IL MALE STRISCIANTE: LO STALKING Il

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IL MALE STRISCIANTE: LO STALKING Il
IL MALE STRISCIANTE: LO STALKING
Il numero oscuro di questo dilagante e al tempo stesso sottaciuto fenomeno che colpisce
innumerevoli persone è rappresentato dai reati consumati e mai denunciati. La letteratura
scientifica riferisce che nello stalking è molto elevato. Solo una parte delle molestie assillanti viene
infatti pubblicizzata da chi le subisce. Moltissime delle persone che ci circondano hanno avuto
probabilmente nella loro vita qualcuno che non ha “digerito” la separazione e che ha tentato di
riavvicinarsi, a volte anche in maniera insistente, molesta e sgradita. Ovviamente solo in un
numero ridotto di casi questi comportamenti sono stati percepiti come stalking. Su tale fenomeno
permane comunque una notevole confusione. In primo luogo sul genere degli stalker e delle
vittime. Nella maggior parte degli articoli divulgativi sul fenomeno stalking e purtroppo anche su
diversi articoli scientifici si tende ad esempio a connotare lo stalker come maschio e la vittima
come femmina. In realtà, coloro che possiedono anche solo un’infarinatura di cultura
criminologica e in genere sulle Scienze Sociali dovrebbero affermare che lo stalker si manifesta
statisticamente maggiormente come uomo e la vittima si manifesta statisticamente maggiormente
come donna. La cosa è ben diversa. La riluttanza a pubblicizzare il fatto da parte dei soggetti
maschi attraverso una denuncia, o la diversa interpretazione/significazione di un comportamento
(più o meno molesto) è ovviamente soggettiva e legata alla cultura di “genere”. È notorio che i
maschi vengono educati con principi culturali diversi rispetto alle femmine e spesso se si trovano
una ex fidanzata sotto casa non fanno denuncia ma si vantano del fatto con gli amici al bar.
Certamente, se l’azione di stalking si manifesta in presenza della nuova compagna magari si
vantano un po’ meno e magari attivano una delle poche azioni legali che si registrano promosse da
vittime di sesso maschile. I sociologi chiamano tutto questo “errore sistematico” che a un famoso
non eletto Presidente degli Stati Uniti costò molto caro avendo fatto un sondaggio elettorale sugli
elenchi telefonici e lasciando quindi fuori dalla sua valutazione tutti i poveri, senza telefono, che
poi hanno votato per l’altro candidato. Diversi modelli culturali influiscono quindi sul livello di
emersione di un fenomeno all’interno di generi diversi. È la ben conosciuta teoria di Sutherland del
numero oscuro in Criminologia ma altre Scienze sociali hanno costruito teorizzazioni simili. Si
ritiene che se lo stalking è legato alla difficoltà di rielaborazione del lutto e alla bassa autostima e
se tale difficoltà è equidistribuita tra maschi e femmine, evidentemente le vittime e gli autori di
stalking potrebbero essere in percentuale del 50% tra maschi e femmine. Ma certamente le
statistiche giudiziarie che riportano solo i reati scoperti (denunciati) e oggetto di procedimento
penale non potranno mai darci una risposta. Un questionario anonimo distribuito a un campione
randomizzato di popolazione forse potrebbe darci interessanti sorprese in merito. E in definitiva
bisognerebbe chiedersi: perché gli uomini dovrebbero essere più inclini delle donne alle molestie
assillanti e a non digerire l’abbandono? È un problema culturale?, biologico, personologico,
affettivo?, emotivo? Le donne sono forse più fredde e anaffettive e tollerano maggiormente
l’abbandono? Oppure reagiscono in maniera diversa? Un altro elemento di confusione è generato
a nostro avviso dal mettere sempre in correlazione le violenze domestiche e lo stalking: il rischio di
una confusione semantica, epistemologica, investigativa e clinica è assai frequente. Aiutare le
donne a trovare il coraggio di denunciare le violenze subite è una cosa utile e meritoria. Questo è
