turnazione in cui ciascuno ha eseguito questa consegna. A questo punto è stato chiesto di associare il proprio suonare a qualcosa di fantasia che fosse stato consono ad una storia, con l’intento di sonorizzare una narrazione. Chi aveva preso l’albero della pioggia ha deciso di suonare appunto la pioggia; chi aveva preso i bastoni ha rappresentato musicalmente una camminata; chi percuoteva i sonagli di vimini ha designato un serpente a sonaglio; con la chitarra è stato espresso il volare; con il sonaglio a piattini è stato rappresentato un lago; con una bottiglia d’acqua è stato rappresentato un ruscello; con il kazù è stato rappresentato un gufo e così via. In grandi linee la trama della storia era già stata preparata, e la tematica principale sarebbe dovuta essere l’amore, la sua bellezza e le sue difficoltà e la trasformazione. La storia che è emersa è questa: “C’era una volta Pierfy, un ragazzo che non poteva parlare e che un giorno si innamorò. Non sapeva come fare per poter dire del suo amore e in un giorno di pioggia (suono), pensieroso, si mise a camminare (suono). Riusciva a sentire le cicale (suono) e incontrò un ruscello (suono) ed un lago (suono); camminando 23 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 ancora sentì anche un gufo (suono) e vide un serpente a sonaglio (suono). Malgrado tutto era ancora molto triste, allora chiuse gli occhi e immaginò di volare via (suono). Gli sembrò di sentire il vento in faccia (suono). Quando tornò ad occhi aperti (era ancora un giorno di pioggia ecc…), sentì un esplosione morbida al cuore, e si chiese: “Come si può esprimere l’amore quando non si può parlare?”. A questo punto ognuno ha turno ha emesso un suono che potesse esprimere l’amore senza parlare. Una ragazza in particolare ha emesso grandi sospiri. La storia continua: “Pierfy sentì un’emanazione dal cuore, che saliva… saliva su fino alla laringe, poi verso la bocca e cominciò a cantare. In seguito Pierfy sarebbe divenuto un cantante, ma questa è un’altra storia”. Nell’ultimo incontro, in cui avevamo deciso di svolgere solo il lavoro di gruppo escludendo quello individuale, abbiamo approfittato del fatto che avevamo portato degli strumenti creati per agganciarci al concetto di trasformazione, per mostrare come ogni cosa si possa trasformare in qualcosa di diverso e come anche il rispettivo suono possa mutare in un altro. Abbiamo tentato di simulare con gli strumenti alcune atmosfere e alcuni ambienti, quali ad esempio un prato ed il mare. L’idea era quella di cercare delle sonorizzazioni che potessero essere funzionali alla storia che questa volta sarebbe dovuta essere improvvisata da tutti, senza prepararne una traccia. Non è stata una scelta felice, perché è risultato impossibile in quel momento inventare e suonare una storia. A ciò va aggiunto che la prima ora di questo incontro è stata elettrica, come spesso è accaduto, ed il setting si è ristabilizzato solo nella seconda ora. Comunque, la narrazione che ne è emersa è la seguente: “Un giorno due ragazzi, Francesca e Cicciobello, litigano con i genitori e scappano di casa, perché hanno deciso di sposarsi. Di fatto riescono a sposarsi e ad avere dei figli”. A questo punto si delineano due filoni narrativi, il primo vuole che i nostri sposi abbiano un solo figlio, per altri invece che ne abbiano ben quattro. “Il loro figlio/Uno dei quattro figli si ammala di varicella”. Qui la 24 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 contrapposizione tra le ormai ben strutturate scuole di pensiero si fa aspra: per alcuni questo figlio guarisce, per altri invece no, lasciando quindi intendere una morte certa. Non bisogna dimenticare che la storia non è stata narrata da tutti, ma solo da chi aveva più facilità nell’uso del linguaggio. Tuttavia, poiché tra i ragazzi si sono istaurate delle relazioni e delle modalità di comunicazione specifiche e poiché il tempo riservato a questa proposta sia stato piuttosto breve, penso che possa essere stato fonte stimoli anche per chi stesse ascoltando o comunque interagendo sul piano non verbale. Questa storia è indicativa perché mette a fuoco diversi nodi cruciali dell’adolescenza, come ad esempio il rapporto conflittuale con i genitori, la ricerca di autonomia rispetto alla propria famiglia, la ricerca dell’amore e di una figura di attaccamento nuova rispetto a quelle già esistenti. Poiché la storia è stata inventata da adolescenti con disturbi psichici e comportamentali, forse l’elemento della varicella mostra la presenza nel loro immaginario dell’idea di malattia che accompagna più o meno consapevolmente la loro vita. In tal senso l’adolescenza può rappresentare un momento delicato per queste persone proprio perché per alcuni si delinea con maggiore consapevolezza la propria identità rispetto ai propri coetanei, e si cerca una risposta del perché la propria vita differisce in alcuni aspetti da quella degli altri. Il lettore però non si deve rattristare, perché la storia è stata raccontata con un atteggiamento provocatorio atto a stupire chi la stava ascoltando, senza nessun sentimento di rassegnazione o di malinconia. Posso dire che nell’adolescenza, con o senza disturbi, sia implicito un approccio di sfida verso il mondo che a mio avviso è di fondamentale importanza. 6. LA RESTITUZIONE Come restituzione finale di tutti i nostri incontri abbiamo deciso di portare degli strumenti creati da noi, che avremmo utilizzato nel setting per le nostre 25 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 proposte, per poi lasciarli ai ragazzi come un ricordo con cui dirci addio (anche se in realtà alcuni nostri strumenti ci hanno salutato definitivamente già nella fase esplorativa). Ecco lo strumentario che avevo portato io: Uno strumento a corda, composto di elastici tesi attorno ad un sottovaso in plastica, il quale era inserito in un vaso più grande che fungeva da cassa di risonanza; un tubo di plastica con inserito nella sua estremità un imbuto con cui poter indirizzare la voce su un orecchio o sull’altro (possibilmente i propri); 2 Kazù costruiti con il tubo di cartone degli scottex e della carta igenica con una piccola fessura, con attaccato all’estremità uno strato di carta d’alluminio fissata con un elastico; una maracas realizzata con un vasetto di una crema per il viso