quello che fanno (o che dovrebbero fare) le Associazioni di volontariato che operano in questo
ambito, rappresentando un’interfaccia tra le vittime e le forze di polizia. Associare in modo lineare
però la violenza (fisica e psicologica) sulle donne al fenomeno stalking è a nostro avviso
pericolosissimo. La categorizzazione semantica, epistemologica, clinica e recentemente giuridica,
dello stalking serve proprio a definire una categoria interpretativa nuova che quella della violenza
(già normata da molto tempo) non riusciva a considerare efficacemente. Lo stalking “vero” (tipico)
è il tentativo di rientrare nella vita di una persona in modo sistematico, è il tentativo di costringere
la vittima a osservarlo/a attraverso presenze più o meno palesi, è il tentativo di fare in modo di
entrare nei pensieri della vittima, di far in modo che la vittima pensi a lui o a lei. I comportamenti
distruttivi, quelli finalizzati a far soffrire la vittima rappresentano forme di stalking “atipiche” e se
pur a volte presenti non costituiscono il focus psicologico di tutti i comportamento di stalking. Una
persona gretta e violenta per colpire un ex partner può agire comportamenti aggressivi, una
persona intelligente e pianificatrice può agire comportamenti non violenti e più sottili. Insomma,
un uomo violento è sicuramente uno stalker? Uno stalker è sicuramente un uomo violento? Lo
stalker è sicuramente un uomo? Riteniamo che la risposta a queste domande debba essere
supportata da una seria e articolata ricerca scientifica. Resta il fatto che chi si occupa di violenze
normalmente ha a che fare con vittime donne perché gli uomini sono fisicamente più robusti e
tendono a sfruttare questo vantaggio. Le donne evitano di tentare di picchiare gli uomini perché
altrimenti spesso soccomberebbero. Insomma le donne “prendono più botte” in famiglia o dal
partner rispetto agli uomini. Le donne attuano maggiormente comportamenti violenti di tipo
verbale, compatibili con le loro risorse. Gli uomini che vengono picchiati dalle donne infine,
normalmente si vergognano ad ammetterlo e non lo raccontano. Queste “banalità” e
semplificazioni di questioni assai complesse rappresentano però delle verità difficilmente negabili
e su cui probabilmente è necessaria un’attenta riflessione. E da queste riflessioni poniamo un altro
interrogativo. Le organizzazioni di volontariato e le strategie da loro attuate per prevenire e per
reprimere le forme di violenza tradizionale sulle vittime sono forse inadatte per prevenire e
combattere lo stalking? Coloro che da anni operano nel settore della prevenzione e della
repressione delle violenze forse sono impreparati per affrontare il problema stalking, molto più
subdolo e permeato di dimensioni psicologiche? E poi ci sono le guerre “di Genere”, maschi contro
femmine e femmine contro maschi, che si sperava fossero sopite alla fine degli anni 70’ e che
stanno invece ritrovando nuova linfa, alimentate da gruppi e associazioni varie e forse anche
alimentate da norme che consentono un ampio spazio di interpretazione. Personalmente credo
che la guerra tra maschi e femmine debba definitivamente finire perché in questo pianeta
abbiamo problemi molto gravi da affrontare (fame, pandemie, guerre etniche) che entro pochi
decenni ci potrebbero portare in una condizione difficile per tutti e che l’azione civile e politica
dovrebbe tendere a riunire e non a dividere. Ma forse vivo in un altro pianeta.. Stiamo inoltre
assistendo a una clinicizzazione esasperata del problema stalking. Non c’è tesi di laurea in area
psicologica che non contenga una parte predominante nell’elaborato dedicata alla psicopatologia
dello stalker. Non c’è letteratura scientifica recente in cui lo stalking non è correlato a disturbi di
personalità gravi. Ci si aspetta una specifica categorizzazione su uno dei prossimi DSM (Manuali
Diagnostici dei Disturbi Mentali) della “sindrome dell’ex partner molestatore assillante”. Questa
clinicizzazione è forse eccessiva. Se riteniamo che un substrato caratteriale (e non personologico)
possa favorire in alcuni soggetti comportamenti di stalking come una sorta di esacerbazione del
sintomo in condizioni in cui un fattore stressor (la separazione non gradita) si manifesta, potrei
anche essere d’accordo. Certamente due partner che entrambi non vedevano l’ora di togliersi dai
piedi l’altra parte della diade, scomoda e sgradita non attueranno comportamenti tendenti a un
recupero forzato. Ma se per stalking consideriamo una fase temporalmente ridotta (qualche
mese) in cui uno dei due ex partner, che è ancora affettivamente legato, tenta di convincere l’altro
di ricominciare la storia, anche attraverso comportamenti goffi, sinceramente sono un po
perplesso riguardo alla reale influenza dei piani caratteriali. Ma quindi il problema è: dove finisce il
comportamento passionale o le cosiddette “pene d’amore” e dove inizia lo stalking? Quante volte
un/una fidanzato/a lasciato/a deve farsi trovare sotto il balcone del/della ex per essere definito
uno/a stalker e quanti sms deve inviargli? due? cinque? quaranta? E se attua questi
comportamenti, è sicuramente un/una malato/a di mente? Alcune recenti sentenze in effetti
hanno generato notevoli perplessità, sia rispetto a un eccessivo rigore su comportamenti poco
gravi che rispetto a una insufficiente tutela della vittima da comportamenti obiettivamente
persecutori. In questa fase storica stiamo assistendo inoltre a una forte legalizzazione del
fenomeno stalking. Cresce l’area dei comportamenti “definiti assillanti” che viene vietata con una
norma. Ma l’area interpretativa è stata mantenuta ovviamente assai estesa. Non si tratta di
violenze fisiche, di percosse o di altre cose che lasciano segni tangibili. Si tratta di comportamenti
“percepiti” come assillanti. Ma allora sorge un altro dubbio. Se siamo tutti d’accordo che lo stalker
è un malato di mente allora bisognerebbe ricordare che la malattia mentale non si tratta
efficacemente con una norma penale. Se abbiamo a che fare con comportamenti di squilibrati la
soluzione è il trattamento psicologico, preventivo e clinico, non il carcere o un “ammonimento”.
Oppure la patata bollente viene passata ai giudici che devono discriminare in base alla capacità di
intendere e di volere del soggetto? Ma se agli/alle stalker, a parte qualche caso di soggetto
psicotico con deliri, viene normalmente attribuito al massimo un disturbo in asse II (di personalità)
che (in giurisprudenza consolidata) non incide sulla capacità di intendere e di volere, allora siamo
coscienti che anche se abbiamo a che fare con dei soggetti disturbati il loro quadro clinico non può
ingerire sulla valutazione del Giudice? E infine, che efficacia può avere “l’ammonimento del
Questore” su un soggetto simile a quello che stolkizzava Jodie Foster e che in pieno delirio
psicotico ha sparato al Presidente degli Stati Uniti (Regan) per attirare su di lui l’attenzione della
distratta Jodie? Insomma, al di la delle ipocrisie mediatiche nei talk show forse sarebbe il caso di
interrogarci se sul fenomeno stalking stiamo prendendo la strada giusta e se stiamo costruendo gli
strumenti giuridici realmente efficaci per risolvere il problema. La conclusione di questo
contributo, fatto più di interrogativi che di soluzioni, è legata alle strategie possibili per incidere sul
problema in maniera etica ed efficace. In tal senso la soluzione deve venire necessariamente dalla
Legge e dalla Psicologia, difficilmente da una delle due sfere di intervento disgiunta dall’altra. E
forse questa sinergia tra saperi diversi, giuridici e psicologici, dovrebbe animare anche le possibili
modifiche normative che probabilmente, dopo questa prima fase esperenziale di applicazione
della legge sullo stalking, dovranno necessariamente giungere.
Cav. Gianluca Guerrisi
Segretario Generale ARGOS Forze di Polizia
Prof. Marco Strano
Comitato Scientifico ARGOS Forze di Polizia