con dentro del riso; una sorta di maracas che io ho chiamato “lo strumento di stagione”, composto da una scatola di cotton fioc con al suo interno i semi alati di acero; una sorta di nacchere costituite da due cucchiai di legno fissate con un elastico e con attaccato con un altro elastico un campanellino; un tamburo fatto con un vaso di plastica, la cui pelle era una tovaglia trasparente tirata con uno spago, il quale era agganciato ad un anello (un portachiavi) disposto sotto il vaso (questo strumento è durato circa una ventina di minuti nel setting); infine avevo fatto dei battenti con i bastoncini per gli spiedini, alla cui estremità avevo messo del cotone ricoperto con dello spago. Gli strumenti di Ingrid sono stati: uno strumento a percussione simile, composto da un tubo ricoperto di un velo verde alla cui estremità erano attaccati due sacchettini color avana con dentro delle conchiglie che si sarebbero colpiti reciprocamente nella roteazione dello strumento, il tutto decorato con dei nastrini; una maracas di forma allungata anche questa ricoperta di un velo verde; un tamburo fatto con una scatola di metallo e la cui pelle era di carta da pacco, con tanto di battente la cui estremità era composta da un nastro arrotolato; una maracas fatta da una bottiglia da bagno con all’interno dei pezzi di vetro colorati levigati dal mare. Gli strumenti di Francesca sono stati: un beauty-key per il suono della lampo; una collana per il suono dello sbattere delle perle; una lametta per le 26 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 unghie con una palettina da manicure per simulare il raschiatoio; due smalti per simulare i bastoni; un astuccio morbido di color arancione con dentro delle monetine per riprodurre un suono simile ad un sonaglio o ad una maracas; un foulard giallo per il rumore del vento; una bottiglia di tonico per il rumore dell’acqua; un tamburo fatto con un barattolo di latta; un souvenir sonoro fatto da un cd con degli elastici. Tutti i ragazzi sono rimasti entusiasti di questi oggetti ed ognuno ha esplorato e scelto uno o più strumenti. Solo un ragazzo, N., che quel giorno è stato molto irrequieto, non ha preso nessuno strumento e si è limitato a battere due colpi di tamburo in risposta al mio invito (episodio non certo scontato); tuttavia durante il setting ha ballato e questo gesto è sempre stato fonte di gioia per il gruppo. Sono state inventate anche nuove modalità di suonare quegli strumenti, ad esempio il ragazzo M. suonava il tamburo tradizionale usando come battente la maracas fatta con il vaso della crema da viso, e l’esecuzione è stata molto interessante (poi lo stesso ragazzo ha deciso di ampliare il suo strumentario con una foto-quadro della scuola che si scarrozzava in giro insieme al resto degli strumenti e pareva essere divenuta la sua fonte d’ispirazione). È interessante notare come D., il ragazzo con sindrome di Landau-kleffner, abbia scelto il sacchettino delle monetine che muoveva e suonava tra le mani. Le mani hanno un ruolo fondamentale nella percezione e sembra che abbiano più ricettori sensoriali delle orecchie stesse; alcune pratiche psicofonetiche, ad esempio, si servono delle mani per l’ascolto delle vibrazioni della propria voce. Pertanto è facile capire come l’uso delle mani sia d’aiuto per chi presenta delle difficoltà uditive. Come restituzione, abbiamo fatto anche un riepilogo delle canzoni e dei percorsi che sono stati intrapresi durante tutti gli incontri. Francesca ha rielaborato una canzone dedicata specificatamente ai ragazzi e l’ha cantata accompagnandosi con la chitarra. Quel giorno stesso il ragazzo appassionato di elettronica ha portato il suo computer e ci ha mostrato alcune foto; non è un esagerazione dire che il valore di questo gesto è pari ad un pizzico di polvere 27 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 d’oro che può regalare un orefice. Ci siamo salutati e, all’uscita, ci siamo un po’ trattenute sul corridoio salutando anche gli educatori e scambiandoci gli ultimi saluti e abbracci con i ragazzi. 28 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Seconda parte Descrizioni, osservazioni e riflessioni interventi individuali 29 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 7. ORGANIZZAZIONE DELLE SESSIONI INDIVIDUALI I nostri incontri quasi da subito si sono divisi in due momenti principali: nella prima ora svolgevamo attività di gruppo, nella seconda suddividevamo i ragazzi in tre sottogruppi e svolgevamo dei lavori più specifici che ognuna di noi tirocinante portava avanti in autonomia (dopo aver condiviso l’ipotesi su ognuno). Inizialmente l’idea era quella di far ruotare di incontro in incontro questi sottogruppi, cosicché avremmo potuto lavorare con tutti. Con il passare del tempo abbiamo sentito la necessità di una maggiore continuità nei nostri rispettivi percorsi, e si sono delineate delle formazioni più rigide, in cui però è stato sempre possibile un margine di scambio in base alla contingenza. La distinzione tra i momenti individuali e quelli di gruppo non è mai stata molto netta, perché a causa della configurazione tripartitica/bipartitica del setting, spesso anche nella prima ora erano necessari degli interventi specifici volti ad occuparsi di quelle persone che non rispondevano troppo alle proposte di gruppo. Io personalmente per il primo mese circa, mi sono occupata specificatamente di una ragazza down che tendeva ad assumere comportamenti aggressivi. Questa ragazza ed un altro ragazzo partecipavano al laboratorio solo nella prima ora e ci salutavano quindi alle 10:30 di ogni lunedì. Oltre a lei, richiedevano un’attenzione più mirata il “gruppo della porta” e alcune persone che “svolazzavano” in giro per tutto il setting. Quest’ultime sono state tra gli elementi del setting che maggiormente hanno apportato caos nel sistema e che, paradossalmente, hanno permesso di riorganizzare in continuazione il setting favorendo lo scambio tra persone e tra focolari. Tendenzialmente la linea guida che abbiamo perseguito nella gestione dello spazio del setting era che ognuna di noi, durante il lavoro di gruppo, faceva riferimento sia al gruppo stesso che ad 30 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 una sezione in particolare, tenendo conto di tutte le variazioni del caso (che sono state tante). Per quanto riguarda noi come tirocinanti, abbiamo fatto un lavoro di coordinazione che sembravamo una squadra di pallavolo: quando una persona schiaccia (e quindi propone la consegna del giorno) le altre si mettono in posizione di difesa per coprire la parte scoperta ed evitare la risposta del muro. Sappiamo che in musicoterapia lo spazio e il tempo assumono dei connotati specifici e risultano essere dei processi dinamici con cui abbiamo dovuto confrontarci. In un setting lo spazio è definito da Benenzon (che cita a sua volta Fiorini) come quel campo apparentemente vuoto che comincia a formarsi a partire dall’interazione tra due o più persone; questo è formato a sua volta dallo spazio vincolare, che si forma tra due persone solo a partire dagli sforzi comunicativi di entrambi(6). In quest’ultimo confluiscono tutte le energie comunicative sia verbali che analogiche ed è in questo contesto che si sviluppa il cosiddetto processo terziario, processo in cui le energie si scaricano e si ricaricano simultaneamente, in cui il transfert ed il contro-transfert viaggiano da un estremo all’altro e in cui le esperienze passate e presenti e i desideri futuri coesistono insieme (transtemporalità)(7). Nel setting (come del resto per la fisica stessa) non è possibile intendere lo spazio ed il tempo come categorie a priori, ma si tratta di processi spazio-temporali dinamici non scindibili dal sistema nella sua interezza. Nella nostra coordinazione del setting abbiamo dovuto tener presente le dilatazioni e le contrazioni del sistema di cui facevamo parte e che designavano delle andature più o meno regolari. Nei suoni e nella musica sono rintracciabili dei meccanismi di rigenerazione del sistema necessari sia per il lavoro di gruppo che per quello individuale. Ora mi accingerò a trattare nello specifico il mio percorso portato avanti sia con i sottogruppi che individualmente. _________________________________________________________________ 6. Ibidem, p. 53. 7. Ibidem, p. 53. 31 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 8. IPOTESI ED OBIETTIVI Con ogni persona ho portato avanti degli obiettivi specifici e, quando ho lavorato con i sottogruppi, ho cercato di procedere cercando di armonizzare le reciproche e peculiari esecuzioni. Con alcuni è stato possibile portare avanti degli obiettivi in modo continuo, con altri si è trattato di brevi interventi durante il lavoro di gruppo. Le persone con cui ho lavorato con maggior continuità sono stati i ragazzi (alcuni dei quali non sono potuti sempre venire e che spesso preferivano la compagnia di alcune ragazze del laboratorio) e quindi soprattutto con D. e L., la ragazza S., la ragazza A., in misura minore la ragazza C. Le ipotesi condivise relative ai bisogni dei singoli ragazzi con cui ho lavorato più nello specifico, in breve, sono state le seguenti: per E. ci siamo proposte di trovare una modalità musicale che trasformasse le sue permormances in un’interazione effettiva con gli altri. Per DD., che riscontrava grosse difficoltà a comunicare malgrado la grossa carica emotiva che manifestava nei suoi comportamenti, era necessario trovare una modalità espressiva che non solo facilitasse l’espressione di se stesso, ma che scaricasse anche le tensioni accumulate. Per D. si trattava di “entrare” nel suo mondo e quindi, inizialmente, di stabilire un contatto. Per N., poiché avvenivano talvolta dei contatti, ma con l’intensità e la durata di un lampo, si trattava di mantenere quei brevi incontri e svilupparli. L. era necessario farlo mettere in gioco e perturbare un po’ il suo ordine, per introdurre dei nuovi canali espressivi che permettessero di esprimere le proprie cariche emotive. Per M., che dava l’impressione di non avere ben chiari i confini tra se 32 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 stesso e il mondo (a mio avviso un illuminato) sembrava necessario farlo concentrare su se stesso. Per quanto riguarda le ragazze le ipotesi sono state le seguenti: Per S. sembrava necessario riuscire a trovare delle modalità che permettessero di incanalare in modo equilibrato le proprie emozioni, così da facilitare anche la concentrazione e le relazioni con gli altri. Per C. si trattava di stabilire un contatto e di fornire degli stimoli sonori (dei quali era particolarmente appassionata) con cui mantenere alto il livello di attenzione verso il mondo esterno. Per A. le ipotesi sono state molteplici. Tra i tanti bisogni ipotizzabili, sicuramente il più urgente era il nostro, e cioè quello di trovare il modo di contenerla per poter salvaguardare l’incolumità del gruppo. Accanto a questo, che è stato prioritario, la formulazione ultima della necessità che abbiamo individuato può essere la seguente: trovare delle interazioni con l’ambiente che la gratificassero e che fossero fonte di piacere, così da rendere meno conflittuale il rapporto con gli altri e con se stessa. In generale, l’obiettivo di fondo di tutto il percorso era rivolto alla ricerca di un dialogo sonoro e ritmico sia con me che con gli altri ragazzi. Gli obiettivi iniziali che mi sono proposta erano centrati prevalentemente su esercitazioni ritmiche, che permettessero di trovare un tempo comune in cui ognuno avrebbe avuto la possibilità di interagire con gli altri da un punto di vista percussivo (o sonoro). Con le persone con cui era necessario stabilire un contatto, inizialmente ho cercato degli stimoli sonori che potessero destare interesse (sia strumentali, che vocali che ritmico-gestuali), con l’intento di riuscire a trovare un qualsiasi dialogo sonoro. In alcuni casi, soprattutto con S. e con M., si è lavorato molto sulla modulazione consapevole dell’intensità del suono, sia percussivo che vocale. All’aspetto prettamente ritmico, progressivamente è stato affiancata anche l’armonia, mediante l’uso di accordi, e alcuni aspetti più melodici, cioè legati alla successione di note. I motivi per cui sono stati introdotti questi nuovi 33 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 elementi è stato per accogliere i gusti e gli interessi che mano a mano si delineavano nei ragazzi e per ampliare le possibilità di interazione musicale. Si tratta ora di vedere più da vicino come sono stati portati avanti questi obiettivi. 9. PROGRAMMAZIONE E METODO Come già accennato, il lavoro rivolto alle singole persone è stato portato avanti quanto più possibile sia nelle attività rivolte al gruppo che nelle sessioni riservate ai sottogruppi, i quali sono stati formati in base alle affinità dell’intervento e delle persone stesse. Prima di entrare nel merito di tutto il percorso, sarò opportuno delineare in grandi linee come si è delineata la programmazione di questi momenti. Abbiamo intrapreso il percorso individuale a partire dal secondo incontro (16 febbraio 2009) e lo abbiamo portato avanti fino alla penultima seduta (6 aprile 2009). Soprattutto nei primi incontri i sottogruppi erano organizzati in maniera piuttosto aperta, quindi i ragazzi erano più liberi di spostarsi da un sottogruppo all’altro. L’idea era quella di far scegliere ai ragazzi come avvicinarsi alle attività proposte e da parte nostra c’era il desiderio di poter lavorare con tutti. Con alcuni ragazzi che rimanevano in disparte abbiamo scelto di farli avvicinare aspettando i propri tempi, per cui si trattava di un lavoro che doveva tener conto degli avvicinamenti e allontanamenti delle persone a cui era volto l’intervento. Per alcuni abbiamo ritenuto utile che sperimentassero a modo loro le relazioni con i propri coetanei, lasciandoli liberi di gestirsi nel setting come volevano. A ciò va aggiunto il fatto che si sono verificate sia delle assenze (sembrerebbe per motivi di salute) che nuove presenze che riorganizzavano continuamente la nostra programmazione del giorno. Tuttavia, man mano che il laboratorio procedeva, questa modalità si è rivelata inadeguata e dispersiva e abbiamo delineato, nei limiti del possibile, una struttura più rigida. Il 16 febbraio la mia sessione si è suddivisa in due sottogruppi, nella prima mezz’ora ho potuto lavorare con L., E. e DD. (detti i “ragazzi”), mentre la 34 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 seconda parte è stata riservata a D. e N (appartenenti al “gruppo della porta”). Con i primi mi sono concentrata sull’espressione ritmica, utilizzando le congas ed il jambè. Con i secondi ho utilizzato sempre le percussioni, ma prevalentemente l’attività era rivolta a cercare stimoli che potessero destare interesse. Il 23 febbraio e il 2 marzo, quindi, ho continuato a lavorare con i ragazzi e con il “gruppo della porta”, portando avanti il discorso dell’espressione ritmica. Il 2 marzo si è aggiunto un nuovo ragazzo, M., e anche con lui mi sono servita dell’ausilio delle percussioni, seppur concentrandomi inizialmente sulla modulazione dell’intensità del battito. Il 9 marzo sono stata sia con il gruppo dei ragazzi che solamente con D. In questa giornata è stata introdotta l’armonia mediante la chitarra e il lavoro è stato incentrato sulla coordinazione di tutte le esecuzioni. Con D. invece si è lavorato soprattutto sulla ricerca vera e propria di un dialogo sonoro mediante lo xilofono. Il 16 marzo ho lavorato dapprima con L., S., e M., poi con C., D., e N., il quale per la prima volta si è messo seduto nel “focolare” centrale alla stanza, accolto da Ingrid (con la quale è rimasto appoggiato e abbracciato) e che nella seconda ora si muoveva tra un semigruppo all’altro. Con i primi ho aggiunto l’elemento vocale accompagnato da un gioco con gli elastici, con i secondi abbiamo continuato a lavorare con lo xilofono e con una bottiglia d’acqua. Il 23 marzo ho continuato il percorso già delineato con S. e L. e, a distanza, con N. Il 30 marzo ho lavorato di fatto solo con D., perché S. ha deciso di tornare dalle ragazze e L. non aveva voglia di suonare. Il 6 aprile il sottogruppo è stato composto da S. e L., continuando il percorso intrapreso e aggiungendo l’ascolto del flauto dolce. Durante la prima ora della prima metà circa del laboratorio, e quindi durante il lavoro di gruppo, ho avuto modo di lavorare nello specifico soprattutto con A., 35 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 presente soltanto nella prima ora, con la quale sono stati provati vari tentativi di interazione. Inizialmente ci siamo accorte della sua sensibilità al canto e alla voce, ed è stata Francesca a calmarla cantandole una canzone (della colonna sonora di Aladino). Da qui è seguita tutta una ricerca sull’aspetto sonoro del linguaggio, modulando la voce in modo materno. Poiché era necessario un approccio molto fisico con lei, volto sia a contenerla che a tranquillizzarla, anche la gestualità assumeva molta importanza. Il percorso è stato prevalentemente incentrato sul corpo stesso e sulla nostra comunicazione corporale. Ad esempio, si era instaurata tra me e lei una postura specifica con cui forse ci prendevamo entrambe una pausa dalla nostra reciproca presenza: poiché lei si metteva sempre per terra con il suo tappetino (disposto al posto di una sedia nella curva del cerchio vicino alla porta e da cui lei andava poi sia al centro del cerchio che fuori dalla porta), io mi mettevo seduta per terra alle sue spalle (così da evitare gli sputi e gestire le tirate di capelli) e lei si appoggiava con la schiena al mio torace. Questa pratica accadeva nei momenti in cui lei diventava particolarmente irrequieta ed era volta a favorire le attività di gruppo, di cui lei stessa faceva parte. Da qui era possibile fornire degli stimoli sonori e ritmici o battendo le mani o accarezzandole le spalle e la testa a ritmo di musica. Una delle tecniche che ho tentato consisteva nel creare tutta una serie estemporanea di giochi ritmici mediante le nostre interazioni fisiche, cioè ripetendo e rispondendo ai suoi movimenti accentuando delle cadenze che potessero indicare un ritmo, una sorta di danza. A mio avviso nelle sue movenze era rintracciabile un andamento morbido e scandito e l’ho vista molte volte mimare con le braccia la musica che ascoltava. Ho cercato di lavorare molto su quello che credo sia stato il suo oggetto di incorporazione, ovvero un bicchiere di plastica con un cucchiaino che percuoteva e/o lanciava e che rappresentava per lei un elemento quasi imprescindibile per il suo benessere. Tuttavia, considerando il fatto che con questo bicchiere ha cominciato a rispondere agli stimoli sonori, probabilmente questo stesso oggetto si è trasformato in un oggetto intermediario, capace quindi di canalizzare le energie comunicative. Ho provato anche con uno strumento 36 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 percussivo creato con il giornale, così da lavorare sul ritmo senza il rischio di danneggiare qualcuno, ma non è stato funzionale. A mio avviso tra me e lei si era instaurata una relazione troppo carica, probabilmente a causa di errate ipotesi di analisi del bisogno e di una scarsa comprensione dei processi di transfert e contro-transfert. È stato necessario per me allentare il rapporto. “Lasciandola” (nei limiti del possibile) ho avuto modo di osservare la sua ricerca di stimoli e di interazioni con l’ambiente; un giorno si è seduta alla tastiera con Ingrid e, sebbene tra l’esplorazione di un tasto ed un altro volesse anche sperimentare il lancio della tastiera, non se ne voleva più andare. Nell’ultima seduta abbiamo finalmente suonato insieme il tamburo a quattro mani, ma il caso di A. rimane ancora pieno di problematiche non risolte. 10. PREMESSE EPISTEMOLOGICHE DELLA TECNICA La centralità dell’uso delle percussioni e/o quello di suonare in modo percussivo in queste sessioni è stata suggerita dall’idea per cui questa modalità permette un contatto immediato tra il proprio corpo e la produzione sonora. Prima di tutto il suono del battito è strettamente collegato alla pulsazione del cuore, e pertanto è una sonorità il cui andamento influenza l’equilibrio psicofisico dell’individuo. Infatti la tipologia di ritmo può influenzare lo stato d’animo delle persone con i movimenti ed i gesti connessi; mentre il tempo del ritmo può sia accelerare che diminuire il metabolismo corporeo. La frequenza ritmica è uno degli stimoli a cui il corpo risponde più istintivamente: basti pensare a quando capita di trovarci a picchiettare dei ritmi o ad ondeggiarci durante l’ascolto di una composizione musicale senza neanche accorgersene. Si potrebbe addirittura intendere il movimento stesso del corpo e la sua coordinazione tra le parti come se fosse scandito da una pulsazione (o più pulsazioni) di fondo, da cui si delineano andamenti e cadenze gestuali, facilmente rintracciabili in tutte le nostre azioni. È facile osservare, ad esempio, il tempo sostenuto che coordina e mantiene una semplice camminata. 37 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Il gesto ed il suono del battere permette di esprimere, canalizzare e scaricare le proprie dinamiche e pulsioni interne, di trasmetterle agli altri in un codice immediatamente riconoscibile e, infine, di riorganizzarle e modificarle a partire dal processo stesso di esecuzione. La sensibilità e l’empatia che le persone riscontrano nei ritmi sonori e gestuali rendono l’uso delle percussioni una valida modalità con cui raggiungere il tanto ambito dialogo musicale in un contesto musicoterapico. Inoltre, se è vero che ogni gesto corporeo è scandito da un andamento che può essere letto in chiave ritmico-musicale, allora si apre un orizzonte di azione con cui poter interagire con un'altra persona già a partire dai ritmi designati dalle movenze proprie e dell’altro. Per quanto riguarda il gruppo, sarebbe facilmente rintracciabile una frequenza ritmica che funga da terreno comune su cui interagire, così da facilitare gli scambi ad un livello psico-fisico tra gli individui stessi. A mio avviso, in un’ottica più generale, ogni entità si delinea in relazione all’altra e tutto è regolato attraverso tutto in un incessante movimento; l’identità stessa di ogni cosa, e quindi la stessa qualità della permanenza su cui si fonda l’idea di materia, è rintracciabile in connessioni dinamiche trasversali rispetto alle usuali (ovvero pre-relativistiche) categorie del tempo e dello spazio. Se si considera lo spazio-tempo e la sostanza come fattori interdipendenti e dinamici, anziché come strutture a priori, ne emerge come la natura delle cose possa essere rintracciata nel movimento stesso di queste relazioni di cui è tessuto l’universo. Si può dunque immaginare l’universo come una tela dinamica i cui “filamenti” si connettono a livello quadridimensionale e l’autogenerazione dell’universo stesso è data dal continuo movimento di queste tensioni di cui è tessuto. Nell’idea di movimento è implicito un andamento con cui questo può dispiegarsi e, in questi termini, il movimento può essere paragonato ad una sorta di danza immanente al reale che segue delle cadenze ritmiche che possono essere indagate. Se così fosse, allora la musica può rappresentare una vera e propria chiave di lettura epistemologica, e può essere intesa sia come l’espressione delle dinamiche e delle relazioni in continuo movimento che intrecciano l’universo, che uno 38 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 strumento con cui interagire in qualche modo con la danza stessa del divenire (da qui il connotato anche terapeutico della musica). Ovviamente questo approccio non deve essere ritenuto un punto d’arrivo, quanto piuttosto un’ipotesi di partenza ed una chiave di lettura preliminare con cui iniziare degli studi e delle ricerche. Il ritmo binario, ad esempio, è una cadenza ritmica che si ripropone a vari livelli nell’accadere e, da un punto di vista prettamente umano è alla base della vita, poiché è quello del battito cardiaco e della respirazione. Questa cadenza è di grande impatto non solo nell’apertura al dialogo sonoro, ma nella coordinazione del setting stesso. Se si intende quest’ultimo come un sistema di relazioni in movimento (in questi termini l’identità stessa della persona in quanto tale risulta essere un complesso dinamico di queste relazioni trasversali), si può ipotizzare che una coordinazione ritmica agevoli i “flussi ed i riflussi” di quelle tensioni in movimento di cui è composto il “sistema setting”. In quest’ottica risulterebbe chiaro perché l’organizzazione del setting sembra essere proporzionale alla coordinazione ritmica e musicale del gruppo. Un altro aspetto di fondamentale importanza nell’atto di suonare uno strumento a percussione è il contatto con le mani. Queste rappresentano nell’atto di percuotere il momento di contatto tra la carica che genera il colpo dell’esecutore e il momento in cui questa si scarica nello strumento. Le mani possono dunque essere intese come il ponte che accentua la relazione tra il mondo “interiore” e quello “esteriore” all’individuo. Poiché le mani rappresentano le parti del corpo a cui è affidato la sperimentazione e la manipolazione dell’ambiente esterno da parte dell’individuo, l’idea per cui esse siano il punto di maggior contatto tra il confine (probabilmente relativo) tra l’Io ed il non Io può essere applicata in generale, non solo per quanto riguarda l’uso delle percussioni. Infine, da un punto di vista prettamente sensoriale, il tatto partecipa a quel complesso olistico di sensazione con cui viene percepita il movimento e come tale è molto utile nelle tecniche che utilizzano procedimenti sinestetici. 39 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 11. STRUMENTI E SUONI Gli strumenti che ho utilizzato maggiormente, come abbiamo già visto, sono stati: jambè, congas, tamburo, xilofono e chitarra. Gli strumenti che invece ho usato come fonte di nuovi stimoli sonori sono stati: il kazù, il flauto dolce e il clarinetto. A questi vanno aggiunti degli strumenti creati che ho usato durante i vari tentativi volti a stabilire dei contatti laddove la comunicazione risultava più difficile: due bottiglie con acqua in cui su una era aggiunto anche del riso, dei lacci da mettere ai piedi o ai polsi con inseriti dei campanellini, un giornale con attaccati dei campanellini che sarebbe dovuto essere percosso da un battente anch’esso fatto da carta di giornale arrotolata (quest’ultimo è stato uno strumento particolarmente infelice). Infine, durante l’uso della voce, ho utilizzato degli elastici che avrebbero dovuto rappresentare tatticamente e visivamente la propria voce. Da un punto di vista analitico-proiettivo, gli strumenti ed il loro rispettivo uso (che può essere non convenzionale) possono rappresentare gli elementi femminei o mascolini e quindi si possono classificare in fetali, materni, paterni ed ermafroditi. Gli strumenti materni sono tutti quelli che si servono di una cassa di risonanza (in relazione alla cavità uterina) e che prevalentemente vengono usati direttamente con le mani (es. tamburi); gli strumenti paterni sono quelli che rievocano un elemento fallico sia nel modo di suonare, come ad esempio l’uso delle bacchette, che nella costituzione stessa degli strumenti, come gli strumenti a fiato; gli strumenti ermafroditi riescono invece a contemplare sia aspetti maschili che femminili, come il gong o il pianoforte(8). Questa classificazione, nei suoi presupposti, è stata molto marginale per me sia nelle lavoro svolto che nelle riflessioni postume. Tuttavia mi sono servita molto nella mia ricerca di sonorità da proporre dell’idea degli strumenti fetali. Questi rievocano le sensazioni _________________________________________________________________ 8. Ibidem, pp. 45-46. 40 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 percepibili dal feto immerso nel liquido amniotico e sono tutti quegli strumenti che producono sonorità “liquide” e fruscianti, come ad esempio gli strumenti centrati sul suono dell’acqua e le maracas. Gli strumenti da me costruiti nei primi incontri, volti a cercare un contatto con alcune persone, sono stati ispirati da questa categoria di strumenti. L’ipotesi era quella di proporre degli strumenti che si adeguassero nel loro uso alle movenze caratteristiche delle persone in questione (come ad esempio il laccio con i campanellini che avrei voluto legare alle caviglie di N. perché era solito togliersi le scarpe all’improvviso e mettersi a ballare) così da riprodurre sonoramente le loro cadenze. Inoltre la ricerca di un suono “fetale” era volto a stimolare una sensazione di accoglienza e di benessere. In realtà, come vedremo tra un po’, l’esito è stato diverso ed inaspettato. N. non ne ha voluto sapere di prendere questi laccetti che in compenso venivano accuratamente smontati da D., il quale si adoperava con strabiliante e inaspettata dedizione a questa operazione. Il suono dell’acqua ha avuto un interessante risonanza a livello di gruppo piuttosto che sul lavoro individuale. Lo strumento di giornale (fatto riutilizzando quei campanellini) era evitato rigorosamente da tutti, ed ho capito che anche in questi contesti l’occhio vuole la sua parte. Gli strumenti a fiato sono stati usati soprattutto per fornire nuovi impulsi sonori e sono stati di grande impatto. Spesso ho avuto l’impressione che quel suono in diretto contatto con il respiro umano riuscisse a dare respiro anche alle dinamiche del sistema-setting. Nel lavoro portato avanti in questo progetto mi sono concentrata soprattutto sull’aspetto ritmico, che lo ritengo un elemento imprescindibile a qualsiasi movimento e aspetto musicale, ma non certo perché lo ritengo più efficace o più importante rispetto alle altre tecniche. L’immediatezza delle percussioni mi ha permesso di interagire anche con le persone che partecipavano al laboratorio in modo meno attivo. Con altre persone è stato necessario e spontaneo introdurre elementi nuovi, e precisamente armonici e melodici. Posso sostenere che le sonorità degli strumenti a fiato, i fraseggi melodici ampi e lunghi ed il canto riescano a favorire in qualche modo l’equilibrio sia della persona che del gruppo. Probabilmente, sia che questi 41 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 vengano ascoltati che eseguiti, questi si connettono direttamente alla respirazione, favorendo l’ossigenazione del corpo. In molti casi queste modalità hanno rappresentato una vera e propria rigenerazione in quelle situazioni in cui le tensioni in gioco si stavano facendo “sature”. Inoltre l’uso di alcuni suoni risulta essere degenerativo, a differenza dei suoni che fanno riferimento ad un campo armonico e che si propagano in modo continuo nel tempo. Ad esempio, se si ascolta per molto tempo il suono dei campanellini, esso promuove da una parte la regressione a stati psico-fisici molto “arcaici”, dall’altra però abbassa notevolmente l’attenzione e la concentrazione. L’ascolto di un battito irregolare può promuovere uno stato molto confusionale anche se in alcuni casi può risultare il punto di partenza di un dialogo sonoro. Invece l’ascolto della consonanza e della ripetizione di un periodo musicale promuove e rigenera l’attenzione e la concentrazione. Interessante è notare come anche un suono ricco di armonici risulta essere rigenerativo per quanto riguarda il livello psico-fisico, come se la stratificazione dei suoni agissero in modo altrettanto stratificato nella persona. Il suono del Kazù ha rappresentato un suono curioso e che risvegliava molto interesse; inoltre è stato uno strumento che stava per rappresentare per alcune persone il punto di passaggio dall’espressione strumentale all’espressione vocale. In particolare risultava molto efficace e divertente per E. (lo imitavo con il kazù o ci urlavo dentro), ma per tutta una serie di contingenze non è stato possibile sviluppare questo passaggio. L’uso della voce risulta essere di fondamentale importanza sia a livello di gruppo che individualmente. Intanto è tra le modalità di trasmissioni di emozioni più potenti e cantare risulta essere generalmente piacevole. La voce è identificabile con la presenza stessa della persona ed è la manifestazione immediata e profonda dell’individuo. Nel gruppo l’uso della voce permette di far fluire in modo equilibrato le tensioni comunicative presenti nella situazione e stimola quella gestualità ritmica che abbiamo già trattato. Per quanto riguarda l’individuo, l’uso della voce mette in relazione tutte le parti del corpo. Il suono emesso dall’individuo è collegato al 42 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 respiro, alle risonanze nelle varie aree e a come il corpo gestisce queste aree, agli organi interni, alle tensioni psico-fisiche, alla propria percezione e molto altro. Un percorso di estremo interesse è portato avanti dalla psicofonia, che si concentra sulle connessioni profonde tra la voce e gli aspetti psicofisici dell’individuo e a cui mi sono ispirata per alcuni esercizi. Con alcune persone mi sono avvalsa dell’uso della voce con l’intento di far canalizzare l’attenzione su se stessi e sulla modulazione delle proprie cariche emotive. In questi esercizi, oltre alla voce, ho utilizzato degli elastici con cui rappresentare il suono emesso, tirandoli quando il suono era acuto e lasciandoli quando il suono diventava grave. L’uso delle mani, in questo caso, è stato di fondamentale importanza perché rappresentavano l’esteriorizzazione di una dinamica interna e non visibile. Io personalmente, con i sottogruppo, ho usato la voce per introdurre dei vocalizzi melodici durante le nostre esecuzioni. Le sonorità degli ultimi incontri sono state arricchite dagli accordi di la minore e di mi maggiore con la chitarra, che venivano eseguiti con andatura pacata, regolare e costante e da piccole guerre combattute a suon di xilofono. 12. TECNICHE E DIALOGO SONORO In ogni sessione con i semigruppi, ho cercato di portare avanti sia un lavoro specifico con ognuno che un suonare insieme volto ad uno scambio effettivo. Nel primo incontro L. non voleva suonare e partecipava attivamente solo durante l’uso del computer. Tuttavia non mostrava insofferenza e conteneva benissimo l’eventuale noia percepita e, malgrado non percuotesse nessuno strumento, era attento a quanto accadeva. Nel primo incontro E. aveva subito preso l’unica chitarra e, per agganciarlo, ho ritenuto necessario riservargli l’uso delle congas, strumento che spicca per dimensioni rispetto agli altri ed è definito talvolta come uno degli “strumento leader”. Tra DD. e me ci siamo passati più spesso i nostri rispettivi strumenti con molta fluidità. Sia E. che DD. avevano un 43 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 ferreo senso della pulsazione e l’intensità del suono era modulata e costante. Durante i giochi di gruppi della prima ora, ad E. è stato affidato il compito di battere il tempo sulle corde della chitarra. DD. sembrava particolarmente soddisfatto di usare le percussioni. Abbiamo sia suonato a turni di botta-erisposta che tutti insieme contemporaneamente. Ci siamo inoltre esercitati sul forte e sul piano. Con i ragazzi abbiamo continuato a lavorare su quest’onda anche nei brevi lavori successivi. Con N. e D. ho iniziato tutta una serie di avvicinamenti. D. era solito riportare a posto tutti gli oggetti che gli mettevamo davanti e sembrava invitarci a non prenderli più, prendendoci la mano ed allontanandoci. Con lui ho iniziato imitando il suono che era solito emettere (una “u” discendente), con cui sostituiva le parole. Lui ha risposto alla mia imitazione. La volta successiva abbiamo finalmente suonato lo xilofono (senza che lo portasse via) ed ha risposto ad un suono che gli avevo proposto. Intanto D. e N. intrattenevano delle comunicazioni tutte loro e sembrerebbe che ogni tanto si siano pure presi la mano. Ho visto spesso N. guardare fisso D., il quale spesso si metteva a saltare contento quando vedeva N. eseguiva dei movimenti accentuati, come ad esempio mettersi a ballare. Con N. si trattava di una relazione basata principalmente sugli sguardi e sulla reciproca esplorazione. Il 2 marzo gli ho portato i laccetti ma abbiamo già visto come è andato il tentativo. Ho provato ad utilizzare il tamburo, proponendo alcuni battiti e lui ha risposto a qualche stimolo ed ha riprodotto dei colpi, ma tutto in modo molto breve. Durante la prima ora, quando sarebbe dovuto essere il suo turno nell’attività che stavamo svolgendo, è stato chiamato dalle ragazze e lui è stato contento ed ha riso (durante tutti gli incontri sarà chiamato più volte ed LL, una ragazza, riuscirà a prendergli la mano e ad accompagnarlo alla sedia insieme agli altri). Il 9 marzo con i ragazzi è stato introdotta la chitarra, perché E. non voleva suonare le percussioni ma tornare alla chitarra. La volta precedente tra i ragazzi c’era stata una destabilizzazione: L. è entrato che era molto arrabbiato ed è restato tutto il tempo con le cuffie al termosifone (vicino alla porta), e DD. gli ha 44 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 fatto compagnia. Ad aggravare la faccenda per L. c’era il fatto che non avevamo portato il computer perché volevamo provare a stare senza musica registrata ed inoltre si era aggiunto un nuovo elemento, M., tra le persone più esplosive che io abbia mai conosciuto. La volta successiva invece la situazione si è capovolta ed abbiamo lavorato con un nuovo elemento. DD quel giorno durante la condivisione musicale ha finalmente messo anche la sua musica, momento in cui tra lui e SS si scambiavano lunghi abbracci. Nella seconda ora ha infatti preferito lavorare con le ragazze. Inizialmente io ero alle percussioni ed E. alla chitarra, ma muoveva solo la mano destra, senza l’uso della tastiera. Io non ho retto. A quel punto ci siamo organizzati diversamente: io premevo gli accordi e lui muoveva il plettro. Finalmente anche L. ha deciso di toccare uno strumento e di suonare la chitarra, ed io aspettavo questo momento da diverso tempo. Con D. è continuato il dialogo sonoro e gestuale con lo xilofono: la dinamica di fondo era che mi voleva prendere la bacchetta dalle mani e le voleva tutte lui. Ma ormai lo conoscevo e se voleva la guerra avrebbe avuto pane per i suoi denti. Così ho preceduto in questa guerra per le bacchette un po’ per imitazione e un po’ per botta-e-risposta. Lui stesso proponeva e c’era tutta una sperimentazione sonora sui suoni alti e gravi, sullo strusciare della bacchetta su tutti i tasti, ritmi di varia velocità e quant’altro. Ad un certo punto è schizzato via perché dalla tastiera elettrica è partita una base rock e si è messo a saltare entusiasta, poi abbiamo continuato. Durante i lavori di gruppo mi è capitato di giocare con D. con le mani: io gli porgo la mano, lui la prende, poi io la tiro verso di me e lui fa resistenza e la tira verso di sé. Il 16 marzo ho lavorato con S., L. e M. Con S. avevo già intrapreso nelle prime ore un percorso sulla modulazione dell’intensità del suono, cercando di imitarla in alcuni momenti per poter poi arrivare insieme a suonare molto piano. Abbiamo anche accarezzato la pelle del tamburo. L., alla chitarra, ha voluto imparare ad usare anche la mano sinistra e suonava l’accordo di la minore, accennando dei ritmi quali, ad esempio, un 4/4 in cui suonava tre colpi di semiminime e l’ultimo quarto era silente. Tutti e tre hanno suonato lo xilofono 45 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 (anche L., che ormai si era buttato) con l’intento di provare a coordinarci, ma non posso dire di aver raggiunto l’obiettivo. Con M. l’idea sarebbe stata quella di lavorare sulla concentrazione di se stessi, usando sia l’esercizio sull’elastico che il tamburo. Mi sarebbe piaciuto provare ad intonare con lui sulle note basse e sul contatto dei piedi a terra, perché dava l’idea stesse sempre a mezz’aria, ma non ci sono riuscita. Ho lavorato anche con C. e D., con una comparsa di N., il quale si è messo seduto vicino a noi ed ha preso l’acqua della bottiglia adibita a maracas acquatica. Anche qui ho lavorato con lo xilofono ed è stato molto interessante vedere come D. e C. si rispondevano. D. non l’ha mai cacciata, e C. adorava qualsiasi suono. La volta successiva avrei dovuto stare con L., S., e N. Con L. abbiamo eseguito anche l’accordo di mi maggiore, e mentre lui suonava io ho cantato dei vocalizzi ed è stato bello perché si avvertiva finalmente una consonanza di cui eravamo entrambi molto soddisfatti. Con S. ho introdotto l’esercizio della voce con l’elastico di cui ho già trattato e questa volta era più concentrata, ma c’è da aggiungere che le ho preso proprio le dita e muovevamo insieme le mani. N. si avvicinava e si allontanava, ed ho giocato con gli elastici (elemento nuovo), lanciandoglieli ogni tanto qualcuno. L’ultima novità che ho introdotto nel percorso è stato il flauto dolce, che è stato suonato un po’ da S. nel penultimo incontro. CONCLUSIONI Se fosse possibile, mi piacerebbe rivivere il laboratorio senza però ricoprire il ruolo del terapeuta. Ancor più mi piacerebbe osservare cosa sarebbe successo in quella stanza se gli incontri fossero stati autogestiti dai ragazzi stessi, senza nessuna figura di riferimento. Mi domando quale equilibrio si sarebbe trovato tra A. e gli altri e cosa avrebbero fatto tutti i ragazzi. Alcuni studiosi(10) ricordano come ogni evoluzione sia il frutto di una devianza riuscita, che dapprima disorganizza e riorganizza il sistemo stesso. Ogni evoluzione procede per mezzo di questa destabilizzazione. Il sistema risponde a questa devianza in base alla sua situazione interna, e può dapprima reprimerla 46 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 oppure può lasciarla espandere finché non diventa così potente da produrre una nuova normalità. Molte devianze, ad esempio, vengono spesso criminalizzate o patologizzate. Alcuni psichiatri(11) mettono in luce soprattutto la tendenza a patologizzare quegli gli elementi di cambiamento delle nuove soggettività, che si sono poi rivelate essere delle variabili adattive alle modificazioni dell’ambiente sociale-affettivo (come ad esempio la diffusione delle personalità borderline). Attualmente sono in corso molti mutamenti sociali che incrementano una percezione più “fluida” della propria personalità, come ad esempio la destrutturazione del nucleo familiare, le modalità lavorative sempre più precarie e lontane dalla produzione effettiva di qualcosa, l’introduzione di nuove forme di comunicazione che creano degli spazi virtuali con cui occorre confrontarsi. L’identità di una persona sembra non essere più determinata dal ruolo che si assume nel proprio contesto ma da altro. In questo senso non è da escludere l’ipotesi per cui le persone che si contraddistinguono per la loro “incapacità” di assumere ruoli pubblicamente riconosciuti, come appunto le persone con “disturbi e sindromi del comportamento”, non rappresentino quella devianza che permetterà una nuova evoluzione biologica e culturale dell’umanità. Inoltre, a mio avviso, non si può escludere il fatto che l’essere “non normali” non dipenda in parte anche da una scelta intima che un individuo fa con se stesso. D’altro canto, chi non ha a che fare con l’idiota che vive in noi? 10. Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione, tratto da Formare alla complessità. Autori vari, Carocci, Roma, 2003, p.102. 11. Arturo Casoni, articolo L’adolescente post-moderno: nuove identità e nuove forme di psicopatologie, tratto dal sito www.psycomedia.it. 47 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Ilia Montani - SST in Musicoterapia A.A. 2008/2009 Bibliografia Benenzon, La nuova musicoterapia, Il Minotauro, 2006, Roma. Formare alla complessità, antologia a cura di Galli, Cambi e Ceruti, Carocci, Roma, 2003. A. Bianchi e P. Di Giovanni, Psicologia in azione, Paravia, 2000, Torino. Materiale didattico Istituto MEME Scuola di Specializzazione Triennale in Musicoterapia. Sitografia www.psycomedia.it www.istituto-meme.it 48